La città infrastruttura complessa inarch 2016

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La città metropolitana, infrastruttura complessa, aperta ed incompleta. Di Pasquale Persico

Nota preparata per il lunedì dell’architettura Inarch 18 aprile 2016-04-13, Napoli

Premessa Per parlare di Roma e di città metropolitane e prima di introdurre i temi relativi alle infrastrutture e la città, occorre introdurre un nuovo lemmario di riferimento. Due libri fondamentali per introdurre i temi. Il primo, del premio nobel Angus Deaton, La grande fuga, ed il Mulino 2016 che, partendo dalla disuguaglianza e dalla povertà, descrive l’esodo verso l’urbano come il meccanismo principale che ha portato fuori dalla povertà 2miliardi di persone. Le grandi aree urbano oltre ad interventi di aiuto alle popolazioni sono lo sfondo del ragionamento sulla metamorfosi del rapporto tra architettura e urbanità, allargando anche la forbice tra progresso e disuguaglianza. Il nuovo PIL sarà abbondantemente prodotto nelle aree urbane ma questo corrisponde al FiL (felicità interna lorda) desiderato? Il secondo libro di Saskia Sassen, Espulsioni, ed Il Mulino 2016 introduce il tema dell’attuale fase di brutalità nella complessità dell’economia mondiale sottolineando che l’attrattore global city per la finanza internazionale è anche il l’angelo sterminatore degli equilibri tra natura e vivibilità e la città si presenta sempre più come infrastruttura complessa aperta ed incompleta. In questa tassonomia possiamo trovare gli spunti per parlare di Roma, la sua possibile qualità urbana, in termini di area metropolitana ed il ruolo della rete ecologica come possibile riferimento metodologico per introdurre la cultura del limite e scegliere la direzione strategica di città bastevole, dentro la visione di città metropolitana che vuole vivere bene nell’area vasta, perché ha finalmente una strategia orientata dalla piena consapevolezza della sua storia e delle sue transizioni, città comunque di passaggio e non eterna. Le città metropolitane e la loro rete ecologica di riferimento possono contribuire a rompere le resistenze corporative che hanno indebolito la capacità dei Paesi Europei di intraprendere una nuova politica economica comune. Il fattore decisivo è la nascita di una nuova volontà degli europei e delle popolazioni in transito di voler concepire una politica rivolta al futuro. Una politica che tenga dentro urbanità e sviluppo, inclusione e democrazia, ambiente e cultura del bastevole.

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La pianificazione debole e felice

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Introduzione al linguaggio Barbara Rizzo, dottore di Ricerca e Professore di Storia del Paesaggio alla Facoltà di Architettura di Roma 1, nel suo saggio Costruzione di identità tra conoscenza ed azione - in Nuovi orizzonti del paesaggio, a cura di B. Cillo (Alinea 2008) - riprende un brano di Thomas Bernhard, per introdurre il concetto di “saper vedere” il paesaggio. Il brano, infatti, nel ribadire il legame tra storia di un territorio e paesaggio, esce fuori dallo schema di conservazione del paesaggio, ribadendo che la capacità di leggere la sua storia e quello che sta accadendo al paesaggio deve, implicitamente, connettersi anche alla capacità di leggere il potenziale in termini di possibili scenari. In questa visione, lo sguardo comprende una capacità, un saper vedere nuovo, in modo cognitivo e strategico, dove per strategico si intende la consapevolezza delle forze in campo, della Natura e dell’Uomo. Questo sguardo cognitivo strategico è raramente presente nella pianificazione territoriale e paesaggistica (e nella pianificazione in genere). Questo fatto è attribuibile ai modelli di pianificazione esistenti (pianificazione forte o gerarchica), che si basano su modelli di apprendimento, o di accumulo di informazioni, oramai messi in discussione dai crescenti insuccessi della pianificazione moderna, sia in termini di efficacia che di efficienza. Questa nuova capacità di acquisire informazioni, per farla penetrare nelle pratiche dell’architettura e dell’urbanistica, ha bisogno di percorsi sperimentali e di laboratori di apprendimento non facilmente disponibili; la frammentazione dei processi di government e di governance sui temi della pianificazione, ostacola non poco la sperimentazione su ampia scala. Si tratta in generale, di leggere la forza e la debolezza dei luoghi guardando al potenziale di reti corte e lunghe, siano esse naturali o artificiali. Questa capacità si acquisisce attraverso una rottura dei modelli disciplinari ed un’accoglienza di modelli sperimentali di apprendimento basati sulla destrutturazione dei linguaggi esistenti: de-costruire e ri-costruire allargando il contributo delle altre discipline, sono le pratiche necessarie per parlare di nuova pianificazione. Il nuovo modello mette in campo, e sullo stesso piano, conoscenze ed emozioni, visibile ed invisibile, natura e uomo, stabilendo poi gerarchie solo temporanee per dare fattibilità al processo-progetto. L’affermazione principale riguarda la messa in discussione delle conoscenze accumulate sul territorio e l’affermazione che nonostante le mappe di conoscenza del territorio, quest’ultimo è sempre poco rappresentato. La ricerca sull’invisibile diventa sempre più importante e l’animazione sui temi dell’apprendimento deve accompagnare il processo di pianificazione. La pianificazione, in questa visione è sempre “ debole”, cioè si muove in uno spazio complesso, non lineare. Credere nella pianificazione debole, significa acquisire umiltà come presupposto di costruzione del paesaggio, e questo è anche un buon punto di partenza. Saper immaginare un futuro, indagare per acquisire le nuove conoscenze, guadagnare la consapevolezza necessaria, aprire laboratori di animazione territoriale, fare azioni di pianificazione concorrenti, sono azioni preliminari per avere prodotti intermedi di pianificazione che possono assomigliare al paesaggio (risultato) desiderato. Monitorare i risultati e sperimentare modelli di apprendimento dall’errore, significa correggere o mettere in discussioni i modelli di pianificazione forti o deboli adoperati; in questo modo la pianificazione debole diventa fertile (felice) cioè capace di uscire sempre dalle difficoltà dovute alle incertezze dei processi. 3


Per vedere l’invisibile, il pianificatore si abitua a vedere con gli occhi degli altri: ecco un approccio Batesoniano al tema della pianificazione, l’ecologia della mente come metodologia di base. Aprire i laboratori del cambiamento per vedere l’invisibile, significa cercare altri punti di vista sui temi del fare, con la ricerca scientifica come presupposto, la sostenibilità profonda come risultato, le emozioni e la nuova identità come prospettiva. In questa visione l’identità del territorio non è una visione da restaurare o da rifunzionalizzare, ma è qualcosa da ri-costruire come nuova identità, legata ad un processo desiderato capace di soddisfare una molteplicità di obiettivi, primo fra tutti quello di una resilienza ecologica del territorio, bene non alienabile. In questo senso la nuova soggettività della Natura entra fortemente nel ragionamento di pianificazione e questa soggettività aggiunge valore e significato alla Pianificazione debole. Non tutto è prevedibile, la Natura ha molti gradi di libertà e l’obiettivo desiderato è improbabile. Allora il paesaggio e la nuova città da far nascere è storia del territorio, ma anche un farsi storia cioè una nuova capacità di raccontare e raccordare processi. Identità e sviluppo devono coniugarsi insieme e diventare paradigma di riferimento per qualificare ambedue i termini. Dalla storia recente e dalle acquisizioni scientifiche è evidente che lo sviluppo sostenibile, nella sua definizione canonica, non basta più. Guardare oltre, verso lo sviluppo profondo (ecologia profonda come riferimento), è un atteggiamento più scientifico e morale. Per morale si intende l’introduzione di una nuova razionalità, più aperta, del we invece che del self; del noi piuttosto che dell’io (soggettività dell’impresa, della famiglia, delle istituzioni, dell’individuo cittadino residente o in transito ). Sperare nella pianificazione debole, come presupposto di costruzione del paesaggio, è un modo per procedere all’acquisizione delle conoscenze necessarie, guadagnare gradi di consapevolezza, aprire laboratori di animazione territoriale, realizzare azioni di pianificazione concorrenti. Nello stesso tempo, ciò consente di immaginare e rappresentare il potenziale costruttivo della natura e dell’uomo, che aiuta a prefigurare possibili modelli di governance e government dei processi aperti. In questi nuovi modelli di governance e government il metodo di valutazione dei risultati, sempre intermedi, gioca un ruolo chiave. Si tratta di immaginare processi co-evolutivi e co-creativi, tentando una co-pianificazione intelligente cioè capace di diminuire le asimmetrie, una volta valutato che i processi accumulano caos e frammentazione. L’intersezione tra il probabile obiettivo economico, il probabile obiettivo di pianificazione, il probabile obiettivo sociale e quello di ecologia profonda, darà conto dei pesi da introdurre per bilanciare le politiche. La contrapposizione tra pianificazione forte e debole non è ideologica, ma si prefigge di cercare anche i punti di contatto. Non a caso l’urbanistica riconosciuta si accontenta di pianificare per parti, senza preoccuparsi dell’asimmetria provocata nei sistemi di appartenenza, La pianificazione debole, invece, cerca di trovare sempre una possibile ri-partenza. Si pensi al caso della TAV e a tutti i casi di pianificazione delle reti (trasporto e servizi). Sia il disegno che l’attuazione non si sono liberati dell’approccio settoriale o di impianto, rinunciando ex-ante alle economie di scopo e a possibili coordinamenti a scala multipla. Nel grafico seguente viene rappresentato il modello di apprendimento in termini di adeguamento ai cambiamenti dell’ambiente (anche in termini istituzionali), per mostrare che l’asimmetria tra progetto della natura e progetto dell’uomo è sempre inopportuna. 4


