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vincenzina e la fabbrica | palermo | la cittĂ gelatinosa | la mer


Quinta| periodico digitale di casaliquida numero 0 |aprile 2013|

a cura di

Vivian Celestino Domenico Cogliandro testi di

Enzo Jannacci Daniela Placato Francesco Caudullo Charles Trenet fotografie

Domenico Cogliandro traccia sonora

Andrea Monorchio

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Quinta|zero Quinta| si sperimenta facendolo. Abbiamo fatto un piccolo sondaggio, cercando di coinvolgere persone che stimiamo e riteniamo sensori del nostro tempo: molti consensi, molte domande, diverse critiche. Ne abbiamo tenuto conto. Per questo stiamo esitando il numero zero, trattiamo del tempo: inesorabile tempo che ci rende diversi, che ci situa e trasforma le cose che riteniamo inalienabili. Quinta|zero parla di fabbriche, per esempio o, meglio, come esempio. Qualche giorno fa è morto Enzo Jannacci, non le sue poesie. Il tempo ha cancellato l’essere che le ha prodotte, ma le parole rimangono, parole che sono canzone, che alimentano un suono, che producono una memoria facile da ricordare. Dopo molti secoli, ancora oggi, leggiamo le parole di Dante, di Leonardo da Vinci, di Martin Lutero: parole che sono suoni, parole che sono idee. Per questo apriamo Quinta|zero con “Vincenzina e la fabbrica”, perché le parole sono il poeta e il poeta, così, non muore. Diversa la sorte dei luoghi? Le città muoiono? Non da sole, questa la tesi di Daniela Placato e Francesco Caudullo. Una città come Taranto la si può uccidere, col silenzio per esempio - silenzio di connivenza e apatico, silenzio politico e autolesionista. Un coro disfonico, al punto che una voce “normale” si riesce a distinguere tra le altre. E quando la richiesta di normalità diventa corale cambia anche il tempo che è la base ritmica del pensiero. L’esortazione è di prendere questa strada, cambiando il presente per immaginare un altro futuro. Taranto liminare, e Palermo sullo sfondo. Tre immagini di un tempo sospeso: non più passato, non ancora futuro. Una manifattura di mattoni, scatti del maggio scorso, un luogo in cui il tempo del lavoro è una costante, vettore dell’essere presente a se stesso, quasi immutabile. Mandiamo alla deriva le parole dentro questo guscio di noce, sul mare digitale, nella forma che ha preso. La forma: abbiamo scelto una grafica sobria, un formato stampabile, alcune immagini, pochi testi. In copertina una fotografia di gente, rubata da un album di famiglia degli anni cinquanta del 900, controluce dinanzi al mare (“la mer bergère d’azur|infinie”): persone scomparse, rimangono i loro sorrisi, sospesi, nel tempo. Rimane, “favorite immaginare”, anche la brezza estiva, e i suoni che da fuori venivano assorbiti dalle stanze e rimanevano rappresi tra le voci, mentre l’odore di un caffé emanava da una stanza accanto, già il sapore, e le tazze in porcellana che tintinnavano sotto i colpi dei cucchiaini...


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Vincenzina e la fabbrica | Enzo Jannacci Vincenzina davanti alla fabbrica, Vincenzina il foulard non si mette più. Una faccia davanti al cancello che si apre già. Vincenzina hai guardato la fabbrica, come se non c’è altro che fabbrica e hai sentito anche odor di pulito e la fatica è dentro là... Zero a zero anche ieri ‘sto Milan qui, sto Rivera che ormai non mi segna più, che tristezza, il padrone non c’ha neanche ‘sti problemi qua. Vincenzina davanti alla fabbrica, Vincenzina vuol bene alla fabbrica, e non sa che la vita giù in fabbrica non c’è, se c’è com’è ?


