11 minute read

L OLTRECONFINE Federica Mancini Giorgio Vasari: un collezionista al Louvre || 96 L ARTE E PAESAGGIO Claudia Zanfi Land Art sul Delta del Po | IL MUSEO NASCOSTO Lorenzo Madaro Museo Artias (Faenza)

Giorgio Vasari: un collezionista al Louvre

Federica Mancini

Advertisement

Sarebbero bastati solo i fogli esposti nella prima sezione della mostra Giorgio Vasari, Le Livre des dessins: destinées d’une collection mythique, al Museo del Louvre, per restare incantati da tanta qualità grafica e dare un’idea del gusto raffinato di Giorgio Vasari (Arezzo, 1511 – Firenze, 1574), pittore, architetto e storiografo presso la corte dei Medici. L’intenzione di Vasari nel collezionare opere quali il delicato Ritratto di donna di Andrea del Verrocchio del Louvre o la gustosa scena con la ragazzetta che ride del bambino morso da un gambero di Sofonisba Anguissola, da Capodimonte, fu di illustrare l’attività dei grandi maestri di cui egli stesso aveva scritto nelle sue Vite.

Lo scopo fu anche di garantirsi la posterità. Prima di incollare gli esemplari grafici all’interno del suo Libro dei disegni, venendo a comporre forse la prima collezione del mondo moderno, li dispose su un carta più spessa, tecnicamente detto “montaggio”, che decorò con guizzanti figure allegoriche tracciate a penna e inchiostro, a mo’ di incorniciatura disegnata, come nello strepitoso Ritratto di vecchio con gli occhi chiusi di Ghirlandaio del National Museum di Stoccolma.

I MISTERI DEL LIBRO DEI DISEGNI

Anche se dopo la morte di Vasari il volume passò intatto nelle mani del granduca

fino al 18 luglio 2022 GIORGIO VASARI, LE LIVRE DES DESSINS: DESTINÉES D’UNE COLLECTION MYTHIQUE

a cura di Louis Frank e Carina Fryklund Catalogo Musée du Louvre éditions / Lienart MUSEE DU LOUVRE Rue de Rivoli – Parigi louvre.fr

in alto: Sofonisba Anguissola, Fanciullo morso da un gambero, 1554 ca. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Gabinetto Disegni e Stampe. Photo © Scala, Firenze, Dist. RMN-Grand Palais

a destra: Domenico Ghirlandaio, Testa di vecchio con gli occhi chiusi, 1490 ca. Photo © Nationalmuseum Stoccolma | Cecilia Heisser

L’IDENTIKIT DI GIORGIO VASARI

Delle arti in cui Giorgio Vasari s’impegnò quella che meno si presta a dar conto delle sue virtù è la pittura. Fu certamente prolifico come pittore. Ebbe incarichi ragguardevoli e un séguito nutrito di collaboratori e seguaci. Ma a fargli sovente difetto fu la vena poetica; che invece s’avverte (e vibrante) nell’architettura degli Uffizi. Fabbrica che s’allunga fra terra e cielo. Edificio solido eppure leggero; e financo trasparente, per via d’una sequenza serrata di pieni e di vuoti, di luci e d’ombre. Un’architettura nata con scopi diversi da quelli cui nel tempo s’è poi prestata; sempre però riuscendo a risultare funzionale, in forza d’un progetto che oggi si direbbe flessibile. I requisiti che Vasari concreta negli Uffizi sono gli stessi da lui esaltati negli edifici degli architetti del Quattrocento ch’erano nelle sue grazie. “Bellezza, comodità et ornamento” sono i pregi che Vasari attribuiva a due grandi del secolo precedente, Brunelleschi e Michelozzo: architetti d’ideologie e culture differenti, ma entrambi votati a promuovere la comodità e la funzionalità nelle loro creazioni. Chi – nella stagione di Vasari – fosse sbucato nella rossa Piazza dei Signori dai vicoli che venivano dal Duomo si sarebbe trovato al cospetto dei tre monumentali fornici della Loggia della Signoria e avrebbe con lo sguardo costeggiato sulla sinistra il palazzo massiccio del governo cittadino; esso pure sortito da un restauro condotto dallo stesso Vasari. Tutto evocava la più nobile tradizione fiorentina, possente e austera. Ma subito l’occhio era forzato a incunearsi nel canale elegante che s’apriva a sinistra della Loggia, spingendosi fin sull’Arno, in quel seguitare di colonne messe a reggere la fabbrica nuova che Vasari s’era inventato. E il cuore ne trasaliva.