2. La pianificazione debole e felice è allora, la caratteristica nuova della pianificazione futura che si esprime meglio nelle situazioni di potenziale già acquisito per le aree ad alta funzionalità ecologica, ma che non ha paura del labirinto d’apprendimento ancora necessario per agire nelle aree urbanizzate, dove la frammentazione ecologica ha compromesso, spesso definitivamente, la resilienza dei sistemi ecologici esistenti. Le conoscenze stratificate, e quelle professionali esistenti, spesso diventano soglie di resistenza infinita e si manifestano come attività respingenti per nuovi processi di ricerca. Il carattere debole della nuova pianificazione non significa soccombente, ma significa saper andare avanti con nuove note fino a far percepire l’obsolescenza del vecchio ritornello, la pianificazione dei manuali, che è sempre presente, ma è incapace di muovere processi sostenibili. Coltivare la fertilità del laboratorio, come luogo nuovo di animazione e progettazione, significa impegnarsi ogni giorno sull’azione da fare, come fertilità del fare e felicità della scoperta, della messa in discussione dei rituali esistenti (anche nell’attività di lobbing). Bisogna sviluppare un apprendimento del terzo tipo, non più modello mezzi-fini, non più modello adattivo, ma modello di apprendimento creativo e di immaginazione, capace di produrre la nuova chimica necessaria al secondo cervello (Montalcini), quello cognitivo e strategico, quello dell’apprendere ad apprendere. La pianificazione debole e felice è allora un nuovo modo di guardare all’architettura e alla pianificazione, attraverso soluzioni temporanee che investono nella capacità di immaginare il futuro guardando al paesaggio esistente. In questa prospettiva sia il concetto di “producing landscape” che di “consuming landscape” non sono in contraddizione; essi vengono recuperati dentro una consapevolezza relativa al potenziale da trovare, che allarga le opportunità di scelta. 5


Vi è una interattività nuova tra spazio e progetto, tra territorio e società, tra comunità e paesaggio. Lo spazio-regione viene rivisitato come eco-regione (vedi ultima figura) e ciò offre, nella visione dinamica dell’economia della conoscenza e di società della conoscenza, una gamma di opportunità che lascia aperta e reversibile la definizione degli spazi di opportunità. In questo senso prendono vita due nuove definizioni: ri-producing e ri-consuming. Esse inquadrano l’agire consapevole di ricerca del potenziale, fino ad immaginare l’individuazione di diversi gradi di resilienza o di paesaggi intermedi (i sottoprodotti di cui parla Pizzo). Se questi stadi esistono, essi possono essere in grado di soddisfare più aspettative. Il turismo, ad esempio, non è nemico del quarto paesaggio, il paesaggio resiliente, ma va indirizzato nei luoghi opportuni, dove è possibile il ripristino ambientale, dove la capacità di accoglienza lascia resiliente il sistema ecologico di base, per lasciare intatte le opportunità strategiche. Deterritorializzare i progetti per poterli territorializzare meglio, deve essere una pratica innovativa della pianificazione, Ma ciò comporta che la pianificazione debole e felice ha anche bisogno di una politica debole ed intelligente, non corporativa e miope. Politica e pianificazione insieme, devono sviluppare una capacità di apprendere dagli errori, in termini di capacità di revisione dei modelli ideativi e gestionali dei progetti. L’inatteso e l’involontario che accompagnano i processi, sono la fonte inesauribile dell’accrescimento delle “capacità” La comunità aperta è quella comunità che mette in cerchio le pratiche giuste, che comunica gli insuccessi fertili, che si rende felice della co-pianificazione, cioè della possibilità di rendere dialettico il percorso di costruzione del progetto di paesaggio potenziale. L’attività di produzione di questa nuova pianificazione non è solo produttiva (cioè capace di produrre il processo.prgetto) , ma anche riproduttiva cioè in grado di far crescere, attraverso processi di apprendimento allargati, la capacità progettuali, tecniche e di visione, fino a ipotizzare la nascita ed il consolidamento di capitale cognitivo specifico, localizzato in luoghi adatti ad alimentare i processi. La pianificazione debole e felice è in grado di individuare i punti nevralgici della rete neurale del territorio. Ciò nonostante l’attuale rete delle pratiche di pianificazione frammentata, risulti dominante e persistente, per perseguire l’obiettivo necessario della risalita del grado di resilienza vitale. Solo dando nuovi significati ai luoghi e nuovi usi a questi, sarà possibile ricomporre i frammenti e costruire nuovi network tra abitanti ed ambienti di vita. Concorrere alla ricostruzione di una nuova identità non è poco per poter parlare ancora di sviluppo e pianificazione, o di pianificazione e sviluppo della società. Le politiche europee hanno bisogno di nuove invenzioni e i laboratori della pianificazione debole e felice possono sviluppare quei comportamenti pro-attivi ancora troppo necessari alle politiche regionali di coesione.

La città come infrastruttura complessa aperta ed incompleta^ I NY-Lon sono diventati famosi e citati nel mondo come abitanti di due città in continua evoluzione, New York e Londra, tanto che sono partiti studi sui loro comportamenti antropologici. In realtà i settori professionali conquistati da questa élite vanno ben oltre quelli indicati nella definizione del dizionario. A cominciare dal mondo accademico, che ha intuito la rilevanza del fenomeno: i dipartimenti di sociologia della New York University e della London School of Economics hanno fondato un gruppo di ricerca congiunto che identifica nel NyLon un modello di 6


collaborazione intellettuale e comunicazione internazionale. Gli studenti e i docenti di entrambi gli atenei lo hanno giudicato rivelatore ("eye opening") per cogliere le differenze tra la mentalità statunitense e quella anglosassone, pur nell’ambito di una visione comune del mondo. Sul piano pratico il gruppo di ricerca organizza workshop tematici settimanali nelle due metropoli. Ma il mondo del NyLon fa gola anche all’industria. Nel ramo del trasporto aereo il New YorkLondra è sempre più il "corridoio" privilegiato tra le tratte intercontinentali. Il fatto curioso è che ciò avviene in controtendenza rispetto ai suoi tempi di percorrenza: dal giorno del pensionamento del Concorde (che consentiva di volare dal JFK a Heathrow in tre ore e mezza) e in attesa di nuovi vettori di pari velocità, la durata della traversata è risalita a sette ore, il doppio. Un paradosso: mentre l’orientamento dei fornitori in ogni settore dell’economia è di far risparmiare tempo ai clienti, proprio l’industria aeronautica, e perlopiù per un servizio così vitale come il trasporto da New York a Londra, è tornata indietro di vent’anni. Così, per supplire a questo "disservizio", le compagnie aeree si combattono a suon di offerte speciali e promozioni per "frenquent flyers". Non a caso, per viaggiare dal Nord America all’Europa le migliori condizioni economiche si trovano proprio su questa rotta. Cosa sta avvenendo agli abitanti delle aree urbane e non urbane che possono vivere identità doppie o triple abitando e/o vivendo in più città usando spesso, quasi ossessivamente, la rete TAV.? Un elenco possibile può suscitare curiosità. I MITO dono diversi dai TOMI (persone che vivono le aree urbane di Torino e Milano)? E i NA-Roma sono sovrapposti ai RONA? Sicuramente i FI VE hanno amore per l’arte, mentre i VEMI stanno diventando tristi; i FERO sono in attesa di fermata dedicata e vanno ancora a Bologna in bici. I SARO non sono siciliani ma potrebbero diventarlo dato che i siciliani si sposteranno a Salerno per raggiungere Roma, per la paura di attraversare lo stretto tra troppi anni. Questa scherzosa ipotesi di ricerca, da fare al più presto, con un data base da creare e tenere sotto monitoraggio, rilancia l’idea che la risposta, sottintesa nella sigla QUALE VELOCITA’ Quale Città, apre scenari di ricerca impensabili. Quello più affascinante è la deterritoalizzazione della città. Mentre gli urbanisti con risultati a scala e tempo variabile ripensano a dare nuova forma alla città, l’epoca contemporanea interpreta forme di espressione e comportamenti per proporre nuove densità comportamentali che potremmo chiamare città senza territorio definito ma dai contorni mobili e flessibili come suggerisce la stessa parola NYLON. Le argomentazioni filosofiche di DELEUZE e GUATTARI sulla musica e su quella elettronica in particolare ci aiutano a definire i temi della riflessione di oggi. I territori non sono più identificabili rispetto a misure come le coordinate energetiche-spazio-tempo o a coordinate storico-semantiche, nè a presupposti strettamente geomorfologici. La conoscenza, suggerisce Guattari, non arriva dalla rappresentazione ma dalla contaminazione affettiva. L’affettività è un concetto ampliato non strettamente legato ai segni né ai modi della rappresentazione (il turismo è senza affetto) ma all’immediatezza esperienziale, il desiderio di vivere nuove esperienze. In questo senso spinge il divenire e prefigura forme che non saranno necessariamente realizzate, la città cambia forma in maniera continua, è smaterializzata, e/o si materializza per frammenti a densità e centralità variabile. 7


