La Comunità sacrificata

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Silvano Sau

LA COMUNITÀ SACRIFICATA

Il Comitato Misto Italo-Jugoslavo 1955-1973

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Editrice “Il Mandracchio - Isola”


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Silvano Sau

LA COMUNITÀ SACRIFICATA Il Comitato Misto Italo-Jugoslavo 1955-1973

Editrice “Il Mandracchio - Isola” 3


CIP

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Il Gruppo etnico italiano dell’ex Zona B del T.L.T. alla luce delle 20 sessioni del Comitato Misto Italo-Jugoslavo 1955 -1973 Breve nota introduttiva di Silvano Sau Questo volume è dedicato agli anniversari del Trattato di pace (1947), della firma del Memoradum di Londra (1954), del Comitato misto italo-jugoslavo (1955), ma sopratutto a pochi mesi dall’annuncio del governo sloveno, che ha ufficialmente dichiarato che con la legge sulla riparazione dei torti del 1996 ha riconosciuto ufficialmente che gli anni fra il 1945 al 1990 hanno significato un periodo di torti nei confronti di migliaia di cittadini dell’Istria e del Goriziano che nel periodo del dopoguerra sono stati costretti ad abbandonare le proprie case. Con ciò il governo sloveno ha, anche se con importi minimi, riconosciuto che il regime di quegli anni era un regime antidemocratico, per cui ai profughi va riconosciuto un legittimo indennizzo. Da questo atto che interessa giustamente il popolo degli esodati è ancor sempre escluso il popolo dei rimasti che, nonostante abbia più volte richiesto un risarcimento morale e materiale per i torti subiti, è ancora lì ad aspettare. Va aggiunto che non sono stati quei pochi singoli ligi al potere imperante del momento a legittimare il comportamento del regime nei confronti della popolazione locale. La ricerca dei verbali delle venti sessioni ordinarie del Comitato Misto italojugoslavo, istituito in forza dell’art. 8 dello Statuto Speciale (allegato II del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954) non è stata una ricerca facile. Una prima informazione mi venne dal capodistriano Črtomir Kolenc che, come è stato lui stesso a confermarlo, era stato presente a tutte le riunioni del Comitato Misto in qualità di “esperto” della delegazione jugoslava. Alla richiesta di rendermi possibile una prima visione, mi rispose che lui disponeva soltanto della versione in lingua serbo-croata e che, forse, mi sarebbe stato più comodo entrare in possesso della versione in lingua italiana, ugualmente valida. Mi consigliò di rivolgermi direttamente all’altro “esperto”, questa volta di parte italiana, l’avv. Guido Gerin, di Trieste che, nel frattempo aveva istituito e stava dirigendo un importante istituto Internazionale per i diritti umani, sotto l’egida dell’Unesco. Alla richiesta di un’intervista per TV Capodistria, non ne volle parlare, e alla domanda se era in possesso, lui o il suo istituto, della versione italiana dei verbali della commissione italo-jugoslava, rispose seccamente di non disporre di alcun materiale riguardante la Commissione Mista. Continuai con le richieste presso il Consolato Generalo d’Italia a Capodistria e anche, ricordo, spiegando i motivi ad uno degli ambasciatori italiani a Lubiana. Non è che ottenni una risposta negativa, in quanto una risposta vera e propria non mi venne mai comunicata. Senza risposta anche una telefonata all’Archivio storico del MAE. Per cui, i due poderosi fascicoli che da anni tenevo in cassetto probabilmente sarebbero rimasti ancora li, se nel frattempo, due professoresse delle nostre istituzioni scolastiche, visto il rapido decadimento di uno dei grossi risultati conseguiti proprio dal Comitato Misto, i seminari di lingua e cultura italiana per

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le nostre scuole, non si fossero intestardite a promuovere il progetto nel 50.esimo anniversario della loro istituzione. Fu così, che i verbali - in lingua serbocroata - vennero alla luce ancora una volta. E fu così. che, dopo una ventina d’anni, li ripresi in mano pure io e, armato di pazienza, decisi di tradurli uno per uno. Credo, comunque, che a convincermi siano state anche le considerazioni che avevo letto su alcune pagine, credo inedite, del diario del primo Console Generale Italiano di Capodistria, Guido Zecchin. Considerazioni che, probabilmente, mi fornirono lo stimolo necessario assieme alla chiave di lettura dei due grossi fascicoli contenenti i verbali delle venti sedute della Commissione mista italojugoslava prevista dall’Accordo speciale del Memorandum di Londra del 1954, e operante dal 1957 al 1973. Mi rendo conto dei pericoli che la pubblicazione di documenti in una versione tradotta, senza disporre dell’originale, può comportare, anche a livello di contenuti e significati. Tuttavia, ritengo che il lavoro meriti di essere conosciuto perché, come ebbi avuto occasione di dire recentemente, da appartenente al “gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava” (termine usato rigorosamente durante tutta la durata della Commissione), mi ritrovavo in tutti i capitoli e in tutti i verbali, indipendentemente dagli argomenti trattati. Dal cambio dei cognomi, al trasferimento d’obbligo da una scuola italiana in una scuola slovena, alla modifica dei toponimi, alla modifica delle circoscrizioni amministrative comunali e distrettuali, all’uso della lingua italiana, alla situazione delle nostre scuole, agli insegnanti che non conoscevano la lingua italiana. All’impossibilità di manifestare apertamente il proprio credo nazionale e politico! La Commissione era stata istituita dall’Accordo che concludeva senza un esito positivo l’esperienza del Territorio Libero di Trieste per tutelare - pur nelle difficili condizioni politiche ed economiche del dopoguerra - la presenza delle due minoranze etniche, italiana in Jugoslavia e slovena in Italia, che il nuovo confine tagliava fuori dalle rispettive matrici nazionali. In Istria, passata sotto amministrazione jugoslava, il documento riguardava quella parte della Comunità Italiana che per sette anni era entrata a far parte del Territorio Libero di Trieste. ma senza comprendere anche la maggioranza della popolazione italiana che, allora come oggi, abitava il resto dell’Istria, pur se in gran parte esodata dopo il 1945 e il 1947. In Italia, la tutela prevista riguardava quella parte della Comunità Slovena, presente nell’ex Zona A del TLT, quindi nella provincia di Trieste, senza, però, che il documento comprendesse anche le Valli del Natisone e le altre aree della provincia di Gorizia e di Udine, pure abitate da Sloveni. Va ricordato, ancora, che al momento della firma del Memorandum di Londra, le popolazioni dall’una e dall’altra parte del confine risultavano ancora relativamente integre e, pur anticipandone gli sviluppi successivi, non registravano ancora quell’esodo massiccio della popolazione italiana che dopo il 1954, comprese anche la Zona B del TLT, ma iniziato già a partire dal 1953, dal momento cioè quando era evidente che l’esperienza del TLT si stava concludendo negativamente. Dalle note del Console Generale Zecchin, nonostante una chiara illustrazione delle condizioni riscontrate al suo arrivo in territorio istriano, soprattutto per quanto riguarda la posizione della componente italiana, va sottolineata in particolare la percezione, assolutamente negativa, della volontà dello Stato Italiano di comprendere la situazione presente nella Zona B dell’allora TLT, e di avviare

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delle iniziative che, secondo lui, avrebbero potuto realmente agevolare e tutelare la popolazione locale ancora legata a sentimenti di chiaro riferimento italiano, collettivi e individuali. Scrive Guido Zecchin nel suo diario: “La situazione, come è facile comprendere, si presentava ben difficile e quasi disperata. Tutta la popolazione era in continua ansia, l’ ansia di evitare guai, quei guai che le potevano provenire da un’ azione o da una reazione della polizia. È un punto questo che, per quanto importante, è meglio lasciare all’ immaginazione del lettore. Mi preme però rilevare che l’azione esercitata dalla polizia sull’ ambiente aveva portato nell’ epoca precedente al mio arrivo ad una situazione intollerabile per cui il rappresentante italiano e i suoi collaboratori, cioè la Rappresentanza del Governo Italiano, erano tenuti completamente staccati e separati dall’ ambiente. La gente quindi non si arrischiava a recarsi negli uffici consolari e se qualcuno avvicinava un impiegato della Rappresentanza veniva subito sottoposto ad interrogatori vessatori e intimidatori. In altre parole, salvo gli esodanti e qualche rara persona che aveva bisogno di un visto sul passaporto, nessun altro si arrischiava a passare la soglia della Rappresentanza e ad avvicinare i suoi membri. Isolamento completo, davvero sconfortante”. Credo che sia proprio nell’atmosfera descritta nel diario del primo Console Generale d’Italia a Capodistria, Guido Zecchin, che vanno visti e interpretati i contenuti delle venti sedute della Commissione Mista, dal 1957 al 1973. Venti sedute, nel corso delle quali, di fronte ad una preponderanza di iniziative da parte jugoslava, volte ad agevolare e promuovere nazionalmente, culturalmente ed economicamente la minoranza slovena, veniva riscontrata una presenza italiana quasi bloccata da un sentimento di disappunto per la perdita dell’Istria e della Dalmazia, ma, soprattutto, di inerzia e fastidio nei confronti della Comunità Italiana, colpevole, forse, dell’aver comunque deciso di rimanere a casa propria e di non aver voluto seguire l’onda - conclusasi nel 1956 - dell’esodo. Il 21 dicembre 1973, dunque, a Belgrado, venne firmato il verbale della XX sessione del Comitato Misto Italo-jugoslavo, previsto dall’art. 8 dello Statuto speciale, allegato II del Memorandum d’Intesa di Londra del 5 ottobre 1954. Venti sessioni di un organismo che dal 1957 era stato chiamato a trattare, discutere e possibilmente risolvere e promuovere innumerevoli questioni riguardanti la vita e la posizione della Comunità Italiana in Jugoslavia e della Comunità Slovena in Italia. La base giuridica per l’istituzione di questo organismo bilaterale era stata assicurata con l’approvazione del Memorandum d’Intesa di Londra, con il quale veniva risolta la questione di Trieste e del Territorio Libero di Trieste che, a partire dal 1947 (Trattato di pace con l’Italia di Parigi), divideva l’area nella Zona A, sotto amministrazione delle forze d’occupazione alleate, e nella Zona B, sotto amministrazione delle forze d’occupazione jugoslave. Il Memorandum di Londra è un atto del diritto internazionale in cui le parti contraenti erano rappresentate da Italia, Gran Bretagna e USA, mentre Francia e Unione Sovietica figuravano come Paesi che avevano preso atto di esso, proprio come il Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Dal punto di vista contenutistico il Memorandum modificava e in parte rappresentava un aggiornamento del Trattato di Pace tra la Jugoslavia e l’Italia del 10 febbraio 1947. Infatti, il Memorandum tracciava una nuova delimitazione

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confinaria tra Italia e Jugoslavia, visto che dopo l’Accordo il confine di Stato tra i due Paesi per circa 22 chilometri non era più identico con la precedente linea di demarcazione che divideva le zone A e B prevista dal Trattato di Pace per quanto riguardava il costituendo Territorio Libero di Trieste (TLT). Il Memorandum, infatti, modificava la linea confinaria a favore della Jugolavia. assegnandole, oltre a tutto il territorio dell’ex Zona B, anche una piccola fetta dell’ex Zona A, il che però, a detta degli stessi jugoslavi, non influiva minimamente sul significato politico della modifica. Come noto, nel Memorandum di Londra si trattavano anche alcuni aspetti riguardanti il Porto di Trieste (mai realizzati dai due Paesi), e impegnando Italia e Jugoslavia a non permettere o discriminare - con misure di legge o amministrative - gli abitanti delle due Zone per attività svolte in merito alla soluzione del problema del TLT. L’Accordo prevedeva pure la stipula di accordi specifici riguardanti il traffico ed il movimento delle persone nell’area confinaria (da ricordare i successivi accordi bilaterali di Udine del 1955 e del 1962). Infine, Il Memorandum prevedeva per gli abitanti delle due aree, la possibilità di trasferimento e di soluzione dei problemi patrimoniali, anche se il previsto accordo per la soluzione delle questioni patrimoniali non venne mai stipulato. Di particolare interesse per le due minoranze etniche, il Memorandum all’art. 4 stabiliva che “I Governi italiano e jugoslavo concordano di dare esecuzione allo Statuto speciale contenuto nell’Allegato II”. Interessante constatare che lo Statuto Speciale, che pur era soltanto un allegato del Memorandum, venne considerato a livello di norma bilaterale, stipulata concretamente con la firma dei delegati italiano e jugoslavo, mentre figurano inclusi nel documento generale del Memorandum assieme ai quattro Stati firmatari. Il testo originale inglese del Memorandum, il solo da prendere in considerazione per una interpretazione del Memorandum e degli allegati, all’art. 4 usa il verbo “to enforse”, che ha provocato non poche difficoltà nella diversa interpretazione all’interno del Comitato misto, con gli jugoslavi che l’hanno tradotto con “uveljaviti” e gli italiani che hanno optato per “dare esecuzione”. Gli jugoslavi sostenevano, infatti, che già l’art. 8 dello Statuto Speciale prevedeva concretamente la costituzione del Comitato Misto. Trattandosi di una norma fondamentale per la costituzione e per l’attività del Comitato, per rendere più chiaro il motivo delle diverse interpretazioni riportiamo direttamente il testo nella versione italiana; “Una speciale Commissione mista italo-jugoslava verrà istituita con compiti di assistenza e consultazione sui problemi relativi alla protezione del gruppo etnico jugoslavo nella zona sotto amministrazione italiana e del gruppo etnico italiano nella zona sotto amministrazione jugoslava. La Commissione esaminerà altresí i reclami e le questioni sollevate da individui appartenenti ai rispettivi gruppi etnici in merito alla esecuzione del presente Statuto. I Governi italiano e jugoslavo faciliteranno le visite di tale Commissione alle zone sotto la loro amministrazione e accorderanno ogni agevolazione per l’assolvimento dei suoi compiti. I due Governi si impegnano a negoziare immediatamente un particolareggiato regolamento relativo al funzionamento della Commissione.” In effetti, quest’ultima clausola venne realizzata abbastanza presto, tanto che le delegazioni di Jugoslavia e di Italia si incontrarono a Roma già il 16 febbraio 1955 per firmare il Regolamento della Commissione Mista italo-jugoslava, come previ-

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sto dall’art. 8 dello Statuto Speciale. Il Regolamento venne ratificato dal Consiglio Esecutivo federale della RPFJ il 15 giugno dello stesso anno, mentre l’Italia lo approvò il 27 novembre del 1956. Di fatto, con queste ratifiche vennero poste le basi perché il Comitato Misto potesse diventare operativo. Infatti, la prima sessione ebbe luogo a Roma nei giorni dal 21 al 23 maggio 1957. Come ebbe a ribadire qualche anno più tardi lo sloveno Ivo Murko, che faceva parte della delegazione jugoslava, la riunione romana ebbe soltanto un carattere conoscitivo per permettere ai rispettivi membri ed esperti l’occasione di conoscersi, mentre il dibattito di merito venne rinviato alla seconda sessione svoltasi, questa volta a Belgrado, dal 6 al 16 novembre dello stesso anno. Le diverse modalità con cui gli allegati erano entrati in vigore dal punto di vista formale e giuridico rappresentarono, appena ebbe inizio il dibattito meritorio del Comitato Misto, un evidente ostacolo per un confronto aperto e propositivo sulle questioni minoritarie. Vista la situazione con gli occhi di oggi e con il senno di poi, si potrebbero fare numerose osservazioni sulla evidente disparità che le due comunità minoritarie si trovavano ad affrontare sia da punto di vista pratico, che di quello più rigorosamente giuridico e legale. Per quanto riguarda la Comunità nazionale italiana tre erano gli elementi che pregiudicarono in maniera rilevante una soluzione per quanto possibile accettabile. Innanzitutto il fatto che le previste forme di tutela e di salvaguardia delle peculiarità nazionali riguardavano soltanto il territorio dell’ex Zona B, da Capodistria al Quieto, lasciando fuori tutto il territorio istriano, annesso alla Repubblica Popolare federativa di Jugoslavia sin dal 1945 e, poi, dal 1947 in base al Trattato di Pace di Parigi. In secondo luogo, al momento dell’entrata in vigore del Memorandum di Londra e, specificatamente, dell’ allegato Statuto Speciale, tutta l’area della Zona B si era ormai completamente svuotata della popolazione italiana in seguito al massiccio esodo che si protrasse dal 1953 al 1956, tanto che, per svolgere alcuni ruoli pubblici, anche all’interno della componente italiana, il potere si vide costretto a importare risorse umane che conoscevano - più o meno - l’italiano, sia dalle altre città istriane, ma anche - soprattutto per le funzioni più delicate - da esponenti della minoranza slovena fatti venire dalla vicina Trieste e da Gorizia, perché ritenuti più ligi e fedeli all’imperante ideologia comunista. Terzo elemento che non consentiva nemmeno un paragone anche approssimativo tra gli Italiani della Zona B e gli Sloveni della Zona A, il fatto che i primi erano costretti in una cintura ideologica che di per sè vietava qualsiasi legame con il tessuto culturale italiano o istroveneto in una cornice di generale emarginazione e di insicurezza personale e comunitaria, provocate dall’eliminazione della proprietà e dell’iniziativa privata, dall’esproprio delle terre, dalla messa al bando della religione e, non ultimo, l’aver privato la componente italiana della propria classe intellettuale, compresi parroci e religiosi che videro chiudersi alcuni dei più significativi luoghi del culto, come i conventi. Ultimo elemento determinante per un funzionamento del Comitato Misto, che prevedeva consultazioni e visite sul territorio, l’assoluta impossibilità per gli appartenenti alla Comunità Italiana di incontrarsi liberamente con esponenti del governo italiano o, anche, semplicemente del Consolato generale italiano di Capodistria. A poco, o niente, è servita la clausola presente nel Memorandum, con la quale “I Governi italiano e jugoslavo convengono di non intraprendere alcuna azione giudiziaria o amministrativa diretta a sottoporre a procedimenti o discriminazioni la persona o i beni di qualsiasi residente nelle zone che vengono sottoposte alla loro amministrazione

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civile in base al presente Memorandum d’intesa per passate attività politiche connesse con la soluzione del problema del Territorio Libero di Trieste.” È indubbio, comunque, che la Jugoslavia si dimostrò subito più ricettiva nell’organizzarsi adeguatamente, e ciò per tutta una serie di motivi. Credo risalga proprio a quel periodo uno degli slogan che la Slovenia incominciò a manifestare con forza in merito alle proprie minoranze fuori dal territorio nazionale: il concetto del cosiddetto “Spazio culturale unitario sloveno”, secondo il quale - dal punto di vista culturale e nazionale - le minoranze residenti fuori dallo Stato nazionale andavano considerate appartenenti al corpo nazionale unitario e come tali considerate nel definire le diverse strategie di tutela e di comportamento anche nei confronti degli Stati di residenza. Proprio questo concetto costrinse la Slovenia a impegnarsi in tutto il periodo postbellico, fino ai giorni nostri, nel rivendicare dagli Stati limitrofi norme di tutela unitarie per tutta la minoranza, indipendentemente dalle circoscrizioni amministrative in cui veniva circoscritta la loro presenza e giurisdizione. Un concetto che lo stesso Ivo Murko, sin dall’inizio membro e vicepresidente jugoslavo della Commissione Mista, aveva ribadito affermando che sarebbe stato certamente più utile e opportuno se “la Commissione avesse avuto la possibilità di operare su tutto il territorio dove era presente la minoranza, e non soltanto nell’ambito dei territori già appartenuti al Territorio Libero di Trieste”. Il commento, naturalmente, riguardava soltanto la posizione della minoranza slovena che, allora, e nei decenni successivi era divisa tra le provincie di Trieste, Gorizia e Udine, con diversi gradi di tutela. Da qui, anche la lunga lotta portata avanti dalla stessa Comunità minoritaria con il pieno sostegno politico e diplomatico della Slovenia, e prima della Jugoslavia, per l’approvazione di una Legge di tutela globale degli Sloveni in Italia. In nessun momento, però, questo concetto risultò preso in considerazione ed espresso anche nei confronti della minoranza italiana, a sua volta divisa tra tutto il territorio istriano, che apparteneva alla Jugoslavia già dal 1945, e quello della Zona B del TLT che riguardava soltanto una piccola parte numerica della Comunità Italiana, anche questa poi ulteriormente divisa tra le Repubbliche di Slovenia e di Croazia. Nè l’Italia pose mai il problema ufficialmente sul tavolo dei negoziati bilaterali e, nemmeno, all’ordine del giorno della Commissione Mista. È stata la stessa Comunità Italiana che, nei primi anni ‘70 pose il problema chiedendo formalmente che anche per il resto dell’Istria venissero assicurate le stesse norme di tutela entrate in vigore con la Costituzione slovena del 1974. Una richiesta che venne subito troncata dal potere e che porto l’allora presidente dell’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, Antonio Borme, ad essere destituito dalla carica. Da parte dello Stato italiano venne registrata soltanto qualche piccola reazione sulla stampa triestina, ma senza che il fatto potesse diventare direttamente argomento di dibattito nei colloqui tra Italia e Jugoslavia. Una risposta a questo atteggiamento, forse, si trova in alcune righe del già citato diario del primo Console Generale d’Italia a Capodistria, Guido Zecchin, quando sottolineò che: “E noi cosa facciamo? Nulla o quasi nulla. Non che siano mancate le manifestazioni culturali italiane [ciclo di recite della Compagnia Baseggio, 1957, spettacolo della RAI-TV, 1959]. Ma gli applausi unanimi e l’ entusiasmo traboccante non hanno potuto avere la forza di segnare la nuova strada. E, occorre dirlo

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e dirlo chiaramente, non già per la resistenza jugoslava che almeno in un primo momento non si faceva sentire, ma per il fatto – davvero strabiliante – che Roma non aveva una sensibilità tale da giungere al punto di dare delle modeste somme, veramente modeste, per le necessarie spese organizzative. E così le fatiche, gli sforzi, i sacrifici fatti con tenace fede dalla Rappresentanza di Capodistria dovevano sboccare in manifestazioni più modeste. Doveva limitarsi all’ organizzazione di conferenze [Marussi, Urbani, Berto, K-2, Divina Commedia, astronautica… Mostra del libro italiano (2), Soldati…]. Ma ben altre iniziative mi avevano fatto sognare e qualche volta perdere letteralmente il sonno. Non ho trovato i miei interlocutori sordi. Dirò anzi che, pur passando le mie richieste attraverso al fitto setaccio slavo-comunista, essi hanno dato, quasi sempre, prova di preparazione e di intelligenza. Ed anche un alleviamento delle condizioni del nostro gruppo etnico non è mancato. Ma qui il discorso si fa più lungo. Gli interessi sono complessi e l’influenza nefasta del Memorandum si fa particolarmente sentire. Vi incide anche la nazionalità. Ho già osservato che lo sloveno è più ricettivo, anche se maggiormente calcolatore, del croato più vago e lontano. Lo sloveno è riflessivo ma sa giungere a conclusioni perspicaci. Inoltre ha necessità di ben comprendere il senso di reciprocità effettiva implicato nei nostri rapporti. Poi vi è la soddisfazione, umana prima che politica, di esser giunto, lo sloveno, al mare. Il mare! Quanto fascino ha l’Adriatico per questo popolo tenace! Quanta aperta soddisfazione a poter esser padroni del cosiddetto Litorale e della sua perla: Capodistria!” Credo che le righe tracciate a suo tempo dal Console Zecchin riescano meglio di qualsiasi commento di natura storica a tracciare la situazione in cui si trovava in quel periodo la Comunità Nazionale Italiana. Una situazione che era caratterizzata, dal punto di vista di una reale possibilità di intervento della Commissione mista, dall’impossibilità pratica da parte della Comunità italiana di contattare direttamente la Commissione o qualsiasi altro segmento della diplomazia italiana, contrariamente a quanto succedeva per la Comunità slovena del Friuli Venezia Giulia che, liberamente, potevano venire a contatto diretto con gli esponenti sloveni e jugoslavi della Commissione. Dal momento della sua istituzione fino alla sua conclusione, la Commissione Mista si riunì per ben venti volte, almeno stando ai verbali delle relative sessioni resi pubblici, almeno nell’ex Zona B, ad eccezione delle riunioni II,III, V, X e XI. La nostra ricerca riguardante le materie trattate in merito alla Comunità Italiana, purtroppo, è limitata ai verbali, abbastanza consistenti, in lingua serbo-croata. È quasi certo, pertanto che, certe definizioni che, per ragioni di comprensione, sono state tradotte dal serbo-croato in italiano possano comportare qualche problema di veridicità giuridica. In ogni caso, i verbali di cui disponiamo, alcuni dei quali su copie abbastanza malandate, superano addirittura la quarantina di pagine. Grosso modo, tuttavia, questa la successione delle relative sedute: Roma, dal 21 al 23 marzo 1957

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(presidenti delle rispettive delegazioni: Mitja Vošnjak e Cesare Pasquinelli); Belgrado, dal 6 al 10 novembre 1957 (presidenti: Mitja Vošnjak e Cesare Pasquinelli); Roma, dal 1 al 18 luglio 1958 (presidenti: Berislav Žulj e Cesare Pasquinelli); Belgrado, dal 9 al 21 febbraio 1959 (presidenti: Berislav Žulj e Vitaliano Confalonieri); Roma, dal 26 ottobre al 9 novembre 1959 (presidenti: Berislav Žulj e Vitaliano Confalonieri); Belgrado, dal 27 giugno al 9 luglio 1960 (presidenti: Berislav Žulj e Vitaliano Confalonieri); Roma, dal 20 febbraio al 10 marzo 1961 (presidenti: Berislav Žulj e Manlio Castronuovo); Belgrado, dal 4 al 16 dicembre 1961 (presidenti: Mitja Vošnjak e Manlio Castronuovo); Roma, dal 20 novembre al 4 dicembre 1962 (presidenti: Mitja Vošnjak e Manlio Castronuovo); Belgrado, dal 12 al 18 dicembre 1963 (presidenti: Mitja Vošnjak e Manlio Castronuovo); Roma, dal 9 al 17 dicembre 1964 (presidenti: Mitja Vošnjak e Giulio Pascucci-Righi); Belgrado, dal 9 al 16 dicembre 1965 (presidenti: Mitja Vošnjak e Giulio Pascucci-Righi); Roma, dal 24 ottobre al 3 novembre 1966 (presidenti: Zvonko Perišić e Giulio Teruzzi); Belgrado, dal 13 al 23 novembre 1967 (presidenti: Zvonko Perišić e Gian Luigi Milesi-Ferretti); Roma, dal 7 al 16 novembre 1968 (presidenti: Zvonko Perišić e Gian Luigi Milesi-Ferretti); Belgrado, dal 15 al 20 dicembre 1969 (presidenti: Zvonko Perišić e Gian Luigi Milesi-Ferretti); Roma, dal 20 al 30 ottobre 1970 (presidenti: Zvonko Perišić e Gian Luigi Milesi-Ferretti); Belgrado, dal 19 al 26 ottobre 1971 (presidenti: Zvonko Perišić e Gian Luigi Milesi-Ferretti); Roma, dal 14 al 21 ottobre 1972 (presidenti: Zvonko Perišić e Gian Luigi Milesi-Ferretti); Belgrado, dal 17 al 21 dicembre 1973 (presidenti: Zvonko Perišić e Gian Luigi Milesi-Ferretti).

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E, infine, perché il titolo “Diario di una Comunità sacrificata” scelto per presentare i venti verbali della Commissione Mista Italo-Jugoslava, voluta dal Memorandum d’Intesa di Londra del 1954 e rimasta in attività dal 1957 al 1973? Perché, a partire dal 1954, cioè dalla fine del mai realizzato Territorio Libero di Trieste, il Trattato ha provocato conseguenze angoscianti per tutta la Comunità Italiana da secoli residente nell’area, sia per gli Italiani esodati, sia per quelli che avevano deciso di rimanere. Il dolore del distacco, che ha colpito tutte le famiglie per esser stati costretti ad un percorso di vita, di storia, di tradizioni, di cultura, di beni spirituali e materiali, che mai più sarebbe stato possibile ricomporre. Tutto per rendere più facile il trapasso del potere da chi, alla fine della guerra, venne a trovarsi tra i vincitori e che, invece, doveva subire il castigo per aver voluto quelle guerra, con la nascita di un territorio ad una sola dimensione etnica, storica, culturale ed umana. La prima volta, il concetto del “sacrificio” venne usato all’inizio degli anni Ottanta, ad uno dei primi convegni o incontri tra esodati e rimasti nel capoluogo giuliano. Tra mille diffidenze e mille timori, il prof. Guido Miglia, rivolto a me che rappresentavo la Comunità Italiana in Istria, disse con molta franchezza e qualche spunto di astio, che “noi, che eravamo rimasti in Istria, avremmo dovuto lottare fino al sacrificio per mantenere l’italianità del’Istria!” Rimasi scosso da quelle parole così dure che arrivavano da un personaggio come il Miglia che, ai tempi del “Piccolo” di Chino Alessi, seguivamo di nascosto per leggere i suoi commenti, sempre intelligenti ed ispirati, sull’esodo e sull’Istria. Ricordo di aver risposto, probabilmente con una dose di inconsapevole arroganza, sicuro di non dover coprire né colpe mie, né di altri, che è stato proprio il nostro sacrificio ad aver assicurato ancora sempre la pur modesta testimonianza italiana in Istria. Solo più tardi, pensando spesso alle sue parole, credendo che chi le aveva profferite forse cercava di addebitarci una responsabilità che non era nostra, e che le migliaia di persone ancora presenti sul territorio istriano non potevano e non dovevano venir identificate con quelle poche decine di individui che avevano fatto una scelta ideologica o di semplice opportunismo. Il “sacrificio” voluto, progettato e realizzato da altri, aveva colpito, sempre dolorosamente, chi era rimasto non meno di chi era andato via: entrambi i tronconi di una Comunità costretti a ripensare ed a ricostruire un nuovo possibile progetto di vita in altre terre con altre genti. “Comunità sacrificata” al singolare - come recita i titolo - perché il Memorandum di Londra ed il Comitato Misto, stanno a testimoniare il tardivo senso di colpa (o, forse, di reponsabilià) di coloro che avevano contributo a progettare ed a realizzare - vinti e vincitori - un territorio etnicamente pulito, cancellando storie di vita e di morte, di tradizioni e culture costruiti nei secoli e nei millenni. Ma lasciandone l’iniziativa alla sensibilità dei soli governi italiano e jugoslavo: se lo stesso senso di sensibilità e di responsabilità fossero stati usati anche nel 1947 dalle Grandi Potenze che dettarono legge alla Conferenza di pace di Parigi, forse, qualche decina di migliaia di Italiani della Dalmazia, del Quarnero, di Fiume, di Pola e dell’Istria, e perché no?, anche della Zona B del TLT, nonostante l’arrivo del regime comunista, avrebbero scelto di restare a casa propria.

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Per rendere più comprensibile l’atmosfera in cui operava la Commissione mista, riportiamo nelle Note che seguono il testo italiano del Regolamento della Commissione che, in Jugoslavia venne pubblicato nelle due lingue ufficiali sul No. 36 del Bollettino del Ministero degli esteri di Belgrado “Medjunarodni Ugovori FNRJ” nel 1956. (1)

Note

(1) REGOLAMENTO DEL COMITATO MISTO ITALO-JUGOSLAVO PREVISTO DALL’ART. 8 DELLO STATUTO SPECIALE (ALLEGATO II DEL MEMORANDUM D’INTESA DI LONDRA - Il presente Regolamento è stato ratificato dal Consiglio Esecutivo Federale il 15 giugno 1955 e pubblicato nel supplemento No.1 della Gazzetta Ufficiale della R.P.F.J. del 16 gennaio 1956) Art. 1 Il Comitato Misto italo.-jugoslavo, previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale, è organo di assistenza e di consultazione che viene istituito per facilitare l’accordo fra i due Governi nei problemi relativi alla protezione dei rispettivi gruppi etnici. Art. 2 Il Comitato è composto di quattro membri, di cui due nominati dal Governo italiano e due dal Governo jugoslavo. Ogni Governo può nominare uno o due supplenti e, quando necessario, uno o due esperti. Le nomine e le eventuali sostituzioni sono notificate dall’uno all’altro Governo in via diplomatica. Le prime nomine dei membri del Comitato sono notificate nel termine di quindici giorni dall’entrata in vigore del presente Regolamento. Art. 3 Il Comitato esamina, nel quadro dello Statuto Speciale, le questioni ad esso sottoposto dai due Governi o da uno di essi, a norma del successivo art. 4, nonché i reclami e le questioni presentati, a norma del successivo art. 5, dagli appartenenti ai rispettivi gruppi etnici, e formula al riguardo pareri e raccomandazioni ai Governi. Art. 4 Le questioni che il Comitato è competente ad esaminare su iniziativa governativa sono: a) questioni che i due Governi convengono che siano sottoposte all’esame del Comitato; b) questioni, comprese quelle riguardanti l’adattamento della legislazioni alle disposizioni dello Statuto Speciale, che il Governo italiano o quello jugoslavo sottopone all’esame del Comitato, due mesi dopo averne data comunicazione all’altro Governo.; c) questioni relative alla chiusura di scuole (art. 4, lett. c dello Statuto Speciale).

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Art. 5 Gli individui appartenenti all’uno o all’altro dei due gruppi etnici e le loro organizzazioni economiche, educative, culturali, sociali e sportive, che si pretendono vittime di una violazione dei diritti garantiti dallo Statuto Speciale, hanno diritto di presentare reclami al Comitato. Tale diritto non può, tuttavia, essere esercitato se non previo esaurimento delle vie di ricorso stabilite dalla legislazione vigente, a meno che, quando si tratti di ricorso amministrativo, non siano scaduti sei mesi dalla sua presentazione alle Autorità competenti senza che sia intervenuta decisione per ritardo non giustificato. Gli individui e le organizzazioni di cui al primo comma del presente articolo hanno, inoltre, diritto di sottoporre al Comitato questioni relative all’esecuzione dello Statuto Speciale alle quali siano direttamente interessati. Essi, in particolare, hanno il diritto di sottoporre al Comitato questioni riguardanti la legislazione per incompatibilità con le disposizioni dello Statuto Speciale. Non possono, tuttavia, essere sottoposte al Comitato questioni, se non trascorsi sei mesi dalla loro sottoposizioni alle competenti autorità. Art. 6 Il Comitato dichiara non ricevibili le richieste introdotte in violazione del comma secondo e del comma quarto del precedente articolo, nonché quelle da esso ritenute incompatibili con le disposizioni dello Statuto Speciale, manifestamente infondate o abusive. Il Comitato non procede all’esame di un reclamo o di una questione quando, su comunicazione dei due Governi, risulti che il reclamo è stato accolto o che alla questione è stata data una risposta soddisfacente. Art, 7 Il Comitato, quando se ne constati l’opportunità per facilitare lo svolgimento dei compiti affidatigli, effettuerà visite nei territori abitati dai gruppi etnici. Le visite avranno luogo su proposta dell’uno o dell’altro Governo, o su raccomandazione del Comitato, in seguito ad accordo fra i due Governi anche per quanto si riferisce all’epoca alle modalità ed al programma della visita. Ciascun Governo provvederà a dare alle superiori Autorità di zona da lui dipendenti le istruzioni necessarie perché ogni assistenza e facilitazione sia prestata ai membri del Comitato in visita, sia per quanto concerne i contatti dei membri del Comitato con gli appartenenti ai gruppi etnici sia per ogni altra forma di esercizio delle loro funzioni. Art. 8 Il Comitato formula i suoi pareri e raccomandazioni all’unanimità. In mancanza di unanimità, le opinioni dei singoli membri sono dettagliatamente verbalizzate. Dei risultati dei lavori del Comitato viene data pronta comunicazione ai due Governi, che si terranno in contatto per il seguito da dare ai lavori del Comitato. Art. 9 Il Comitato si riunisce in sessione ordinaria due volte all’anno, nei mesi di aprile e di ottobre, e in via straordinaria ogni qualvolta la sua riunione sia concordata dai due Governi. Le sessioni del Comitato hanno luogo alternativamente nelle due Capitali. Un membro italiano e un membro jugoslavo, oltre alle normali funzioni di membri del Comitato, saranno chiamati alternativamente, su designazione

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dei rispettivi Governi, ad esercitare le funzioni di Presidente, rimanendo in carica dall’inizio di una sessione all’inizio della sessione successiva. Art. 10 Le lingue ufficiali del Comitato sono l’Italiano e una delle lingue jugoslave. Art. 11 Per assistere il Comitato nei suoi lavori, è costituito un Ufficio di Segreteria del Comitato Misto, con una sezione permanente in ciascuna Capitale. Ciascun Governo nomina un Segretario, che è preposto alla sezione della rispettiva Capitale. Le sezioni dell’Ufficio di Segreteria ricevono gli atti relativi alle questioni ed ai reclami di cui agli articoli 4 e 5 senza ritardo se ne scambiano copia per l’immediata comunicazione ai Governi ed ai membri del Comitato. Art. 12 Il processo verbale dei lavori del Comitato, redatto nelle due lingue ufficiali, è sottoscritto dai membri del Comitato e dai segretari. Il Presidente del Comitato comunica ai due Governi ogni processo verbale, corredato della documentazione e delle informazioni del caso. Art. 13 Ai membri del Comitato, ai loro supplenti ed al segretario nominati da ciascun Governo è accordato dall’altro Governo il godimento dei privilegi e delle immunità diplomatiche. Agli esperti nominati da ciascun Governo è riconosciuto dall’altro Governo il trattamento diplomatico per il compimento dei lavori loro affidati. Art. 14 Il presente Regolamento sarà sottoposto all’approvazione dei due Governi ed entrerà in vigore con la notificazione di tale approvazione mediante scambio di note. Esso potrà essere denunciato con preavviso di sei mesi. Fatto, a Roma, in duplice originale, il giorno 16 febbraio 1955, in lingua italiana e serbo-croata, entrambi i testi facendo egualmente fede. Per il governo della Per il Governo Repubblica Federativa . della Repubblica Italiana Popolare di Jugoslavia, Renzo Carrobio di Carrobio, m.p Petar Ivičević, m.p.

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Capitolo I La Prima Sessione ordinaria del Comitato Misto Per quanto riguarda la prima seduta della Commissione mista, che si tenne a Roma dal 21 al 23 maggio 1957, è interessante rilevare che nella documentazione in nostro possesso, e che come abbiamo già rilevato, è stata tradotta dalla versione serbo-croata di provenienza jugoslava, esistono due documenti ben distinti: il verbale, sottoscritto da tutti i membri della delegazione, esclusi segretari ed esperti, ed una relazione sui lavori scritta successivamente a Trieste dal Presidente della delegazione jugoslava, Mitja Vošnjak, che nel capoluogo giuliano ricopriva già la carica di Console Generale della R.P.F.di Jugoslavia, proprio in forza delle clausole del Memorandum e dell’ allegato Statuto Speciale (1). Va anche precisato, a scanso di equivoci d’interpretazione, che lo Statuto Speciale ed il Regolamento fanno riferimento ad una “Commissione mista italo-jugoslava”, ma l’organismo è stato sempre identificato come “Comitato Misto italo-jugoslavo”, e con questa definizione è sempre presente anche nelle nostre pagine. Per rendere più comprensibile l’atmosfera in cui operava la Commissione mista riportiamo più sotto la traduzione del verbale, mentre il testo della relazione è inserito nelle Note. Verbale della I sessione ordinaria della Commissione mista jugoslavo-italiana prevista dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954 tenutasi a Roma dal 21 al 23 maggio 1957. Presenti Per la Jugoslavia: - Mitja Vošnjak - I membro effettivo - Ivo Murko - II membro effettivo - Dušan Karič - I membro supplente - Vojko Flego - II membro supplente - Uroš Markič - segretario - Črtomir Kolenc - esperto - Franjo Mičetić - esperto

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Per l’Italia: - Cesare Pasquinelli - I membro effettivo - Mario Capon - II membro effettivo - Benedetto Fenzi - I membro supplente - Vincenzo Molinari - II membro supplente - Giovanni Saragat - segretario - Avv. Guido Gerin - esperto Presente ancora per la Jugoslavia: - Nada Kapun - interprete Presenti Per l’Italia: - Maria Luisa Prazio - interprete - Elvira Brencia - interprete Dopo aver preso in esame le questioni esposte, il Comitato Misto ha concordato le seguenti raccomandazioni: I) Presidenza del Comitato In merito all’art. 9 del Regolamento il Comitato Misto è d’accordo che le funzioni di Presidente del Comitato spettino al membro jugoslavo quando le sessioni ordinarie si tengono a Belgrado, e al membro italiano quando le sessioni ordinarie si tengono a Roma. Come previsto dall’articolo 9 del Regolamento, il Presidente rimane in carica fino all’inizio della successiva sessione ordinaria. II) Termini di tempo per la presentazione di reclami e richieste che verranno discussi alle riunioni. Il Comitato Misto ritiene sia opportuno assicurare un termine di tempo sufficiente per l’esame dei reclami e delle questioni presentate al Comitato in base all’articolo 5 del Regolamento. Con questo fine è stato conseguito il consenso che alle sessioni ordinarie di aprile e ottobre vengano esaminati soltanto quei reclami e quelle richieste che verranno presentate entro il primo marzo, ovvero il primo settembre, al rispettivo reparto della Cancelleria di quel Paese al quale si riferisce il ricorso o la richiesta. Il relativo reparto della Cancelleria darà conferma di ricevuta alla parte interessata, come pure al Reparto della Cancelleria con sede nella capitale dell’altro Paese, specificando la data di ricevuta. L’ordine del giorno delle sedute straordinarie, previste dall’art. 9 del Regolamento, verrà stabilito previo accordo dei due governi. III) Informazione sulle disposizioni del Regolamento del Comitato Misto.

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Il Comitato Misto concorda nel ritenere utile che, nel miglior modo e in ottemperanza alle norme di legge in vigore, venga consentita un’informazione quanto più ampia dei contenuti del Regolamento del 16 febbraio 1955, in particolare di quelle disposizioni che riguardano le possibilità, le modalità ed i termini per la presentazione di reclami, dei ricorsi o delle domande in base all’articolo 5 del Regolamento; la presentazione di reclami e di richieste rappresenta l’applicazione del diritto assicurato dai due governi con l’articolo 5. In quest’occasione, i membri della parte jugoslava del Comitato Misto informano che il Regolamento del Comitato è stato pubblicato da parte jugoslava nell’Allegato No. 1 del Bollettino ufficiale della Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia il 16 gennaio el 1956, come pure nel fascicolo No. 39 (anno 1956) del “Medjunarodni Ugovori Federativne Narodne Republike Jugoslavije (Accordi Internazionali della Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia) pubblicato dal Segretariato di Stato per gli affari esteri della RPFJ; da parte loro i membri italiani hanno informato che il Regolamento è stato pubblicato nel Bollettino del trimestre aprile - giugno 1957 del Ministero per gli affari esteri della Repubblica Italiana . IV) Modalità di presentazione dei reclami e delle richieste Il Comitato Misto è d’accordo che i reclami e le domande che vengono presentate in base all’articolo 5 del Regolamento possono essere redatte su carta semplice, sono esenti dal pagamento di tasse, e possono essere indirizzati ai Reparti delle Cancellerie dell’una o dell’altra capitale di Stato. V) Domande e ricorsi Le richieste pervenute finora alle segreterie delle rispettive Cancellerie verranno prese in esame alla sessione del Comitato Misto di ottobre del 1957. Redatto a Roma, in duplice originale, il 23 maggio 1957, nelle lingue serbocroata e italiana, entrambi ugualmente valide. Seguono le firme di: Mitja Vošnjak, Ivo Murko, Cesare Pasquinelli, Mario Capon, Uroš Markič, Giovanni Saragat Note (1) Per comprendere i motivi che resero necessaria tutta la prima sessione ordinaria del Comitato Misto di Roma, protrattasi per ben tre giorni, per discutere problemi che, in gran parte erano già presenti nel Regolamento, merita tener presente la relazione che il capogruppo jugoslavo, Mitja Vošnjak, inviò al Ministero degli esteri belgradese subito dopo il rientro nella sede del Consolato Generale jugoslavo di Trieste già il 25 maggio 1957. È sempre stata prassi della diplomazia jugoslava, ma probabilmente anche di altri Paesi, che oltre ai verbali ed ai documenti allegati, al Ministero degli esteri venisse inviata anche una relazione, di solito coperta dal segreto, per informare il reale andamento del

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dibattito e, in particolare, il comportamento sia dei propri esponenti che di quelli della controparte. Proprio per questo, la relazione che dopo un paio di giorni il capo della delegazione jugoslava, Mitja Vošnjak, stilò per i propri superiori appena rientrato a Trieste, dove ricopriva la carica di Console Generale della RPFJ, istituito proprio in base al Memorandum di Londra. Dal documento risulta evidente l’atmosfera dei rapporti tra Italia e Jugoslavia, e, in particolare, la capacità delle due delegazioni di affrontare meritoriamente i problemi che presentava l’altra parte. Con il senno di poi si potrebbe già fare una prima valutazione in merito, ma preferiamo che siano gli eventi a portarci a delle conclusioni, in particolare per quanto riguarda la posizione della Comunità Italiana in Jugoslavia e quanto, in realtà, il Comitato Misto contribuì ad un suo concreto miglioramento. Preferiamo, pertanto, analizzare sessione per sessione tutte le venti sedute del Comitato Misto che vennero interrotte negli anni che precedettero immediatamente l’approvazione bilaterale degli accordi di Osimo che, di fatto, concludeva anche la carica propulsiva, se ne ha mai avuta, del Memorandum d’Intesa e, poi, dell’allegato II dello Statuto Speciale.

Relazione sui lavori della delegazione Jugoslava alla I sessione ordinaria del Comitato misto jugoslavo-italiano, prevista dall’art. 8 dello Statuto Speciale, svoltasi a Roma dal 21 al 23 maggio1957. Poiché per l’inizio della sessione del Comitato Misto era stata concordata per via diplomatica la data del 21 maggio, la delegazione jugoslava si era riunita a Trieste il 19 maggio e lo stesso giorno era partita per Roma. Il giorno precedente alla riunione, il 20 maggio, il capo della delegazione italiana Pasquinelli, venne a farmi visita all’Ambasciata. In quell’occasione abbiamo concordato che, visto il carattere della prima sessione del Comitato Misto, questa doveva servire soprattutto alla costituzione dello stesso Comitato, e che l’ordine del giorno venisse limitato alle questioni procedurali. Venne constatato, inoltre, che al Comitato misto erano pervenuti 12 reclami esclusivamente da parte del gruppo etnico sloveno del territorio di Trieste. Il Capo della delegazione italiana espresse il desiderio che l’esame dei reclami pervenuti venisse rimandato alla sessione autunnale del Comitato, proposta che in linea di principio condivisi. Nel prosieguo dell’incontro, il dott. Pasquinelli, al fine di migliorare l’insegnamento nelle scuole italiane sul territorio jugoslavo e in armonia con lo spirito dello Statuto Speciale, accennò al desiderio italiano di permettere l’invio di un certo numero di insegnanti dall’Italia, come già avviene per le scuole slovene di Trieste, dove sono impiegati più di 30 insegnanti, cittadini jugoslavi. Alla fine, il dott. Pasquinelli espresse l’idea che di questo problema, forse, si potrebbe parlarne durante la sessione autunnale. Ufficialmente si svolsero tre riunioni consecutive del Comitato Misto, nei giorni 20, 21, 22 e 23 maggio, mentre nella serata del 23 maggio, a conclusione della prima sessione ordinaria del Comitato Misto venne firmato il verbale allegato. Sull’andamento della sessione, oltre ciò che è stato verbalizzato, è necessario riportare alcune considerazioni. Durante il discorso di apertura, il capo della delegazione italiana espresse la speranza che il Comitato Misto avrebbe contribuito allo sviluppo dei rapporti reciproci e al miglioramento della situazione delle minoranze, e che le sessioni del Comitato Misto non sarebbero sfruttate come una tribuna propagandistica, o per esprimere giudizi per stabilire le responsabilità dei governi dell’una o dell’altra parte, ma che gli sforzi dovevano essere diretti alla rimozione delle difficoltà con le quali si scontrano le minoranze dell’una e dell’altra parte. Nella risposta ho espresso pieno accordo con le parole del rappresentante italiano e, in nome della delegazione jugoslava, ho ringraziato per l’ospitalità. Ho espresso inoltre la certezza che già l’inizio dei lavori del Comitato Misto rappresenta un importante elemento nello sviluppo dei rapporti reciproci.

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1. Al punto primo è stata esaminata la questione inerente la presidenza del Comitato, e senza grandi dibattiti è stata approvata la formulazione inserita nel verbale. 2. La delegazione italiana ha fatto presente che al governo del Paese contro il quale sono presentati dei reclami sarebbe necessario assicurare un termine di tempo ragionevole, onde permettere un esame del ricorso, per cui è stato approvato consensualmente che alla sessione di aprile verranno esaminati quei reclami e quelle richieste che saranno inoltrate presso i segretari dei Paesi ai quali il ricorso è indirizzato entro il primo di marzo, mentre alla sessione di ottobre i reclami che verranno inoltrati entro il primo di settembre. Per evitare qualsiasi tentativo di raggirare questa conclusione, su nostra richiesta è stata accolta anche la proposta di approvare l’accettazione del ricorso presentato contemporaneamente sia alla parte interessata, quanto al reparto della Cancelleria dell’altra Capitale. 3. Gli Italiani hanno proposto che sarebbe utile informare l’opinione pubblica di entrambi i Paesi dei contenuti del Regolamento, in particolare sulle disposizioni che riguardano la presentazione di reclami. Noi abbiamo informato gli Italiani che da parte nostra il Regolamento è stato pubblicato nell’allegato del Bollettino Ufficiale e nella “Raccolta degli Accordi internazionali” ed abbiamo chiesto un’informazione su come il Regolamento è stato pubblicato in Italia. Gli Italiani ci hanno consegnato una copia del “Bollettino” del Ministero degli affari esteri nel quale è stato pubblicato il Regolamento. Da parte nostra abbiamo fatto presente la differenza tra la pubblicazione ufficiale del Regolamento, che diventa obbligatorio per gli organi interni del potere, e la pubblicazione su un bollettino interno del Ministero degli esteri. Anche in quest’occasione si è dimostrato che gli Italiani, per quanto riguarda la pubblicazione del “Regolamento”, hanno la stessa posizione assunta precedentemente in merito alla pubblicazione del Memorandum e dello Statuto Speciale, perciò abbiamo insistito che nel verbale venga constatata la diversa modalità adottata dai due Paesi nella pubblicazione del Regolamento. Nella formulazione proposta al punto 3 del verbale gli Italiani hanno tentato di inserire l’assicurazione che nessuno sarebbe stato sottoposto a conseguenze negative causa la presentazione di proteste o reclami. Internamente abbiamo valutato questo tentativo come espressione di sfiducia nella legalità del nostro sistema, per cui non abbiamo approvato una simile formulazione. Su questo problema si è aperto anche un lungo dibattito e, alla fine, su proposta della nostra delegazione, si è deciso che una delibera su questo problema sarebbe stata rinviata alla riunione del giorno successivo. Nel frattempo, nell’ambito dei colloqui tra i due capi delegazione, è stata raggiunto un compromesso, dopo di che la nuova formulazione presente nel verbale è stata approvata senza difficoltà. 4. È stato raggiunto il consenso sui reclami e sulle richieste al Comitato Misto,che possono essere inoltrati al segretariato di una delle due capitali e sono esenti dal pagamento di tasse. 5. La delegazione italiana ha proposto che l’esame dei reclami presentati finora venga spostato alla seduta autunnale. Viene così esaudita la tendenza della parte italiana a trattenere aperta la questione riguardante l’importanza dei reclami presentati finora. Secondo la parte italiana i reclami possono venir presentati al Comitato Misto soltanto a condizione che sia stata avviata una procedura preliminare interna e che questa si sia conclusa prima della ratifica del Regolamento. In merito, la parte italiana ha addirittura espresso il parere che sarebbe necessario, prima di poter procedere, ripetere l’intera procedura riguardante le modalità di inoltro dei reclami, previa una loro presentazione alle autorità locali. Visto che l’Italia ha ratificato il Regolamento appena nel novembre del 1956, ciò significherebbe che tutti i reclami presentati finora dagli Sloveni di Trieste non sarebbero validi e non avrebbero potuto venir meritoriamente esaminate alla sessione autunnale della Commissione. In linea di principio noi abbiamo accettato la proposta italiana che l’esame dei reclami venga

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spostato alla sessione autunnale, ma abbiamo respinto molto fermamente l’atteggiamento italiano riguardante la validità dei reclami ed abbiamo insistito sulle garanzie da parte italiana che in ottobre questi non sarebbero stati contestati richiamandosi ai termini di consegna. In seguito a lunghi colloqui con il dott. Pasquinelli e il dott. Capon, alla fine è stata raggiunta una soluzione di compromesso. Nel verbale, infatti, è entrata una breve formulazione riguardante lo spostamento dell’esame, mentre il capo della delegazione italiana durante la riunione del Comitato ha rilasciato una dichiarazione che in ottobre non avrebbero contestato i reclami presentati finora a causa dei termini di consegna. Inoltre, è stato concordato che il segretario della delegazione italiana avrebbe confermato ricevuta dei reclami pervenuti finora. Nei colloqui privati, gli Italiani giustificavano il loro atteggiamento in quanto ritenevano che non sarebbe stato opportuno discutere alla prossima sessione soltanto reclami contro le autorità italiane. Alcuni consiglieri italiani, inoltre, avevano espresso il parere che sarebbe stato meglio discutere di problemi generali e non di singoli reclami Il membro della delegazione italiana Capon dichiarò privatamente, una volta conseguito l’accordo, che saranno costretti a provvedere da soli per alcuni reclami o a porre delle domande al Comitato prima della sessione autunnale. Da parte nostra sia ufficialmente che privatamente è stato ribadito che non sarebbe stato possibile evitare di discutere dei reclami semplicemente rimandandone costantemente l’esame, oppure cercando delle scuse formali, ma che era invece necessario risolvere concretamente il problema, eliminando così la causale del ricorso. Alla fine della sessione è stato concordato che i segretari delle due parti avevano il compito di provvedere all’acquisizione di un timbro del Comitato Misto. Nel colloquio avuto prima dell’inaugurazione della sessione ho informato il capo della delegazione italiana, il dott. Pasquinelli, di aver ricevuto dal Segretariato per gli affari esteri la conferma dei pieni poteri. Pasquinelli, che non disponeva di tale procura, si interessò presso il proprio Ministeri degli Esteri, il quale aveva risposto che, trattandosi di un Comitato permanente e che la composizione della delegazione era stata comunicata all’altra parte per via diplomatica, un procura sui pieni poteri non era necessaria. Nel corso della sessione, il dott. Pasquinelli ed io abbiamo ricevuto una lettera da parte della società “Pravnik” (Il Giurista) di Trieste, con la quale ci invitavano a interessarci affinché venisse ufficialmente pubblicato in Italia il Memorandum d’Intesa e, soprattutto, lo Statuto Speciale, in modo che le loro clausole in futuro fossero obbligatorie anche per le autorità interne. La lettera non è stata presa in esame, visto che la materia non rientrava nelle competenze del Comitato Misto. Ciononostante la lettera ha provocato un effetto positivo, in quanto è stata pubblicata addirittura dal giornale triestino “Il Piccolo”. Durante i colloqui privati, ma anche nell’ambito del mio brindisi in occasione della cena da noi organizzata in restituzione alla delegazione italiana per il loro invito a pranzo, da parte nostra è stata proposta l’idea che in futuro sarebbe opportuno allargare il lavoro del Comitato Misto a tutta l’area sulla quale vivono gli appartenenti dell’una e dell’altra minoranza. Da parte italiana sull’idea si è espresso positivamente il dott. Gerin, mentre gli altri membri della delegazione non si sono dichiarati.

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Durante tutta la durata della sessione i rapporti reciproci sono stati corretti ed è stata creata un’atmosfera amichevole. L’unica scorrettezza era rappresentata dalle indiscrezioni di uno dei membri della delegazione italiana che aveva offerto al giornale “Il Piccolo” addirittura delle informazioni inesatte. A questo rapporto viene allegata una copia del verbale dell’incontro, mentre la copia ufficiale del verbale verrà inviata ai due governi da parte del presidente in carica del Comitato, dott. Pasquinelli, in ottemperanza all’art. 12 del Regolamento. Il computo delle spese della delegazione verrà presentata dal segretario e capo della delegazione, il comp. Markič. Trieste, 25 maggio 1957 (Mitja Vošnjak)

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Capitolo II. Il Comitato Misto alla ricerca di un “modus operandi” La seconda sessione, del Comitato Misto, questa volta riunitosi come da Regolamento, nella capitale jugoslava, Belgrado, dal 6 al 16 novembre del 1957, vede la composizione della delegazione jugoslava immutata, mentre si presenta completata quella italiana con l’aggiunta del secondo membro supplente, il dott. Vincenzo Molinari e del secondo esperto, il prof. Giuliano Angioletti. La riunione belgradese, in ogni caso, rappresenta un primo esempio concreto di come si sarebbe svolto il dibattito sui singoli argomenti anche nelle successive sessioni del Comitato. La riunione dimostrò chiaramente la fondatezza dei timori espressi dalla delegazione italiana in merito all’inserimento nell’ordine del giorno del punto riguardante l’esame dei reclami e ricorsi già nel corso della prima sessione. Infatti, buona parte dei dibattiti, come si prevedeva, si concentrarono proprio su questi. Inoltre, come da aspettarsi, erano nella totalità pervenuti da persone e organizzazioni slovene di Trieste. I due temi principali della seduta, invece, almeno secondo il verbale, vennero conclusi rapidamente e rimasero concentrati, più che altro, in due conclusioni precedentemente concordate, che si limitavano ad esprimere più o meno generici auspici di buona volontà . Proprio per questo, nonostante lo spazio necessario, riteniamo utile ed opportuno pubblicare il documento nella sua interezza, anche perché è uno dei pochi verbali giunti a noi nella versione italiana e che, di conseguenza, non è stato necessario tradurre dal serbo-croato. Verbale della II sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Belgrado dal 6 al 16 novembre 1957 Sono presenti Per la parte italiana: - Cesare Pasquinelli - I membro effettivo - Mario Capon- II membro effettivo - Vincenzo Molinari - II membro supplente - Giovanni Saragat - segretario - Avv. Guido Gerin - esperto - Prof. Giuliano Angioletti - esperto

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Per la Jugoslavia: - Mitja Vošnjak - I membro effettivo - Ivo Murko- II membro effettivo - Dušan Karič- I membro supplente - Vojko Flego- II membro supplente - Uroš Markič- segretario - Črtomir Kolenc- esperto - Franjo Mičetić- esperto Sono presenti pure da parte italiana: - Maria Luisa Prazio- interprete - Elvira Brencia Da parte jugoslava: - Ružica Antić- segretaria amministrativa - Nada Kapun- interprete Il Comitato Misto ha concordato il seguente Ordine del giorno: Questioni concernenti l’uso della lingua del gruppo etnico jugoslavo e di quello italiano nei territori sotto amministrazione rispettivamente italiana e jugoslava, Questioni concernenti le scuole e gli insegnanti, Reclami e questioni sottoposte al Comitato Misto da individui ed organizzazioni. Sui singoli punti iscritti all’Ordine del giorno, il Comitato Misto è pervenuto alle seguenti conclusioni: 1) Al primo punto dell’Ordine del giorno, i membri jugoslavi del Comitato Misto hanno esposto le misure prese dalle Autorità jugoslave allo scopo di applicare i punti 2 lett.e) e 5 dello Statuto Speciale nel territorio sotto amministrazione jugoslava. I membri italiani del Comitato Misto, a loro volta, hanno illustrato tutte le misure adottate nel territorio sotto amministrazione italiana e inerenti l’applicazione dei punti 2 lett. e) e 5 dello Statuto Speciale, mettendo in rilievo i notevoli e sostanziali risultati conseguiti. I membri jugoslavi hanno fatto presente successivamente che la legislazione vigente sul territorio sotto amministrazione italiana non è sempre in armonia con le disposizioni dello Statuto Speciale (vengono citati l’art. 122 del Codice di procedura civile, l’art. 137 del Codice di procedura penale, il decreto del Commissario Generale del Governo italiano a Trieste n. 173 del 10 ottobre 1957); hanno segnalato pure alcuni atti di autorità giudiziarie ed amministrative italiane, che essi ritengono non rispondenti alle disposizioni di detto Statuto Speciale. Per quanto si riferisce al territorio sotto amministrazione jugoslava, i membri italiani hanno rilevato che - secondo le notizie in loro possesso - il bilinguismo non trova ancora completa attuazione in alcuni settori.

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Il Comitato Misto ha convenuto di attirare l’attenzione dei due Governi sui problemi sopra esposti. 2) Al secondo punto dell’ordine del giorno, i membri italiani del Comitato Misto hanno illustrato la questione riguardante l’apertura e la riapertura di alcune scuole ed asili sul territorio sotto amministrazione jugoslava, nonché il problema della lingua materna degli insegnanti nelle scuole di lingua italiana del predetto territorio. I membri jugoslavi del Comitato Misto hanno esposto il problema riguardante l’adeguamento delle norme di legge e della prassi alle disposizioni dello Statuto Speciale per quanto concerne le scuole sul territorio sotto amministrazione italiana. I membri italiani e jugoslavi si sono scambiati delucidazioni su tali questioni. Il Comitato Misto ha convenuto che gli argomenti di cui sopra siano fatti oggetto di ulteriore approfondito esame. 3) Il Comitato Misto ha preso in esame i reclami e le richieste pervenuti alle relative Sezioni dell’Ufficio di Segreteria: 1. RENKO STANISLAV e ŠTOKA FRANC - chiedono l’estinzione del procedimento penale a loro carico, in applicazione dell’art. 6 del Memorandum d’Intesa di Londra. Il Comitato Misto ha constato che nella fattispecie l’art. 6 del Memorandum d’Intesa ha avuto nel frattempo applicazione e che pertanto la richiesta degli interessati è stata soddisfatta. 2.UNIONE CULTURALE SLOVENA (SLOVENSKA PROSVETNA ZVEZA) TRIESTE - chiede una sovvenzione richiamandosi al punto 4, lettera b) dello Statuto Speciale. 3. ASSOCIAZIONE DI ASSISTENZA CENTRO DEGLI STUDENTI (PODPORNO DRUŠTVO DIJAŠKA MATICA) TRIESTE - chiede una sovvenzione richiamandosi al punto 4, lettera b) dello Statuto Speciale. 4. ASSOCIAZIONE DI MUSICA (GLASBENA MATICA) TRIESTE - chiede una sovvenzione richiamandosi al punto 4, lettera b) dello Statuto Speciale. 5. TEATRO NAZIONALE SLOVENO DI TRIESTE (SLOVENSKO NARODNO GLEDALIŠČE V TRSTU) - chiede una sovvenzione richiamandosi al punto 4, lettera b) dello Statuto Speciale. 6. BIBLIOTECA NAZIONALE SLOVENA E DI STUDI (NARODNA IN ŠTUDIJSKA KNJIŽNICA) TRIESTE - chiede una sovvenzione richiamandosi al punto 4, lettera b) dello Statuto Speciale

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Ad 2, 3, 4, 5 e 6: i membri italiani del Comitato misto hanno fatto presente che l’eventuale concessione di sovvenzioni ad enti ed associazioni culturali, teatrali etc. non rappresenta un diritto né per le organizzazioni italiane né per quelle slovene. Hanno inoltre precisato che i principi sanciti dall’art. 4, lettera b) dello Statuto Speciale sul territorio sotto amministrazione italiana hanno trovato e trovano applicazione, come è dimostrato dalle facilitazioni e sovvenzioni concesse ad enti ed associazioni del gruppo etnico sloveno, e che pertanto l’eventuale mancato accoglimento di singole richieste di sovvenzione non può fornire oggetto di ricorso al Comitato Misto. I membri jugoslavi del Comitato Misto non si sono dichiarati d’accordo con il parere espresso dai membri italiani. Richiamandosi al principio della parità dei diritti e di trattamento sancito nel punto 2, come pure alla concreta disposizione del punto 4 b) dello Statuto Speciale, i membri jugoslavi hanno rilevato che le suddette istanze sono fondate, trattandosi di richieste di organizzazioni alle quali si riferisce il menzionato punto 4, lett.b) ed avendo ricevuto anche alcune organizzazioni similari italiane saltuariamente delle sovvenzioni. I membri jugoslavi hanno infine rilevato che le organizzazioni di tal genere hanno il diritto di presentare reclami al Comitato Misto, quando considerino violati i loro diritti sanciti dallo Statuto Speciale, come pure di sottoporre questioni alle quali siano direttamente interessate. Il Comitato Misto ha constatato che sulle richieste di cui si è discusso non è stato raggiunto un accordo. 7. UNIONE CULTURALE SLOVENA (SLOVENSKA PROSVETNA ZVEZA) TRIESTE, CULTURA POPOLARE SLOVENO-CROATA (SLOVENSKO HRVATSKA LJUDSKA PROSVETA), TRIESTE, CENTRO CULTURALE (PROSVETNA MATICA), TRIESTE CULTURA SLOVENA (SLOVENSKA PROSVETA), TRIESTE chiedono la trasformazione dei corsi professionali di Villa Opicina, Prosecco, Cattinara, S. Croce, Duino - Aurisina e S. Dorligo della Valle in scuole professionali (Lista delle scuole allegate allo Statuto Speciale punto I/3). I membri italiani del Comitato Misto hanno informato che nessuna richiesta per la trasformazione dei corsi biennali in scuole professionali è pervenuta, nelle forme di legge, alle competenti autorità da parte dei Comuni interessati. Il Comitato Misto ha tuttavia constatato che presso i corsi professionali di Villa Opicina, S. Croce, Duino-Aurisina e S. Dorligo della Valle e le terze classi di fatto già funzionano come sezioni della Scuola di Avviamento Industriale di Roiano. 8. UNIONE CULTURALE SLOVENA (SLOVENSKA PROSVETNA ZVEZA), TRIESTE - chiede l’apertura di due nuovi asili infantili nel Comune di Trieste, Il Comitato Misto ha deciso di rinviare l’esame della richiesta alla prossima Sessione. 9. ASSOCIAZIONE ECONOMICA SLOVENA (SLOVENSKO GOSPODARSKO ZDRUŽENJE), TRIESTE - chiede una equa rappresentanza del gruppo etnico sloveno negli enti di carattere economico - sociale.

