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28 luglio 2012 | epistolari | io con-te-sto | due | il bacio sulla bocca


Quinta| periodico digitale di casaliquida numero 1 |maggio 2013|

a cura di

Vivian Celestino Domenico Cogliandro testi di

Renato Nicolini Andrea Monorchio Chiara Sonoro Argo Menudo Raffaele Rigoli Vivian Celestino Ivano Fossati fotografie

Domenico Cogliandro

Quest’opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/it/


Quinta|uno Quinta| si sperimenta facendolo. Lo ribadiamo. Lo scorso numero zero è stato sfogliato, ci risulta, da quasi 400 utenti della rete, diversi lo han letto e altri lo hanno scaricato: bene. Questo numero è un piccolo lavoro sulle relazioni, i contatti, o, come si usa dire, i links. CasaLiquida in questo momento ospita una esposizione al contrario, appunto Links, che verrà inaugurata il giorno della sua chiusura. Fili di lana tesi sulle nostre teste, colorano le stanze e s’incrociano suggerendo intersezioni: vorremmo in quei punti nodali sospendere l’identità relazionale, o solo la traccia di chi passa da un punto e incontra, anche casualmente, un suo altro sé. Un quipu, dunque, di nessi. Su questo numero abbiamo pensato di disporre di rapporti minimi, in base due. Li abbiamo tratti dai nostri archivi, epistolari tra persone che si sono conosciute ma mai incontrate (Chiara Sonoro e Argo Menudo) e tra congiunti, familiari, divisi da un fronte bellico incerto. [Pagine gualcite, ripiegate, paglierine che si posano scandite tra il rosso e il nero di Quinta|] Raffaele Rigoli scrive alla sua famiglia, 15 giorni dopo la caduta di Mussolini, descrivendo lo status quo di un’atmosfera irreale, di problemi alimentari e di trasporti, di contadini che fuggono e di tedeschi “rispettosi ed educati”. I bombardamenti? Tafferugli. Da lì a una settimana grandi città italiane (Roma, Milano, Torino) sarebbero state devastate dagli “alleati” nonostante la nomina a capo del Governo del maresciallo Badoglio. Strane relazioni. Come quelle del connettivo fotografico, scatti da una manifestazione studentesca: luogo di molteplici incontri, spesso senz’arte né prosieguo, da cui pare si possa trarre, nel momento in cui si sviluppano, il senso di un’epoca. Solo immagini o relazioni intrecciate? Non lo sappiamo; ci è chiaro invece come il testo in cui Vivian Celestino riflette sul due, il doppio, la duplicità, la coppia, il riflesso venga da un tempo non sospetto, denso di iniziative, diversi anni prima di diventare mamma di gemelli. Un altro progetto, in corso. O il suo opposto. Un percorso interrotto, in copertina. Un incidente, un luogo non precisato, una dinamica sconosciuta, un fotografo anonimo. I links hanno nella loro negazione il contraltare o la sospensione di uno stato. Renato Nicolini, invece, a cui dedichiamo questo Quinta| è stato uno straordinario “connettore” di persone, culture e idee, e l’ultimo messaggio che lascia su Facebook, che riportiamo col placet della compagna Marilù, pone una domanda a cui vorremmo saper rispondere.


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28 luglio 2012 | Renato Nicolini Turbato dalla cerimonia di inaugurazione di Londra 2012... Regressione, allegri troll, ciminiere e campi, sigari, james bond che sembra un russo, la Regina col paracadute, guardiamo indietro, Jane Rowlings piuttosto di Joyce, Beckett e Pinter... Chi si contenta gode, ma chi può contentarsi di Mr. Bean? E soprattutto, insopportabile il commento di Sky, due logorroici che riducono tutto il mondo a “Chi?” (una copertina di “Chi” è il massimo...), per i quali gli abiti blu Forza Italia sono il massimo dell’eleganza. Quando guariremo e sapremo di nuovo guardare con limpidezza?


Epistolario #01 | Chiara Sonoro | Argo Menudo

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rgo, io non ho un blog o un sito internet personale. Dovrei averne uno ma non ce l’ho. Di gestire la mia presenza online proprio non ho voglia. Ti indirizzo, però, verso

Passport Indie Photos, il gruppo in cui milito da un paio d’anni, qui a New York. Suono con tanti altri artisti e magari un po’ per volta te ne parlerò ma in PIP ho trovato “casa” creativamente parlando e, almeno per ora, va bene così. Se vai su MySpace potrai ascoltare alcune delle canzoni che abbiamo scritto e pubblicato.

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l nostro comune amico, che conosco da 30 anni, al tempo in cui si suonava insieme era studente di architettura. Io che sono di qualche anno più giovane frequentavo il liceo. Lui

mi iniziò involontariamente ad una serie di riflessioni sulla professione dell’architetto, le implicazioni tecniche, estetiche (nel senso di “telos”), la necessità di una preparazione multidisciplinare complessa e articolata che poi si va a misurare con la grettezza del “palazzinarismo” e l’ignoranza untuosa della classe politica tutta.

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nyway, mi feci un’idea della professione dell’architetto, idea che tutt’ora conservo e che mi sembra validata ogni qualvolta ho l’occasione di parlare con un architetto (di

qualsiasi nazionalità) della sua attività, o meglio, della sua inattività. Ogni volta mi trovo di fronte personalità complesse, interessanti, preparate e sensibili, ogni volta rilevo frustrazione o addirittura rabbia e livore.

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l mio primo contatto con l’Architettura o, meglio, con gli studenti di Architettura era stato gioioso e divertente. Avrò avuto 3 o 4 anni (correva l’anno1970 o 1971). Mio padre che

lavorava per la FIAT era stato trasferito a Catania, ma invece di trasferire tutta la famiglia (me e mia madre), faceva avanti e indietro. Spesso però si doveva fermare a dormire per qualche giorno in Sicilia e quando questo avveniva, io e mia madre si andava a dormire da Nonna Olga. In realtà Nonna Olga non era mia nonna ma la matriarca di una grande famiglia la cui casa era ritrovo e punto di ristoro per una numerosa moltitudine di giovani reggini (per la maggior parte universitari). I suoi 5 figli erano amici dei miei e di tanti altri e si contendevano la mia attenzione essendo io l’unica bimba della casa. Di lì a qualche anno tutti ebbero figli ma per alcuni anni io fui l’unica bimba di casa Galafuri ed in quanto tale amata e coccolata oltremodo. Uno dei figli di Nonna Olga, il più giovane, “zio” Erminio, oggi architetto, a quel tempo era studente alla Facoltà di Reggio Calabria.

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n pomeriggio mi portò con lui ad una manifestazione studentesca sul corso Garibaldi. Malgrado fossero gli anni dei moti di Reggio, quella fu una manifestazione pacifica che

attraversò il centro cittadino fino a culminare all’interno della facoltà di Architettura. Per tutto il tragitto io sedetti sulle spalle di zio Erminio mentre tutt’intorno gli studenti, al suono di 4 o 5 chitarre, intonavano canti della rivoluzione cubana.

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uando arrivammo in facoltà mi affidò alle amorevoli coccole di alcune studentesse mentre lui, come tanti altri, parlava ai convenuti (forse 100 persone?) attraverso

un megafono. Mi divertii da matti, l’atmosfera era piacevole e tutti ridevano e cantavano. Ricordo ancora i versi e la melodia di una delle canzoni “...viva Fidel, viva los barbudos, viva los barbudos, viva el ventiseis...” e ricordo lo sguardo che mio padre (non proprio un rivoluzionario di sinistra) rivolse allo zio Erminio quando, mentre giocavo con le bambole, mi sentì canticchiare la canzoncina commemorativa dell’assalto alla caserma Moncada.

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er anni portai un ricordo bellissimo di quell’esperienza, tanto che negli anni dell’adolescenza coltivai persino l’idea di intraprendere gli studi di architettura. Fino a quando...


Epistolario #02 | Chiara Sonoro | Argo Menudo

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ara Chiara, hai, mi pare di capire, una dozzina d’anni meno di me. Sono molti. Non tanti da interporre tra noi due un’intera generazione ma abbastanza per disporre le cose che ci

scriviamo lungo un crinale che guarda, da una parte gli anni ottanta e dall’altra quelli a cavallo tra la fine dei sessanta e la prima metà dei settanta. Parlo delle nostre adolescenze, ovviamente. E di quello che un’adolescenza, sempre, significa. Quell’età che sta tra i quattordici e i diciotto anni per te si colloca tra il 1980 e il 1984 e, per me, tra il 1969 e il 1973.

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embra niente ma, nel mezzo, c’è un universo intero. Sai, per dire, qual è il primo disco che io abbia mai posseduto (e per anni anche l’unico)? “Magical mistery tour” dei Beatles (in

due EP a 45 giri e relativo, meraviglioso, libretto illustrato: ne ricordo ancora l’odore). Uscì nel Natale del sessantasette, io avevo dodici anni e, già da qualche mese, strimpellavo una chitarra che, in mancanza di qualcuno che me la insegnasse, dovevo torturare da solo.

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ro riuscito a capire che esisteva qualcosa che poteva essere definito “accordo” e che consisteva nel risuonare insieme di tre o più note ed ero anche riuscito a percepire (guardando il barbiere

che suonava la chitarra, che negli anni sessanta, in un paesino di qualche migliaio di abitanti perduto nel centro della Sicilia era l’unico depositario della cultura musicale) che alcuni di quegli accordi potevano essere combinati ai miei fini. Ne percepii tre che facevano perfettamente al caso mio: erano facili da riprodurre perché richiedevano solo le tre dita più forti, indice, medio e anulare. Dopo qualche tentativo ci riuscii. Non sapevo, allora, come definirli, poi scoprii che erano tre accordi maggiori e che si chiamavano: Mi, La e Re (e, molti anni dopo, con sorpresa e disappunto, che fuori dall’Italia cambiavano nome ed erano E, A, D: cosa che non cessa di apparirmi spaventevole…).

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on quegli accordi potevo addirittura suonare una canzone! Sai una cosa? Non credo che Brand, quando scoprì il fosforo, abbia provato, nel vedere quella magica luminescenza, un’emozione

superiore alla mia. E quella prima canzone che riuscii a riprodurre si chiamava “La bambolina che fa no, no, no” ed era la versione italiana di una canzone francese cantata da un bizzarro signore che si chiamava Michel Polnareff. Questo musicista, ormai dimenticato, fu anche il mio primo maestro di pianoforte ed è a lui che devo l’inebriante sensazione di onnipotenza che, tredicenne, provai nel capire che potevo sulla tastiera, con la mia mano sinistra, raggiungere facilmente l’estensione di un’ottava e raddoppiare un semplice Do all’ottava superiore (o inferiore), dandogli una potenza sonora strabiliante (il pezzo, questa volta si chiamava “Love me, please love me” e richiedeva, tra l’altro, di

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essere cantato in semifalsetto, ma certo non da me che con la voce ho sempre litigato).

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ono cose che magari ti faranno ridere, ma per me era come scoprire l’America. E per giunta la cosa non finì lì. Dopo un poco Bob Dylan, per esempio, scrisse “The mighty queen” (che

io conobbi, se ben ricordo, nella versione di Manfred Mann) e si poteva suonare con quegli stessi accordi… insomma, da quel momento le mie possibilità si accrebbero. È a questo imprinting che credo di dovere la mia propensione (poi diventato destino) a usare sempre e solo il poco di cui dispongo (in qualsiasi cosa mi capiti di fare, architettura, disegno, scrittura…) traendone tutto quello che posso, senza la preoccupazione, prima, di prefigurarmi una “tecnica” da cui attingere poi, in funzione di una qualche esigenza “espressiva”, per così dire, già data. Non appartengo, insomma, al genere di persone che “si esprimono”, che desiderano fortemente “esprimere qualcosa che hanno dentro”: io per quanto ne so non ho niente, dentro, di prefigurato da esprimere.

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e sono qualcosa, mi faccio facendo. E non esisto se non nel poco che faccio. E pur facendolo non so che farci. Il che significa, insomma, che sono quasi nulla. Tu che sei una musicista (una

che ha fatto della musica il suo mestiere, intendo) forse non la vedrai come la vedo io, ma è proprio questo che m’interessa: la differenza. Che questa differenza possa dipendere dal caso o da altro non lo so e non m’importa. Essa ha fatto sì, per esempio, che io, pur detestando profondamente quella che qualcuno definisce “italianità” (o, per arrivare alla microbiologia, addirittura “sicilianità”) sono rimasto qui, nell’isola dove, per grazia ricevuta, sono nato. Tu invece sei andata via: nientemeno che nelle Americhe. E non solo nelle Americhe, bensì in quella città simbolo di tutto ciò che definiamo America e che si chiama New York.

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pero che tu mi dica tutto di questa tua scelta. E tutto (si fa per dire) dell’America. Io non ci sono mai stato e, considerate le mie finanze, non credo che ci andrò mai. Perciò dell’America devo

immaginarmi tutto. La città in cui abiti tu per esempio, me la immagino solo in l’autunno: forse per il celebre standard (chi non l’ha cantato? Da Sarah Vaughan a Ella Fitzgerald a Frank Sinatra a Billie Holiday… e se non sbaglio c’è Dexter Gordon che, in un filmato, la suona seduto sulla spazzatura) Autumn in New York, perfino un film ci hanno intitolato, una pellicola con Richard Gere e Wynona Rider. Tu ci vivi e, naturalmente, per te sarà un’altra cosa, ma io penso alla tua città (che strano poter dire di New York “la mia città”… e che bello, anche) e non vedo i grattacieli, lo skyline che rimbalza dovunque si parli di lei, io vedo Central Park in autunno e, il resto, solo come sfondo. Un saluto.