Molti abitanti delle città grandi non conoscono e non sono interessati a conoscere tutta la città di Torino o Milano ma desiderano vivere frammenti a significato temporaneo delle due città evocando altri frammenti di città che raggiungeranno domani. In questa visione anche luoghi lontani delle città ampliata possono diventare densità o centralità vitali a cui l’accessibilità potenziale restituisce campi di potenzialità imprevedibili, città ed altra città. Vediamoci, noi abitanti di frammenti di città, TOMI, GEFI, MIVE e BOMI in un luogo nuovo per ascoltare musica, una musica senza ritornello. La città diventa nuovamente territorio temporaneo, struttura flessibile (Nylon) Come i fenomeni sonori sono un prisma complesso in cui convergono diversi strati (indiziale, linguistico, affettivo) così la nuova città si alimenta di nuove densità possibili, nuovi frammenti strutturanti,la città c’è ma potrebbe sparire già domani. Si consolidano nuove strategie per non rinunciare all’identità della città, la metamorfosi possibile non deve perdere memoria, non saprebbe progettare il futuro; ma questa volta la memoria deve diventare una tecnologia innovativa piuttosto che una tecnologia consolidata, deve aprire scenari per ibridazioni che allargano la città, io non ho paura deve essere lo slogan delle città in evoluzione. In realtà, se lo sviluppo delle reti transnazionali e quelle ad alta velocità implicano una deterritorializzazione del concetto di città, il territorio di area vasta o delle macro area diventa nuovo catalogo di risorse infinte e la città riappare come nuovo ritornello di conoscenze, ancora da elaborare, le città metropolitane sono una infrastruttura complessa , aperta ed incompleta. Se durante il periodo illuminista la parola Enciclopedia (l’impresa di Diderot e D’Alambert ) evocava la necessità di mettere in cerchio di conoscenza i saperi per cambiare il mondo e progettare il nuovo, questa volta il ritornello (il possibile progetto di città, mettersi in cerchio aperto per guadagnare scala) riaffiora come mezzo per non disperdere capacità cognitive ed accumularle sul territorio di area vasta, che in tal modo si fa nuovamente città estesa. Il secondo cervello di cui parla la Levi Montalcine, è allora il capitale cognitivo e di apprendimento che si forma nelle reti territoriali ; questo capitale cognitivo deve essere riconosciuto e valorizzato come territorio città che per scala adeguata, acquista soggettività politica capace di fare strategie di apprendimento e di tenere la città sempre in costruzione. Riconnettere reti di governance delle istituzioni, reti di produzione di conoscenze, reti di apprendimento del fare, reti di finanza a scala di città, reti di attività sociali e di arte, etc diventa il laboratorio di sviluppo del potenziale territoriale il cui precipitato può essere la città strategica, la città dei cantieri sempre aperti. Shangai meglio di Londra e Londra meglio di New York e tutte meglio di Milano e Napoli mentre Torino e Roma tentano una difesa impossibile cambiando identità e reti; e Pechino? Le città con territorio al quadrato sono le città del futuro, le città capaci di suonare un solo ritornello apparentemente si territorializzano ma in realtà scompaiono nel panorama globale della nuova antropologia degli abitanti della città contemporanea. La città perde i caratteri statici e diventare infrastruttura complessa ed aperta , necessariamente incompleta. La metamorfosi urbana produce risultati differenziati, territori a più tempi e più forme, derivanti da processi di apprendimento collettivo, inseriti in forme differenziate flessibili di cooperazione, vogliono diventare città nuova. La cooperazione, come la conflittualità è multipla tra differenti attori, privati e pubblici, regionali ed internazionali, tra fornitori locali e globali, tra produttori di 8


conoscenze e formazioni ed istituzioni dedicate, tra intermediari finanziari e rentier posizionali, tra associazioni e media, tra pubblica amministrazione e portatori di governance sussidiaria. La parola infrastruttura potrebbe portare fuori strada, la città diventa infrastruttura complessa cioè insiemi di reti e di sistemi relazionali capaci da assorbire investimenti e di aumentare il loro valore. La storiografia francese separava la Citè ( la città come insieme di associazioni) dalla Ville cioè l’insieme dei luoghi dove si svolgevano le attività. Si faceva così ricorso ad un concetto di città dinamico, in cui le due sovrapposizioni crescevano con direzioni variabili. La Cité può diventare molto grande senza che la ville sia fisicamente più grande e viceversa, potremmo avere una moltiplicazione dei luoghi, una Ville molto estesa, dove svolgere attività. Spesso l’insieme delle reti associative non sono in grado di farci sentire in una Citè. Anche la distinzione tra Net e Network può aiutarci a dare elementi di chiarezza alla definizione di città come infrastruttura. Ora un insieme di reti ci fanno capire che disponiamo di molti Net ma se questi net non sono strutturanti rispetto a funzioni da assolvere non saranno mai dei Networks cioè delle infrastrutture con funzioni specifiche o flessibili. Il ricorso al concetto di città come infrastruttura consente di definire le risorse intangibili e quelle tangibili che occorre intrecciare per avere delle condizione minime o strategiche di sviluppo. Una città grande , storicamente riconosciuta, potrebbe aver indebolito le sue reti relazionali fino a rompere le funzionalità di alcuni network esistenti ( la governance, la capacità di ricerca, la capacità di produrre Capitale Umano, etc) in definitiva quella stessa città ha bisogno di risalire la scala per diventare nuovamente infrastruttura di sviluppo locale. Un’ area vasta, con diverse potenzialità di reti, deve avere la possibilità di intrecciare queste reti e progettare una visione possibile di città che renda possibile coniugare più paradigmi evolutivi: identità e sviluppo, identità e diversità, semplicità e complessità. Il concetto di Città- regione collegabile ai recenti piani strategici della città di Barcellona rende esplicita l’idea che la Barcellona città di molti anni fa ha elaborato nuove idee sulla città infrastruttura fino a parlare di Città Regione come città allargata capace di dare al potenziale locale o regionale quegli spazi , materiali o intangibili, in grado di accogliere i nuovi progetti di sviluppo che vedono definitivamente una comunità in evoluzione verso una società complessa,aperta ed inclusiva. Entra in campo il concetto di Città Moltiplicata,come esplicito riferimento al salto culturale da fare rispetto alle diverse ipotesi di reti associative tra comuni, essa tiene dentro l’idea di lavorare continuamente sull’idea di città, sapendo che lo stesso concetto deve avere una sua valenza temporanea. L’attuale a-centricità delle abitazioni,dei luoghi di lavoro, dei luoghi mentali, degli uffici pubblici, delle sale di spettacolo, delle università, delle pause urbane devono diventare riflessione nuova per tutti coloro che si occupano di sviluppo locale perché venga nuovamente indagato il concetto di città per verificare la sua valenza strutturante ( necessaria) rispetto alla costruzione dello spazio e del tempo dello sviluppo (nuovi centri). Le teorie economiche che hanno ispirato le politiche di sviluppo locale si sono poggiate sull’idea che il rafforzamento di poche forze strutturanti il territorio possano guidare il processo di sviluppo. Queste forze che guidano il processo sono legate alle aspettative di un uso di risorse rilevanti: le risorse naturali, il capitale accumulato disponibile, la capacità imprenditoriale etc. Tutte queste teorie giravano intorno al concetto di Capitale, fisico o immateriale; di recente la stessa nozione di Capitale si è arricchita di altri definizioni teoriche ed empiriche non prive di valore esplicativo delle relazioni tra presenza di tali capitali e sviluppo locale: Il concetto di Capitale 9


Tecnologico, di Capitale Umano, di Capitale endogeno, di Capitale sociale e infine quello di Capitale Istituzionale hanno evidenziato aspetti del legame tra territorio e sviluppo lasciandoci una luce diversa sulle forze economiche e sociali che sono rilevanti per accelerare i processi di sviluppo. La crisi economica in corso ha, in parte, ridimensionato il tema dello sviluppo orientato dalla presenza di dosi combinate di tali risorse (Capitale fisico, Capitale tecnologico, etc) , le reti e le infrastrutture sono una componente rilevante ma non decisiva, deve nascere e svilupparsi un capitale cognitivo territoriale e la città entra nuovamente in campo come insieme di luoghi che moltiplicano questo potenziale, la città si moltiplica e noi dobbiamo moltiplicare quella esistente. Il paradigma “identità e sviluppo” , elaborato nel corso della esperienza di proporre una ipotesi di sviluppo per la Città di Salerno, come costruzione teorica, prevede che l’accumulazione di Identità sia legata alla capacità di progettazione di un territorio, che l’innovazione prodotta sia accumulata nelle diverse definizioni di Capitale già richiamate, e che questa capacità messa in atto generi un processo non lineare, cioè con esiti che portano a relazioni tra i sistemi territoriali differenziate. Se il grado di complessità del sistema aumenta ciò non implica una difficoltà a descrivere la nuova identità ma implica una difficoltà a definire il livello di sviluppo, bisogna dotarsi perciò di strumenti concettuali in grado di entrare nei nuovi codici di valutazione. La meccanica quantistica ci viene in aiuto con la seguente equazione

[1] La [1] è l’equazione differenziale di riferimento per rendere esplicito il processo legato alla costruzione del sistema aperto dove coniugare il paradigma di riferimento cercando di controllare ed interpretare il grado di differenziazione dell’esito dei nuovi processi.

Ci è la concentrazione ( densità) dei nuovi processi generati dai comportamenti individuali e delle istituzioni locali nelle diverse forme, che potremmo chiamare processi di nuova identità., è il coefficiente di diffusione, t è il tempo del processo, è la reazione sociale di aggiustamento,

mentre è il cosiddetto laplaciano della concentrazione che esprime la differenza tra valore creato (economico e non ) e quello medio dell’intorno (fuori area di riferimento) e costituisce una misura concettuale del processo che crea discontinuità sia in termini di Identità che di Sviluppo.