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La città gelatinosa | Daniela Placato | Francesco Caudullo

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isogna far comprendere a chi resta ancora indifferente alla vicenda tarantina dell’ILVA che è un importante paradigma interpretativo del nostro tempo. Vi sono tutti gli elementi

nefasti e perversi che, contravvenendo ogni più rosea aspettativa di crescita e benessere, hanno acuito la già grave condizione del Sud, oltraggiato l’ambiente e ogni forma di vita esistente in nome di un’ideologia dello sviluppo che presuppone un accrescimento scriteriato e squilibrato dei consumi. Un paradigma che riguarda anche elementi di distorsione nocivi e perversi che, con il favore delle istituzioni politiche e dei poteri economici, hanno prodotto forme di dipendenza sociale e di subordinazione basate sull’impossibilità di un’alternativa occupazionale. Ma soprattutto il paradigma ha tra le sue “voci” la de-sostanzializzazione di un contesto, sia geografico sia culturale, che è stato ridotto a “gelatina”. Ed è tale aspetto che vorremmo esplorare.

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essuno considera Taranto nella sua essenza, un grande ed informe essere gelatinoso. Si tratta di una consistenza che è ancora diversa dalla “liquidità” della post modernità,

descritta in ogni modo da Zygmunt Baumann, che sembra caratterizzare le trasformazioni alle quali assistiamo e alla quale anche Taranto tende. La gelatinosità della quale parliamo è una caratteristica ontologica che è tutta propria della “molle Tarentum”, il tratto distintivo di una città che, senza tuttavia eccedere in vischiosità e senza essere repellente, come il “blob” di un noto film si adatta senza resistenza a tutto perché è culturalmente così. Taranto è una città alla quale non è mai mancato nulla; benvoluta dal clima, di terra e mare floridi, ma un luogo che è stato plasmato dal carattere adattabile dei suoi abitanti che nel tempo l’hanno resa luogo informe, incapace di reagire ma solo capace di assorbire ogni colpo inflitto. Tale peculiarità, non certo positiva, nel momento in cui l’economia crolla, e con essa il benessere e la tranquillità, mina la sicurezza che si è a lungo espressa nel «va tutto bene» e fa emergere una tara antropologica che grava sulla questione ILVA.

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o Studio Sentieri ha fornito alla Procura della Repubblica incontrastabili motivazioni per intervenire rispetto all’ordine immutabile delle cose, rivelando una situazione sanitaria

insostenibile che, però, i tarantini hanno sempre saputo ed accettato e, colpevolmente, poco hanno fatto per mutare situazione pensando che a Taranto ammalarsi di tumore fosse normale. Il tarantino che fa parte del microcosmo Taranto riproduce in scala 1:10.000 ciò


10 che accade in Italia, ossia in un Paese nel quale i cittadini accettano un sistema riconosciuto, nella maggior parte dei casi, come “normale” e che pertanto è arduo mutare o - né più né meno come una gramigna che ricresce su un terreno da tempo trascurato e rassegnato alla noncuranza - estirpare. In nessun altro Stato europeo si avverte la mancanza di sicurezza, e di fiducia, da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni così come in Italia, in nessun’altra realtà è pensabile che ognuno debba quotidianamente “arrangiarsi” da solo.

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n Germania, dove il popolo tedesco è rappresentato dai sondaggi come uno tra i meno felici al mondo, si avverte nella cittadinanza la sicurezza di poter trovare comunque una

soluzione ai problemi, anche inattesi, di sopravvivenza, cosa che induce ad agire nel rispetto delle regole e contribuisce a dare forma ad un rapporto più libero e meno angosciante con il lavoro. Non è così in Italia.

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on è così a Taranto. Ed è questo il ricatto che permane anche all’interno della questione ILVA. Essendo lo Stato italiano assente rispetto alle problematiche del cittadino, la gente

accetta il sacrificio della salute di alcuni per la sicurezza (ma vogliamo davvero chiamarla così?) di uno stipendio che non sarà mai equilibrato ai rischi che si corrono realmente. Tali tessere del puzzle, sommate alla caratteristica tarantina, come anche italiana, di adattarsi in maniera malleabile (la gelatina da cui siamo partiti) alle situazioni, formano l’immagine che abbiamo avuto davanti e che ha riguardato il caso ILVA di Taranto, per molto tempo.