È il medesimo trasalimento che son capaci di cagionare molte pagine delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori, pubblicate da Giorgio nel 1550 e poi (in veste ampliata) nel 1568. Innumeri sono le memorie d’assoluto valore storico che le Vite serbano di tanti artisti, a partire dal Medioevo. Ma è nel racconto veridico e dettagliato di biografie d’artefici del Cinquecento, segnatamente toscani e fiorentini, ch’è dato godere d’una scrittura toccata da una forte partecipazione emotiva. D’altronde la commozione, il turbamento degli affetti e il pathos d’ascendenza ellenistica sono i caratteri peculiari della “maniera moderna” che Vasari decanta nel vivido Proemio alla terza parte delle Vite.

Antonio Natali

1550

Pubblica la prima edizione delle Vite

1550-52

Elabora il progetto per Villa Giulia a Roma

LE IMPRESE DI VASARI 1570

Progetta il Palazzo delle Logge ad Arezzo 1563

È tra i fondatori dell’Accademia delle Arti del disegno a Firenze

1560

Dà il via alla fabbrica degli Uffizi

1568

Pubblica la seconda edizione delle Vite

Francesco I de’ Medici, se ne persero quasi subito le tracce. Nacque così il mito della sua collezione, che appassionati e studiosi di grafica hanno tentato di ricomporre. Nel 1730 Pierre-Jean Mariette, grandissimo collezionista di disegni, considerò vari fogli con montaggi a motivi ornamentali come certamente provenienti dal Libro, a cui ne furono aggiunti altri, per osmosi, con inquadramenti simili ma più architettonici. Dall’idea di un solo libro si passò a quella di vari album. L’arcano fu svelato negli Anni Cinquanta del secolo scorso quando, forti di un sapere vastissimo e un occhio accorto, Arthur Popham e Philip Pouncey dimostrarono che il foglio con la Caduta di Icaro di Giulio Romano, conservato al Louvre (ma esposto solo nella successiva tappa della mostra, a Stoccolma), citato da Vasari come suo, era poi passato nella collezione di Niccolò Gaddi.

La presenza sul montaggio dell’emblema di famiglia, il falcone, e il motto “tant que je vivrai” furono elementi importanti per capire che molte delle incorniciature associate al Libro dei disegni erano state fabbricate ex novo sotto Gaddi.

Vasari icona pop: chissà se messer Giorgio avrebbe apprezzato la definizione. Da devoto cristiano quale era, sì; come cantore dell’epopea dell’arte italiana, che dall’astratta rigidità delle icone bizantine si è avventurata verso altri lidi, meno. In ogni caso, non si può negare il fatto che l’artista e biografo aretino abbia nel mondo contemporaneo una discreta, e per molti versi sorprendente, visibilità. Non tanto il Vasari pittore e architetto (anche se i suoi Uffizi continuano a destare ammirazione), quanto l’autore delle Vite: cui si dedicano articoli, volumi, mostre; che nei percorsi espositivi è di continuo evocato come fonte o come auctoritas; che sui social, nelle pagine e nei profili in cui si parla di arte e di storia dell’arte, viene spesso tirato in ballo. A volte lo si prende un po’ in giro: molti lo dileggiano per il suo fiorentinocentrismo, prolungando in forme più lievi la polemica che già fu dei Mancini, dei Boschini, dei Malvasia. Altre volte è la sua immagine di uomo serioso, orgoglioso e barbuto, quale ce la trasmette l’autoritratto degli Uffizi, a essere stravolta in mille guise, all’insegna di un sentimento misto di sberleffo e affetto. La centralità di Vasari nella storia dell’arte italiana spiega questo successo, e la frequenza con cui il suo nome ricorre nei programmi di esame e dunque il suo essere spauracchio di generazioni di studenti. Ma forse c’entra anche la vorticosa trasformazione delle discipline umanistiche e in particolare della storia dell’arte negli ultimi anni: un universo in cui l’arte italiana non occupa più la centralità di un tempo, e in cui si moltiplicano gli approcci più lontani dai modelli di indagine tradizionali. Vasari assurge in questo senso a simbolo di un certo modo di fare storia dell’arte, in cui il Rinascimento ritrova la sua posizione privilegiata e soprattutto in cui la ricerca si basa, più che su fantasiose congetture, su una solida conoscenza delle fonti e dei contesti. Certo, le Vite non sono una lettura facile, né rapida: ma riservano grandi soddisfazioni, sia come miniera di informazioni che per la piacevolezza di certi passaggi. L’invito pertanto non può essere che uno: leggete Vasari!