La formulazione analitica appare come un frammento teorico sparso da collegare a un’elaborazione più completa . Esso, nella sua semplicità concettuale, esplicita l’esigenza di specificare per identificarle, le componenti del motore del cambiamento comprendendo anche l’idea che le reazioni possono differenziare gli esiti fino a nascondere le componenti innovative del processo, con in crescita più che proporzionale rispetto all’altro termine. 10


La difficoltà di coniugare il paradigma identità e diversità come variante concettuale di “Identità e Sviluppo” ci fa pensare e riflettere sulla scala territoriale di riferimento perché governance e government giochi un ruolo attivo nel processo di generazione della massa critica che dà corpo ai processi generativi di azioni di sviluppo. La riflessione teorica si sposta sulla necessità di trovare altri frammenti di teoria coerenti con quelli esplicitati nella [1] e che consentano di coniugare con più capacità interpretative i due paradigmi di riferimento che alla formulazione sono legati sul piano concettuale, Identità e sviluppo, e Identità e diversità. La necessità di operare dentro uno schema complesso con semplicità teorica porta a ricercare qualità sociali e politiche dei territori per definire forme relazionali di accompagnamento dei processi di investimento, sia fisici che intangibili. Si scopre così che la cinematica del processo di sviluppo potrebbe nascondere la quantità di relazione complesse che pur sono necessarie a catalizzare i processi virtuosi teoricamente necessari al cambiamento. La recente crescita dei piani strategici di area vasta segnalano la tensione verso queste problematiche, rivelano aspetti inediti sulla necessità di specificare nuove modalità di produzione di Humus fertile per le politiche di sviluppo. Il contenitore concettuale e/o istituzionale non è cosa trascurabile rispetto al tema delle politiche per lo sviluppo locale, il concetto di città come infrastruttura si segnala come contenitore potenziale e la città si riposiziona come identità necessaria, essa è in metamorfosi concettuale e Nylon è la metafora di riferimento, la città elastica e flessibile mentre le infrastrutture diventano liquide ed a velocità differenziata. Le città contemporanee si evolvono per poter riconoscere risorse territoriali a polifonia instabile, a-centralità e centralità si scambiano e le città vivono per effetto della vitalità della morte dei luoghi. ----------------------------------^ da La scomparsa della città e la nascita di abitanti di città a Polifonia instabile La rete dell’alta velocità e la mutazione antropologica degli abitanti delle aree urbane. Milano 15 ottobre 2011 : progetto QVQC e progetto QCQV Di Pasquale Persico e Lidia Decandia UNISASS

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La città e l’altra città Una definizione ampia di altra città, con riferimento al tema del transitorio nello spazio urbanizzato, implica una utilizzazione del concetto di città come infrastruttura complessa dell’abitare e del produrre.

Questa infrastruttura complessa, che chiamiamo ancora città, ha perso nel tempo i caratteri identitari che la definivano come un insiemi di “ luoghi” o ambiti capaci di mantenere nel tempo una riconoscibilità specifica, spesso coerente con i caratteri ambientali della regione ecologica di appartenenza. Nei territori a forte urbanizzazione la qualità del paesaggio è sconnessa: nella nuova desiderata e indesiderata città si produrrà in maniera crescente il nuovo PIL del mondo, con diversi gradi di disuguaglianza territoriale e sociale. È possibile allora lavorare e immaginare una nuova transizione di queste aree verso un’altra città che aiuti lo spazio frammentato a riconnettersi, a rammendarsi ad essere riconosciuto come città più sobria, con valori diversi, più attenta all’ambiente ed ai beni relazionali? L’arte del rammendo e della sarcitura ( parola napoletana che sottolinea l’arte di riparare tessuti rivitalizzando tutte le trame) è l’arte dell’intervento nell’Altra Città che vuole ricucire lo strappo tra l’urbano ed il rurale, le infrastrutture di frammentazione e la rete ecologica di cucitura, il centro e le periferie, il ricco ed il povero,l’incluso e l’escluso. La rimozione delle barriere visibili ed invisibili dell’esclusione è il programma utopico di riferimento (l’Utopia annunciata da Marc Augé della città di tutti). Si tratta allora di aprire nuovi spazi (fisici e mentali) dove il processo è più 12


importante del progetto e dove, temporaneamente il non costruito ha più importanza del costruito. La sottrazione riprende il suo carattere addizionante per immaginare nuovi beni comuni e relazionali, capaci di aggiungere alla comunità nuove virtù civiche, nuove urbanità di senso, in cui appartenenza ed identità non abbiano i caratteri dell’isola o dell’enclave ma definiscano la voglia nuova di ibridarsi basandosi sui concetti di inclusione e di fertilità. L’architetto si fa ombra per illuminare le relazioni degli individui scoprendo le loro relazioni immateriali, scoprendo la loro voglia di altra città, e li aiuta a riconoscere le trasformazioni fisiche necessarie a far vivere bisogni ed emozioni, allontanando le ipotesi di comunità forzate che finiscono per avviarsi verso percorsi impropri. Un inventario delle esperienze realizzate nell’altra città, nei territori frammentati delle aree metropolitane ed in quelle a forte discontinuità urbana è oggi necessario per immaginare una tassonomia evolutiva della città di transito e valutare la carica innovativa della speranza di una metamorfosi virtuosa, dove i temi della condivisione, dell’integrazione e della responsabilità, nelle forme e nei contenuti, possano trovare ascolto nella nuova pianificazione strutturante e cognitiva. Il passaggio dall’inventario delle esperienze al catalogo delle metamorfosi non è facile. Occorre impegnarsi per trovare dispositivi (istituzionali, politici, economici e sociali) che colgano le nuove opportunità che ogni metamorfosi contiene, per eliminare i timori (quelli che sentiamo da tempo ed ogni giorno) di non avere la capacità di uscire dalle difficoltà. Deve nascere un approccio resiliente basato sulla base sociale di riferimento, 13


residente e in transito, che si prende carico della trasformazione possibile. Si tratta di ipotizzare che le difficoltà dei territori e delle città possano essere superate se dalla Città per Progetti si riesce a passare al concetto di Città rigenerativa che presuppone l’identificazione di una nuova base sociale quale presupposto di una nuova tessitura territoriale in grado di produrre valore economico e valore sociale. In sostanza, beni economici e beni comuni a-specifici e specifici devono nascere o manifestarsi. In passato, quando la soggettività era in campo, le comunità hanno dimostrato di saper conservare la resilienza del territorio in termini di reversibilità o riuso, hanno moltiplicato le soluzioni tipologiche, tecniche e formali, spesso finalizzate al risparmio energetico ed economico, mostrando una sapienza nell’uso dei manufatti sia in fase di localizzazione che di costruzione e perfino prefigurando un’idea lungimirante di manutenzione. Oggi, la manutenzione del futuro è diventata il concetto assente nella progettazione, quasi che i condizionamenti ambientali ed il progetto della Natura, e dei diversi gradi di naturalità, non avessero soggettività o incisività nel tempo e nello spazio dell’abitare. La capacità ecologica dei siti è ignorata e così il significato di rete ecologica esistente come se questa non fosse correlata all’area vasta di riferimento: nascono così costi non previsti come emergenze sopravvenute. L’appartenenza ad una comunità è fondata su un insieme di esclusioni ed inclusioni, dalla capacità di non costruire pareti tra luoghi della città ma membrane tra luoghi dialoganti. È la comunità con la sua leadership che decide le regole di appartenenza, cercando di adottare regole per regolare il 14


conflitto. Non esiste un terreno neutro in astratto (spazio pubblico) ma esiste un terreno di confronto e di conflitto dal quale nasce il senso dell’appartenenza. L’epoca in cui alcune nazioni europee si percepivano come centro direzionale del mondo è finita. Le città (le Altre Città) si devono impegnare a concepire progetti aperti, grandangolari, in una prospettiva di missione definita da una vision strategica, per rinnovare efficacia ed efficienza, anche dei sistemi istituzionali. Ad ognuno toccherà aprire un laboratorio prima mentale, di spessore. Deve nascere nella città in transizione una strutturazione degli spazi di cambiamento: ogni progetto o processo attivato dovrà avere una dimensione culturale nuova con impatto fisico percepibile e qualificato, in termini qualitativi e quantitativi, fino a confermare l’aumentata leadership dell’istituzione comunitaria di riferimento. Essere pervasivi, radicali e rigenerativi deve poter significare nuova capacità di diventare rabdomanti di un territorio che deve trovare sorgenti e risorgenze dimenticate o inattese, ma significa anche credere alla metamorfosi urbana dell’eredità materiale e immateriale che è la città, infrastruttura complessa da riposizionare nell’area vasta. In definitiva l’Abitare la transizione di cui si parla ha il compito di una costruzione sociale di senso su argomenti chiave a cui abbiamo già fatto cenno ma che devono trovare una chiave di condivisione esplicita. Si tratta di rivisitare il tema degli standard in una prospettiva affatto standardizzata, e forse anche “indisciplinata”, per aggregare nuovi bisogni e prospettive. Riscrivere la storia della città e del territorio deve diventare 15


narrazione nuova, nella quale la diversità delle storie delle “altre città” nella città diventa opportunità per valorizzare architetture e forme insediative: una nuova semantica degli spazi comuni aperti, per dare allo spazio urbano un nuovo ruolo contemporaneo. Una città dai confini culturali e funzionali, riposizionati da una pianificazione debole e creativa, ha probabilità più alta di farsi riconoscere come città contemporanea che si avvantaggia della creatività policentrica di imprese, famiglie ed istituzioni. Si tratta allora di contrapporre all’attuale tendenza del modo di costruire infrastrutture, che in effetti favorisce la nascita di enclave urbane separate dal contesto, la possibilità di costruire nuovi arcipelaghi interconnessi, evitando di mitizzare il centro o i centri come unica struttura di gravità. La convergenza tra Città e Altra Città potrà esserci solo temporaneamente Come primo tempo di programmazione, ma i confini mobili della città metropolitana alimentano, con l’allargamento dei mercati, la nascita di nuove altre città, vicine o lontane, come nuovo campo di ricerca sulla Città Possibile.

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La città generativa e rigenerativa come città delle reti a funzioni multiple. Finanza di città e La rigenerazione urbana Per poter rispondere a domande specifiche sui temi della fattibilità economica, ambientale, finanziaria e sociale dei progetti generativi e rigenerativi dei tessuti urbani occorre fare alcune premesse su temi specifici dell’evoluzione della governance e del government territoriale di area vasta. In particolare il tema della nascita e del consolidamento delle aree metropolitane va inquadrato dentro il tema della soggettività politica ed istituzionale delle nuove aree vaste a governance innovativa e/o strategica. La presente riflessione accenna a questi temi affrontando domande di base, come in parte esse sono emerse dalla ricerca di Massimo Pica Ciamarra(MPC) relativa al possibile confronto con le città metropolitane europee. Per MPC in Europa le città metropolitane sono poche: alcune delle grandi capitali (Inghilterra, Francia, Austria, Germania, Olanda, Spagna…..) poi solo Amburgo, Francoforte, Monaco, Stoccarda in Germania, Lione in Francia, Barcellona in Spagna, Rotterdam in Olanda, nessuna in Inghilterra e forse qualcuna altra sfuggita. Cioè negli altri 27 paesi dell’Unione le città metropolitane sono rare, in tutto si e no una ventina. Allora la prima riflessione: cosa significa l’anomalia italiana, dove queste tendono ad essere quante negli altri 27 paesi tutti insieme? Certo l’armatura urbana nella nostra penisola è particolare, l’Italia è “terra di città” ma seguendo il ragionamento di MPC, ricordiamo che una città è “metropoli”

non per la quantità dei suoi abitanti.

