Promemoria - storie e figure della Memoteca Pian del Bruscolo, numero 1

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Una sera mio padre, sapendo che di lì a poco avrebbe nuovamente salutato il suo paese, uscì di casa per passare la serata con gli amici, lasciando sola la giovane sposa. Lina si coricò tranquilla in attesa del rientro di Giuseppe ma, mentre stava per appisolarsi, cominciò a sentire strani rumori in camera, come se qualcuno armeggiasse contro la porta per entrare, o addirittura si fosse nascosto da qualche parte e tentasse di uscire. Atterrita dallo spavento, si raggomitolò sotto le coperte, madida di sudore, mentre il cuore le batteva in gola mozzandole il respiro. In queste condizioni la trovò mio padre al suo rientro, e fu proprio lui a svelare il mistero: un gatto era entrato nell’armadio e, trovandosi prigioniero, raspava contro la porta nel tentativo di aprirsi un varco verso l’esterno. Il secondo episodio è legato al momento dei saluti, poco prima della partenza. Per la circostanza mio padre aveva regalato alla sua sposa un abito molto elegante, accompagnato da un cappello, secondo la moda dell’epoca. Mentre bussavano alla porta di una famiglia amica per gli ultimi saluti, un piccione pensò bene di lasciare un “regalino” proprio sul cappellino nuovo della mamma. Forse un augurio di buona fortuna! Talacchio è ormai soltanto un nostalgico ricordo quando Giuseppe e Lina si imbarcano a Genova per attraversare l’Atlantico. Il viaggio in nave durò più di un mese e non fu facile, a quanto raccontava mia madre, che soffrì il mal di mare durante l’intera traversata. Giunsero ad Akron, nell’Ohio, dove furono ospitati dalla famiglia di un emigrato italiano, Eliseo Renzi, originario di Ascoli Piceno. La signora Anna (che i miei hanno sempre chiamato la “padrona di casa”) li accolse come fossero suoi figli, mitigando in parte il dolore del distacco dall’Italia e da tutti gli affetti, molto sentito soprattutto dalla giovane sposa. Purtroppo le cose, in America, non andavano 60

bene. Era il 1929, l’anno della grande crisi mondiale, del crollo della Borsa e del proibizionismo. Mio padre dovette adattarsi a fare piccoli lavoretti e, addirittura, finì pure in prigione per qualche giorno, perché fu scoperto a lavorare in una distilleria clandestina di grappa. Intanto la signora Anna si adoperò per insegnargli a leggere e scrivere, dal momento che non era mai andato a scuola; a mia madre, invece, che era appena un’adolescente, insegnò a diventare donna. Le insegnò anche a diventare mamma, perché era già incinta di me. A poco a poco la situazione migliorò e mio padre trovò un lavoro stabile e ben retribuito presso la nota fabbrica di pneumatici Good Year. La sicurezza economica riportò la serenità nella famigliola. Il 26 aprile 1930 nacqui io e fui circondata non solo dall’amore dei miei genitori, ma anche dalle premure e dall’affetto dei coniugi Renzi e delle loro figlie, Ida, Mary e Geraldine. Giorno dopo giorno, però, la mamma cominciava a sentire, sempre più forte, la nostalgia della famiglia e del suo paese. Un suo fratello sacerdote, don Giuseppe, che abitava con i genitori e aveva la parrocchia a Schieti di Urbino, le scriveva che avevano tutti tanto desiderio di riaverla fra loro in Italia, proponendole di venire ad allargare la famiglia vivendo tutti insieme. Dopo vari tentennamenti, molte riflessioni, diverse incertezze, mio padre, che leggeva negli occhi della moglie la malinconia e il rimpianto, prese la decisione definitiva di rientrare in Italia, anche se non fu del tutto indolore il distacco dagli Stati Uniti. Era l’anno 1935 quando toccarono di nuovo il suolo italiano, accettando l’invito dello zio prete a formare un unico nucleo familiare. Io ero una bimbetta di appena cinque anni. Però… la convivenza, si sa, non è mai facile, e non lo fu neppure per i miei genitori: mio padre, abituato da tanti anni alla sua autopromemoria_NUMEROUNO


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