UNA QUESTIONE DI CORNICE

Andrew Morrogh ne ha in seguito precisato le tipologie come pure i vari “incorniciatori” e la seconda parte della mostra si snoda proprio attraverso una meravigliosa carrellata di “montaggi Gaddi”, tanto più spassosi quanto ricchi di dettagli ricercati. Per una volta, le incorniciature diventano più opera dell’opera. L’apoteosi, in termini di comprensione visiva dei passaggi da una collezione all’altra, è data dal montaggio del Mascherone di Girolamo Miruoli del Louvre, che in un colpo d’occhio esplicita il suo transito presso Gaddi, Jabach e Mariette. Se la varietà dei soggetti rappresentati e delle tecniche utilizzate (punte metalliche su carte preparate, matite, inchiostro, acquarelli e rialzi di biacca) è una gioia per gli occhi del visitatore, l’opportunità di vedere esposti dei disegni e montaggi appartenuti a Vasari e Gaddi, che tanta parte hanno avuto nella storia del collezionismo successivo, ricorda in maniera originale e accattivante che il prestigio di un disegno consiste certamente nelle sue qualità intrinseche ma anche nella storia di chi lo ha posseduto.

VASARI OGGI

ARTE E PAESAGGIO

I corsi d’acqua rappresentano un elemento di particolare valore del paesaggio. Fonte fertile per l’esistenza dell’intera umanità, componente essenziale per tutti gli esseri viventi, hanno un’importanza che è stata riconosciuta nei miti e nella filosofia fin dalle epoche più antiche. L’acqua è un elemento forte dal punto di vista dell’immagine del paesaggio. Il progetto Waterways, a cura dell’Associazione CRAC Ravenna, con installazioni di Land Art lungo il Delta del Po, è un percorso ciclo-pedonale naturalistico che per la prima volta collega varie frazioni nel Comune di Conselice con il capoluogo.

LAND ART E NATURA La rete dei canali sul Delta è molto frequentata da turisti, amanti delle passeggiate e della mobilità dolce, che apprezzano questi luoghi di bellezza e benessere, dove il visitatore è accompagnato dal suono dell’acqua e cammina con passo leggero. Le vie d’acqua sono spazi senza confini. Attraverso l’inserimento di opere di Land Art, l’intento è di riconnettere l’essere umano con la sua parte più visionaria e nascosta: quella artistica in dialogo con la natura. Tracciare un percorso è talvolta sufficiente a creare un nuovo paesaggio, rivelando e collegando viste, scene, luoghi preesistenti. Questi percorsi offrono inoltre peculiarità botaniche, con specie vegetali tipiche delle zone d’acqua.