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ffrontare l’ILVA significa pertanto alterare equilibri ambigui e nocivi, e chi ha lottato e lotta per uscire dallo stato gelatinoso, irrigidendosi su posizioni scomode, sa bene che

dovrà fare i conti con enormi difficoltà a minare la compattezza di quei poteri che si sono affermati e che hanno tratto forza dall’immutabilità che tiene eternamente la massa nello stesso stato e che, trascinando con sé altri elementi, creano subdole lotte intestine ai soggetti innovatori per fiaccarne capacità e volontà. E’ estremamente arduo tirare fuori da quell’atomo molliccio l’essenza coriacea ed esplosiva che può rimettere in gioco tutto e rilanciare Taranto, ma non è impossibile poiché le energie e la volontà non mancano. Sono state infatti attive negli ultimi anni associazioni di cittadini e di ambientalisti: Altamarea nel 2008 è riuscita a realizzare, nell’immutabile e riadattabile Taranto, la prima grande manifestazione contro l’ILVA, il primo serio grido civile per dimostrare di non essere più disposti ad accettare lo stato delle cose. C’è una sempre maggiore consapevolezza in molti cittadini, ed è questo


11 l’elemento che fa sperare, che sta innescando una reazione importante e che sta per rompere gli schemi.

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’è la volontà, mai registrata prima d’ora, di sapere sempre più cose sul torbido sistema innestato tra affari e politica, ancora poco chiaro, e di affrontarlo e metterlo in

discussione. È accaduto infatti, e bisogna prenderne atto, che l’immobilismo generalizzato del “tanto è risaputo e le cose non cambiano” sia stato superato nel febbraio 2012. C’è voluta la perizia ambientale richiesta dal gip Patrizia Todisco, che ha reso pubblici dati raccapriccianti, per porre fine all’intoccabilità della famiglia Riva e tale evento nella città di gelatina ha accelerato improvvisamente lo spirito di riscossione che era emerso nel 2008 rafforzandolo.

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oi, la reazione ha anche tratto nuova forza e linfa dalla voce autorevole di un Angelo Bonelli schieratosi in prima linea, un politico che non ha corso alla poltrona di primo

cittadino ma ha rimesso in agenda la questione ambientale e il diritto alla salute che nessuno rivendicava da tempo a Taranto. Ebbene, lo scorso anno a Taranto è intervenuto “qualcosa” che prima non c’era, che ha rotto gli schemi, per dare una forma concreta ad una città che può essere ripensata, cioè rilanciata, ed è questo che fa sperare e che non scoraggia nel momento in cui, dopo le azioni giudiziali del luglio del 2012 contro Riva e soci, si è subìto il colpo di coda del potere con la legge “salva ILVA” (20 dicembre 2012). Tale legge infatti potrà dare “fiducia” alla famiglia Riva ma non ha affatto chiuso la partita a loro favore e lo ha dimostrato la fiumana degli oltre quindicimila manifestanti che, solo cinque giorni prima dalla conversione in legge, si è riversata nelle strade della città contro il ministro Clini e a sostegno della magistratura.

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l 2013 sarà un anno certamente cruciale, non solo perché vedrà nuovamente in azione la magistratura tarantina, che ha già avviato il ricorso sulla legittimità costituzionale, ma

soprattutto perché ormai a Taranto è in atto una vera e propria “rivoluzione antropologica” che è l’anima di una mobilitazione attiva di una cittadinanza che è più che mai decisa a fare valere diritti fondamentali che nessuno può ignorare e violare. Questo è fondamentale, non solo ai fini di un post-ILVA, all’insegna di un ripensamento dello spazio che finalmente dia una consistenza ben precisa, assai diversa dalla gelatina, alla vita e alla fruizione della città come “bene comune”, ma soprattutto perché il “microcosmo” Taranto potrebbe rappresentare una speranza per un intero Paese.


La mer Au ciel d’été confond Ses blancs moutons Avec les anges si purs La mer bergère d’azur Infinie |Charles Trenet|


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