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I membri italiani del Comitato Misto ritengono che, per quanto riguarda la rappresentanza del gruppo etnico sloveno in seno agli enti di carattere economico-sociale del territorio amministrato dall’Italia, non vi sia alcuna violazione da parte italiana dei diritti garantiti dallo Statuto Speciale in quanto tale equa rappresentanza del gruppo etnico sloveno è già assicurata. I membri jugoslavi del Comitato Misto hanno rilevato che in alcuni settori del territorio sotto amministrazione italiana, nei quali gli interessi del gruppo etnico sloveno sono notevoli (come in particolare nel settore agricolo), la rappresentanza del gruppo etnico sloveno negli enti di carattere economico-sociale non è ancora soddisfacente. Hanno pertanto espresso l’auspicio che le Autorità italiane prendano in esame quanto sopra. 10. PECCHIARI - PEČARIČ KARLO - chiede la propria riassunzione in servizio, in qualità di usciere, presso il Tribunale di Trieste. Il Comitato Misto ha constatato che non può prendere in esame la questione, in quanto è pendente ricorso al Consiglio di Stato. 11. KOPUŠAR MARTINO - chiede la propria riassunzione nell’incarico di bidello presso la scuola media con lingua d’insegnamento slovena di Trieste. Il Comitato Misto ha constatato che l’esame della richiesta non rientra nelle sue competenze. 12. KOPUŠAR ELISABETTA - formula alcune richieste in merito alla propria riassunzione in servizio presso il Provveditorato agli studi di Trieste e in merito al proprio stato di cittadinanza. Il Comitato Misto ha constatato che l’esame della richiesta non rientra nelle sue competenze. 13. PERSONALE AMMINISTRATIVO E SUBALTERNO DI TALUNE SCUOLE CON LINGUA D’INSEGNAMENTO SLOVENA DI TRIESTE - chiede la liquidazione di vari assegni accessori. Il Comitato Misto ha deciso di rinviare l’esame della richiesta alla prossima sessione. 14. CASSA RURALE ED ARTIGIANA DI TRIESTE (KMETIJSKA IN OBRTNA ZADRUGA V TRSTU) - chiede di essere autorizzata all’esercizio del credito. Il Comitato Misto ha constatato che l’esame della richiesta non rientra nelle sue competenze. 15. CULOT GIOVANNI - chiede la sistemazione in ruolo e formula altre richieste al riguardo. Il Comitato Misto ha deciso di rinviare l’esame del ricorso alla prossima sessione. 16. ŽELEZNIK PAOLA IN SANCIN - chiede il ripristino della proprio percorso di carriera e la concessione di cinque anni ai fini del trattamento di quiescenza.

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I membri italiani del Comitato Misto hanno confermato che le scuole con lingua d’insegnamento slovena nel territorio amministrato dall’Italia hanno pieno e formale riconoscimento giuridico in base all’Ordine del Governo Militare Alleato n. 18 dell’8 novembre 1947, confermato da decreto del Commissario Generale del Governo n. 2 del 29 ottobre 1954. Hanno aggiunto che l’interessata potrà ricorrere nuovamente per una riconvocazione alla Commissione per il riconoscimento della provvidenza a favore dei perseguitati politici antifascisti e razziali. Il Comitato Misto ha raccomandato che la questione venga ripresa in esame da parte delle competenti Autorità, alla luce delle disposizioni vigenti. 17. JEŽ JANKO - chiede il riconoscimento di alcuni diritti relativi alla sua carriera. Il Comitato Misto ha constatato di non essere competente, trattandosi di richiesta non derivante da una violazione dello Statuto Speciale o di un diritto da esso garantito. 18. KOPUŠAR MARTINO - formula alcune richieste circa l’indennità di licenzamento e la relativa gratifica speciale. Il Comitato Misto ha constatato che l’esame della richiesta non è di sua competenza. 19. KRAVOS TOMMASO - chiede di poter esercitare la professione di dentista, ai sensi dell’art. 2 lett.d) dello Statuto Speciale. Il Comitato Misto ha convenuto che il sig. Tommaso Kravos debba essere messo nella condizione di poter esercitare la professione di dentista sino alla data del 5 ottobre 1958. 20. ASSOCIAZIONE “IL GIURISTA” (DRUŠTVO PRAVNIK) TRIESTE - esposto per la promulgazione del Memorandum d’Intesa da parte italiana. Il Comitato Misto, presa visione della lettera in data 21 maggio 1957 e 23 agosto 1957 dell’Associazione”Il Giurista” (Pravnik), ha preso atto che i problemi prospettati sono già noti e che sono stati discussi dal Comitato stesso indipendentemente dalle lettere dell’Associazione di cui tratta. Compilato a Belgrado, il 16 novembre 1957, in duplice originale, uno in lingua italiana e l’altro in lingua serbo-croata, facenti ambedue ugualmente fede. (Cesare Pasquinelli) (Mario Capon) (Mitja Vošnjak) (Ivo Murko) (Giovanni Saragat) (Uroš Markič)

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Capitolo III Il Comitato Misto diventa operativo (1) Riteniamo sia abbastanza logico supporre che tra una sessione del Comitato Misto e quella successiva, le due delegazioni, ma soprattutto i capidelegazione e le relative segreterie, fossero impegnati a tempo pieno. Purtroppo non disponiamo di tutti i documenti e delle comunicazioni che certamente intercorrevano sia tra i Ministeri degli Esteri e il Comitato Misto, sia per quanto riguarda i messaggi, il più delle volte segnati con la clausole di “segreto”, che venivano scambiati tra i due capidelegazione. Sarebbe certamente utile conoscere anche i messaggi interni tra gli stessi consiglieri di entrambe le parti, che servivano a coordinare al meglio la seduta successiva, ma anche per guadagnare qualche punto a favore del proprio Paese. Non dimentichiamo che i due Paesi avevano sì collaborato nella Resistenza contro il nazifascismo, ma subito dopo erano entrati a far parte di due blocchi ideologicamente contrapposti con problemi territoriali e confinari ancora tutti da risolvere. E di questa situazione non potevano non risentirne pesantemente anche le due minoranze nazionali. Tra i preparativi per la III sessione del Comitato Misto, va registrato un promemoria steso a Belgrado il 30 aprile 1958, con il quale all’interno della delegazione jugoslava si stabilivano alcuni interventi e, segnato a mano, da chi sarebbero stati esposti in sessione plenaria. È probabile, che una traduzione del promemoria sia stata consegnata anche alla delegazione italiana, visto che il documento propone l’adozione di raccomandazioni su argomenti da discutere alla riunione e riguardanti gli artt. 8 e 11 dello Statuto Speciale. (2) E veniamo, succintamente, per quanto possibile, al verbale della III sessione ordinaria del Comitato Misto Italo-jugoslavo, svoltosi a Roma dal primo al 18 luglio 1958. Nella composizione delle delegazioni, rispetto a quelle precedenti, da notare soltanto che a guidare la delegazione jugoslava era stato chiamato Berislav Žulj. Notevoli i cambiamenti, invece, nella definizione dell’ordine del giorno, dove ai primi punti si trovano le proposte avanzate dalla delegazione jugoslava già nelle dichiarazioni che hanno preceduto la convocazione della sessione.

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Verbale della III sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Roma dal 1 al 18 luglio 1958 Ordine del giorno; 1) - Misure da adottare nell’area sotto amministrazione italiana per assicurare possibilità di uso pratico della lingua del gruppo etnico jugoslavo in forma orale e scritta con le autorità amministrative e giudiziarie; 2) - a) Definizione delle zone del comune di Trieste dove è necessario attuare le clausole dell’art. 5 dello Statuto Speciale inerenti le scritte bilingui degli enti pubblici, come pure i nomi bilingui delle località e delle vie; - b) Definire gli enti pubblici che, ai sensi dell’art. 5 dello Statuto Speciale, devono esporre scritte bilingui nelle zone del comune di Trieste e negli altri comuni sul territorio sotto amministrazione italiana, nei quali gli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo rappresentano una parte consistente della popolazione (almeno un quarto), come pure l’adozione di misure per definire le modalità per l’attuazione del principio della denominazione bilingue della città e delle vie su questo territorio. - c) Definizione dei termini di tempo per l’attuazione delle misure di cui al punto b). Al punto 3) dell’o.d.g. è inserita la proposta del governo italiano riguardante i problemi che scaturiscono dall’insufficiente numero di insegnanti di lingua materna italiana nelle scuole elementari sul territorio sotto amministrazione jugoslava dopo la chiusura della scuola italiana per insegnanti di Fiume. Al punto 4) è nuovamente all’o.d.g. un tema proposto dalla delegazione jugoslava che chiede, come previsto dall’art. 2 punto d) dello Statuto Speciale, una proroga del termine per il conseguimento dell’attestato o del diploma agli appartenenti dal gruppo etnico jugoslavo che svolgono determinate attività o professioni e sono sprovvisti dell’attestato richiesto. Al Punto 5) la delegazione italiana chiede delucidazioni in merito alla riduzione di classi nella scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana di Buie, nonostante l’aumento degli studenti iscritti. Al Punto 6) La delegazione jugoslava riporta all’ordine del giorno il tema trattato alla II sessione del Comitato Misto riguardante i problemi connessi con la preparazione di una legge sulle scuole slovene nel territorio sotto amministrazione italiana e sulla parificazione della posizione degli insegnanti delle scuole slovene con gli insegnanti delle altre scuole dello stesso territorio. Anche questa volta, ai punti 7) e 8) molti i reclami ed i ricorsi presentati tutti da singoli o da organizzazioni della minoranza slovena. (vedi la nota 3). Per quanto riguarda il dibattito, il verbale riporta che i primi due punti, su proposta della delegazione italiana sono stati rinviati alla prossima sessione. Più consistente, invece, la discussione riguardante la richiesta di delucidazioni da parte

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della delegazione italiana in merito alla chiusura dell’Istituto magistrale italiano di Fiume. I rappresentanti italiani hanno ripresentato quanto già esposto alla sessione precedente, ricordando le affermazioni sostenute da parte jugoslava, per cui saranno proprio gli studenti che si diplomeranno presso la scuola di Fiume che assicureranno gli insegnanti necessari alle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. I rappresentanti della delegazione jugoslava del Comitato Misto dichiararono che l’Istituto magistrale di Fiume con lingua d’insegnamento italiana non era stato abolito, ma erano state bloccate invece ulteriori iscrizioni nella stessa, in quanto il numero esistente degli insegnanti che usano la stessa lingua materna degli studenti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava superava le necessità di queste scuole, per cui per il momento e anche per il futuro esisteva la possibilità che i ruoli di insegnante in queste scuole venisse completato con insegnanti corrispondenti di lingua materna italiana, che si erano diplomati sia presso la scuola di Fiume, come in qualche altra scuola per insegnanti. I membri jugoslavi del Comitato, inoltre, informavano che sarebbero state prese le misure necessarie affinché nelle scuole elementari con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava venissero sostituiti tutti quelli insegnanti che non appartengono al gruppo etnico italiano (undici di ruolo e cinque a termine) con insegnanti che usano la stessa lingua degli alunni di queste scuole. Il Comitato Misto, quindi, raccomanda al governo Jugoslavo di fare tutto il possibile per assicurare nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, che l’insegnamento venisse svolto da insegnanti che usavano la stessa lingua degli alunni. Dibattito meritevole di attenzione, anche al punto 4) dell’ordine del giorno. Pure su questo punto, però, la parte jugoslava propose soltanto di raccomandare al governo italiano una proroga del termine previsto dall’art. 2, punto d) dello Statuto Speciale di altri quattro anni, ribadendo che la proroga doveva riguardare soltanto il personale delle scuole del gruppo etnico jugoslavo sul territorio sotto amministrazione italiana. I membri della delegazione italiana, respingendo la proposta ritenendola non di competenza del Comitato, ribadivano, che, se il governo jugoslavo voleva comunque avanzare la richiesta al governo italiano, poteva sempre farlo per regolare via diplomatica. Inutile sottolineare, che su questo punto le due delegazioni non arrivarono al consenso. Seguendo la logica dell’alternanza, al quinto punto dell’ordine del giorno si trattò la proposta di parte italiana che chiedeva delucidazioni in merito alla riduzione delle aule alla scuola ottennale con lingua d’insegnamento italiana di Buie nonostante negli ultimi tempi fosse stato registrato un aumento delle iscrizioni. In risposta la delegazione jugoslava del Comitato Misto confermò che nell’edificio della scuola con lingua d’insegnamento italiana erano state assegnate per impellenti necessità della scuola professionale con lingua d’insegnamento serbocroata tre aule che, tra l’altro, non venivano utilizzate o, soltanto ultimamente, in forma occasionale e parziale dalla scuola con lingua d’insegnamento italiana. Di conseguenza, la riduzione del numero delle aule non ne aveva peggiorato le condizioni di lavoro, per cui a questa scuola è rimasta la possibilità di uno svolgimento normale del proprio lavoro, migliorando, anzi, le condizioni rispetto a quelle in cui opera la maggioranza delle scuole dell’area con lingua d’insegnamento serbocro-

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ata. La scuola, infatti, era frequentata da 74 studenti che disponevano di tre aule e dei locali necessari, come il gabinetto di fisica e chimica, l’aula magna degli insegnanti e la cucina scolastica. Mentre la parte italiana non ritenne opportuno reagire sul fatto che, comunque, la scuola italiana avrebbe dovuto godere delle possibilità che potevano offrirle l’uso di tutto l’edificio, anche dal punto di vista dell’autonomia didattica e del rispetto dell’identità linguistica comunque circoscritta al solo edificio, la parte jugoslava proseguì la strategia riguardante il concetto di garantire alla scuola del gruppo etnico sloveno condizioni di parità rispetto a quelle di lingua italiana anche nell’amministrazione e nel trattamento del corpo insegnanti, nel rispetto, come ebbe a ribadire, delle norme previste dallo Statuto Speciale e, in particolare, del punto c) dell’art. 4. Rilevarono soprattutto che l’assenza di norme di legge che regolassero lo status della scuola e degli insegnanti del gruppo etnico jugoslavo, aveva come conseguenza una disuguaglianza giuridica e di fatto di tutte le scuole e degli insegnanti di queste scuole rispetto alle scuole ed agli insegnanti con lingua d’insegnamento italiana. Proposero, quindi, di raccomandare al governo italiano: di approvare quanto prima delle norme di legge per una completa regolamentazione dello status delle scuole con lingua d’insegnamento slovena, come pure di provvedere adeguatamente per gli insegnanti e per gli altri impiegati in queste scuole in conformità alle misure ed allo spirito dello Statuto speciale; queste norme, inoltre, avrebbero dovuto assicurare libere iscrizioni in queste scuole, assieme ad una completa autonomia organizzativa delle stesse; che, nell’ambito dell’organico dei ruoli statali venisse istituito un ruolo speciale permanente per il quadro insegnanti e per gli altri impiegati delle scuole elementari e medie con lingua d’insegnamento slovena; che agli insegnanti più anziani, i quali, a causa della riforma scolastica di Gentile, non hanno avuto la possibilità di avere una sistemazione in ruolo, questo venga riconosciuto in maniera adeguata (per esempio tramite delle clausole transitorie della prevista Legge sulla scuola slovena) con la ricostruzione della carriera, analogamente alle clausole del decreto di legge italiano No. 1488 del 1947; che agli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento slovena che avevano diritto di acquisto o di riacquisto della cittadinanza italiana sulla base di quanto stabilito dall’art. 8 del Memorandum d’Intesa, venisse riconosciuto questo diritto con delle misure adeguate affinché nel loro rapporto di lavoro non venissero danneggiati per non esser stati per un certo periodo formalmente cittadini italiani; inoltre si proponeva che le richieste degli altri insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento slovena per l’acquisto della cittadinanza italiana venissero trattate con accondiscendenza se corrispondevano alle condizioni richieste dalle norme di legge vigenti; che agli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento slovena, che nel loro rapporto di lavoro godevano un trattamento particolare da parte dell’ex Amministrazione Militare Alleata, vengano riconosciute fino alla definitiva regolamentazione della loro posizione le stesse condizioni godute fino al 30 settembre 1955; che l’obbligo derivante dall’art. 4, punto c), terzo comma dello Statuto Speciale che prevede l’adozione di misure ragionevoli affinché agli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento slovena venga offerta la possibilità, in base all’art. 2, punto d) dello stesso Statuto, di acquisire le qualifiche parificate a quelle dei membri regolari del corpo insegnane.

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Nel prosieguo, la delegazione jugoslava propose di raccomandare sia al governo jugoslavo che a quello italiano di provvedere quanto prima alla stipula di uno speciale accordo riguardante il reciproco riconoscimento dei diplomi universitari e delle scuole medie superiori, nonché degli attestati conseguiti nell’altro Paese, come pure il reciproco riconoscimento del periodo che gli insegnanti avevano trascorso in servizio nelle scuole dell’altro Paese. Il reciproco riconoscimento dei periodi trascorsi in servizio avrebbe dovuto venir considerato nell’ambito dei termini di tempo necessari per gli avanzamenti di ruolo e nel periodo necessario ai fini del pensionamento. Infine, la delegazione jugoslava sottolineava che le proposte di cui sopra, oltre al loro fondamento giuridico, esprimono pure un significato prettamente umano, per cui si pregava la parte italiana che, nel risolvere questo problema, avesse presente anche questo aspetto (4).

Note: (1) Lo stesso giorno in cui aveva termine a Belgrado la II sessione del Comitato Misto, le due parti incominciarono già a preparare il terreno per la seduta successiva. Anche se sprovvista della data di consegna, disponiamo della traduzione serbocroata di una lettera del capo della delegazione italiana, Cesare Pasquinelli, consegnata probabilmente lo stesso giorno alla delegazione jugoslava. In essa si fa esplicito riferimento ad alcune proposte che non hanno ricevuto risposta che erano state avanzate nel corso della II sessione e che venivano riformulate anche sulla base di nuove argomentazioni. Al primo punto, il governo italiano ribadiva di esser stato informato della chiusura dell’Istituto magistrale italiano di Fiume - l’unica del genere esistente in Jugoslavia - e voleva essere informato su come il governo jugoslavo procedeva nell’esaudire l’obbligo che scaturiva dall’art. 4 dello Statuto Speciale, dove si stabiliva che “sarebbero state adottate misure per assicurare che l’insegnamento nelle scuole minoritarie fosse stato svolto da insegnanti che erano della stessa lingua madre degli studenti”. Il Governo italiano si richiamava alle assicurazioni fornite durante la II sessione del Comitato Misto, durante il dibattito inerente un eventuale invio di insegnanti dall’Italia nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana nella zona sotto amministrazione jugoslava. Nel documento, il Governo italiano chiedeva ancora delucidazioni sul fatto che, nonostante l’aumento delle iscrizioni registrato rispetto all’anno precedente, era stato ridotto il numero delle aule di cui poteva disporre la scuola ottennale italiana di Buie. Probabilmente, secondo la logica tipicamente calcistica, per cui si dice sia meglio giocare sempre all’attacco piuttosto che in difesa, senza rispondere alle richieste avanzate da parte della delegazione jugoslava, mentre terminava la seduta del 16 novembre 1957, il capo della delegazione jugoslava, Mitja Vošnjak, usando sempre rigorosamente il linguaggio diplomatico, consegnava al capo della delegazione italiana, Cesare Pasquinelli, addirittura due messaggi “segreti”. Ecco, di seguito le due lettere contrassegnate dalla formula della segretezza: “Signor Consigliere, ho l’onore di informarla delle seguenti proposte, in relazione ai problemi discussi al punto 2 dell’Ordine del giorno della II Sessione ordinaria del Comitato Misto: 1) nell’intento di rendere più facile la preparazione del corpo insegnante delle scuole del gruppo etnico jugoslavo nel territorio sotto amministrazione italiana e delle scuole del gruppo etnico italiano nel territorio sotto amministrazione jugoslava, sarebbe utile esaminare la possibilità di un reciproco scambio di beneficiari di

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borse di studio, appartenenti ai rispettivi gruppi etnici, a scopo di studio e specializzazione nell’altro Paese. 2) Desiderando regolare la posizione futura di tali beneficiari, come pure di una parte del già esistente corpo insegnante delle scuole del rispettivo gruppo etnico, sarebbe utile esaminare la possibilità della conclusione di un particolare accordo per il riconoscimento reciproco dei diplomi di scuola media e delle lauree ottenute nell’altro Paese, nonché per il reciproco riconoscimento dell’anzianità di servizio raggiunta dagli insegnanti nelle scuole dell’altro Paese. 3) Allo scopo di far conoscere più profondamente la lingua e la cultura del rispettivo gruppo etnico sarebbe utile esaminare la possibilità di un più ampio scambio delle rispettive pubblicazioni. Le sarò grato, signor Consigliere, se vorrà inoltrare le proposte suddette alle Autorità competenti per un eventuale successivo negoziato e se vorrà cortesemente accusarmi ricevuta della presente lettera. Voglia gradire... Mitja Vošnjak” Come già detto, il destinatario della proposta, dott. Pasquinelli, accusò ricevuta in giornata ripetendo parola per parola il testo di Vošnjak, ma senza ulteriori commenti. Lo stesso giorno, però. sempre il capo della delegazione jugoslava, Vošnjak, sempre per via diplomatica e sempre contrassegnata con “Segreto”, inviò all’omologo italiano anche una seconda lettera, che pure trascriviamo: “Signor Consigliere, in relazione al punto 2 dell’Ordine del giorno della II Sessione ordinaria del Comitato Misto, ho l’onore di effettuarLe la seguente comunicazione: 1) I membri jugoslavi del Comitato Misto ritengono che sussistono possibilità di organizzare particolari seminari di lingua e letteratura italiana, con frequenza obbligatoria, per il personale insegnante e per gli alunni delle scuole del gruppo etnico italiano nel territorio sotto amministrazione jugoslava; in tali seminari le lezioni dovrebbero essere tenute da insegnanti provenienti dalla Repubblica Italiana; 2) i membri jugoslavi del Comitato Misto ritengono che sussistono possibilità per l’apertura di una scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana nel territorio di Salvore; 3) i membri jugoslavi del Comitato Misto auspicano che da parte delle Autorità Italiane venga esaminata la possibilità di prendere le misure necessarie affinché la nuova legge sulle scuole con lingua d’insegnamento slovena nel territorio sotto amministrazione italiana non contenga disposizioni per la presentazione di una dichiarazione particolare da parte dei genitori all’atto dell’iscrizione e per l’esistenza di una Commissione per l’accertamento della lingua materna degli alunni che si presentano per l’iscrizione stessa; I membri jugoslavi del Comitato Misto ritengono che, qualora la proposta contenuta nei tre punti precedenti trovasse favorevole accoglimento da parte italiana, i particolari per la loro concreta attuazione potrebbero essere oggetto di separata trattativa. Le sarei grato... ecc... Mitja Vošnjak” Evidentemente, le iniziative non trovarono posto, come abbiamo visto dal verbale, nell’ordine del giorno della II sessione del Comitato Misto, per cui è probabile che fosse oggetto - come proposto - di trattativa separata, soprattutto per quanto riguarda i seminari

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di lingua e letteratura italiana per le scuole della minoranza italiana. Seminari che vennero poi effettivamente organizzati con grande impegno e pompa da entrambe le parti, e che, purtroppo oggi hanno perso molto del loro splendore originale. Da vedere in merito, lo studio portato a termine dalle prof.sse Daniela Paliaga e Lilia Macchi. I temi riguardanti la scuola dall’una e dall’altra parte sono stati ricorrenti in quasi tutte le venti sessioni del Comitato Misto, in quanto temi di importanza determinante per la sopravvivenza di una comunità minoritaria. La scuola, nel territorio dell’ex Zona B, indipendentemente dalla situazione in cui era obbligata ad operare, aveva comunque svolto un ruolo importantissimo per la Comunità italiana dopo che, negli anni precedenti, il territorio e le sue istituzioni scolastiche erano state completamente sguarniti del corpo insegnanti e dalla classe intellettuale nella quale gli Italiani rimasti si riconoscevano. Altri temi dominanti del Comitato erano rappresentati dall’uso pubblico delle lingue minoritarie e dal rispetto dei diritti civili da parte del potere e dell’opinione pubblica. È comunque evidente che la strategia impostata dalla delegazione jugoslava sin nelle prime sessioni, cioè mantenere sempre e comunque l’iniziativa, sarebbe stata mantenuta anche nelle sedute successive. Come abbiamo visto dal verbale della III sessione, proprio usando la tattica dell’offensiva, che le permetteva poi anche una difesa migliore, è stata addirittura la delegazione jugoslava a proporre determinate iniziative, anche importanti, a favore della Comunità Italiana. Ho avuto la possibilità di avere a lungo contatti con l’esperto da parte jugoslava del Comitato Misto del Capodistriano, Črtomir Kolenc, anche perché è stato per decenni l’interlocutore più preparato e più disponibile in ambito politico e giuridico nei confronti della nostra Comunità. Parlando dei dibattiti in sede di Commissione mista, non ha avuto difficoltà ad ammettere che da parte italiana mancava soprattutto un interesse politico nei confronti della minoranza italiana e che l’unico rappresentante della parte italiana, anche se soltanto in qualità di esperto, era l’avvocato Guido Gerin di Trieste, il più preparato nei confronti delle problematiche della Comunità Italiana. A tal punto che i consiglieri jugoslavi, parlando di lui, lo definivano addirittura “pericoloso”, sempre disposto com’era a portare in campo i valori della democrazia - pur imperfetta dell’Italia di allora - in cui poteva muoversi ed agire la minoranza slovena, rispetto a quelli del regime jugoslavo in cui era immersa la Comunità Italiana dell’ex Zona B del mai realizzato Territorio Libero di Trieste e che, nonostante il grande sostegno che la Jugoslavia godeva in ambito internazionale, agli occhi di un osservatore occidentale, dal punto di vista del rispetto dei diritti civili, avrebbe dovuto suscitare perlomeno qualche perplessità. (2) Nel promemoria della delegazione jugoslava si propone l’approvazione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana che assicurassero possibilità pratiche per l’uso orale e scritto della lingua del gruppo etnico jugoslavo con cui comunicare con le autorità amministrative e giudiziarie (abrogazione dell’art. 122 in vigore del Codice di procedura civile e dell’art. 137 del Codice di procedura penale; stampa di formulari bilingui per le necessità delle autorità amministrative e giudiziarie, come pure la pubblicazione di proclami e informazioni pubbliche bilingui, l’emissione di documenti pubblici, comprese le sentenze giudiziarie con traduzione in lingua slovena; la pubblicazione di bandi di concorso per impiegati che parlano la lingua del gruppo etnico jugoslavo, etc.) in osservanza all’art. 2, lettera e, e dell’art. 5 dello Statuto Speciale. Al secondo punto, si chiede la definizione delle zone del comune di Trieste nelle quali era ritenuto necessario adottare le disposizioni sul bilinguismo previste dall’art. 5 dello Statuto Speciale nelle scritte degli enti pubblici, come pure nella toponomastica bilingue della città e delle vie. Il documento indicava pure la necessità di definire gli enti pubblici

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(come p.es. delle autorità amministrative, del tribunali, delle stazioni dei carabinieri, degli uffici postali, della stazione ferroviaria, della dogana, etc.) sui quali, ai sensi dell’art. 5 dello Statuto Speciale, le scritte dovevano essere bilingui in tutte quelle zone del comune triestino ai sensi del punto a, come pure in tutti i comuni del territorio sotto amministrazione italiana, nei quali gli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo rappresentavano una parte consistente (almeno un quarto) della popolazione. Anche in questi casi era necessario adottare misure e modalità per l’attuazione delle scritte bilingui delle città e delle vie. Per l’attuazione di queste disposizioni, naturalmente, si chiedeva la definizione di un termine di tempo per la messa in atto di quanto sopra. Trattate le questioni riguardanti il bilinguismo nelle zone sotto amministrazione italiana, il documento continua (lasciando l’esposizione all’avvocato capodistriano Črtomir Kolenc, come scritto a matita a lato) chiedendo la proroga del termine, previsto dall’art. 2, lettera d) dello Statuto Speciale riguardante l’acquisizione dell’equipollenza dei diplomi e degli attestati degli appartenenti al gruppo etnico sloveno, impiegati in attività o professioni per le quali non dispongono del necessario diploma o attestato. Infine, il documento, pur se all’ultimo punto, propone l’approvazione di una legge per le scuole slovene in Italia, tema che divenne ricorrente negli anni, compresa la parificazione della posizione dell’insegnante nelle scuole slovene con quella degli insegnanti nelle altre scuole del territorio sotto amministrazione italiana, come previsto dalla conclusione al secondo punto del verbale della II sessione del Comitato Misto. Prima dell’inizio della sessione estiva romana, probabilmente mettendo avanti le mani per condizionare l’andamento del dibattito su alcuni punti ritenuti particolarmente importanti, vanno registrate due dichiarazioni dei membri della delegazione jugoslava che proponevano l’inserimento all’ordine del giorno di alcuni punti riguardanti i diritti della minoranza slovena, con indicazioni molto precise addirittura nei particolari. Gli jugoslavi constatarono la necessità di adeguare quanto prima la posizione della minoranza slovena sul territorio sotto amministrazione italiana alle clausole dello Statuto Speciale. In primis l’importanza di tradurre l’articolo 5 dello Statuto Speciale in norme di legge, in particolare soprattutto quanto previsto dall’art. 2, punto c) riguardante una giusta rappresentatività negli organi amministrativi. Altresì era necessario che per le aree dove viveva la minoranza slovena venissero abrogati l’art. 137 del Codice di procedura penale e l’art. 122 del Codice di procedura civile. Nel prosieguo il documento ripete alcune delle conclusioni già presenti nel promemoria presentato subito dopo la conclusione della II sessione del Comitato Misto che abbiamo specificato più sopra. La novità assoluta del documento sta nel proporre ed elencare addirittura quali impiegati e funzionari dell’amministrazione pubblica dovrebbero assolutamente conoscere la lingua slovena. Così, presso il Commissariato Generale del Governo, si chiede l’istituzione di una Sezione presso la Direzione della Pubblica Istruzione che dovrebbe rappresentare l’inizio del futuro Dipartimento per le scuole slovene. Si propone inoltre, almeno un appartenente al gruppo etnico sloveno con adeguata istruzione tecnica presso la Direzione per l’agricoltura e le foreste. Non mancano le segnalazioni per quanto riguarda la Prefettura: almeno un funzionario con conoscenza della lingua slovena presso il Segretariato Generale, presso la sede tutoria della Giunta Provinciale amministrativa impiegare un secondo segretario e, su nove membri, almeno due dovrebbero essere Sloveni: nella Sezione speciale per i tributi locali dell’amministrazione provinciale - dovrebbe essere impiegato un secondo segretario Sloveno oppure almeno due membri sugli undici presenti. Alla Provincia sarebbe auspicabile un secondo segretario Sloveno, un impiegato e almeno un interprete con conoscenza della lingua slovena. La lista continua segnalando la necessità di almeno due impiegati per il Comune di Trieste, mentre un impiegato dovrebbe essere presente nelle relative delegazioni rionali, da via Gelsomini, a Villa Opicina a Roiano, ecc. Almeno due impiegati con adeguata istruzione tecnica all’Ispettorato Provinciale dell’agricoltura, due anche alla Camera per il Commercio, l’industria e l’agricoltura. Un segretario sloveno presso i comuni di

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Duino-Aurisina, San Dorligo della Valle, Sgonico e Monrupino. Infine, almeno un impiegato con conoscenza della lingua slovena negli altri uffici statali, parastatali e pubblici, come i tribunali, la questura, il comando dei Carabinieri, la posta, le ferrovie, la direzione delle finanze, all’INPS, all’INAM, ecc, in pratica in tutti gli uffici dove si viene a contatto con le parti e con la popolazione. Nella seconda dichiarazione, i membri della delegazione jugoslava richiamandosi direttamente all’art. 5, punto 3 dello Statuto Speciale, ribadiscono che in quattro dei comuni sotto amministrazione italiana (Duino-Aurisina, Sgonico, San Dorligo della Valle e Monrupino), come pure in alcune zone del comune di Trieste, gli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo rappresentano indubbiamente un numero consistente (almeno un quarto) della popolazione, per cui la clausola andrebbe attuata in tutte le amministrazioni statali, pubbliche e giudiziarie. Si chiede pertanto che in tutti i comuni sotto amministrazione italiana oltre che in alcune zone del Comune di Trieste dove la consistenza numerica del gruppo etnico jugoslavo rappresenta almeno un quarto della popolazione, le disposizioni indicate vengano attuate entro la prossima sessione del Comitato Misto. Su quelle misure che possono risultare controverse rispetto alla composizione reale della popolazione si propone che il Comitato ne discuta nel corso della IV sessione. Praticamente, già a partire dalla terza sessione le modalità e il linguaggio della diplomazia usati fino ad allora, assumono toni molto più decisi che, naturalmente mettono la delegazione italiana in una posizione di strenua difesa, anche perché assolutamente priva di reali indicazioni sulla posizione del gruppo nazionale italiano sotto amministrazione jugoslava, causa una totale assenza di contatti con rappresentanti di questo (come disse qualcuno, con il senno di poi, sarebbe stato tutto da vedere se soltanto uno di loro avesse avuto il coraggio di incontrare gli esponenti della delegazione o del governo italiano in un incontro che non vedesse presenti anche rappresentanti del potere popolare!) (3) Mi pare importante evidenziare ancora una volta che, come per tutte le altre sessioni del Comitato Misto, il punto regolarmente all’o.d.g. del Comitato Misto su richieste e ricorsi, non registrò la presentazione di alcuna protesta o ricorso di singole organizzazioni o richieste da parte della Comunità Italiana insediata nell’ex territorio della Zona B del Territorio Libero di Trieste. Numerose, invece, le richieste pervenute da parte di enti, organizzazioni e singoli della minoranza slovena di Trieste. Una consistente parte di queste non facevano che convalidare le proposte avanzate dalla parte jugoslava del Comitato al punto precedente e riguardanti il sistema scolastico della minoranza slovena in Italia. Col senno di poi, si potrebbe facilmente concludere, che, in effetti, la parte jugoslava non faceva altro che portare avanti una strategia concordata in precedenza a livello politico e diplomatico e di aver necessariamente incluso in questi preparativi anche esponenti della Comunità slovena di Trieste che non potevano non aver suggerito gli elementi portati del progetto. Una diversità di comportamenti e di strategie adottate dalle due delegazioni fin dall’inizio e che si mantennero anche nelle sessioni e negli anni successivi. La delegazione jugoslava, infatti, si sentì subito preparata con una richiesta globale della presenza slovena e della sua tutela su tutto il territorio sotto amministrazione italiana, a partire proprio da norme di legge che sancissero i diritti individuali e collettivi della comunità slovena. Di fronte, la delegazione italiana si trovò, invece, a dover fare i conti con una materia a lei ancora sconosciuta, ma alla quale non dedicò quell’importanza vitale che, per il mantenimento e la tutela della comunità minoritaria, sarebbe stata più che necessaria: in fondo, a chiusura dell’esodo, la presenza italiana in Istria e nell’ex Zona B divenne elemento marginale della politica estera ed interna italiana. Una marginalità dell’interesse italiano che permase fino

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agli anni Ottanta. Per il governo di Roma e per il MAE gli Italiani rimasti erano da considerare definitivamente perduti in quanto - questa era la tesi dominante presente negli ambiti politici governativi e, pure, nella maggioranza della stampa italiana, avevano optato per la Jugoslavia. Erano, fino agli anni Novanta, i “titini” traditori che non avevano ascoltato l’invito rivolto loro dalla Madre Patria. Accanto a questo, probabilmente, anche la consapevolezza che l’Istria era ormai definitivamente separata dall’Italia non da una temporanea e provvisoria “linea di demarcazione”, come si ostinava a ripetere, ma da un confine di Stato sancito con il Memorandum di Londra dalle grandi potenze. L’Istria era già considerata coscientemente dal governo italiano “terra perduta”! Infatti, nonostante la Jugoslavia abbia sempre sostenuto che il Memorandum d’Intesa di Londra del 1954 avesse risolto definitivamente il problema confinario con l’Italia, contrastando le affermazioni italiane che continuavano a parlare di “Linea di demarcazione”, e insisteva a parlare del confine italo jugoslavo, il Comitato Misto, compresa la delegazione jugoslava, continuava a definire le due ex-zone A e B, come zone sotto amministrazione dell’una o dell’altra parte: quindi non “territori italiani” o “territori jugoslavi”! L’assenza totale di petizioni, ricorsi o semplici richieste da parte delle istituzioni minoritarie dell’ex Zona B, in fondo, se da una parte convalidavano questa opinione italiana nel giudicare tutto e tutti come conseguenza di una scelta pro-Jugoslavia, avrebbe però dovuto almeno far nascere qualche dubbio sulla reale situazione e indurre la delegazione italiana ad attrezzarsi in maniera adeguata per disporre - proprio sulla base della conclamata reciprocità - di informazioni che riguardassero la vita e la posizione della Comunità Italiana rimasta, avanzando proposte di tutela globali parificate - nei contenuti - a quelle presentate dalla parte jugoslava del Comitato Misto. Un più coerente monitoraggio della situazione minoritaria nel territorio dell’ex Zona B, se non altro avrebbe comportato un diverso atteggiamento nei confronti della tutela della minoranza italiana che non riguardasse soltanto sporadici casi tratti dalla stampa di confine. E avrebbe tenuto conto, di conseguenza, del regime di estremo controllo cui era sottoposta la Comunità nel suo insieme, con le sue organizzazioni e, naturalmente, anche i singoli, sempre in mano a fedelissimi del regime. Va rilevato, così, tanto per rimanere nell’ambito di questa terza sessione del Comitato Misto, che all’ultimo punto dell’o.d.g. dedicato a domande e ricorsi, vennero trattate questioni presentate dalla Slovenska Prosvetna Zveza di Trieste che chiese l’apertura di due nuovi asili in città, dall’ Administrativno in pomožno osebje nekaterih šol s slovenskim učnim jezikom (Sindacato degli operatori amministrativi ed ausiliari di alcune scuole con lingua d’insegnamento slovena) di Trieste, con la richiesta di pagamento di diversi contributi. Discusse, però anche richieste presentate da singoli, come Kulot Ivan, che chiese di venir inserito come insegnante di ruolo con piena ricostruzione della carriera, oppure PečaričPecchiari Carlo che chiese di venir riassunto in servizio presso il Tribunale Circondariale di Trieste. Tra botte e risposte delle due parti del Comitato venne affrontata anche la richiesta di Perhavc dr. Rudolf, Kulot Ivan, Daneu Danilo e Pavletič Julij, che chiesero venisse loro nuovamente riconosciuto lo speciale trattamento goduto fino al 30 settembre 1955 con il pagamento dei contributi assegnati ai propri dipendenti dall’ex Governo Militare Alleato al momento del passaggio dei poteri all’amministrazione italiana. Richiesta di adeguato trattamento economico goduto fino al 30 settembre 1955 venne chiesto per i propri affiliati anche dal Sindacato della scuola slovena di Trieste, mentre lo stesso sindacato con un altro documento chiese il riconoscimento di uno speciale trattamento economico, il riconoscimento degli anni di servizio, dei diplomi e degli attestati, nonché una proroga del termine previsto dall’art. 2, punto d) dello Statuto Speciale. Altre sette richieste chiedevano, infine il riconoscimento del diritto alla pensione, il diritto di residenza permanente a Trieste, di rilascio del visto d’entrata in Italia per la famiglia. Nell’insieme, le domande ed i ricorsi avanzati da organizzazioni e singoli della minoranza slovena di Trieste, impegnarono seriamente i componenti delle due delegazioni, in particolare quella italiana con risposte e argomentazioni dovute. Delle 24 pagine del verbale dattiloscritto ne riempirono ben dieci.

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(4) Ci sembra addirittura normale che, nel dibattito che ne è seguito, si sia svolto una specie di tira e molla e di giustificazioni da parte italiana, la quale volle sottolineare che il Governo italiano aveva già presentato in Parlamento una proposta di legge sulle scuole con lingua d’insegnamento slovena, ma che il documento non aveva potuto essere inserito nell’iter legislativo prima della fine della legislatura in corso. Infatti, il Ministero per l’istruzione aveva già informato il Sindacato delle scuole slovene di Trieste che la proposta di legge per la regolamentazione di questo problema sarebbe stato nuovamente presentato in approvazione al nuovo Parlamento. Naturalmente, la parte italiana del Comitato ci tenne a sottolineare che la scuola con lingua d’insegnamento slovena nel territorio sotto amministrazione italiana certamente non si trovava nemmeno fino ad ora senza una regolamentazione e adeguato riconoscimento giuridico, poiché da questo punto di vista era ancora in vigore la normativa dell’ex Amministrazione Militare Alleata confermata da parte del Commissario Generale del Governo a Trieste. Quindi, la delegazione italiana desideva informare che le scuole con lingua d’insegnamento slovena godevano di un trattamento parificato alle scuole con lingua d’insegnamento italiana e che avevano sempre potuto disporre di insegnanti della stessa madrelingua degli alunni. Nonostante tutte queste assicurazioni e precisazioni, il Comitato Misto volle comunque raccomandare al Governo italiano di interessarsi a tutto quanto sarebbe stato necessario per arrivare quanto prima all’approvazione della norme di legge prevista dall’art. 4, punto c), terzo comma dello Statuto Speciale, senza tuttavia entrare nel merito dei contenuti delle normative delle singole richieste avanzate dalla parte jugoslava, delle quali la parte italiana avrebbe dato comunicazione in sede adeguata.

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Capitolo IV L’uso pubblico della lingua italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava Per la delegazione jugoslava, oltre che dei verbali, prima di ogni sessione veniva organizzata dal Ministero degli esteri una riunione preparatoria, dove venivano discusse sia le proposte e iniziative di parte italiana che quelle di parte jugoslava. Durante tali riunioni, venivano tracciate anche le linee guida del comportamento e degli interventi previsti in sessione di tutti i consiglieri. In vista dell’annunciata IV sessione ordinaria, prevista a Belgrado per il 9 febbraio del 1959, venne convocata una riunione preparatoria già l’11 dicembre del 1958 con all’ordine del giorno eventuali spiegazioni inerenti le conclusioni della sessione precedente e, naturalmente, i nuovi punti di cui la parte jugoslava aveva già provveduto ad informare la parte italiana. Già nella nota del Ministero degli esteri jugoslavo allegata all’invito ci sono alcune annotazioni di tutto rilievo, tra cui il raggiunto accordo circa alcuni punti che si troveranno all’ordine del giorno e dibattuti nel corso della IV sessione. Tra queste, in primo piano, quelle annunciate dall’Ambasciata italiana di Belgrado di cui la prima riguardante “le misure da adottare nel territorio sotto amministrazione jugoslava per assicurare al gruppo etnico italiano concrete possibilità di uso della lingua italiana nei rapporti personali e ufficiali nei settori amministrativi e giuridici (art. 2 punto e) e art. 5 dello Statuto Speciale,) La seconda annotazione puntava a chiarire la situazione “nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana nel territorio sotto amministrazione jugoslava”. L’annuncio del Ministero degli esteri belgradese era seguito da un commento, secondo il quale “... le proposte italiane sono di carattere generale e non pongono richieste specifiche, anche se in pratica trattano argomenti della stessa natura di quelle jugoslave, anche se la parte italiana non chiede di porre all’o.d.g. il problema delle scritte e delle denominazioni bilingui”. Nella nota allegata i consiglieri jugoslavi venivano informati dell’annuncio fatto dal governo italiano secondo cui a nuovo presidente della delegazione italiana nel Comitato Misto era stato nominato il ministro plenipotenziario Vitaliano Confalonieri, capo dell’Ufficio esteri con sede a Trieste, per cui “...veniva aumentato il grado del capo della delegazione italiana”. (1)

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Verbale della IV sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Belgrado dal 9 al 21 febbraio 1959. La quarta sessione del Comitato Misto si svolse a Belgrado dal 9 al 21 febbraio 1959. A presiederla il capodelegazione jugoslavo che, per l’occasione il serbo Berislav Žulj, mentre la delegazione italiana era guidata da Vitaliano Confalonieri. Da rilevare ancora la presenza di due esperti da parte jugoslava, nelle persone di Črtomir Kolenc, per quella parte dell’ex Zona B, ormai di competenza della Repubblica Popolare di Slovenia, e Franjo Mičetić, per il territorio del Buiese facente parte della Repubblica Popolare di Croazia. Due esperti presenti anche per la parte italiana,l’avvocato triestino Guido Gerin e il dott. Giovanni Saragat. Senza addentrarci nei contenuti dei dibattiti, riportiamo di seguito l’ordine del giorno, come concordato preventivamente dalle due parti: “Punto I.: Disamina dell’attuazione delle conclusioni della III sessione ordinaria del Comitato Misto. “Punto II.: Questioni riguardanti il bilinguismo. A) Questioni proposte da parte del Governo Jugoslavo: a) Adozione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana per assicurare concrete possibilità di comunicazione orale e scritta con il potere amministrativo e legislativo nella lingua del gruppo etnico jugoslavo (abrogazione della legge 122 del codici di procedura civile e dell’art. 117 del Codice penale; stampa di formulari bilingui per le necessità dei poteri amministrativi e legislativi, come pure la pubblicazione bilingue di annunci e avvisi pubblici, emissione di documenti pubblici, comprese le sentenze dei tribunali con traduzione in lingua slovena; bandi di concorso per impieghi pubblici con conoscenza della lingua del gruppo etnico jugoslavo, ecc.) in ottemperanza dell’art.2, punto c, e dell’art. 3 dello Statuto Speciale. b) Definizione dei settori del Comune di Trieste, dove è necessario introdurre le clausole dell’art. 5 dello Statuto Speciale riguardanti la presenza di scritte bilingui sugli edifici pubblici e di denominazione bilingui sulle tabelle delle vie e delle località. c) Definire le istituzioni pubbliche (p.es. amministrazione del governo, tribunali, stazioni dei Carabinieri, uffici postali, stazioni ferroviarie, dogane, ecc.) sulle quali, ai sensi dell’art. 5 dello Statuto Speciale, bisogna esporre scritte bilingui nei settori del Comune di Trieste (vedi alinea precedente) e negli altri Comuni del territorio sotto amministrazione italiana, dove gli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo rappresentano un numero consistente (almeno un quarto della popolazione), introduzione di misure, compresa la definizione delle modalità per l’introduzione dei principi delle denominazioni bilingui delle località e delle vie sul territorio. d) Stabilire i termini di tempo per l’attuazione del misure del precedente punto c). B) Questioni proposte da parte del Governo Italiano: Adozione di misure sul territorio sotto amministrazione jugoslava per assicurare al gruppo etnico italiano possibilità pratiche per l’uso della lingua italiana nelle

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comunicazioni personali e ufficiali con il potere amministrativo e legislativo del territorio (art. 2, punto e) e art. 5 dello Statuto Speciale). “Punto III.: Questioni inerenti la scuola A) Questione proposta da parte del Governo Italiano: Le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava (art. 4, punto c) dello Statuto Speciale). B) Questione proposta da parte del Governo Jugoslavo: Posizione delle scuole slovene sul territorio sotto amministrazione italiana, nonché degli insegnanti di queste scuole concluso il termine previsto dall’art. 2, punto dello Statuto Speciale. “Punto IV.: Disamina dei ricorsi e delle richieste presentate al Comitato Misto da parte di singoli e organizzazioni.” Come rileva il verbale, i membri italiani del Comitato Misto illustrarono ampiamente il proprio parere riguardo lo stesso tema presentato in precedenza dagli jugoslavi. Tra l’altro si soffermarono soprattutto su alcuni problemi: “a) su alcuni casi nei quali concretamente sono venute alla luce alcune difficoltà e disguidi per gli appartenenti al gruppo etnico italiano riguardo all’uso della propria lingua nei rapporti con il potere; b) sull’ opportunità che gli appartenenti al gruppo etnico italiano vengano informati delle leggi in vigore tramite la pubblicazione delle stesse anche in lingua italiana; c) sulle conseguenze con le quali devono fare i conti gli appartenenti al gruppo etnico italiano, poiché il cambio dei cognomi, trasformati ufficialmente nella forma slovena, ha comportato anche un trasferimento in altre categorie degli appartenenti alla nazionalità italiana. Questo ha influito negativamente anche sulle iscrizioni di alunni nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, come del resto è stato confermato alla conferenza degli insegnanti svoltasi nei giorni 4 e 5 settembre 1958 a Fiume e all’Assemblea generale degli Italiani dell’Istria e di Fiume , svoltasi a Isola il 29 giugno 1958. I membri italiani del Comitato Misto chiedono pertanto che il fatto venga esaminato e che venga agevolato agli appartenenti del gruppo etnico italiano interessato, attraverso un’adeguata informazione, il ripristino del cognome nella forma originaria, compresa la trascrizione nei registri ufficiali, in quanto il mantenimento del proprio cognome, della propria nazionalità e la frequenza delle scuole nella propria madre lingua, rappresentano i presupposti per il mantenimento delle loro identità e caratteristiche etniche.” I componenti jugoslavi del Comitato Misto, da parte loro, sottolinearono che sul territorio sotto amministrazione jugoslava gli appartenenti al gruppo etnico italiano possono liberamente servirsi della propria lingua nei rapporti orali e scritti con i poteri amministrativi e legislativi, ai sensi delle clausole dell’art. 5 dello Statuto Speciale, poiché negli uffici sono impiegate persone con conoscenza della lingua italiana.

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Per quanto riguarda la questione dei cognomi, gli jugoslavi ribadirono che sul territorio sotto amministrazione jugoslava, sulla base di normative particolari, era stato deciso che i cognomi che erano stati cambiati a partire nel 1922 e negli anni seguenti, venissero ripristinati nella loro forma originale. Rilevarono pure che la forma dei cognomi non influiva sulle iscrizioni dei bambini nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, in quanto queste erano assolutamente libere. Di conseguenza, il verbale rilevò che su questo punto dell’ordine del giorno non era stato conseguito il consenso delle parti. Più consistente, su proposta di entrambe le delegazioni, il dibattito sul III punto dell’Ordine del giorno, riguardante la situazione nelle scuole. A conclusione delle introduzioni, il Comitato Misto aveva deliberato alcune conclusioni anche per quanto riguarda le istituzioni scolastiche italiane sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Tra l’altro: “ Che da parte jugoslava: 1) Si proceda all’introduzione dell’insegnamento in lingua italiana nell’asilo e nelle sezioni italiane degli asili, come pure in una delle scuole elementari - in base all’elenco delle scuote specificate nell’art.4, punto c) dello Statuto Speciale dove attualmente non viene effettuato l’insegnamento poiché non hanno registrato alcuna iscrizione; di questo, i genitori vengano informati in modo adeguato ; 2) Si proceda all’adeguamento delle scuole con lingua d’insegnamento italiana al nuovo sistema scolastico jugoslavo; 3) Si proceda al ripristino dell’insegnamento nella sezione italiana della scuola commerciale di Capodistria e nella scuola tecnico-commerciale di Isola, adeguandolo alla nuova legislazione scolastica jugoslava; 4) Dall’inizio dell’anno scolastico 1959/60 in tutte le scuole con lingua d’insegnamento italiana nel territorio sotto amministrazione jugoslava tutti gli insegnanti che non appartengono alla stessa madrelingua degli alunni vengano sostituiti con insegnanti che adempiono a questa condizione e che nelle scuole medie continui l’elargizione di borse studio e di altri misure adeguate al fine di migliorare la situazione, ai sensi con le clausole dell’art. 4, punto c) secondo comma dello Statuto Speciale; 5) All’Istituto magistrale di Fiume venga istituito un corso in lingua italiana con esami differenziali finalizzati al conseguimento del diploma di insegnante, onde assicurare un numero sufficiente di personale insegnante di madre lingua italiana per le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Ai corsi potrà iscriversi chi ha conseguito il diploma di maturità delle scuole medie italiane la cui lingua madre è l’italiano; 6) Fare attenzione che, nella pubblicazione di testi scolastici per le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, si tenga conto dell’art. 4, punto c), quarto comma dello Statuto Speciale; 7) All’inizio dell’anno scolastico 1959/60 procedere all’apertura di una nuova scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana sul territorio di Salvore.” Nel prosieguo della sessione, al punto IV, il Comitato Misto ha preso in esame i vari ricorsi e richieste che, come abbiamo già accennato, provenivano esclusivamente da parte di istituzioni e singoli della minoranza slovena, ai quali la delegazione italiana ha cercato di dare risposta occupando ben sette pagine dattiloscritte del verbale, che, però, non sempre hanno registrato il consenso di entrambe le delegazioni.

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Note (1) A commento dell’Ordine del Giorno, credo basterebbe ripetere quanto riportato dai documenti jugoslavi stesi in preparazione della IV sessione ordinaria, soprattutto dove il Ministero degli esteri jugoslavo commenta le proposte italiane, definendole generiche e senza iniziative concrete. Valutazione, in pratica, che potrebbe valere anche per il dibattito scaturito nella trattazione del II Punto dell’O.d.g., indipendentemente dalle conclusioni approvate: dibattito articolato fin nei particolari, in cui si ripeteva quanto previsto dal documento della riunione preparatoria, ma improvvisato e non si è riusciti ad inserirlo in una piattaforma che comprendesse una iniziativa globale dal punto di vista normativo. Sull’intervento italiano, tuttavia, vogliamo riportare almeno parte della presentazione e del dibattito, come trascritti dal verbale. Pur trattandosi della stessa problematica, va sottolineato che la presentazione da parte jugoslava è stata trascritta nel verbale su ben sei pagine dattiloscritte, senza peraltro registrare un qualche commento da parte italiana. La presentazione italiana del problema è verbalizzata su una pagina e mezza dattiloscritta, dove la mezza pagina riguarda l’intervento in merito degli jugoslavi. Già l’allegato, praticamente, informava la parte jugoslava su quale avrebbe dovuto essere il punto da approfondire in Commissione. In un documento a parte vennero svolte, punto per punto, le richieste che gli jugoslavi avevano il compito di illustrare in sessione e che riguardavano, non certo per caso, il punto che gli stessi jugoslavi avevano notato mancare nelle proposte italiane. Nel documento di ben 4 pagine dattiloscritte, le richieste riguardanti la presenza della lingua slovena nei servizi pubblici e nelle scritte bilingui sono talmente specificate che, per conoscenza, le riportiamo di seguito: “A. Commissariato Generale del Governo Direzione della Pubblica Istruzione – è necessario istituire una sezione, quale inizio del futuro reparto le la scuola slovena; Direzione per l’agricoltura e le foreste – è necessario almeno un appartenente al gruppo etnico jugoslavo con adeguata istruzione tecnica; “B. Prefettura Segretariato Generale . sarebbe necessario almeno un impiegato o interprete con conoscenza della lingua slovena; Giunta Provinciale Amministrativa - Sede tutoria – è necessario un secondo segretario Sloveno, e che, su nove membri due siano Sloveni; Giunta Provinciale Amministrativa - Sezione speciale per i tributi locali - auspicabile un secondo segretario Sloveno e che almeno due su undici membri siano Sloveni. “C. Provincia Segretariato Generale - sarebbe auspicabile un secondo segretario e un impiegato o interprete con conoscenza della lingua slovena. “D. Comune di Trieste Segretariato Generale - è auspicabile almeno un interprete; È necessario almeno un impiegato Sloveno per ogni Sezione; In ogni delegazione comunale è auspicabile almeno un impiegato con piena conoscenza della lingua slovena: La Sesta, Strada per Longera, via Gelsomini, Opicina, Prosecco, Santa Croce, via della Guardia, S. Maria Maddalena Superiore e Roiano; “E. Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura

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Sarebbero necessari almeno due impiegati con istruzione tecnica e due funzionari amministrativi con conoscenza della lingua slovena. Attualmente su 25 impiegati soltanto uno è Sloveno, anche se questo ufficio lavora quasi esclusivamente con Sloveni. Inoltre, sarebbe raccomandabile che i vari corsi di aggiornamento per gli agricoltori nei villaggi si svolgessero in lingua slovena e che il materiale tecnicopubblicitario venisse stampato in lingua slovena. La corrispondenza tra l’Ispettorato e gli agricoltori avviene attualmente soltanto in lingua italiana. “F. Camera di Commercio, Industria e Agricoltura Nel Segretariato sarebbero necessari almeno due funzionari con conoscenza della lingua slovena; Gli appartenenti al gruppo etnico sloveno dovrebbero essere rappresentati in un numero maggiore, particolarmente nelle sezioni per il commercio interno, per l’artigianato e nella sezione per l’agricoltura e le foreste. “G, Comuni di Duino-Aurisina, San Dorligo della Valle, Sgonico, Monrupino I segretari di questi Comuni dovrebbero conoscere pienamente la lingua slovena. “H. Altre istituzioni statali e parastatali nonché enti pubblici (soprattutto tribunali, questure, comandi delle stazioni dei Carabinieri, posta, Ferrovie dello Stato, direzioni finanziarie, INPS, INAM, ecc. e in tutti gli uffici che comunicano on il pubblico sono necessari impiegati con conoscenza della lingua slovena. ) “Tutti i poteri amministrativi e giuridici e le altre istituzioni pubbliche dovrebbero dedicare maggior attenzione alle pubblicazioni ufficiali che dovrebbero essere stilate nelle due lingue, come i comunicati, le pubblicazioni e gli annunci pubblici, soprattutto da parte della Provincia, dagli uffici del fisco, dalle Prefetture, dal Comune di Trieste e da parte delle loro istituzioni, nonché delle amministrazioni dell’agricoltura e forestali. “Nell’ambito delle indicazioni, si propone ai membri jugoslavi del Comitato Misto di suggerire che, le misure proposte possono essere realizzate nel territorio sotto amministrazione italiana con interventi amministrativi, per cui potrebbero avere inizio senza ulteriori ritardi”.

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Capitolo V La modifica dei cognomi italiani Di questa seduta del Comitato Misto, che venne convocata per la seconda volta durante il 1959, ma questa volta a Roma, dal 26 ottobre al 9 novembre 1959, non siamo in possesso di materiali riguardanti documenti o riunioni preparatorie. Nel prosieguo, pertanto, ci limitiamo ad esaminare l’ordine del giorno ed a riportare eventuali interventi dell’una o dell’altra parte che riguardino direttamente la posizione della Comunità Italiana nell’ex Zona B. Va detto, comunque, che si tratta di un verbale corposo di ben 47 pagine dattiloscritte. La composizione delle rispettive delegazioni non risulta modificata rispetto a quella del febbraio precedente, almeno per quanto riguarda i capidelegazione,. Verbale della V sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Roma dal 26 ottobre al 9 novembre 1959. Questo l’Ordine del giorno: “Punto I.: Disamina dell’attuazione delle conclusioni della IV sessione ordinaria del Comitato Misto. Punto II.: Introduzione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana per una piena attuazione dell’art. 2, punto c), dell’art. 2, punto e), e dell’art. 5 dello Statuto Speciale. In particolare: a) Approvazione di leggi e pubblicazione delle clausole indicate dallo Statuto Speciale; b) Introduzione di misure per assicurare possibilità adeguate di rappresentatività del gruppo etnico jugoslavo nei settori pubblici e amministrativi; c) Introduzione di misure per assicurare possibilità pratiche di uso scritto e orale della lingua slovena nei rapporti con il potere amministrativo e legislativo; d) Installazione di scritte bilingui su sedi di istituzioni pubbliche e tabelle pubbliche per località e vie nei comuni di Duino-Aurisina, Rupingrande, Sgonico, San Dorligo della Valle e in alcuni settori del comune di Trieste;

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Punto III.: Cambio dei cognomi italiani nella forma jugoslava eseguito per via ufficiale dal potere jugoslavo: Punto IV.: Problemi riguardanti il settore scolastico. A) Posizione delle scuole slovene e degli insegnanti nel territorio sotto amministrazione italiana (art. 4, punto e) dello Statuto Speciale) e in particolare: a) Approvazione della legge sulla scuola slovena; b) Regolamentazione dello status degli insegnanti nelle scuole slovene con parificazione agli insegnanti delle scuole italiane. B) Posizione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava: Punto V.: Approvazione di norme e misure sul territorio sotto amministrazione italiana ai sensi dell’art. 3 dello Statuto Speciale. Punto VI.: Disamina dei ricorsi e domande inoltrate da organizzazioni e singoli.