GLI ARTISTI DI WATERWAYS Per il progetto Waterways sono stati invitati sette artisti: Federico Bartolini con Matteo Gritti, Rosa Banzi, Antonio Caranti, Antonella De Nisco, Fausto Ferri, Maria Giovanna Morelli e Laura Rambelli, presentati insieme alle performance della Scuola Teatro La Bassa e alla sonorizzazione al sax di Sanzio Guerrini. Il sette è il numero della creazione. Rappresenta anche il perfezionamento della natura umana quando congiunge in sé il ternario divino con il quaternario terrestre. Torna prepotente la natura terrestre. Quella dei cicli, quella che crea l’ambiente adatto alla vita e prepara il territorio all’accoglienza inclusiva, all’abbondanza e alla prosperità. Questo “museo a cielo aperto”, in un territorio di bonifica unico e ricco di storia, dà inizio a un percorso verso una maggiore consapevolezza. È ormai risaputo che l’ambiente naturale ha un effetto positivo e di benessere sugli esseri umani. Il turismo slow necessita di questi paesaggi e di queste iniziative, in cui arte e natura fanno da traino per azioni di rigenerazione.

Claudia Zanfi LAND ART SUL DELTA DEL PO

cracarte.it

Waterways Photo Claudia Zanfi

IL MUSEO NASCOSTO

“Non ho avuto voglia di fare altri mestieri, ho semplicemente avuto i desideri dei giovani. A vent’anni sognavo di diventare aviatore, come tutti. Solo che l’idea della pittura mi ha rapito molto presto. Ma sono partito male, perché le mie ambizioni non corrispondevano per niente alle mie doti! Ero in conflitto con tutti, si pensava che iniziassi a fare un mestiere per il quale non ero qualificato”. È una storia di grandi passioni, di sacrifici intensi e soprattutto di un amore viscerale per la pittura e la ceramica, e di un intenso nomadismo intellettuale ed esistenziale, quella di Philippe Artias, nato a Feurs, in Francia, nel 1912, e morto a novant’anni in Italia. Ma la storia del museo che gli è stato meritoriamente dedicato, immerso nella campagna appena fuori Faenza, è anche frutto di dialoghi a distanza e felici coincidenze, che hanno spinto due architetti, Rita Rava e Claudio Piersanti, a concepire Sacramora, dal nome della via che lo accoglie, agriturismo con vocazione culturale, tanto che oltre al museo c’è una biblioteca di architettura, design e arte a disposizione degli ospiti per un turismo lontano dalla frenesia di altre località vacanziere.

LA STORIA DI PHILIPPE ARTIAS Il museo è nato da un rapporto profondo con la vedova dell’artista, Lydia, che è stata parte integrante del lavoro di ricognizione compiuto dai due architetti nella costruzione del percorso espositivo, in grado di investigare tutti i momenti significativi del lavoro di Artias con un approccio insieme rigoroso e divulgativo. Da un lato c’è il lavoro sulla storia – francese, anzitutto, come rivela il complesso ciclo sulla Rivoluzione e in particolare sulla figura di Robespierre –, e poi, ed è l’aspetto più stimolante, tutto il discorso sul rapporto tra forma e colore, che riguarderà la maturità, a partire dagli Anni Settanta, quando con cromie piatte Artias porterà avanti un itinerario che poi tornerà al figurativo, soprattutto al paesaggio, con ispirazioni italiane.

PITTURA E DISEGNO Nelle sale del complesso museale c’è quindi la possibilità di investigare tutti i momenti chiave della sua riflessione su pittura e disegno, pratica quest’ultima che ha sempre messo in campo con impegno sistematico, mentre alcune pubblicazioni permettono di approfondire la sua intensa biografia – frequentò Picasso nel buen retiro di Vallauris, dove Artias si avvicinò alla ceramica. Da un fare pittorico che si sgancia dall’immagine per muoversi sui territori dell’informale alle sinuose forme anatomiche dipinte con colori fluo, camminando in compagnia di Rita Rava – guida d’eccezione – si entra nel ritmo di un lavoro in cui la pittura è segno tangibile di un sentire.

Lorenzo Madaro FAENZA MUSEO ARTIAS

Via Sacramora 12 sacramora-12.it

Museo Artias, veduta del percorso espositivo. Courtesy Museo Artias, Faenza

This article is from: