Open Kitchen Magazine - n°1 - Ottobre 2011

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A cura di Roberta D’Ancona

Fiori di zucchina pastellati, carciofi alla giudia, aliciotti con l’indivia, sono solo alcuni dei raffinati piatti ebraici entrati nella tradizione della cucina romana; una tradizione, che resiste ancor oggi grazie alla presenza di una cospicua comunità ebraica, le cui abitazioni si trovano dislocate lungo il Portico d’Ottavia, li dove Papa Paolo IV Carafa aveva fatto costruire il cosiddetto “Ghetto degli Ebrei”. Qui, passeggiando per le vie dell’ex Ghetto, turisti e cittadini vengono ad assaggiare le numerose specialità della cucina “Kasher”. Con il termine “kasher” vengono indicati i cibi adatti ad essere consumati, senza cadere in errore contro il divieto. Carni e pesci vengono scelti secondo i dettami del sacro libro dell’Antico testamento. Nelle ricette non entrano mai le carni di quegli animali considerati “impuri”, ossia quelli che risultano privi di zoccolo e di unghia fessa e che non ruminano; ad essi si aggiungono gli uccelli rapaci, i pesci senza pinne e senza squame, i molluschi, i rettili, i crostacei e quasi tutti gli insetti. Gli ebrei, inoltre, non accostano mai le carni ai latticini: un precetto impone al popolo ebraico “Non farai cuocere il capretto nel latte di sua madre”. Ecco perché per cuocere le carni utilizzano esclusivamente olio, grasso (d’oca o di manzo), margarina vegetale. Nei rinomati ristoranti del Ghetto si possono gustare tantissimi piatti, arricchiti dagli apporti delle tradizioni orientali, importate nella capitale dai mercanti e dagli artigiani ebrei sin dal X secolo. Ogni piatto della cucina ebraica è di per sè molto

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n. 1 Ottobre 2011


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