Già al primo punto, la parte jugoslava fece sapere che sul territorio sotto amministrazione jugoslava erano state realizzate compiutamente le misure previste dal punto III, capitolo A) del verbale della IV sessione ordinaria, e cioè che nella scuola elementare italiana di Semedella, nell’asilo di Capodistria e nelle sezioni degli asili di Sicciole, Pirano e Isola era stato ripristinato l’insegnamento in lingua italiana. Inoltre, precisò che le scuole con lingua d’insegnamento italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava erano già state adeguate al sistema scolastico jugoslavo in quanto le classi inferiori del ginnasio erano state già trasformate in classi superiori delle scuole ottennali. È stata inaugurata ed ha incominciato l’insegnamento pure la scuola media economica di Pirano, mentre tutti gli insegnanti delle scuole elementari italiane sul territorio sotto amministrazione jugoslava sono appartenenti alla nazionalità italiana. Assegnate altre 12 borse di studio ad appartenenti al gruppo etnico italiano per frequentare studi universitari per insegnanti delle scuole medie (dieci per università jugoslave e 2 in Italia). Infine è stato annunciata la pubblicazione di un concorso per il completamento del corpo insegnanti nelle scuole medie italiane. Nel rispondere alle altre richieste poste nel corso della precedente sessione del Comitato Misto in merito alle scuole con lingua d’insegnamento italiana, gli jugoslavi hanno comunicato che presso l’Istituto magistrale di Fiume si stava svolgendo un corso di aggiornamento in lingua italiana per insegnanti destinati all’insegnamento nelle scuole italiane. Al corso erano stati ammessi studenti che avevano assolto le scuole medie italiane. È stato preparato pure il nuovo programma per l’insegnamento della storia nelle scuole italiane, mentre si trovava in preparazione un nuovo libro di testo.

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Tra l’altro, erano stati acquistati in Italia parecchi volumi destinati alla scuole italiane. Anche a Salvore era stata aperta una scuola elementare italiana, che aveva ha già iniziato con l’insegnamento. I membri jugoslavi del Comitato Misto,annunciarono pure che sul territorio sotto amministrazione jugoslava erano state introdotte anche delle misure che non erano state approvate dal Comitato Misto e che superavano il quadro degli obblighi previsti dallo Statuto Speciale. Così, conclusero gli jugoslavi, erano stati introdotti dei seminari per l’apprendimento della lingua italiana per gli impiegati degli organi amministrativi sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Sono seguite le informazioni da parte italiana e, passando al secondo punto dell’ordine del giorno, gli jugoslavi riproposero nuovamente la necessità di arrivare quanto prima ad una legge sulle scuole e sugli insegnanti del territorio sotto amministrazione italiana, sull’introduzione di misure di tutela molto concrete e particolareggiate da assicurare alla minoranza jugoslava con norme di legge,. Al terzo punto, come previsto, i membri italiani del Comitato Misto spiegarono nuovamente le ragioni che si trovavano alla base della proposta avanzata alla III sessione ordinaria e riguardante il cambio nella forma slava dei cognomi italiani di appartenenti al gruppo etnico italiano nel settore sotto amministrazione jugoslava. Intervento eseguito ufficialmente per via amministrativa da parte delle autorità jugoslave. I consiglieri italiani rilevarono che le autorità jugoslave erano partite dal presupposto secondo cui i cognomi presi in esame erano tutti la conseguenza dell’arbitrario cambio effettuato nel periodo tra le due guerre dall’Italia e che, quindi, tutti questi cognomi erano stati soggetto dei relativi decreti di cambiamento emessi dalle stesse autorità italiane. I cambiamenti effettuati da parte jugoslava quindi, non erano altro che il ripristino dei cognomi che a suo tempo erano stati modificati dall’Italia, compresi i cognomi che erano stati modificati su diretta richiesta delle persone interessate. Tuttavia, come ebbe a ribadire la parte italiana, il cambio nella forma slava riguardava anche cognomi che non erano stati oggetto di tali misure, tra cui pure alcuni di origine certamente italiana (in molti casi non è stato possibile stabilire facilmente, spesso addirittura impossibile, l’esistenza di decreti precedenti riguardanti i cambiamenti di cognome emessi dalle autorità italiane, nonostante ricerche effettuate negli archivi pubblici in seguito alle vicende belliche). Proprio con riferimento a quanto sopra, la parte italiana chiese di essere informata se i cambiamenti di cognomi nella forma slava effettuati sul territorio sotto amministrazione jugoslava, erano stati preceduti da precise ricerche e di quali, come pure quale procedura era stata seguita durante le ricerche per assicurare che i cambiamenti riguardassero soltanto quei cognomi che nella loro forma originale erano stati realmente slavi. È vero, che sia il Decreto di Aidussina del 14 dicembre 1945, come pure la Legge del primo dicembre 1947 stabilivano la possibilità di chiede51


re il ripristino dei cambiamenti effettuati d’autorità nella forma originale, oppure in una forma che contenesse le caratteristiche del gruppo etnico di appartenenza. Tuttavia non è noto, se il decreto di Aidussina, ad un mese dalla sua entrata in vigore, e la Legge a 18 mesi dalla sua entrata in vigore, siano stati resi pubblici anche nella lingua italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava e in quale forma. Questione questa che rivestiva indubbia importanza tenendo conto della necessità di informare di questa possibilità soprattutto gli strati più vasti della popolazione, ai quali la tutela era più necessaria. I cambiamenti nella forma slava dei cognomi degli appartenenti al gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, oggetto di questa rimostranza, come sostenuto dai consiglieri italiani, non si erano conclusi nemmeno quando aveva smesso di avere vigore il decreto di Aidussina, poiché, in realtà, erano stati registrati casi di tali modifiche anche nel periodo successivo ed era successo, pure, negli ultimi tempi. Il numero rilevante di cambiamenti dei cognomi nella forma slava aveva avuto tra gli appartenenti al gruppo etnico italiano conseguenze indubbiamente molto pesanti e irreparabili dal punto di vista del rafforzamento della loro appartenenza a questo gruppo e del mantenimento delle loro caratteristiche nazionali. Un tanto si era riflesso infine sulla consistenza numerica reale di questo gruppo. In realtà, la nuova forma slava dei cognomi era stata spesso determinante nelle dichiarazioni di appartenenza nazionale, provocando non poche difficoltà durante le iscrizioni dei bambini alle scuole con lingua d’insegnamento italiana. La preoccupante situazione provocata da queste circostanze è stata a più riprese sottolineata dagli esponenti italiani del Comitato Misto, facendo riferimento all’importanza che per un gruppo etnico rivestiva il mantenimento e la tutela della propria cultura e della propria lingua soprattutto attraverso le istituzioni scolastiche. Circostanze che avevano provocato una situazione a volte addirittura irreparabile anche nei settori dei diritti e dei rapporti giuridici, commerciali e civili. Il decreto di Aidussina era stato costruito sul presupposto che tutti i cognomi a suo tempo modificati dalle autorità italiane fossero stati cognomi slavi o che, col tempo, avessero aderito alla scrittura slava. Un presupposto, questo, che non poteva essere accettato in quanto era noto che, sia le iscrizioni nei registri anagrafici in seguito alle leggi razziali, come pure quelle che subirono delle modifiche nel corso del tempo, ma anche in seguito all’adeguamento della prassi quotidiana, per un gran numero di cognomi che inizialmente erano di origine italiana, era stata adottata nei tempi successivi la scrittura slava, anche se a volte, con trasformazioni linguisticamente errate.

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L’inaccettabilità del presupposto sopra accennato aveva convinto le autorità del territorio sotto amministrazione italiana ad adottare modalità e criteri del tutto diversi da quelli adottati sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Infatti, scaturendo dal presupposto in base al quale, in ogni caso bisognava assicurare il carattere di libera scelta della volontà individuale, era stata resa possibile alle singole persone di richiedere che venisse loro esaudita la richiesta di modifica del proprio cognome nella forma desiderata, sulla base di una semplice domanda. Il procedimento era molto semplice, non richiedeva alcuna formalità né spesa e il cambiamento del cognome veniva effettuato con semplice delibera del prefetto. Questo procedimento si differenziava da quello della legge jugoslava del 1.12.1947, allora in vigore, la quale rendeva possibile il cambiamento del cognome soltanto quando venissero specificati “i motivi” e, quando questi non erano in contrasto con le tradizioni, le abitudini, le norme particolari e sociali e con gli interessi della comunità, la competenza viene comunque lasciata al Ministero degli affari interni. È necessario aggiungere, inoltre, che era da escludere la possibilità che sul territorio sotto amministrazione italiana ci fosse stata o ci fosse ancora qualche forme di pressione diretta o indiretta sulla volontà delle persone interessate e che queste non avevano motivo di qualsivoglia timore o preoccupazione. Infine - come ribadirono i consiglieri italiani - sul territorio sotto amministrazione italiana erano state presentate ed esaudite numerose richieste a dimostrazione di una vasta conoscenza delle possibilità di presentare ricorso alla procedura valida in quest’area. A mo’ di dimostrazione, i membri italiani del Comitato Misto illustrarono alcuni casi di cambiamenti del cognome nella forma slava eseguiti nei confronti di persone che erano indubbiamente appartenenti al gruppo etnico italiano. Il ripristino dei cognomi nella reale forma originale italiana con il relativo inserimento nei registri pubblici, rappresentava la tutela di una delle caratteristiche fondamentali di un gruppo etnico, per cui si rendeva indispensabile assicurare questa tutela per impedire le pesanti conseguenze alle quali si sarebbe andati incontro sul territorio e che erano essenziali per la vita ed il mantenimento del gruppo etnico. Concludendo la propria esposizione, i consiglieri italiani proposero che: Innanzitutto venissero adottate delle misure per ripristinare nella forma originale italiana tutti i cognomi che le autorità jugoslave avevano modificato come dovere d’ufficio; In secondo luogo, che: venissero ripristinati d’ufficio almeno quei cognomi che a suo tempo le autorità italiane avevano modificato nella forma italiana su diretta richiesta degli interessati;

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venisse prevista una procedura rapida e semplice per tutti coloro ai quali, a suo tempo, le autorità italiane avevano modificato d’ufficio il cognome nella forma italiana, in quanto nei loro confronti non potevano venir adottate le misure sotto il primo punto, anche quando la persona desiderasse riavere il cognome nella forma italiana. Con le proposte avanzate dalla parte italiana, naturalmente il dibattito non si concluse. Anzi, già nei primi interventi da parte jugoslava venne sottolineato che le proposte presentate dall’altra parte e che riguardavano il territorio sotto amministrazione jugoslava, non erano accettabili, in quanto sul territorio in questione già dal 18 settembre 1943 era stato approvato a Pisino un decreto dell’Assemblea Popolare regionale per l’Istria, con il quale venivano abolite tutte le misure e tutti i decreti introdotti dal potere e dalle istituzioni fasciste riguardanti la denominazione delle città, delle singole località nonché i nomi e cognomi personali. Con la successiva interpretazione ufficiale del 25 novembre 1946 veniva precisato che tutti i nomi e cognomi personali dovevano essere ripristinati nella forma che era stata in uso prima del 29 ottobre 1918. Misure analoghe erano state adottate anche dal Comitato Regionale di Liberazione Popolare per il Litorale sloveno ad Aidussina il 14 dicembre del 1945. Entrambi i Decreti prevedevano delle eccezioni per le persone che desideravano mantenere il cognome sulla base delle modifiche effettuate nel periodo tra le due guerre. Da questi decreti risulta evidente che non si tratta di una cambio generale dei cognomi nella forma slava, ma semplicemente di un ritorno alle forme precedenti del cognome. Questi decreti, secondo il parere dei membri jugoslavi del Comitato Misto, erano appropriati, tanto più in quanto nel periodo tra le due guerre si era arrivati ad un grande numero di cambiamenti d’ufficio di cognomi nella forma italiana, e questo in particolare sulla base delle leggi italiane del 1926 e del 1927. I consiglieri jugoslavi, di conseguenza, non potevano dichiararsi d’accordo con il parere espresso dai rappresentanti italiani, i quali ritengono necessarie ulteriori ricerche per verificare se qualcuna di queste modifiche era stata effettuata con il consenso delle persone interessate. In merito, i rappresentanti jugoslavi fecero riferimento al libro “Per l’italianità dei cognomi nella provincia di Trieste”, pubblicato a Trieste nel 1929 e scritto da Aldo Pizzagalli, che in quel periodo era presidente della commissione speciale per i cambiamenti dei cognomi alla Prefettura di Trieste. Dal libro si evince che nel periodo tra le due guerre erano contrari a queste azioni non solo le persone di appartenenza slava, ma anche gli Italiani. Il provvedimento colpi nella sola Trieste parecchie migliaia di Sloveni e Croati. Dagli elenchi sui cognomi cambiati pubblicati nel libro si può concludere che circa l’80% dei cambi effettuati riguardavano i cognomi di origine slovena e croata.

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Tenendo conto della situazione trovata dalle autorità jugoslave nel 1945, secondo il parere dei membri jugoslavi del Comitato Misto, per una sanatoria di questa situazione non sarebbe stato opportuno scegliere la strada che prevedesse da parte di ogni persona interessata dal cambiamento del cognome nel periodo tra le due guerre, di chiedere con specifica domanda il ripristino della vecchia forma del cognome. In merito, gli esponenti jugoslavi sottolinearono anche il fatto che nel periodo tra le due guerre molti cognomi o nomi vennero modificati in via de factis, senza che a monte ci fosse stata un delibera delle autorità amministrative. In una situazione del genere, la parte jugoslava ammetteva la possibilità che, soprattutto nel periodo che è seguito immediatamente alla fine della Seconda Guerra Mondiale, siano potuti succedere dei casi poco chiari, come pure alcune singole incomprensioni. Tuttavia, a loro parere, le norme citate rendevano possibile alle persone interessate di richiedere eventuali correzioni. Un tanto era reso possibile anche dalla successiva Legge jugoslava sui nomi personali del 1. dicembre 1947, che, sul territorio sotto amministrazione jugoslava introduceva questa possibilità a partire dal 1954, cioè dopo l’entrata in vigore del Memorandum d’Intesa e dell’allegato Statuto Speciale. Gli esponenti jugoslavi vollero in particolare ribadire quanto previsto dall’art. 29 di quella Legge, con la quale si prevedeva un termine di 18 mesi durante i quali gli appartenenti al gruppo etnico italiano potevano nuovamente usufruire della possibilità di conseguire senza alcuna formalità il cambiamento del cognome in conformità alla loro appartenenza nazionale, ovvero in corrispondenza con il cognome che era stato dei loro antenati. Gli jugoslavi, infine, si soffermarono sulle clausole degli artt. da 13 a 23 della suddetta Legge, i quali ancor sempre ammettevano la possibilità di presentare delle richieste per il cambiamento del proprio nome personale su autorizzazione del Segretariato di Stato per gli affari interni della Repubblica Popolare (quindi - come sottolinearono - non di competenza del potere centrale), mentre i preparativi sarebbero stati espletati dalle autorità locali. Nei loro interventi, inoltre, ripeterono le dichiarazioni fatte nel corso della IV sessione, secondo le quali il cambio dei cognomi non influiva sulle iscrizioni dei bambini nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, in quanto queste erano assolutamente libere. La forma dei cognomi, inoltre, non influiva sulla definizione della nazionalità della popolazione. Nel prosieguo, i consiglieri jugoslavi accennarono a come questo problema veniva risolto sul territorio sotto amministrazione italiana ritenendo che il decreto numero 53 del 19 marzo 1949 dell’Amministrazione Militare Alleata non aveva risolto in maniera soddisfacente il problema del ripristino dei cognomi nella loro forma originaria. In base a quelle misure era previsto che le persone interessate potevano riprendere la forma precedente del proprio cognome soltanto sulla base di una richiesta particolare alla quale era necessario allegare anche la relativa delibera sul cambia-

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mento del cognome. Già questa richiesta aveva provocato serie difficoltà in molti casi, poiché molte delle persone interessate non disponevano più del documento o, addirittura, non era mai stato loro consegnato. L’attuazione pratica del Decreto No. 53 ha dimostrato che soltanto il 5% degli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo sul territorio sotto amministrazione italiana avevano presentato una richiesta in tal senso. Le altre persone, secondo i consiglieri jugoslavi, non avevano presentato adeguata domanda per motivi pratici e psicologici, ma, in particolare, perché ritenevano che fosse dovere delle autorità statali correggere con un intervento ufficiale ciò che era stato deciso con decreto unilaterale e antidemocratico delle autorità nel periodo tra le due guerre. Indipendentemente da quanto sopra, i membri jugoslavi del Comitato Misto segnalarono pure che il Decreto No. 53 del 1949 era stato abrogato con il Decreto 176 del Commissario Generale del Governo di Trieste del 21 ottobre 1957. Per cui, sulla base delle norme vigenti sull’Ordinamento dello stato civile, secondo il Regio Decreto del 9 luglio 1939, No. 1238, un cambiamento del cognome risultava essere estremamente difficoltoso. Secondo il parere espresso nel dibattito dagli esponenti jugoslavi, la situazione sul territorio sotto amministrazione jugoslava, nel momento attuale forse avrebbe potuto risultare che in qualche caso singoli appartenenti al gruppo etnico italiano non fossero soddisfatti con la forma del proprio cognome, mentre sul territorio sotto amministrazione italiana quasi il 90% degli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo aveva ancora in vigore il cognome cambiato. Nell’ambito del problema aperto dagli italiani sui cambi di cognome, gli jugoslavi informarono pure che, con il Decreto 173 del 21 ottobre 1937, sul territorio sotto amministrazione italiana era stata nuovamente introdotta la clausola dell’art. 72 del Regio Decreto di legge sull’Ordinamento dello stato civile del 9 luglio 1939, No. 1238, con il quale si vietava di battezzare i neonati con i cosiddetti nomi stranieri. In merito si prendeva nota che il Commissario generale del governo di Trieste aveva emesso una norma secondo la quale i nomi sloveni sul territorio sotto amministrazione italiana non venivano considerati stranieri. Tuttavia, gli jugoslavi affermarono che la norma non era stata diffusa pubblicamente, per cui le persone interessate non avevano avuto modo di esserne informate. Inoltre, secondo informazioni in possesso degli jugoslavi, presso l’Ufficio anagrafe del Comune di Trieste nella prassi succedeva ancor sempre, almeno per via indiretta, che venisse attuata la clausola dell’art. 72 anche nei confronti dei nomi sloveni, da cui la necessità di una regolamentazione della situazione. La delegazione jugoslava, pertanto, dopo aver negato il proprio consenso alle proposte avanzate dalla parte italiana, propose che sul territorio sotto amministrazione italiana venissero adottate delle misure che prevedessero il ripristino d’ufficio nella forma originaria di tutti i cognomi degli

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appartenenti al gruppo etnico jugoslavo che erano stati modificati nella forma italiana nel periodo tra le prima e la seconda guerra mondiale. Inoltre chiesero che venisse emessa e pubblicata un’interpretazione ufficiale dell’art. 72 del Regio decreto legge sull’ordinamento dello Stato civile no. 1238 del 9 luglio 1939, secondo la quale i nomi jugoslavi sul territorio sotto amministrazione italiana non venivano considerati come stranieri. Per quanto riguarda la posizione della Comunità Italiana, la V sessione del Comitato Misto trattò al punto 4 anche la richiesta presentata dalla parte italiana sulla situazione in cui si trovavano le scuole con lingua d’insegnamento italiana. Seguì un ampio dibattito riguardante la richiesta della parte jugoslava che chiedeva una Legge sulle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana, per la quale, come sostennero i consiglieri italiani, un progetto si trovava già in procedura parlamentare, aggiungendo che già alla IV sessione del Comitato era stato positivamente concordato che “...il dibattito inerente la Legge sulle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana sarebbe incominciato non appena sarebbe stata concretizzata l’organizzazione dei seminari di cultura italiana per gli insegnanti e gli studenti delle scuole italiane sul territorio sotto amministrazione jugoslava...”. D’altronde, come ci tenne a sostenere lo stesso presidente della parte italiana, Vitaliano Confalonieri, gli jugoslavi avevano già accettato la richiesta di dar vita a dei seminari di cultura italiana per insegnanti e studenti delle scuole italiane sul territorio sotto amministrazione jugoslava, come del resto - come disse - è evidente dalla nota verbale del Segretariato di Stato per gli Affari Esteri No. 414844 del 9 giugno dello stesso anno. Come previsto dall’ordine del giorno, al punto B del punto 4, la parte italiana del Comitato Misto illustrò ampiamente nei dettagli la situazione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Tra l’altro ribadirono che a Sicciole non era stata aperta la scuola ottennale in sostituzione della scuola professionale, come previsto dallo Statuto Speciale. Ugualmente non era stata riaperta nemmeno la scuola commerciale di Isola, e nemmeno la scuola commercialeartigianale di Capodistria dopo le assicurazioni fornite alla IV sessione del Comitato. Presero atto dell’informazione, invece, che nel frattempo era stata aperta la scuola commerciale di Pirano. I consiglieri italiani vollero attirare l’informazione pure sul fatto che in seguito alla trasformazione delle scuole professionali in scuole ottennali, anche come conseguenza del mancato funzionamento della scuola commerciale di Isola e della scuola per artigiani di Capodistria, agli appartenenti al gruppo etnico italiano era stata tolta la possibilità di un’istruzione professionale, contrariamente a quanto esisteva sul territorio sotto amministrazione italiana, dove il gruppo etnico sloveno disponeva di ben otto scuole tecniche e professionali. Gli Italiani, comunque, presero atto che

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nell’anno scolastico 1959/60 era stata aperta la prima classe della scuola commerciale di Pirano, il che, in pratica, rappresentava l’unico esempio di una scuola tecnica con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Tenendo conto dell’insufficiente numero e dell’inadeguatezza degli ambienti di cui disponevano lo scuole con lingua d’insegnamento italiana, venivano riscontrati numerosi accorpamenti delle classi con conseguente riduzione dell’efficienza delle relative istituzioni scolastiche. A Cittanova, ben sette classi disponevano di una sola aula, mentre sei classi a Verteneglio erano costrette in una sola aula.. I rappresentanti italiani ribadirono che l’ apparato scolastico esistente in precedenza su tutto il territorio sotto amministrazione jugoslava - a differenza di quello precedentemente esistente sul territorio sotto amministrazione italiana - forse avrebbe consentito alle autorità jugoslave un’organizzazione più consona del sistema scolastico con lingua d’insegnamento italiana, senza dover per questo danneggiare le necessità delle scuole slovene e croate. Anche le attrezzature ed i mezzi didattici, a parere dei consiglieri italiani, risultavano non essere adeguati alle necessità delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Presso il ginnasio di Capodistria, per esempio, non era possibile fruire del gabinetto di fisica, essendo questo occupato dalla scuola commerciale slovena; a Sicciole su un solo banco si svolgeva contemporaneamente l’insegnamento per tre classi. Per quanto riguardava i libri di testo, gli Italiani erano del parere che fossero in numero insufficiente (spesso due alunni dovevano servirsi di una sola copia). Inoltre, i contenuti dei libri, specialmente i testi di storia, non corrispondevano a quanto stabilito dall’art. 4, punto c) del quarto comma dello Statuto Speciale. Per quanto riguarda le conseguenze causate dal cambiamento dei cognomi nella forma slava degli appartenenti al gruppo etnico italiano, con la conseguente iscrizione nelle nazionalità slovena e croata, i membri italiani del Comitato illustrarono alcuni casi registrati nelle scuole di Momiano, Sicciole, Isola e Umago. Da aggiungere, inoltre, che pure i formulari che bisognava compilare per l’iscrizione nella scuola ottennale e al ginnasio, venivano forniti soltanto nelle lingue slovena e croata e contenevano pure la rubrica riguardante la nazionalità dell’alunno. Per quanto riguardava gli insegnanti, era evidente che il loro numero fosse insufficiente per le necessità delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, per cui succedeva spesso che un solo insegnante fosse costretto a fare lezione a quattro, cinque, sei o sette classi, come succedeva a Cittanova (otto classi), a Verteneglio (sei classi), senza tener conto dei titoli di studio insufficienti degli insegnanti, visti i termini troppo corti dei corsi di apprendimento accelerato, come quelli che si svolgevano a Fiume. In contrasto con quanto previsto dall’art. 4 punto c), secondo comma dello Statuto Speciale, venne evidenziato pure il fatto che non erano stati

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ancora sostituiti gli insegnanti che non appartenevano alla stessa madre lingua degli alunni, come a Pirano, a Isola, a Umago, a Verteneglio, sia nelle scuole elementari che in quelle ottennali, come pure nelle scuole medie. Nonostante questa situazione pare che uno dei professori italiani del ginnasio di Pirano fosse stato licenziato. Nel frattempo, nelle scuole con lingua d’insegnamento slovena a Trieste, per soddisfare questo tipo di esigenze erano stati mantenuti in servizio ben 36 insegnanti che non disponevano della cittadinanza italiana. Di conseguenza, la parte italiana ritenne opportuno ripetere la propria offerta di mettere a disposizione, fino a quando fosse necessario, dei professori che permetterebbero alle autorità jugoslave di soddisfare gli obblighi derivanti dallo Statuto Speciale. Rispetto alla proposta avanzata dai consiglieri jugoslavi di prevedere l’istituzione sul territorio sotto amministrazione jugoslava di scuole bilingui, nelle quali l’insegnamento avverrebbe contemporaneamente nelle lingue slovena, croata e italiana, gli Italiani ribadirono che questo avrebbe comportato indubbiamente delle conseguenze negative sulla frequenza delle scuole con lingua d’insegnamento italiana e, di conseguenza, anche sull’esistenza stessa di queste scuole. Per cui, concludendo, la parte italiana del Comitato Misto espresse dubbi sull’efficacia del sistema scolastico per il gruppo etnico italiano che non sembrava offrire garanzie che assicurassero una piena tutela dell’integrità linguistica e delle tradizioni culturali nonché delle principali caratteristiche del gruppo etnico italiano. A conclusione degli interventi, queste le proposte avanzate dai consiglieri italiani: 1) che venga nuovamente reintrodotto l’insegnamento nella scuola ottennale di Sicciole e nella scuola artigianale triennale di Capodistria e che riprenda a operare la scuola tecnico-economica di Isola, come previsto dallo Statuto Speciale; 2) che vengano adottate misure adeguate per assicurare agli appartenenti al gruppo etnico italiano la necessaria istruzione professionale nella lingua italiana; a tal fine sarà necessario verificare l’opportunità di istituire una scuola tecnica nella zona di Buie; 3) che venga migliorata la posizione delle scuole italiane dal punto di vista degli spazi, delle attrezzature, del materiale didattico e del necessario numero di libri di testo ai sensi dell’art. 4, punto c) quarto comma dello Statuto Speciale; 4) che venga assicurato dappertutto agli appartenenti al gruppo linguistico italiano libera possibilità di iscrizione dei bambini nelle scuole destinate a questo gruppo; 5) che il numero e l’istruzione degli insegnanti siano adeguati alle reali necessità della scuola e che in particolare vengano evitati eccessivi accorpamenti delle classi;

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6) che gli insegnanti che non sono di madre lingua italiana vengano sostituiti con insegnanti la cui madre lingua sia l’italiano; 7) che alla riunione degli esperti venga presentata in tempi brevi da parte del governo jugoslavo la concretizzazione dei seminari di cultura italiana per gli insegnanti e per gli studenti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, onde rendere possibile il loro funzionamento già nel corso del corrente anno scolastico 1959/60. Ampia e dettagliata la risposta dei consiglieri jugoslavi, sia in merito alle rimostranze presentate da parte italiana, sia in merito alle proposte avanzate. Naturalmente, la parte jugoslava ci tenne a ribadire che da parte jugoslava erano stati esauditi tutti gli obblighi assunti alla IV sessione del Comitato Misto. Era stata aperta la Scuola media economica di Pirano, mentre era stato avviato anche un rafforzamento della rete scolastica del gruppo etnico italiano con l’apertura di una sezione italiana della scuola economica a Isola, mentre la Scuola media economica di Pirano aveva aperto due nuovi corsi per adulti a Pirano e a Capodistria. Questi corsi, con i quali si acquisiva una completa qualifica di scuola professionale e che erano già frequentati da 35 corsisti, avrebbero contribuito in larga misura all’ulteriore crescita generale del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Con l’apertura di queste scuole e di questi corsi, il cui status corrispondeva alle clausole della Legge generale jugoslava sulle scuole, erano stati in effetti superati gli obblighi che derivavano alla Jugoslavia dallo Statuto Speciale, ovvero dalla IV sessione ordinaria del Comitato Misto, avendo assicurato al gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava anche la possibilità di istruzione tecnico professionale con lingua d’insegnamento italiana. Inoltre - come sostennero gli jugoslavi - con l’apertura in questo periodo della quinta classe, aveva avuto inizio anche l’insegnamento nelle classi superiori della scuola elementare di Sicciole. In merito ai problemi di spazio delle scuole italiane sul territorio sotto amministrazione jugoslava, questi - secondo il parere degli jugoslavi - corrispondevano alle necessità dell’insegnamento e, da questo punto di vista, non esistevano differenze tra le scuole del gruppo etnico italiano e quelle slovene ovvero croate. Altrettanto vale anche per le attrezzature e per il materiale didattico. La gestione amministrativa delle scuole del gruppo etnico italiano si svolgeva in lingua italiana oppure era bilingue. Lo stesso principio veniva adottato anche nei rapporti tra le scuole e gli altri organi dell’amministrazione scolastica e statale in genere. Tutte le scuole italiane disponevano di tabelle con scritte bilingui, come erano bilingui anche i timbri ed i formulari. Soltanto nella gestione interna era concessa la possibilità eccezionale che venissero usati formulari monolingui. 60


Per i libri di testo si riteneva che, generalmente, fossero in numero sufficiente, anche se erano in corso misure per un ulteriore miglioramento della loro qualità. Per le necessità delle scuole italiane era stato acquistato nella Repubblica Italiana un grande quantitativo di libri di testo per l’insegnamento delle lingue italiana e inglese, della matematica, della fisica e della chimica. Per quanto riguardava l’insegnamento della storia, affermarono gli jugoslavi, era stata istituita una speciale commissione che aveva già predisposto un nuovo programma per l’insegnamento di questa materia. Infatti, la storia e la geografia si insegnavano nel rispetto del principio secondo il quale agli studenti, appartenenti al proprio gruppo nazionale, doveva venir offerta nella massima misura la possibilità di conoscere la cultura, la storia e la geografia della propria madre patria. Tutti gli insegnanti nelle scuole del gruppo etnico italiano disponevano di un’adeguata istruzione professionale, ciononostante le autorità scolastiche erano ulteriormente impegnate, attraverso l’organizzazione di corsi d’aggiornamento, per un’ulteriore miglioramento della preparazione degli insegnanti che avevano portato a termine i corsi di aggiornamento presso l’Istituto magistrale di Fiume. Il numero degli insegnanti, a detta della delegazione jugoslava, era sufficiente. Il cosiddetto insegnamento combinato era stato adottato in armonia con le disposizioni di legge soltanto nelle scuole con un numero ridotto di alunni. Nel distretto di Capodistria, per esempio, non sono mai state accorpate più di due classi. Tutti gli insegnanti delle scuole del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava erano della stessa madre lingua degli alunni ed erano state adottate delle misure affinché pure i rimanenti otto professori delle scuole medie italiane che non erano di nazionalità italiana, venissero nel più breve tempo possibile sostituiti da insegnanti appartenenti al gruppo etnico italiano. A tal fine era stato indetto un bando di concorso per gli appartenenti alla Comunità italiana per un considerevole numero di borse di studio per università jugoslave, mentre due studentesse stavano già fruendo di borse di studio per frequentare università italiane. Per questi motivi, gli jugoslavi non ritenevano necessario accettare la proposta avanzata dai membri italiani del Comitato, i quali volevano impiegare professori provenienti dall’Italia. Ciononostante, come sottolinearono, nelle scuole del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, era già presente un determinato numero di insegnanti che erano cittadini italiani. Nel rispondere alle osservazioni avanzate in precedenza dalla delegazione italiana, i rappresentanti jugoslavi dichiararono non essere esatta la dichiarazione secondo cui le iscrizioni nelle scuole italiane sul territorio sotto amministrazione jugoslava non si svolgevano in piena libertà. Una libertà, come affermarono dimostrata dal costante incremento delle iscrizioni di alunni in queste scuole, come pure dal fatto che dal 1956 alle

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autorità non era giunta alcuna lamentela in merito. Nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, sul territorio sotto amministrazione jugoslava, infatti le iscrizioni erano state registrate come segue: anno 1956/57 .... 397 alunni “ 1957/58 .... 494 “ “ 1958/59 .... 542 “ “ 1959/60 .... 642 “ L’autonomia delle scuole con lingua d’insegnamento italiana - a detta dei consiglieri jugoslavi del Comitato Misto - era stata conseguita in massima parte dopo che tutti gli insegnanti e direttori delle scuole elementari italiane erano della stessa madre lingua degli alunni, dopo che in tutte le scuole si erano formati dei comitati scolastici con la funzione di organi di gestione composti esclusivamente da appartenenti alla nazionalità italiana e dopo che il gruppo nazionale italiano era rappresentato in tutti i consigli comunali e distrettuali, nonché dopo che presso il Consiglio distrettuale per l’istruzione di Capodistria era stata istituita una commissione per le scuole italiane, composta esclusivamente da appartenenti al gruppo etnico italiano, e dopo che presso il Segretariato distrettuale per l’istruzione era diventato operativo un ispettore per le scuole italiane. In merito alla proposta di istituire delle scuole bilingui, i membri jugoslavi del Comitato dissero di aver fatto riferimento alla nota del Segretariato di Stato per gli affari esteri della RPF di Jugoslavia presentata all’Ambasciata Italiana di Belgrado e - come conclusero - di non aver niente altro da aggiungere in merito rispetto a quanto esposto nella nota. Infine, gli esponenti jugoslavi informarono i colleghi italiani che, per quanto riguardava l’organizzazione del seminario di cultura italiana avevano fatto riferimento pure alla nota del Segretariato di Stato per gli affari esteri jugoslavo del 9 giugno 1959, con la quale era stato in linea di principio risposto positivamente alla richiesta. Per quanto riguardava la proposta di un incontro di esperti delle due parti, assicurarono che una risposta alla parte italiana sarebbe stata consegnata quanto prima per via diplomatica. In ogni caso, i membri jugoslavi ritennero necessario ribadire che la situazione delle scuole del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava era assolutamente soddisfacente e in conformità con le clausole dello Statuto Speciale. Sotto gli altri punti discussi alla V sessione ordinaria del Comitato Misto non vi sono stati ulteriori dibattiti riguardanti la posizione della Comunità Italiana, mentre invece, seguirono le risposte della delegazione italiana alle mozioni presentate dalla parte jugoslava. Anche a questa sessione, all’ultimo punto, erano stati dibattuti numerosi ricorsi presentati da esponenti e istituzioni della Comunità nazionale slovena di Trieste, ma nessuno 62


di esponenti della Comunità Italiana sul territorio sotto amministrazione Jugoslava. Note: (1) Anche nel caso di questo punto all’ordine del giorno della quinta seduta ordinaria del Comitato Misto verrebbe da constatare che è facile fare il generale a guerra finita. Tuttavia, pur confidando che i dati offerti dalla parte jugoslava fossero certamente esatti, credo che, per correttezza, andrebbe fatta anche un’altra considerazione per quanto riguarda la Comunità italiana dell’ex Zona B. È un dato di fatto, che il grosso dei cambiamenti dei cognomi dalla forma italiana in quella slava venne effettuato a ridosso degli anni 1951-1954, quando moltissimi, tra i quali anche chi scrive, seppur per un giorno soltanto, vennero trasferiti dalla scuola italiana in quella appena inaugurata con lingua d’insegnamento slovena. E, certamente non si trattava di casi singoli. Rimane il fatto, però, non portato in campo dalla delegazione italiana, che nel periodo che va dal 1953 al 1956, quasi tutti gli italiani scelsero la strada dell’esodo. E ad ingrossare le file degli esuli, almeno per mia conoscenza ed esperienza, furono certamente tutti coloro che si sono visti cambiare d’ufficio il cognome nella forma slava e buona parte di coloro che, pur italiani indipendentemente dal cognome, videro i propri figli trasferiti d’ufficio nelle scuole con lingua d’insegnamento slovena o croata. Da chiedersi, a parte il difficile momento internazionale che, certamente vedeva in posizione favorita la Jugoslavia, perché la parte italiana del Comitato Misto, che pur aveva sollevato il problema del cambio d’ufficio dei cognomi nel territorio sotto amministrazione jugoslava, non volle affrontare anche questo problema. Forse perché avrebbe compromesso sia le trattative orientate positivamente, ma anche perché, crediamo, avrebbe aperto il grosso problema di come valutare, come interpretare e come giustificare da entrambe le parti l’esodo massiccio appena conclusosi che aveva interessato tutta la popolazione italiana, e non solo, dell’ex Zona B.

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Capitolo VI Blocco del dialogo dopo le manifestazioni antijugoslave di Trieste Verbale della VI sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Belgrado dal 27 giugno al 9 luglio 1960 Ordine del giorno: “Punto I.: Esame dell’attuazione delle conclusioni della V sessione ordinaria del Comitato Misto. Punto II.: 1) Posizione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava; 2) Posizione delle scuole slovene e degli insegnanti sul territorio sotto amministrazione italiana (art. 4, punto c) dello Statuto Speciale e, in particolare: a) approvazione di una legge sulla scuola slovena; b) Regolazione della posizione degli insegnanti delle scuole slovene e della loro piena parificazione con i diritti degli insegnanti delle scuole italiane. Punto III: Cambiamento dei cognomi italiani nella forma jugoslava effettuato in via ufficiale da parte delle autorità jugoslave Punto IV: Introduzione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana per una completa attuazione dell’art.2 punto c), dell’art. 2 punto e) e dell’art. 9 dello Statuto speciale, e in particolare: a) conversione in norma di legge e pubblicazione delle relative clausole dello Statuto Speciale; b) adozione di misure che rendano possibile una giusta rappresentatività del gruppo etnico jugoslavo nei settori pubblici e amministrativi; c) adozione di misure che assicurino una possibilità pratica di e uso della lingua del gruppo etnico jugoslavo nella comunicazione scritta e orale con le autorità amministrative e legislative; d) installazione di tabelle con scritte bilingui sulle sedi delle istituzioni pubbliche e della segnaletica stradale e viaria nei comuni di Duino-Aurisina, Monrupino, Sgonico, San Dorligo della Valle, come pure in alcune zone di Trieste. Punto V: Esame dei ricorsi e richieste inoltrate da organizzazioni e singoli.

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Come ormai consuetudine, al primo punto la parola spettò alla delegazione italiana presentare un ampio resoconto di come l’Italia aveva risolto le questioni poste alla precedente sessione del Comitato Misto. Nella seconda parte furono i componenti jugoslavi a spiegare come e con quali misure e interventi avevano adempito ad alcuni obblighi sul territorio sotto amministrazione jugoslava derivanti dalle conclusioni della V seduta ordinaria. In particolare: 1) Nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana sono state create migliori condizioni di lavoro, e precisamente: a) aumentando il numero delle aule nelle scuole di Cittanova, Sicciole, Umago e nel ginnasio di Capodistria; b) migliorando i mezzi didattici ed i libri di testo che in parte sono stati acquistati in Italia; c) aumentando il numero dei membri del corpo insegnante e migliorando la professionalità di questo; d) presso la scuola di Fiume si è svolto il seminario di lingua e letteratura italiana per gli insegnanti e i docenti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. 2) Si sta terminando la costruzione dell’edificio scolastico a Salvore e sono state eseguite importanti riparazioni su alcuni altri edifici scolastici; 3) È aumentato il numero delle borse studio per le scuole medie e superiori destinate agli appartenenti al gruppo etnico italiano; 4) Sono stati assicurati ulteriori mezzi finanziari per la stampa di nuovi libri di testo per le scuole con lingua d’insegnamento italiana; 5) È stata istituita una Commissione di coordinamento composta da rappresentanti del gruppo etnico italiano e da funzionari responsabili degli organi statali della RP di Croazia e della RP di Slovenia, come pure dei distretti di Capodistria, Pola e Fiume, con il compito di seguire e armonizzare la realizzazione degli impegni derivanti dallo Statuto Speciale e di altre misure che riguardano il gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava; 6) Nel distretto di Capodistria è stata introdotta la prassi per cui nella relazione annuale riguardante il lavoro dell’amministrazione statale durante l’anno precedente, venga presentata anche una relazione riguardante l’attuazione degli impegni nei confronti del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava.

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La situazione scolastica della Comunità Italiana in Istria venne affrontata, come previsto dal secondo punto all’ordine del giorno, su proposta della delegazione italiana che presentò alcune precise richieste: a) poiché nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana si trovano ancora in servizio alcuni insegnanti che non sono della stessa madre lingua degli alunni, questi insegnanti devono venir sostituiti da insegnanti appartenenti al gruppo etnico italiano. In merito venne riconfermata la proposta avanzata a suo tempo al Comitato Misto di impiegare, se necessario, insegnanti provenienti dall’Italia; b) nel comunicare che era stato approvato il progetto di legge per le scuole con lingua d’insegnamento slovena da parte del Consiglio dei ministri, si chiede di confermare concretamente le modalità per l’attuazione del seminario di cultura italiana, secondo gli obblighi del punto 1 d) del verbale della IV sessione ordinaria del Comitato Misto; c) constatato che non sta funzionando la sezione femminile della scuola commerciale femminile di Capodistria (corso triennale), prevista dallo Statuto Speciale, si chiede che venga nuovamente aperta; d) poiché la scuola tecnico - commerciale non è in funzione a Isola, ma a Pirano, si chiede che questa venga trasferita da Pirano a Isola, come previsto dall’allegato Statuto Speciale; e) poiché la scuola media inferiore di Capodistria, prevista dallo Statuto Speciale, non è in funzione, si propone che venga sostituita con una scuola tecnica da aprire a Buie; f) poiché nelle località di Villanova, Fiorini, Daila, etc., esistono nuclei di appartenenti al gruppo etnico italiano, si propone che in queste località venga aperta una scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana; g) poiché in alcuni libri di testo destinati agli alunni delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sono ancora usate espressioni che influiscono negativamente sui sentimenti nazionali di questi alunni, si chiede che questi libri vengano sostituiti con altri in conformità con l’ultimo capoverso dell’art. 4, punto c) dello Statuto Speciale; h) vista la situazione in cui si trovano gli edifici, l’arredo ed i mezzi didattici, è necessario assicurare i mezzi finanziari necessari al fine di migliorare l’efficienza delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Sul tema riguardante le scuole italiane sul territorio sotto amministrazione jugoslava, il Comitato Misto, dopo aver a lungo discusso della situazione nelle scuole slovene di Trieste, su intervento della delegazione italiana, riportò all’attenzione dei consiglieri la richiesta dei bandi di concorso per gli insegnanti e per lo borse di studio esigendo la sostituzione dei professori delle scuole medie con lingua d’insegnamento italiana che ancora non erano di madre lingua italiana, in modo da adempiere agli impe66


gni dell’art. 4, punto c) dello Statuto Speciale. Inoltre i consiglieri italiani chiesero di rendere possibile l’inizio dei lavori per organizzare il seminario di cultura italiana per studenti e insegnanti delle scuole medie, invitando entrambe le parti del Comitato a far riferimento alle note verbali scambiate per via diplomatica. Nel frattempo, gli esperti delle due parti avrebbero dovuto riunirsi per definire i preparativi e le misure da intraprendere per l’attuazione dell’iniziativa. Infine, pur prendendo atto della già avvenuta apertura della Scuola media economica di Pirano e della scuola professionale di Isola, inoltre, in sostituzione di una incompleta scuola media e di un corso di scuola professionale, che non corrispondevano ai criteri del nuovo sistema scolastico nella Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia, i consiglieri italiani chiesero di valutare con benevolenza la possibilità di aprire una sezione femminile della scuola professionale di Isola, onde permettere anche alle bambine del gruppo etnico italiano di accedere all’istruzione professionale nella propria lingua. A conclusione del dibattito, che le due parti valutarono molto positivamente, venne concordato che anche in futuro sarebbe stato positivo dedicare al settore scolastico dei due gruppi etnici particolare attenzione, soprattutto dal punto di vista della qualità e dei contenuti dei libri di testo, dei materiali didattici, dell’arredo e degli edifici scolastici. Il punto successivo, invece, venne completamente dedicato al problema presentato precedentemente dai consiglieri italiani e riguardante il cambiamento d’ufficio dei cognomi in forma slava da parte delle autorità jugoslave nei confronti di appartenenti al gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Modifiche - come venne sottolineato - eseguite inizialmente sulla base delle delibere approvate a Pisino il 18 settembre 1943 e del Decreto Legge di Aidussina del 14 dicembre del 1945, ma che erano continuate anche nel periodo successivo, cioè dopo che era ormai scaduto il termine previsto dalle due norme, sempre adducendo a motivazione presupposti errati secondo i quali le modifiche effettuate avrebbero riguardato soltanto i cognomi che erano stati oggetto di cambiamenti effettuati dalle autorità italiane nel periodo tra le due guerre. Ciò ha avuto come conseguenza il fatto che il cambiamento dei cognomi non riguardò soltanto quei cognomi che erano stati modificati d’ufficio a suo tempo dalle autorità italiane, ma anche quei cognomi che erano stati modificati su richiesta degli stessi interessati, come pure i cognomi che non erano mai stati oggetto di tale misura da parte delle autorità e che erano certamente di indubbia origine italiana. In fondo, non aveva alcuna importanza ribadire - come stavano facendo i consiglieri jugoslavi - che le misure di cui sopra, quando stabilivano il cambiamento d’ufficio dei cognomi, venissero permesse anche delle eccezioni, poiché la possibilità di poter fruire di queste eccezioni era condizio-

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nata da termini di tempo troppo brevi e, in ogni caso, l’accettazione o meno della domanda veniva comunque lasciato al “diritto discrezionale” delle autorità, fattore che, in pratica, toglieva alla misura prevista dal decreto qualsiasi possibilità di realizzazione concreta. Un simile parere venne espresso anche nei confronti della nuova legge jugoslava del 1.12.1947, la quale, anche se permetteva un cambiamento del cognome, pure quando il cambiamento significava un ritorno alla forma italiana, si trattava pur sempre di una possibilità straordinaria senza alcuna valenza pratica, tenendo conto che le richieste dovevano essere “motivate” ed un eventuale cambiamento del cognome avrebbe potuto essere concesso soltanto dopo aver dimostrato la validità del “motivo”. I consiglieri italiani, nel prosieguo della seduta, ripeterono le argomentazioni già addotte in merito nel corso della sessione precedente del Comitato Misto alla quale, anche in questa occasione, vollero far complessivamente riferimento riportando l’esempio di nuovi casi di cambiamenti del cognome ai quali era stata aggiunta pure un’appartenenza nazionale diversa da quella italiana. Ancora una volta era stata sottolineata la particolare importanza che la parte italiana dedicava alle conseguenze ed agli effetti psicologici estremamente negativi che un tale comportamento comportava alle persone che si vedevano impossibilitate ad usare il proprio nome e cognome originario. Il cambiamento nella forma slava eseguita d’ufficio sul territorio sotto amministrazione jugoslava, senza tener conto se nel periodo tra le due guerre i cognomi erano stati modificati d’ufficio oppure su richiesta delle persone interessate, ha avuto e potrebbe continuare ad avere delle pesanti conseguenze reali, spesso irreparabili. In effetti, il cambiamento dei cognomi era collegato - opportunità che non si è mai realizzata sul territorio sotto amministrazione italiana – all’aggiunta da parte delle autorità di un’appartenenza nazionale diversa da quella reale. Di conseguenza, questo elemento aveva acquisito un aspetto molto più rilevante e, a lunga scadenza, con riflessi di grande importanza per il gruppo etnico italiano soprattutto per le pesanti conseguenze che stava provocando: 1) difficoltà dei bambini durante l’iscrizione e la frequentazione delle scuole previste per la minoranza e, di conseguenza, l’impossibilitò di assicurare loro una formazione spirituale in conformità ai principi che dovevano ispirare l’insegnamento in queste scuole. In realtà, le istituzioni scolastiche e culturali dovevano rappresentare per un gruppo etnico un elemento fondamentale per esprimere la propria lingua e la propria cultura; 2) l’impossibilità di permettere agli appartenenti al gruppo etnico italiano, ai quali il cognome era stato cambiato d’ufficio nella forma slovena e ai quali era stata conseguentemente assegnata un’appartenenza nazionale non italiana, di garantire loro la possibilità di fruire dei diritti loro riconosciuti dallo Statuto Speciale. In seguito al cambiamento del cognome, con l’asse68


gnazione di una nazionalità diversa da quella italiana, il gruppo etnico italiano aveva visto ridotta la propria consistenza numerica e, in proporzione, anche il diritto di vedersi garantiti tutti gli altri diritti che erano stati ridotti al solo livello di diritto individuale, riducendo il numero delle persone al di sotto di quello reale. Per le sue dimensioni, queste conseguenze erano in evidente contrasto con lo spirito ed il contenuto cui tendeva il Memorandum d’Intesa e lo Statuto Speciale, principi che erano chiamati ad assicurare la tutela e la sopravvivenza delle rispettive minoranze, e inoltre ad assicurare la tutela delle loro caratteristiche nazionali. Per questi motivi, al fine di garantire al gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava la tutela della propria nazionalità e dei diritti che da essa derivano, i membri italiani del Comitato proposero nuovamente le stesse conclusioni già formulate alla sessione precedente, e cioè: 1) che in linea di principio venissero formulate delle disposizioni formali per un nuovo ritorno alla forma originale di tutti i cognomi che d’ufficio erano stati modificati dalle autorità jugoslave; 2) che sussidiariamente: a) venissero ripristinati d’ufficio almeno quei cognomi che le autorità italiane - a suo tempo - avevano modificato nella forma italiana su richiesta delle stesse persone interessate; b) che si prevedesse una procedura rapida e semplice per coloro che desiderassero riavere il proprio cognome nella forma italiana - e ai quali, a suo tempo, questi cognomi erano stati modificati d’ufficio nella forma italiana da parte delle autorità italiane e, di conseguenza, non poteva venir adottata la precedente norma del punto a). Nella risposta i consiglieri della parte jugoslava accennarono immediatamente alla diversità dei due concetti con i quali veniva affrontata questa problematica che era conseguenza delle numerose modifiche dei cognomi nella forma italiana eseguite a suo tempo sulla base del Regio decreto del 17 gennaio 1926, no. 17. La misura, sostennero gli jugoslavi, aveva colpito soprattutto le popolazioni slovena e croata. Anche i consiglieri jugoslavi, quindi, si richiamarono a quanto esposto alla quinta sessione, sottolineando la logicità delle misure introdotte con il Decreto dell’Assemblea Popolare Regionale per l’Istria di Pisino del 18 settembre 1943 e del Decreto del Comitato Regionale della Lotta Popolare di Liberazione per il Litorale Sloveno di Aidussina del 14 dicembre 1945 (entrambi i decreti erano stati ufficialmente pubblicati anche in lingua italiana), con i quali si stabiliva che i cognomi cambiati venivano ripristinati nella forma originaria, il che, 69


di conseguenza, non andava compreso come una specie di “slavizzazione”. Già durante la V sessione del Comitato i membri jugoslavi avevano illustrato i motivi per cui i due decreti non potevano fare una distinzione tra i cambiamenti eseguiti a suo tempo “d’ufficio”, oppure quelli effettuati “in seguito a richiesta”. Gli jugoslavi, inoltre, ribadirono che, sulla base della pubblicazione del volume “Trasformazione dei cognomi nella forma italiana”, pubblicata a Trieste nel 1928, contenente l’elenco dei cognomi italianizzati nell’allora esistente provincia di Pola (che comprendeva il territorio sotto amministrazione jugoslava), circa il 90 per cento dei cognomi era di origine slava, e che nell’allora esistente provincia di Trieste questa percentuale era di poco inferiore. Indipendentemente dal carattere inerente i cambiamenti del cognome, soprattutto dopo il 1926, entrambi i decreti (1943 e 1945) prevedevano delle deroghe a favore di appartenenti al gruppo etnico italiano che avessero desiderato mantenere la forma italianizzata del cognome. Una misura che da questo punto di vista era ancora più liberale ed era stata apportata nell’art. 29 della Legge jugoslava sui nomi personali del 1 dicembre 1947 (Bollettino Ufficiale RPFJ No. 103), che, nel 1954, era stato introdotto anche sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Gli jugoslavi sottolinearono ancora una volta che né la forma del cognome, né del nome, sul territorio sotto amministrazione jugoslava influivano sull’attribuzione della nazionalità, nè sull’iscrizione nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Un fatto, facilmente dimostrabile, sulla base degli elenchi degli alunni iscritti in queste scuole. Non esistevano ostacoli affinché gli appartenenti al gruppo etnico italiano potessero usare liberamente i propri nomi e cognomi. Veniva, comunque, concessa la possibilità che, vista la vastità dell’azione portata avanti nel 1926 e negli anni successivi - soprattutto nei primi tempi dopo il 1945 - si fossero verificati alcuni casi non spiegati, che nella grande maggioranza erano stati risolti. Per alcuni casi (in ogni caso non più di una decina) degli ultimi tempi, ai quali hanno fatto riferimento i membri italiani del Comitato, la parte jugoslava ritenne che si trattò di alcuni errori grossolani; infatti, nella maggior parte dei casi si era trattato della forma scritta del cognome, o del nome, ma sempre aventi un carattere marginale. In merito, venne aggiunto che, per il carattere costitutivo dovevano esser ritenute valide soltanto le iscrizioni nei registri dell’anagrafe, e non quanto riportato dai documenti che non avevano un carattere permanente. Indipendentemente da quanto sopra, la parte jugoslava si dichiarò disponibile a verificare anche questi casi e raccomandare alle autorità preposte di eliminare in maniera diretta alcune inadempienze ancora presenti; certamente, però, non poteva concordare con l’ampiezza delle proposte avanzate dalla delegazione italiana.

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Capitolo VII Dopo il no di Trieste Verbale della VII sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954), tenutasi a Roma, dal 20 febbraio al 10 marzo 1961 (1) Ordine del giorno: “Punto I: Attuazione delle conclusioni della V sessione ordinaria del Comitato Misto. Punto II: 1) Posizione delle scuole del gruppo etnico jugoslavo e del personale insegnante sul territorio sotto amministrazione italiana (art. 4 dello Statuto Speciale) 2) Posizione delle scuole del gruppo etnico italiano e del personale insegnante sul territorio sotto amministrazione jugoslava (art. 4, dello Statuto Speciale Punto III: Adozione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana per l’attuazione dell’art. 5 dello Statuto Speciale, in particolare: a) adozione di misure atte ad assicurare una possibilità concreta di uso della lingua del gruppo etnico jugoslavo nella comunicazione orale e scritta con le autorità giuridiche e amministrative; b) collocamento di tabelle bilingui sulle sedi delle istituzioni pubbliche, e di tabelle bilingui per indicare località e vie nei comuni di Duino-Aurisina, Monrupino, Sgonico, San Dorligo della Valle e in alcuni settori del comune di Trieste. Punto IV.: Cambiamento eseguito d’ufficio di cognomi e nomi italiani nella forma slava da parte delle autorità jugoslave. Punto V.: Adozione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana per l’attuazione dell’art. 2 dello Statuto Speciale, soprattutto la possibilità di una giusta rappresentanza del gruppo etnico jugoslavo negli organismi pubblici e amministrativi (art. 1/c dello Statuto Speciale). Punto VI.: Modifica delle unità amministrative effettuate da parte dell’amministrazione jugoslava sul territorio sotto amministrazione jugoslava (art. 7 dello Statuto Speciale). Punto VII.: Disamina dei ricorsi e delle domande inoltrate da organizzazioni e singoli.

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All’inizio della sessione, dopo aver constatato con soddisfazione che i rispettivi governi, italiano e jugoslavo, avevano approvato il verbale della VI sessione ordinaria, i lavori proseguirono con un’informazione reciproca su quanto realizzato delle conclusioni allora approvate. Così, Gli esperti jugoslavi informarono che nelle scuole medie con lingua d’insegnamento italiana si stava completando la sostituzione dei professori che non erano della stessa madre lingua degli alunni, e che, a tal fine, erano state destinate nove borse di studio, due delle quali per frequentare università italiane, aggiungendo che uno dei borsisti avrebbe potuto entrare in servizio già con il successivo anno scolastico. Si riteneva, che in un paio d’anni questa mancanza avrebbe dovuto essere colmata. In fase conclusiva anche la procedura che prevedeva una riunione degli esperti per formalizzare le modalità riguardanti il seminario da tenere sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Mentre erano in corso i preparativi per la convocazione dell’incontro degli esperti, però, a Trieste si erano svolte dimostrazioni che avevano impedito alla parte jugoslava di poter accedere ai preparativi per la riunione. Per quanto riguardava la sezione femminile della scuola professionale di Isola, il Comitato era stato informato che l’istituzione aveva incominciato a lavorare. Alle scuole del gruppo etnico italiano erano state assicurate altre otto aule. Si stavano approntando, inoltre, i progetti per la costruzione di un centro scolastico a Capodistria, come pure di una scuola ottennale a Sicciole. Nel piano finanziario dell’anno in corso, come venne sottolineato, erano stati previsti consistenti mezzi finanziari per migliorare il funzionamento delle scuole, dedicando particolare attenzione al materiale didattico e alle attrezzature. Era stata istituita, inoltre, una specifica commissione con il compito di verificare la situazione di ogni singola scuola per verificarne le necessità da questo punto di vista. Nel corso del 1960 erano stati pubblicati cinque nuovi testi scolastici per le scuole con lingua d’insegnamento italiana ed erano in preparazione altri dodici testi che sarebbero stati pubblicati l’anno successivo. A Fiume era stata aperta una sezione della Scuola pedagogica superiore per gli appartenenti al gruppo etnico italiano, dove sarebbero stati iscritti otto studenti. In parte, il materiale didattico per la sezione era già stato acquistato in Italia. Tutte le scuole con lingua d’insegnamento italiana erano attive. Nell’anno scolastico in corso erano iscritti 715 alunni, il che significava un ulteriore aumento di 76 alunni rispetto all’anno scolastico precedente, quando la scuola italiana era frequentata da 639 alunni. I membri jugoslavi del Comitato rilevarono, in merito, che negli ultimi anni era in costante aumento il numero delle iscrizioni, il che rappresentava nella maniera più eloquente l’atmosfera favorevole che si stava riscontrando nelle scuole del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Interamente dedicato alla posizione delle rispettive scuole il secondo punto all’ordine del giorno. Per quanto riguardava la situazione nelle scuo72


le con lingua d’insegnamento italiana, i consiglieri italiani fecero alcune importanti puntualizzazioni. Così, per le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava non esisteva un “decreto normativo” che ne definisse la “stabilità organizzativa”, come previsto dall’art. 4/c dello Statuto Speciale. La legge generale sull’istruzione del 28 gennaio 1958 in effetti disponeva una sola norma di carattere programmatico che prevedeva l’insegnamento nella madre lingua delle singole minoranze etniche, senza tuttavia elencare le minoranze e senza fissare le norme per l’organizzazione delle relative scuole. Con questa finalità, nel termine di due anni dall’entrata in vigore della legge generale, le Repubbliche di Slovenia e di Croazia avrebbero dovuto approvare delle leggi particolari, il che non era avvenuto. Passando ad esaminare ogni singola scuola italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, la delegazione italiana ribadì il cattivo funzionamento degli asili d’infanzia di Isola e di Umago, l’introduzione mensile di un contributo di 1.000 dinari, che aveva avuto come effetto una riduzione delle frequenze in alcuni asili sul territorio della Croazia, la trasformazione delle scuole sessennali di Castagna, Grisignana, Momiano e Verteneglio in scuole elementari quadriennali e, soprattutto, la chiusura della prima classe del ginnasio di Pirano, anche se in questa classe si erano già iscritti otto studenti. Auspicata pure l’opportunità di aprire una scuola commerciale a Buie e delle scuole elementari a Crassizza, Fiorini, Villanova e Daila. Pur prendendo atto che alle scuole con lingua d’insegnamento italiana era stato assegnato un numero maggiore di aule, i membri italiani del Comitato richiamarono l’attenzione sugli ambienti ancor sempre non adeguati degli asili d’infanzia di Pirano, Buie, Sicciole e Cittanova, come pure della scuola ottennale di Buie e delle scuole elementari di Semedella e di Grisignana. Manchevole pure l’arredo della scuola elementare di Verteneglio, nonché del materiale didattico di cui era dotata la maggior parte degli asili e delle scuole elementari, ottennali e medie. Nel prosieguo dei lavori, erano stati presi in esame i libri di testo riportando alcuni citati che testimoniavano la loro inadeguatezza nel coltivare i sentimenti nazionali degli alunni. Esaminati pure alcuni formulari, registri e pagelle che in alcuni centri erano ancor sempre compilati soltanto in lingua slovena. Esaminata pure la difficile situazione nel settore del corpo insegnanti, dove venne constatato che 18 insegnanti su 75 non erano ancora di nazionalità italiana, dei quali ben 11 dei 15 che insegnavano nelle scuole medie. Dopo aver constatato che poco più del 50% degli insegnanti delle scuole elementari e ottennali e che soltanto un insegnante delle scuole medie di nazionalità italiana avevano una sistemazione fissa, è stato ribadito che sarebbe stato opportuno impiegare in numero maggiore di insegnanti con contratto di “insegnante di ruolo”. Infine, era stato espresso l’auspicio che l’insegnamento della lingua slovena avesse inizio a partire dalla seconda classe della scuola elementare e non dalla prima.

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Concludendo la propria esposizione, i membri della delegazione italiana al Comitato misto avanzarono le seguenti richieste: 1. attuazione dell’art. 4/c dello Statuto speciale, in merito a: a) promulgazione da parte delle Repubbliche di Slovenia e di Croazia di “norme di legge” che assicurino “stabilità organizzativa” alle scuole con lingua d’insegnamento italiana; b) sostituzione degli insegnanti di nazionalità slovena con insegnanti di nazionalità italiana, riproponendo la proposta che nel frattempo vengano assunti insegnanti dall’Italia; c) adeguamento dei programmi, ma soprattutto dei libri di testo, ai sentimenti nazionali italiani degli alunni; d) riapertura della prima classe del ginnasio di Pirano, funzionamento regolare degli asili d’infanzia di Isola e di Umago, nonché trasferimento della scuola economico-commerciale a Isola. 2. Convocazione di una riunione degli esperti per definire le modalità inerenti l’organizzazione dei seminari di cultura italiana per insegnanti e alunni delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, nel rispetto delle conclusioni apportate alla II e alla VI sessione del Comitato Misto. Da questo punto di vista non è stato possibile accettare la motivazione espressa dalla parte jugoslava in merito ai ritardi e all’inadempimento degli obblighi; 3. Apertura di una scuola economico-commerciale a Buie e di scuole elementari a Crassizza, Fiorini, Villanova e Daila; 4. Miglioramento delle aule, delle attrezzature e del materiale didattico nelle scuole di cui sopra e fornitura alle scuole che ne sono sprovviste di formulari, registri e domande bilingui, soprattutto quelle per l’iscrizione degli alunni. 5. Miglioramento dello “status” con riconoscimento della “stabilità” della maggior parte degli insegnanti, sia nelle scuole elementari, che in quelle ottennali e medie; 6. Abolizione del contributo mensile di 1.000 dinari introdotto negli asili infantili del distretto sotto amministrazione della Croazia; 7. Introduzione dell’insegnamento della lingua slovena a partire dalla seconda classe della scuola elementare e non dalla prima;

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8. Organizzazione di un’adeguata azione delle autorità preposte finalizzata alla creazione di un’atmosfera psicologica che non rappresenti un ostacolo alla frequentazione naturale di dette scuole da parte degli alunni appartenenti al gruppo etnico italiano. Alle proposte avanzate dagli italiani, immediata la risposta degli esponenti jugoslavi del Comitato Misto. 1/a) – Con la stessa ratifica del Memorandum d’Intesa, e successivamente con la Legge federale sull’istruzione, che avevano esplicitamente acquisito tutti gli obblighi internazionali, tutte le relative norme dello Statuto Speciale erano diventate parte integrante della legislazione interna jugoslava. Di conseguenza, sulla base di queste misure era stata confermata la “stabilità organizzativa” delle scuole italiane, e le autorità locali erano state chiamate ad attuare quei diritti indipendentemente dall’approvazione di leggi repubblicane sul sistema scolastico minoritario. Gli esponenti jugoslavi del Comitato informarono pure che il progetto di legge nella Repubblica di Croazia si trovava in procedura parlamentare, mentre nella RP di Slovenia era stata approvata già nel 1959 la Legge sulle scuole elementari che, dall’art. 73 all’art. 75, riportava disposizioni riguardanti le scuole elementari per gli appartenenti alle minoranze nazionali. 1/b) - Per quanto riguardava la richiesta di sostituzione degli insegnanti di nazionalità slava con insegnanti di nazionalità italiana, i membri jugoslavi del Comitato si richiamarono a quanto avevano affermato in merito nel corso del primo punto dell’ordine del giorno. Visto il numero sufficiente dei borsisti, è stato constatato che vi esistono reali prospettive affinché la sostituzione avvenisse in tempi brevi. Di conseguenza gli jugoslavi non ritennero necessario assumere nel frattempo insegnanti dall’Italia. 1/c) - Nella Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia i programmi di studio di tutte le scuole delle minoranze, quindi anche di quelle italiane, erano conformi ai sentimenti nazionali del relativo gruppo etnico. Per quanto riguardava i libri di testo, gli jugoslavi ribadirono quanto già affermato sotto il primo punto dell’o.d.g. 1/d) - Per l’anno scolastico in corso non era stata registrata nessuna richiesta di iscrizione alla prima classe del ginnasio di Pirano, per cui temporaneamente in questa classe non si sarebbero svolte le lezioni. Gli asili d’infanzia di Isola e di Umago, invece, funzionavano regolarmente. Per quanto riguarda il trasferimento della Scuola media economica da Pirano a Isola, i membri jugoslavi ripeterono le motivazioni riportate già in precedenza, sostenendo ancora una volta che per il momento non esistevano reali possibilità per il trasferimento della scuola a Isola, causa la mancanza di spazi adeguati, ma anche per carenze del quadro insegnanti, condizioni, invece, che erano presenti a Pirano. 75


2) - Per quanto riguarda la convocazione della riunione di esperti per la definizione delle modalità per l’organizzazione dei seminari di cultura italiana, gli jugoslavi fecero riferimento a quanto già detto in precedenza. 3) - In risposta al terzo punto, gli jugoslavi ripeterono il parere già espresso nelle sessioni precedenti, secondo cui la creazione di nuove piccole scuole non sarebbe stato nell’interesse degli stessi alunni quando nelle vicinanze esistevano delle scuole con migliori condizioni per l’insegnamento e quando era noto che tutti gli alunni potevano usufruire del trasporto gratuito in autocorriere fino a queste scuole. Un tanto era stato confermato anche dagli stessi genitori che non avevano mai sollevato il problema di apertura di nuove scuole nelle località indicate dai consiglieri italiani del Comitato. Inoltre, da considerare che a Buie si stava portando a termine la scuola ottennale per un massimo di 20 alunni, per cui si riteneva che non esistessero le condizioni per l’apertura di una scuola media, soprattutto se si teneva conto del fatto che nella vicina Pirano esistevano già due scuole medie con lingua d’insegnamento italiana. 4) - Per quanto riguardava la situazione materiale delle scuole, gli jugoslavi riportarono il discorso su quanto già affermato sotto il primo punto, sottolineando che nell’amministrazione scolastica veniva sempre usato il principio del bilinguismo. 5) La stabilità degli impiegati, in base alla Legge jugoslava sugli impiegati pubblici, subentrava non appena un candidato, a conclusione del periodo di tirocinio, superava l’esame professionale. Il diritto veniva conseguito dopo un biennio di tirocinio. Di conseguenza il miglioramento dello “status”, ivi compresa la “stabilità”, dipendeva dall’individuo. 6) - Il contributo mensile negli asili infantili non riguardava l’insegnamento, ma rappresentava un contributo per il vitto dei bambini nell’asilo, ed era stato introdotto in tutta la Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia. 7) - Era obbligo della scuola rendere possibile all’appartenente di un gruppo etnico un buon apprendimento della lingua ufficiale dello Stato di residenza, il che era nello stesso tempo anche l’interesse degli alunni. Tenendo conto del fatto che nella Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia l’obbligo di frequentare la scuola aveva inizio appena compiuti i sette anni di età, quando i bambini risultano più sviluppati, la parte jugoslava del Comitato era del parere che non esistessero motivi per l’introduzione dell’insegnamento della lingua slovena appena a partire dalla seconda classe invece che dalla prima delle scuole elementari. 8) - I consiglieri jugoslavi respinsero nella maniera più decisa la presunta esistenza di situazioni psicologiche che avrebbero rappresentato un ostacolo per una frequenza naturale delle scuole elementari da parte degli appartenenti al gruppo etnico italiano. Lo dimostrava il fatto che negli ul-

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timi anni l’iscrizione degli alunni in queste scuole era in costante aumento e che queste iscrizioni corrispondevano pienamente alla percentuale tra il numero di iscritti in queste scuole e il numero della popolazione residente I rappresentanti della parte italiana ripresero nuovamente la parola per esprimere vivo rammarico nel constatare che la parte jugoslava non solo non aveva preso in esame le richieste riguardanti l’adempimento di precisi obblighi stabiliti dall’art. 4/c dello Statuto Speciale (emissione di “norme legislative” per regolare “la stabilità organizzativa” delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, la sostituzione degli insegnanti che non erano di madre lingua italiana, il funzionamento di tutte le scuole secondo l’elenco allegato allo Statuto Speciale), ma aveva respinto anche l’affermazione secondo cui i libri di testo corrispondevano al carattere nazionale degli alunni, nonostante la palese constatazione in seguito a prove concrete che la parte italiana aveva presentato nel corso della sessione. Anche la parte jugoslava del Comitato Misto respinse fermamente tutte le affermazioni di cui sopra invitando la controparte a prendere visione delle argomentazioni presentate in precedenza. Di conseguenza, non avendo conseguito il consenso sul secondo punto dell’ordine del giorno, sulla base dell’art. 8 del Regolamento, i diversi pareri dei membri jugoslavi e di quelli italiani erano stati riportati nel verbale. I due sottopunti presi in esame al terzo punto dell’o.d.g. riguardarono direttamente le richieste presentate dalla parte jugoslava in merito all’ adozione di misure per assicurare una concreta possibilità di uso della lingua del gruppo etnico jugoslavo nella comunicazione orale e scritta con le autorità giuridiche e amministrative, e al Collocamento di tabelle bilingui sulle sedi delle istituzioni pubbliche, nonché di tabelle bilingui per indicare località e vie nei comuni di Duino-Aurisina, Monrupino, Sgonico, San Dorligo della Valle e in alcuni settori del comune di Trieste. Dopo le motivazioni ampiamente illustrate dalla parte italiana e le controbattute della parte jugoslava, il Comitato Misto dovette prender atto che anche il terzo punto all’ordine del giorno non aveva avuto il consenso delle due parti, per cui i pareri delle due parti erano stati ampiamente inseriti nel verbale. Della Comunità Italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava il Comitato Misto si occupò nuovamente al IV punto dell’ordine del giorno, riportando il dibattito sul tema presente già nelle due sessioni precedenti. La richiesta era stata motivata dai cambiamenti dei cognomi italiani nella forma jugoslava eseguiti d’ufficio dalle autorità jugoslave. Dopo aver ricordato che le modifiche dei cognomi italiani nella forma slava erano state eseguite sulla base del Decreto di Pisino del 18 settembre 1943 e del Decreto di Aidussina del 14 dicembre 1945, ma che erano continuate anche dopo il termine di tempo fissato da questi documenti, i 77


membri italiani sottolinearono che i cambiamenti eseguiti “d’ufficio” da parte delle autorità jugoslave riguardavano quelli nel periodo tra le due guerre, ma anche i cognomi che erano stati cambiati “su richiesta” delle persone interessate, come pure i cognomi che non erano mai stati oggetto di modifiche da parte delle autorità italiane e che erano indubbiamente di origine italiana. Il cambiamento dei cognomi nella forma slava come sopra descritto, aveva avuto e avrebbe continuato ad avere pesanti conseguenze sul gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, in quanto il cambiamento dei cognomi comportava anche una attribuzione di appartenenza ad un gruppo etnico diverso da quello italiano (circostanza mai avvenuta sul territorio sotto amministrazione italiana), con molteplici conseguenze negative, tra le quali le più pesanti erano da considerare: 1) gli ostacoli presenti al momento dell’iscrizione dei bambini nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana destinate alla minoranza e, di conseguenza, era stato reso impossibile a questi di frequentare le lezioni con il supporto spirituale in armonia con le caratteristiche dell’appartenenza al proprio gruppo etnico; 2) l’impossibilità per gli appartenenti al gruppo etnico italiano di realizzare i diritti che erano loro riconosciuti dallo Statuto Speciale, cosicché alla fine al gruppo etnico italiano questi erano stati quantitativamente e proporzionalmente ridotti se rapportati a quelli degli appartenenti al gruppo jugoslavo. Un comportamento che - come era stato sottolineato - era in contrasto con le clausole dello Statuto Speciale, il quale aveva come finalità proprio la tutela della composizione etnica delle rispettive minoranze e il mantenimento delle loro caratteristiche nazionali. Proseguendo, i componenti italiani del Comitato citarono altri casi di cambiamento di nomi e di cognomi che avevano avuto come conseguenza l’assegnazione di un’appartenenza nazionale diversa da quella italiana. Infine, gli italiani ripeterono che sul territorio sotto amministrazione jugoslava mancava un decreto che rendesse possibile un ripristino facilitato del cognome italiano, poiché, sulla base della legge del 1.12.1947, questa possibilità aveva soltanto un carattere eccezionale ed esigeva una comprova “motivata” per la presentazione di eventuali richieste di ripristino dei cognomi nelle forma precedente. Questa legge stabiliva i termini, ormai superati, per la presentazione della domanda. Partendo, quindi, da questo fatto, al fine di assicurare al gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava la tutela della loro nazionalità e i diritti che questa comportava, i membri italiani del Comitato, presentarono nuovamente le proprie richieste già esposte nel corso delle due precedenti sessioni, e cioè:

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1) che venissero adottate misure formali, in quanto di fondamentale importanza, per il ripristino nella forma italiana di tutti quei cognomi modificati d’ufficio da parte delle autorità jugoslave: 2) sussidiariamente: a) il ripristino d’ufficio almeno di quei cognomi che, a suo tempo, le autorità italiane avevano cambiato nella forma italiana su richiesta delle persone direttamente interessate; b) assicurare una procedura semplice e rapida per quelle persone alle quali a suo tempo le autorità italiane avevano modificato d’ufficio il cognome nella forma italiana, e per coloro ai quali non era possibile adottare quanto esposto sotto il punto a), ma che desideravano il ripristino del cognome nella forma italiana. Rispondendo agli interventi di parte italiana, gli esponenti jugoslavi si richiamarono a quanto già esposto nel corso delle precedenti V e VI sessione, sottolineando che, sulla base dei Decreti di Pisino del 18.9.1943 e di Aidussina del 14.12.1945, non era stata effettuata alcuna modifica dei cognomi italiani, né una loro slavizzazione, in quanto scopo di decreti del genere era quello di riportare nella forma originaria tutti i cognomi che erano stati oggetto di una vasta azione di italianizzazione dei cognomi slavi da parte dell’ex regime fascista sulla base del Regio Decreto del 10 gennaio 1026 No. 17. Gli esponenti jugoslavi spiegarono nuovamente perché non era stato possibile fare differenza tra i cambiamenti che a suo tempo erano stati formalmente eseguiti “d’ufficio” e quelli in seguito a “presentazione di domanda”. Aggiungendo in merito, che a suo tempo c’erano molti nomi e cognomi modificati nella forma italiana senza avere alle spalle un qualsiasi decreto.. Indipendentemente da tutto questo, i due Decreti del 1943 e del 1945 stabilivano precise misure in favore di coloro che si ritenevano Italiani. Da questo punto di vista, una disposizione ancora più liberale era stata apportata successivamente con l’art. 29 della Legge jugoslava sui nomi personali del 1.12.1947. In merito, gli jugoslavi pertanto, ribadirono nuovamente che la forma del nome o del cognome sul territorio sotto amministrazione jugoslava non influiva sulla definizione della nazionalità, né sull’iscrizione alle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Sulla base degli elenchi degli alunni dell’anno scolastico in corso di alcune scuole con lingua d’insegnamento italiana era possibile verificare chiaramente che queste scuole erano frequentate da alunni senza tener conto se il cognome era di origine italiana o slava. Tutti questi cognomi ed anche i loro nomi venivano attentamente scritti nel rispetto delle regole della lingua italiana. Per quanto riguardava i singoli casi che erano stati illustrati dagli italiani, gli jugoslavi rilevarono che per alcuni di questi cognomi si trattava

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soltanto di insignificanti diversità di scrittura. Per altri, inoltre, si trattava di persone di indubbia nazionalità slovena o croata. Indipendentemente da questo, gli esponenti jugoslavi ribadirono che avrebbero potuto esserci eventualmente ancora alcuni casi non chiari di appartenenti al gruppo etnico italiano che sarebbe ancora possibile risolvere positivamente se gli interessati lo richiedessero per via regolare. D’altra parte, secondo gli jugoslavi, dopo l’eliminazione della disposizione No. 53 del 18.3.1949, dell’ex Amministrazione Militare Alleata, sul territorio sotto amministrazione italiana non esisteva una norma di legge specifica per il ripristino dei cognomi nella forma precedente. Se in questi casi veniva ancor sempre usato il Regio decreto No.17 del 1926, che allora era stato emesso soltanto per le ex provincie di Trento, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara, bisognava sottolineare che quella norma prescriveva l’esatto contrario, per cui le modifiche dei cognomi nella forma italiana avvenivano ancora in seguito a domanda dell’interessato. Anche se gli jugoslavi ammettevano che potrebbero esistere delle norme diverse, era necessario ribadire che di quella eventuale possibilità ufficialmente loro non ne erano a conoscenza. Infine, i membri jugoslavi del Comitato sottolinearono ancora che sul territorio sotto amministrazione italiana non esisteva una norma di legge che stabilisse ufficialmente che i cognomi nella forma slava non dovevano venir considerati come nomi stranieri, ai sensi dell’art. 72 del Regolamento del Servizio Anagrafico no. 1238 del 1939. Non riportiamo di seguito gli interventi della parte italiana in merito alla situazione dei cognomi slavi sul territorio sotto amministrazione italiana, in quanto non aggiungono argomenti importanti che si potrebbero riflettere anche sulle richieste riguardanti le modifiche in forma slava sul territorio istriano dell’ex Zona B. Il Comitato Misto, non avendo conseguito il consenso da entrambe le parti, in base all’art. 8 del Regolamento, stabilì che le relative posizioni espresse dalla parte jugoslava e dalla parte italiana, venissero riportate nel verbale. Interessante il dibattito anche al quinto punto dell’ordine del giorno, proposto all’inizio della sessione dalla parte jugoslava e riguardante l’ adozione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana per l’attuazione dell’art. 2 dello Statuto Speciale, soprattutto per quanto riguarda la rappresentanza del gruppo etnico jugoslavo negli organismi pubblici e amministrativi (art. 1/c dello Statuto Speciale). Tenendo conto della conclusione approvata alla VI sessione del Comitato Misto in merito al problema di una giusta rappresentanza dei rela-

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tivi gruppi etnici, i membri jugoslavi informarono nei dettagli i colleghi italiani della reale situazione e del costante impegno del governo e delle altre istituzioni operanti sul territorio sotto amministrazione jugoslava per un ampliamento della rappresentanza degli appartenenti al gruppo etnico italiano negli organi del potere, della pubblica amministrazione e altrove. Grazie a questo impegno, negli ultimi tempi era aumentato il numero dei rappresentanti del gruppo etnico italiano nei comitati cittadini, nei comuni maggiori e nei distretti, come pure nei consigli e nelle relative commissioni. Era aumentato pure il numero degli appartenenti al gruppo etnico italiano impiegati negli organismi della pubblica amministrazione, nelle varie istituzioni e altrove. A tutti gli appartenenti al gruppo etnico italiano era stato reso possibile partecipare a parità di diritti a tutti i concorsi per i posti di lavoro. La rappresentanza degli appartenenti al gruppo etnico italiano era stata allargata anche agli organi dell’autogestione sociale delle aziende, ovvero nei consigli operai e nei comitati d’amministrazione. Alcuni appartenenti al gruppo etnico italiano ricoprivano ruoli di direttori di aziende industriali. Uno dei motivi per cui gli appartenenti al gruppo etnico italiano non erano rappresentati in numero ancora maggiore, soprattutto nell’amministrazione pubblica, era dato soprattutto dal fatto che non si trovavano in numero sufficiente con adeguate qualifiche. Perciò, un consistente numero di appartenenti al gruppo etnico italiano stava frequentando scuole medie e superiori grazie a borse di studio assegnate dagli organi del potere assieme alle varie istituzioni. Inoltre si offrivano borse di studio anche per il conseguimento di adeguate qualifiche attraverso vari seminari, corsi e altre forme di abilitazione. Per quanto riguardava la rappresentanza del gruppo etnico italiano nel settore dell’istruzione, si sottolineò che a Capodistria e a Pola stavano operando degli ispettorati scolastici autonomi per le scuole con lingua d’insegnamento italiana che erano diretti da appartenenti al gruppo etnico italiano. Inoltre, presso ogni scuola esistono i Comitati scolastici composti esclusivamente da appartenenti al gruppo etnico italiano. Infine, nei comuni esiste un organo amministrativo-politico, il Consiglio per l’Istruzione. Consigli analoghi esistono anche nei distretti d Capodistria e di Pola. Anche in questi consigli sono rappresentati gli appartenenti al gruppo etnico italiano. Accanto a questi consigli esistono anche delle commissioni particolari per la scuola minoritaria, nelle quali sono rappresentati anche gli appartenenti al gruppo etnico italiano. Concludendo, gli esponenti jugoslavi sottolinearono che sul territorio sotto amministrazione jugoslava nessun appartenente al gruppo etnico italiano fosse impiegato su un posto di lavoro non adeguato. Ampia e dettagliata la risposta dei rappresentanti italiani nell’illustrare l’attuazione dell’art. 2/c dello Statuto Speciale sul territorio sotto ammini-

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strazione italiana, dopo che gli jugoslavi avevano ribadito che anche se si era realizzato un certo miglioramento nelle rappresentanze degli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo in determinate commissioni di carattere economico-fiscale, constatarono tuttavia che il livello conseguito non era soddisfacente, soprattutto nell’amministrazione e nelle istituzioni pubbliche. A conclusione del dibattito, il Comitato Misto constatò di non esser riuscito a conseguire il consenso sulle proposte avanzate dalle due parti, per cui preferì ricorrere alla solita formula prevista dall’art. 8 del Regolamento e far registrare il dibattito nelle pagine del verbale. Per quanto riguardava la posizione della Comunità Italiana nell’ex Zona B, di indubbio interesse anche la richiesta che era stata avanzata da parte italiana riguardante determinate modifiche delle circoscrizioni amministrative effettuate da parte delle autorità jugoslave sul territorio sotto amministrazione jugoslava (art. 7 dello Statuto Speciale). Nello specifico, gli esponenti italiani precisarono che la loro richiesta era legata alla Legge generale jugoslava sull’organizzazione dei comuni e dei distretti del 22 giugno 1955. Legge, come sottolinearono che aveva comportato tutta una serie di modifiche nell’organizzazione amministrativa del territorio sotto amministrazione jugoslava, e precisamente: 1) Il distretto di Capodistria era stato allargato includendo anche i comuni di Erpelle-Cosina, Divaccia, Sesana, Pivka e Ilirska Bistrica, che appartenevano ai territori limitrofi; 2) Il distretto di Buie era stato abolito ed i comuni di Buie, Umago e Cittanova erano stati inclusi nel distretto di Pola; 3) Il comune di Capodistria era stato allargato includendo alcuni villaggi del territorio annesso, come Pregara, Gradina, Cristoglie e Sočerga; 4) Nel comune di Buie erano stati inclusi anche i comuni di Verteneglio, Momiano, Grisignana. Inoltre era stato allargato includendovi anche Portole ed i villaggi limitrofi, tra cui Piemonte, Čepići e Babići che facevano parte del territorio limitrofo. 5) Erano stati aboliti i comuni di Verteneglio, Momiano e Grisignana, inclusi nel comune di Buie. Misure, come sottolinearono gli Italiani. che avevano modificato dal punto di vista proporzionale la composizione etnica di queste unità amministrative e rappresentavano una violazione dell’art. 7 dello Statuto Speciale per i seguenti motivi: a) perché i cambiamenti delle unità distrettuali erano stati eseguiti unendo ai territori che si trovano sotto amministrazione jugoslava dei territori

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che si trovavano sotto la piena sovranità della Jugoslavia e, di conseguenza, erano sottoposti a diversa regolamentazione e diverso carattere giuridico; b) perché i cambiamenti effettuati alle unità amministrative sul territorio sotto amministrazione jugoslava, dopo che nei confini di questi comuni erano stati inclusi comuni con prevalenza della popolazione slava, non poteva non comportare una modifica del precedente rapporto proporzionale esistente tra la popolazione italiana e quella jugoslava, a scapito della prima; c) perché erano stati aboliti alcuni comuni sul territorio sotto amministrazione jugoslava, modificando in tal modo, a danno del gruppo etnico italiano, la rappresentanza italiana nei vari organismi, che costituiva un segnale della presenza e della vitalità del gruppo etnico. Le modifiche di cui sopra avevano assunto un carattere particolarmente rilevante in quanto comportavano delle conseguenze negative nei confronti della consistenza del gruppo etnico italiano, soprattutto per quanto riguardava il riconoscimento - diretto o indiretto - dei diritti assicurati alla minoranza e, di conseguenza, il mantenimento delle caratteristiche etniche e della coscienza nazionale di questa minoranza. La riduzione della consistenza proporzionale della minoranza italiana nei confronti della popolazione jugoslava rappresentava un evidente elemento di violazione dell’art. 7 dello Statuto Speciale, in quanto presupponeva, come finalità, che con una riduzione delle unità amministrative, venisse provocato un danno alla composizione etnica di queste unità. Al fine di constatare se si era in presenza di una violazione, non era possibile dedurlo sulla base delle motivazioni che avrebbero consentito l’attuazione della riforma, in quanto le definizioni presenti nello Statuto Speciale (“Nessun mutamento deve essere apportato alle circoscrizioni delle unità amministrative fondamentali, nelle zone che vengono rispettivamente sotto l’amministrazione civile dell’Italia e della Jugoslavia, con l’intento di arrecare pregiudizio alla composizione etnica delle unità stesse”) non potevano essere considerate come elementi puramente soggettivi da ritenere in relazione ai motivi con cui una delle due parti avrebbe potuto farsi guidare nell’attuazione di qualche misura. Queste definizioni, invece, dovevano essere comprese nel senso che in genere delle modifiche che avrebbero potuto avere delle conseguenze dannose per il gruppo etnico interessato non dovevano essere effettuate. I membri italiani del Comitato misto, pertanto, proposero ai membri jugoslavi che le modifiche delle unità amministrative fondamentali effettuate con la riforma del 1955 sul territorio sotto amministrazione jugoslava, venissero abrogate e venisse ripristinata la situazione esistente al giorno in cui era stato parafatto il Memorandum d’Intesa, in osservanza agli obblighi assunti con l’art. 7 dello Statuto Speciale allegato al Memorandum d’Intesa. 83


Nella replica, naturalmente, la parte jugoslava del Comitato sostenne che le modifiche apportate con la Legge del 1955 sull’organizzazione dei comuni e dei distretti non erano in contrasto con l’art. 7 dello Statuto Speciale. Le modifiche amministrative effettuate sul territorio sotto amministrazione jugoslava andavano intese soltanto come parte integrante della riforma amministrativo-territoriale realizzata in tutta la Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia. Sulla base della Legge di cui sopra, i comuni con i loro comitati cittadini erano diventati unità amministrative di base, definizione che fino ad allora apparteneva ai distretti. Con essa erano state effettuate delle modifiche di contenuto nella funzione dei comuni e dei distretti. Il comune era diventato un’unità amministrativo-politica, economica e finanziaria autonoma, mentre l’unità distrettuale dei comuni aveva come funzione basilare il coordinamento degli affari comuni. Per cui l’allargamento del distretto di Capodistria e l’abolizione del distretto di Buie avevano un significato che esulava dall’ambito delle misure previste dall’art. 7 dello Statuto Speciale. Quindi, come sostennero i rappresentanti jugoslavi, non solo non c’era l’intenzione di minacciare la composizione etnica del gruppo etnico italiano, ma al contrario, gli interessi del gruppo etnico italiano non erano stati danneggiati in nessun modo, e queste misure si erano dimostrate molto utili per tutta la popolazione locale, e di conseguenza, anche per l’intero gruppo etnico italiano, il che era indubbiamente in consonanza con l’art. 6 dello Statuto Speciale. Secondo il parere degli esponenti jugoslavi, le modifiche avevano contribuito ad uno sviluppo sostanzialmente più rapido, intenso e generale nel campo economico su tutto il territorio, realizzando la base materiale per l’autogestione della popolazione, che comprendeva anche il gruppo etnico italiano. Così, per esempio, sul territorio dei comuni di Capodistria, Isola e Pirano, il reddito nazionale era aumentato, dall’indice 100 registrato nel 1955, al 244,5 del 1960, mentre il reddito pro capite nello stesso periodo era passato da 100 a 279. Nel territorio dei comuni di Buie, Cittanova e Umago, il reddito nazionale negli ultimi quattro anni era aumentato di oltre un miliardo di dinari. Come risultato di questo sviluppo economico, praticamente, oggi non esisteva nemmeno un appartenente al gruppo etnico italiano che fosse disoccupato e anche un gran numero di donne avevano un occupazione. Per questi motivi, il mantenimento di comuni piccoli e non sviluppati era diventato praticamente impossibile. Continuare a tenerli in vita avrebbe significato limitare i diritti della popolazione di questo territorio, inclusi il diritto del gruppo etnico italiano a partecipare all’autogestione in generale. Avrebbe significato porre la popolazione di quei comuni in una posizione di non parità nei confronti della popolazione dei comuni più grandi. Secondo gli esponenti jugoslavi, le modifiche effettuate non avevano provocato una sostanziale modifica della consistenza etnica a danno del

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gruppo etnico italiano, e, in particolare, non era stato intaccato alcun diritto sancito dallo Statuto Speciale. Andava sottolineato, inoltre, che sul territorio sotto amministrazione jugoslava al gruppo etnico italiano venivano riconosciuti i diritti in base all’art. 5, comma 3 dello Statuto Speciale che riguardavano le scritte pubbliche, senza tener conto se in realtà veniva rispettata la condizione del 25% di presenza sul territorio degli appartenenti al gruppo etnico italiano. Le modifiche di cui sopra, sempre secondo gli esponenti jugoslavi, non avevano influito sulla rappresentanza degli appartenenti al gruppo etnico italiano nei vari organi, visto che le modifiche avevano comportato anche un aumento dei rappresentanti del gruppo nei comitati popolari dei comuni, dove era stato istituito un nuovo organismo - il consiglio dei produttori ed era aumentato il numero dei consigli e delle commissioni. Inoltre erano stati istituiti dei comitati cittadini in tutte le sedi dei comuni prima esistenti e nelle località maggiori, ai quali era stata trasferita la maggior parte delle competenze dei comuni precedenti. Bisognava sottolineare, pure, che nelle sedi dei comuni prima esistenti operavano degli uffici cittadini in cui continuavano ad essere presenti servizi riguardanti l’amministrazione generale, come per es. il servizio dell’anagrafe, il settore economico, le strutture comunali, l’assicurazione sociale, ed altro. A questo punto, purtroppo, le pagine del verbale in lingua serbocroata in nostro possesso si sono interrotte, per cui non abbiamo potuto conoscere né le repliche - che certamente ci furono - né le conclusioni apportate a fine dibattito. Sono completamente mancanti anche le pagine riguardanti l’ultimo punto all’ordine del giorno, cioè le domande ed i ricorsi da parte di singoli e di organizzazioni. In ogni caso, crediamo di non sbagliare di molto se affermiamo che anche in questa sessione non ci sono state richieste inoltrate da parte di esponenti della Comunità Italiana dell’ex Zona B.

Note: (1) Oltre al verbale della settima sessione ordinaria del Comitato Misto di ben 38 pagine dattiloscritte, che presentiamo di seguito con una sintesi dei punti principali discussi, nella raccolta dei materiali abbiamo trovato anche copia di una relazione del presidente della delegazione jugoslava Berislav Žulj, steso, evidentemente per illustrare la situazione ai vertici del governo. Presentiamo ampi stralci del documento nella Nota (2) a conclusione del capitolo. A questa sessione ordinaria ciascuna delle parti aveva posto all’ordine del giorno tre questioni. La parte jugoslava aveva posto la problematica scolastica, l’uso della lingua slovena per gli appartenenti alla minoranza nelle comunicazioni con le autorità amministrative e

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giuridiche, e, collegata a questo, la problematica delle insegne pubbliche bilingui, nonché della “giusta rappresentanza del gruppo etnico jugoslavo nei servizi pubblici”. La parte italiana aveva pure chiesto di trattare la problematica delle scuole, poi la cosiddetta “slavizzazione” dei cognomi e dei nomi italiani sul territorio sotto amministrazione jugoslava, come pure le modifiche delle unità amministrativo-territoriali nell’ex Zona B, in attuazione della Legge del 1955, che sarebbe stata voluta - come sostennero gli Italiani - per indebolire la percentuale della popolazione italiana nei confronti della popolazione. Già all’inizio della riunione c’era stata un’energica protesta della delegazione jugoslava, quando il presidente della delegazione italiana non aveva permesso che il presidente della delegazione jugoslava facesse riferimento alle manifestazioni antijugoslave di Trieste, giustificandosi dicendo che questo problema non si trovava all’ordine del giorno, che la questione era di competenza dei due governi, che il Comitato Misto era soltanto un foro tecnico-professionale non competente per trattare simili questioni, e via dicendo. La delegazione jugoslava rispose che le dimostrazioni in parola erano state organizzate proprio contro i diritti garantiti della minoranza slovena, che in quell’occasione erano state attaccate le sue istituzioni, che sarebbe stato assurdo pensare che il Comitato Misto non potesse trattare simili eventi che erano direttamente collegati con le condizioni nelle quali viveva il gruppo etnico sloveno, ecc. l giorno seguente era seguita la risposta della delegazione italiana che nei toni e nei contenuti fu più accomodante, visto che venne essenzialmente corretta la valutazione del ruolo e delle competenze del Comitato Misto, con una condanna degli avvenimenti triestini definiti dannosi per i rapporti. Nel prosieguo, tutta la sessione si svolse in forma corretta, senza incidenti, con un evidente tentativo della delegazione italiana di conservare una buona atmosfera. Tuttavia, la delegazione jugoslava presentò le proprie considerazioni. Ad una certa tensione si arrivò nuovamente verso la fine della sessione, durante la stesura del verbale ufficiale. Gli italiani nella prima stesura del testo reagirono duramente ad ogni accenno degli eventi di Trieste chiedendo, in realtà, che non venissero mai nominati, interpretazione che la delegazione jugoslava non volle accettare. Con altrettanta fermezza, gli Italiani reagirono alle constatazioni da parte jugoslava, secondo le quali la reale riduzione delle iscrizioni degli studenti nelle scuole della minoranza slovena era causata, tra l’altro, da fattori psicologici, come “l’indisturbata e continua attività dei circoli di destra di Trieste”. Su nessuna problematica era stato conseguito il consenso. Gli italiani insistettero nel chiedere che sulla problematica scolastica venisse comunque formulato un consenso fittizio dicendosi disponibili ad approvare in merito alcuni piccoli impegni. Un tanto, naturalmente, se anche gli jugoslavi avessero accettato degli impegni che, dal punto di vista dei contenuti, avevano un valore molto più consistente. La delegazione jugoslava respinse la proposta soprattutto per non permettere agli italiani di sfruttare il comunicato pubblico con il quale si voleva annunciare che era stato conseguito il consenso “su alcune questioni”, indebolendo in tal modo le motivazioni della protesta jugoslava e riducendo l’effetto delle sue esposizioni. Alla fine, con l’evidente desiderio di minimizzare la valutazione jugoslava sostanzialmente negativa della sessione, gli Italiani proposero comunque un comunicato congiunto, nel quale (nella prima stesura) si sarebbe affermato che durante la riunione non erano state conseguite delle conclusioni consensuali. Questo avrebbe permesso alle due parti di illustrare esaurientemente gli atteggiamenti che ciascuna di esse avrebbe presentato alle proprie autorità. In pratica, si trattava di una specie di richiesta a non esporre pubblicamente i risultati reali della sessione in un momento quando l’Italia stava affrontando dei difficili colloqui con gli Austriaci per le questioni legate alla minoranza austriaca dell’Alto Adige. La delegazione jugoslava respinse la richiesta per permettere al governo jugoslavo di esporre comunque la propria valutazione dell’incontro e dei risultati conseguiti.

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(2) Nonostante l’assenza di una parte del verbale, nel fascicolo è stata inserita anche la relazione del presidente della delegazione jugoslava, Berislav Žulj, ad una serie di indirizzi del governo e della politica jugoslavi. Probabilmente era prassi ordinaria che, in vista o alla fine di una sessione del Comitato Misto, il responsabile della delegazione jugoslava presentasse un rapporto sui lavori del Comitato. Avere la possibilità di conoscerli tutti ci aiuterebbe certamente a capire meglio i comportamenti delle singole parti. In questo caso, il documento, senza esser stato classificato come segreto, è stato inoltrato alla Commissione per le minoranze del Comitato Centrale del PCJ, ai Consigli Esecutivi di Croazia e Slovenia, al ministro per gli affari interni della RPFJ, al gabinetto del compagno Brilej, All’Ufficio di coordinamento, al Consiglio legale, al IV reparto, all’Ambasciata della RFPJ a Roma, al Consolato Generale di Trieste. Probabilmente si trattava certamente di uffici e personalità che avevano il compito, alla fine, di dare il via libera per l’approvazione definitiva del verbale da parte del Governo Federale, ma soprattutto di prendere conoscenza dell’atteggiamento assunto dalla Jugoslavia in seguito alle manifestazioni contro l’introduzione del bilinguismo di Trieste Il documento, che nella prima parte rappresentava una vera e propria linea della politica jugoslava da adottare nei confronti dell’Italia, offriva anche una precisa chiave di lettura di tutto il periodo, in particolare sui rapporti ufficiali e non con il vicino Paese e sui sistemi che il regime jugoslavo aveva introdotto capillarmente anche all’interno della vita e della diplomazia. Non ultimo, però, proprio le dimostrazioni di Trieste rappresentarono un nuovo capitolo di alternanti tensioni che coinvolsero entrambe le parti del confine e che si protrassero per tutto il periodo successivo acuendosi fortemente proprio all’indomani della firma degli Accordi di Osimo dieci anni più tardi e influendo pesantemente sui rapporti tra le popolazioni che vivevano dalle due parti del confine allora definito, “il più aperto d’Europa.”

RELAZIONE sull’andamento e sui risultati della VII sessione ordinaria del Comitato italo-jugoslavo per le questioni delle minoranze, svoltosi a Roma dal 20 febbraio al 10 marzo 1961

La sessione ha avuto inizio subito dopo le note dimostrazioni antijugoslave e antiminoritarie di Trieste svoltesi agli inizi di febbraio dell’a.c. Gli avvenimenti che sono in diretta connessione con i lavori del Comitato Misto, da una parte hanno contribuito a dare maggiore importanza alla sessione in corso, dall’altra a caratterizzare il tono ed i contenuti dei dibattiti - fatto questo che influì pesantemente sul comportamento della parte italiana. Inoltre, gli eventi di cui sopra, hanno rafforzato di molto le argomentazioni della nostra delegazione. Le dimostrazioni di Trieste si sono svolte in un periodo in cui, su evidenti istruzioni del governo italiano, si stavano svolgendo in diverse città italiane anche delle dimostrazioni antiaustriache riguardanti il contenzioso sullo status della minoranza austriaca in Alto Adige. Di fatto, le dimostrazioni erano state gestite da parte di partiti e organizzazioni di destra che, non appena iniziate anche a Trieste, si trasformarono in dimostrazioni antijugoslave e contro i diritti della nostra minoranza. Questi avvenimenti, coincisero con il comportamento del governo italiano che ha voluto farli 87


coincidere con i colloqui svolti a Roma dal Segretario di Stato jugoslavo Koča Popović nel dicembre dell’anno scorso, che avevano come fine la possibilità di attuare alcuni degli impegni assunti (misure che rendano possibile l’uso della lingua slovena nei tribunali, ecc.). Prima delle dimostrazioni, l’Ordine degli Avvocati di Trieste aveva inviato al governo italiano una petizione con la quale minacciava che tutti gli avvocati italiani di Trieste sarebbero scesi in sciopero se quell’impegno fosse stato realizzato. E proprio le parole contro l’introduzione del bilinguismo (“No al bilinguismo”) erano lo slogan dominante durante le dimostrazioni. Come noto, le dimostrazioni si protrassero per 5-6 giorni senza che le autorità locali italiane, fino agli ultimi due giorni, intervenissero in maniera più decisiva. In seguito alle energiche proteste del governo jugoslavo a Belgrado, Roma e Trieste, vennero vietati a Trieste per tutto un mese gli assembramenti pubblici. Una circostanza che venne sfruttata dal partito neofascista (MSI) che il 4 marzo in segno di solidarietà con i dimostranti organizzò a Venezia una nuova provocazione antijugoslava, alla quale presero parte esponenti di questo partito e delle organizzazioni irredentistiche di Trieste - i veri organizzatori delle dimostrazioni di cui sopra. Questo partito riuscì così a trasferire il problema della nostra minoranza a livello nazionale. Già l’indomani, il 5 marzo, il quotidiano romano filogovernativo di destra, “Il Tempo” pubblicò un commento intitolato “L’eroismo della frontiera”, nel quale si esprimeva piena solidarietà con i dimostranti sfruttando argomenti come, per esempio, una presunta penetrazione slava a Trieste, troppi diritti di cui godrebbe la nostra minoranza a differenza della loro minoranza in Jugoslavia, alla quale non sarebbero garantiti nemmeno “i più elementari diritti umani”, con evidente allusione al nostro sistema sociale. Nell’articolo, dopo un formale cenno alla circostanza che vedrebbe migliorati i rapporti tra i due Paesi, si parlò apertamente di un confine ingiusto, molto lontano dalle linee Wilson e Morgan, che era stato imposto all’Italia con il “diktat” del Trattato di Pace e che il Memorandum d’Intesa di Londra era il risultato di pressioni esercitate sull’Italia. Nell’articolo, inoltre, parlando dei diritti delle minoranza, si ribadiva che bisognava tener presente “che da oltre cent’anni esiste un’ambizione slava che aspira ad un confine sul Tagliamento”. Un articolo, dunque, nel quale. anche se non lo diceva apertamente, suggeriva la conclusione secondo la quale, rispettare gli impegni nei confronti della minoranza avrebbe rappresentato soltanto la prima tappa di una rivendicazione territoriale: i contenuti presenti in questo articolo erano stati chiaramente espressi in questa sessione dal comportamento della delegazione italiana. In secondo luogo, nessuna personalità importante dei partiti o dei giornali di governo non hanno condannato le dimostrazioni, né ha assunto un atteggiamento in difesa della nostra minoranza che, tra l’altro, è tutelata sia dalla Costituzione italiana, come pure da precisi obblighi internazionali. Quanto sopra, sta ad illustrare in un certo modo, la posizione dell’attuale governo italiano, il quale, pur volonteroso di arrivare a qualche risultato in

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seguito alle nostre continue richieste e interventi per l’attuazione di determinati impegni e promesse, è subito capitolato senza troppi tentennamenti, quando si è scontrata con l’atteggiamento negativo della destra. Si dimostra quindi del tutto esatta la valutazione riportata nella nota di protesta jugoslava in occasione degli eventi di Trieste, secondo cui il governo italiano “ha abbandonato un settore importante dei nostri rapporti”, ovvero la questione riguardante l’attuazione degli obblighi assunti nei confronti della nostra minoranza tollerando una sfrenata e continuata attività antijugoslava dei fascisti e degli irredentisti di Trieste, nel cui contesto vanno inserite anche le azioni contro i diritti della nostra minoranza. È necessario ribadire che anche le maggiori personalità democristiane di Trieste, come il deputato nel parlamento italiano, Bologna, e l’ex sindaco di Trieste, candidato a senatore democristiano, Bartoli, operano in continuazione sulla linea degli irredenti. Così, negli ultimi tempi, Bologna ha inviato alcune petizioni al governo, con le quali si esprime contro i diritti della nostra minoranza, e soprattutto contro l’introduzione del bilinguismo. Bartoli ha fatto ancora di più, avendo sostenuto in pieno dopo le dimostrazioni le posizioni dei dimostranti e chiedendo una revisione del Trattato di pace del 1947 e del Memorandum d’Intesa di Londra del 1954, esigendo cioè una correzione del confine con il ritorno all’Italia di tutta l’Istria, e così via. La sessione del Comitato è iniziata in un momento in cui il governo italiano, intimorito dalle dimostrazioni triestine, non era preparato e disponibile ad affrontare l’attuazione di qualsiasi impegno ancora non realizzato nei confronti della nostra minoranza, come pure di intraprendere delle misure più energiche contro i dimostranti e contro gli irredentisti in generale. In realtà, si tratta di una conseguenza della politica opportunistica del governo italiano verso questa problematica, e soprattutto della politica del commissario del governo di Trieste, Palamara, il quale ora sta indubbiamente attuando nei confronti della nostra minoranza una politica di snazionalizzazione, sostenendo obiettivamente l’irredentismo. Ciò significa, quindi, che a Trieste l’irredentismo ha conseguito una vittoria sugli intendimenti tiepidi e non decisi del governo italiano, nell’interesse dei buoni rapporti con la Jugoslavia, senza affrontare la realizzazione degli impegni assunti nei confronti della nostra minoranza, anche se soltanto per quella parte che vive sul territorio di Trieste. E, cosa ancora più importante, la destra è riuscita a trasferire questo problema sul terreno nazionale come strumento di pressione sul governo. D’altra parte è reale concludere che gli avvenimenti di Trieste hanno preoccupato il governo jugoslavo. Infatti, sono successi in un momento in cui le polemiche riguardanti il trattamento della minoranza austriaca in Italia hanno assunto un carattere internazionale. Giustamente il governo italiano teme che lo scoppio di uno scontro pubblico riguardante la minoranza jugoslava, danneggerebbe il suo prestigio internazionale e aumenterebbe contemporaneamente gli argomenti dell’Austria. Esso si rende conto che un peggioramento dei rapporti con la Jugoslavia per questi motivi,

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rappresenterebbe un danno per l’Italia soprattutto agli occhi dei suoi alleati occidentali. Certo è che il ministro degli esteri, Segni, dopo gli eventi triestini ha inviato al commissario del governo a Trieste un telegramma con questo contenuto. Pertanto, al momento in cui è iniziata la sessione del Comitato Misto, la parte italiana era meno preparata ad affrontare l’attuazione degli impegni assunti rispetto al periodo antecedente ai fatti di Trieste. D’altra parte, grazie agli eventi di Trieste, la nostra posizione si era fortemente consolidata, tanto da ammorbidire i nostri interventi per non dimostrare una nostra pressione ancora più decisa. Come parte integrante di questa tattica, la delegazione italiana criticò in maniera più aspra che mai la posizione della sua minoranza da noi. Così gonfiarono e drammatizzarono alcune nostre piccole manchevolezze, sottolineando in particolare il fatto, diventato nel frattempo uno degli argomenti dominanti dell’irredentismo a Trieste, secondo il quale la sua minoranza in Jugoslavia, a causa del carattere del nostro regime, non poteva godere dei “diritti umani”, e che pertanto non esisteva una reciprocità nel trattamento delle due minoranze, ovvero che la nostra minoranza sul territorio di Trieste, grazie al “carattere democratico” del regime in Italia, godeva di diritti superiori ai diritti della loro minoranza da noi. Nei colloqui, fuori dal contesto delle sessioni ordinarie, tra il nostro ambasciatore, il compagno Javorski, e il funzionario responsabile dell’Italmip, come pure tra i due capi delegazione, è stato più volte ripetuto che la parte italiana era sempre seriamente intenzionata a mantenere gli obblighi già presi, ma che pregavano di prendere in considerazione la posizione del governo italiano e delle sue reali possibilità. Gli interlocutori italiani hanno sottolineato la sensibilità della popolazione triestina, in particolare in riferimento alla presenza di un grande numero di profughi dall’Istria. Hanno sottolineato in particolare che le dimostrazioni sono avvenute nel periodo in cui il governo stava approntandosi ad attuare alcuni degli impegni assunti. Per questi motivi sono stati costretti a muoversi gradualmente e con cautela. Da parte nostra, noi abbiamo sottolineato il contrario, cioè, che la mancata attuazione degli impegni nei confronti della nostra minoranza, e un’indisturbata, continua attività distruttiva dei fascisti e dell’irredentismo a Trieste, con un comportamento passivo e obiettivamente incoraggiante verso l’atteggiamento assunto dalle autorità locali di Trieste, assieme alla mancanza di attività del governo, hanno permesso delle provocazioni che hanno avuto come effetto un serio danno ai nostri rapporti. pertanto, l’unica via - non ne esistono altre - è quella di dare il via quanto prima all’adempimento di tutti gli impegni assunti nei confronti della nostra minoranza, operando decisamente nel contempo con attività contro l’irredentismo.

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Alcune conclusioni e proposte: I. Dopo gli avvenimenti di Trieste, la questione delle due minoranze è diventata uno dei problemi più delicati dei rapporti tra i due Paesi. Causa l’atteggiamento passivo e la tiepida reazione alle recenti dimostrazioni, l’irredentismo è rinvigorito ed esiste una reale possibilità che simili incidenti possano ripetersi, il che si rifletterebbe sicuramente in maniera negativa sull’insieme dei rapporti tra i due Paesi. Quale conseguenza diretta di questi eventi era già successo che la parte italiana avesse disdetto alcune visite in Jugoslavia già concordate (il ministro Polchi in marzo e Segni in aprile - maggio). Tuttavia, per ora non sembra che questi eventi influiscano negativamente su altri aspetti dei rapporti bilaterali, ovvero su quelli che non hanno un legame diretto con le minoranze, cioè sugli aspetti che sono collegati con i problemi di confine. Al contrario, ci si può attendere che sugli altri problemi il governo italiano si dimostri più disponibile che in precedenza a compensare le nostre pressioni in merito alla minoranza (il settore dei rapporti economici, la collaborazione culturale, ecc.). II. Causa il conflitto esistente sullo stesso problema con l’Austria, il governo italiano si trova in una situazione difficile, che comprende anche l’insieme degli interessi dell’Occidente nel mantenere buoni rapporti con il nostro Paese, per cui gli Italiani cercheranno di mantenere viva l’attenzione sulle piccole concessioni. Noi, al contrario, dovremmo rafforzare le nostre pressioni sull’adempimento degli impegni nei confronti della minoranza e, contemporaneamente, esigere interventi più energici nell’impedire l’attività dei neofascisti e dell’irredentismo. Anche in futuro la nostra richiesta principale dovrà riguardare la ratifica del Comitato misto, cioè la messa in forma di legge dei reali diritti della nostra minoranza, e in particolare la questione dell’uso della lingua nei tribunali e davanti alle autorità amministrative. III. Poiché in questo periodo il governo ha accettato la posizione espressa da Trieste in merito ad un presunto peggioramento del trattamento della loro minoranza da noi, cioè che da noi si tratta di un’attuazione formale di questi diritti che, nelle condizioni del regime “totalitaristico” jugoslavo non possono essere assicurati in maniera democratica, secondo il parere della parte jugoslava del Comitato Misto sarebbe necessario intraprendere quanto segue: 1) Eliminare quanto prima alcune inadempienze da parte nostra e, soprattutto: a) eliminare dai testi scolastici alcuni brani, che gli Italiani asseriscono siano offensivi dei sentimenti nazionali degli alunni italiani;

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b) preparare quanto prima delle leggi repubblicane (per le Repubbliche Popolari di Croazia e di Slovenia) sull’istruzione minoritaria e che già si trovano in fase di progetto; c) adottare misure efficaci per la sostituzione quanto più rapida di otto insegnanti delle scuole medie italiane che non sono di nazionalità italiana; d) dedicare maggiore attenzione al mantenimento degli edifici delle scuole italiane, al materiale didattico, all’arredo e simili, e influire sulla qualità dell’insegnamento e dei testi scolastici; e) attuare nella maniera più conseguente presso le autorità amministrative e legislative il principio del bilinguismo in armonia con quanto stabilito dallo Statuto Speciale; f) continuare a impiegare gli appartenenti alla minoranza italiana nell’amministrazione pubblica e legislativa per un quanto più adeguato soddisfacimento della richiesta di una giusta rappresentanza; g) esaminare l’eventuale possibilità di introdurre nuove misure che vadano anche oltre agli impegni formali, ma che non siano in contrasto con i nostri principi inerenti il trattamento delle minoranze in generale; 2) Dare la massima pubblicità al trattamento delle minoranze da noi. Negli ultimi tempi di questo tema si scrive troppo poco, anche se si tratta di una questione di grande interesse per i nostri rapporti con tutti i Paesi vicini. Con questo fine si propone di preparare un film documentario nel quale sia possibile vedere le condizioni di vita delle minoranze da noi. Ogni tanto, pubblicare sulla stampa articoli seri e costruttivi sulle dannose attività dell’irredentismo, cosa che negli ultimi anni è stato fatto molto raramente. 3) Intraprendere delle misure affinché la dirigenza della minoranza italiana - in primo luogo l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume - diventi un fattore maggiormente attivo della vita politica, culturale e scolastica della minoranza. 4) Fare in modo che durante le visite di personalità o delegazioni italiane al nostro Paese, in base al carattere specifico di queste personalità e di queste delegazioni, esse vadano in visita ai territori dove vive la minoranza italiana. 5) Bisognerebbe rinunciare alla prevista fusione dei comuni sul territorio dell’ex Zona B, in quanto ciò sarebbe in formale contrasto con l’art. 7 dello Statuto Speciale. Il governo italiano ha posto questo problema all’ordine del giorno della sessione esigendo che le modifiche amministrative territoriali effettuate sulla base della Legge del 1955 vengano riportate allo

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stato precedente. L’accorpamento potrebbe servire da pretesto agli Italiani per realizzare delle modifiche territoriali in quattro comuni della zona di Trieste nei quali la nostra minoranza rappresenta la maggioranza e detiene l’amministrazione comunale nelle proprie mani, con il fine di modificare l’attuale maggioranza dei nostri connazionali in favore di quella italiana. IV. Nei confronti della nostra minoranza sarebbe necessario: 1) Tenendo conto della divisione partitica, sarebbe necessario sfruttare con maggiore efficacia ogni occasione per interventi comuni e costruttivi di tutte le fazioni in difesa dei propri diritti. Gli Italiani hanno particolare timore proprio di interventi unitari da parte della minoranza. 2) A nostro parere, l’elemento più negativo che interessa la nostra minoranza è rappresentato dalle iscrizioni nelle scuole con lingua d’insegnamento slovena che sono di anno in anno in preoccupante calo, il che vuol dire che i bambini della nostra minoranza si stanno iscrivendo in numero sempre maggiore nelle scuole italiane. Così, già in questo anno scolastico, il numero delle iscrizioni è di 240 bambini inferiore a quello dell’anno scorso. 3) Influire affinché la nostra minoranza si serva sempre di più della propria lingua nelle comunicazioni orali e scritte con le autorità, cosa che attualmente succede molto raramente. 4) Influire in modo che un numero sempre maggiore di appartenenti alla minoranza richieda l’abolizione della modifica effettuata ai tempi del fascismo del proprio cognome. Attualmente circa il 95% della nostra minoranza porta ancora cognomi italianizzati. 5) Influire affinché il nostro giornale della minoranza “Primorski Dnevnik”, che d’altra parte difende in maniera molto efficace e intelligente gli interessi della minoranza, elimini dal proprio vocabolario alcune espressioni che non sono di alcuna utilità, al fine di non offrire alla parte italiana il pretesto per gonfiare abilmente il problema. 6) In maniera più efficace di quanto fatto finora, sempre in base ad un piano preordinato, presentare agli italiani attraverso i canali diplomatici la dannosa attività svolta a Trieste dall’irredentismo e dai fascisti. Anche in questa occasione si è dimostrato che il Comitato Misto rappresenta per noi un’istituzione molto utile per svolgere pressioni sugli Italiani

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su questi problemi, come pure per la lotta all’irredentismo. È necessario proseguire con la prassi secondo cui durante i dibattiti nell’ambito del Comitato Misto, vadano evitati toni negativi, polemici o offensivi, ma usarli in maniera costruttiva, aperta e documentata per riportare elementi reali. La delegazione jugoslava al Comitato Misto dovrebbe in maniera ancora più approfondita, con l’aiuto del Consolato generale di Trieste, dell’Ambasciata di Roma, come di tutti gli istituti e organizzazioni scientifiche del Paese, preparare e raccogliere la documentazione necessaria per i propri interventi. Belgrado, 18 marzo 1961. Il Presidente della Delegazione Jugoslava Consigliere (Berislav Žulj), m.p. Inviato: Commissione per le minoranze del CC PCJ Consiglio Esecutivo RP di Croazia Consiglio Esecutivo RP di Slovenia Segretariato di Stato per gli affari interni RPFJ Gabinetto del compagno Brilej Reparto di coordinamento Consiglio Legale Sezione IV Ambasciata RPFJ, Roma Cons. Generale RPFJ, Trieste Archivio segreteria

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Capitolo VIII La difficile ripresa del dialogo Verbale dell’ VIII sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954), tenutasi a Belgrado dal 4 dicembre al 16 dicembre 1961. (1) Ordine del giorno: “Punto I: Disamina dell’attuazione delle conclusioni e delle misure approvate alla VII sessione ordinaria del Comitato Misto, in favore delle minoranze etniche; Punto II: A) Posizione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava (art. 4 dello Statuto Speciale); B) Posizione delle scuole con lingua d’insegnamento slovena e del personale insegnante sul territorio sotto amministrazione italiana (art. 4, dello Statuto Speciale); Punto III: Cambiamenti nella forma slava di nomi e cognomi italiani effettuati d’ufficio da parte delle autorità jugoslave; Punto IV: Adozione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana per l’attuazione dell’art. 5 dello Statuto Speciale, e in particolare adozione di misure atte ad assicurare una possibilità concreta di uso della lingua del gruppo etnico jugoslavo nella comunicazione orale e scritta con le autorità giuridiche e amministrative e collocamento di insegne bilingui sulle sedi delle istituzioni pubbliche, nonché di tabelle bilingui nelle località e nelle vie dei comuni di Duino-Aurisina, Monrupino, Sgonico, San Dorligo della Valle e in alcuni settori del comune di Trieste. Punto V: Modifica delle unità amministrative effettuate sul territorio sotto amministrazione jugoslava (art. 7 dello Statuto Speciale). Punto V: Adozione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana per l’attuazione dell’art. 2 dello Statuto Speciale, soprattutto la possibilità di una giusta rappresentanza del gruppo etnico jugoslavo negli organismi pubblici e amministrativi (art. 1/c dello Statuto Speciale). Punto VII: Ostacoli che la parte jugoslava interpone nel mantenimento e nello sviluppo delle caratteristiche linguistiche del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Punto VIII: A) Attuazione dell’art. 3 dello Statuto Speciale sul territorio sotto amministrazione jugoslava;

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B) Attuazione dell’art. 3 dello Statuto Speciale sul territorio sotto amministrazione italiana. Punto IX: Disamina dei ricorsi e delle richieste inoltrate da organizzazioni e singoli.

Dopo gli scambi di opinioni sull’approvazione da parte dei rispettivi governi del verbale della sessione precedente del Comitato Misto, fu la parte italiana ad informare dettagliatamente il Comitato sulle importanti misure che nel periodo tra la VII e l’VIII sessione erano state adottate in favore della minoranza jugoslava. Nel prosieguo fu la parte jugoslava ad informare delle misure adottate in favore del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Pur avendo tralasciato di riportare il lungo elenco fornito dalla parte italiana, riportiamo di seguito le informazioni presentate al Comitato Misto riguardanti la Comunità Italiana nei diversi settori, anche per disporre di un’adeguata informazione sul periodo dei primi anni ‘60. A) Settore scolastico: 1. dai bilanci di previsione delle RP di Slovenia e Croazia per il 1961 sono stati assicurati fondi per investimenti in favore delle scuole con lingua d’insegnamento italiana per oltre 100 milioni di dinari; 2. per l’acquisto di materiale didattico sono stati messi a disposizione di queste scuole circa 10 milioni di dinari; 3. per l’acquisto di libri per le biblioteche scolastiche da acquistare in Italia il Comitato Popolare distrettuale di Capodistria ha messo a disposizione un milione di lire italiane; 4. per sovvenzionare la stampa di libri di testo italiani nel corso del 1960 sono stati spesi 2.354.960. di dinari; 5. si stanno preparando i progetti per la costruzione del centro scolastico italiano a Capodistria per un valore complessivo di 300 milioni di dinari e, pure, per la costruzione della scuola a Santa Lucia; 6. Sono stati perfezionati i programmi per i seminari specifici di cultura italiana, ai quali prenderanno parte gli insegnanti di tutte le scuole e gli studenti delle scuole medie. Il primo seminario dovrebbe svolgersi nel gennaio del 1962. B) Libero uso della lingua minoritaria: 1. Senza tener conto se sono state assicurate o meno le condizioni per una minima percentuale di presenza degli appartenenti alla minoranza, in tutte le località dove vivono gli Italiani nelle insegne pubbliche è stato at-

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tuato il principio del bilinguismo. Questo vale soprattutto per: a) toponimi di vie e piazze che, oltre ai nomi di personalità della storia jugoslava, riportano anche nomi della cultura italiana; b) insegne stradali su strade pubbliche; c) indicazioni di enti e uffici come è prassi nelle comunicazioni internazionali (timbri postali); d) annunci pubblici, avvisi, inviti e simili; e) formulari, tra cui tutto il materiale usato in occasione del censimento della popolazione. Si ricorda, che il materiale bilingue del censimento è stato usato per tutta la popolazione senza distinzione dell’appartenenza nazionale. Si ricorda, inoltre, che in osservanza alle raccomandazioni dell’UNESCO, ogni persona censita rispondeva alla domanda sulla cittadinanza, sulla nazionalità e sulla lingua materna. 2. È stato assicurato l’uso indisturbato della lingua della minoranza nelle forme verbali e scritte nelle comunicazioni con le autorità amministrative e legislative. È stato assicurato che assieme ad ogni domanda in lingua italiana vi sia sempre anche la traduzione italiana della risposta. 3. Con la sistemazione dei posti di lavoro è stata già stabilita anche la maggior parte dei ruoli, anche dei livelli più alti, per i quali è prescritto uno speciale contributo finanziario quale riconoscimento per la conoscenza dell’italiano. Simili posti di lavoro sul territorio del Distretto di Capodistria si trovano: a) 27 presso il Comitato Popolare Distrettuale di Capodistria b) 56 presso il Comitato Popolare Comunale di Capodistria c) 31 presso il Comitato Popolare Comunale di Isola d) 36 presso il Comitato Popolare Comunale di Pirano e) 5 presso il Tribunale Distrettuale di Capodistria f) 5 presso il Tribunale Distrettuale di Pirano Una situazione simile è presente anche presso i Comitati Popolari Comunali di Buie, Umago, Cittanova, e presso il Tribunale Distrettuale di Buie. I membri jugoslavi del Comitato Misto rilevarono che nei confronti degli appartenenti al gruppo etnico italiano non esistevano differenze di trattamento indipendentemente dal territorio dove vivevano. In realtà, oltre agli obblighi assunti in base allo Statuto Speciale, lo stesso trattamento veniva attuato anche nei territori per i quali il Memorandum d’Intesa non era in vigore. 97


Per quanto riguarda lo sviluppo economico, gli jugoslavi affermarono che, grazie ai grandi investimenti nell’industria, nell’agricoltura e negli altri settori dell’economia, era sensibilmente incrementato il reddito nazionale. Tra l’altro, era stata portata praticamente a termine l’elettrificazione di tutto il territorio. A titolo illustrativo era stato riportato l’esempio della Cooperativa agricola di Buie che per lo sviluppo della propria produzione aveva ricevuto dalla Comunità mezzi pubblici pari ad un importo di 890 milioni di dinari. In questa cooperativa, dei 15 membri del Consiglio Operaio 11 erano appartenenti al gruppo etnico italiano. Nel suo consiglio d’amministrazione 6 su 7 membri erano Italiani. Appartenente alla minoranza nazionale era anche il direttore. Affrontando il tema inserito al secondo punto dell’ordine del giorno, i membri italiani dei Comitato Misto ribadirono che, mentre sul territorio sotto amministrazione italiana con la Legge No. 1012 del 19 luglio 1961 alle scuole con lingua d’insegnamento slovena era stato assicurato un gruppo di decreti con i quali veniva consolidato il loro “ordinamento stabile”, in armonia con la lettera e lo spirito dello Statuto Speciale, anche superandolo - e a tal fine avevano provveduto ad illustrare dettagliatamente i singoli articoli della Legge - sul territorio sotto amministrazione jugoslava, questo obbligo fondamentale che scaturiva non soltanto dall’art. 4/c dello Statuto Speciale, ma anche dalla stessa legislazione jugoslava, non era stato realizzato (art. 77 della Legge generale sull’istruzione e art. 15 delle norme introduttive a questa stessa Legge, ambedue del 28 giugno 1958.). Collegandosi a quanto sopra, gli Italiani chiesero di accelerare l’emanazione delle leggi necessarie da parte delle Repubbliche Popolari di Slovenia e Croazia. In secondo luogo, richiamandosi ai ricorsi esposti nel corso della VII sessione, ripeterono le lamentele sul fatto che nel corso dell’anno scolastico 1959/60 ancor sempre non era entrata in funzione la prima classe del ginnasio di Pirano dove, secondo le ultime informazioni, almeno sei studenti avrebbero desiderato iscriversi. Riproposero pure il problema degli asili d’infanzia italiani di Cittanova e di Umago, dove, oltre al pagamento del vitto, era stata introdotta anche una retta per la frequentazione. Chiesero, inoltre, l’ampliamento della sezione femminile della scuola per apprendisti di Isola, trasformando in questo modo la scuola in un vero istituto professionale, che sarebbe andato a sostituire la sezione femminile, come previsto dallo Statuto Speciale, e il trasferimento della sezione femminile per apprendisti nella sua precedente sede di Capodistria. Chiesero ancora un aumento di aule e di insegnanti, ancor sempre carenti, onde evitare un eccessivo accorpamento delle classi, come era successo a Buie, dove 50 alunni delle quattro classi superiori della scuola ottennale erano raggrup-

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pate in una sola aula con un solo insegnante. Chiesero inoltre, un aumento dei materiali didattici e dei libri di testo, alcuni dei quali erano stati ritirati dall’uso senza esser stati sostituiti da altri, mentre alcuni libri di testo ritenuti non consoni ai sentimenti nazionali degli alunni erano rimasti ancor sempre in uso. La parte italiana chiese ancora che venissero sostituiti gli insegnanti di madre lingua slovena o croata con altri di madre lingua italiana, come previsto dallo Statuto Speciale, e di assicurare ad un maggior numero di insegnanti uno status permanente. Infine, gli Italiani ritennero che sarebbe stata opportuna l’apertura di una scuola media a Buie e di scuole elementari a Daila, Fiorini, Crassizza e Villanova, dove - dissero - viveva un numero consistente di alunni italiani Interessanti le risposte della delegazione jugoslava. Essa sostenne, infatti, che le scuole del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, operavano già grazie alle norme dello Statuto Speciale, che con la ratifica del Memorandum d’Intesa erano diventate parte della normativa interna jugoslava e delle clausole della Legge generale sull’istruzione che si richiamava agli impegni internazionali assunti. I contratti di lavoro del personale insegnante erano stati stipulati sulla base delle norme generali sugli impiegati pubblici, sui rapporti di lavoro, sull’assicurazione sociale, applicate anche per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. In fase di preparazione si trovavano anche le leggi repubblicane sul sistema scolastico delle minoranze. Tutte le scuole funzionavano normalmente e le iscrizioni nel corrente anno scolastico riscontravano un ulteriore aumento di 90 alunni rispetto all’anno precedente. Le affermazioni della delegazione italiana, secondo cui l’anno prima non erano state possibili le iscrizioni nella prima classe del ginnasio di Pirano, non erano esatte. La sezione femminile per apprendisti di Isola era stata istituita in base al sistema scolastico jugoslavo e corrispondeva alla precedente scuola professionale artigianale femminile. Un suo spostamento a Capodistria non sarebbe stato utile, in quanto a Isola ad apprendere il mestiere era interessato un numero superiore di ragazze. Gli asili dell’infanzia in Jugoslavia erano enti che si finanziavano autonomamente ed in tutto il Paese i genitori pagavano un contributo a parziale copertura delle spese di gestione e del vitto, quindi nei casi riportati dai membri italiani non era possibile parlare di una eventuale discriminazione. Per quanto riguardava un miglioramento materiale delle scuole, i dati erano stati riportati nel primo punto all’o.d.g. Durante l’anno precedente erano stati stampati quattro nuovi libri di testo, mentre altri quattro erano in preparazione e alcuni testi che non corrispondevano erano stati ritirati dall’uso. Erano state istituite delle nuove sezioni e alla scuola elementare

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di Buie esistevano 5 aule per 8 classi. La rete delle scuole italiane era soddisfacente, per cui non sarebbe stato necessario aprire delle nuove scuole nelle aree rurali, senza tener conto del fatto che sarebbero state in contrasto con il sistema scolastico jugoslavo, il quale tendeva a far frequentare in un numero quanto maggiore scuole che erano bene organizzate e che offrivano migliori condizioni di insegnamento, nelle quali gli allievi avevano a disposizione il trasporto gratuito con autocorriere. I sette insegnanti di scuola media che non erano della stessa madre lingua degli alunni sarebbero stati sostituiti entro breve tempo poiché le autorità avevano provveduto a finanziare gli studi di un numero sufficiente di appartenenti al gruppo etnico italiano nelle università jugoslave, ma anche in Italia. La parte jugoslava fece cenno anche dell’istituzione a Capodistria di corsi di cultura italiana. Al terzo punto all’ordine del giorno i rappresentanti italiani riportarono in campo la questione riguardante il generale cambiamento “d’ufficio” nella forma slava dei cognomi degli appartenenti al gruppo etnico italiano da parte delle autorità jugoslave sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Cambiamenti, come era stato detto, che essendo stati eseguiti da parte delle autorità contemporaneamente all’assegnazione della nazionalità slovena o croata al posto di quella italiana, avevano avuto e continuavano ad avere reali conseguenze negative per gli appartenenti al gruppo etnico italiano, in particolare provocando difficoltà nell’iscrizione e nella frequentazione delle scuole minoritarie, che rappresentavano un fattore essenziale per la conservazione della lingua e della cultura, e rendevano impossibile alla minoranza la realizzazione dei diritti che le erano stati assicurati con lo Statuto Speciale. Queste conseguenze, che continuano ad essere ancor sempre presenti senza distinzione, erano in contrasto con la lettera e lo spirito del Memorandum d’Intesa e dello Statuto Speciale. Pertanto, ripetendo i pareri esposti su questo problema alle sessioni precedenti e richiamandosi ad ulteriori casi di cambiamento del cognome ed alle pesanti conseguenze per gli interessati, i membri italiani nelle proprie conclusioni chiedevano ancora una volta per gli appartenenti al gruppo etnico italiano: 1) che venissero innanzitutto adottate delle misure formali per il ripristino nella forma italiana di tutti i cognomi cambiati d’ufficio da parte delle autorità jugoslave; 2) in secondo luogo, a) che venissero cambiati d’ufficio almeno quei cognomi che, a suo tempo, le autorità italiane avevano modificato nella forma italiana su richiesta degli interessati, b) che venisse prevista una procedura rapida e semplice per quelle per-

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sone alle quali il cognome era stato cambiato a suo tempo d’ufficio dalle autorità italiane nella forma italiana e per le quali non fosse possibile adottare le misure esposte sotto il punto a), ma che desideravano il ripristino del cognome nella forma italiana. Anche i membri jugoslavi del Comitato sull’argomento ripeterono i pareri già espressi in precedenza, rilevando che non era possibile riconoscere una differenza tra i cambiamenti del cognomi effettuati dal regime fascista “volontariamente” o “ex-off”, cioè “d’ufficio”, quindi si doveva constatare che il principio del ripristino dei cognomi nella forma precedente adottato dalle autorità jugoslave per eliminare le ingiustizie che erano state apportate alla popolazione, non poteva essere considerato come qualcosa di ingiusto, ma come l’unica misura possibile e giusta, soprattutto se si prendeva in considerazione il fatto che con le rispettive norme jugoslave non era stata eseguita alcuna slavizzazione dei cognomi, ma soltanto il loro ritorno nella forma precedente. I componenti jugoslavi ribadirono pure che la forma dei cognomi sul territorio sotto amministrazione jugoslava non comportava l’assegnazione di una determinata nazionalità, né condizionava l’iscrizione nella scuola minoritaria. Proseguendo, gli jugoslavi manifestarono sorpresa per il fatto che da parte italiana era stata nuovamente avanzata richiesta che le autorità jugoslave ripristinassero d’ufficio i nomi e i cognomi nella forma imposta dal regime fascista. Sulla base di quanto espresso non potevano essere d’accordo con le proposte dei membri italiani del Comitato, e espressero il parere secondo il quale sarebbe auspicabile se sul settore sotto amministrazione italiana venisse esaminato il problema dei cambiamenti dei cognomi e si procedesse al ripristino d’ufficio dei cognomi nella loro forma precedente. Secondo il parere dei membri jugoslavi la prassi di ripristino dei cognomi nella forma precedente come si stava attuando sul territorio sotto amministrazione italiana non poteva essere considerata nè rapida nè gratuita, in quanto condizionata da numerose difficoltà. Al quarto punto dell’ordine del giorno, il Comitato affrontò il problema riproposto dalla delegazione jugoslava e riguardante l’adozione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana per l’attuazione dell’art. 5 dello Statuto Speciale, e in particolare per assicurare una concreta possibilità di uso della lingua del gruppo etnico jugoslavo nella comunicazione orale e scritta con le autorità giuridiche e amministrative, nonché il collocamento di insegne bilingui sulle istituzioni pubbliche e di tabelle bilingui nelle località e nelle vie dei comuni di Duino-Aurisina, Monrupino, Sgonico, San Dorligo della Valle e in alcuni settori del comune di Trieste. Dopo che la parte italiana ebbe illustrato i propri ragionamenti che riguardavano di-

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rettamente anche l’art. 6 dello Statuto Speciale e dopo il reciproco scambio di promesse e impegni dall’una e dall’altra parte, il punto si esaurì senza che venisse presa alcuna conclusione. Al V punto, la delegazione italiana riportò nuovamente in dibattito la questione delle modifiche effettuate in base ala Legge del 22.6.1955, e precisamente: a) alle circoscrizioni comunali sul territorio sotto amministrazione jugoslava, con l’abolizione dei comuni di Verteneglio, Momiano e Grisignana e con l’inclusione nella circoscrizione del comune di Capodistria aree con una popolazione prevalentemente slava; b) alle unità distrettuali con l’accorpamento di aree avente lo status di amministrazione con circoscrizioni territoriali che si trovavano sotto sovranità jugoslava. Le modifiche avevano comportato dei cambiamenti nella struttura etnica delle unità amministrative interessate e ridotto proporzionalmente la consistenza del gruppo etnico italiano rispetto a quello jugoslavo, violando con ciò l’art. 7 dello Statuto Speciale. Un tanto, senza tener conto delle intenzioni che avevano ispirato la riforma e senza valutare se esistesse o meno un elemento intenzionale specifico di arrecare danno alla minoranza, in quanto il termine presente nel citato art. 7 dovrebbe essere interpretato nel senso che non avrebbero dovuto essere permesse modifiche alle unità fondamentali che provocassero conseguenze dannose per il gruppo etnico interessato. Confermando tutti gli argomenti e le riflessioni contenute nel verbale della VII sessione, i membri italiani ribadirono la loro protesta - denunciando l’indebolimento della struttura proporzionale del gruppo etnico italiano rispetto a quello jugoslavo richiamandosi direttamente o indirettamente al riconoscimento dei diritti previsti dallo Statuto Speciale – poiché le modifiche a livello amministrativo rappresentavano una violazione sia del già citato art. 7 dello Statuto Speciale, come pure dei principi contenuti nel Memorandum d’Intesa, i quali avevano come fine la conservazione dell’integrità delle relative minoranze e il mantenimento dello loro caratteristiche etniche e nazionali. Per questi motivi, gli esponenti italiani conclusero chiedendo il ritiro delle modifiche di cui sopra. Immediata la risposta della delegazione jugoslava, la quale affermò che le modifiche amministrative effettuate sul territorio sotto amministrazione jugoslava in base alla Legge sull’ordinamento dei comuni e dei distretti del 1955 non erano in contrasto con l’art. 7 dello Statuto Speciale. Le modifiche - venne detto - erano parte integrante della riforma amministrativaterritoriale realizzata su tutto il territorio della RPFJ.

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In base a questa legge i comuni con i loro comitati cittadini erano diventati unità amministrative di base, mentre, prima di queste modifiche, lo erano i distretti. Il comune era diventato autonomo dal punto di vista politico-amministrativo, economico e finanziario, mentre i distretti rappresentavano un’unità, il cui ruolo fondamentale era quello del coordinamento degli interessi e della gestione di più comuni. Di conseguenza, l’ampliamento del distretto di Capodistria e l’abolizione del distretto di Buie non rappresentavano fattori di grande rilevanza e non rientravano nell’ambito delle misure previste dall’art. 7 dello Statuto Speciale. La questione della sovranità, sia dei territori sotto amministrazione jugoslava che di quelli sotto amministrazione italiana, non rientrava nelle competenze del Comitato Misto. I componenti jugoslavi del Comitato Misto, inoltre, esposero nuovamente tutti gli argomenti già contenuti nel verbale della VII sessione con i quali era stato confermato che con le modifiche apportate non era stata minacciata la composizione del gruppo etnico italiano, che esse non avevano influito sulla sua rappresentatività, né avevano ridotto qualsiasi altro diritto garantito dallo Statuto Speciale. Tutte queste modifiche, secondo la delegazione jugoslava, avevano comportato un rapido aumento del benessere della popolazione sul territorio, il che era certamente in armonia con l’art. 6 e con tutti i principi presenti nello Statuto Speciale. I rappresentanti jugoslavi, pertanto, alla fine dichiararono che ritenevano non necessario revocare le misure adottate. Il V. punto all’o.d.g. fu dedicato completamente alla richiesta presentata da parte jugoslava e riguardante l’adozione di misure sul territorio sotto amministrazione italiana per l’attuazione dell’art. 2 dello Statuto Speciale, soprattutto in merito alla rappresentanza del gruppo etnico jugoslavo negli organismi pubblici e amministrativi (art. 1/c dello Statuto Speciale). Dibattito, tutto sommato non molto esteso, in cui la parte jugoslava riproponeva gli argomenti della sessione precedente, mentre da parte italiana si cercò di attenuare i toni sottolineando le misure che, comunque, nel frattempo erano state adottate. Gli esponenti italiani fecero comunque riferimento anche alla situazione presente sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Dopo aver espresso soddisfazione per le informazioni riportate dai colleghi jugoslavi, sottolinearono l’incoerenza nell’attuazione degli impegni assunti, in particolare nel settore della scuola, per cui auspicarono che anche in questo campo venissero adottate tutte le misure necessarie affinché queste potessero coinvolgere direttamente anche gli appartenenti al gruppo etnico italiano.

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Certamente più coinvolgente la trattazione del punto successivo che era stato proposto dalla parte italiana e riguardava determinati ostacoli che la parte jugoslava avrebbe incominciato a creare al mantenimento e allo sviluppo delle caratteristiche linguistiche del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. I membri italiani del Comitato Misto introdussero il tema illustrando una situazione di disagio in cui - secondo il loro parere - si trovava il gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava in seguito alle difficoltà che riscontravano per un libero mantenimento e sviluppo della propria cultura, come pure per un libero mantenimento dei contatti con le organizzazioni culturali e con le fonti d’informazione italiane. Un tanto, partendo dall’art. 1 dello Statuto Speciale, che, come sottolinearono, si richiamava esplicitamente ai principi della Dichiarazione universale dei diritti umani. Principi che venivano rispettati interamente sul territorio sotto amministrazione italiana, per cui il gruppo etnico minoritario aveva potuto liberamente creare proprie organizzazioni di tutti i tipi e pubblicare stampa quotidiana e periodica dei più diversi orientamenti e poteva fruire della stampa della vicina Jugoslavia. In contrasto con questi principi, invece, gli appartenenti al gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, potevano fruire di un solo quotidiano e di una rivista in lingua italiana che venivano stampati sul territorio jugoslavo, mentre erano molto ridotti nel numero, negli esemplari e negli orientamenti i giornali e le riviste che venivano dall’Italia, il che rappresentava un indubbio ostacolo al mantenimento dei rapporti con l’informazione originale italiana. Gli italiani proseguirono affermando che, indipendentemente dal fatto se sul territorio sotto amministrazione jugoslava venissero attuati o meno gli art. 68 e 69 della legge jugoslava sulla stampa del 1960, sembrava che questa legge permettesse l’importazione di stampa straniera su questo territorio, in quanto soltanto l’importazione ai fini della “diffusione” prevedeva una speciale autorizzazione (art. 68). Di conseguenza, gli appartenenti al gruppo etnico italiano avrebbero dovuto avere il diritto di ricevere individualmente - per uso personale e non a fini di diffusione - quei giornali e quella stampa che non potevano acquistare nelle rivendite autorizzate, in quanto le aziende iscritte in uno speciale registro, non li importavano. Tuttavia, il diritto di ricevere direttamente o di importare personalmente la stampa dalla Repubblica Italiana in effetti non era riconosciuto e ciò rappresentava una violazione della lettera e dello spirito del Memorandum d’Intesa e dello Statuto Speciale. Nel documentare quanto sopra esposto, come esempio estremo, riportarono il caso dell’invio di 398 volumi destinati ad un corso radiofonico di lingua italiana che la RAI aveva inviato agli ascoltatori che ne avevano fatto richiesta direttamente. Soltanto cinque di essi avevano ricevuto il volume, mentre gli altri che ne avevano fatto richiesta, sia Italiani che Sloveni, si erano visti costretti a protestare presso la RAI. Ciò dimostrava

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che gli invii a mezzo posta regolarmente effettuati dalle Poste Italiane, non erano stati consegnati ai rispettivi indirizzi. I consiglieri italiani, nel concludere il loro esposto, invitarono i membri jugoslavi a intervenire presso le autorità competenti sottolineando l’utilità di intraprendere delle misure adeguate affinché il gruppo etnico italiano potesse usufruire della propria legittima aspirazione a migliorare la conoscenza della propria lingua e cultura, e che anche i contatti diretti con le organizzazioni e le istituzioni dell’area italiana non venissero considerati illegali o praticamente irrealizzabili. Un tanto doveva valere anche per i singoli appartenenti al gruppo etnico italiano, ai quali doveva venir permesso di ricevere per uso personale la stampa dalla Repubblica italiana. I consiglieri jugoslavi non mancarono di ribadire che i principi della Dichiarazione Generale sui diritti dell’uomo erano pienamente attuati sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Inoltre, agli appartenenti al gruppo etnico italiano era resa possibile la partecipazione al sistema diversificato dell’ordinamento sociale in molti settori delle attività sociali e dell’autogestione operaia in campo economico. Gli appartenenti al gruppo etnico italiano ricevevano le informazioni quotidiane attraverso i quotidiani “La Voce del Popolo” che, nel corso della mattinata si distribuiva su tutto il territorio e che usciva grazie ad un consistente aiuto finanziario delle autorità, ma anche attraverso sei ore e mezzo di trasmissioni italiane della stazione radiofonica di Capodistria. La minoranza poteva servirsi anche di informazioni di origine italiana trasmesse dalla radio e dalla televisione. Con queste finalità, con i mezzi assicurati dalle autorità, erano stati acquistati degli apparecchi televisivi per tutti i Circoli Italiani, nonché per la stampa che veniva importata e distribuita dalle aziende autorizzate. Veniva, inoltre, importato un consistente numero di pubblicazioni periodiche italiane e nelle edicole erano in vendita noti giornali e riviste come “La Stampa”, l’Unità”, “Avanti”, “Il Giorno”, “Il Corriere della sera”, “Vie Nuove”, ecc. Nel contesto, la parte jugoslava accennò anche all’ampia possibilità di contatti diretti degli appartenenti al gruppo etnico italiano con la madre patria nell’ambito del piccolo traffico di frontiera. La Legge sulla stampa del 1960 venne applicata anche per quanto riguardava l’importazione della stampa estera. Il caso del manuale “L’italiano per radio” non poteva essere considerato oggetto di dibattito del Comitato Misto, in quanto si trattava di una pubblicazione che evidentemente non era dedicata al gruppo etnico italiano, ma agli Sloveni. In merito era stata ricordata tutta una serie di misure che dimostravano che non esistevano ostacoli per lo sviluppo della lingua italiana. Così, la lingua italiana era materia d’insegnamento obbligatoria per tutte le scuole slovene e croate, mentre venivano organizzati in gran numero seminari di lingua italiana, tra i quali anche uno attraverso la radio, ecc.

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Per quanto riguardava l’indisturbata vita culturale della minoranza ed il suo legame con la matrice nazionale, la parte jugoslava ribadì che le autorità locali sostenevano i circoli culturali italiani con dotazioni e a tutti venivano assicurati locali adeguati e confortevoli. Inoltre, a loro disposizione si trovavano tutte le sale e gli auditori, e venivano loro rese possibili anche visite di gruppi artistici e di operatori culturali dall’Italia. La vita culturale della minoranza si svolgeva nello spirito di una cordiale vita in comune con la popolazione jugoslava. Agli appartenenti al gruppo etnico italiano erano rese possibili anche altre forme di collegamento con la matrice nazionale. Così, durante l’anno in corso, a spese delle autorità, avevano visitato l’Italia e la mostra in occasione del 100.esimo anniversario dell’Unità d’Italia i maturandi delle scuole medie ed un cospicuo numero di operatori culturali appartenenti al gruppo etnico italiano. Anche al punto successivo dell’ordine del giorno, la parte italiana del Comitato Misto spiegò che sul territorio sotto amministrazione jugoslava esistevano situazioni che riguardavano l’attuazione delle misure previste dall’art. 3 dello Statuto Speciale. Pur conoscendo le clausole del Codice penale jugoslavo che prevedevano la condanna di provocazioni che si richiamavano all’odio fra i popoli e le nazionalità, agli Italiani risultava che potevano succedere casi non previsti dalla legge accennata o da altre leggi, ma che avrebbero potuto comportare un danno diretto o indiretto per il gruppo etnico minoritario. Per esempio, la brutale e ininterrotta sobillazione esercitata per opera di certa stampa jugoslava in merito ad una presunta vessazione cui sarebbe sottoposta la minoranza slovena sul territorio di Trieste, dando vita ad un sentimento di ingiustificato martirio e svolgendo così un’attività in contrasto con l’art. 3 dello Statuto Speciale. In merito, gli Italiani citarono articoli del “Delo” del “Borba” e dello “Slovenski Jadran”. Ancora più pesanti, tenendo conto del loro carattere ufficiale, erano certe affermazioni - che vennero riportate - dell’emittente radiofonica di Capodistria. I rappresentanti italiani citarono pure parecchi brani ripresi da testi scolastici in uso presso le scuole con lingua d’insegnamento slovena e croata sul territorio sotto amministrazione jugoslava, nei quali gli Italiani venivano presentati in una luce malvagia, travisando verità storiche a danno della Repubblica d’Italia. Ne conseguiva, un danno morale del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, in quanto la maggioranza slovena e croata erano indotte a ritenere il gruppo minoritario come un gruppo contro il quale fosse necessario lottare a causa delle colpe citate e che venivano ingiustamente ascritte al resto della popolazione italiana che viveva entro i confini politici della Repubblica italiana. Una situazione che induceva ancora sempre gli appartenenti al gruppo etnico italiano ad abbandonare il territorio sotto amministrazione jugoslava. Seguendo la stampa e la

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radio sul territorio jugoslavo oppure sotto amministrazione jugoslava, aggiunsero gli Italiani, ma anche i giornali che venivano pubblicati in lingua slovena a Trieste, le accuse cui si era accennato prima, venivano ripetute con ancora maggiore acredine suscitando un’acutizzazione della polemica e dell’insoddisfazione che ostacolavano una pacificazione degli animi. La parte italiana concluse auspicando che i membri jugoslavi si adoperassero presso le autorità competenti affinché trovassero il modo di evitare il ripetersi o la continuazione di simili casi. I membri jugoslavi si dichiararono sorpresi dalle affermazioni su una presunta disposizione d’animo negativa sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Su questo territorio, infatti, non era mai successa una parificazione dell’Italia e del suo popolo ad esigui circoli anacronistici presenti sul territorio sotto amministrazione italiana che ancor sempre si manifestavano esprimendo odio razziale e organizzando azioni contro il gruppo etnico jugoslavo. I membri jugoslavi ripeterono che sul territorio sotto amministrazione jugoslava non esistevano né discriminazione nazionale né manifestazioni di odio nazionale, come del resto avrebbe potuto constatare sul posto ogni membro del Comitato. I citati dalla stampa jugoslava riportati dai membri italiani, secondo il parere degli jugoslavi, rappresentavano l’espressione di valutazioni riguardanti determinate mancanze e in nessun caso provocavano odio razziale. Di conseguenza, né dal punto di vista formale né contenutistico questi non erano in contrasto con l’art. 3 dello Statuto Speciale. Una constatazione, questa che non sarebbe stato possibile adottare, invece, in merito a quanto scriveva una parte della stampa italiana. Come esempio, i membri jugoslavi citarono il modo con cui il “Piccolo Sera” aveva espresso soddisfazione quando il tribunale triestino aveva deciso di respingere l’adozione dell’art. 5 dello Statuto Speciale, oppure la pubblicazione sul “Piccolo Sera” del telegramma inviato alla delegazione italiana del Comitato Misto, esigendo che alla sessione in corso venisse respinta energicamente qualsiasi concessione nei confronti della minoranza slovena di Trieste. Dopo aver ricordato alla delegazione italiana che sul territorio sotto amministrazione italiana ancor sempre non era stata varata una norma di legge che corrispondesse all’art. 3 dello Statuto Speciale in merito al divieto ed alla condanna di provocazioni nazionali e di odio razziale, gli jugoslavi fecero riferimento agli avvenimenti del febbraio 1961, quando vennero assaltati i locali della Banca di Credito di Trieste - Tržaška Kreditna Banka, il cantiere edile della casa di cultura slovena e la Biblioteca slovena. Nel corso di queste manifestazioni, anche con l’uso di diversi volantini, vennero ripetute parole come “Fora i s’ciavi”, “Morte ai s’ciavi”, mentre durante alcune dimostrazioni svoltesi successivamente erano stati diffusi slogan ancora più offensivi per gli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo.

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Infine, continuarono a ribadire che su alcuni giornali pubblicati in Italia erano sistematicamente presenti articoli con cui si offendeva il gruppo etnico jugoslavo, i popoli jugoslavi in genere, le autorità della RPFJ, sottolineando le più diverse pretese territoriali. Soltanto come esempio fecero cenno ai giornali “Arena di Pola”, “Difesa Adriatica”, “La Voce Giuliana”, “Messaggero Veneto” e “Il Secolo”. Anche nei libri di testo di alcune scuole medie italiane erano in uso libri di testo, soprattutto di geografia e storia, con contenuti riportati che contenevano affermazioni parzialmente offensive per i popoli jugoslavi e insinuavano varie pretese territoriali nei confronti della Jugoslavia. Anche questa sessione del Comitato Misto, che si concluse con la disamina dei ricorsi e delle richieste presentate da singoli e da istituzioni e associazioni, ma anche questa volta senza una presenza concreta da parte della Comunità Italiana, fu chiusa con la solita formula, per cui dove non c’è stato consenso da ambo le parti, le rispettive motivazioni e proposte venivano rinviate alla stesura del verbale.

Note (1) Nel riportare parte del dibattito dell’VIII sessione ordinaria del Comitato Misto italojugoslavo, sarebbe forse opportuno un piccolo commento in margine al documento pubblicato tra le Note che seguirono il Verbale della VII sessione ordinaria, e contenente il testo della relazione presentata alle massime autorità jugoslave dal presidente della delegazione jugoslava, Bersilav Žulj. Non ci è noto, per esempio, se è stato il contenuto stesso della relazione a provocare il cambiamento, ma merita tuttavia almeno segnalare che a presiedere la parte jugoslava del Comitato Misto della sessione successiva, della quale riportiamo in questo capitolo il verbale non c’era più Berislav Žulj, ma a guidare la delegazione era stato richiamato il primo presidente Mitja Vošnjak, il quale, nel frattempo, era avanzato di grado al livello di ministro plenipotenziario, quindi parificato all’omonimo italiano. Certo è, che le posizioni presenti nella relazione di Žulj si differenziano nei contenuti e nei toni proposti dall’ortodossia seguita fino ad allora dalla diplomazia jugoslava. Toni e contenuti improntati ad una grande apertura e ad una dichiarata volontà di proseguire nei confronti della vicina Italia con una politica caratterizzata dai valori del buon vicinato, pur senza tralasciare gli aspetti più particolari inerenti la tutela della minoranza slovena in Italia. Va detto, comunque, che pochi dei suggerimenti e delle proposte avanzata da Žulj trovarono nei periodi successivi riscontro nella politica jugoslava, sia verso la regione, che nei documenti anche formali del Comitato Misto veniva definita “territorio sotto amministrazione jugoslava”, sia verso la minoranza italiana dell’ex Zona B e di tutta l’Istria. Le Repubbliche Popolari di Croazia e di Slovenia, che già allora godevano di una buona fetta di autonomia nei confronti della Federativa, non accettarono, come chiesto dagli italiani, di annullare le modifiche territoriali e ripristinare nella forma precedente le circoscrizioni comunali e distrettuali, modifiche, che lo stesso Žulj affermava nel documento di cui sopra, di aver violato le disposizioni dello Statuto Speciale. Né si notò un atteggiamento più morbido delle autorità e dei servizi segreti nei confronti delle istituzioni e di singole personalità della dirigenza minoritaria. Anzi, l’UIIF e soprattutto i Circoli Italiani di cultura

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che si volevano far figurare come interlocutori della politica delle autonomie locali e dei poteri repubblicani, venivano sottoposti a rigidi controlli e spesso usati per fini tutt’altro che culturali e di mantenimento e di sviluppo dell’identità nazionale. Molto spesso, erano proprio i piccoli ras locali comunitari a rappresentare l’impronta del potere nei confronti degli appartenenti alla nazionalità italiana. Forse, disponendo di tutto l’incartamento jugoslavo riguardante le venti sessioni del Comitato Misto, ma anche, quando sarà possibile, dell’incartamento e della documentazione della parte italiana, un giorno si riuscirà a tracciare il lungo e accidentato percorso politico e, per certi aspetti anche democratico, che in quel periodo al regime jugoslavo permise di favorire, da una parte di mantenere e sviluppare i rapporti di buon vicinato con l’Italia, dall’altro di assicurare la necessaria tutela internazionale alla minoranza slovena del vicino Friuli Venezia Giulia. Un interesse, quello nei confronti della minoranza slovena, che per gli jugoslavi non era il risultato soltanto dalla comune appartenenza nazionale, ma anche di un preciso interesse economico e politico che coinvolgeva le istituzioni minoritarie slovene delle regioni contermini nel cosiddetto “spazio culturale comune sloveno”. Non una volta le stesse autorità slovene ci tennero a ribadire l’importanza di poter disporre di consistenti minoranze slovene che potessero svilupparsi all’interno del mondo democratico ed economico occidentale, con una forte presenza nel Friuli Venezia Giulia, ma anche con un’importante presenza, pur se sottoposta a polemiche, nella Carinzia austriaca. Di particolare importanza, da questo punto di vista anche, e forse soprattutto, la grande presenza economica e imprenditoriale della minoranza slovena, capace di promuovere anche il flusso economico dalla Jugoslavia verso l’Occidente e viceversa. Credo risalga proprio a quel periodo lo straordinario numero di aziende e di agenzie import-export gestite dalla minoranza slovena che, soprattutto a Trieste, riuscivano a gestire tutto il traffico con la Jugoslavia, a partire dall’importazione dei giornali e della stampa, per finire con le vendite ed i trasporti del legname.

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Capitolo IX Scuola e lingua minoritaria Verbale della IX sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Roma, dal 20 novembre - 4 dicembre 1962 (1) Ordine del giorno: “Punto I: Misure adottate in favore dei rispettivi gruppi etnici nel periodo tra l’VIII e la IX sessione del Comitato Misto; Punto II: A) Posizione delle scuole con lingua d’insegnamento slovena e del personale insegnante sul territorio sotto amministrazione italiana (art. 4, dello Statuto Speciale; B) Posizione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava; Punto III: Il diritto degli appartenenti alla minoranza all’uso della lingua slovena sul territorio sotto amministrazione italiana; Punto IV: Misure che sarebbe necessario adottare per assicurare l’uso della lingua italiana nelle forme orale e scritta nei rapporti del gruppo etnico italiano con le autorità jugoslave; Punto V: Interpretazione della clausola dello Statuto Speciale sulle unità elettorali del comune di Trieste dove, ai sensi dell’art. 5 dello Statuto Speciale, è necessario esporre scritte bilingui; Punto VI: Modifiche dei confini amministrativi effettuate da parte dell’amministrazione jugoslava sul territorio sotto amministrazione jugoslava (art. 7 dello Statuto Speciale); Punto VII: Cambiamenti nella forma slava di nomi e cognomi italiani effettuati d’ufficio da parte delle autorità jugoslave; Punto VIII: Trattamento delle istituzioni culturali della minoranza slovena, ai sensi dell’art. 4.b) dello Statuto Speciale; Punto IX: Mantenimento e sviluppo delle caratteristiche linguistiche e culturali del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava; Punto X: Disamina dei ricorsi e delle richieste inoltrate al Comitato Misto da organizzazioni e singoli.

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All’inizio della seduta il Comitato Misto prese atto che i governi della Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia e della Repubblica d’Italia avevano approvato il verbale dell’VIII sessione ordinaria del Comitato. Nel prosieguo, i membri jugoslavi e italiani, al fine di una reciproca informazione, illustrarono quanto realizzato nel periodo tra l’VIII e la IX sessione sulla base di quanto concordato nel corso della seduta precedente. I membri jugoslavi informarono il Comitato misto su quanto realizzato dalle autorità jugoslave in favore del gruppo etnico italiano: 1) A Capodistria e a Pirano, dal 31 gennaio al 10 febbraio 1962, si è svolto il seminario di cultura italiana, al quale hanno partecipato 66 insegnanti, 42 studenti delle scuole medie e 23 studenti della scuola economica serale con lingua d’insegnamento italiana. 2) Dal 20 al 27 agosto 1962 simile seminario si è svolto anche a Rovigno con la partecipazione di 47 insegnanti. 3) Incrementato di 30 alunni il numero dei bambini iscritti nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, così che sul territorio sotto amministrazione jugoslava queste scuole sono frequentate da 807 alunni. 4) Il Comitato Popolare Distrettuale di Capodistria ha assegnato borse di studio a 16 studenti appartenenti al gruppo etnico italiano per la frequentazione di scuole superiori in Jugoslavia e in Italia, mentre il Comitato distrettuale di Pola ne ha assegnate 39. 5) Sono usciti dalle stampe quattro nuovi libri di testo, mentre altri otto sono in preparazione. 6) Durante il 1962 il Distretto di Pola ha assicurato per le scuole con lingua d’insegnamento italiana nei comuni di Buie, Umago e Cittanova i seguenti mezzi finanziari: 6.614.000.- dinari per riparazioni agli edifici, 1.541.000.- dinari per l’acquisto di sussidi scolastici, 1.943.000.- dinari per il completamento dell’inventario scolastico, 10.088.000.- dinari per investimenti. 7) Durante il 1962 il Comitato Popolare Distrettuale di Capodistria ha assicurato alle scuole con lingua d’insegnamento italiana i seguenti mezzi: 7.500.000.- dinari per riparazioni agli edifici della scuola elementare e del ginnasio di Capodistria; per la riparazione dell’edificio del ginnasio di Pirano 5.000.000.- dinari (nel 1961 erano stati spesi 2.1256.000.-dinari), per riparazioni all’edificio della scuola elementare di Isola 8.000.000.-dinari; per l’assestamento della scuola di Santa Lucia 44.000.000.- dinari; per il progetto edilizio per il centro scolastico di Capodistria 13.000.000.- dinari e per materiale didattico e libri di testo 5.000.000.- dinari. 8) Nel corso del 1961 la Repubblica Popolare di Croazia ha attinto dal proprio bilancio 54.894.000.- dinari destinati a dotazioni per le attività

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culturali del gruppo etnico italiano; la Repubblica Popolare di Slovenia, invece, 10.600.000.- dinari; Nel 1962 queste dotazioni sono state aumentate fino a 73.040.000.- dinari e rispettivamente 1.3500.000.- dinari. Di questi 1.6000.000.- dinari nel 1961e nel 1962 ben 2.6110.000.- dinari per il Dramma Italiano di Fiume. In questi importi non sono incluse le dotazioni per i libri di testo italiani, per la copertura di tutte le spese di manutenzione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, come pure per la stampa dei giornali italiani “La Voce del Popolo”, “Panorama” e “Il Pioniere”. 9) L’Assemblea della Repubblica Popolare di Slovenia il 9 aprile 1962 ha approvato la “Legge sulle scuole bilingui e sulle scuole con lingua d’insegnamento delle minoranze nazionali”. Nella legge sono comprese tutte le clausole dello Statuto Speciale. Quale garanzia per una loro indisturbata attività, è inserita pure la clausola che esse possono essere abolite soltanto con apposita legge. La legge prevede pure la possibilità di assumere insegnanti di cittadinanza straniera. Nei programmi di studio di queste scuole è previsto l’insegnamento delle specificità culturali della Nazione cui appartiene la minoranza ed i programmi di studio non possono essere in contrasto con i sentimenti nazionali degli alunni. Nella legge, inoltre, si parla del libero uso della lingua della minoranza e della sua piena parità, delle garanzie per lo sviluppo della minoranza e della sua parità con gli altri popoli jugoslavi, nonché del ruolo della minoranza in quanto elemento di avvicinamento amichevole con i popoli e i Paesi vicini. Anche il Sabor della Repubblica Popolare di Croazia ha preparato un simile progetto di legge, ma la sua approvazione è stata rimandata su esplicita richiesta del governo Italiano comunicata tramite l’Aide-memoire dell’Ambasciata Italiana di Belgrado, No. 1804 del 14 giugno 1962. Dopo di ciò. il progetto di Legge è stato adeguatamente aggiornato e rimandato in visione all’Ambasciata italiana il 16 novembre 1962. 10) Nell’ambito dei preparativi per la Legge fondamentale sull’ordinamento sociale jugoslavo, (bozza di Costituzione della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, bozze di Costituzione delle Repubbliche Socialiste di Croazia e di Slovenia, bozze degli Statuti comunali), particolare attenzione è stata dedicata all’attuazione della piena parità delle minoranze nazionali in Jugoslavia. Nell’art. 42 la bozza di Costituzione della RSFJ garantisce l’uguaglianza dei cittadini senza distinzione di nazionalità, razza, fede religiosa, sesso, lingua, istruzione o posizione sociale. L’art. 43, assicura il diritto alla libera manifestazione dell’appartenenza nazionale e della cultura nazionale, come pure al libero uso della propria lingua. Ogni diffusione o attuazione di disuguaglianza nazionale, come ogni istigazione all’intolleranza nazionale, razziale o religiosa, viene proclamata anticostituzionale e condannata. dall’art. 46 si evince che “Ad ogni minoranza nazionale è stato garantito il diritto di usare liberamente la propria lingua, di manifestare e sviluppare la propria cultura e di fondare enti che garan-

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tiscano questo diritto. Nelle scuole per gli appartenenti alle minoranze nazionali l’insegnamento verrà svolto nella lingua di queste nazionalità. Alle minoranze nazionali sono stati assicurati anche altri dritti sanciti dalla Costituzione e dalle leggi.” Infine, l’art. 146 assicurerà ad ognuno il diritto di servirsi della propria lingua davanti ai tribunali, agli altri organi, enti e organizzazioni che, nello svolgimento del proprio servizio, decidono dei diritti e degli obblighi dei cittadini e che durante questi procedimenti verranno messi a conoscenza degli elementi più importanti nella propria lingua. La bozza della Costituzione della RS di Croazia contiene gli stessi principi, mentre la bozza della Costituzione della RS di Slovenia, nell’art. 11, stabilisce che: “con la legge vengono definiti i territori nazionalmente misti sui quali, accanto alla popolazione slovena vive anche la minoranza nazionale italiana e rispettivamente quella ungherese, e sui quali è in vigore il bilinguismo. Sui territori nazionalmente misti entrambe le lingue sono paritetiche. Tutti gli abitanti di questo territorio hanno gli stessi diritti nell’uso della propria lingua nella vita sociale e pubblica, nelle procedure amministrative e giuridiche e nell’istruzione. Le scritte pubbliche, i nomi delle località, i documenti pubblici e la gestione degli organi amministrativi e giuridici su questi territori sono bilingui. La Repubblica Socialista di Slovenia cura lo sviluppo dell’istruzione bilingue e minoritaria, della stampa, della radio e delle attività culturali sul territorio nazionalmente misto assicurando il sostegno necessario.” (2) A titolo illustrativo, i membri jugoslavi del Comitato citarono alcune clausole in favore del gruppo etnico italiano contenute negli statuti dei comuni di Capodistria, Isola e Pirano. Tra l’altro, in questi statuti veniva stabilito che le lingue slovena e italiana sul territorio del comuni erano paritetiche; che in tutte le scuole con lingua d’insegnamento slovena la lingua italiana era materia obbligatoria; che le organizzazioni culturali italiane avevano diritto a dotazioni dai mezzi pubblici; che gli appartenenti al gruppo etnico italiano avevano diritto ad una rappresentanza proporzionale negli organi dell’autogestione; che in tutti gli organi dell’amministrazione e dell’autogestione dovevano essere sistematizzati posti per i quali si esigeva anche la conoscenza della lingua italiana; che tutti gli organi e le organizzazioni dello Stato dovevano usare obbligatoriamente formulari bilingui, il che valeva per le carte d’identità, per i libri e gli attestati anagrafici, per le delibere fiscali, e così via; che tutti i timbri delle istituzioni e delle organizzazioni dovevano essere bilingui; che dovevano essere bilingui tutti i procedimenti legali e altro; che i cittadini di nazionalità italiana dovevano ricevere tutti gli atti in entrambe le lingue ed entrambi gli esemplari venivano ritenuti come documenti originali; che tutte le scritte sulle strade, sulle vie, sulle sedi delle istituzioni, sugli uffici, sui negozi e officine dovevano essere bilingui; ecc.

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Nel prosieguo della trattazione del primo punto dell’ordine del giorno, che non riportiamo in quanto riguarda soltanto la Comunità della minoranza slovena dell’ex Zona A, ancora più dettagliata l’esposizione della delegazione italiana sulle novità introdotte nel territorio di Trieste in favore della minoranza slovena. In un’altra occasione, forse, qualcuno riporterà i dibattiti ed i confronti riguardanti entrambi i gruppi minoritari, anche perché, essendo nello Statuto Speciale legati al principio di reciprocità, sarebbe interessante valutare la reale condizione delle due minoranze, anche in una prospettiva temporale più ampia, fino ai giorni nostri. Anche la prima parte del II punto dell’ordine del giorno, così come era stato approvato, riguardava essenzialmente il settore delle scuole e la normativa legata al sistema scolastico della minoranza slovena di Trieste. Ciononostante, da parte dei membri jugoslavi vennero proposte alcune iniziative interessanti anche per la comunità italiana. Così, per migliorare la posizione delle scuole dei due gruppi etnici e per ampliare le possibilità di un migliore collegamento con la cultura delle matrici nazionali, proposero: a) scambio di insegnanti delle scuole medie; durante l’anno scolastico in corso si potrebbe effettuare uno scambio da tre a cinque insegnanti; b) organizzazione bilaterale di seminari per insegnanti e studenti delle classi superiori delle scuole medie; c) inviti reciproci degli insegnanti a seminari annuali di aggiornamento; d) scambio di studenti appartenenti ai relativi gruppi etnici, in primo luogo per lo studio della lingua nazionale, a università presso la matrice nazionale; e) riconoscimento reciproco dei diplomi universitari degli insegnanti conseguiti nel Paese vicino, soprattutto delle lauree legate alla lingua materna; f) scambio di libri di testo, di libri per le biblioteche studentesche e degli insegnanti e di mezzi audiovisivi; g) scambio di gite ed escursioni scolastiche; h) organizzazione di incontri di esperti delle due parti per discutere l’insegnamento della storia nelle scuole dei due gruppi etnici. In merito a queste proposte, i membri italiani del Comitato misto constatarono: a) che la situazione del personale insegnante nelle scuole minoritarie dei due territori era diversa, in quanto sul territorio sotto amministrazio-

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ne italiana erano impiegati esclusivamente insegnanti della stessa madre lingua degli alunni, mentre differente era la situazione sul territorio sotto amministrazione jugoslava; b) I seminari di Capodistria erano scaturiti dall’accordo conseguito nel corso della II sessione ordinaria del Comitato Misto, come si è visto dallo scambio delle lettere tra i presidenti delle due delegazioni allegate al verbale di quella sessione. I membri italiani si erano comunque riservati il diritto di esaminare ulteriormente le proposte. Nella seconda parte di questo punto all’ordine del giorno, gli Italiani posero le seguenti richieste: a) che la RP di Slovenia adotti le necessarie modifiche di legge onde eliminare le mancanze elencate; b) che la bozza di legge della Croazia venga modificata in armonia con le osservazioni presentate; c) che negli organi scolastici dei distretti di Capodistria e Pola venga assicurata una “giusta rappresentanza” del gruppo etnico italiano; d) che, dove necessario, venga migliorata la situazione degli edifici scolastici, dell’arredo e del materiale didattico; e) che vengano sostituiti gli insegnanti che non sono di madre lingua italiana con altri che soddisfino questa condizione; f) che venga riaperta la scuola magistrale in lingua italiana onde assicurare la preparazione degli insegnanti per le scuole di questa lingua; g) che vengano pubblicati adeguati libri di testo; h) che venga esaminata la possibilità di istituire una scuola media in lingua italiana a Buie ed una scuola elementare a Crassizza. In risposta alle osservazioni presentate dalla delegazione italiana, gli Jugoslavi illustrarono le misure adottate per migliorare la situazione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Queste scuole, come sottolinearono, erano diventate soggetto giuridico già con la ratifica del Memorandum d’Intesa, e, inoltre, sul territorio della RP di Slovenia con l’esplicita elencazione nella relativa legge, mentre la bozza di legge della RP di Croazia si richiamava agli obblighi assunti. Le autorità competenti sarebbero state informate delle proposte avanzate da parte italiana in merito alla scuola di Salvore. La libera iscrizione degli alunni era assicurata indipendentemente dalla nazionalità dei genitori indicata sulla carta d’identità, un tanto, sia in base alla legge federale che di quella slovena e della bozza di legge sull’istruzione in Croazia.

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Per quanto riguardava il ruolo fisso degli insegnanti, i membri jugoslavi illustrarono l’attuale sistema degli impiegati pubblici ribadendo che non esisteva alcuna differenza nel trattamento degli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana rispetto agli altri insegnanti. Il Comitato Misto, inoltre, venne informato dell’apertura dell’Accademia Pedagogica di Pola con una sezione per la lingua italiana. Infine, riguardo all’apertura di una scuola media a Buie e di una scuola elementare a Crassizza, la delegazione si richiamò a quanto già esposto nelle sessioni precedenti del Comitato. Il punto successivo, il terzo seguendo l’ordine del giorno, venne interamente dedicato al diritto all’uso della lingua slovena sul territorio sotto amministrazione italiana da parte degli appartenenti alle minoranza . La stessa questione, ma con una diversa formulazione, fu stata presentata questa volta dalla delegazione italiana anche al IV punto dell’o.d.g. Cioè, le misure che sarebbe stato necessario adottare per assicurare l’uso della lingua italiana nelle forme orale e scritta nei rapporti del gruppo etnico italiano con le autorità jugoslave. La parte italiana introdusse il problema rilevando che la situazione sul territorio sotto amministrazione jugoslava non poteva essere paragonata a quella sul territorio sotto amministrazione italiana proprio per quanto riguardava l’uso della lingua, nelle forme orale e scritta, da parte del gruppo etnico italiano nei rapporti con le autorità amministrative, tenendo conto del fatto che la lingua italiana era generalmente usata come lingua di comunicazione sul territorio sotto amministrazione jugoslava già a partire dal momento in cui era stata instaurata l’amministrazione jugoslava, prima militare e successivamente civile, mentre sul territorio di Trieste la lingua minoritaria rappresentava un problema, per cui qualsiasi misura che venisse adottata in favore del gruppo etnico sloveno avrebbe rappresentato una novità nei confronti della situazione esistente in precedenza. Di conseguenza, nonostante un’atmosfera favorevole, non era possibile affermare che l’ambiente del territorio sotto amministrazione jugoslava fosse del tutto favorevole per una concretizzazione dei diritti previsti dall’art. 5 dello Statuto Speciale. A titolo di esempio, i membri italiani rilevarono che, nonostante il fatto che i documenti catastali e terrieri fossero tutti compilati esclusivamente nella lingua italiana, le autorità jugoslave preferivano tradurre questi documenti nelle lingue slovena o croata piuttosto che rilasciarli nella versione originale presente negli archivi, il che provocava delle difficoltà agli appartenenti al gruppo etnico italiano non soltanto perché non conoscevano la lingua, ma anche perché le traduzioni erano spesso errate. Lo stesso si poteva dire anche per certi cambiamenti dei nomi nella toponomastica stra-

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dale, dove le traduzioni delle singole località, che originariamente avevano un nome italiano, erano state eseguite arbitrariamente. I membri italiani, inoltre, si soffermarono su alcuni casi, per cui gli uffici amministrativi, solitamente sprovvisti di impiegati che conoscessero l’italiano, erano stati avvertiti che, soprattutto nelle procedure, sarebbe stato opportuno tener conto del fatto che molti appartenenti al gruppo etnico italiano non conoscevano la lingua slovena o quella croata. Mancanze che provocavano grandi difficoltà agli appartenenti al gruppo etnico italiano che si scoraggiavano e perdevano la fiducia nella possibilità di poter fruire dei propri diritti. Tra l’altro, questo stava a dimostrare anche la loro mancanza di volontà nell’esprimere la propria vitalità attraverso iniziative di carattere culturale ed artistico, come pure nella volontà di pubblicare giornali e riviste nella propria lingua. Gli esponenti italiani, pertanto, chiedevano alle autorità jugoslave di fare il possibile per rimuovere le mancanze riscontrate, facendo quindi in modo che anche sul territorio sotto amministrazione jugoslava venissero concretamente attuate le misure dell’art. 5, comma 1 dello Statuto Speciale. In risposta all’esposizione della delegazione italiana, gli jugoslavi richiamarono l’attenzione a interventi che avevano effettuato alle sessioni precedenti, ribadendo che gli appartenenti al gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava potevano fruire pienamente dei propri diritti derivanti dal primo e dal secondo comma dell’art. 5 dello Statuto Speciale. In merito si richiamarono alle bozze della nuova Costituzione della RFSJ e delle Costituzioni delle RS di Croazia e di Slovenia, nonché degli Statuti di singoli comuni, nei quali i diritti del gruppo etnico italiano superavano addirittura gli obblighi derivanti dallo Statuto Speciale. Presso le autorità amministrative e giudiziarie erano stati definiti i posti degli impiegati per i quali era prescritta la conoscenza obbligatoria della lingua italiana, ed a questi impiegati veniva riconosciuto un contributo finanziario particolare. Per quanto riguardava la denominazione di determinate località nelle forme croata o slovena in uso da tempo, andava segnalato che queste erano sempre accompagnate dalla denominazione ufficiale in lingua italiana, denominazioni che erano presenti anche sui timbri postali. I membri jugoslavi conclusero che sul territorio sotto amministrazione jugoslava non era stata inventata nessuna denominazione artificiale, come successo, del resto, in alcuni casi sul territorio sotto amministrazione italiana. (3) Al punto successivo non si fece cenno alla minoranza italiana, visto che la delegazione jugoslava aveva chiesto un confronto sull’interpretazione della clausola dello Statuto Speciale riguardante le unità elettorali del comune di Trieste dove, ai sensi dell’art. 5 dello Statuto Speciale, sarebbe stato necessario esporre scritte bilingui.

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Al VI punto, la delegazione italiana ripresentò il problema delle modifiche delle circoscrizioni amministrative effettuate da parte dell’amministrazione jugoslava sul territorio sotto amministrazione jugoslava (art. 7 dello Statuto Speciale), sottolineando che la legge del 22 giugno 1955 aveva apportato consistenti modifiche alle circoscrizioni amministrative comunali e distrettuali del territorio sotto amministrazione jugoslava, comportando profondi cambiamenti nella loro struttura etnica e indebolendo fortemente la presenza della minoranza italiana rispetto alla popolazione slava. Pertanto, ribadirono gli Italiani, questo fatto rappresentava un’evidente violazione dell’art. 7 dello Statuto Speciale che in maniera esplicita vietava qualsiasi modifica dei confini delle “unità amministrative fondamentali”, indipendentemente dai motivi che avevano ispirato la riforma e dall’esistenza o meno di un volontà di arrecare danno alla minoranza. La delegazione italiana confermò, concludendo, i pareri e le motivazioni espresse in merito nelle sessioni precedenti del Comitato, chiedendo nuovamente l’abrogazione delle modifiche ed il ripristino della situazione precedente. Anche la delegazione jugoslava nella risposta si richiamò a quanto già esposto negli incontri precedenti. Tuttavia ribadì che, nei comitati comunali, che comprendevano anche le amministrazioni dei comuni precedenti, il ruolo di questi ultimi era rimasto immutato. Inoltre, visto che il diritto all’esposizione delle scritte bilingui sul territorio sotto amministrazione jugoslava non era legato alla percentuale degli appartenenti al gruppo etnico italiano ivi residente, le modifiche non potevano arrecare danno alcuno. In ogni caso, se nella riforma non fossero stati inclusi anche i nuovi comuni, tutto il territorio, e con esso anche il gruppo etnico italiano, ne sarebbe stato danneggiato, in quanto i piccoli comuni esistenti in precedenza non avrebbero avuto la possibilità di uno sviluppo economico e culturale adeguato. Di conseguenza, i membri jugoslavi del Comitato dichiararono di non poter accettare la proposta avanzata dalla delegazione italiana. Al punto successivo gli Italiani riportano ancora una volta il dibattito sul problema riguardante “I cambiamenti dei nomi e dei cognomi nella forma slava eseguiti d’ufficio da parte delle autorità jugoslave”, sostenendo nuovamente che i cambiamenti avevano avuto e continuavano ad avere pesanti conseguenze sugli appartenenti al gruppo etnico italiano. In realtà, il cambiamento dei cognomi aveva spesso comportato anche una designazione dell’appartenenza nazionale diversa da quella italiana, creando delle difficoltà nell’iscrizione e nella frequentazione delle scuole destinate alla minoranza italiana e, conseguentemente, impedendo agli appartenenti al gruppo etnico italiano di poter fruire dei diritti che erano loro riconosciuti in base allo Statuto Speciale. Considerando la loro ampiezza, queste conseguenze erano in contrasto con lo spirito e la lettera del Memorandum d’Intesa e dello Statuto Speciale il cui fine era quello di conservare la com-

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posizione etnica delle rispettive minoranze e il mantenimento delle loro caratteristiche nazionali. La parte italiana richiamò l’attenzione sui pareri espressi già nel corso delle sessioni precedenti in merito alla situazione presente sul territorio sotto amministrazione italiana, dove a tutti gli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo era garantita piena e libera possibilità di ripristinare nella maniera più semplice il cognome che era stato modificato nel periodo tra le due guerre, senza bisogno di presentare qualsiasi altro documento. In conclusione, i membri italiani, presentarono nuovamente le loro richieste in favore del gruppo etnico italiano, e cioè: 1) che vengano apportate innanzitutto delle norme formali per il ripristino nella forma italiana di tutti i cognomi che le autorità jugoslave hanno modificato d’ufficio; 2) sussidiariamente: a) che vengano ripristinati d’ufficio nella forma precedente almeno quei cognomi che a suo tempo le autorità italiane avevano modificato nella forma italiana su richiesta degli interessati; b) che venga stabilita una procedura semplice e rapida per coloro ai quali le autorità italiane avevano a suo tempo modificato d’ufficio il loro cognome nella forma italiana, ma che non rientravano nella definizione prevista sotto il punto a), e che desideravano mantenere il cognome nella forma italiana. Gli esponenti jugoslavi, come già nelle sessioni precedenti, su questo tema ripeterono che i cambiamenti di cui parlavano i componenti italiani del Comitato Misto rappresentavano l’unico sistema per il ripristino nella situazione in cui i cognomi si trovavano prima dell’azione massiccia e forzata del cambiamento dei cognomi sloveni nella forma italiana a partire dal 1926. Spiegarono pure, che la forma del cognome sul territorio sotto amministrazione jugoslava non influiva sull’identificazione dell’appartenenza nazionale della popolazione, né aveva una qualsivoglia influenza sull’iscrizione dei bambini nelle suole o sulla fruizione di altri diritti. Sul territorio sotto amministrazione italiana, invece, gli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo incontravano ancor sempre delle difficoltà a causa della forma slava del loro cognome. Gli jugoslavi affermarono ancora che, nonostante la semplicità delle procedure con cui era possibile ottenere il cambiamento del cognome sul territorio sotto amministrazione jugoslava, nel periodo trascorso tra le due sessioni del Comitato Misto non era stata presentata nessuna richiesta in merito. Ripeterono, inoltre, che le misure adottate a suo tempo dalle auto119


rità jugoslave non erano in contrasto con lo spirito del Memorandum d’Intesa e dello Statuto Speciale, esprimendo il parere che anche sul territorio sotto amministrazione italiana sarebbe stato opportuno adottare misure analoghe a quelle jugoslave. Al punto VIII, riferendosi all’art. 4, b) dello Statuto Speciale, la delegazione jugoslava attirò l’attenzione sul problema della Casa di cultura slovena di Trieste che si stava costruendo sulla base dell’accordo speciale del 5 ottobre 1954 e per il quale i mezzi finanziari erano stati messi a disposizione dal governo italiano. Anche se il dibattito non riguardava in alcun modo la Comunità Italiana dell’Istria, riportiamo parte del dibattito che ci sembra particolarmente interessante dal punto di vista della realizzazione di un progetto edilizio destinato alla cultura di una minoranza nazionale. I membri jugoslavi affermarono che la società DOM (istituita per la gestione del progetto, n.d.r.) era stata costretta più volte a interrompere la costruzione, in parte perché i mezzi finanziari per le singole fasi dei lavori non erano stati assicurati in base alle necessità del cantiere, in parte in seguito alle diverse complicazioni legate alla soluzione delle richieste per i permessi necessari. Anche se la società di cui sopra aveva presentato la prima domanda già il 14 dicembre 1955, in seguito senza colpa alcuna aveva dovuto ripresentarla altre due volte. Appena il 15 aprile del 1961 il Ministero per il turismo e lo spettacolo aveva rilasciato l’autorizzazione che permetteva la costruzione del salone teatrale, condizionando però l’autorizzazione con l’obbligo secondo cui l’entrata agli spettacoli doveva essere gratuita. A causa di queste circostanze, la conclusione del Kulturni Dom era stata spostata dal termine previsto del 1958 al 1963,. I condizionamenti posti, inoltre impedivano ogni ulteriore attività teatrale. I membri jugoslavi sottolinearono che da nessuna parte esisteva la prassi secondo cui le rappresentazioni teatrali dovevano essere gratuite. D’altra parte, questa condizione non era considerata dalla legislazione in vigore, e non valeva nemmeno per l’ex Narodni Dom di Trieste. Una prassi, questa, che non valeva nemmeno per il Teatro del Dramma Italiano di Fiume, che vendeva i biglietti d’entrata per gli spettacoli nonostante che questa compagnia fosse ampiamente sovvenzionato con mezzi pubblici. I membri jugoslavi, inoltre, avvisarono il Comitato Misto che alcune organizzazioni culturali del gruppo etnico jugoslavo di Trieste, come il “Slovensko narodno gledališče”, la “Glasbena Matica”, impegnata nella diffusione della cultura musicale tra la minoranza slovena, la “Narodna in študijska knjižnica”, che rappresentava l’unica biblioteca pubblica della minoranza, e infine la “Dijaška Matica”, che supportava gli studenti, non avevano ricevuto alcun contributo finanziario pubblico dal 1954, il che era in contrasto con i principi dell’art. 4, b) dello Statuto Speciale. In conclusione, la parte jugoslava propose che le autorità competenti

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rendessero possibile al Kulturni Dom di Trieste svolgere senza impedimenti le proprie attività, comprese le rappresentazioni teatrali, abrogando le proposte condizioni che esigevano l’organizzazione di manifestazioni gratuite, come pure, che le autorità competenti italiane, ai sensi dell’art. 4, b) dello Statuto Speciale elargissero alle istituzioni culturali slovene l’aiuto finanziario dovuto. Interessanti, anche se non sempre convincenti dal punto di vista minoritario, le risposte della delegazione italiana, la quale confermò che gli obblighi assunti con l’art. 4, b) dello Statuto Speciale erano pienamente rispettati sul territorio sotto amministrazione italiana, sottolineando che le numerose associazioni culturali, ricreative, sportive e di altri tipi slovene esistenti a Trieste, raggiungevano il numero di 65 (senza tener conto delle organizzazioni politiche e sindacali), godendo delle più ampie libertà nel loro lavoro e mai erano stati creati impedimenti che in qualche modo ostacolassero lo svolgimento delle loro attività, il che era dimostrato dalla libera e consistente attività e dalle manifestazioni pubbliche cui prendevano parte le associazioni. Alle associazioni slovene, inoltre, era assicurato un trattamento, anche dal punto di vista degli aiuti tramite mezzi finanziari pubblici, esattamente uguale a quello delle corrispondenti organizzazioni italiane. In particolare, si era sempre tenuto conto delle necessità degli appartenenti al gruppo etnico sloveno e delle loro associazioni senza alcuna discriminazione a loro danno. In merito, si accennò alle sovvenzioni elargite alle diverse associazioni culturali, agli ingenti aiuti finanziari distribuiti alle istituzioni slovene per l’organizzazione e la gestione di centri estivi per la gioventù slovena che avevano raggiunto un importo annuo di 10 - 11 milioni di lire, ai contributi alle istituzioni comunali per l’assegnazione di aiuti sociali elargiti presso singoli comuni, compresi i comuni dell’entroterra triestino e cosi via. Per quanto riguardava il problema del Kulturni Dom di via Petronio, gli esponenti italiani del Comitato posero in rilievo innanzitutto che gli impegni finanziari assunti dal governo italiano erano stati da lungo tempo portati a termine. Le condizioni di entrata libera e gratuita poste per le attività teatrali, in quanto rappresentazioni di carattere culturale, venivano adottate in genere per le attività delle istituzioni e delle organizzazioni culturali. L’entrata gratuita, inoltre, faceva parte della prassi in uso nei club e nelle associazioni culturali quando questi organizzavano qualche rappresentazione. Nel caso contrario, si sarebbe trattato di manifestazioni organizzate a fini di lucro che, di conseguenza, sarebbero sottoposte alle misure amministrative e fiscali. In ogni caso -. conclusero gli esponenti italiani - il problema non era di attualità, visto che il teatro non era stato ancora terminato e l’autorizzazione a lavorare gli sarebbe stata concessa a lavori finiti e dopo il prescritto collaudo.

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Al successivo punto IX dell’ordine del giorno, su proposta della delegazione italiana, riprese il dibattito già affrontato alla sessione precedente: indipendentemente dalla situazione formale esistente sul territorio sotto amministrazione jugoslava, era un dato di fatto che il gruppo etnico italiano incontrava consistenti ostacoli nel mantenimento e nel libero sviluppo delle proprie caratteristiche linguistiche e culturali. Una delle difficoltà principali era rappresentata dal fatto che gli appartenenti al gruppo etnico italiano non potevano disporre della stampa nella propria lingua che arrivava dall’Italia, e questo in seguito alla discriminazione delle importazioni dall’Italia dei vari giornali e riviste e a causa del modesto numero di copie a disposizione di quei quotidiani e riviste la cui importazione era permessa. Lo stesso valeva anche per i libri e per le altre pubblicazioni. Quanto esposto, rendeva impossibile agli appartenenti al gruppo etnico italiano una conoscenza obiettiva della vita nella propria madre patria. Proseguendo, i membri citarono i dati di cui disponevano sulle testate dei giornali e sul numero delle copie per le quali era permessa l’importazione. Da questi dati - sostennero - era evidente che, per esempio a Cittanova, disponevano di appena 16 copie di giornali italiani. La situazione a Trieste, invece, era molto diversa poiché gli appartenenti al gruppo etnico sloveno potevano trovare qualsiasi giornale jugoslavo, rivista o pubblicazione. In merito al problema, i rappresentanti italiani ribadirono il proprio punto di vista secondo cui, come già esposto all’VIII sessione del Comitato, le misure restrittive della Legge jugoslava sulla stampa erano in contrasto con il Memorandum d’Intesa e con lo Statuto Speciale (parte introduttiva e art. 1). Ulteriori motivi che influivano negativamente sulle identità linguistica e culturale del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, erano i cambiamenti d’ufficio dei cognomi italiani, la situazione insoddisfacente delle scuole con lingua d’insegnamento italiana e, in particolare, il fatto che numerosi insegnanti delle scuole medie non appartenevano al gruppo etnico italiano. Quanto sopra accennato rendeva impossibile la formazione di quella “elite” che sarebbe stata indispensabile per lo sviluppo culturale e linguistico del gruppo etnico italiano, al quale certamente non mancavano tradizioni culturali. La situazione di grande disagio era ancor sempre provocata dai numerosi casi di esodo dal territorio sotto amministrazione jugoslava. Un esodo che preoccupava i membri italiani, poiché, se avessero dovuto continuare con quel ritmo, potrebbero avere come effetto la vanificazione delle finalità dello Statuto Speciale, visto che sul territorio sotto amministrazione jugoslava non ci sarebbero più stati coloro ai quali erano destinate le norme presenti nello Statuto. Ciò avrebbe comportato in pratica una profonda

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modifica della situazione esistente a suo tempo su entrambi i territori, che avevano giustificato l’approvazione dello Statuto Speciale. In merito a quanto sopra, i membri italiani del Comitato espressero l’auspicio che la parte jugoslava si impegnasse per adeguate misure con le quali rendere possibile in pratica un libero sviluppo delle identità linguistica e culturale del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Nella risposta, i membri della delegazione jugoslava indicarono una serie di misure concrete a dimostrazione che le autorità jugoslave “non ponevano impedimenti al mantenimento ed allo sviluppo delle caratteristiche linguistiche e culturali al gruppo etnico italiano”, ma facevano tutti gli sforzi per la loro conservazione e il mantenimento dei contatti del gruppo etnico italiano con la matrice nazionale. Questa politica trovava espressione sia nella bozza della Costituzione della RFSJ, ovvero delle RS di Croazia e di Slovenia, come pure nella prassi quotidiana. Le organizzazioni culturali italiane sul territorio sotto amministrazione jugoslava, compreso il Dramma Italiano di Fiume, stavano sviluppando una ricca attività e, a differenza delle similari organizzazioni slovene sul territorio sotto amministrazione italiana, disponevano di consistenti dotazioni di mezzi pubblici. Gli appartenenti al gruppo etnico italiano usavano liberamente la propria lingua nei rapporti con le autorità giudiziarie e amministrative; nelle città dove viveva il gruppo etnico le insegne erano bilingui; un grande numero di studenti appartenenti al gruppo etnico italiano durante lo studio godevano di borse studio statali. Oltre alla stampa in lingua italiana che veniva pubblicata in Jugoslavia, nelle edicole erano in vendita giornali importati dall’Italia, mentre nei chioschi di Trieste, per esempio, non si trovava in vendita nessun giornale sloveno stampato in Jugoslavia. Nei locali delle associazioni culturali italiane, gli appartenenti al gruppo etnico potevano seguire, oltre alle trasmissioni di Radio Capodistria, anche quelle della radio e della televisione italiana attraverso apparecchi radiofonici e televisivi acquistati con mezzi pubblici. Le autorità jugoslave elargivano consistenti sovvenzioni per permettere visite dei complessi culturali in Italia. Usufruendo delle agevolazioni che erano offerte dal’Accordo di Udine sul piccolo traffico di frontiera, gli appartenenti alla minoranza italiana disponevano delle più ampie possibilità per mantenere i più genuini contatti con la matrice nazionale e con la sua cultura. Anche le proposte, avanzate al punto 2. dai membri jugoslavi, rappresentavano la volontà per allacciare legami ancora più intensi tra i gruppi etnici e le loro culture nazionali. La delegazione jugoslava respinse le critiche rivolte dagli Italiani agli artt. 68, 69 e 75 della Legge jugoslava sulla stampa e sulle altre forme d’informazione. Le limitazioni al diritto delle aziende importatrici di fare

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entrare nello stato stampa straniera ai fini della diffusione, non erano in contrasto con gli interessi del gruppo etnico italiano. Del resto, individualmente o attraverso le organizzazioni potevano, sulla base della Legge, acquistare stampa straniera per le proprie necessità. Non vi erano ostacoli nemmeno se singoli portavano dall’estero per le proprie necessità giornali che non erano proibiti in Jugoslavia. In merito alle affermazioni riguardanti l’esodo dal territorio sotto amministrazione jugoslava, gli esponenti jugoslavi del Comitato Misto spiegarono che l’esodo non avveniva per motivi politici. Anche altrove, la forza lavoro in esubero proveniente da settori precari precedentemente dediti all’agricoltura, come lo era l’Istria, si spostava verso le vicine città ed i centri industriali. Sul territorio sotto amministrazione jugoslava una parte di questi esuberi raggiungeva Trieste, come del resto avveniva sempre anche nel passato. Tra queste persone, però, gli appartenenti al gruppo etnico italiano erano in minoranza. Le dichiarazioni che le persone rilasciavano dopo aver attraversato il confine non erano altro che un tentativo di assicurarsi il trattamento di profugo politico ed altri vantaggi materiali, ma non rappresentavano una solida fonte idi informazione. (4)

Note (1) Tra l’VIII e la IX sessione del Comitato Misto trascorsero tredici mesi. L’ultima infatti si era svolta a Roma dal 20 novembre al 4 dicembre del 1962. In quel periodo, i rapporti italo-jugoslavi, che un anno prima avevano fortemente risentito delle manifestazioni antislovene e antijugoslave di Trieste, erano andati normalizzandosi, al che indubbiamente aveva contribuito anche il dibattito abbastanza aspro, ma franco ed aperto, tra le parti nel corso della sessione precedente del Comitato Misto. Poco tempo prima, infatti aveva compiuto una visita ufficiale a Roma il presidente del Consiglio Esecutivo Federale, Aleksandar Ranković. Probabilmente sul diverso atteggiamento assunto anche dalla stampa jugoslava nei confronti del vicino Paese sono servite le dure osservazioni fatte dai membri italiani del Comitato. Che si fosse arrivati veramente ad una diversa concezione dei rapporti di buon vicinato sembravano dimostrarlo alcuni commenti messi in onda alla vigilia della sessione romana e il giorno dopo la sua conclusione dal programma sloveno di Radio Capodistria. Riportiamo di seguito il primo, anche per illustrare in quale atmosfera molto più distesa si stavano avviando i preparativi per l’incontro di Roma. “Domani, 20 novembre, si riunirà a Roma il Comitato Misto italo-jugoslavo per le minoranze. Si tratterà della IX sessione di questo importante organo istituito in base alle clausole del Memorandum di Londra, il cui compito è quello di esaminare la posizione delle minoranze dalle due parti del confine e proporre adeguate misure ai relativi governi. L’attuale sessione del Comitato Misto si svolgerà in un periodo caratterizzato da un’atmosfera favorevole dei rapporti tra il nostro Paese e la vicina Italia che, nel recente passato, hanno raggiunto l’apice con la visita del vicepresidente del Consiglio Esecutivo Federale, compagno Ranković, in Italia. Possiamo attenderci pertanto che la generale atmosfera favorevole, in cui si svolgono i nostri rapporti con l’Italia, influirà anche sul lavoro del Comitato Misto. In quest’ambito finora avevano giocato un ruolo non del tutto indifferente alcune opinioni locali, o per meglio dire, triestine che non sempre erano conformi alla linea

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generale dei rapporti jugoslavo-italiani e che non erano ben disposti a misure di reciprocità introdotte per migliorare le condizioni di vita delle minoranze. La nostra delegazione inizierà indubbiamente la sessione in maniera costruttiva e sosterrà le giustificate richieste della nostra minoranza in Italia.” “Per questa sessione non sarà senza importanza la circostanza che vede la Jugoslavia al centro di un vivace dibattito sulle future costituzioni federale e repubblicane, nonché degli statuti dei comitati popolari. I rappresentanti jugoslavi nel Comitato Misto potranno facilmente dimostrare ai membri italiani di quanta cura sono oggetto le minoranze nazionali, tra cui anche la locale minoranza italiana, da parte del nostro ordinamento socialista. In particolare potranno accennare ai progetti appena pubblicati degli statuti comunali di Isola, Capodistria e Pirano, dove sono sanciti ampi diritti della locale minoranza italiana, e, per la prima volta, è illustrato nei dettagli il regime del bilinguismo, cioè della reale parità delle due lingue e del diritto degli appartenenti alle minoranze ad usare la propria lingua nei più diversi rapporti con le autoritù e con le organizzazioni d’autogestione e politiche.(...) “Anche questa volta la delegazione jugoslava sarà guidata dal compagno Mitja Vošnjak e quella italiana dall’ambasciatore Manlio Castronuovo. Membri della delegazione jugoslava saranno ancora il dr.Ivo Murko, Črtomir Kolenc e Boris Battelino. “Nei giorni scorsi il compagno Vošnjak ha visitato il territorio sul quale vive la minoranza italiana. Così, a Fiume si è incontrato con i rappresentanti dell’Unione degli Italiani a Pola, con i membri del Circolo di cultura Antonio Gramsci, a Rovigno ha fatto visita al locale ginnasio italiano ed al suo direttore, il compagno Borme, a Buie ha avuto un lungo colloquio con il presidente del Comitato Popolare Comunale, compagno Bonetti, e con altri rappresentanti della vita pubblica di Buie, Cittanova e Umago. Infine ha visitato ancora la scuola italiana di Pirano, dove si è intrattenuto sulle necessità e sui desideri della minoranza del luogo. “Alla delegazione jugoslava, come pure a tutto il Comitato Misto, l’auspicio che la sessione si svolga in un’atmosfera aperta e costruttiva, in un reale impegno volto alla ricerca di soluzioni soddisfacenti riguardanti alcune questioni delle minoranze.” (2) Nonostante le altisonanti dichiarazioni dei rappresentanti jugoslavi del Comitato Misto, i quali assicuravano che la nuove Costituzioni Federale e delle Repubbliche di Slovenia e Croazia, avrebbero garantito che sui territori definiti per legge nazionalmente misti e dove, accanto alla popolazione slovena viveva anche la minoranza nazionale italiana e rispettivamente quella ungherese, era in vigore il bilinguismo, va sottolineato che nessuna area comunale era stata definita interamente bilingue. Anzi, almeno per quanto riguarda il comune costiero di Isola, va detto che la zona dove erano in vigore le regole sul bilinguismo, riguardava soltanto il ristretto centro urbano della città vecchia. Il limite era fissato lungo quella che veniva definita “la strada nuova”, cioè la strada che collegava Capodistria a Pirano (oggi via Prešeren), escludendo tutta la periferia e tutti gli abitati dell’entroterra. Ci vollero non pochi sforzi e parecchio tempo per allargare il perimetro del territorio definito nazionalmente misto. In pratica, appena con la Costituzione del 1974, con l’istituzione delle Comunità Locali era stato possibile far entrare in vigore i diritti minoritari anche negli abitati della periferia, pur non essendo riusciti, a tutt’oggi, ad assicurare anche una adeguata definizione bilingue dei relativi toponimi.

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(3) Strana affermazione della delegazione jugoslava, per la quale: “sul territorio sotto amministrazione jugoslava non sarebbe stata inventata nessuna denominazione artificiale, come successo in alcuni casi sul territorio sotto amministrazione italiana.” Con ciò negavano apertamente i decreti repubblicani e comunali, soprattutto in Slovenia, che tra il 1955 e il 1957, avevano completamente sostituito con “denominazioni inventate” i vecchi toponimi, le indicazioni viarie e quant’altro. (4) Poiché prima di esporre il resoconto della IX sessione del Comitato Misto abbiamo pubblicato al punto (1) di queste note un commento politico messo in onda alla vigilia dell’incontro con l’evidente intenzione di smorzare i toni della polemica dopo l’infuocata VIII sessione, anche se non riporta novità degne di particolare rilievo, pubblichiamo anche il commento della stessa emittente a conclusione dell’incontro di Roma del dicembre 1962, che si protrasse per ben due settimane. “Dal comunicato conclusivo pubblicato dai giornali, si apprende che la IX sessione del Comitato Misto Italo-Jugoslavo si è svolta all’insegna di un aperto scambio di opinioni, dati e proposte, sulle quali ora sono chiamati a discutere i due governi ed i loro organismi competenti. “Informazioni più concrete sui risultati della sessione non si sono avuti nemmeno questa volta, anche se la nostra opinione pubblica, in particolare gli appartenenti delle due minoranze, sono giustificate nell’ aspettarsi qualche notizia in più sul lavoro svolto. Anche noi siamo del parere che sarebbe giusto se in futuro venissero emessi dei comunicati meno generici. “Nel corso delle sessioni tenutesi finora il Comitato Misto si è prevalentemente occupato di problemi riguardanti la scuola, in quanto elemento basilare della tutela minoritaria, del complesso dei problemi riguardanti il bilinguismo, ovvero della questione su come viene attuato il diritto della minoranza all’uso della propria lingua nei contatti con le autorità giudiziarie e amministrative, delle insegne pubbliche, ecc. “Il sistema scolastico della minoranza italiana da noi in questi ultimi anni è evidentemente migliorato, il numero degli alunni è in costante aumento, per le necessità materiali di queste scuole, i nostri comitati popolari con l’appoggio della repubblica stanziano importanti mezzi finanziari. La scuola della nostra minoranza sul territorio italiano, invece, vede ancora tutta una serie di problemi non risolti, tra i quali il più preoccupante riguarda la posizione degli insegnanti. Tra essi sono ancor sempre in maggioranza quelli impiegati provvisoriamente poiché gli organi competenti non hanno ancora approvato misure sulla stabilità organizzativa delle scuole slovene. Incomprensibile è anche la resistenza delle autorità scolastiche italiane in merito al riconoscimento dei diplomi rilasciati a Lubiana, in particolare nel campo della slavistica, in quanto è noto che in Italia non vi sono possibilità per lo studio della lingua slovena a livello universitario. La domanda, quindi, è come si farà a formare dei professori per le scuole slovene locali? Chissà se al Comitato Misto hanno già dato una risposta in merito. Fino ad oggi non è stato fatto un passo avanti dalla parte italiana nemmeno in merito all’ attuazione del bilinguismo, anche se il Memorandum contiene delle clausole molto chiare. Probabilmente anche su questo problema i delegati al Comitato Misto hanno richiesto una risposta. “Ciononostante bisogna riconoscere che negli ultimi tempi pure la nostra minoranza in Italia ha conseguito determinati successi, per i quali il merito va certamente al Comitato Misto. Sarebbe da auspicare, però, che anche la politica minoritaria si adeguasse gradual-

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mente alla linea della collaborazione jugoslavo-italiana e del buon vicinato. “Da parte nostra, certamente non manca la buona volontà. Lo dimostrano le bozze delle costituzioni federale e repubblicane e, soprattutto, le bozze degli statuti comunali costieri, dove i diritti della locale minoranza italiana sono specificati dettagliatamente ed esprimono la volontà della nostra comunità sociale di rendere possibile una sua paritaria affermazione in ogni settore della vita pubblica, il che, naturalmente, in buona parte supera gli obblighi che derivano del Memorandum. “I nostri rappresentanti nel Comitato Misto, quindi, possono proprio con questo dimostrare facilmente come sia necessario organizzare le questioni minoritarie. Non siamo informati se la parte italiana ha recepito l’iniziativa dei nostri membri del Comitato. Indubbiamente una forma di reciprocità su un fronte quanto più ampio sarebbe certamente utile per entrambe le parti. Capodistria, 7.12.1962

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Capitolo X Al via i seminari di cultura italiana Verbale della X.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Belgrado, 12 - 18 dicembre 1963. (1) Ordine del giorno; A).: La parte jugoslava ha proposto il seguente ordine del giorno: 1).: Disamina delle misure adottate dal Comitato Misto su entrambi i territori; 2.: Accordo sulle misure che sarebbe necessario intraprendere per una regolamentazione della scuola e dell’insegnamento dei gruppi etnici du entrambi i territori; 3).: Disamina dei ricorsi presentati al Comitato Misto. B).: La parte italiana ha proposto i seguenti argomenti: 1) Disamina delle misure già adottate e che sono necessarie da adottare per una attuazione dello Statuto Speciale su entrambi i territori; 2) Disamina delle proposte inerenti eventuali scambi culturali dei due territori.

Tenendo conto delle questioni che erano state poste all’ordine del giorno dai due governi, il Comitato Misto decise di allungare i lavori accorpando le questioni come segue: I - Disamina delle proposte riguardanti gli scambi culturali tra il territorio sotto amministrazione jugoslava e il territorio sotto amministrazione italiana, come pure le misure che sarebbe necessario apportare per lo sviluppo delle scuole e dell’insegnamento dei due gruppi etnici. II - Esame delle misure già introdotte e di quelle che sarebbe necessario introdurre per l’attuazione dello Statuto Speciale sui territori sotto amministrazione jugoslava, ovvero italiana. III - Disamina dei ricorsi presentati al Comitato Misto.

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All’inizio del dibattito, dopo che la delegazione jugoslava aveva presentato gli argomenti già esposti alla IX sessione (punto II del verbale dal punto a. al punto h.), e sulla base delle controproposte avanzate dalla parte italiana, il Comitato Misto approvò, quasi senza dibattito, almeno stando al verbale, le seguenti conclusioni; a) sulla base della reciprocità e per la durata di un semestre scolastico, le scuole medie dei due gruppi etnici invieranno un esperto pedagogo, quale consigliere per i problemi di metodo nell’insegnamento delle letteratura e delle lingue slovena e rispettivamente italiana; b) organizzazione da parte jugoslava di seminari estivi di aggiornamento per insegnanti di scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana, e da parte italiana l’organizzazione degli stessi seminari per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava; c) assegnazione da parte jugoslava di tre borse di studio agli appartenenti del gruppo etnico jugoslavo sul territorio sotto amministrazione italiana e assegnazione da parte italiana dello stesso numero di borse di studio agli appartenenti del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava per la frequentazione di corsi di aggiornamento presso università dell’altra parte; d) scambio di libri per le biblioteche studentesche e degli insegnanti, di mezzi audiovisivi per le scuole e le biblioteche scolastiche dei rispettivi gruppi etnici, come pure dove possibile, scambio di libri di testo sul territorio dove sono in vigore le clausole dello Statuto Speciale; e) organizzazione da parte jugoslava di escursioni per studenti delle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana, e da parte italiana per studenti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava; f) riunione di esperti delle due parti per la disamina dei programmi di studio di storia e dei libri di testo per questa materia previsti per le scuole dei rispettivi gruppi etnici. Le modalità ed i dettagli tecnici degli scambi culturali concordati verranno confermati con adeguati criteri di gradualità nel corso di riunioni con esperti jugoslavi ed italiani del Comitato Misto e in collaborazione con altri esperti che verranno eventualmente indicati da ciascuna parte.

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Gli accordi conseguiti verranno sottoposti all’approvazione dei rispettivi presidenti. Gli incontri degli esperti si terranno vicendevolmente a Trieste e Capodistria. La prima riunione degli esperti si terrà a Trieste entro la fine di febbraio 1964. Al secondo punto dell’ordine del giorno i membri jugoslavi e italiani si sono scambiati dei promemoria con delle informazioni utili sulle misure che erano state adottate in favore del gruppo etnico italiano e di quello jugoslavo. Nel prosieguo, gli Italiani illustrarono il proprio punto di vista in merito al gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, confermando quanto già esposto nelle sessioni precedenti riguardo i cambiamenti dei cognomi nella forma slava; ricordarono inoltre le difficoltà che gli interessati incontrarono nel disporre di quotidiani e riviste nella propria lingua; sottolinearono pure che le modifiche apportate alle circoscrizioni delle unità amministrative nel 1955, e l’accorpamento dei distretti di Capodistria e Nova Gorica nel 1963, erano in contrasto con l’art. 7 dello Statuto Speciale in quanto era stato fuso un “territorio sotto amministrazione jugoslava” con un “territorio con piena sovranità jugoslava”, modificando in tal modo la percentuale della presenza del gruppo etnico italiano in rapporto al resto della popolazione, il che era influito anche sulla rappresentatività della minoranza negli organi elettivi distrettuali. I membri italiani del Comitato presentarono pure la situazione riguardante i cimiteri e le tombe di famiglia in seguito alle delibere dei comuni sul territorio sotto amministrazione jugoslava, in base alle quali molti appartenenti al gruppo etnico italiano potrebbero essere privati della proprietà o della gestione di queste tombe nelle quali erano sepolti i loro defunti per non esserne stati informati o per non essere stati informati delle misure in vigore e, quindi, impossibilitati a intervenire secondo queste. Infine, per quanto riguarda le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, la delegazione italiana ribadì che esistevano ancora determinate mancanze, secondo le quali c’erano ancor sempre 14 insegnanti che non appartenevano alla stessa madre lingua degli alunni; che tre scuole che appartenevano all’elenco dello Statuto Speciale non funzionavano e che non era stata approntata la Legge croata sulle scuole minoritarie. Conclusero, quindi, proponendo che il ginnasio italiano di Pirano venisse spostato a Buie, e che a Pirano venisse istituita una scuola media di indirizzo industriale, come pure che venissero istituite delle scuole elementari a Villa Nova e Fiorini. Il Comitato affrontò quindi le problematiche proposte da parte jugoslava, ma anche questa volta, sui punti discussi, nonostante il diretto intervento dei governi, non venne concordata alcuna conclusione e il tutto venne rimandato alla sessione successiva. Ciononostante, la macchina della di130


plomazia tra i due Paesi si era giù messa in modo, a tal punto che già nel febbraio del 1964 venne convocata a Trieste anche la prima riunione della Commissione di esperti per il settore scolastico, più volte proposta alle sessioni del Comitato Misto. Nelle note, in fondo a questo verbale, riportiamo il verbale integrale degli incontri degli esperti.(2) Note: (1) La decima sessione del Comitato Misto, che si è svolta a Belgrado nel dicembre del 1963, dopo il nulla di fatto conseguito alle sessioni precedenti, i due governi decisero evidentemente di dare uno scrollone ed una spolverata ai dibattiti tra le due delegazioni. In questo contesto, va visto probabilmente anche il cambio alla guida della delegazione jugoslava che ha visto il ritorno del Console Generale di Trieste, Mitja Vošnjak. Certamente inusuale che i due governi si siano direttamente intromessi nello stabilire l’ordine del giorno accorpando le proposte delle due delegazioni, sicuramente dopo una serie di contatti ai vertici per concordare anche le modalità per uscire dal pantano includente dei dibattiti tira e molla ed evitare che anche questa sessione si concludesse senza un nulla di fatto, come le precedenti. (2) il testo integrale del verbale stilato dagli esperti del Comitato Misto:

VERBALE delle riunioni degli esperti jugoslavi e italiani nel Comitato Misto, come previsto nell’art. 8 dello Statuto Speciale, allegato al Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, che si sono svolti nel periodo tra il 26 febbraio e il 21 luglio 1964 a Trieste e a Capodistria. In base all’accordo approvato alla X.a sessione del Comitato Misto tenutasi a Belgrado dal 12 al 18 dicembre 1963 (punto I. del verbale) , ai sensi dell’art. 8 dello Statuto Speciale, allegato al Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, gli esperti delle due parti si sono incontrati per la prima volta a Trieste il giorno 26 febbraio e, successivamente, agli incontri svoltisi a Trieste e Capodistria, concludendo il lavoro il giorno 21 luglio 1964 a Capodistria con la firma del presente verbale che verrà presentato al Comitato Misto. Gli esperti di entrambe le parti si sono accordati sui seguenti punti: I. IL CONSIGLIERE PEDAGOGICO Le autorità scolastiche jugoslave inviano un consigliere pedagogico per le scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana, le autorità scolastiche italiane inviano un consigliere pedagogico per le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. I consiglieri pedagogici di cui sopra svolgeranno la propria funzione per un periodo di 6 mesi, con inizio a partire dal 1. ottobre 1964.

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Il consigliere pedgogico jugoslavo a Trieste avrà la propria sede presso la Sovrintendenza scolastica, mentre il consigliere pedagogico a Capodistria avrà la propria sede presso l’Istituto istruttivo-pedagogico. Le due istituzioni hanno l’obbligo di assicurare degli uffici adeguatamente attrezzati nonché altre condizioni di lavoro. L’attività del consigliere pedagogico deve svolgersi consensualmente con le autorità scolastiche e, in particolare, con i presidi delle scuole. Il consigliere pedagogico svolge i proprio compiti: - mantenendo contatti con le autorità scolastiche competenti; - convocando riunioni del corpo insegnanti per dare consigli su problemi di carattere pedagogico-didattico e professinale, soprattutto per quelli che si riferiscono all’insegnamento della lingua madre degli alunni; - visitando le ore d’insegnamento e collaborando ai colloqui con gli studenti nel settore della madre lingua; - visionando i compiti scritti degli studenti; - esaminando i programmi di studio ed i libri di testo ed altri strumenti didattici. Le proprie osservazioni ed eventuali suggerimenti li comunica alle autorità scolastiche, al corpo degli insegnanti e anche ai singoli insegnanti. Oltre a quanto sopra esposto, il consigliere pedagogico collabora nei preparativi per la realizzazione delle misure reciproche concordate (preparativi di seminari, scambio di libri e libri di testo per le biblioteche scolastiche, organizzazione di escursioni, ecc.). Il consigliere pedagogico continua a percepire lo stipendio ed altri contributi dall’ente presso il quale è impiegato, l’altra parte, invece, per tutti i sei mesi di attività, gli riconosce un unico contributo speciale di 800.000 (ottocentomila) dinari, ovvero lire. L’importo viene versato in due rate, e cioè uno ad ogni inizio di ogni trimestre. La comunicazione sulla nomina del consigliere pedagogico verrà presentata dagli esperti entro il 15 luglio 1964. II. SEMINARI PER GLI INSEGNANTI Ciascuna parte organizza una volta all’anno un seminario per professori e insegnanti delle scuole dei gruppi etnici, e cioè le autorità scolastiche jugoslave in Jugoslavia per il corpo degli insegnanti delle scuole del gruppo etnico sloveno del territorio sotto amministrazione italiana; le autorità scolastiche italiane in Italia un seminario per il corpo degli insegnanti delle scuole del gruppo etnico italiano del territorio sotto amministrazione jugoslavo. Il programma dei seminari contiene soprattutto temi riguardanti la cultura e la lingua nazionale. Il programma puè essere unitario per tutti i partecipanti del seminario, ma può essere tutto o parzialmente suddiviso in lezioni per professori e lezioni per insegnanti. Durante i seminari sono previste pure escursioni. Sul luogo e sul programma dei seminari gli esperti si accorderanno entro il 1.o di aprile.

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I seminari in Jugoslavia si terranno di regola in settembre, mentre i seminari in Italia si terranno alla fine di giugno oppure in luglio. Le date esatte dei seminari verranno comunicate concordemente dagli esperti. Per ogni seminario sono di regola assicurati 25 posti. L’autorità scolastica stabilisce il numero dei partecipanti a parte per ogni scuola. I presidi ed il quadro insegnanti singolarmente i partecipanti tra gli insegnanti e tra i professori considerando il principio della rotazione. L’elenco dei partecipanti al seminario viene consegnato dagli esperti con un mese d’anticipo sull’inizio del seminario. Tutti i costi del seminario, compresa la pensione, le spese fino al luogo dell’incontro e 2.000 (duemila dinari ovvero lire per ogni partecipante sono a carico dell’organizzatore del seminario. Gli esperti possono aumentare consensualmente questi importi. Le spese di viaggio e le spese per il rilascio dei passaporti sono a carico di ogni parte per i propri partecipanti al seminario. III. BORSE DI STUDIO Ciascuna parte mette a concorso tre borse di studio per gli appartenenti al proprio gruppo etnico. Le borse di studio vengono assegnate su domanda previo concorso per lo studio o per il completamento degli studi della lingua e della letteratura italiana, ovvero per la lingua e la letteratura slovena presso università dell’altra parte. Ogni borsa di studio viene assegnata per un periodo di sei mesi con un importo mensile di 80.000 (ottantamila) dinari, ovvero lire. Le borse di studio possono essere prorogate per un altro anno accademico. Le domande per l’assegnazione delle borse di studio vengono raccolte dalle autorità scolastiche, ciascuna per la propria parte, e dell’assegnazione delle borse di studio decidono definitivamente gli esperti delle due delegazioni. Ogni parte si adopererà affinché vengano assegnate tutte e tre le borse di studio. Nel caso che tutte e tre le borse di studio non venissero assegnate, gli esperti delle due parti si consulteranno onde assicurare il miglior modo per assicurare la parità nell’assegnazione delle borse. IV. SCAMBIO DI LIBRI E DI MATERIALE DIDATTICO PER LE BIBLIOTECHE SCOLASTICHE Le autorità scolastiche jugoslave offrono alle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione jugoslava, le autorità italiane invece alle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava libri gratuiti per le biblioteche scolastiche. Portatori dello scambio di libri sono l’Istituto istruttivo-pedagogico di Capodistria e la Sovrintendenza scolastica di Trieste. Gli elenchi dei libri necessari verranno compilati dalle scuole che li consegnano

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agli enti sopra citati, i quali li trasmettono agli esperti che decidono definitivamente dello scambio. Con le stesse modalità si realizza anche lo scambio di mezzi audiovisivi e di altro materiale di studio ausiliario. V. SCAMBIO DI LIBRI DI TESTO I libri di testo, che vengono usati nelle scuole elementari jugoslave ovvero italiane, e per i quali è stato verificato che possono essere usati anche dalle scuole di entrambi i gruppi etnici, vengono messi a disposizione gratuitamente in un numero adeguato a queste scuole. Ugualmente vengono scambiati anche i libri di testo per le scuole medie di entrambi i gruppi etnici. Le due parti metteranno a disposizione i libri di testo gratuitamente e in numero soddisfacente, agli alunni verranno consegnati ad un costo adeguato. Il denaro così raccolto verrà consegnato in un fondo per l’acquito di mezzi didattici ai sensi di questo accordo. Per verificare l’adeguatezza dei libri di testo le due parti si scambieranno i libri di testo prescelti e presi in considerazione per lo scambio. VI. ESCURSIONI SCOLASTICHE DI STUDIO Ciascuna parte organizza una volta all’anno un’escursione di studio per gli alunni delle scuole elementari ovvero delle scuole medie inferiori e un’escursione di studio per gli studenti delle scuole medie dei gruppi etnici dell’altro territorio. Le escursioni di regola durano; per gli alunni delle scuole elementari e delle scuole medie inferiori 3 giorni, per gli studenti delle scuole medie, invece, 7 giorni. Ogni gruppo è composto di regola da 25 alunni ovvero studenti e da due accompagnatori. L’organizzatore assicura ad ogni gruppo un proprio accompagnatore. I partecipanti all’escursione vengono stabiliti da ogni parte per conto proprio in base ad una determinata chiave, che tenga conto di un giusto rapporto tra le scuole. Per quanto riguarda la scelta individuale, invece, in base al parere dei presidi ovvero del corpo degli insegnanti. Le escursioni di tre giorni hanno luogo durante l’anno scolastico, quello di sette giorni, invece, alla fine dell’anno scolastico. Il termine esatto di ogni escursione viene stabilito consensualmente dagli esperti. L’organizzatore prepara il programma dell’escursione e lo comunica all’altra parte tramite gli esperti entro il 1. aprile. Tutte le spese delle escursioni, comprese le spese di viaggio dal punto di partenza, includono la pensione e 500 dinari, ovvero lire, quotidiane per ogni partecipante, e 2.000 dinari, ovvero lire, per ogni accompagnatore, sono a carico dell’organizzatore dell’escursione. Gli esperti possono consensualmente aumentare questi importi. Le spese di trasporto fino al punto della partenza e le spese per il rilascio

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dei documenti di viaggio sono a carico di ciascuna Parte per i propri partecipanti all’escursione. VII. PROGRAMMA DI STUDIO DELLA STORIA E LIBRI DI TESTO DI STORIA Entro il 1. dicembre del 1964 gli esperti delle due delegazioni si scambieranno il programma di studio della storia e dei libri di testo di storia che sono in uso presso le scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana, ovvero, nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Durante il mese di febbraio 1965 si svolgerà il primo incontro di esperti che verrà seguito da uno o due storici per uno scambio di opinioni riguardanti il programma d’insegnamento della storia e in merito ai libri di testo che avranno avuto in visione. VIII. EVENTUALI MODIFICHE E ADEGUAMENTI In circostanze particolari, gli esperti delle due Parti possono consensualmente modificare o adeguare le modalità di questo verbale sull’attuazione dell’accoordo sugli scambi culturali, approvato alla X.a sessione del Comitato Misto. Approvato a Capodistria il 21 luglio 1964 in doppio originale, in lingua slovena e in lingua italiana. Fanno fede entrambi gli originali. Črtomir Kolenc, m.p. Stane Mihelič, m.p. Guido Gerin, m.p. Giuliano Angioletti, m.p.

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Capitolo XI Scambi culturali nelle scuole Verbale dell’ XI.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Roma, dal 9 al 17 dicembre 1964. (1) Ordine del giorno: A) da parte jugoslava: - 1. Realizzazione delle conclusioni della X.a sessione del Comitato Misto riguardanti gli scambi culturali tra il territorio sotto amministrazione jugoslava e quello sotto amministrazione italiana, disamina della proposta degli esperti per lo sviluppo dell’istruzione e dell’insegnamento dei due gruppi etnici, compresa l’approvazione del verbale sull’attività del gruppo di esperti; - 2. Disamina delle misure adottate e che ancora sarebbe necessario approntare per l’attuazione dello Statuto Speciale; B) da parte italiana: - 1. Disamina delle misure adottate e che ancora sarebbe necessario approntare per l’attuazione dello Statuto Speciale; - 2. Approvazione dell’accordo degli esperti in merito agli scambi culturali e alla realizzazione di questo accordo. Preso atto delle proposte avanzate dai due governi, il Comitato Misto concordò di discutere le questioni proposte come segue: I - Informazione sull’approvazione del verbale della X.a sessione del Comitato Misto; II - Approvazione dell’Accordo tra gli esperti in merito all’istruzione, conseguito sulla base della comune conclusione della X.a sessione del Comitato Misto e realizzazione di questo Accordo; III - Misure adottate e che ancora sarebbe necessario adottare per l’attuazione dello Statuto Speciale sui territori sotto amministrazione jugoslava ovvero italiana; IV - Varie.

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Sotto il primo punto, il Comitato Misto non ha fatto altro che prendere atto, senza dibattito, dell’informazione secondo cui i Governi della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia e la Repubblica d’Italia avevano confermato il verbale della sessione precedente del Comitato. In seconda istanza, il Comitato esaminò e approvò anche il verbale delle riunioni degli esperti jugoslavi e italiani, svoltisi a Trieste e a Capodistria nel periodo da 26 febbraio al 21 luglio 1964 e che noi abbiamo pubblicato, tradotto in italiano, nelle Note del capitolo precedente. Esame, soprattutto per verificare e confermare le procedure ed i dettagli tecnici per la realizzazione degli scambi culturali tra le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava e le scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana. Sulla materia, sono stati gli esperti a presentare la relazione riguardate le misure che erano state adottate dalle due parti per l’attuazione concordata del programma: Consiglieri pedagogici. I consiglieri pedagogici si trovavano in servizio a Capodistria e a Trieste già a partire dal mese di ottobre del 1964. Seminari per insegnanti. Da parte jugoslava, nel settembre 1964, è stato organizzato a Bled un seminario per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana, mentre da parte italiana, nel luglio dello stesso anno, è stato organizzato a Riva del Garda un seminario per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Ogni seminario è stato frequentato da gruppi di 25 insegnanti. Borse di studio. Le due parti hanno emesso un bando di concorso particolare per la concessione di tre borse di studio per lo studio e l’aggiornamento della lingua e della letteratura slovena, ovvero italiana, alle università di Lubiana e Padova. Tenendo conto del numero degli interessati, le due parti hanno concordato che per l’anno scolastico 1964/65, il numero delle borse di studio venga aumentato da tre a quattro. I borsisti scelti verranno informati delle borse di studio concesse. Scambio di libri e materiale didattico per le biblioteche scolastiche. In collaborazione con i consiglieri pedagogici è in corso di svolgimento anche questo punto dell’Accordo. Gli elenchi dei libri proposti per lo scambio saranno completati entro il 31 dicembre del 1964. Scambio di libri di testo. Con l’aiuto dei consiglieri pedagogici è in corso di svolgimento anche questo punto dell’Accordo. Nel frattempo, da entrambe le parti si stanno usando alcuni libri di testo pubblicati dall’altra parte.

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Escursioni scolastiche. La parte jugoslava ha organizzato un’escursione in Jugoslavia per un gruppo di 25 studenti delle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana che, nel frattempo, ha visitato tra l’altro Lubiana, Sarajevo, Zagabria e Belgrado. La parte italiana ha organizzato nel luglio 1964 un’escursione nel Veneto per un gruppo di 25 alunni delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Una seconda escursione a Roma e Napoli è stata organizzata lo stesso mese per sei maturandi. Programmi di studio e libri di testo di storia. Gli esperti delle due parti si scambieranno tra breve i programmi ed i libri di testo per la storia che sono in uso nelle scuole destinate agli appartenenti dei rispettivi gruppi etnici. Gli esperti torneranno nuovamente ad incontrarsi nel febbraio 1965 per uno scambio di opinioni. Per quanto riguarda il punto successivo all’ordine del giorno, il Comitato ha preso atto delle relazioni presentate in merito alle misure che sono state intraprese nel periodo tra la X.a e l’XI.a sessione. La delegazione jugoslava informò che il Consiglio per la cultura e l’istruzione dell’Assemblea della Repubblica Socialista di Slovenia aveva preso in esame i problemi riguardanti la vita culturale dei gruppi etnici italiano e ungherese. Nel dibattito, usando la propria madrelingua, sono stati gli stessi appartenenti dei rispettivi gruppi a illustrare i problemi più importanti. Anche il Sabor della Repubblica Socialista di Croazia il 9 luglio 1964 aveva approvato al Consiglio per la cultura e l’istruzione la Legge sulle scuole con lingua d’insegnamento delle nazionalità, con la quale veniva regolata, tra l’altro, la posizione giuridica delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio dei comuni di Buie, Cittanova e Umago. Per tutte queste scuole, oltre alle clausole generali, verranno adottate anche le misure previste dallo Statuto Speciale. Per assicurare la realizzazione delle norme della Costituzione della Repubblica Socialista di Slovenia sulla gestione bilingue degli organi amministrativi, il Segretariato Repubblicano per il Bilancio e l’Amministrazione Generale ha emesso il 9 dicembre 1963 un Regolamento Provvisorio sulla gestione degli organi amministrativi comunali e distrettuali sul territorio bilingue, nello stesso tempo, il Segretariato Repubblicano per l’Amministrazione della Giustizia ha emesso un Regolamento provvisorio per assicurare la gestione bilingue dei tribunali sullo stesso territorio. Norme particolari per assicurare la parità di diritti degli appartenenti ai gruppi etnici sono state inserite negli Statuti dei Distretti di Pola e Capodistria. Norme sulla posizione e sui diritti degli appartenenti al gruppo etnico italiano sono state inserite negli Statuti dei comuni sotto amministrazione jugoslava. Nello Statuto del comune di Buie, ai diritti degli appartenenti al gruppo etnico italiano sono interamente o parzialmente dedicati gli artt. 7,

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39, 42 - 45, 73, 123, 143, 147, 149 e 165; nello Statuto del Comune di Cittanova, gli artt. 6, 44, 46, 60, 76, 136, 137 e 159; nello Statuto del Comune di Umago, gli artt. 6 - 9, 51 - 53, 56, 72, 87, 134, 150, 153, 155 e 168; nello Statuto del comune di Capodistria, gli artt. 1, 6, 7, 95 - 108; i comuni di Isola e Pirano hanno dedicato ai diritti del gruppo etnico italiano, praticamente gli stessi articoli del comune di Capodistria. Come negli anni precedenti anche durante il 1964, durante le vacanze scolastiche invernali, si è svolto il seminario di lingua e cultura italiana per gli insegnanti e gli studenti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. A Rovigno, inoltre, si è svolto il tradizionale seminario per insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, dove hanno tenuto le proprie lezioni anche discenti provenienti dall’Italia. Al Dramma Italiano di Fiume, che sviluppa la propria attività anche sul territorio sotto amministrazione jugoslava, sono state versate dotazioni per un importo totale di 36,100.000 dinari. Alla Casa Editrice “EDIT” di Fiume sono state versate per le necessità editoriali italiane, sovvenzioni per un importo totale di 186,144.144 dinari. Dai mezzi della Repubblica Socialista di Croazia, della Repubblica Socialista di Slovenia e dei comuni, per le attività dei Circoli Italiani di Cultura sul territorio sotto amministrazione jugoslava sono stati pagate dotazioni per un importo complessivo di 7,100.000 dinari. Per la preparazione del numero necessario di insegnanti e di altri esperti altamente qualificati degli appartenenti al gruppo etnico italiano,nel corso dell’anno scolastico 1964/65 è stato approvato un consistente numero di borse di studio per studenti universitari e di scuole medie. Per gli appartenenti al gruppo etnico italiano è assicurata la procedura bilingue presso gli organi giudiziari e amministrativi. Il bilinguismo viene attuato interamente sulle scritte e tabelle pubbliche, nel rilascio dei documenti, nell’approvazione di delibere e simili, elementi che la parte jugoslava illustra presentando una serie di nuovi documenti. Anche la parte italiana, nel prosieguo illustrò le più importanti misure adottate in favore del gruppo etnico jugoslavo sul territorio sotto amministrazione italiana. Alla fine delle presentazioni, il Comitato Misto concluse quel punto all’ordine del giorno constatando che sui territori sotto amministrazione jugoslava e rispettivamente italiana, nel periodo tra la X e l’XI sessione, erano state adottate importanti misure che contribuiranno a migliorare la situazione attuale delle scuole. Formalmente, il Comitato Misto approvò consensualmente: - che il mandato dei consiglieri pedagogici venga prorogato fino al 30 giugno 1965; - che, sulla base della relazione che verrà presentata dai consiglieri pedagogici alla fine del loro mandato, gli esperti delle due delegazioni prendano

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in esame la situazione delle scuole e della rete scolastica dei rispettivi gruppi etnici, al fine di adottare possibili misure di miglioramento. Sui risultati di questo esame verranno informati i presidenti delle due delegazioni. I membri jugoslavi sottolinearono che sarebbe necessario adottare ulteriori misure dal punto di vista organizzativo delle scuole e dello “status” degli insegnanti nelle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana; migliorare la posizione della lingua slovena in quanto madrelingua degli alunni; verificare l’eventualità di istituire nell’ambito dell’amministrazione scolastica un nuovo ruolo per le necessità delle scuole con lingua d’insegnamento slovena; esaminare il problema dell’insegnamento specialistico per gli appartenenti al gruppo etnico sloveno. I membri italiani della delegazione ribadirono che la Legge sulle scuole con lingua d’insegnamento delle rispettive nazionalità della Repubblica Socialista di Croazia, ancor sempre conteneva determinate manchevolezze che avrebbero dovuto esser eliminate; che alcuni insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava ancor sempre non erano della stessa madrelingua degli alunni e che, in alcuni casi, anche il loro numero era insufficiente; che sarebbe stato necessario tener particolarmente conto delle richieste di spostare il ginnasio di Pirano a Buie e di istituire una nuova scuola elementare, tenendo conto anche della circostanza per cui a Trieste e a Sistiana erano stati recentemente inaugurati due nuovi asili infantili sloveni. Il Comitato Misto, inoltre, ascoltò le relazioni delle due delegazioni riguardanti altri problemi che interessavano i rispettivi gruppi etnici su entrambi i territori dove era in vigore lo Statuto Speciale. Tra i più importanti, per quanto riguardava il gruppo etnico jugoslavo, certamente l’inaugurazione del “Kulturni Dom” - la Casa di Cultura slovena di Trieste - dopo che era stato risolto favorevolmente il ricorso presentato dall’Associazione “Dom” al Ministero per il turismo e lo spettacolo, il quale aveva abolito la condizione che prevdeva l’allestimento gratuito degli spettacoli. In merito, il Comitato Misto constatò che al Teatro Sloveno di Trieste era stato riconosciuto il ruolo di compagnia di prima classe e che, pertanto, in futuro avrebbe potuto fruire delle previste sovvenzioni pubbliche. Anche la parte italiana ribadì che l’accordo sugli scambi culturali aveva influito favorevolmente su entrambi i gruppi etnici. Tuttavia avevano ancora delle osservazioni che, a loro parere, avevano influito negativamente sui sentimenti nazionali del gruppo etnico italiano. In particolare le modifiche apportate d’ufficio ai cognomi italiani, alcuni errori nelle traduzioni degli statuti comunali, le traduzioni in lingua slovena delle descrizioni testuali del 140


catasto che, originariamente, erano state scritte in lingua italiana, il fatto che le leggi scolastiche croata e slovena non erano state dedicate esclusivamente alle scuole con lingua d’insegnamento italiana, come pure l’insufficiente numero di pubblicazioni che venivano importate dall’Italia, sia nel settore della stampa, sia nel settore delle attività editoriali, esprimendo l’auspicio che possa venir inaugurata un libreria italiana, come a suo tempo era stato fatto a Trieste in favore del gruppo etnico jugoslavo. Richiamandosi agli argomenti già esposti nel corso delle sessioni precedenti, gli Italiani ribadirono nuovamente che, a loro parere, le modifiche delle circoscrizioni comunali e l’accorpamento dei Distretti di Capodistria e Nova Gorica erano in contrasto con l’art. 7 dello Statuto Speciale, in quanto così era stato modificato anche il rapporto della consistenza numerica tra il gruppo etnico italiano e quello jugoslavo, e un tanto anche nell’ambito dell’assemblea rappresentativa. La situazione in cui era venuto a trovarsi il gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, aveva indotto i membri italiani ad attirare l’attenzione dei membri jugoslavi sulle conseguenze negative del fatto che da parte jugoslava erano state esposte delle tabelle con la scritta “confine di stato” in prossimità della linea che divide il territorio sotto amministrazione jugoslava da quello sotto amministrazione italiana. Nonostante il fatto che i membri italiani avessero sottolineato che la questione avrebbe dovuto esser discussa in altra sede, ritennero che l’iniziativa rappresentasse una violazione del Memorandum d’Intesa, ed espressero l’auspicio che la questione potesse venir risolta rapidamente e in maniera soddisfacente. Naturalmente, gli jugoslavi esprimendo il loro parere sostennero che questo problema non era di competenza del Comitato Misto. Il Comitato misto, sempre sotto questo punto all’ordine del giorno, esaminò pure la possibilità di rafforzare i collegamenti dei due gruppi etnici con la vita culturale dei popoli delle matrici nazionali. A tiolo di esempio, i membri jugoslavi formularono a tal fine i seguenti suggerimenti: scambi di pellicole nell’ambito delle organizzazioni culturali con agevolazioni dal punto delle formalità per le importazioni e le proiezioni; scambi di conferenzieri; organizzazione di visite di gruppi teatrali; scambi di libri per le biblioteche delle organizzazioni culturali dei gruppi etnici; scambi di mostre itineranti di libri, ecc. Gli italiani si riservarono il diritto di rispondere dopo una disamina delle proposte con i rispettivi organi competenti. Al quarto punto, dedicato ai ricorsi, nuovamente nessuna richiesta da parte di singoli o enti del gruppo etnico italiano. Da rilevare, tuttavia, a parte la brevità dei verbali e, conseguentemente, dei dibattiti svoltisi, anche il fatto che il giorno stesso della conclusione della sessione ordinaria, il 17 dicembre 1964, si svolse uno scambio di lettere tra i

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presidenti delle due delegazioni, quasi a voler rimarcare ulteriormente che i rapporti tra i due Paesi erano entrati in una fase caratterizzata dalla reciproca volontà di non inasprirli con nuove tensioni riguardanti la posizione dei due gruppi etnici. Il presidente della delegazione italiana, Giulio Pascucci Righi, con la lettera informava il collega jugoslavo Mitja Vošnjak che, in base all’accordo conseguito alla IV sessione del Comitato Misto tenutasi a Belgrado nel febbraio del 1959, giuridicamente convalidata dal decreto del Presidente della Repubblica d’Italia No. 478 del 15 marzo 1964 e approvata in base alle clausole dello Statuto Speciale allegato al Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, a Borgo Grotta Gigante, era stata aperta una scuola elementare con lingua d’insegnamento slovena. Lo stesso giorno, il presidente della parte jugoslava, Mitja Vošnjak, provvedeva a informare il collega italiano che l’art. 3 della Legge sulle scuole con lingua d’insegnamento delle rispettive nazionalità, approvata dal Sabor della Repubblica Socialista di Croazia, prevedeva l’attuazione delle misure previste dallo Statuto Speciale per le scuole con lingua d’insegnamento italiana, per cui le richieste avanzate da parte italiana al punto III dell’ordine del giorno non sarebbero state applicate alla scuola con lingua d’insegnamento italiana di Salvore, istituita in base all’accordo conseguito alla IV sessione del Comitato Misto. Nel contempo, il presidente jugoslavo ha voluto confermare che tutte le clausole previste dallo Statuto Speciale erano pienamente in vigore anche per la scuola di Salvore.

Note: (1) Evidentemente la tensione tra Italia e Jugoslavia degli ultimi due-tre anni andava smorzandosi e, di conseguenza, anche la disponibilità del Comitato Misto a risolvere alcuni dei problemi presentati dall’altra parte era maggiore. In quest’atmosfera alquanto rilassata venne convocata a Roma anche l’XI.a sessione ordinaria del Comitato Misto nei giorni dal 9 al 17 dicembre 1964. A guidare le rispettive delegazioni Mitja Vošnjak, per la Jugoslavia, e Giulio Pascucci Righi per l’Italia. Va detto ancora che, nel frattempo, dopo le delegazioni dei primi anni, ora il numero dei componenti le singole delegazioni non superava le cinque persone, compresi i segretari e con l’aggiunta dei traduttori e delle segretarie. Modificata, dopo l’ultima sessione, pure la modalità per proporre l’ordine del giorno. Questo veniva concordato ascoltando prima le proposta del Paese ospite e poi di quello ospitante. Anche per questa undicesima sessione i temi da trattare vennero proposti direttamente, previo accordo, dai due governi.

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Capitolo XII Il punto sulla scuola con lingua d’insegnamento italiana Verbale (1) dell’ XI.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Belgrado, dal 9 al 16 dicembre 1965

La XII.a sessione ordinaria del Comitato Misto previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale si tenne a Belgrado dal 9 al 16 dicembre 1965. Oltre alla solita compagine delle due delegazioni, jugoslava e italiana, questa volta a parlare dei problemi della scuola sono stati invitati i consiglieri pedagogici, il prof. Stane Mihelič per la Jugoslavia, e Fernando Salsano per l’Italia. La seduta risultò particolarmente importante in quanto proprio la scuola italiana nell’ex Zona B e la scuola slovena nell’ex Zona A erano state al centro dei dibattiti dell’incontro belgradese. Questo l’ordine del giorno, che riportiamo di seguito quasi interamente, approvato seguendo le indicazioni dei due governi: - Relazioni degli esperti jugoslavi e italiani sul lavoro espletato nell’attuazione delle conclusioni accolte alle sessioni precedenti del Comitato Misto per migliorare la situazione delle scuole e per rafforzare gli scambi culturali in favore deli due gruppi etnici; - Relazioni dei consiglieri pedagogici sulla loro attività e sulla situazione delle scuole sui territori sotto amministrazione italiana e rispettivamente jugoslava; - Misure adottate e che sarebbe necessario ancora adottare per l’applicazione dello Statuto Speciale sui due territori.

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Il Comitato, verificati velocemente e senza dibattito i verbali, iniziarono subito ad illustrare i risultati conseguiti dagli esperti tra l’XI.a e la XII.a sessione. Ribadirono che gli esperti si erano incontrati ben otto volte da febbraio a dicembre 1965 con il compito di armonizzare le modalità ed i dettagli per l’ulteriore realizzazione dell’accordo sugli scambi culturali in favore dei due gruppi etnici. In particolare, per quanto riguarda i singoli punti dell’accordo, gli esperti ribadirono quanto segue: Consiglieri pedagogici. Ai due consiglieri pedagogici, il prof. Stane Mihelič e il prof. Fernando Salano, venne confermata la proroga della funzione anche per l’anno scolastico 1965/1066, che essi assunsero rimanendo in servizio a Trieste e rispettivamente a Capodistria. Seminari per insegnanti. La parte jugoslava ha organizzato nel mese di settembre 1965 a Podvin in Slovenia un seminario per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana. La parte italiana ha organizzato sul Lago di Garda nei mesi di giugno-luglio 1965 un seminario per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Considerando il grande numero di interessati, è stato concordato che il numero dei partecipanti a questi seminari venga incrementato da 25 a 30. Borse di studio. Anche durante il 1965 le due parti hanno bandito il concorso per l’assegnazione di borse di studio per lo studio e l’aggiornamento della lingua e della letteratura slovena e rispettivamente italiana presso le università di Lubiana e di Padova. Considerando il numero delle richieste, le due parti hanno concordato che per l’anno accademico 1965/66, il numero delle borse di studio venga aumentato da quattro a sei. Previa verifica dei criteri previsti per definire le precedenze degli interessati, le borse di studio sono state assegnate agli insegnanti che si sono affermati nei primi sei posti. I candidati prescelti sono stati immediatamente informati e stanno già frequentando i centri universitari previsti. Scambi di libri e di mezzi didattici per le biblioteche scolastiche. Questo punto dell’accordo non è stato ancora realizzato. È stato però concordato che i consiglieri pedagogici portino a termine quanto prima la raccolta e la revisione degli elenchi dei libri e dei mezzi didattici richiesti dalle scuole interessate e quindi si proceda agli scambi nell’ambito dei mezzi che sono già stati assicurati da parte dei due governi.

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Scambi di libri di testo. In base agli accordi precedenti gli esperti hanno provveduto allo scambio degli elenchi dei libri di testo stampati in Jugoslavia e in Italia e compilati dagli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana e rispettivamente dagli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. La proposta è stata quella di accettarli per l’anno scolastico 1965/66. I libri di testo richiesti dalla parte jugoslava sono stati già inviati alle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana e distribuiti agli studenti. Da parte italiana la fornitura dei libri di testo è in corso. Escursioni scolastiche. Considerando il grande interesse degli studenti per le escursioni scolastiche, le due parti hanno concordato che per l’anno scolastico 1964/65 il numero dei partecipanti benga aumentato da 25 a 30. La parte jugoslava ha organizzato un’escursione scolastica della durata di tre giorni attraverso la Jugoslavia nel mese di aprile con un gruppo di 30 alunni delle scuole medie inferiori con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana. Nel mese di luglio, invece, vi ha preso parte un gruppo di 30 studenti delle scuole medie superiori per una durata di otto giorni. La parte italiana ha organizzato un’escursione scolastica di tre giorni attraverso l’Italia nel mese di aprile. Vi ha preso parte un gruppo di 3o alunni delle classi superiori delle scuole elementari con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Nei mesi di giugno-luglio è stata organizzata una seconda escursione della durata di otto giorni per un gruppo di 30 studenti delle scuole medie superiori. Programmi di studio e libri di testo di storia. Gli esperti del Comitato Misto, in collaborazione con gli esperti per la disamina dei programmi e dei libri di testo per l’insegnamento della storia che vengono usati nelle scuole dei due gruppi etnici, si sono riuniti più volte sia a Trieste che a Capodistria, nel periodo tra il 26 maggio e il 29 luglio 1965. Dopo aver discusso delle osservazioni e delle proposte presentate da ambo le parti, in particolare di quelle riguardanti la necessità di aggiornare i programmi attuali con nuovi temi che riguardino la storia della matrice nazionale degli alunni, hanno concordato che nei programmi attualmente in uso devono venir inseriti adeguati aggiornamenti e le dovute correzioni; in questo senso sono stati preparati dei nuovi programmi. 145


Le attività si sono svolte in un’atmosfera di cordialità e gli esperti si sono sempre trovati concordi in merito alle osservazioni ed alle proposte. Per quanto riguarda l’esame dei libri di testo, gli esperti hanno deciso di non esaminare le dispense attualmente in uso, ma di aspettare la pubblicazione dei nuovi libri di testo che si stanno preparando. Altrettanto hanno concordato, in quanto possibile, di prendere in esame le prime bozze dei testi in stampa. in modo che fosse possibile tener conto di eventuali proposte e osservazioni. Alle riunioni degli esperti del Comitato Misto per l’attuazione degli Accordi del 1 giugno 1964, come pure alle riunioni degli esperti per la disamina dei programmi e dei libri di studio per l’insegnamento della storia, erano spesso presenti, offrendo il proprio aiuto, anche i due consiglieri pedagogici, il prof. Stane Mihelič e il prof. Fernando Salsano. Nel prosieguo della sessione, al terzo punto dell’ordine del giorno, il Comitato Misto ascoltò le relazioni dei consiglieri pedagogici. Il prof. Salsano nella sua relazione illustrò le seguenti tematiche, che riportiamo integralmente: Asili infantili. È assolutamente necessario che un piccolo numero di asili infantili esistenti vengano abilitati per un migliore funzionamento che permetta la fruizione di locali più idonei, assicurando i mezzi necessari e una separazione dagli asili sloveni e croati. È altresì necessario che vengano istituiti degli asili infantili nelle località dove già esistono le prime quattro classi della scuola elementare. Il numero insufficiente di asili infantili rientra nell’ambito dei motivi determinanti che contribuiscono alla graduale diminuzione del numero dei ragazzi che frequentano la scuola. In questo contesto bisogna tener presente quanto ebbe a dichiarare il Presidente dell’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume nella sua relazione sulle scuole italiane del 20 giugno 1965. Scuole ottennali, ovvero scuole elementari. Senza parlare delle specifiche osservazioni che possono essere inserite nel contesto della preparazione dei singoli insegnanti, è necessario avvertire che a Isola, Sicciole, Buie e Cittanova si trovano in ruoli direttivi insegnanti che dispongono soltanto del diploma della scuola magistrale o ginnasiale, e che soltanto alcuni di loro sono attualmente iscritti ai corsi dell’Accademia pedagogica di Pola. In tutte le scuole ottennali la maggior parte degli insegnanti dispone di qualifiche insufficienti. Le scuole con soltanto quattro classi si trovano generalmente in una situazione molto sfavorevole, in quanto tutte e quattro le classi sono assegnate ad un 146


solo insegnante, oppure a due, che operano in classi accorpate. Le scuole con quattro classi devono affrontare pure altre difficoltà causa insufficienti attrezzature (mezzi didattici, arredo manchevole, riscaldamento, ecc), insufficienti mezzi ed uno stato precario degli ambienti. In alcune scuole sul territorio croato i registri sono compilati soltanto in lingua croata. Scuole medie superiori. Queste scuole dispongono generalmente di un numero sufficiente di aule, di mezzi didattici e di biblioteche. È ben nota la costante crisi in cui si trova il ginnasio di Pirano; è già stato segnalato che i milioni che vengono spesi a Pirano avrebbero miglior effetto a Buie per un ginnasio che potrebbe svilupparsi e mettere in ombra il carattere di tutte le altre scuole medie superiori. La scuola media economica di Isola potrebbe svilupparsi meglio nel prossimo futuro. Lo stesso si può dire per l’avviamento professionale di Isola. È del tutto evidente che le necessità degli appartenenti al gruppo etnico italiano dal punto di vista dell’insegnamento tecnico-professionale di carattere industriale non puà essere soddisfatto soltanto con degli alunni dell’avviamento dove l’insegnamento si svolge con dei corsi trimestrali. Perciò è necessario quanto prima istituire una scuola media tecnico-professionale, per esempio a Pirano, che verrebbe organizzata per corrispondere alle esigenze sia del territorio sloveno che di quello croato. Sezioni delle Accademie Pedagogiche. Le Accademie Pedagogiche di Lubiana e di Pola hanno istituito delle proprie sezioni a Capodistria e rispettivamente a Buie. Indubbiamente si tratta di iniziative utili. Tuttavia bisogna segnalare le seguenti manchevolezze: 1) Ad eccezione della lingua e della letteratura italiana, le lezioni ed i libri di testo sono in lingua slovena o croata, e queste lingue non sono sempre abbastanza vicine agli appartenenti al gruppo etnico italiano. La preparazione professionale conseguita con la frequentazione di questi corsi, viene poi usata nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, dove, invece, la lingua deve essere organicamente legata allo spirito ed alla forma della lingua italiana. 2) Il costo dei libri di testo che vengono raccomandati molto spesso supera le possibilità economiche degli studenti. Sotto questo aspetta è necessario prendere qualche misura. Insegnamento della lingua italiana. Per quanto riguarda l’insegnamento della lingua italiana è necessario esaminare separatamente gli elementi che sono legati a condizioni obiettive

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degli alunni e dell’ambiente in cui vivono, da quelli che dipendono dall’organizzazione della scuola. Questi elementi sono i seguenti: la mancanza di libri di testo sia scolastici che di lettura, la mancanza di insegnamento prescolare, l’insegnamento nelle classi combinate (due o addirittura quattro classi accorpate), l’assenza di attività extrascolastiche, insufficienti mezzi didattici, insufficiente preparazione didattica e linguistica degli insegnanti, la mancanza di giornali pedagogici e di strutture scolastiche. Si segnala la necessità di dar vita alle seguenti iniziative: istituzione e funzionamento di asili infantili; introduzione di attività extrascolastiche; aumento di mezzi didattici e di audiovisivi; sostituzione dei libri di testo inadeguati; aggiornamento delle biblioteche; programmi che siano più dettagliati e, se possibile, più semplici; sviluppo di gruppi teatrali dilettantistici; visita degli alunni alle città italiane; aggiornamenti specialistici degli insegnanti; seminari linguistici e didattici; abbonamento delle scuole elementari a riviste di pedagogia, scambi di esperienze con insegnanti delle scuole italiane. Apertura di nuove scuole. Con un attento esame delle località dove risiede la popolazione di nazionalità italiana, sarebbe possibile evidenziare quelle dove sarebbe opportuna l’apertura di una scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana, per esempio a Villanova. Va accennato pure alla necessità di aprire una scuola di orientamento tecnico-professionale. Tuttavia è più importante la proposta di aprire una nuova scuola media, un ginnasio, nella zona di Buie. Abbiamo registrato un desiderio espresso spontaneamente dagli alunni di Buie, Umago e Cittanova, che hanno dichiarato ai propri insegnanti la disponibilità ad iscriversi nella prima classe del ginnasio se questo venisse aperto. Su questo si sono espressi anche per iscritto. In questo modo la prima classe di Buie avrebbe assicurato un numero di iscritti superiore al numero degli iscritti nei ginnasi di Capodistria e di Pirano. Non è assolutamente vero, che con le borse di studio è possibile recuperare la mancanza di una scuola in città. Le stesse autorità scolastiche jugoslave hanno confermato che nonostante il sistema delle borse di studio in funzione già da anni, soltanto il 5% degli alunni che portano a termine la scuola ottennale poi continua lo studio nelle scuole medie. Un’altra proposta da prendere in considerazione riguarda l’apertura di classi superiori nelle scuole elementari situate lontano dai centri più importanti (per esempio Bassania, Verteneglio, Momiano e Strugnano). Programmi e libri di testo. Caratteristica comune dei programmi delle scuole di tutti i tipi sul territorio croato e su quello sloveno, è che sono costruiti sull’esempio dei corrispondenti programmi delle scuole croate o slovene, con aggiunte per quanto riguarda la storia e la cultura italiana. Per questo motivo, i programmi sono quasi sempre troppo ingombranti, con la conseguenza che a soffrire sono i 148


programmi dedicati alla cultura italiana in generale. Per quanto riguarda i libri di testo, è auspicabile che quanto prima vengano acquistati libri pubblicati in Italia. È seguita l’esposizione del prof. Mihelič sulla situazione nelle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana, che però tralasciamo, per dare spazio alle conclusioni generali su questo punto del Comitato Misto. Il Comitato Misto, dopo aver ascoltato ancora le relazioni dei rispettivi consiglieri pedagogici, delle quali però non disponiamo i testi, concluse che era necessario impegnarsi ulteriormente per lo sviluppo della situazione scolastica, realizzando completamente l’accordo del 21 luglio 1964, al fine di migliorare - dove necessario - la posizione materiale delle scuole, di adeguare i programmi d’insegnamento alle necessità dei rispettivi gruppi etnici e, infine, di impegnarsi per migliorare la qualità dell’insegnamento della madrelingua e la professionalità del corpo insegnanti. Il Comitato Misto decise pure di incaricare un proprio sottocomitato, formato da due membri per ogni parte e dai rispettivi consiglieri pedagogici, per esaminare le possibilità e le modalità per l’istituzione di scuole tecniche con lingua d’insegnamento slovena a Trieste e con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Questo, magari, trasformando scuole già esistenti, ed esaminare nel contempo anche possibilità e modalità per l’apertura del ginnasio a Buie, eventualmente spostando quello di Pirano. A far parte del sottocomitato di cui sopra, da parte jugoslava sono stati nominati Črtomir Kolenc, Božo Vukobratović e Stane Mihelič, da parte italiana, invece, Mario Tavella, Giuliano Angioletti e Fernando Salsano. Il sottocomitato avrebbe riferito del proprio lavoro ai due presidenti entro il 1. febbraio 1966 con la presentazione di adeguate proposte. In conclusione, il Comitato Misto espresse ai due consiglieri pedagogici il riconoscimento per il lavoro svolto con successo. Dopo aver ascoltato i consiglieri italiani su quanto realizzato ultimamente in favore della minoranza slovena dell’ex zona A, anche la parte jugoslava illustrò le misure più importanti realizzate in favore del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Con l’adozione delle clausole presenti nella Costituzione della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, delle Costituzioni delle Repubbliche Socialiste di Croazia e di Slovenia, nonché delle clausole di singole leggi e degli statuti dei distretti e dei comuni sul territorio sotto amministrazione jugoslava, sono stati pienamente realizzati i principi del bilinguismo nelle scritte pubbliche. Le autorità amministrative, quelle giudiziarie e le altre istituzioni pubbliche, nei rapporti con appartenenti al gruppo etnico