Il “Devoto-Oli” ne dà due definizioni: perché ha

a) “una particolare preminenza nell’ambito di una civiltà o di una cultura” b) “grande e importante città caratterizzata da un intenso dinamismo”. Aggiungerei è città di reti lunghe ed a massa critica di reti corte. Per parlare di città metropolitana occorre rifare le due domande appena tracciate e valutare la metamorfosi in atto in termini di decadenza rispetto alle proposizioni: ( a ) valutare il potenzialità di creatività della città con riferimento alle possibili attività sostenibile (b) per poi dare un giudizio di speranza al desiderio di diventare nominalmente e fattivamente CittàMetropolitana., città moltiplica, infrastruttura complessa, aperta ed incompleta.

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E’ più importante individuare i processi di governance da stimolare in rapporto alle tematiche generative e rigenerativi capace di ricucire e sarcire tessuti sociali a valenza strategica. Per delineare un futuro di questo genere occorrono visioni “in-disciplinate”, intrecci di punti di vista diversi, assenza di ottiche di settore, forti punti fissi (questione ambientale, valorizzazione dei beni paesaggistici e culturali), chiare priorità (produttività, mobilità, …) intelligentemente flessibili. In definitiva le nuove città del gioco metropolitano saranno non strutture chiuse, ma identità riconoscibili, con senso di appartenenza di volta in volta diverso: ecco il nodo non sciolto nell’attuale legge in evoluzione programmatica. Per raggiungere questo obiettivo occorre che ognuno e tutti siano convinti della convenienza nello stare insieme, dell’indispensabilità di raggiungere una massa critica che possa svilupparsi e raggiungere dimensioni -ma soprattutto modalità- che consentano realmente di competere con altre realtà a scala mondiale. Tendenzialmente (ma non necessariamente) bisogna lavorare ad un somiglianza alla “città-stato”, come molte in Europa. Questo processo potrà portare alla futura, oggi indefinita, “metropoli” che, comunque deve crescere per assumere dimensione adeguata alla competizione globale. È nel modo in cui sarà possibile governare questa realtà che si gioca la differenza fra una vera “città” e una debole “città metropolitana”. Il futuro Statuto è una delle cartine di tornasole. Finanza di città, programmazione

infrastrutture e sistemi urbani devono trovare un nuovo spazio concettuale di

Con Finanza di Città si propone una rivisitazione del concetto di città per evidenziare la necessità di ricorrere ad una visione allargata e per una scala dimensionale profondamente diversa dove inserire il tema del finanziamento dei progetti o della progettualità potenziale. Sebbene la finanza di progetto viva una fase di incertezza, si cerca di accelerare la sua fase operativa anche in Italia, ma appaiono i limiti di un approccio per progetti ai temi dello sviluppo e delle Città come “infrastruttura” necessaria allo stesso, il tutto non legato solo alla crisi fiscale degli stati L’idea generale che si vuole rilanciare è che la finanza strategica sia uno degli strumenti indispensabili per lo sviluppo di lungo periodo e soprattutto per le città che vogliono segnalarsi come protagoniste del terzo millennio. Ripensare al tema della città ed all’altra città in particolare, è una strada obbligata. Ripensare la città significa restituire ad essa una nuova funzione storica, fuori dalle nostalgie, fuori dai luoghi comuni, fuori dalle “mura” in cui normalmente si finisce per chiudere i temi dell’identità urbana. La civiltà contemporanea ha bisogno di città, intesa come sviluppo del pensiero legato all’urbanità ed ai diritti, ha bisogno di fondere il suo desiderio di progresso e di accumulazione culturale con l’ideale luogo immaginato e nello stesso tempo esorcizzare tutte le paure del vivere nelle città globalizzate. La città è perciò la rete dei luoghi a supporto degli uomini e delle loro organizzazioni, spesso queste si evolvono temporaneamente in istituzioni durature che spesso definiscono l’identità delle città. 18


Dalla città “bricolage” si deve passare alla città organizzata. Le città contemporanee sono piene di progetti ma questi non sono sempre usciti dal cilindro della pianificazione. Esse si presentano come il prodotto di una vera e propria operazione di bricolage che vede l’unione di molti pezzi di città che andranno a comporre l’effetto finale della città sempre come operazione incompleta. Qui non si vuole proporre il solito schema di pianificazione ma una nuova visione in cui la scala delle possibilità sia decodificabile in base ad una dimensione, quella della finanza e della sostenibilità sociale ed istituzionale del modello di governance, che potrà ridurre l’asimmetria tra spazio e tempo e dare strumenti ulteriori al progetto di città che oggi appare dominato dal Caso, che rende solo a posteriore chiaro l’idea di città in campo. Le persone offrono, anche attraverso le istituzioni e le organizzazioni, le proprie capacità, le città offrono le proprie strutture e il loro potenziale spazio regolato di comportamento, le competenze si sviluppano insieme al consumo, la città cresce. Dai sistemi di relazione tra capacità individuali e collettive scaturisce il valore della città. Quindi, come ogni altro territorio o area vasta, la città produce valore legato al tipo di relazione che potenzialmente si possono sviluppare, questo valore è qualitativo e quantitativo e può essere visto come prodotto o somma di diverse componenti Valore della città = V = Q x A / M

o

v =q+a–m

Dove v è il tasso istantaneo di aumento del valore della città, q è il tasso di sviluppo della qualità delle relazioni potenziali della città, a è il tasso di accelerazione dei processi innovativi nelle istituzioni e nelle organizzazioni della città ( progetti nuovi) e m è il tasso di inerzia dovuto all’aumento della complessità organizzativa delle funzioni urbane. (argomento già affrontato con altro linguaggio) E’ evidente che per muovere in alto tale valore occorre rendere evidente una “intenzionalità strategica” cioè un volano di riferimento che dia l’idea che vi è uno spazio per accrescere le capacità competitive della città. L’ente locale è diventato soggetto non centrale del processo di pianificazione, soprattutto formale. Rispetto al tema dell’intenzionalità strategica esso appare debole rispetto alla scala dei fabbisogni di finanza di accompagnamento necessaria alla sostenibilità dello sviluppo urbano. (vedi caso Napoli-bagnoli) Ecco apparire con chiarezza che la città non può essere schiacciata sulla municipalità e da questa interpretata ed identificata, ma la stessa Municipalità non è che un nodo di una rete che chiede di diventare network cioè infrastruttura complessa e vitale a supporto dello sviluppo delle attività degli uomini. Si, perché la città è sempre la città degli uomini e delle donne, il luogo mentale e fisico dove le attività di questi possono esprimere tutto il loro potenziale, anche attraverso organizzazioni complesse e riconosciute. Qui non si vuole solo ribadire che la programmazione coordinata delle attività, cioè i metodi della pianificazione hanno tenuto poco conto della dimensione finanziaria ma si vuole tentare di proporre attraverso la visione della finanza di città un salto di scala nel vedere le attività della città possibile. Questo salto non è di natura tecnica come pure l’argomento potrebbe suggerire ma è di natura culturale. Offrendo al tema della finanza il suo spazio si è in grado di misurare i gradi di libertà che si possono guadagnare nel prendere decisioni operative e strategiche andando incontro ad esigenze nuove di sviluppo urbano che chiedono di evidenziare per tempo il rischio di obsolescenza del progetto. Qualche esemplificazione per rendere più chiaro il ragionamento proposto.

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Quando nel 1997, per Salerno, il relazione al Progetto urbano di Bohigas il progetto “Fronte del Mare rivelò le proprie potenzialità, si calcolò che esso poteva mobilitare investimenti strategici per oltre 1000 miliardi di lire e si pensò che la regia potesse rimanere dentro ai meccanismi decisionali locali tradizionali. L’imprenditoria locale doveva ricercare, insieme al Comune, quelle fonti di finanziamento necessarie a supportare il progetto. In realtà, in quella occasione si fece un errore di scala e sottovalutando l’importanza del tempo rispetto al valore di quelle aspettative. Non si capì che l’offerta della Mery Lynch di una direzione strategica a partire dalla finanza dava la possibilità di catalizzare i fabbisogni finanziari della città e davano alla città la possibilità di salire di scala nella visione della città che mette le istituzioni in rete e da alla finanza strategica quel ruolo che gli compete nel processo decisionale oggi mancante. Erano evidenti i rischi, per la politica, per le amministrazioni, per le leadership imprenditoriali locali; nessuno li volle prendere e quell’armistizio pesa oggi perché dopo quasi sedici anni solo piccoli passi sono stati fatti per cambiare scala al processo decisionale ed oggi i centri finanziari sono molto più cauti nell’accompagnare i processi di sviluppo urbano per effetto del calo delle aspettative di sviluppo globale. Vedi mia relazione Inarch, morire di rendita (rendering)2011. Finanza di Città è quindi l’occasione per mettere in discussione le modalità di gestione delle diverse istituzioni della città, non lasciare solo al sindaco il compito di parlare della città desiderata ma rendere esplicito il contenuto innovativo del progetto delle istituzioni e delle organizzazioni della città. A partire dal tema delle aree e dei manufatti nei sistemi urbani è possibile percorrere un sentiero di pianificazione inedito che porti la città complessa e la sua evoluzione al centro delle politiche di Funding inserendo la finanza di progetto dentro processi di integrazione percepibili in modo da moltiplicare le economie di diversità e di scopo accanto a quelle di scala specifica del settore. Se la velocità di crescita del valore della città v dell’equazione richiamata in precedenza aumenta a causa della capacità di eliminare le inerzie ( asimmetrie tra pianificazioni, m nella formula) allora q ed a potranno rivelare le aspettative nascoste e portare valore percepito anche per il lungo periodo. La visione della città deve trasmettere nuove felicità intese come capacità di superare le difficoltà dei processi complessi e gettare luce sui temi seguenti: il valore attribuito alla variabili tempo e spazio devono entrare nei criteri di scelta dei centri di produzione e distribuzione di beni e servizi. Il peso attribuito ai fattori di competitività del paese devono essere riconosciuti e incentivati dalla politica economica delle città Il ruolo dei nuovi soggetti decisori deve essere riconosciuto come soggettività politica concorrente nella visione della città come infrastruttura complessa. In questa visione si proverà a delineare una valutazione della governance strategica di alcuni ambiti specifici che possono essere pensati come aree di rigenerazione urbana a scala di area vastaLa formazione del processo rigenerativo comporta la necessità di elaborare dei criteri di scelta ; il problema va così formulato: dato un ammontare di risorse catturabili in termini di finanziamento ed una serie di progetti proposti o programmati il cui costo totale eccede le risorse disponibili, come sceglieremo i progetti capaci di dare il più grande contributo allo sviluppo sostenibile? Nel nostro caso poi vi è poi anche una scelta che riguarda il differimento di alcuni progetti rispetto ad altri. Ebbene chiarire allora che nel criterio da seguire non è scegliere tra il progetto A invece che il Progetto B ma di scegliere una sequenza AB invece che BA. 20