Links 21.04|12.05 2013 |CasaLiquida

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Epistolario #03 | Raffaele Rigoli

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14 5 agosto 1943

Carissima Rina Ti scrivo per tranquillizzarti sulle voci dei bombardamenti vicini. È stata buttata qualche bomba sulla stazione di Gioia Tauro. Vi sono stati pochi feriti che si trovano ricoverati al nostro ospedale. In Sicilia la resistenza è ancora valida e ancora passano enormi forze di rinforzo tedesche. Molte altre ne arrivano e stanno trincerandosi dappertutto, da Gioia a Cittanova è diventato un gran campo di armati. A S. Martino la vigna di Peppino (...?...) è piena di trincee, e dappertutto la gente delle campagne parte per (...?...) perché dicono di avere paura dei tedeschi i quali poveretti sono oltremodo rispettosi ed educati. In questo mese qualche cosa di nuovo dovrà succedere e così ai primi di settembre speriamo di poter rientrare tutti nelle nostre case. Ho dovuto rimandare la venuta del carro perché mi manca il permesso di macinazione dato che le carte di macinazione non sono più valide. Spero farlo venire lunedì. Di grano nuovo per ora, 2 quintali cioè di farina. Lo ho già fatto pulire da Maria Sperti e dalla massara Concetta, e non appena sarà pronta la carta di macinazione nuova lo farò molire. Nel caso non lo molirò tutto ti manderò il grano. Io debbo sbrigare tutte le pratiche delle tessere dati che di grano e jermano ci toccheranno quest’anno. 5 quintali, d’altra parte


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avremo diritto a 5 tessere per tutto l’anno, e tra pasta e pane potremo arranciare anche con qualche altro quintale di grano che poi avremo per la semina. Per comperare non se ne trova e vogliono un 2800 lire (per) quintale. Vedi di provare come tu dicevi che si trova a £1500. Se potessi farti portare 1 o due quintali anche a poco alla volta cerca di comprarlo. Per la persona di servizio, Elisa non mi ha fatto sapere più niente ed io, date le gravi condizioni di sua madre che va sempre aggravandosi non ho creduto opportuno incomodarla. Dato che Pasquale forse non verrà per 5-6 (giorni, settimane?) gradirei sapere come state e come siete sistemati. Tu hai principiato la cura? Le bambine come stanno? Salutami tanto a (...?...), alla sua signora, alle figlie e ai figli tutti. A Bianca dirai che quando verrà papà gli porterà la vestina, e gli darai tanti baci per gli auguri. Bacia Raffelina e Pina e tanti bacioni ai piccoli. Salutami tanto Saverio e (...?...) salutando tutti a Sinopoli. Ti prego rispondermi subito dicendo quello che occorre perché poi il carro chi sa quando verrà. Ti bacio affettuosamente, Raffaele. P.S. Se ti mancasse il vino prega Saverio di farti avere pochi litri fino a Lunedi, che poi se li riprenderà dal nostro. Saluta Vittoria.


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Due| Vivian Celestino Ognuno di noi ha dei miti e degli schemi che lo accompagnano, più o meno codificati. Quando penso 2 penso complementarietà. Penso azione comune, stessa azione da due punti di vista diversi. Complementarietà. Ma siamo davvero mancanti di qualcosa? Si, lo siamo. Ma non nel senso di cercare completamenti dall’Altro. Piuttosto, nel senso di cercare insieme completamento. Allora due, come ricerca comune. Due non è per me, dunque, forma perfetta. Non può esserlo. È, invece, la base perfetta (in qualche modo, l’unica base possibile, o almeno la migliore) su cui edificare la ricerca della perfezione. Due è “contrario” di uno. Non è doppio. Non è ripetizione. Due è stringere lo stesso filo da due capi differenti: l’inizio e la fine. Due è l’altro che mi completa. Due è dove mi specchio e mi riconosco. Dove trovo il pezzo mancante. Due come complementarità, presupposizione. Due: forma completa. Contraddice la solitudine. Due è un numero primo. Due è contraddizione di 1 è vero. Perché uno è sterile. Due è specchio e gli specchi sono così rari. Due è casa. L’uno la casa dell’Altro. Due è mezzo di trasporto verso l’orizzonte. E due è pace. O, almeno, quell’atomo di pace che è concesso nel mentre che la vita non può esserlo, perché quasi tutto è guerra, perché c’è necessità che si speri piuttosto che si abbia fede, perché la pace definitiva occorre sempre rimandarla. Due è accogliere un Altro e dimenticarsi degli ordini di priorità della vita, lasciar nascere spontanea una responsabilità e poi far crescere tutto il resto.


Bella, Non ho mica vent’anni Ne ho molti di meno. E questo vuol dire, Capirai, Responsabilità, perciò... |Ivano Fossati|


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