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italiano, comunicano in tutti i settori in lingua italiana ed rilasciano documenti scritti in lingua italiana. Gli impiegati negli organi del potere in grande maggioranza conoscono la lingua italiana (il 90% a Buie, Umago e Cittanova). I bandi per il completamento dei posti di lavoro nell’amministrazione pubblica richiedono la conoscenza della lingua italiana. Al fine di assicurare una gestione in lingua italiana quanto più qualitativa dei tribunali e delle procure, uno dei procuratori di Capodistria ha frequentato uno stage di aggiornamento di cinque mesi al Ministero di grazia e giustizia di Roma, mentre un giudice sta frequentando un apprendistato presso il Tribunale d’appello di Firenze. In lingua italiana è stata pubblicata la Costituzione della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, mentre è in corso di stampa la traduzione italiana della Costituzione della Repubblica Socialista di Slovenia. L’Assemblea della Repubblica Socialista di Slovenia ha approvato la Legge generale sui tribunali, pubblicata sul Bollettino Ufficiale del 23 giugno 1965. L’art. 6 recita: “Sui territori nazionalmente misti, dove vivono gli appartenenti alla nazionalità italiana, e rispettivamente ungherese, la lingua italiana, ovvero quella ungherese, sono in tutte le procedure processuali parificate alla lingua slovena”. L’amministrazione giudiziaria sui territori nazionalmente misti viene regolata nei dettagli dal Regolamento di procedura giudiziaria. Alle elezioni svoltesi durante l’anno in corso, nei più alti organi rappresentativi dell’Assemblea Federale, dell’Assemblea della Repubblica Socialista di Slovenia e del Sabor della Repubblica Socialista di Croazia sono stati eletti anche rappresentanti del gruppo etnico italiano. Numerosi sono gli appartenenti al gruppo etnico italiano presenti negli organismi rappresentativi comunali, delle organizzazioni di lavoro e delle diverse istituzioni. Così, per esempio, a Buie sono nove gli Italiani nell’Assemblea comunale, sette nei consigli e nove nelle commissioni dell’assemblea comunale. Nell’assemblea comunale di Umago gli appartenenti al gruppo etnico italiano sono due, mentre nei consigli e nelle commissioni sono complessivamente presenti sedici Italiani. Nell’assemblea comunale di Cittanova, sono sei gli appartenenti al gruppo etnico italiano. (Molto più numerosi, però, i membri dei vari comitati amministrativi e dei consigli delle organizzazioni di lavoro e delle istituzioni.) Anche durante quest’anno a Capodistria si sono svolti i seminari di lingua e cultura italiana, ai quali hanno partecipato 75 insegnanti e 47 studenti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Inoltre, a Rovigno si è tenuto nuovamente il seminario estivo per insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Le assemblee comunali di Capodistria, Isola e Pirano hanno concesso agli appartenenti al gruppo etnico italiano dieci borse di studio per Facoltà

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universitarie e sei per la frequentazione delle scuole medie. I Comuni di Buie, Cittanova e Umago hanno assegnato due borse di studio per studenti universitari e dieci per studenti delle scuole medie, mentre a quattordici insegnanti è stato reso possibile lo studio fuori corso all’Accademia Pedagogica e all’università. L’Accademia Pedagogica di Pola ha organizzato a Buie un Centro di aiuto per gli studenti fuori corso. Nel corso di quest’anno sono usciti dalle stampe sei nuovi libri di testo italiani, mentre altri sette usciranno entro la fine dell’anno. Per la stampa di questi libri di testo la Repubblica Socialista di Croazia ha assicurato 54,5 milioni di dinari e la Repubblica Socialista di Slovenia 8 milioni e mezzo di dinari. È aumentato il numero degli insegnanti nelle scuole elementari di Verteneglio e Bassania. Un consistente aiuto è stato offerto all’attività editoriale italiana. La Casa editrice “EDIT” che fornisce le proprie pubblicazioni ai territori sotto amministrazione jugoslava ha ricevuto dal bilancio della Repubblica Socialista di Croazia 222.140.000.- dinari e dalla Repubblica Socialista di Slovenia 20.000.000.- dinari. Dal bilancio della RS di Slovenia verranno assicurati entro la fine dell’anno altri 10,000.000.- dinari. Questi importi non includono le dotazioni fatte con mezzi locali. Il Dramma Italiano ha ricevuto per le proprie attività 41.000.000.- dinari dalla RS di Croazia. Per le attività delle organizzazioni culturali le RS di Slovenia e di Croazia hanno assicurato 19.000.000.- dinari. Ulteriori mezzi sono stati assicurati dai bilanci comunali. Ingenti dotazioni sono andate anche alla stazione Radio di Capodistria, che trasmette i due terzi del programma per il gruppo etnico italiano, come pure alle stazioni radio di Fiume, che pure mette in onda trasmissioni in lingua italiana. Accanto alla ricca attività delle organizzazioni culturali del gruppo etnico italiano (p.es.: la rassegna delle organizzazioni culturali di tutta l’Istria nel giugno di quest’anno a Buie, e la rassegna delle scuole italiane dell’Istria svoltasi quest’anno a Pirano), sono state organizzate anche visite di gruppi culturali dall’Italia (p.es.: il teatro dei Carri di Tespi, la Scuola di musica Fornasari, il Quartetto di Trieste, la Commedia Italiana di Venezia, ecc.). Richiamandosi alle osservazioni fatte nel corso delle riunioni precedenti, i membri italiani del Comitato hanno ribadito che l’abolizione dei distretti nella Repubblica Socialista di Slovenia, quindi sull’area slovena del territorio sotto amministrazione jugoslava, e l’accorpamento dei distretti di Pola e Fiume nella Repubblica Socialista di Croazia, quindi nell’area croata dello stesso territorio, è in contrasto con l’art. 7 dello Statuto Speciale e, poiché da parte jugoslava si afferma che sono i comuni le unità ammini-

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strative fondamentali, bisognerebbe in ogni caso ritornare alla situazione che era presente prima del 1955, quando alcuni comuni erano stati aboliti e altri accorpati. Gli Italiani rilevarono ancora che uno degli elementi che contribuivano al malcontento degli appartenenti al gruppo etnico italiano era il fatto che in prossimità della linea di demarcazione fissata dal Memorandum d’Intesa sono rimaste le tabelle con la scritta “Confine di Stato”. In risposta, i membri jugoslavi dichiararono che su questo punto si richiamavano in tutto alla posizione ufficiale comunicata per via diplomatica alla parte italiana da parte del Segretariato di Stato per gli affari esteri della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia. L’altro problema sul quale gli Italiani avevano richiamato l’attenzione del Comitato Misto riguardava l’insufficiente numero di giornali, quotidiani e libri che erano a disposizione del gruppo etnico italiano, sottolineando che su questo territorio non esistevano librerie o sale di lettura italiane. Gli jugoslavi annunciarono che, in linea di principio, non avevano alcuna obiezione in merito all’apertura di librerie o sale di lettura e che la questione sarebbe stato possibile esaminare nell’ambito della legislazione esistente sulla base di una concreta proposta italiana. Per quanto riguardava la Comunità Italiana in Istria, su richiesta dei membri italiani, il Comitato discusse ancora alcune manchevolezze riscontrate nel traffico postale tra i due territori, constatando, tuttavia, che il problema era stato già risolto in diretto contatto tra le amministrazioni postali dei due Paesi. Per quanto riguardava la questione della manutenzione delle tombe famigliari italiane nei cimiteri sul territorio sotto amministrazione jugoslava presentato dalla parte italiana, il Comitato Misto ha preso atto dell’informazione che - per altra via - è in corso la procedura per una soluzione soddisfacente della questione ai sensi del Comunicato conclusivo pubblicato in occasione della visita del Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica d’Italia al Presidente del Consiglio Esecutivo Federale della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, nel quale è precisato che il problema verrà esaminato in tempi brevi. All’ultimo punto dell’ordine del giorno, il Comitato Misto prese in esame la possibilità di un ulteriore allargamento delle attività nel settore degli scambi culturali in favore dei due gruppi etnici. In particolare, il Comitato approvò consensualmente le seguenti conclusioni: - che venga effettuato lo scambio dei conferenzieri; - che nei centri maggiori dei due territori vengano organizzate delle mostre itineranti; - che venga iniziato lo scambio delle pellicole da proiettare nei centri culturali dei due gruppi etnici;

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- che in questi centri culturali vengano organizzate rappresentazioni di gruppi teatrali; Il Comitato si dichiarò d’accordo che agli esperti venisse assegnato il compito di esaminare le modalità per l’attuazione delle conclusioni di cui sopra, previa approvazione del relativo regolamento. Inoltre, gli esperti avrebbero dovuto informare delle conclusioni approvate i rispettivi presidenti prima della loro riunione formale.

Note: (1) Tra i materiali allegati al verbale della XII.a sessione ordinaria del Comitato Misto, troviamo anche un “Rapporto” stilato pochi giorni dopo dal presidente della delegazione jugoslava, Mitja Vošnjak, e inviato agli organi competenti del Governo, della Federazione jugoslava e, probabilmente, anche ai vertici del PCJ. Ne pubblichiamo il testo integrale, convinti che offra uno sguardo d’insieme sui rapporti in corso tra i due Paesi, ma anche sulla posizione delle relative minoranze nazionali, alla tutela delle quali era formalmente dedicato anche il lavoro del Comitato Misto. Ci rendiamo perfettamente conto, che per una visione completa della situazione ci manca il relativo punto di vista della parte italiana. Tuttavia, se un giorno sarà possibile entrare in possesso sia di tutta la documentazione jugoslava, che di quella italiana (magari nella versione linguistica originale) l’opera del Comitato Misto potrà essere veramente oggetto di un’analisi completa e obiettiva di quell’importante periodo dei rapporti italo.jugoslavi, ma anche della posizione e delle vicende che la nostra Comunità nazionale ha dovuto superare nel corso degli anni e che, indubbiamente, hanno condizionato la sua posizione attuale.

Rapporto del Presidente della delegazione jugoslava, Mitja Vošnjak, sulla XII.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo - jugoslavo Da parte italiana, alla vigilia della riunione, ci venne fatto sapere per via non ufficiale, che i loro rappresentanti si impegneranno per dare un nuovo ruolo al Comitato, come annunciato dal presidente del governo italiano, Aldo Moro. Pertanto, era possibile aspettarsi un approccio più coraggioso e più aperto da parte dei rappresentanti italiani in merito ad alcuni problemi fondamentali. I membri jugoslavi si sono presentati alla riunione pronti in ogni senso ad accettare dei colloqui di portata più ampia e costruttiva. Durante la durata della sessione, i membri jugoslavi si sono comportati di conseguenza, ma altrettanto non è stato possibile affermare per la parte italiana. Nonostante si trattasse di persona di vedute più ampie e di maggiori disponibilità costruttive, il capo della delegazione italiana è arrivato evidentemente ancora legato alle vecchie direttive sulle quali non hanno influito gli elementi della visita di Aldo Moro al nostro Paese. Una valutazione questa che è confermata, tra l’altro, dall’insistente reciproco collegamento di alcune questioni che si è manifestato soprattutto nel settore scolastico. Il gruppo triestino, che costituiva la maggioranza della delegazione italiana, è rimasto sulle proprie rigide posizioni precedenti, per cui ad una delle sessioni è stato possibile osservare addirittura una situazione di aperta conflittualità tra loro e il capo della delegazione. Nel corso della sessione e dei relativi incontri durante la stessa è giunta in espressione anche l’influenza an-

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ticostruttiva dell’ambasciatore Ducci (la forzatura sui cimiteri, le denunce in merito all’insufficiente numero delle scritte bilingui, le osservazioni offensive riguardo a quanto scritto dal Mondo sui 125.000 Sloveni in Italia, la minaccia di un’eventuale azione per una verifica del reale numero della nostra minoranza). In queste circostanze la sessione non ha portato a dei risultati su quelle questioni che riguardano la realizzazione degli obblighi concreti derivati dallo Statuto Speciale. Da parte nostra avevamo presentato delle richieste di abolizione di alcune norme di legge italiane che sono in contrasto con lo Statuto Speciale e della necessità di approvarne delle nuove che assicurassero al gruppo nazionale sloveno il diritto di usare la propria lingua, all’assegnazione di nomi e cognomi, alle scritte in lingua slovena delle località, e così via, richiamandoci in questo alla dichiarazione rilasciata dal premier Moro durante la visita alla Jugoslavia. Mentre gli Italiani rispondevano alle nostre richieste con delle promesse riguardanti i preparativi in corso per l’approvazione di una legge sugli uffici di traduzione, il che si sta ripetendo già a partire dalla terza sessione, annunciando anche una legge che avrebbe reso possibile l’assegnazione di nomi contenenti le lettere č, š, ž, mentre, per quanto riguarda la richiesta di scritte bilingui ripetevano i vecchi argomenti di carattere formale secondo i quali a Trieste non esistono delle circoscrizioni elettorali. Durante i dibattiti, gli Italiani hanno tirato fuori addirittura la tesi secondo la quale l’applicazione di soltanto alcune tabelle bilingui avrebbe significato in linea di principio il riconoscimento della clausola dello Statuto Speciale e, di conseguenza, l’adempimento del proprio obbligo, mentre il numero delle tabelle esposte sarebbe una faccenda interna italiana! Una reazione non costruttiva è stata adottata anche in merito ai permessi per la gestione valutaria della banca slovena, riportando, tra gli argomenti, alcune manchevolezze della gestione attuale che sarebbero addirittura passibili, secondo il parere degli italiani, di diventare oggetto di denuncia giudiziaria. Da parte italiana sono state ripetute alcune vecchie rimostranze in merito alle modifiche apportate ai confini comunali e distrettuali, al ripristino dei cognomi nella forma originaria, alle conseguenze per aver posto delle tabelle con la scritta “Confine di Stato”, all’insufficiente importazione di pubblicazioni e giornali italiani, all’esodo degli italiani che ancora continua, e simili. Di nuovo c’era la protesta riguardante le procedure delle nostre poste che ritornavano al mittente le lettere con indicata la località in lingua italiana. Direttamente è stata posta anche la richiesta di apertura di una libreria e di una sala di lettura a Capodistria. Esaminando successivamente l’eventualità di una loro concreta proposta, riteniamo che sarebbe necessario trovare una soluzione per quanto riguarda l’apertura di una sala di lettura nell’ambito dell’accordo tra i due governi, anche se, probabilmente, gli Italiani cercheranno una specie di arrangiamento speciale, sottolineando nuovamente in tal maniera la provvisorietà delle soluzioni previste dal memorandum d’Intesa. Ritengo che una simile posizione, da parte nostra non dovrebbe essere accettata. Le questioni esposte al Comitato Misto (abolizione oppure adozione di misure, tabelle bilingui, incremento degli importi destinati alle istituzioni culturali, gestione delle banche) dovrebbero essere comunque regolarmente presenti nei contatti diplomatici tra i due governi, ma dovrebbero essere incluse anche nei preparativi per un’eventuale visita di ritorno a livello di presidenti del governo. Esistono tuttavia, alcuni problemi la cui realizzazione sarà certamente problematica. Innanzitutto è possibile aspettarselo per quanto riguarda le tabelle bilingui. Ma anche da parte italiana esistono alcune richieste che noi non potremo soddisfare, anche se si tratta di un evidente obbligo derivante dallo Statuto Speciale. Con le nostre modifiche delle circoscrizioni amministrative, infatti, noi ci troviamao in diretto conflitto con

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l’art. 7 dello Statuto Speciale, per cui, di conseguenza, non esiste alcuna possibilità che, da noi, la situazione venga modificata. Inoltre, è probabile che ancora per parecchio tempo non saremo nella condizione di assicurare l’attuazione dell’art. 4, comma c dello Sttatuto Speciale, con cui si stabilisce che le lezioni degli insegnanti vengano svolte nella stessa lingua degli alunni. Gli Italiani sono coscienti delle nostre difficoltà e, certamente, cercheranno di legare alcune loro richieste alle nostre che non intendono soddisfare. La sessione, tuttavia, fuori dall’ambito delle misure concrete dello Statuto Speciale, ha portato ad alcuni risultati positivi. Questo vale soprattutto per quanto riguarda l’accordo sullo scambio delle pellicole che verrebbero proiettate nei centri culturali delle minoranze, sulle visite dei gruppi teatrali, sullo scambio di conferenzieri e di mostre itineranti del libro, il tutto sulla base delle nostre proposte alla sessione precedente del Comitato. Uno degli elementi più positivi della sessione è stato rappresentato dalla relazione sull’attuazione delle conclusioni precedenti in merito alla collaborazione nel settore scolastico, dove le azioni concordate si stanno realizzando con soddisfazione, anche se con qualche ritardo dalla parte italiana (il nostro consigliere pedagogico non ha ricevuto a tutt’oggi dalle autorità italiane il contributo concordato, anche se ha ripreso il suo lavoro a Trieste già all’inizio di ottobre). Già fin d’ora, queste misure hanno comportato eccezionali risultati dal punto di vista del miglioramento della qualità dell’insegnamento nelle scuole minoritarie. Rimane aperto il problema dell’aumento dei nostri contributi al consigliere pedagogico italiano necessario causa la svalutazione del dinaro, problema che in ogni caso, come concordato dai capi delegazione, devono risolvere gli esperti. Bisognerà comunque assicurare i mezzi necessari. Con questo, naturalmente, non verrà regolata la posizione materiale del nostro consigliere pedagogico a Trieste che, a differenza del suo collega italiano, riceve soltanto un contributo mensile di 130.000 lire, ma senza percepire anche le diarie. La miglior cosa sarebbe risolvere la questione con un nostro accordo interno. I consiglieri pedagogici che presenziarono alla riunione, hanno contribuito con le loro relazioni a fornire una base per una solida analisi dei problemi nel settore scolastico. Mentre il rapporto del nostro consigliere ha rilevato soprattutto i problemi di carattere pedagogico (qualità insufficiente dell’insegnamento nella lingua materna, posizione non regolata degli insegnanti, necessità di istituire scuole professionali, ufficializzazione dei seminari per gli insegnanti sloveni a Trieste), il consigliere italiano, oltre ai problemi pedagogici, ha presentato anche alcune richieste di carattere politico (apertura di un numero maggiore di asili infantili, apertura di alcune nuove scuole elementari, trasformazione di scuole quadriennali in scuole ottennali e simili), per le quali non esistono nè le possibilità, nè il bisogno. L’unica cosa che andrebbe verificata sarebbe quella dell’apertura di un asilo infantile a Verteneglio, ovvero di una sezione italiana presso l’esistente asilo, in modo da eliminare la protesta secondo cui i bambini italiani sono costretti a frequentare l’asilo croato. Un particolare significato politico, invece, ha assunto la richiesta di trasferire il ginnasio italiano da Pirano a Buie. La nostra proposta di organizzare il trasporto da Buie a Pirano con un’autocorriera speciale è stata dichiarata da parte italiana inaccettabile. La questione è stata collegata direttamente alla nostra richiesta di aprire delle scuole professionali a Trieste, e questo, anche da un punto di vista più ampio, ha bloccato la possibilità di accordi concreti. Il risultato dei colloqui da entrambe le parti è stata la formazione di un gruppo particolare che, entro il 1. febbraio dell’anno prossimo,verifichi innanzitutto la possibilità per aprire una scuola professionale a Trieste e per il trasferimento del ginnasio da Pirano a Buie. (vedere il verbale di Pirano - non trovato, n.d.r.).

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Un accento particolare da parte italiana è stato dedicato alla questione dei cimiteri in Istria. Un problema che è stato drammatizzato in tutti i modi e sono stati effettuati dei tentativi affinché nel verbale venissero inserite alcune conclusioni che noi non abbiamo accettato. Di conseguenza, nel verbale è stata registrata soltanto una formulazione generica con la quale si auspica la soluzione di questo problema tramite altre vie. Determinate complicazioni sono sorte per causa del telegramma inviato dal sindacato degli insegnanti sloveni di Trieste e in occasione dello sciopero indetto da questo sindacato. Su proposta del capo della delegazione italiana è stata raggiunto con consenso non vincolante a livello di capi delegazione, in base al quale, dopo la sessione, al sindacato venga inviata una risposta con il testo di quella parte del verbale in cui si parla dei problemi della scuola, e che in seguito il provveditore all’istruzione di Trieste si incontri con i rappresentanti del sindacato. Durante la sessione del Comitato, i triestini ai dichiararono fortemente contrari a questa proposta, il che ha provocato un loro conflitto nei confronti del capo della loro delegazione. Dopo lunghe consultazioni interne, Pascucci accettò il parere dei Triestini che, dal punto di vista formale, è esatto, cioè in conformità con le clausole del Regolamento. Il risultato di lunghe trattative fu l’accordo, secondo cui il problema non venga inserito nel verbale, ma che il provveditore Tavella si incontri a Trieste co n i rappresentanti del sindacato per informarli dei motivi formali per i quali il telegramma non è stato preso in esame e per informarli dei contenuti del dibattito intercorso nell’ambito del Comitato sui problemi della scuola. Alla fine ancora due problemi sui quali è necessario arrivare ad una decisione a livello di federazione jugoslava. 1. La richiesta degli Italiani di trasferire il ginnasio da Pirano a Buie supera l’ambito in cui si trova. Non si tratta, infatti, soltanto di uno stretto collegamento tra la nostra richiesta di aprire una scuola professionale a Trieste e la questione del ginnasio, ma esiste il pericolo che gli Italiani sfruttino una nostra posizione finale negativa per bloccare la soluzione delle problematiche minoritarie in genere. Inoltre, questo caso, che di per sè non è di particolare importanza, potrebbe servire all’amministrazione italiana come argomento per dimostrare la mancanza di buona volontà da parte nostra, e questo avrebbe un’influenza anche più forte sui rapporti reciproci. Indipendentemente da tutto questo, è necessario tener conto anche delle reazioni da parte della nostra minoranza quando verrebbe a sapere che la scuola professionale non le verrà concessa per colpa della nostra indisponibilità al trasferimento del ginnasio di Pirano a Buie. Questo problema è diventato per gli Italiani, e di conseguenza anche per noi, non un problema di carattere pedagogico professionale, ma un problema esclusivamente politico. Una verifica condotta da parte croata ha dimostrato che esistono anche altre soluzioni che sarebbero possibili dal punto di vista professionale, e forse anche migliori (rimane comunque il fatto che a Buie il ginnasio avrebbe migliori possibilità di vita, invece che a Pirano). Esaminando il problema prima di tutto dal punto di vista politico sarebbe urgente fare degli sforzi per il trasferimento del ginnasio. Durante la sessione del Comitato Misto è stato formato un gruppo speciale che deve prendere in esame il problema facendoci guadagnare un po’ di tempo. In base all’accordo, il gruppo deve presentare un rapporto ai capi delle due delegazioni entro il 1. febbraio del prossimo anno in modo che loro ne possano parlare al loro incontro non ufficiale all’inizio di febbraio. Vista l’urgenza propongo che la RS di Croazia esamini quanto prima il problema, che assieme alla RS di Slovenia

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verifichi la possibilità di un’azione comune, e che anche il CEF prenda in esame il problema che rientra in un raggio più vasto dei rapporti jugoslavo-italiani. 2. Mentre fino ad ora l’attività del Comitato Misto si svolgeva tramite le sessioni ordinarie e durante i diretti preparativi in vista delle riunioni, negli ultimi due anni l’attività del Comitato ha assunto un carattere più continuativo. Circa la realizzazione degli accordi riguardanti gli scambi nel settore scolastico si riuniscono spesso sia gli esperti del Comitato sia i collaboratori estemporanei. In futuro questi tipo di collaborazione aumenterà ulteriormente (riunione del gruppo per la disamina delle scuole professionali e dei ginnasi, accordi sulla realizzazione degli scambi culturali, incontro non ufficiale dei capi delegazione in febbraio). Per gli Italiani tutto questo rappresenta una parte integrante del lavoro del segretariato del Comitato Misto, ovvero della delegazione italiana che esiste a Trieste e che dispone naturalmente di un proprio bilancio. Noi non disponiamo di un’adeguata istituzione, del che sarebbe necessario pensarci, nè abbiamo assicurati dei mezzi. I nostri rappresentanti devono già ora coprire individualmente con mezzi propri.le spese di viaggio Infine vorrei accennare anche alla necessità di pensare al nuovo capo della delegazione jugoslava. Ritengo di poter partecipare ancora alla riunione di febbraio, visto che si tratterà di continuare il lavoro delle sessioni precedenti, ma per la riunione ordinaria dei capi delegazione prevista in maggio o giugno sarebbe già opportuno nominare il nuovo presidente che assumerà questo posto. Le riunioni ordinarie, infatti, servono per i preparativi per la successiva sessione ordinaria del Comitato. Lubiana, 21/12-1965

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Mitja Vošnjak


Capitolo XIII La relazione del consiglere pedagogico Fernando Salsano (1) Verbale della XIII.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Roma, dal24 ottobre al 3 novembre 1966

La XIII.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale (allegato II al Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954) ebbe luogo a Roma dal 24 ottobre al 3 novembre 1966. Da notare subito il cambiamento dei due capi delegazione. Per la parte jugoslava era subentrato Zvonko Perišić, per la parte italiana Giulio Terruzzi. L’ordine del giorno venne approvato praticamente senza dibattito, seguendo le proposte avanzate e concordate dai due governi: I - Approvazione del verbale della XII sessione; II - Relazioni degli esperti sull’attività svolta per migliorare la situazione delle scuole e rafforzare gli scambi culturali; III - Verifica delle attività svolte dai consiglieri pedagogici; IV - Esame delle misure adottate e di quelle che è necessario adottare per l’attuazione dello Statuto Speciale sui due territori; V - Discussione inerente la regolamentazione delle nuove iniziative che riguardano la stesura del piano annuale degli scambi culturali nell’interesse dei due gruppi etnici. VI - Ricorsi; VII - Varie.

Niente di particolare per quanto riguarda il primo punto, dove si è semplicemente constatato che i due governi, Jugoslavo e Italiano, avevano approvato il verbale della XII.a seduta. Di un certo interesse, invece, le relazioni degli esperti che, pur ripetendo le modalità e gli argomenti degli incontri precedenti, qualche novità

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era comunque apparsa, soprattutto nel settore della scuola, risultato certamente anche dell’intensità degli incontri e degli scambi di vedute. Così gli esperti del Comitato misto si erano incontrati cinque volte per armonizzare le modalità d’attuazione dell’accordo sugli scambi culturali del 21 luglio 1964. Inoltre si erano svolti numerosi contatti e scambi di informazioni scritte in merito alla realizzazione dell’accordo. Nei particolari gli esperti informarono sui singoli capitoli dell’accordo come segue: Consiglieri pedagogici. Alla riunione dei presidenti delle due delegazioni, svoltasi a Zagabria il 14 e il 25 maggio 1966, è stato concordato che la funzione dei consiglieri pedagogici venga prorogata con relativo scambio di lettere tra i due presidenti e che, in seguito, la questione venga posta all’ordine del giorno della XIII. sessione del Comitato. Così venne prolungato il mandato di consigliere al prof. Stane Mihelič per le scuole con lingua d’insegnamento slovena, e al prof. Fabio Suadi, professore ordinario di letteratura italiana e latina presso la Scuola Europea di Varese. Seminari per gli insegnanti. La parte jugoslava ha organizzato a Tacen, dal 18 al 27 agosto dell’anno corrente, un seminario per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento slovena. La parte italiana, invece, ha organizzato il seminario per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana a Belgirate sul Lago Maggiore. Come già l’anno precedente, visto il grande numero degli interessati, è stato concordato di aumentare il numero dei partecipanti da 25 a 30. Borse di studio. Le due parti hanno pubblicato il bando di concorso per l’assegnazione delle borse di studio per l’aggiornamento delle lingue slovena e rispettivamente italiana presso le Università di Lubiana e di Padova. Anche in questo settore, considerando il grande interesse, per l’anno accademico 1966/67 il numero è stato aumentato da entrambe le parti da 3 a sei. Da evidenziare che dal territorio sotto amministrazione jugoslava hanno partecipato al concorso 13 e dal territorio sotto amministrazione italiana 16 candidati. I candidati prescelti sono stati subito informati del risultato. Scambi di libri e mezzi didattici per le biblioteche scolastiche. La parte jugoslava ha provveduto a consegnare alle autorità scolastiche italiane il primo contingente di libri destinati alle biblioteche delle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana già nel mese di giugno, mentre un’azione analoga per le scuole con

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lingua d’insegnamento italiana è in corso. Per quanto riguarda la fornitura di mezzi didattici, la situazione non è stata ritenuta ancora soddisfacente. Scambio di libri di testo. Anche per l’anno corrente sono stati scambiati gli elenchi dei libri di testo stampati in Jugoslavia e rispettivamente in Italia, come proposto dagli insegnanti delle scuole dei due gruppi etnici per l’anno scolastico 1966/67. La parte jugoslava ha già provveduto a inviare i libri di testo richiesti dalle scuole slovene, mentre per la parte italiana l’invio dei libri è in corso. Escursioni scolastiche. La parte jugoslava ha organizzato un’escursione attraverso la Jugoslavia per gli alunni delle scuole medie inferiori con lingua d’insegnamento slovena dal 20 al 22 maggio, mentre dal 25 al 31 luglio per gli studenti delle scuole medie superiori. La parte italiana ha organizzato delle escursioni attraverso l’Italia nei giorni dal 9 all’11 maggio per gli alunni delle classi superiori delle scuole ottennali con lingua d’insegnamento italiana, e dal 25 giugno al 3 luglio per gli studenti delle scuole medie. Considerando il grande interesse degli alunni e degli studenti per le escursioni scolastiche, le due parti hanno concordato che per l’anno scolastico 1966/67 il numero dei partecipanti venga aumentato da 25 a 30. Programmi di studio e libri di testo di storia. Gli aggiornamenti e gli scambi dei programmi per l’insegnamento della storia, armonizzati tra le due parti nel 1965, si stanno già attuando nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, mentre da parte italiana non ha avuto ancora inizio la realizzazione dell’accordo, che è stata rimandata all’inizio dell’anno scolastico. I libri di testo che sono in preparazione, prima di essere scambiati, sono in attesa di eventuali osservazioni e proposte. Gli esperti, si sono incontrati anche per discutere delle formulazioni da inserire nel regolamento per l’attuazione di ulteriori iniziative di carattere culturale, in armonia con la delibera approvata alla XII sessione del Comitato Misto. Da parte jugoslava è stata preparata e consegnata agli esperti italiani la bozza del regolamento sulla quale questi hanno inviato le loro osservazioni e consegnato agli esperti jugoslavi una nuova bozza. Nel corso della seduta, sono state ascoltate le relazioni dei consiglieri pedagogici. Per quanto riguarda la Comunità Italiana, di un certo interesse quanto esposto dalla parte jugoslava sui singoli settori d’intervento.

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1. Completamento della rete scolastica. a) Aperta a Villanova la nuova scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana. In tre classi sono iscritti 11 alunni. Come sottolineato dalla delegazione jugoslava, con questa misura si è voluto andare incontro alle più volte ripetute richieste della parte italiana e degli abitanti della località. Sottolineato, però, che la misura non rientra nell’ambito del sistema scolastico jugoslavo con il quale si tende ad una graduale abolizione delle piccole scuole di periferia per permettere ad un numero quanto più grande di alunni di frequentare scuole meglio organizzate nelle quali assicurare un livellamento dell’insegnamento tra le scuole elementari urbane e quelle rurali. b) Il comune di Buie ha approvato in linea di principio l’apertura di un asilo infantile con lingua d’insegnamento italiana a Verteneglio. L’asilo entrerà in funzione non appena saranno espletate le formalità riguardanti il suo finanziamento. Con l’apertura dell’asilo si vuole realizzare il principio delle autorità scolastiche jugoslave secondo cui gli asili infantili con lingua d’insegnamento italiana dovrebbero venir aperti in ogni località dove esiste una scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana e un asilo infantile in lingua croata, e rispettivamente slovena, onde evitare che i genitori appartenenti al gruppo etnico italiano, debbano iscrivere i propri bambini in un asilo in cui si parla una lingua diversa. c) È aumentato di un insegnante il numero degli insegnanti nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava di Villanova, Cittanova e Pirano. 2. Trasporti scolastici. Onde permettere agli alunni del territorio dei comuni di Buie, Cittanova e Umago, che hanno concluso la scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana l’anno scorso, di frequentare il ginnasio e le scuole tecniche, con l’inizio dell’anno scolastico sono stati introdotti dei trasporti gratuiti per i comuni di Pirano e di Isola. Queste scuole con lingua d’insegnamento italiana sono frequentate da 31 studenti, e cioé: - Ginnasio di Pirano 4 studenti - Scuola media economica di Isola 6 studenti - Scuola di avviamento professionale di Isola 14 alunni - Sezione femminile della stessa scuola 7 alunne In questo modo a tutti gli studenti e alunni del territorio del Buiese, che hanno terminato la scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana l’anno scorso. è stato reso possibile di proseguire gli studi e di scegliere la scuola che più si addiceva ai loro interessi.

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3. Accademia Pedagogica di Pola. A Buie si organizzano ancor sempre delle lezioni per gli studenti dell’Accademia. Del territorio di Buie frequentano i corsi 18 iscritti, il che significa, praticamente, tutti i giovani insegnanti che non dispongono ancora delle qualifiche richieste. 4. Seminari. a)Anche quest’anno nel mese di febbraio, con conferenzieri venuti dall’Italia, si è tenuto a Capodistria il seminario di cultura italiana per tutti gli insegnanti e gli studenti delle scuole superiori con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Nel contempo, gli esperti si sono già incontrati la prima volta per i preparativi degli stessi seminari che si svolgeranno l’anno prossimo e per esaminare alcuni suggerimenti proposti dagli insegnanti per migliorare questi seminari. b) Durante le vacanze estive si è tenuto anche a Rovigno il seminario per gli insegnanti con conferenzieri dalla Jugoslavia e dall’Italia. Al seminario hanno preso parte anche molti insegnanti provenienti dal territorio sotto amministrazione jugoslava. c) Nel mese di luglio 30 insegnanti hanno preso parte al seminario di Belgirate. 5. Libri di testo. a) La Casa editrice EDIT ha pubblicato, e in parte si trovano ancora in fase di stampa, 12 nuovi libri di testo per le necessità delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, e cioè: - Libro di lettura per la I classe - Libro di lettura per la VI classe - Libro di lettura per la VII classe - Libro di lettura per l’VIII classe - La storia d’Italia - “La mia Patria” - “L’uomo e la salute” - Aritmetica per la IV classe Ristampe: - Grammatica Italiana - “Curiosità della natura” per la IV classe - “Ricchezze della natura” per la V classe - “Calcoliamo e misuriamo” per la III classe La Repubblica Socialista di Croazia. per la pubblicazione dei libri di testo di cui sopra, ha assegnato all’EDIT un importo di 56 milioni, mentre la Repubblica Socialista di Slovenia, 6,9 milioni di dinari.

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b) Le autorità scolastiche hanno dato il consenso per l’uso di un grande numero di libri di testo pubblicati in Italia, 6. Biblioteche scolastiche. a) La situazione delle biblioteche scolastiche continua a migliorare soprattutto grazie agli acquisti effettuati con mezzi assicurati dai bilanci delle scuole. Inoltre, l’Unione degli Italiani ha regalato ad alcune scuole un grande numero di libri acquistati dai mezzi con i quali le autorità jugoslave sovvenzionano l’Unione. Ad alcune scuole libri sono stati donati anche dall’EDIT. b) Tutte le biblioteche scolastiche riceveranno tra breve dei libri dall’Italia in base all’accordo sugli scambi culturali stabilito dal Comitato Misto. 7. Borse di studio. Le autorità continuano ad assegnare borse di studio agli studenti del gruppo etnico italiano che sono iscritti alle scuole medie o alle scuole superiori. Sul territorio del Buiese i beneficiari di borse di studio sono 16, mentre nell’area di Capodistria tutti coloro che erano stipendiati l’anno scorso, visto che il bando di concorso per il terzo non si è ancora concluso. A tutti gli interessati sarà resa possibile la partecipazione. 8. Radio Capodistria. Continua a trasmettere programmi destinati alle scuole con lingua d’insegnamento italiana nei quali i redattori si servono dei suggerimenti degli insegnanti. 9. Già durante l’anno scolastico precedente ha avuto inizio l’introduzione di programmi d’insegnamento di storia che sono stati armonizzati sulla base dell’accordo conseguito nell’ambito del Comitato Misto. 10. Il Comune di Capodistria è riuscito a trovare un alloggio adeguato per un’insegnante pensionata che prima aveva l’abitazione nell’edificio della scuola con lingua d’insegnamento italiana nella località di Bertocchi. 11. Iscrizioni nelle scuole. Anche in quest’anno scolastico è aumentato il numero delle iscrizioni nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava.

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Si sono iscritti: - nell’area del Buiese: 339 alunni - l’anno prima 315 - nel Capodistriano; 583 alunni - l’anno prima 832 complessivamente sono iscritti 922 alunni, rispetto ai 932 dell’anno precedente, il che significa un aumento complessivo di 90 alunni. Dopo aver ascoltato anche i risultati della delegazione italiana in merito alla posizione del gruppo etnico jugoslavo, e richiamandosi alle relazioni dei consiglieri pedagogici, le due delegazioni, ciascuna per conto proprio, hanno voluto attirare l’attenzione su alcuni problemi che ritenevano particolarmente importanti per la scuola dei due gruppi etnici. Per quanto riguarda la delegazione italiana, queste le proposte avanzate: - a) assicurare autonomia amministrativa e didattica alle scuole elementari periferiche alle quali già in precedenza queste erano state assicurate in base all’art. 2 della Legge fondamentale sull’istruzione del 1958, e che non è mai stato abrogato: - b) istituire degli asili infantili con lingua d’insegnamento italiana dove già esistono delle scuole elementari con la stessa lingua d’insegnamento; - c) introdurre quattro classi superiori nelle scuole elementari che ora dispongono di sole quattro classi; - d) aprire a Buie un ginnasio con lingua d’insegnamento italiana oppure, in via sussidiaria, un’altra scuola media, come per esempio un ginnasio ad indirizzo pedagogico, oppure una scuola economica; - e) migliorare le qualifiche professionali degli insegnanti nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, molti dei quali non dispongono del previsto diploma; - f) migliorare la situazione per quanto riguarda il materiale didattico e le attrezzature, soprattutto nelle scuole periferiche. In conclusione del dibattito sotto questo punto, il Comitato Misto, dopo una conclusione riguardante la necessità di trasformare una delle scuole medie slovene di Trieste in una scuola tecnica a indirizzo industriale e artigianale, per quanto riguarda la Comunità Italiana dell’ex Zona B è stato chiesto ancora una volta il trasferimento del ginnasio italiano di Pirano a Buie, esprimendo l’auspicio che le proposte avanzate possano essere realizzate entro l’inizio del prossimo anno scolastico. Gli esperti del Comitato, avvalendosi dell’aiuto dei consiglieri pedagogici, riferiranno in merito ad un’eventuale trasformazione di una scuola media slovena di Trieste in scuola tecnica, come pure sull’eventualità di trasformare una scuola italiana esistente sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Le altre richieste presentate dalle due parti verranno attentamente esaminate dai rispettivi organi competenti.

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Al punto successivo la delegazione jugoslava seguita da quella italiana hanno elencato le misure adottate nel periodo tra le due sessioni a favore dei due gruppi etnici. Gli jugoslavi si soffermarono in particolare su alcuni diritti la cui applicazione nelle riunioni precedenti aveva suscitato qualche perplessità da parte italiana. Di seguito i loro commenti. 1) In armonia con l’ordinamento costituzionale e legislativo della RSFJ, e nel rispetto delle clausole dello Statuto Speciale, sul territorio sotto amministrazione jugoslava è garantita e attuata la pariteticità nell’uso della lingua italiana. Nel processo di realizzazione e di tutela dei loro diritti i cittadini del gruppo etnico italiano usano liberamente la propria lingua davanti agli organi amministrativi e giudiziari, e le delibere e le sentenze si emettono in lingua italiana. Il bollettino ufficiale degli organi del potere locale pubblicano i decreti e le delibere più importanti nelle due lingue. le denominazioni e le scritte degli enti pubblici, delle città e delle vie sono bilingui. nell’amministrazione pubblica, in particolare, sono sistematizzati i posti di lavoro per i quali è necessaria la conoscenza della lingua italiana. La conoscenza della lingua italiana su questi posti è stimolata con un contributo finanziario particolare che agli impiegati viene concesso dal bilancio repubblicano. 2) Gli appartenenti al gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava sono rappresentati negli organi elettivi repubblicani e comunali, nei loro consigli e commissioni, nonché negli organi d’autogestione. Così, per esempio, tre appartenenti al gruppo etnico italiano sono deputati repubblicani, e ogni assemblea comunale ha più rappresentanti. In numero molto maggiore sono gli Italiani presenti nei vari consigli, nelle commissioni, nei comitati d’amministrazione e su posizioni dirigenziali nelle organizzazioni e organismi di lavoro. 3) Nel periodo tra le due sessioni del Comitato Misto si è sviluppata un’attività artistico-culturale molto intensa realizzata dal Dramma Italiano e dai Circoli Italiani di Cultura. Un’attività che si è sviluppata soprattutto grazie al consistente aiuto finanziario e materiale e al miglioramento del lavoro svolto da tutte le istituzioni artistico-culturali, ovvero delle organizzazioni del gruppo etnico italiano. Il Dramma Italiano ha ricevuto dal bilancio 1966 della Repubblica Socialista di Croazia una dotazione di 46,500.000.- dinari, mentre per le rappresentazioni allestite a Capodistria, Isola e Pirano gli sono stati versati 1,600.000 dinari dal bilancio della RS di Slovenia. L’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, che da parte sua ha il compito di sviluppare l’attività culturale, ha ricevuto per queste finalità dal bilancio della RS di Croazia 14,400.000 dinari. I Circoli Italiani di Cultura di Capodistria, Isola e Pirano hanno ricevuto 4,500.000 dinari. (In queste cifre non sono inclusi i mezzi finanziari che ai CIC sono stati devoluti direttamente dai Comuni.)

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4) Nel corso di quest’anno, le biblioteche italiane si sono arricchite di nuovi libri per un valore di 2,600.000 dinari. 5) Un grande aiuto è stato offerto all’attività editoriale in lingua italiana. Alla Casa Editrice “Edit”, che con le sue pubblicazioni copre il territorio sotto amministrazione jugoslava, dal bilancio della RS di Croazia è stata versata una dotazione di 339.000.000. di dinari. Mezzi destinati alla pubblicazione del quotidiano “La Voce del Popolo”, della rivista illustrata quindicinale “Panorama”, del giornalino per i più piccoli “Il Pioniere”, della rivista letteraria “La Batana”, nonché per le altre pubblicazioni e libri. 6) Radio Capodistria e Radio Fiume continuano a trasmettere programmi in lingua italiana dedicati ai cittadini del gruppo etnico italiano. Anche per queste finalitù sono stati assicurati mezzi molto consistenti. Il punto all’ordine del giorno venne usato anche per ripresentare alcune delle problematiche costanti del Comitato Misto. La delegazione italiana sottolineò alcune questioni che, pur presentate più volte, non avevano ancora trovato una soluzione soddisfacente. Per esempio le modifiche apportate alle circoscrizioni amministrative dei comuni nel 1955 e che avevano comportato l’abolizione di alcuni comuni, il che - oltre a rappresentare una violazione dell’articolo 7 dello Statuto Speciale - hanno significato pure una profonda modifica della composizione etnica, indebolendo il rapporto numerico della minoranza italiana nei confronti della popolazione slovena e apportando notevoli danni al gruppo etnico italiano che non ha più la possibilità di essere adeguatamente rappresentato negli organi elettivi. Lo stesso vale anche per le fusioni effettuate nel 1955 dei distretti di Buie e Pola, come pure per l’abolizione dei distretti effettuata nel 1965 nella parte slovena del territorio sotto amministrazione jugoslava. In questo modo sono state abolite le unità amministrative che svolgevano delle funzioni speciali, come per esempio è possibile riscontrare dagli artt. 6, 7, 22, 23 e 24 dello Statuto del Distretto di Capodistria con i quali al gruppo etnico italiano venivano garantiti diritti particolari. I membri italiani del Comitato misto ricordarono pure la necessità di prorogare di ulteriori dieci anni il termine per l’applicazione delle misure riguardanti la tutela dei cimiteri, anche se da parte degli interessati venne salutato con soddisfazione il fatto che si stava risolvendo un problema che sarebbe nuovamente diventato attuale nel 1974. Per quanto riguarda la diffusione della stampa italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, gli Italiani, ricollegandosi alla documentazione già presentata nel corso delle sessioni precedenti, ribadirono che la situazione ancor sempre non era soddisfacente in quanto gli appartenenti al gruppo etnico italiano disponevano di poche possibilità di fruire di libri,

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riviste e giornali. Perciò, proposero nuovamente l’apertura concreta di una sala di lettura a Capodistria, come documentato dai verbali delle riunioni precedenti. La questione riguardante l’attuazione dell’art. 5 dello Statuto Speciale è stata ripresentata dagli Italiani in quanto, secondo loro, sul territorio sotto amministrazione jugoslava non trovano applicazione corretta tutte le clausole previste dalla norma. In particolare, era stato riscontrato che gli impiegati degli uffici dell’anagrafe forzavano l’adozione di nomi nelle forme slovena o croata anche quando la persona interessata dichiarava di voler dare al neonato un nome italiano, come del resto testimoniato da una cronaca pubblicata da “La Voce del Popolo”. Per quanto riguardava il principio della giusta rappresentanza, gli Italiani riportarono all’attenzione alcuni casi nei quali - secondo loro - al gruppo etnico italiano sarebbe stato giusto assicurare una migliore rappresentanza, soprattutto nei settori dove i loro interessi erano posti in forse (aiuti sociali, organizzazioni economiche, scuole, ecc.) Dal punto di vista dello sviluppo culturale e sociale del gruppo etnico italiano venne sottolineato che i Circoli Italiani di Cultura non si trovavano nella possibilità di sviluppare un’attività adeguata tenendo conto che non disponevano di mezzi e locali adeguati, questo valeva soprattutto per i Circoli di Salvore e Cittanova. Concludendo la delegazione italiana chiese: 1) che vengano abrogate le norme di legge con le quali sono stati modificati i confini dei comuni e dei distretti sul territorio sotto amministrazione jugoslava; 2) che vengano approvate delle misure che assicurino agli appartenenti al gruppo etnico italiano la possibilità di poter disporre di un maggior numero di libri, riviste e giornali italiani, indispensabili per un libero sviluppo culturale, come previsto dall’art. 4 dello Statuto Speciale; 3) che venga aperta concretamente una sala di lettura a Capodistria; 4) che vengano adottate le misure necessarie per una piena applicazione dell’art. 2 punto c) e dell’art. 5 dello Statuto Speciale; 5) che ai Circoli italiani vengano assicurate le risorse finanziarie necessarie per lo svolgimento delle loro attività. Nella risposta, i membri jugoslavi del Comitato dichiararono che le modifiche delle circoscrizioni di alcuni comuni nel 1955 non erano state effettuate soltanto sul territorio sotto amministrazione jugoslava, ma si è trattato di una riforma amministrativa che riguardò tutto il Paese. Queste modifiche non avevano arrecato alcun danno agli interessi del gruppo etnico italiano, nè vi era stata mai presente una simile intenzione, per cui non si poteva dire che fosse in contrasto con l’art. 7 dello Statuto Specia-

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le. Il gruppo etnico italiano era pienamente rappresentato ai sensi dell’art. 2, punto c) dello Statuto Speciale, come era stato chiaramente dimostrato nella prima parte di questo punto. Del resto, la delegazione jugoslava non aveva fatto altro che riconfermare le posizioni già espresse in merito alle sessioni precedenti del Comitato Misto. Per quanto riguardava i cimiteri - per i quali non erano mai stati lesi gli interessi degli appartenenti al gruppo etnico italiano - la questione, secondo il parere degli Jugoslavi, non rientrava nelle competenze del Comitato Misto, indipendentemente dal fatto che il problema fosse già stato risolto per via diplomatica. Le importazioni di pubblicazioni italiane sul territorio sotto amministrazione jugoslava erano aumentate; in merito gli jugoslavi ribadirono che una parte delle pubblicazioni importate dovevano essere addirittura restituite in quanto non vendute. Per quanto riguarda l’uso delle lingua italiana e la posa di scritte pubbliche bilingui sul territorio sotto amministrazione jugoslava, come previsto dall’art. 5 dello Statuto Speciale, questo veniva applicato pienamente. Un tanto era stato documentato da un grande numero di traduzioni e di sentenze giuridiche e amministrative, come pure dalle fotografie delle tabelle con scritte bilingui. Si riteneva, anzi, che per quanto riguardava il rispetto del bilinguismo nelle scritte pubbliche sul territorio sotto amministrazione jugoslava fosse stato fatto ancora più di quanto stabilito dallo Statuto Speciale. Il Comitato Misto, prima di passare al punto riguardante le richieste e proteste, per le quali. almeno da parte italiana, non c’era da aspettarsi alcun ricorso presentato da appartenenti o istituzione del gruppo etnico italiano, ascoltarono ancora alcune comunicazioni dei rispettivi esperti riguardanti le iniziative nell’ambito degli scambi culturali: - a) Scambi di conferenzieri: Ogni anno verranno organizzate cinque conferenze per ogni parte. Ogni conferenziere potrà svolgere le conferenze in tre diverse località; - b) Mostra itinerante del libro: Ogni anno verrà organizzata una mostra che potrà durare al massimo venti giorni. A mostra conclusa i libri potranno essere donati. - c) Scambio di pellicole: Ogni anno verranno scambiati tre lungometraggi e cinque cortometraggi, come pure pellicole a passo ridotto. Le pellicole a passo ridotto saranno messe a disposizione dei conferenzieri, delle scuole e delle istituzioni culturali.

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- d) Rappresentazioni teatrali e concerti: Ogni anno, su base della reciprocità, si organizzeranno una rappresentazione teatrale (opera o teatro) oppure un concerto. La rappresentazione potrà venir replicata al massimo tre volte in diverse località. Ogni parte si impegnava a procurare le facilitazioni doganali previsti per l’importazione di Pellicole, attrezzature, libri, ecc. - e) Le organizzazioni culturali dei due gruppi etnici potranno esporre i propri desideri per quanto riguarda gli scambi culturali ai rispettivi esperti per il settore. Gli esperti stabiliranno il programma annuale assieme ai dettagli per ogni manifestazione. Per quanto riguarda i costi, il Comitato Misto autorizzava gli esperti a verificare nei prossimi incontri le dovute soluzioni, facendo in modo che l’attuazione delle manifestazioni di cui sopra incominciassero a realizzarsi quanto prima.

Note:

(1) RELAZIONE del consigliere Pedagogico FERNANDO SALSANO per l’anno scolastico 1965/66 (traduzione dal serbo-croato) Ritengo che il problema dell’autonomia delle scuole elementari periferiche sul territorio sotto amministrazione jugoslava meriti la massima attenzione e per questo desidero trattarlo con precedenza. A titolo illustrativo cercherò innanzitutto di richiamarmi alla situazione della scuola elementare di Bertocchi, in quanto questa dimostra lo stato attuale di inadeguatezza presente anche presso altre similari istituzioni scolastiche su questo territorio. Dopo esser stata trasferita dalla sua sede originaria di Prade, la scuola è stata trasferita nel 1952 da “Lazzaretto” nell’attuale edificio (una casetta ad un solo piano con tre o quattro locali e con relativi servizi igienici). Nel frattempo, la scuola elementare slovena con tutte le otto classi, è stata insediata a Prade. Le autorità slovene hanno dedicato alle necessità della scuola soltanto due aule, mentre altri due locali sono stati assegnati ad una pensionata, rendendo così impossibile che nell’edificio trovi spazio anche l’asilo infantile e la biblioteca per le famiglie dei connazionali. Nel frattempo, con l’aggiunta di nuovi locali, è stato allestito un nuovo alloggio privato. Il Consiglio della scuola - formato da un insegnante e da sette membri, rappresentanti delle famiglie e delle autorità locali - si è più volte rivolto senza risposta ai vari uffici chiedendo che venisse allontanata la pensionata che stava occupando due aule della scuola.

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Particolare preoccupazione, tuttavia, suscitano i tentativi (in atto già dall’anno scolastico precedente) da parte della direzione della scuola elementare italiana di Capodistria di eliminare l’autonomia della scuola di Bertocchi - anche se essa è confermata da un decreto - per assumerne la gestione didattica e amministrativa. Tentativi, questi, che purtroppo non sono isolati. Nel riportare le motivazioni, che comunque sono rimaste senza risposta, per il controllo didattico e disciplinare al quale le scuole centrali sottopongono le piccole scuole periferiche, con la scusa che le poche insegnanti delle scuole periferiche debbano esser sollevate dagli obblighi di natura amministrativa, di fatto è stata già abolita l’autonomia di tutte le scuole periferiche sul territorio sloveno e croato sotto amministrazione jugoslava. Per quanto di mia conoscenza, non si tratta soltanto della gestione didattica e amministrativa, ma anche del controllo dei loro bilanci che sono stati assorbiti dalle direzioni unitarie e dai bilanci centrali delle poche scuole centrali (Capodistria, Pirano, Buie, Umago). Evidentemente, questo processo comporta grandi danni alle scuole del gruppo etnico italiano. Bisognerebbe, quindi, adottare urgenti misure che assicurino l’autonomia della scuola di Bertocchi e che ripristinino l’autonomia delle altre scuole periferiche sul territorio del Capodistriano e del Buiese. Le scuole centrali, dalle quali dipendono le scuole periferiche, sono le seguenti: CAPODISTRIA: Ancarano - Colombano e Semedella: PIRANO: Strugnano, S.Lucia, e in parte Sicciole; BUIE: Momiano, Castagna, Grisignana, Verteneglio; UMAGO: Bassania - Salvore, L’unica scuola periferica con le sole prime quattro classi che è ancora rimasta autonoma è quella di Bertocchi, ma anche la sua autonomia è ormai in pericolo. Causa l’eliminazione dell’autonomia le scuole si trovano a dover affrontare generalmente i seguenti disagi: Grazie al sistema d’autogestione in vigore, la direzione amministrativa centrale regola le cose in maniera che uno o due delegati della scuola periferica nel collettivo scolastico rappresentano sempre una minoranza insignificante, tenendo conto che sotto la direzione del direttore e del segretario, l’organismo dispone della divisione dei mezzi finanziari, anche se modesti. Il bilancio comune assorbe tutti i mezzi che per legge sarebbero destinati alle singole scuole periferiche; Le delibere vengono apportate con il voto maggioritario dei delegati della scuola centrale che sottolineando le necessità minori delle periferiche, assegnano in proporzione mezzi molto inferiori - cosa che succede soprattutto sul territorio croato - e dove le piccole scuole, costrette a vivere in uno stato di costante ristrettezza, sembrano essersi ormai assuefate. D’altra parte, poiché il sistema dell’autogestione prevede che ogni spesa influisca anche sul livello degli stipendi, gli insegnanti sia delle scuole periferiche che di quelle centrali tendono a risparmiare su tutto per contenere le spese e aumentare così il reddito individuale. per questi motivi, almeno in una certa misura, si tolgono parte dei mezzi alle scuole periferiche in favore di quelle centrali - anche se può sembrare superfluo spiegare quale impatto ha questo modo di fare per l’efficienza e la dignità delle scuole periferiche. A Buie, per esempio, gli stipendi sono maggiori rispetto a Cittanova, in quanto a Cittanova non esistono scuole periferiche; a Buie anche gli spazi igienici sono attrezzati di tutto il necessario, mentre le scuole periferiche solitamente dispongono di poco arredo e anche questo in condizioni pessime e completamente inadeguate a coprire il bisogno degli spazi igienici.

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La concentrazione della direzione, inoltre, toglie qualsiasi potere al consiglio scolastico delle scuole periferiche che è naturalmente interessato a sostenere l’efficacia di queste scuole. Alle riunioni nelle scuole centrali, tuttavia, raramente possono partecipare anche gli operai o i contadini che dovrebbero venire da località alquanto lontane, a volte anche percorrendo ore di cammino. Senza tener conto, infine, che anche quando i consigli delle scuole periferiche venissero completati, questi si troverebbero comunque in una situazione di sottomissione, rispetto alla maggioranza dei membri del consiglio della scuola centrale. Quali sono le conseguenze di una tale situazione? Dal punto di vista giuridico, le scuole periferiche hanno perso l’autonomia che viene loro riconosciuta dalle norme di legge e, di fatto, hanno acquisito un ruolo di sezione separata della scuola centrale. È evidente che qualsiasi manifestazione, e anche la stessa esistenza della scuola periferica, comporta un danno che viene addebitato alle scuole che originariamente erano autonome. Un danno che riguarda l’estinzione dell’autonomia e, questa, anche se soltanto teoricamente, potrebbe rappresentare una possibilità di abolizione della sezione con una semplice decisione del collettivo centrale. In ogni caso, il graduale svuotamento delle competenze degli organi delle scuole periferiche, assieme alla concentrazione didattico-amministrativa al centro, favorisce il fenomeno del calo del numero degli alunni (vedi il caso della scuola di Ancarano-Colombano, dove il numero degli alunni si è ridotto da venti a due, come pure il caso di Semedella), favorendo la concorrenza delle scuole slovene e croate. Tra l’altro, le scuole periferiche con la concentrazione hanno perso anche il diritto di bandire il concorso per l’assunzione dell’insegnante. Vorrei concludere sottolineando ancora una volta la serietà della questione. L’esperienza di due anni sul territorio sotto amministrazione jugoslava, i colloqui quotidiani con persone impiegate nella scuola e con la popolazione di lingua italiana, mi autorizzano a chiedere misure urgenti per assicurare l’autonomia della scuola di Bertocchi e il ripristino dell’autonomia alle altre scuole periferiche che, al tempo del Memorandum d’Intesa e fino a cinque-sei anni fa, godevano tutte dell’autonomia e, per le questioni economiche e disciplinari, in contatto diretto con il Comune di appartenenza. È vero, del resto, che con l’introduzione del sistema dell’autogestione, il Comune di Capodistria ha confermato la piena autonomia della scuola di Bertocchi. Ora vorrei attirare l’attenzione sulle errate interpretazioni che erano state date diverse volte in merito alle mie richieste di istituire un ginnasio italiano a Buie che, ritengo, corrispondono alle necessità ed alla situazione e che sono documentabili. Il problema del ginnasio di Buie non è scaturito per iniziativa del consigliere pedagogico; il problema esisteva già prima che venissero introdotti i consiglieri pedagogici ed aveva riscontro all’interno del gruppo di lingua italiana, per cui non c’è padre o madre di alunno, e non c’è persona qualsiasi che non conosca il problema, e che non nutra la speranza che possa anche venir positivamente risolto. I dati e gli argomenti che sono stati presentati in occasioni precedenti, naturalmente, rimangono ancora validi e concreti, ma a questi bisogna aggiungere quanto segue: I - Le autorità jugoslave di Zagabria hanno svolto un’indagine che, tra l’altro, ha compreso anche le scuole ottennali italiane dei comuni interessati: tutte le risposte sono state a favore dell’istituzione del ginnasio. II - In parallelo e a breve distanza di tempo, ho visitato anche personalmente

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le ultime classi delle scuole ottennali di Buie, Umago e Cittanova. Esponendo agli alunni presenti la possibilità di poter istituire questa scuola, ho ricevuto le seguenti risposte: a Buje, degli 11 alunni presenti 8 hanno dichiarato che si sarebbero iscritti nella prima classe del ginnasio, inoltre, accanto a questi, si sarebbero iscritti anche alcuni che avevano terminato la scuola l’anno precedente; a Umago su 7 presenti quattro o forse anche cinque si sarebbero iscritti; a Cittanova si sarebbero iscritti tutti e quattro gli alunni presenti. Complessivamente dei 22 alunni delle otto classi 16, e forse anche di più, sarebbero stati disposti ad iscriversi nella prima classe del ginnasio. Si stava ripetendo, pertanto - senza tener conto delle oscillazioni presenti ogni anno, ma che si possono prevedere e non sono di grande consistenza - la stessa situazione dell’anno precedente, documentata dalle dichiarazioni rilasciate dai genitori per iscritto. III - Per poter valutare esattamente la prospettiva dei sedici alunni, bisognerebbe tener conto del fatto che durante l’anno scolastico 1965/66 le quattro classi del ginnasio italiano di Capodistria erano frequentate da 18 studenti e che nella prima classe erano in quattro. Inoltre, la Scuola Economica di Isola, su un totale di 28 studenti, la prima classe era frequentata da 9 studenti. IV - Disponiamo di alcuni dati che riguardano anche i prossimi anni. Le classi superiori delle scuole ottennali sono frequentate dal seguente numero di alunni: Buie VII - 9, VI - 17, V - 17. Umago VII - 16, VI - 11, V - 19. Cittanova VII - 5, VI -8, V - 9. V - Il 7 giugno 1966 il Consiglio scolastico della scuola elementare di Buie ha inviato alcuni giorni prima agli organi scolastici e culturali competenti di Zagabria una relazione scritta nella quale si chiede l’istituzione del ginnasio, i criteri e le modalità di finanziamento, i modesti mezzi materiali e finanziari necessari, l’esistenza in loco degli insegnanti, l’elenco delle materie e degli orari d’insegnamento. Una iniziativa analoga era stata presentata da consigli scolastici delle scuole elementari di Umago e di Cittanova. Queste manifestazioni spontanee non dovrebbero venir ignorate da parte delle autorità competenti. VI - In base al progetto preparato a Buie, le spese per l’apertura e il funzionamento della prima classe sarebbero state ridicolmente modeste. L’istituzione, pertanto, dovrebbe avere un carattere sperimentale e diventerebbe definitiva in seguito all’esperienza acquisita di alcuni anni, se venisse confermata l’utilità della nuova scuola. Questo, anche senza prendere in considerazione l’eventualità che la scuola di Buie venisse istituita in sostituzione a quella di Pirano, con la relativa riduzione delle spese supportate da quest’ultima. Altre osservazioni negative che riguardano la scuola italiana sono le seguenti: 1. - Nell’anno scolastico 1965/66, nelle prime quattro classi delle scuole elementari di Strugnano e Verteneglio il numero degli insegnanti è stato portato a due e ad ognuno di loro sono state affidate due classi. A disposizione, però, è rimasta una sola aula, cosicché l’utilità dell’aumento degli insegnanti è fortemente limitata dalla necessità di svolgere le lezioni in due turni. L’aula della scuola di Verteneglio, dove opera anche un asilo infantile, ha sede nell’edificio della scuola croata, e la tabella sulla facciata è solo in lingua croata per la scuola croata. 2. - Nelle scuole italiane del Buiese i diari (registri di classe?) sono ancora in lingua croata. Lo statuto - lo stesso, sia per la scuola elementare di Buie che per le sezioni di Castagna, Verteneglio e Momiano - è stato redatto e confermato in lingua croata, in quanto la direzione non aveva tempo per tradurlo anche in lingua italiana.