Qual’è il fondamento logico di una tale scelta? Se noi supponiamo che il nostro scopo è di realizzare entrambi i progetti A e B è evidente che il criterio di scelta dipende interamente dal confronto tra la pressione che l’esistenza di A esercita per la messa in opera di B, comparata con la corrispondente pressione che B eserciterebbe a favore di A. In altre parole se i miei progetti fossero Più scuole o Più Centri di innovazione il criterio di sequenza dipende da come la sequenza appaia più credibile e coerente con i criteri di Rete di funzioni ed attrezzature e quelli delle opportunità . In questo senso la visione strategica lungi dal tenere dentro criteri di esclusione tende ad utilizzare criteri per selezionare la sequenza di progetti possibili ben sapendo che la storia dei processi in campo potrebbe ribaltare la successione ma nella speranza che l’approccio strategico allo sviluppo continui ad essere presente nella futura governance del territorio. La letteratura scientifica ha battezzato questo criterio strategico come “modello del disordine ottimo” esso considera lo sviluppo come la riunione dei pezzi di un mosaico ad incastro. L’aggiustamento dei singoli pezzi rappresenterebbe delle tappe distinte dello sviluppo. Noi, se avremo approvato il processo , avremo acquistato la possibilità di comporre il mosaico. Il problema consisterà nel minimizzare il tempo necessario a completare il mosaico, prima che il mosaico non serva allo scopo. Sappiamo allora che la difficoltà di prendere una strada per lo sviluppo ( cioè l’incastro dei singoli pezzi nel mosaico) dipende esclusivamente dal numero di pezzi già a posto ( i progetti già realizzati e quelli programmati). Noi possiamo portare con i contributi avuti dal territorio, ad un passo ancora più vicino alla realtà supponendo che le diverse decisioni variano secondo la difficoltà intrinseca dei pezzi oltre ad essere influenzati dal numero di quelli vicini. In questo caso la formazione del mosaico acquista credibilità aggiuntiva: perché forse è possibile circondare con pezzi vicini quei pezzi che sono intrinsecamente più difficili da realizzare ( fuori misura e fuori tetto) economizzando così notevolmente sugli sforzi da fare per rendere strategicamente accessibili le risorse necessarie a completare il mosaico. In definitiva, si è voluto comunicare che nel formulare le ipotesi d’ambito le esemplificazioni proposte sono servite a definire una “ sequenza efficace” con la pretesa di aver tentato l’analisi di altre sequenze poco efficaci ( es . sequenza dei progetti cantierabili, sequenza dei progetti raccomandati, sequenza dei progetti belli). Rendere un po’ più tangibile il concetto di sequenza efficacia adottato serve ad incoraggiare i decisori politici ed istituzionali a fare un passo avanti con la modestia giusta. I 217 articoli del nuovo codice dell’appalto, appena approvato, vanno in questa direzione, il nuovo progetto di fattibilità apre la chiave per far vivere il concetto di finanza di città, perché amplia la scala del coordinamento strategico, dovendo dare all’analisi costi e benefici una validità contabile per il paese e per l’Europa.

La città complessa e la rete ecologica, anch’essa organizzazione complessa, ma di scala superiore. Sviluppo sostenibile e sviluppo ad ecologia profonda sono terminologie oramai acquisite ed implicano una nuova arte nel pensare e fare pianificazione. 21


Un’arte che contenga una consapevolezza ed una voglia di condividere con altre discipline diverse da prima , un’arte che usi modelli di apprendimento capaci di riconoscere i processi di obsolescenza connessi all’uso delle informazioni e che sia capace di apprendere ad apprendere. Per parlare di Green Economy o di nuova economia della Terra , rete ecolgica e servizi, avremmo bisogno di una nuova rivoluzione culturale, la Terra nuovamente al centro dell’indagine scientifica e l’economia come parte dell’ambiente. Un nuovo comportamento operativo in grado di riconoscere il potenziale evolutivo della Natura ed aprire scenari di potenziali scelte connesse a questa comprensione deve emergere, perché dobbiamo essere capaci di disegnare potenziali di efficacia e di efficienza nell’uso delle risorse della Terra. ( vedi i temi introdotti da Papa Francesco) Le teorie economiche hanno abbandonato i riferimento teorici dei prezzi ombra e/o prezzi opportunità ed hanno fatto convergenza sugli indicatori rivelati dal mercato come gli unici capaci di indirizzare l’uso delle risorse. Ci si dimentica di un passaggio culturale chiave : we are the landscape, o ancora più difficile da comprendere : noi siamo il nostro paesaggio. L’economia dell’autodistruzione cammina con passi veloci e gli ecologisti non sanno più parlare con le altre discipline, non sanno trasmettere l’idea che il cosa produrre ha la stessa dignità del come produrre e che il perché produrre appartiene ad una scala di valori diversi. Non si tratta allora di convincere gli economisti che devono rivedere i loro modelli di formazione di prezzi, né di condividere con loro le regole della concorrenza ma si tratta di formare una nuova consapevolezza sui temi del fare economia e del fare ecologia. Le lezioni dal passato servono per capire se l’attuale accelerazione della storia possa essere di aiuto o di supporto all’uso del progresso tecnologico, bisogna evitare uno spiazzamento ulteriore nell’uso delle risorse primarie. Oggi sembra che tutto quello che consente di risparmiare energia specie se legato alle risorse rinnovabile sia la nuova economia, la green economy è vista in questa ottica: ristrutturazione dell’uso delle risorse o il declino. I conti da fare sono più complessi e le risposte non sono univoche Il costo dell’energia eolica non è ancora confrontabile con quello delle centrali a carbone di ultima generazione. Vi sono una serie di incertezze relative al trasporto dell’elettricità, alla costruzione delle centrali, delle implicazioni sul clima, etc.., allora qual è la decisone razionale, quella che non sottovaluta il costo della produzione delle centrali a carbone? Una nuova consapevolezza deve essere costruita e non basta implementare il linguaggio condiviso tra economisti ed ecologisti. I segnali di stress relativi alle emergenza acqua segnalano che i valori da chiamare in campo sono molto più complessi ed il tema dell’uso delle risorse ha bisogno di comportamenti completamente nuovi. L’aumento della temperatura, lo scioglimento dei ghiacciai, la risalita del livello del mare, il prosciugarsi di fiumi, le turbative sulle falde acquifere, le emergenze legate alla scarsità delle acque, lo stress sulla base biologia come il declino delle risorse ittiche, il cambiamento del ruolo delle foreste,il degrado delle aree di pascolo, la 22


perdita di biodiversità potenziale, etc segnalano la necessità di un ripensamento forte e multidisciplinare sui temi della nuova economia della terra. Non bastano più le parole foresta, ruralità ed agricoltura occorre arricchire il vocabolario degli usi potenziali della terra per arrivare ad una definizione di green economia in grado di farci fare un salto qualitativo nell’approccio allo sviluppo, integrando il concetto di produzione e quello di servizi in maniera diversa. Dare priorità ai servizi ecosistemici delle diverse componenti che concorrono ad usare la terra (Foreste, aree rurali, bacini idrografici, aree vaste urbanizzate, etc) significa adottare una scala di valori o prezzi ombra che rendono gerarchica la scala di uso del suolo fino a dare regole di uso completamente diverse dal costo, questo deve tener conto della resilienza vitale dei sistemi ecologici . Prevedere una manutenzione di questa vitalità serve a garantire soglie di infrastrutturazione del territorio compatibili con la funzionalità delle reti ecologiche potenziali. Una risaia estesa apparentemente fuori mercato può essere vitale per la manutenzione delle falde acquifere dei comuni circostanti e garantire livelli di irrigazione adeguati alla qualità delle produzioni. Solo una visione integrata sulla funzionalità dei servizi ecologici relativi a regioni ecologiche potrà garantire un’efficacia decisionale di area vasta presupposto importante per la fornitura dei servizi di vivibilità delle imprese e delle famiglia. Green economy senza questa visione ampia della misurazione dei servizi ecologici di area vasta non può essere definita nuova economia della terra e questa ha bisogno di stare dentro alla cultura ecologica profonda, interdisciplinare ed intertemporale. Ecco allora la necessità di una nuova matrice delle decisioni, non più settoriale, ne di integrazione di pochi settori ma una visione di paesaggio legato alla ricerca scientifica e alla consapevolezza del valore dell’invisibile. E’ necessario ipotizzare la possibilità di ingegnerizzare una sorta di secondo cervello del territorio che possiamo chiamare città del quarto paesaggio, cioè una infrastruttura complessa in grado di indirizzare l’uso delle risorse, quelle endogene e quelle in entrata fino ad immaginare la risalita verso un quarto paesaggio cioè di un paesaggio resiliente ed in grado di rispettare il potenziale della natura e delle reti ecologiche a cui esso è connesso. Un piano strategico della conservazione del potenziale di biodiversità in Italia è un piano che sviluppa la Green Economy dentro un quadro di larga collaborazione tra regioni ed enti locali, che individua regole nuove per l’utilizzo degli ecoservizi legati alla funzionalità strutturale delle regioni ecologiche, che utilizza le informazioni qualitative e quantitative sulla biodiversità delle specie, delle comunità e dei paesaggi. Quale bussola nella città complessa aperta ed incompleta? Ecco che la green economy estende il suo significato e si rende protagonista della caratterizzazione delle diverse regioni ecologiche assegnando alle diverse aree una qualità specifica in termine di resilienza potenziale, dove il termine resiliente ha anche un significato relativi al valore storico e culturale della regione. Biologi, ecologi, architetti e paesaggisti, agronomi ed economisti, forestali e studiosi di discipline umanistiche devono cambiare modello di apprendimento, abbandonare la visione strettamente evoluzionista ed immaginare di saper guardare oltre la siepe. Il paesaggio non è una cartolina, tutti possiamo essere attori basta saper riconoscere le storie della Natura e degli uomini dentro una nuova visione dell’economia, non più motore principale del progresso tecnico ma motore concorrente con la macchina ecologica complessa che per comodità riferiamo alla sola regione ecologia.

