Ticino7

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“Se il governo avesse negoziato meglio, se avesse imposto che allo scambio automatico d’informazioni doveva corrispondere l’apertura dei mercati finanziari, allora sì che si sarebbe potuto fare un servizio alla piazza finanziaria. Invece, il Consiglio federale ha deciso di perdere. Senza contropartita” (Fulvio Pelli)

automatico d’informazioni doveva corrispondere l’apertura dei mercati finanziari, allora sì che si sarebbe potuto fare un servizio alla piazza finanziaria. Invece, il Consiglio federale ha deciso di perdere. Senza contropartita.

Agorà 6

È stato un processo troppo rapido? Bisognava discutere più a lungo? È stata una scelta autonoma del Consiglio federale nei suoi rapporti con l’OCSE, impostati molto male. Una volta che l’OCSE dice che una cosa è prassi internazionale, tutti devono adattarsi, altrimenti ci sono sanzioni. E le sanzioni sono inaccettabili, perché non colpiscono la piazza finanziaria, ma la piazza industriale: sono vincoli doganali, regole complicate di approvazione di prodotti… tutta una serie di cose che puniscono un altro comparto, cioè l’industria. Quindi, la prima reazione contraria allo scambio automatico d’informazioni ce l’ha la piazza industriale, che in Svizzera conta più di quella finanziaria. L’errore profondo, veramente grave, l’ha commesso il Consiglio federale non negoziando con l’OCSE un corretto parametro tra paesi che, scambiandosi i mercati, si scambiano anche le informazioni. Questo poteva essere accettabile. Invece così abbiamo lo scambio automatico d’informazioni tra paesi che non scambiano assolutamente nulla e che chiudono i loro mercati a chi non è nella UE o in altre organizzazioni. Significa che cadrà definitivamente il segreto bancario anche per gli svizzeri? No, questo è tutto un altro discorso. Le due cose non sono assolutamente legate. Non c’è nessun bisogno di cambiare le regole in Svizzera, che sono regole sagge e permettono ai cittadini di capire che ognuno è responsabile delle proprie dichiarazioni. Questo è fondamentale: non possiamo pensare che la polizia possa sostituire l’onestà. L’onestà deve essere dei cittadini. I cittadini devono credere nello stato e avere con esso un rapporto di fiducia. E quando ci credono, barano molto meno di quando temono di essere scoperti. Le polizie fiscali sono presenti in tutti i paesi che ci circondano, e l’evasione fiscale in quei paesi è colossale. Vuol dire che con la polizia non si arriva da nessuna parte, o si arriva molto poco lontano. La strada giusta è quella di un rapporto corretto tra cittadino e stato. È questo che bisogna mantenere. Dunque, il segreto bancario per gli svizzeri dovrebbe sopravvivere nonostante lo scambio automatico d’informazioni? E perché no? Lo scambio automatico non c’entra niente con i titolari di conti che non sono contribuenti esteri. Per noi il segreto bancario finirà quando la Svizzera deciderà di farlo finire. Saranno i cittadini a dire, con le votazioni, quando non lo vorranno più.

Frontalieri: un quadro complesso Ma a complicare il quadro, in particolare per quanto riguarda il Ticino, ci sono anche i rapporti con l’Italia in materia fiscale e i problemi relativi al trattamento fiscale dei frontalieri. Dal 1976 vige tra Svizzera e Italia una Convenzione sulla doppia imposizione (CDI), che però non prevede lo scambio di informazioni e risulta quindi chiaramente inadeguata ai nuovi standard internazionali di lotta all’evasione fiscale. Questo ha reso più aspra l’annosa controversia sugli averi depositati nelle banche svizzere, soprattutto in Ticino, da parte di cittadini italiani. Con i suoi cosiddetti “scudi fiscali”, l’Italia non ha soltanto contribuito a indebolire la piazza finanziaria ticinese, ma ha anche messo la Svizzera sulle sue liste nere, penalizzando di conseguenza gli scambi transfrontalieri, gli investimenti diretti e l’industria d’esportazione elvetica. Nel 2011 il canton Ticino ha reagito di testa sua a questo degrado delle relazioni tra i due paesi, trattenendo una parte della quota delle imposte prelevate sui redditi da lavoro dei frontalieri italiani che si sarebbe dovuta ristornare all’Italia. La tensione ora dovrebbe calare, dopo che la ministra delle finanze Widmer-Schlumpf è riuscita a concordare con Roma un Protocollo di modifica della CDI Svizzera-Italia che introduce lo standard OCSE per lo scambio d’informazioni su domanda e una roadmap (cioè un’agenda dei passi successivi) che prevede tra l’altro un Accordo sui frontalieri da finalizzare entro quest’anno. E tuttavia la tensione non è diminuita, a riprova di quanto scottante sia l’intera questione e di quanto profondi siano i solchi che questa vicenda ha scavato tra l’Italia e la Svizzera. Ancora all’inizio di ottobre il consigliere di Stato leghista del canton Ticino, Norman Gobbi, in un’intervista pubblicata dalla “Neue Zürcher Zeitung” definiva “inutili” i negoziati tra Svizzera e Italia e ne auspicava l’interruzione. Cosa ne pensa Fulvio Pelli? L’Accordo sulla doppia imposizione con l’Italia non è già cosa fatta? Non so se sia cosa fatta, perché ogni volta che con l’Italia si pensa di aver fatto qualcosa, poi non lo è per niente. Intorno a questo accordo, di cui si discute e che dovrebbe essere finalmente ratificato, ci sono ancora dei quesiti aperti sui quali le due parti non sono tanto d’accordo. Noi svizzeri vogliamo una regola che in Italia tolga la disparità di trattamento tra contribuenti che favorisce i frontalieri che lavorano in Svizzera. Oggi questi frontalieri sono dei super privilegiati fiscali, i quali al beneficio di lavorare in Svizzera aggiungono anche quello di non pagare imposte in Italia. E questo è profondamente ingiusto verso gli italiani che lavorano in Italia e alimenta il frontalierato oltre il ragionevole. Il problema, con questi accordi con l’Italia che vuole


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