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Accordi fiscali. La svolta? Politica. La Svizzera gira pagina. Una parte della società, la maggioranza dei politici, la sinistra, ma anche il Consiglio federale, sono pronti a buttarsi alle spalle decenni di segreto bancario. Un vincolo legale che ha condizionato, nel bene e nel male, l’immagine del paese negli ultimi ottant’anni. L’opinione di Fulvio Pelli. di Silvano De Pietro

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stituito nel 1934, il segreto bancario non è stato soltanto il motore dello sviluppo e del successo mondiale del sistema bancario elvetico, ma ha anche proiettato una lunga ombra sull’etica degli affari che la finanza internazionale svolge nel nostro paese. Strumento della storica svolta dovrebbe essere il cosiddetto “scambio automatico d’informazioni” tra autorità fiscali di paesi diversi: una richiesta pressante e ormai ineludibile dell’Unione Europea (UE) e dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), allo scopo di combattere l’evasione fiscale internazionale. Questo nuovo regime verrebbe introdotto in Svizzera con l’applicazione della Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE sulla reciproca assistenza amministrativa in materia fiscale, e con l’adozione di una nuova legge che metta in pratica l’Accordo multilaterale tra autorità competenti sullo scambio automatico di informazioni relative a conti finanziari. Una decisione affrettata e mal negoziata Un primo esame parlamentare, al Consiglio nazionale, della Convenzione sull’assistenza amministrativa e dell’Accordo multilaterale sullo scambio automatico d’informazioni, si è concluso positivamente. Ma se è vero che dal secondo passaggio, al Consiglio degli Stati, ci si attende un probabile parere altrettanto positivo, è però anche vero che le polemiche non accennano affatto a placarsi. Il maggior partito svizzero, l’Unione democratica di centro (UDC), rimane fermamente contrario allo scambio automatico d’informazioni e alla collaborazione internazionale tra autorità fiscali, al di fuori della lotta al crimine organizzato. All’inizio, anche gli altri partiti di centrodestra rimproveravano alla consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf, ministra delle finanze, una certa precipitazione. Ancora in dicembre 2012 il Governo svizzero sottolineava la determinazione a impegnarsi “con tutte le forze” contro lo scambio automatico d’informazioni e a concludere accordi fiscali bilaterali con i singoli stati, basati su un’imposta alla fonte con effetto liberatorio prelevata in forma anonima sui clienti esteri degli istituti elvetici, continuando quindi a garantire il segreto bancario. Poi però la pressione dall’e-

stero è aumentata. La ministra delle finanze ha dichiarato che “dobbiamo fare questa discussione”; e il Governo ha firmato nel 2013 la Convenzione del Consiglio d’Europa e dell’OCSE, nel 2014 l’Accordo multilaterale (frutto del Forum globale sulla trasparenza) sullo scambio automatico, e nel maggio scorso un altro accordo Svizzera-UE sulla stessa materia. Di colpo la musica è cambiata. Istituti di credito e partiti borghesi (eccetto l’UDC) si sono schierati compatti a favore dello scambio automatico d’informazioni. Ha prevalso, evidentemente, il timore che il sistema bancario elvetico non potesse sopravvivere senza integrarsi nella lotta internazionale all’evasione fiscale, adeguandosi all’inasprimento degli standard. Come valutare questa svolta epocale e la pressione internazionale che l’ha prodotta? L’abbiamo chiesto all’ex consigliere nazionale Fulvio Pelli, già presidente del Partito liberale radicale svizzero (e in precedenza anche di quello ticinese), politico di lungo corso e oggi presidente di BancaStato (la banca cantonale del Ticino). Quello svizzero, afferma Pelli, “è un sistema super democratico per cercare di ottenere correttezza fiscale”, ma purtroppo non ha successo tra i paesi europei che “si lanciano in questa avventura di dimensioni ciclopiche, invece di riformare i loro sistemi fiscali in modo tale che la popolazione li accetti e non li trovi eccessivi”. Di conseguenza, “è tutto un mondo di illusioni, perché operativamente è molto difficile realizzare questo scambio automatico facendo in modo che poi le informazioni giungano veramente a chi devono arrivare”. Con quali ripercussioni per il nostro paese? Da un punto di vista politico per la Svizzera e per la sua piazza finanziaria è una sconfitta, di cui è complice il Consiglio federale, il quale, a livello di negoziati con l’OCSE, ha sostenuto la tesi arbitraria secondo cui lo scambio automatico di informazioni era una prassi da considerare generalizzata. Questo non è vero; e il Consiglio federale ha giocato intenzionalmente contro la piazza finanziaria, per poi arrivare in parlamento a dire: c’è una prassi consolidata a livello internazionale e se non accettiamo ci saranno sanzioni di tutti i tipi. Il che è vero. Ma se il governo avesse negoziato meglio, se avesse imposto che allo scambio (...)


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