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La green economy deve coniugare ogni giorno il paradigma semplicità e complessità, deve avere la visione lunga ; proteggere l’ambiente , sviluppare la governace e progettare devono appartenere alla stessa dimensione culturale come è già previsto dalla Convenzione Europea sul Paesaggio. Parlare allora di economia e di ecologia della città significa ricomporre i temi del fare green economy dentro un nuovo mosaico dove la frammentazione del paesaggio viene vista come pericolo mortale per le specie e per l’uomo. Ipotizzare una gerarchia dei servizi ecologici significa avere una griglia di valutazione per le attività della terra, significa dare alla green economy un ruolo primario, fondativo della nuova città complessa Tornare al protomosaico riconoscendo il colore naturale delle pietre significa gettare le basi scientifiche per la nuova economia della terra: Il nuovo mosaico artificiale ed esteticamente bello deve avere la consapevolezza di essere compatibile con i valori dell’ecologia profonda.

Bussola e valori per una politica economica per la città metropolitana e l’altra città Il grande scrittore francese Albert Camus intervenne ad Atene parlando di antiche ferite e nuove speranze. Il suo intervento è ancora oggi di una contemporaneità straordinaria. Le proposizioni significative del suo intervento introducono i presupposti per una politica economica europea per le città, e prefigurano un’Europa come insieme di città plurali. Ancora oggi la domanda a cui Camus non volle rispondere è attualissima: quali sono gli elementi che costituiscono la civiltà europea? Nella domanda di Camus c’è la stessa tensione utopica di Massimo Pica quando parla di ricivilizzare l’urbano, egli richiama i presupposti teorici della nascita delle città e ricorda che la finalità rimane quella di contribuire a migliorare la condizione umana, come desiderio di nuova urbanità (la civiltà plurale di Camus), che sarà presente sia nelle città metropolitane che negli altri territori, siano essi urbanizzati che non. Oggi diremmo: quali città coltivano ancora le virtù civiche europee come vantaggio competitivo dell’area vasta, a partire da quelle legate ai temi ambientali ? Nel processo di urbanizzazione diffuso anche nel caso di interventi complessi si afferma ,invece, la cultura della separazione cioè un agire che ignora o finge di ignorare che qualsiasi trasformazione incide sull’ambiente in senso lato strutturando il territorio in senso opposto a quello biologico, rompendo il nesso Architettura-Infrastruttura- paesaggio- ambiente – appartenenza – territorio. In Europa ancora non sono stati sciolti i nodi sull’importanza della moneta unica perché ancora non sono stati sciolti i nodi della necessaria perdita delle sovranità statali. La nuova identità plurale tarda a manifestarsi come identità strutturata e strutturante. Per Camus le difficoltà risiedevano nel non saper riconoscere e vivere la civiltà europea come civiltà pluralistica, che è anche un’opzione di libertà irrinunciabile. Il concetto di Area Vasta è un concetto che rivisita il concetto di confine a partire da quello amministrativo e fa riferimento al concetto di città o densità territoriali (che chiameremo ancora città) che hanno bisogno definirsi dentro uno spazio allargato multi scalare. Uno spazio di rottura degli attuali confini culturali e disciplinari che ci fa entrare con una nuova soggettività territoriale nell’ambito della cosiddetta seconda 24


globalizzazione (territori resilienti con vantaggi competitivi localizzati, sia in termini di potenziale creativo, che di autonomia strategica) La nuova visione della città delle reti e delle infrastrutture cambia la dimensione della città e rende difficile o improbabile riconoscere elementi di riferimento dell’appartenenza alla nuova aggregazione geografica . Il concetto di “Smart city” sembra la nuova panacea ma se esso come concetto appare mitigare o aiutare il desiderio di riterritorializzare l’urbano, esso non ha cognitività sufficiente per re- immettere il concetto di città, di civiltà, di urbanità, e voglia di futuro nella nuova soggettività urbana ad antropologia plurale nell’area vasta. Il concetto di area vasta implica, quindi, una capacità multi scalare della governace territoriale, delle imprese e delle organizzazioni, che superi l’attuale regolamentazione del costruire spazi urbani e tessuti territoriali perché le attuali patologie urbane, così intrecciate e complesse, impongono mutazioni sostanziali e la somma di edifici o spazi sostenibili non produce sostenibilità sociale e quella ambientale ha scala diversa che ha poco a che fare con gli ingrediendi (edifici e piazze) mentre ha molto a che fare con la sostanza (ecologia del paesaggio). Non si vuole affermare che una rete di luoghi a condensazione sociale intelligente (Smart City) non agisca sul costruito come luoghi laboratori di apprendimento per dare senso all’urbano e generare spazi in rete di nuova urbanità, ma occorre poi fare riferimento alla scala di competitività territoriale a cui questi processi devono appartenere: aree metropolitane o altra città. Per l’Italia perfino Milano, Roma e Torino, le prime città d’Italia, perdono peso e posizioni, e solo Milano ha residenti equivalenti ( cioè residenti temporanei legati alle attrazioni creative della città, università, stage, lavori temporanei, apprendimenti temporanei, etc) che non sono trascurabili. In definitiva il centro di gravità si risposta, quasi a volere tornare anche nei luoghi che fino al 1500 erano stati protagonisti: verso l’Asia con la variante di altri paesi emergenti (BRIC e nuovi paesi). Ed allora cosa devono fare le città metropolitane, le aree vaste e le città intermedie del territorio italiano in questo nuovo scenario nazionale ed internazionale? Le città organizzate nella rete delle città strategiche, le città metropolitane e le città dei territori complementari sono chiamate ad un salto di scala nella gestione e nella ideazione di nuovi piani integrati urbani e non urbani. I fondi europei chiamano ancora una volta tutte le città e la loro capacità di rappresentare l’Italia a guardare dentro alla metamorfosi necessaria e la nuova programmazione dei fondi pensa alle città come motore di sviluppo e di cambiamento per interpretare il salto di scala necessario ai temi della sostenibilità, della innovazione e della inclusione sociale ed economica dei territori altro. Ecco il perché non è possibile parlare di città senza parlare di altra città cioè dei territori che appartengono al paesaggio della città come identità irrinunciabile a cui far riferimento anche perché da questi territori dipende la dotazione dei servizi ecologici della città (vedi acqua, rischi ambientali etc). Devono pertanto essere messi in discussione le vecchie terminologie parziali( città e periferie, città e campagna, parchi urbani, aree interne, etc) e tentare un ricucitura esarciture delle frammentazioni urbane e non urbane in termini di paesaggi resilienti e/o a sostenibilità profonda, misurando la qualità dell’abitare e del produrre in termini di nuova urbanità civica , plurale e dell’ambiente, 25


Camus aveva ragione, non sappiamo chi è lo straniero, ancora oggi che su molte bare di Lampedusa e Lesbo c’è solo un numero. La lezione di Camus è chiara: probabilmente solo la nascita di cento città metropolitane o reti di città inclusive potranno affrontare il tema della inclusione a scala adeguata. Prima o poi saremo in grado di azzerare l’inquinamento nell’urbano ma rimarrà forte il tema dell’abbandono della città compatta e della dispersione dell’urbanità: non si potrà non avere un riferimento di area vasta per tessere reti di città a forte condensazione sociale. Tornando, pertanto, ai temi i politica economica per la città e l’altra città non appare efficace né efficiente la divisione dei temi e delle competenze relativi al piano città (PON per le aree metropolitane e Por per le città medie e le aree interne) fuggendo dalla prospettiva di poter definire le problematiche dei piani integrati urbani all’interno di una visione strategica di area vasta dove il tema del paesaggio resiliente (territorio valutato in termini di potenziale) orienti le decisioni strategiche. Per Walter Santagata, amico e studioso dell’università di Torino, scomparso pochi anni fa, paesaggio, città e sviluppo stavano dentro gli stessi paradigmi da coniugare. L’industria creativa del terziario manifatturiero attinge a patrimoni culturali di area vasta, la visione strategica delle città metropolitane e di Roma in particolare, che interpreta la metamorfosi necessaria, non potrà fare a meno dell’altra città quella della conoscenza e della ricerca nascosta nelle tradizione e nella cultura territoriale del potenziale da portare nel contemporaneo ( vedi solo il tema del Wine design del territorio di riferimento e dei primati di export registrati, Vinitaly 2016). Seguendo Santagata e perché no Camus, la cultura e la ricerca devono migliorare la qualità della vita dando un nuovo imprinting al paesaggio italiano della città urbanizzata e dell’altra città, anch’essa densa di nuova urbanità. Purtroppo però siamo ancora pieni di progetti e non di processi avviati, c’è un deficit di formazione in termini di cultura di città e di cultura dell’ altra città (le aree interne sono viste ancore come aree residuali nonostante che le montagne e le colline siano a vista d’occhio ed hanno nomi diversi) Deve nascere una nuova cultura di città generativa e rigenerativa, una nuova antropologia del tessuto connettivo di riferimento deve essere individuata per poggiare su nuove comunità a forte rappresentanza la responsabilità di produrre fiducia e cooperazione, rete e network, realizzare piani di vita pieni di nuova urbanità e di innovazione sociale ed economica.. La cultura, la ricerca e le competenze chiudono il cerchio e sono il feedback che torna alla comunità che l’ha generata per la revisione delle aspettative. L’accordo di partenariato per i fondi 2014-2020 devono contenere parole nuove, in Italia non è ancora apparsa la massa critica sufficiente. La città del terzo paesaggio dov’è?, e J. Clement è ancora uno sconosciuto a livello di pianificazione dei parchi urbani, e la mia città del quarto paesaggio appare solo come utopia inesistente. Per Camus “ la sovranità degli stati ha messo i bastoni tra le ruote della storia, c’è bisogno di nuova aria per nuovi respiri”, per costruire valori non isolati: abbiamo bisogno di un arcipelago di città europee che sappiano stare con le loro virtù civiche nell’oceano della seconda globalizzazione,arcipelago, non più Leviatano finanziario, ma struttura e infrastruttura di transizione della seconda globalizzazione verso la città inclusiva , capace di mischiare ingredienti per nuovi ritornelli ed nuove armonie, visive e funzionali , resilienti e a sostenibilità profonda, intelligenti e cognitivi. 26


