RIVISTA MILITARE 2005 N.5

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UN AGGIORNAMENTO Gli avvenimenti dei successivi mesi di giugno e luglio hanno portato modifiche significative alla situazione descritta. Sul piano interno vi è stato l’improvviso trasferimento delle istituzioni governative e del parlamento da Nairobi, in Kenia, a Jowhar, in Somalia (circa 90 km a nord di Mogadiscio), mentre i ministri e parlamentari dissidenti, riuniti nella capitale storica, irrigidivano la loro posizione contraria a portare le strutture politiche e amministrative in altra sede (14-30 giugno). A ciò si aggiunge l’avvio della costituzione, da parte del Presidente Yusuf, di una «milizia presidenziale» da impiegare come forza di polizia e per la sicurezza del governo, composta da uomini del Puntland a lui fedeli (notizia confermata dal Primo Ministro Gedi l’8 luglio). Queste iniziative di Yusuf hanno ampliato la lacerazione fra le due fazioni governative e hanno dato il via a un rimbalzo di reciproche accuse, tali da portare i contrasti quasi al punto di rottura. Ugualmente rilevante è stata, nel mese di luglio, la riemergente evidenza del fondamentalismo islamico con l’ombra incombente di Al Qaeda. In tal senso si è levata la voce autorevole dell’International Crisis Group (I.C.G.) di Bruxelles che, in un rapporto reso noto ai primi di luglio e in uno studio della fine dello stesso mese, ricostruisce le attività dei gruppi di Al Qaeda a Mogadiscio tra il 2003 e il 2004 e dà notizia della costituzione di una recente formazione terroristica nella città, la «Nuova Jihad». L’I.G.P. sostiene che è ora di rivolgere alla Somalia la stessa attenzione con cui si guarda al Medioriente e che il Paese rischia di arretrare alla situazione del 1995: nel suo territorio, infatti, opererebbero personaggi di primo piano legati ad Al Qaeda (alcuni dei quali resi noti anche dalla stampa italiana), in collusione con un terrorista somalo emergente e collegati alle milizie di Mogadiscio. Contemporaneamente le agenzie di stampa registrano lanci e rilanci di accuse tra il «dissidente» Ministro alla Sicurezza, Qanyare, e il citato terrorista emergente circa due uccisioni ad alto contenuto sociale e religioso avvenute nella città. In sintesi il quadro interno sembra semplificato rispetto a quello di fine maggio: due soli partiti, uno filo-occidentale e lontano dal terrorismo, l’altro nazionalista e controllato dai clan di Mogadiscio storicamente non estranei ad alleanze con lo stesso terrorismo, mentre il partito religioso non estremista sembra non avere più voce. Ma il quadro interno è anche politicamente più complesso, dal momento che entrambi i partiti sono al Governo. Quello nazionalista annovera l’etnia Hawye con i clan più forti (Habar Gidir e Abgal) che, dominando incontrastati Mogadiscio, se si alleassero di nuovo con il fondamentalismo, potrebbero riaprire una fase di violenza come già avvenuto nei primi anni 90. Mentre quello filo-occidentale può contare sulla etnia Darod e su quelle minori presenti sul territorio somalo, sull’alleanza con l’Etiopia, sulla disponibilità di un retroterra costituito dal Puntland (confermatosi sicuro se si considera l’avvenuto reclutamento del primo nucleo della «milizia» presidenziale) e sulla leadership di Yusuf, il solo che sia riuscito a scacciare il fondamentalismo dal territorio sotto il suo controllo. Il lavoro per la diplomazia si fa sempre più difficile e potrebbe richiedere scelte radicali.

da alcuni ritenuto suo rivale anche se della stessa etnia e dello stesso clan: il che costituirebbe per Yusuf una aggravante. La sua partita, che si gioca in gran parte sulla forza dell’asse con Addis Abeba, al momento non presenta prospettive poichè tale asse non è risultato capace né di contrastare l’alleanza tra gli Habar Gidir-Saad e i Migiurtini, questi ultimi verosimilmente obbedienti al nuovo Presidente del Puntland, né di consentire il trasferimento della Capitale. In tale situazione, nella quale sembra costretto in un angolo, Yusuf potrebbe azzardare mosse politicamente laceranti. Nella consapevole aleatorietà di questi scenari – ipotizzati secondo chiavi interpretative occidentali anche se tentando di calarsi nella realtà culturale somala – l’augurio alla Somalia è di non sprecare l’occasione di rinascita faticosamente costruita e di cercare con convinzione l’equilibrio possibile, considerando le proposte della diplomazia che sta lavorando per ricucire le gravi fratture apertesi tra la Presidenza (con parte del Governo), da un lato, e i Ministri dissidenti (con la lobby di Mogadiscio e a quanti sono contrari al nuovo corso), dall’altro. Un augurio anche all’Italia non guasta, perché, in questa fase, essa riesca a sviluppare un ruolo autorevole con diplomatici «ascoltati» dalle leadership somale in competizione. Ž

* Generale di Corpo d’Armata (aus.) ** Esperto in geopolitica NOTA

cessaria. Chi sta peggio è il Governo e, in prima persona, il Presidente Yusuf, perché è visto come una espressione della ostile diplomazia etiope e appare depotenziato

dopo gli avvenimenti di maggio. Yusuf, inoltre, avrebbe perso il «retroterra» etnico e territoriale costituito dal Puntland. La presidenza della regione, infatti, è andata al Generale Adde Mussa,

(1) L’IGAD è composto da Kenia, Etiopia, Gibuti, Eritrea, Uganda e Sudan. È supportato dall’IGAD Partners Forum, composto dai Paesi europei sotto la copresidenza di Italia e Norvegia.

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