Una politica per le infrastrutture e la mobilità è una delle componenti di una politica economica per le città e questa a sua volta è una componente irrinunciabile di una politica economica, sociale e finanziaria dell’Europa che vuole diventare continente che conta. La politica per la mobilità, punto di forza del piano città, deve detenere una costante culturale nel comportamento dei tecnici e dei ricercatori che in maniera diretta o indiretta si occupano del possibile ruolo delle città metropolitane. Le città e i territori connessi (altra città) come laboratorio culturale possono svolgere ancora un ruolo, ed invertire questa tendenza politica e culturale; in particolare la rete delle città europee può consolidare l’idea di una necessaria istituzione sovranazionale unitaria, politica, economica e sociale, capace di sviluppare politiche condivise. Guardare contemporaneamente al ruolo della città e dell’Altra città ( vedi anche l’approccio della Germania in termini di uso del suolo) è una metodologia capace di fare prevenzione rispetto ai fenomeni di asimmetria tra le virtù civiche delle città ed i diritti universali. Una politica per la città e l’altra città diventa poi anche metodologia di riferimento per affrontare in maniera innovativa il tema delle intese per le macro aree europee e/o regioni europee. Seguendo Camus e Guido Rossi, dobbiamo lottare per non abituarci al peggio di ogni ipotesi di sviluppo perché questa volta potrebbe essere un fatto peggiore volutamente globalizzato (il sole24ore 11/11/2012) Nelle città metropolitane dell’Europa, invece, la visione di una civiltà pluralistica potrebbe non essere un sogno. In Europa, soprattutto in Germania ed in Italia, il motore del capitalismo manifatturiero, terziario e delle funzioni delle città è in rapido mutamento. Le modalità di produzione del valore del territorio devono essere aggiornate producendo innovazioni istituzionali ed innovazioni nel fare intrapresa, per produrre beni di mercato, beni pubblici e beni relazionali di merito. Le grandi reti e le direttrici Est-Ovest e quelle Nord Sud cercano di riconnettere tutte le occasioni di resilienza attive, senza trascurare il potenziale delle aree non urbanizzate fino a considerare i territori di grande pregio ambientali a forte resilienza sociale ( le città del quarto paesaggio di P.Persico). Apprendere ad apprendere è il nuovo modello per far crescere il potenziale, sapendo che nella globalizzazione l’innovazione spesso è già obsoleta e l’orizzontalità dei processi di aggregazione deve essere riconosciuta come nuovo processo di governance indispensabile, mentre la spending review deve essere occasione e non bastone tra le ruote della nuova velocità dei processi. Per passare dalla pianificazione strategica per progetti (prima tornata dei piani strategici da spazzare via) a quella generativa e rigenerativa di processi occorre costruire laboratori membrana cioè laboratori in grado di allargare continuamente i confini dell’approccio inclusivo per dare densità al processo-progetto per non rischiare l’obsolescenza (fuori mercato e fuori contesto sociale ) del manufatto o del soft urbano realizzato. L’apertura dei laboratori membrana nella aree metropolitane devono coltivare l’ambizione di eliminare pareti tra le istituzioni di governance territoriale, e tra queste e le imprese e le associazione di interessi, fino a proporsi come portatori di cuciture e ricuciture dei territori frammentati; questi chiedono di risalire nella scala della produzione di valore territoriale per ribadire che accanto al valore economico del territorio vi sono anche altri valori. Devo morire per far nascere mia madre , deve essere il nuovo slogan delle organizzazioni che vivono nella città metropolitana.

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La green economy e la blu economy non sono ancora al centro dei fenomeni di metamorfosi del sistema, e forse nemmeno nelle aree verdi e nei parchi marini, mentre le politiche europee, anche quelle industriali, premono per nuove connessioni vitali, per fare diventare le aree urbane resilienti anche sul piano della sostenibilità ambientale profonda. Cavour, voleva adeguare gli standard di paese a forte disparità territoriale ed a forte disuguaglianza sociale, altrimenti sarebbe stato un gap culturale e funzionale che avrebbe ritardato la nascita di una paese industriale competitivo ed europeo ( allora Francia e Inghilterra come riferimento). Per finanziare il piano di adeguamento delle infrastrutture, a partire dall’istruzione, voleva far pagare le stesse tasse che si pagavano in Piemonte e Lombardia ai detentori di rendite finanziarie ed agrarie bene rappresentati nel parlamento allora ed purtroppo ancora oggi pieno di rentier a forte ritardo culturale e civico. Cavour morì e non se ne fece nulla ; l’Italia ancora rincorre quel piano di adeguamento degli standard competitivi e l’Europa (Patrizio Bianchi già rettore di Ferrara e attuale assessore regionale alla formazione , parla di education gap), ma nel frattempo ha accumulato altri ritardi rispetto a quelli europei e delle altre nazioni competitive, la discesa come potenza industriale è solo un indicatore. Investire nei territori resilienti a cui fa riferimento Bonomi ( il capitalismo in-finito, ed Einaudi) con l’approccio dei laboratori membrana della città del quarto paesaggio (P. Persico la Città del quarto paesaggio mimeo via google) non è solo l’utopia possibile, ma è anche una politica per la città e l’altra città, è soprattutto la speranza dell’improbabile a cui occorre lavorare. Conclusioni In un sistema complesso come le città metropolitane e le aree vaste di riferimento occorre seguire una stella polare, che è sempre costellazione di stelle. La speranza di armonizzare i singoli temi deve tenere la tensione che eviti incoerenze, asimmetrie e diseconomie. La rivoluzione scientifica del seicento portò Galileo a scrivere il libro della natura con un linguaggio complesso, la matematica, e se pensiamo alla complessità la stessa matematica ci aiuta a ragionare con semplicità, come è già stato mostrato. Per la matematica che studia i sistemi complessi , da Wikipedia si apprende, che “un sistema è complesso quando le singole parti sono interessate da interazioni locali, spesso di breve raggio d’azione ( non parleremmo di progetti di rigenerazione) che possono provocare cambiamenti della struttura complessiva. La scienza può rilevare le modifiche locali, ma non può prevedere uno stato futuro del sistema complesso, considerato nella sua interezza.” Allora ciò indica che le entità autonome che interagiscono fra loro, in modo spesso casuale , e così dimensioni piccole e grandi provocano entropia crescente: il clima , l’assetto urbanistico, le aree industriali, il patrimonio artistico, le caratteristiche antropologiche delle popolazioni, il sistema dei trasporti, gli edifici scolastici, il rendimento della o delle squadre di calcio etc… sono entità che si muovono provocando ordine o disordine. La dissoluzione della città non è improbabile ma deve vivere la probabilità di dare una nuova densità di senso alla città che verrà. Presa coscienza di operare in un sistema complesso la tentazione di non fare niente è forte e la politica del disordine ha i suoi rendimenti. La stella polare può poggiarsi sulla storia e trovare alcune invarianti che parlano del passaggio delle popolazioni , o fare riferimento ad una complessità ancora più rilevante , la rete ecologica dell’area vasta fino al tema dei cambiamenti climatici.

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Ma da più parti, vedi anche il papa e il non perdere la speranza, si cercano scrigni di pensieri rivolti al futuro, c’è un invito a guardare alla soggettività degli individui, i popoli nella loro composizione non ideologica nuovamente nella centralità del progetto di sarcitura dei tessuti della nuova città plurale. Camus ed i diritti umani, Giordano Bruno r i sui ragionamenti sulla democrazia. Nella lacerata Europa del secolo XVI, lo stesso di Galileo, insieme a Giordano Bruno osarono pensare a l’idea cosmologica . Emerse il principio etico che fonda la modernità politica ossia la democrazia dell’ordine civile, che oggi potremmo auspicare presente quantomeno nelle città. “ Ogni individuo umano , in quanto centro, soggettività, punto di vista, tra infiniti altri, si trova impegnato dalla situazione esistenziale a mettersi in relazione con gli altri, per progettare la comune umanità “ L’ordine nella città è civile, nessun sindaco è un capo, e l’ordine è civile quando è garantito dall’impersonalità delle leggi e queste sono decise con procedure democratiche e conforme al riconoscimento dei diritti umani, senza trascurare il diritto all’ambiente.

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