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3. - La scuola elementare di Pirano non dispone di spazi adeguati per il proprio asilo infantile, anche se nello stesso edificio una trattoria occupa gli spazi che potrebbero servire per l’asilo infantile e per la palestra. Fino ad oggi, nonostante gli sforzi dell’attuale direttore e gli interventi della direzione del Servizio Pedagogico di Capodistria, non si è riusciti ad eliminare dalla scuola gli odori provenienti dalla cucina e sistemare gli spazi per l’asilo infantile e per la palestra. 4. - A Strugnano, lo spazio che potrebbe servire da seconda aula della scuola italiana viene usato come sala cinematografica o per altre attività ricreative. 5. - L’esame della situazione e delle future prospettive della scuola italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava ha confermato la necessità di aprire degli asili infantili in tutti i comuni e in tutte le località dove già esistono le prime quattro classi della scuola ottennale (Ancarano, Bertocchi, Semedella, Strugnano, Santa Lucia sul territorio sloveno; Momiano, Verteneglio, Grisignana, Bassania, Castagna nella parte croata. Se in qualcuna di queste località (Ancarano, Semedella, Grisignana, Castagna), causa l’esiguo numero di alunni, potrebbe sembrare inopportuna l’apertura di un asilo infantile, bisogna considerare che la loro assenza è uno degli elementi fondamentali delle cause che provocano una progressiva riduzione del numero degli alunni. Le località dove in genere non vivono famiglie italiane sono facilmente identificabili. 6. Per quanto riguarda i mezzi didattici non è stato registrato un miglioramento nemmeno nell’anno scolastico 1965/66. La situazione di gran parte delle scuole italiane è, da questo punto di vista, ancor sempre misera e insoddisfacente. 7. Per il miglioramento e l’aggiornamento professionale degli insegnanti, oltre alle attività che vengono sviluppate durante i seminari di cultura, ritengo necessario valutare l’attività svolta dall’Accademia Pedagogica di Pola, che rappresenta il solo istituto a carattere universitario dove vengono preparati i futuri insegnanti e che potrebbe offrire migliori qualifiche anche a coloro che dispongono di una preparazione minima o insufficiente per svolgere l’insegnamento sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Secondo una valutazione attuale potrebbero essere rimarcate le seguenti manchevolezze: i corsi di Pola sono poco frequentati poiché mancano i necessari libri di testo e poichè, stando alle informazioni di cui dispongo e che riporto con riserva, i programmi di studio spaventano l’esiguo numero di iscritti in quanto si ritiene che potrebbero conseguire il diploma alle università di Zagabria o di Lubiana più facilmente e in condizioni migliori. Coloro, invece, che sono già impegnati con l’insegnamento devono sopportare le difficoltà provocate dai disagi del trasporto quando devono sostenere gli esami o risolvere altri problemi a Pola. Quest’ultimo disagio è stato accuratamente eliminato con l’apertura di un corso pomeridiano a Buie, località facilmente raggiungibile da tutti i centri sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Anche per questa soluzione, tuttavia, esistono delle lamentele. Innanzitutto perché due pomeriggi alla settimana non sono certamente sufficienti per lo svolgimento di un corso a livello superiore; in secondo luogo, perché l’uso della lingua croata rappresenta un ostacolo per coloro che provengono dal territorio sloveno; in terzo luogo questo fattore pone in seria difficoltà gli iscritti di nazionalità italiana che conoscono la lingua croata quanto basta per una normale comunicazione quotidiana, ma non per affrontare conoscenze scientifiche; infine, la procedura che avrebbe consentito di svolgere più o meno in lingua italiana si è conclusa quando ormai tutto l’insegnamento e lo studio sono stati portati a termine in una lingua poco conosciuta, ma anche perché le traduzioni venivano eseguite soltanto in extremis. Tenendo conto che su questa base verranno creati i nuovi insegnanti qualificati, è evidente quanto sia importante arrivare quanto prima ad un miglioramento della situazione. Roma, 22 X 1966

Prof. Fernando Salsano. m.p.

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Capitolo XIV Esperti e consiglieri pedagogici i veri motori del Comitato Misto Verbale della XIV.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Belgrado, dal 13 al 23 dicembre 1967 (1)

Già prima dell’incontro, i membri della delegazione jugoslava si erano accordati di presentare già all’inizio della riunione una relazione unitaria su tutti i problemi aperti (esclusi quelli riguardanti la scuola) in base ad un preciso ordine di priorità, seguendo le relative clausole dello Statuto Speciale. La relazione è stata svolta dal dr. Ivo Murko in apertura della seconda giornata dei lavori. L’esposizione durò circa due ore (compresa la traduzione) e provocò tra i membri della delegazione italiana un atteggiamento estremamente negativo. Nelle Note presentiamo la relazione completa, naturalmente tradotta dal serbo-croato. (2) All’inizio dei lavori, la parte jugoslava, nel presentare la posizione del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, ribadirono che questo godeva degli stessi diritti degli altri cittadini, ai sensi delle clausole dello Statuto Speciale e delle specifiche misure sancite dalla Costituzione della RSFJ e delle Costituzioni e delle leggi delle Repubbliche di Croazia e Slovenia, nonché degli Statuti dei Comuni di Capodistria, Isola, Pirano, Buie, Umago e Cittanova. Davanti alle autorità amministrative, giuridiche e alle altre istituzioni pubbliche, la lingua italiana è parificata alla lingua croata o slovena. Nella prassi, ciò avviene tramite la pubblicazione di bandi pubblici dove vengono messi a concorso determinati posti di lavoro per i quali è richiesta anche la conoscenza della lingua italiana. In questo modo è possibile l’uso diretto della lingua italiana senza bisogno di un traduttore. Agli appartenenti al gruppo etnico italiano vengono rilasciati documenti e delibere amministrative e sentenze dei tribunali in entrambe le lingue. Le denominazioni e le insegne degli enti pubblici, delle città e delle vie sono bilingui su tutto il territorio, senza tener conto del fatto se corrispondono alle condizioni previste dal terzo comma dell’art. 5 dello Sta-

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tuto Speciale che richiede una consistenza numerica del 25% di residenti italiani. Una regola che è stata adottata anche per gli avvisi e per tutte le comunicazioni pubbliche. Gli appartenenti al gruppo etnico italiano sono rappresentati nell’Assemblea Federale e nelle assemblee delle Repubbliche Socialiste di Croazia e di Slovenia, come pure nei loro consigli e commissioni. Un gran numero di appartenenti al gruppo etnico italiano è presente negli altri organismi d’autogestione e occupano ruoli dirigenziali nelle istituzioni e nelle organizzazioni di lavoro. Per quanto riguarda i diritti acquisiti nel settore previdenziale, delle pensioni d’invalidità e d’anzianità, gli appartenenti al gruppo etnico italiano godono degli stessi diritti del resto della popolazione. Il gruppo etnico italiano dispone della stampa quotidiana e periodica nella propria lingua, per la cui pubblicazione nel 1967 sono stati stanziati dai fondi pubblici 2.960.000 nuovi dinari (da ricordare che nel corso dell’anno per frenare l’inflazione galoppante venne attuata una riforma monetaria che introduceva il nuovo dinaro, togliendo due zeri alla vecchia moneta). Secondo quanto asserito dalla parte jugoslava, l’attività artistico culturale del gruppo etnico italiano era stata molteplice e intensa. Era stata realizzata per mezzo di sette Circoli Italiani di Cultura e del Dramma Italiano di Fiume. Durante il 1967 si erano svolte più di 80 manifestazioni, tra concerti, rappresentazioni teatrali del Dramma Italiano, partecipazioni alle rassegne, mostre d’arte, conferenze, celebrazioni e rappresentazioni di intrattenimento. Per queste attività nel 1967 ai Circoli Italiani di Cultura erano stati stanziati mezzi pubblici per 75.900 nuovi dinari, al Dramma Italiano erano andati 529.000 e all’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume 144.000 nuovi dinari. Una parte consistente delle attività artistico-culturali del gruppo etnico italiano si svolse anche attraverso le trasmissioni di Radio Capodistria, dove oltre il 50% dei programmi era in lingua italiana. Per il finanziamento di questo programma vennero stanziati mezzi particolari dai fondi pubblici. Nel corso della presentazione, i membri italiani del Comitato Misto sottolinearono nuovamente come l’abrogazione dei comuni, assieme alle modifiche apportate alle circoscrizioni comunali con l’accorpamento di aree non appartenenti al “territorio sotto amministrazione” jugoslava, avevano comportato un cambiamento del rapporto proporzionale della popolazione appartenente al gruppo etnico italiano rispetto a quello della popolazione slovena e croata, con conseguenze negative sulla rappresentatività negli organi di gestione. Inoltre, con l’abolizione di distretti è stata eliminata

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un’importante struttura politico-amministrativa, nella quale era rappresentato anche il gruppo etnico italiano. Una situazione che, certamente, non venne migliorata con la creazione di nuove organizzazioni alle quali vennero assegnate nuove competenze, anche quando queste avevano la loro sede fuori dal “territorio sotto amministrazione” jugoslava. Per questi motivi, gli Italiani ritennero necessario che tutte queste modifiche venissero abrogate, in quanto le ritenevano in netto contrasto con l’art. 7 dello Statuto Speciale. La parte italiana fece presente che pure l’art. 5 dello Statuto Speciale non veniva attuato interamente, richiamandosi, a titolo d’esempio, ai formulari scolastici, alla mancanza di personale con conoscenza della lingua italiana, come pure al fatto che in alcuni casi i nomi italiani venivano trascritti nelle forme slovena o croata. In merito all’art. 2 b) e c) dello Statuto Speciale, gli Italiani ribadirono che in alcuni settori esso veniva attuato soltanto parzialmente e che in alcune istituzioni era stata constatata una riduzione della rappresentatività del gruppo etnico italiano. L’art. 4 b) dello Statuto Speciale veniva attuato parzialmente nei seguenti casi: il numero ridotto dei Circoli Italiani di Cultura che avevano sede al di fuori del “territorio sotto amministrazione jugoslava” e che potevano disporre di mezzi finanziari modesti anche se, essendo parte integrante dell’unica Associazione autorizzata del gruppo etnico italiano (UIIF), pure questi avrebbero dovuto avere la possibilità di corrispondere adeguatamente alle necessità culturali del gruppo. Di conseguenza, la parte italiana chiese che venissero adottate delle misure per l’attuazione concreta degli artt. 2 b), c), e) e dell’art. 4 b) dello Statuto Speciale. In merito al primo comma dell’art. 4 dello Statuto Speciale, i consiglieri italiani ricordarono che esistevano ancora degli ostacoli al libero sviluppo culturale del gruppo etnico italiano, in particolare per quanto riguardava la possibilità di disporre dei quotidiani, dei periodici e delle pubblicazioni italiane, in genere. Ribadirono, che a loro parere sarebbe stato necessario adeguare le disposizioni di legge attuali a quelle dello Statuto Speciale, assicurando al gruppo etnico italiano la possibilità di disporre di tutte le pubblicazioni e, con ciò, garantire i legami con la cultura della matrice nazionale. Per migliorare la situazione del gruppo etnico italiano, i membri italiani del Comitato ripeterono la proposta di aprire una sala di lettura. In merito ricordarono che già nel corso delle sessioni precedenti la delegazione jugoslava aveva espresso parere favorevole in linea di principio. Ribadirono, inoltre, che tra le finalità della sala di lettura rientrava anche la fornitura di materiale culturale e informativo per tutto il gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava e che questo ente non avrebbe dovuto essere analogo a quello previsto dall’accordo bilaterale fra i due 176


Paesi, inerente i centri informativi. Una soluzione in tal senso avrebbe potuto essere rappresentata dall’istituzione di una tale sala di lettura presso uno dei Circoli culturali, apportando determinate regole secondo le quali la sala di lettura avrebbe dovuto essere in funzione di tutto il gruppo etnico ed essere guidata da persone di chiara competenza. Dopo aver ascoltato l’esposizione della delegazione italiana, gli jugoslavi, richiamandosi a quanto esposto già nelle sedute precedenti, informarono che la riforma amministrativa della Jugoslavia era stata attuata già nel 1955 in tutto il Paese con l’intento fondamentale di rafforzare la posizione dei comuni. Questa riforma aveva contribuito anche allo sviluppo economico del territorio sotto amministrazione jugoslava. Il gruppo etnico italiano era pienamente rappresentato nelle assemblee comunali, nei vari consigli e commissioni, nelle comunità locali e partecipava attivamente nei vari consigli, assemblee elettive, e via dicendo. I distretti non avevano mai rappresentato delle unità amministrative di base, e pertanto erano stati gradualmente aboliti in tutto il Paese. Di conseguenza, in questa riforma dell’organizzazione amministrativa era stato inserito anche il territorio sotto amministrazione jugoslava. La parte jugoslava ribadì che sul territorio sotto amministrazione jugoslava venivano pienamente rispettati il primo e il secondo punto dell’art. 5 dello Statuto Speciale riguardanti l’uso della lingua italiana. Lo stesso, come già enunciato precedentemente, valeva anche per le norme dello Statuto Speciale che prevedono una giusta rappresentanza. Anche alla forma adottata per la scrittura dei nomi e cognomi italiani, come affermarono i rappresentanti della delegazione jugoslava, veniva dedicata molta attenzione. Le clausole dell’art. 4 b) dello Statuto Speciale sul territorio sotto amministrazione jugoslava venivano attuate pienamente, il che era dimostrato dalle sovvenzioni che ogni anno venivano destinate al teatro italiano, alla Casa Editrice EDIT, ai Circoli Italiani di Cultura ed alle altre istituzioni culturali. Il gruppo etnico italiano disponeva di una propria stampa quotidiana e periodica, ai sensi dell’articolo 4 a) dello Statuto Speciale; oltre a questo, per le necessità di questo gruppo etnico venivano importate dall’Italia delle altre pubblicazioni. Bisognava constatare che un consistente numero di esemplari delle pubblicazioni importate venivano alla fine restituite. Per quanto riguardava la richiesta dei membri italiani del Comitato in merito all’apertura di una sala di lettura per le necessità del gruppo etnico italiano sotto la direzione di una persona competente, la parte jugoslava spiegò che questa richiesta non era supportata dallo Statuto Speciale e non poteva essere sostenuta dalla parte jugoslava. I rappresentanti del gruppo etnico italiano potevano richiedere dalle competenti autorità jugoslave un

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determinato incremento degli spazi in uso al fine di aumentare le attività di determinate attività esistenti nel singolo Circolo, il che, nell’ambito delle possibilità, sarebbe stato favorevolmente esaminato e risolto. Gli jugoslavi, inoltre, presero atto di quanto spiegato dai consiglieri italiani secondo cui, la loro richiesta di aprire una sala di lettura non riguarderebbe il vigente accordo italo-jugoslavo sui centri d’informazione. Dopo aver concordato nella riunione dei capi delegazione svoltasi a Roma dal 28 al 30 giugno 1967, che il mandato dei consiglieri pedagogici sarebbe stato prorogato con uno scambio di lettere, il Comitato prese atto che per la parte jugoslava veniva riconfermato il prof. Stane Mihelič, mentre per la parte italiana l’incarico veniva assegnato al prof. Ermanno Visintin. I due consiglieri pedagogici, nel prendere possesso del nuovo mandato, ritennero necessario che l’accordo sulla loro nomina venisse confermato anche dal Comitato stesso. Riportiamo di seguito i risultati del lavoro svolto in merito e inerenti il gruppo etnico italiano. Per quanto riguarda i Seminari per gli insegnanti per le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, un seminario di studio si tenne ad Alba dal 26 giugno fino all’8 luglio 1967. Nell’anno scolastico 1967/68 sono state distribuite sei borse di studio su 9 candidati. Come venne subito comunicato ai prescelti l’obbligo riguardava la frequentazione dell’università a Lubiana e a Padova da documentare con l’attestato di iscrizione oltre che con quello della presenza ai vari corsi. Anche per quanto riguarda lo scambio dei libri per le biblioteche scolastiche e dei mezzi didattici, la parte italiana ha fatto sapere di aver già consegnato tutto il materiale al Servizio Pedagogico di Capodistria affinché lo distribuisca alle istituzioni scolastiche con lingua d’insegnamento italiana. Le autorità italiane hanno provveduto, analogamente, a inviare alle scuole con lingua d’insegnamento italiana anche i libri di testo concordati. La parte italiana comunicò che pure la prevista gita scolastica in varie città italiane era stata organizzata dal 18 al 20 maggio 1967 per gli alunni delle classi superiori delle scuole ottennali, e dal 26 giugno al 2 luglio 1967 per gli studenti delle scuole medie con lingua d’insegnamento italiana. Proseguirono pure gli scambi di programmi per lo studio della storia che erano già applicati nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, anche se in quel periodo non era avvenuto ancora il previsto scambio di testi di storia in seguito ad una valutazione della loro idoneità. Tra le altre iniziative riportate dal verbale anche le osservazioni presentate da parte italiana in merito alla proposta avanzata tempo prima dalla 178


parte jugoslava in merito alla realizzazione di conferenze, di proiezioni cinematografiche, rappresentazioni teatrali e di mostre itineranti del libro. Nel ribadire che di questi temi si sarebbe discusso in tempo debito, la conclusione fu che, in ogni caso, si poteva affermare che i contatti costanti tra gli esperti andavano considerati come utili per la soluzione dei particolari problemi legati alla realizzazione degli scambi culturali in favore dei due gruppi etnici concordati nell’ambito del Comitato Misto. Approvando questa conclusione, il Comitato Misto prese atto con soddisfazione dell’attività svolta dagli esperti, prorogando la loro funzione anche per l’anno scolastico 1967/68. Il Comitato Misto, inoltre, si trovò d’accordo che ciascuna parte si sarebbe interessata presso le proprie autorità doganali per verificare le possibilità di facilitare il trasporto di libri, di materiale didattico e libri di testo da un territorio all’altro, come previsto dall’accordo conseguito nell’ambito del Comitato.. Nel corso della seduta, il Comitato venne informato anche delle relazioni presentate dai consiglieri pedagogici e che vennero allegate al verbale. Dopo il consueto scambio di vedute e dopo che i membri italiani esposero le problematiche riguardanti la minoranza slovena sul territorio sotto amministrazione italiana, gli jugoslavi informarono che: - la scuola professionale di Isola è stata trasformata in scuola professionale di secondo grado; - a Verteneglio è stato aperto un asilo infantile; - l’autobus scolastico continua a trasportare gratuitamente gli studenti di Buie, Cittanova e Umago a Pirano, oppure a Isola. Da questo territorio frequentano il ginnasio di Pirano 8 studenti, la scuola economica di Isola 9, mentre alla scuola professionale di Isola arrivano dal buiese 38 studenti; - sono in fase di approvazione le modifiche della Legge della Repubblica Socialista di Croazia sulle scuole con lingua d’insegnamento delle singole nazionalità. Nel progetto sono state prese in considerazione tutte le osservazioni e le proposte avanzate dall’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume; - in linea di principio è stata approvata la decisione di istituire una speciale commissione per le scuole con lingua d’insegnamento italiana, con il compito di seguire e proporre miglioramenti per lo sviluppo della scuola del gruppo etnico italiano; - presso l’Istituto pedagogico di Capodistria e presso l’Istituto per l’istruzione di Fiume, che copre anche il territorio del buiese, nell’atto dell’organico sono stati previsti, e pure già assunti in servizio, dei consulenti pedagogici per le scuole con lingua d’insegnamento italiana; - si trova in fase finale l’approvazione dei programmi d’insegnamento ed i programmi di lavoro per le scuole con lingua d’insegnamento italiana; 179


- i corsi dell’Accademia pedagogica di Pola sono frequentati da tutti gli insegnanti che non dispongono ancora del curriculum professionale previsto. Si sta esaminando la possibilità di introdurre l’insegnamento in lingua italiana dell’intero corso per gli insegnanti delle materie di classe. - Al Ginnasio di Capodistria è stata assunta l’insegnante di biologia e alla Scuola media economica di Isola un insegnante di economia, inoltre, ha conseguito la laurea ancora un insegnante di geografia e numerosi iscritti all’Accademia pedagogica. Presso la scuola professionale di Isola stanno collaborando anche tre insegnanti per le materie pratiche. - Oltre ai seminari di Capodistria e Alba, un consistente numero di insegnanti ha preso parte al seminario estivo di Rovigno, mentre le autorità scolastiche hanno reso possibile ad una decina di insegnanti di prender parte al seminario di Trieste organizzato dall’Università Popolare triestina; - per la stampa di nuovi libri di testo sono state assicurate sovvenzioni per un totale di 655.000 dinari. Sono già stati pubblicati i libri di testo di storia per l’VIII classe e di geografia per la VI, la stampa di altri quattro libri di testo sta per essere ultimata e precisamente: Geografia per l’VIII classe, Conoscenza della natura e della società per la V, Antologia per la VII e Aritmetica per la I classe. Sei libri di testo per le scuole elementari e tre per i ginnasi sono in fase di stampa, come pure undici formulati bilingui per le necessità della scuola con lingua d’insegnamento italiana - Per le scuole del territorio di Isola, Capodistria e Pirano è stato preparato un piano per risolvere gradualmente, entro il 1970, la maggior parte dei problemi legati agli edifici scolastici. A Verteneglio è stata abilitata ancora un’aula e tutto l’edificio è stata risistemato. A Grisignana ed a Castagna è stata portata a termine la ricostruzione degli edifici scolastici. Migliorata anche la situazione delle biblioteche scolastiche. - Radio Capodistria continua con la trasmissione di programmi per le scuole con lingua d’insegnamento italiana fruendo dei suggerimenti e delle proposte degli insegnanti. - Una ventina di appartenenti al gruppo etnico italiano fruiscono di borse di studio per corsi universitari e per le scuole medie superiori. Richiamandosi alle relazioni dei consiglieri pedagogici, il Comitato si soffermò ancora su alcuni problemi che la parte italiana ritenne particolarmente importanti per il settore scolastico del gruppo etnico italiano e ritenne di presentare le seguenti proposte: - l’apertura di nuovi asili per l’infanzia nelle località dove esiste una forte richiesta da parte del gruppo etnico italiano, senza condizionare l’apertura anche alla presenza, nella stessa località, di un asilo sloveno o croato;

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- l’apertura di una nuova scuola elementare a Madonna (Santa Maria) del Carso; - almeno alcune delle attuali scuole elementari con quattro classi inferiori vengano trasformate in scuole ottennali, onde permettere agli alunni di continuare la scuola nella propria località; - reintrodurre nuovamente l’autonomia delle scuole periferiche, in quanto l’accorpamento dei servizi didattici e amministrativi effettuato negli ultimi anni, ha comportato grosse difficoltà e, secondo le constatazioni del servizio legale del Comune di Capodistria, non sono in armonia nemmeno con l’ordinamento jugoslavo, in base al quale tutte le scuole rappresentano delle “unità autonome di lavoro”; - l’apertura di una scuola di secondo grado nella parte croata del territorio jugoslavo sotto amministrazione jugoslava. Da molto tempo il gruppo etnico italiano di quest’area sente la necessità di una scuola del genere, in quanto non esiste nessuna scuola con lingua d’insegnamento italiana. In merito, i membri italiani del Comitato constatarono che la soluzione di compromesso, che prevedeva il trasferimento del ginnasio da Pirano a Buie si è dimostrata praticamente non attuabile, visto che nel periodo trascorso tra la XIII e la XIV sessione non è stato registrato alcun progresso. Pertanto la parte italiana ripetè la propria proposta iniziale per l’apertura nell’area croata di una nuova scuola di secondo grado con lingua d’insegnamento italiana. Per semplificare la soluzione di questo problema - come dissero - sarebbe accettabile anche l’apertura di una scuola di tipo diverso dal ginnasio, ma non rispondente ad un indirizzo troppo rigoroso, come pure che la stessa ubicazione della scuola venisse ubicata in un’altra località maggiore del territorio croato; - nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, ai sensi dell’art. 4 c) dello Statuto Speciale, effettuare la sostituzione degli insegnanti che non sono della stessa madre lingua degli alunni; - adottare delle misure che assicurino ai futuri insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana il conseguimento dellle necessarie condizioni professionali e pedagogiche presso Accademie pedagogiche della lingua materna; - avviare con urgenza la pubblicazione dei libri di testo necessari per le scuole con lingua d’insegnamento italiana e, in particolare, che gli esperti del Comitato Misto, ai sensi dell’accordo del 21 luglio 1964, realizzino lo scambio dei libri di testo di storia per un loro esame; - nell’ambito del piano che le competenti autorità jugoslave stanno già preparando, provvedere all’eliminazione delle manchevolezze riguardanti le aule e le altre necessità delle scuole con lingua d’insegnamento italiana ancora sempre attuali.

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Rispondendo, punto per punto, alla richieste presentate dalla parte italiana, la delegazione jugoslava sostenne che nuovi asili d’infanzia per il gruppo etnico italiano potrebbero essere aperti se esistesse una reale necessità e a condizione che nella località esistesse anche un asilo in lingua slovena o croata. In caso contrario, gli appartenenti alla maggioranza, che dappertutto risultano essere in numero più consistente, potrebbero ritenere di esser danneggiati nei confronti della minoranza. Per quanto riguarda la richiesta di apertura di una scuola elementare a Madonna del Carso, gli jugoslavi ribadirono che questa scuola non era stata prevista dallo Statuto Speciale. Inoltre, sottolinearono che il sistema scolastico jugoslavo evitava l’istituzione di piccole scuole che non avrebbero potuto assicurare un’istruzione di qualità. Pertanto, ritenevano che non esistessero motivi validi per l’apertura di questa scuola. Anche per quanto riguarda la proposta di trasformare alcune delle scuole quadriennali esistenti in scuole ottennali complete, la parte jugoslava spiegò che le scuole elementari complete esistevano in tutte le maggiori località e che, agli alunni che avevano terminato la scuola quadriennale nelle località più piccole, il trasporto veniva assicurato gratuitamente. In questo modo agli alunni veniva garantita un’istruzione di maggiore qualità, il che rappresentava il fondamento del sistema scolastico jugoslavo. In merito all’autonomia delle scuole, gli jugoslavi ripeterono quanto avevano spiegato già nelle sessioni precedenti sottolineando che questa non era prevista dallo Statuto Speciale. Negli statuti delle singole scuole, che si stavano gradualmente approvando, la loro posizione giuridica era interamente in sintonia con le clausole dello Statuto Speciale e della legislazione jugoslava, come era testimoniato proprio da quanto stabilito dal servizio legale del Comune di Capodistria. La questione di una scuola di secondo grado nel Buiese, a detta degli jugoslavi, era stata risolta con successo con l’introduzione del trasporto gratuito degli studenti a Isola e Pirano, dove potevano frequentare il ginnasio oppure la scuola media economica o quella professionale. Inoltre era comunque in aumento la rete scolastica del gruppo etnico italiano sul territorio della Repubblica Socialista di Croazia. In armonia con le risorse professionali possibili andava diminuendo il numero dei professori che non appartenevano alla stessa lingua madre degli alunni e che a suo tempo avevano accettato di insegnare nelle scuole medie con lingua d’insegnamento italiana dopo che queste erano state abbandonate dagli insegnanti italiani. All’Accademia pedagogica di Pola alcune materie venivano già insegnate in lingua italiana, mentre tutti gli studenti che appartenevano al gruppo etnico italiano erano obbligati a frequentare le lezioni in lingua italiana, indipendentemente dalla materia che stavano studiando. Si stava

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esaminando la possibilità che le lezioni per gli insegnanti delle materie di classe si svolgessero tutte in lingua italiana. Per migliorare la situazione dei libri di testo erano stati assicurati ingenti mezzi finanziari. Per quanto riguardava lo scambio dei libri di storia esistevano ancora delle difficoltà in quanto presso le scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana, questi libri di testo non erano ancora disponibili. (3)

Note: (1) A guidare la delegazione jugoslava nuovamente Zvonko Perišić, mentre a capo di quella italiana si trovò Gian Luigi Milesi Ferretti. L’ordine del giorno approvato seguì le linee che da tempo erano presenti e riguardavano essenzialmente le misure approvate nel periodo dopo la sessione precedente e quelle che venivano proposte dalle parti per l’attuazione delle clausole dello Statuto Speciale. Un ruolo determinante e specifico, invece, andavano assumendo le relazioni dei due esperti e, in particolare, per il settore scolastico, dei consiglieri pedagogici. Prima delle varie, come d’obbligo, sempre presente anche il punto riguardante i ricorsi e le richieste di singoli e istituzioni, anche se, pur nelle modificate condizioni dei rapporti tra i due Paesi vicini, nessuna richiesta venne presentata da parte degli appartenenti alla Comunità Italiana dell’ex Zona B. (2) La relazione integrale preparata dai consiglieri jugoslavi e presentata a voce dal dr. Ivo Murko: Il problema della giusta rappresentanza nelle varie commissioni e servizi (art. 2 b), c) dello Statuto Speciale). In base alla documentazione avuta da Trieste sono stati elencati i casi nell’ambito dell’amministrazione regionale, secondo cui gli Sloveni erano male rappresentati nelle varie commissioni, pur se la situazione era notevolmente migliore rispetto a quella presente nel settore occupazionale dei servizi pubblici. In questo settore la situazione è ancor sempre disastrosa. È stato fatto l’esempio secondo cui nell’amministrazione regionale, soltanto quattro impiegati su mille sono Sloveni. La delegazione jugoslava chiese alla delegazione italiana l’impegno a intervenire presso le autorità italiane affinché nei bandi di concorso venisse inserito un trattamento speciale, simile a quello già adottato in Alto Adige, con il quale, per la conoscenza della lingua slovena in quei posti che richiedono un’amministrazione bilingue, viene assicurato un punteggio superiore. Il problema dell’uso orale e scritto della lingua slovena nell’amministrazione pubblica. Il problema dell’uso orale e scritto della lingua slovena nell’amministrazione pubblica e della giustizia è stato illustrato con argomenti già noti e presentati dalla delegazione jugoslava da ormai dieci anni, ma con risultati molto modesti. In particolare è stato accentuato il fatto che la legislazione italiana sul territorio di

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Trieste non è stata adeguata a quanto stabilito dallo Statuto Speciale. Dopo aver ribadito che, se non è possibile esigere la ratifica dello Statuto Speciale, è necessario insistere sulla modifica di alcune norme di legge che erano in contrasto con lo Statuto Speciale. Questo riguarda in particolare le già note clausole dell’art. 122 del Codice di procedura civile e dell’art. 137 del Codice di procedura penale, In merito ci si è avvalsi di alcune clausole amministrative e legislative jugoslave, stese sia in sloveno che in italiano, adottate proprio negli ultimi tempi. Le clausole dello Statuto Speciale che prevedono l’uso del bilinguismo sul territorio di Trieste, invece, è presente in maniera molto modesta nel settore amministrativo, mentre sono molto numerosi i casi pratici che ultimamente dimostrano come non sono state create le condizioni per un’amministrazione bilingue, nè che per questo esista una particolare disponibilità. Per quanto riguarda il settore giudiziario, invece, nella nostra relazione è stato affermato che finora nessun procedimento giudiziario a Trieste era stato svolto nel rispetto delle citate clausole dello Statuto Speciale e che, secondo la nostra convinzione, anche nessuna sentenza o delibera di un tribunale era stata emessa comprensiva della traduzione in lingua slovena. In linea di principio, quindi, è stata presentata, la richiesta che la lingua slovena venga, da tutti i punti di vista, giuridicamente parificata con la lingua italiana. Il problema delle pensioni agli invalidi della LPL È stato affrontato pure il problema delle pensioni agli invalidi della LPL e dei loro congiunti (in quanto si tratta di appartenenti alla minoranza slovena), e il problema delle pensioni del personale insegnante delle scuole minoritarie slovene, dal punto di vista del trattamento come previsto dall’art. 2 f) dello Statuto Speciale. Nella relazione si è fatto riferimento a quanto in merito ai contributi d’invalidità e alle proteste dei partigiani della LPL di Trieste è stato già illustrato in maniera più esaustiva alla precedente XIII sessione del Comitato. Per quanto riguarda il personale insegnante, invece, è stato constatato che anche le ultime misure adottate nel settore scolastico che hanno contribuito sll’inerimento nel ruolo di categoria un maggior numero di professori sloveni, non ha eliminato la discriminazione materiale e giuridica degli insegnanti più anziani, rispetto alla stessa categoria di insegnanti nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana. L’assenza di norme che vietino e sanzionino l’incitamento all’odio nazionale sul territorio italiano. La delegazione jugoslava ha sottolineato di non aver voluto riportare alcuni casi concreti, anche se ritiene necessario che queste manchevolezze presenti nella legislazione italiana debbano venir eliminate. Nel corso della relazione sono state elencate tutte quelle clausole della normativa italiana che la stessa delegazione italiana aveva portato in campo nel corso della V sessione e dalle quali risulta evidente che non riescono a coprire di fatto la situazione come richiesto dall’art. 3 dello Statuto Speciale e come inserito adeguatamente nell’art. 119 del Codice penale jugoslavo. In merito la relazione ha fatto riferimento al fatto che nel 1966 lo stesso Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia (a maggioranza dei voti italiani) aveva sostenuto la proposta della legge nazionale con la quale venivano aggiornate due clausole del Codice penale italiano. Il mantenimento del carattere etnico del territori dove vive la minoranza slovena - art. 4, comma 1 dello Statuto Speciale La parte jugoslava ha riportato in maniera molto previdente una nuova protesta in merito al problema dell’inadeguata e invadente espropriazione nella periferia di Trieste di aree destinate alla costruzione di nuove impianti industriali. Onde evitare

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che la parte italiana possa accusarci di un atteggiamento contrario allo sviluppo industriale, è stato sottolineato che ogni sviluppo del genere è logico e che come tale va salutato, ma che nel caso concreto nel comune di San Dorligo della Valle (Dolina) l’espropriazione ha riguardato ben 3.100.000 m2 di territorio, mentre, secondo alcune valutazioni ottimali, per la costruzione della fabbrica “FIAT MOTORI” sarebbero stati sufficienti 700.000 m2. Nel contesto, è stato pure ribadito che nel passato ci sono stati molti esempi negativi nel settore delle espropriazioni, in quanto per questa stessa industria era già stato confiscato un altro complesso terriero e che, per molti, i risarcimenti venivano valutati in maniera troppo esigua e più tardi, da parte dell’Ente del porto industriale rivendute a prezzi notevolmente maggiorati per altre finalità, compresa la costruzione di alcune ville e simili. In questo modo, è stato sottolineato, viene di fatto minacciata la composizione etnica di questo territorio che è compattamente abitato da Sloveni. Lo status del Teatro Stabile Sloveno di Trieste e il sostentamento finanziario delle organizzazioni culturali. - art. 4, comma 1 e punto b) dello Statuto Speciale. La delegazione jugoslava ha nuovamente chiesto il riconoscimento di uno status giuridico del teatro sloveno di Trieste che assicurasse una esistenza con sovvenzioni finanziarie sufficienti e costanti, in armonia con il trattamento previsto per le istituzioni teatrali italiane e nel rispetto dell’ormai centenaria tradizione del teatro sloveno di Trieste. Per quanto riguarda le altre organizzazioni culturali da parte italiana va registrato un sicuro miglioramento dopo l’appello lanciato per un aumento dello dotazioni previste. Tabelle bilingui - art. 5, comma 3 dello Statuto Speciale. È stato nuovamente segnalato che questa clausola dovrebbe esser applicata in genere nei comuni di Duino-Aurisina, Sgonico, San Dorligo della Valle e Rupingrande, come pure in alcuni settori del comune di Trieste (è noto il problema delle circoscrizioni elettorali). È stato ribadito che questa clausole viene adottata in misura minima nei quattro comuni elencati, e questo soltanto nei posti che sono di precisa competenza comunale, mentre è completamente assente dove si tratta di competenze che appartengono allo Stato, alla Regione, alla Provincia o ad altri enti pubblici. Sono stati nuovamente ripetuti gli argomenti già noti in merito alle circoscrizioni elettorali nel comune di Trieste che la delegazione italiana non ha mai voluto riconoscere, nemmeno questa volta, anche se la delegazione jugoslava proprio nell’imminenza della sessione ha saputo da Trieste che alcune tabelle sono state poste all’ultimo momento nelle aree di Santa Croce, di Basovizza e di Prosecco. Il problema della Tržaška Kreditna Banka - Banca di Credito di Trieste. In base ad un accordo interno, questo problema non è stato inserito nella relazione, ma è stato lo stesso presidente della delegazione, il comp. Perišić, che ha riservato l’argomento per un proprio intervento sotto le “Varie”. In questo modo è stato evidenziato in maniera ancora maggiore il fatto che, a nostro parere, l’obbligo italiano circa l’istituzione di questa banca non era stato portato a termine compiutamente. anche se nelle regole approvate esiste la clausola secondo la quale la banca potrà operare anche con l’estero, ma non le è stato ancora assicurato il benestare della “Banca d?Italia”. È stato sottolineato che si tratta dell’unico istituto finanziario sloveno, per cui non può esser ritenuto valido l’argomento da parte italiana per cui anche ad alcune banche italiana non è stato concesso questo be-

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nestare. Nell’esposizione del presidente è stata ribadita la circostanza che Trieste è una città di confine e che anche la minoranza contribuisce positivamente allo scambio commerciale italo-jugoslavo e che la comunità etnica jugoslava di Trieste aveva avuto in passato tutta una serie di istituti finanziari. Come anticipato, questo argomento è stato presentato alla fine della sessione, per cui non è stata registrata una prima reazione al problema da parte italiana. La reazione della delegazione italiana Il giorno seguente, tuttavia, nelle risposte della delegazione italiana ai singoli punti, presentate da Vincenzo Molinari, il presidente della delegazione italiana Gian Luigi Milesi Ferretti (che il giorno prima non aveva nemmeno ritenuto opportuno di dover ringraziare per la nostra esposizione, come consuetudine del Comitato Misto), rilasciò una dichiarazione di principio introduttiva, nella quale disse che la delegazione italiana aveva preso atto con sorpresa e con molto rammarico dell’esposizione della delegazione jugoslava - concretamente del dr. Murko - e che da questa esposizione aveva rilevato quanto segue: che sul territorio italiano non era stato fatto niente per la minoranza slovena, che nell’esposizione non si era stato tenuto conto dei buoni rapporti tra Jugoslavia e Italia, che nell’esposizione si trovano mescolate anche questioni che erano già vecchie e alle quali la delegazione italiana aveva già risposto, che nell’esposizione erano presenti nuove proteste, che alla parte italiana sembrava, che nell’esposizione fossero stati portati in campo anche altri gruppi etnici presenti in Italia; (in effetti il dr. Murk aveva presentato, a titolo di esempio, un paragone con i gruppi etnici di lingua francese e di lingua tedesca che godono di diritti assicurati da Statuti speciali che hanno valore di legge costituzionale italiana, mentre a Trieste lo Statuto Speciale è entrato formalmente in vigore soltanto con delle circolari interne (!). A riferimenti rivolti nei confronti di altri gruppi etnici in Italia, la parte italiana era solita farle in tutte le sessioni del Comitato, ma non si era mai verificata una reazione così dura e spiacevole, che nell’esposizione era stata eseguita anche una valutazione riguardante una proposta di legge che sarebbe in procedura al Parlamento. Nel suo intervento Milesi ha usato esprimersi dicendo che nel Comitato Misto non “abbiamo nessuna veste” per poter valutare le proposte di legge parlamentari. La nostra valutazione positiva dell’approvazione registrata nel Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia è stata intesa con particolare senso negativo in quanto conteneva il termine “minoranze nazionali”, in quanto a suo parere in Italia minoranze nazionali non esistono. Secondo Milesi Ferretti e secondo il presidente precedente - Terruzzi - è possibile parlare soltanto di cittadini italiani di questa o quella lingua, o, al massimo, di gruppi etnici. che l’esposizione presentata dalla parte jugoslava si era espressa criticamente anche in merito ad un giudice del Tribunale Circondariale di Trieste che non avrebbe permesso lo svolgimento di un processo in lingua slovena; (nella nostra esposizione erano stati elencati quattro casi concreti avvenuti negli anni dal 1959 al 1961). La questione venne presentata come se la funzione del giudice fosse sacrosanta e che nessuno avesse il diritto di criticarla, pur essendo, comunque, cosciente del fatto che anche i giudici possono sbagliare, ma che per questo l’ordine giuridico prevede degli strumenti di carattere giuridico. Il resto delle risposte ai punti presentati dalla delegazione jugoslava vennero continuate dal dott. Molinari che già nell’introduzione affermò che la minoranza

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slovena di Trieste gode di un trattamento migliore rispetto alla minoranza italiana sul territorio jugoslavo. Per il resto, respinse tutte le critiche jugoslave affermando che la giusta rappresentanza degli Sloveni era garantita, che questi godevano di uguali diritti con gli altri cittadini, che i concorsi specifici per uffici statali non erano necessari, che sul bilinguismo era pienamente rispettata la clausola, che la minoranza slovena disponeva di una propria stampa, di trasmissione radiofoniche, di molte associazioni, che godevano pieno sostegno, che gli espropri nel circondario di Trieste erano assolutamente giusti e che venivano realizzati senza discriminazione previo giusto risarcimento. Affermò pure, che il comune di San Dorligo - Dolina si dichiarò d’accordo con la costruzione dell’impianto industriale e che anche il deputato regionale Škerk aveva ritirato la sua interpellanza in merito, e così avanti... Per quanto riguarda l’uso della lingua slovena comunicò la novità, secondo cui la nuova legge italiana del 14/7-1967 No. 568 prevedeva che nelle aree di competenza dei tribunali d’appello, dove la procedura d’esercizio lo prevede, verranno introdotti posti di lavoro di traduttori e interpreti. Nel verbale, la parte italiana ha fatto specificare che, in questo modo, agli appartenenti al gruppo etnico jugoslavo, verrà resa più semplice la fruizione dei diritti provenienti dall’art. 5 dello Statuto Speciale. Essendo stati informati già nel corso del giorno precedente delle misure in via d’attuazione, la delegazione jugoslava replicò giustamente che la clausola non era destinata direttamente alla minoranza slovena e non copriva quanto previsto dall’art. 5. Il dott. Molinari minacciò in maniera quasi ultimativa che se questa clausola non l’avssimo ritenuta conveniente potrebbero ancor sempre abrogare la già prevista nomina di questi traduttori per l’area della Corte d’appello di Trieste. In merito al sostegno materiale, Molinari affermò che tutto era in regola per quanto riguardava il teatro sloveno e che era completamente equiparato ai teatri italiani e che nel 1966 aveva ricevuto una sovvenzione di 6.400.000 lire. Di fronte ai nostri argomenti, con i quali spiegavamo che il Dramma Italiano di Fiume, come pure l’EDIT e i numerosi Circoli Italiani di Cultura, venivano interamente sovvenzionati da mezzi pubblici, non reagì. Sulla questione delle scritte bilingui, infine, affermò che tutto era a posto. In verità presentò alcune fotografie su alcune tabelle bilingui di competenza comunale e poste soprattutto sulle scuole slovene. Alla domanda riguardante la suddivisione del comune di Trieste in determinate circoscrizioni elettorali, la risposta fu nuovamente del tutto negativa. Da segnalare a questo punto, secondo la relazione, che gli Italiani - in base alle ultime notizie - avevano realmente posto alcune tabelle bilingui nell’area di Santa Croce, di Basovizza e di Prosecco, anche se di questo al Comitato Misto non vollero vantarsi. Anche ora sul territorio del comune di Trieste sarebbe possibile porre delle tabelle bilingui senza la doppia tassazione, problema per il quale nel Comitato Misto è stata portata avanti una lunga battaglia. Purtroppo, però, il numero di questo tipo di scritte è molto basso - il che dipende essenzialmente dai proprietari dei singoli locali ed esercizi. Il dibattito ed il confronto È chiaro che le risposte italiane contribuirono a cambiare completamente l’atmosfera della sessione che, per un certo tempo rimase molto tesa; in ogni caso l’atmosfera di questa sessione era meno piacevole che alla precedente XIII sessione svoltasi a Roma. Va segnalato, comunque, che tutti gli argomenti di cui sopra presentati dalla delegazione jugoslava erano stati esposti già alla sessione precedente con la sola eccezione del problema riguardante gli espropri dei terreni sloveni alla periferia di Trieste.

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Durante la seduta pomeridiana dello stesso giorno, il presidente della nostra delegazione, il comp. Perišić, rispose con molta calma, ma con molta fermezza. Su nessun punto prese le distanze da quanto esposto dal dott. Murko, ma, anzi, ribadendo che il nostro intento era quello di illustrare i problemi ancora aperti e che, certamente, non era intenzione della delegazione jugoslava quella di valutare negativamente tutto quello che di positivo era stato realizzato in favore della minoranza slovena, soffermandosi in particolare sul positivo risultato che negli ultimi anni aveva contribuito a migliorare l’atmosfera a Trieste. Alle accuse lanciate da Milesi Ferretti (che durante tutta la durata della sessione ha dato l’impressione di una grande mancanza di autonomia, visto che si rivolgeva sempre a Guido Gerin come ad un’eminenza grigia della delegazione italiana che, però, non usava mai toni forti), il dottor Perišić ricordò che il Comitato Misto era stato istituito proprio per dar luogo ad uno scambio di opinioni al fine di poter proporre ai relativi governi la soluzione dei vari problemi. Riferendosi alla critica espressa in merito alla proposta di legge in procedura al parlamento italiano, Perišić rispose di esser rimasto sorpreso dalla posizione assunta dalla delegazione italiana rilevando che il Comitato Misto aveva sempre preso in esame le più diverse proposte di legge, spesso anche con valutazioni negative, per esprimere possibili osservazioni. Perciò, non riesciva a comprendere la manifestata suscettibilità del presidente italiano su questo problema, tenendo conto che il dr. Murko aveva valutato positivamente l’iniziativa assunta in merito al progetto di legge del Friuli Venezia Giulia. Perišić reagì fermamente all’indirizzo del dott. Molinari per le sue affermazioni secondo le quali gli Sloveni di Trieste si trovavano in una situazione migliore rispetto agli Italiani da noi. Disse che un simile metodo di discussione non può permetterlo e che, comunque, vi passerà sopra in quanto ritiene che quelle parole sono state pronunciate “nel fuoco della reciproca discussione”. Ribadì di esser sempre pronto a discutere su qualsiasi critica concreta che verrebbe esposta dalla parte italiana. Poiché il dott. Molinari aveva posto una specie di ultimatum se noi si desiderasse o meno l’introduzione di traduttori presso la Corte d’Appello di Trieste, Perišić dichiarò diplomaticamente che nell’esposizione presentata dalla nostra delegazione era stata illustrata la posizione jugoslava in merito all’uso della lingua nei tribunali, ma che, comunque, non potevamo avere niente contro l’introduzione di una simile iniziativa la quale, eventualmente, avrebbe pouto significare un passo avanti nel settore. Perciò, come disse, non respingiamo i traduttori anche se in futuro avremo l’opportunità di valutare nella prassi i risultati concreti di questa iniziativa. Nel prosieguo, soffermandosi sul problema posto dal dottor Gerin in merito all’istituzione di una sala di lettura a Capodistria, disse che era come se egli non avesse compreso la posizione espressa l’anno scorso dalla delegazione jugoslava, e cioè che la questione della sala di lettura a Capodistria andava affrontata nell’ambito delle regolari procedure previste dall’accordo italo-jugoslavo sull’istituzione di centri culturali, del quale, però la parte italiana non si è servita durante tutto il periodo intercorso tra la XIII e la XIV sessione. Del resto la questione era stata spiegata anche fuori dal Comitato Misto al rappresentante dell’Ambasciata italiana a Belgrado. Continuando il suo intervento Perišić si soffermò anche sulla relazione presentata dal consigliere pedagogico italiano, Suadi, che a suo parere aveva superato le proprie competenze essendosi permesso di formulare con toni inappropriati delle critiche al nostro sistema scolastico e giuridico. Sembra che la delegazione italiana sia rimasta alquanto sorpresa dall’intervento del dr. Perišić, poiché è probabile che il loro intento fosse in parte quello di

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distanziare il rappresentante della Slovenia dal rappresentante del Segretariato Federale agli esteri. Particolarmente colpito si sentì il Molinari, mentre il presidente prese atto con un senso di sollievo la dichiarazione di Perišić sui traduttori, dicendo che la loro nomina verrà realizzata. L’intervento del comp. Perišić contribuì in un certo senso a schiarire l’atmosfera e, in seguito, anche i membri italiani si sforzarono da parte loro a migliorarla, il che divenne evidente in particolare durante i ricevimenti offerti dalle due delegazioni. Soprattutto la cena per i soli membri delle due delegazioni offerta al Club degli scrittori da Mitja Vošnjak, alla quale prese parte anche personalmente ed alla quale partecipò pure l’ambasciatore italiano Trabalzo. Più costruttiva fu l’atmosfera durante il dibattito sugli scambi culturali. Praticamente si trattava di una collaborazione ormai pluriennale del settore scolastico. Venne constatato che i seminari per il personale insegnante si svolgevano regolarmente su entrambi i territori. Le borse di studio venivano elargite reciprocamente, proseguivano gli scambi dei libri per le biblioteche scolastiche nonché dei materiali didattici e dei libri di testo. Lo stesso vale per le escursioni scolastiche nei Paesi della matrice nazionale. In atto pure la collaborazione nel settore della stesura e dell’adeguamento dei programmi e dei libri di testo per la storia. Già prima della sessione i due presidenti si erano accordati che la funzione dei consiglieri pedagogici sarebbe stata prorogata per un altro anno. Nelle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio di Trieste operava il prof. Stane Mihelič, che disponeva di una buona conoscenza delle conmdizioni presenti nelle scuole slovene ed era anche l’autore di alcuni libri di testo, oltre ai meriti acquisiti per aver organizzato durante l’anno già due seminari specifici per il personale insegnante nelle scuole con lingua d’insegnamento slovena. La delegazione italiana, invece, annunciò che il proprio consigliere pedagogico, il prof. Suadi, già al suo secondo mandato, sarebbe stato sostituito nell’incarico dal prof. Ermanno Visintin, triestino e finora direttore di una scuola ,media superiore di Trieste. Per quanto riguarda il resto della collaborazione culturale (conferenze, organizzazione di rappresentazioni cinematografiche e teatrali e di mostre librarie), non erano state adottate nuove delibere, con la delegazione jugoslava che, in merito, si mantenne alquanto riservata. In campo scolastico sul territorio italiano si è avverato un certo progresso, visto che nel frattempo erano state approvate numerose norme esecutive riguardanti la legge sulle scuole minoritarie slovene del 1961, tra cui l’incremento graduale del numero degli insegnanti e dei professori assunti di ruolo. Ciononostante, la delegazione jugoslava constatò che non erano state ancora adottate tutte le misure necessarie, per cui non erano state ancora abolite nemmeno tutte le ingiustizie riguardati il diritto di avanmzamento di ruolo che continuavano a colpire soprattutto gli insegnanti ed i professori più anziani. Così, non venne calcolato il periodo di servizio svolto durante il periodo del governo alleato, tenendo anche conto che pure coloro che avevano avuto riconosciuto il ruolo di stabilità potevano ritenersi penalizzati, visto il ritardo del riconoscimento. Nell’ambito del contesto scolastico, la delegazione jugoslava pose nuovamente il problema delle scuole professionali a Trieste, per l’istituzione delle quali mancava ancor sempre una normativa applicativa della legge del 1961. Constatata pure la mancanza di libri di testo sloveni per le scuole medie inferiori e, soprattutto, la circostanza secondo cui, le autorità scolastica italiane avevano nel 1967 messo improvvisamente in diubbio la validità dei diplomi di maturità di cinque insegnanti, con diplomi conseguiti Istituto magistrale di Portorose (ovvero nella sezione dislocata di Tolmino) nel periodo quando entrambe le località si trovavano ancora sotto

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l’amministrazione militare. L’appunto risultava tanto più serio in quanto riguardava cinque insegnanti di nazionalità slovena che, in tutto questo periodo, erano convinti della validità del loro diploma. Tanto è vero che nei pluriennali dibattiti svoltisi al Comitato Misto i diplomi di Portorose non erano mai stati messi in dubbio da parte italiana. Anzi, una delle insegnanti aveva addirittura ricevuto dallo stesso Ministero per la funzione pubblica un attestato in base al quale al diploma conseguito in quel periodo presso l’Istituto di Portotorse veniva riconosciuta piena validità. Questo intervento della delegazione italiana ha nuovamente dimostrato una reale assenza di una comprensione reciproca su questi problemi. Tanto più, tenendo conto che agli insegnanti delle scuole minoritarie sul territorio jugoslavo i diplomi acquisiti durante il periodo della presenza Italiana non erano mai stati messi in dubbio. Quando la delegazione jugoslava presentò la fotocopia della lettera del Ministero Italiano con la quale si confermava la validità del caso concreto, tutta la faccenda divenne per la delegazione italiana alquanto spiacevole, per cui ora esiste qualche speranza che la questione posa venir prima o dopo risolta. In ogni caso bisognerebbe verificare internamente se l’informazione fornita privatamente dal dott. Guido Gerin è vera, cioè che la faccenda della validità dei diplomi di maturità acquisiti nell’Istituto di Portorose sia stata provocata da un’insegnante slovena che si era presentata per lo stesso posto di lavoro (?!). La delegazione jugoslava si impegnò pure per un nuovo asilo infantile a S. Barbara, mentre la delegazione italiana chiese nuovamente una nuova scuola elementare a S.Maria del Carso in Croazia, nonché l’apertura di più asili infantili e la trasformazione di alcune scuole quadriennali in scuole ottennali. Chiesero nuovamente anche la piena autonomia di determinate scuole elementari quadriennali. L’atmosfera si fece nuovamente più seria quando da parte nostra venne ripresa la questione delle scuole professionali. Come noto già nel corso della XIII sessione erano state approvate due raccomandazioni. La prima di queste, avanzata dalla delegazione jugoslava, proponeva che una delle scuole medie inferiori di Trieste venisse trasformata in scuola professionale ad indirizzo industriale. La seconda, proposta dalla delegazione italiana, chiedeva che il ginnasio di Pirano venisse trasferito a Buie, oppure che in quella localitù venisse aperta una scuola professionale. Dal punto di vista interno, va ricordato che il comp. Perišić, in merito al problema di una scuola a Buie, aveva ricevuto dal comp. Mika Špiljak, allora presidente del Consiglio Esecutivo della Croazia, un’autorizzazione interna che, in caso estremo, gli permetteva di accettare questa proposta. Nell’estate del 1967, in occasione dell’incontro tra i due presidenti, venne dimostrata l’urgenza di una scuola professionale a Trieste, poiché già da un paio d’anni i ragazzi sloveni interessati non avevano alcuna possibilità di iscriversi. Una scuola professionale invece, nonostante la riforma scolastica, esiste a Trieste per i giovani italiani. Pure in altre zone italiane, dopo l’introduzione di scuole medie inferiori unitarie, erano state aperte delle scuole professionali particolari. Di fatto, anche a Trieste. come pure presso il Ministero per la pubblica istruzione, era ormai tutto pronto per una scuola professionale slovena. La procedura venne, evidentemente bloccata dal MAE. Proprio per questo, il comp. Perišić insistette fermamente su questo punto durante l’ultima sessione. Respinse decisamente qualsiasi forma di reciprocità tra il problema triestino e quello di Buie, sostenendo che era stato contrario ad un tale modo di interprepatre la reciprocità sin dall’inizio, cioè da quando aveva assunto il ruolo di presidente. Ribadì, che su ogni problema era necessario constatare concretamente quali erano le necessità e quali erano gli obblighi che ne derivavano dallo Statuto Speciale.

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Per quanto riguarda la questione di Buie, il comp. Perišić constatò che alcune difficoltà si erano presentate poiché anche da parte italiana era stata espressa qualche perplessità in merito al trasferimento del ginnasio di Pirano a Buie, anche se la Croazia rendeva possibile il trasporto gratuito degli alunni provenienti dalla Croazia sia al ginnasio di Pirano che alle scuole professionali di Isola. Sottolineò, inoltre che lo Statuto Speciale non prevedeva alcuna scuola media a Buie. Ed fece pure comprendere che la Croazia non aveva l’obbligo di supportare il trasporto gratuito alle scuole di Pirano e di Isola. In ogni caso, come ribadì, la questione delle scuole italiane sul territorio di Buie verrà seriamente esaminato. In questo modo, il comp. Perišić ha cercato di separare le due questioni e mantenere in vigore la raccomandazione inerente la scuola professionale di Trieste. La delegazione italiana, naturalmente, non ha dimostrato troppa comprensione per questo atteggiamento e, al contrario, irrigidì ulteriormente la propria richiesta. Dichiarò che la proposta avanzata a suo tempo in merito al trasferimento del ginnasio di Pirano a Buie era ormai declassata, per cui ora si chiedeva, per il territorio del buiese, l’istituzione di una scuola media, sia che si trattasse di un ginnasio o di una scuola professionale, anche se, eventualmente, situata in un altro centro del buiese.In questo modo, la parte italiana desiderava mantenere le posizioni scolastiche di Pirano e aprire una nuova scuola professionale nel buiese. Naturalmente, su questo un accordo non era possibile, per cui, anche se su questo problema il dott. Perišić, come del resto aveva fatto più volte nel corso della sessione, sottolineò che era necessario un impegno concreto dei due governi per risolvere le questioni aperte, in quando è stato dimostrato che all’interno del Comitato Misto non sarebbe stato possibile giungere ad un accordo. Rimane da dire ancora qualche parola in merito alla proposta italiana riguardante l’apertura di una sala di lettura a Capodistria. Durante la XIII sessione, alla delegazione italiana era stato spiegato che l’apertura di una simile istituzione sarebbe stata possibile sulla base dell’accordo interstatale jugoslavo-italiano sui centri informativi. L’accordo, naturalmente si sarebbe basato sul pr8ncipio della reciprocità. La parte italiana aveva preso atto della questione, e una simile spiegazione era stata fornita più tardi anche al rappresentante del MAE e dell’Ambasciata di Belgrado. Poiché nel corso della seduta il problema era stata illustrato nell’esposizione del dott. Gerin con toni critici, come se nello specifico non fosse stato conseguito nessun risultato, si è avuta la reazione del dott. Perišić. In un secondo tempo, la delegazione italiana aveva fatto intendere che non desiderava che la sala di lettura venisse aperta in base all’accordo jugoslavo-italiano sui centri informativi e si richiamò ad una delle lettere che furono scambiate in occasione della firma del Memorandum di Londra, nel quale, il rappresentante del governo jugoslavo in merito alla questione riguardante le case di cultura slovene sul territorio di Trieste, comunicò che “il governo jugoslavo era disposto ad esaminare con favore le richieste delle organizzazioni culturali italiane dal punto di vista delle necessità di spazi aggiuntivi per le loro attività culturali sul territorio sotto amministrazione jugoslava.” Alla delegazione italiana venne spiegato che la parte jugoslava non negava questi suoi obblighi, ma che la richiesta italiana per l’apertura di un grande centro culturale italiano a Capodistria con riferimento a tutta la minoranza presente sul territorio dell’ex zona B (dove gli Italiani desideravano introdurre anche un particolare regolamento con l’assicurazione che questa sala di lettura, ovvero questo centro culturale, sarebbe stato diretto da “persona competente), non trovava supporto nella lettera di cui sopra. Con una “proposta di compromesso” il presidente della delegazione italiana propose allora che l’esame della questione venisse demandato agli esperti delle due parti. Durante i colloqui di carattere privato, il dr.

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Murko chiese al dottor Gerin perché la delegazione italiana, improvvisamente, non desiderava che la questione venisse esaminata nell’ambito dell’accordo generale jugoslavo-italiano sui centri informativi. Laconicamente, il dottor Gerin rispose che a suo parere l’accordo interstatale non valeva per questo territorio, riferendosi naturalmente al territorio dell’ex Zona B. Murko gli rispose che questo era un atteggiamento nuovo, in quanto anche fino ad allora la parte italiana riteneva che tutti gli accordi interstatali fra la Jugoslavia e l’Italia valevano anche per entrambi i territori sotto amministrazione italiana o jugoslava, quindi sia sull’ex Zona A che sull’ex Zona B. Erano stati conclusi così, gli accordi sul piccolo traffico di frontiera, sulla pesca nelle acque territoriali jugoslave, ed altri accordi che non erano in vigore soltanto nella Zona A, oppure soltanto sul territorio di Trieste. A questa domanda Gerin non rispose. In ogni modo, questo nuovo atteggiamento italiano non giunse del tutto inaspettato, anche se formalmente da parte italiana non venne mai sostenuto. Il comp. Perišić ritenne questo fatto così importante che già il giorno dopo ne relazionò alla consultazione interrepubblicana sulla politica estera. Un atteggiamento che indusse la delegazione jugoslava ad acutizzare la questione anche nello stesso verbale. del Comitato Misto, dove venne constatato che le richieste degli appartenenti al gruppo etnico italiano in merito agli spazi destinati ai Circoli di cultura venissero esaminati con favore come finora da parte delle autorità jugoslave nell’ambito delle possibilità, ma che l’attuale richiesta italiana non era prevista dallo Statuto Speciale. Più esattamente,non era stata citata nella lettera Brosio-Velebit del 5/10-1954. In ugual misura, la delegazione jugoslava prese atto di quanto scritto nel verbale, e cioè che la parte italiana non desiderava che la sua richiesta venisse trattata nell’ambito dell’accordo jugoslavo-italiano sui centri informativi. In questo modo, nel verbale entrò un nuovo punto di completo disaccordo tra le parti. Per quanto riguarda le sale di lettura, va ricordato ancora che la parte italiana, negli ultimi tempi, aveva sviluppato determinate attività anche sul territorio in seguito annesso al Trattato di Pace,. Il Console generale di Capodistria, Alessi, aveva recentemente presentato inaspettatamente al presidente dell’Assemblea comunale di Pola, una richiesta per l’apertura di una sala di lettura. Purtroppo, il presidente di Pola, non essendo stato informato adeguatamente, non ha saputo reagire in maniera adeguata e assicurò il rappresentante del consolato italiano che a Pola addirittura esistevano dei locali adeguati. Il console generale precedente, il dott. Cerchione, si era presentato con una richiesta analoga anche prima, durante una sua visita all’Isola di Veglia. Volendo fare un’analisi critica dell’intera sessione, possiamo constatare quanto segue: 1. La sessione non ha portato ad un qualche risultato concreto e, in particolare non è stato compiuto alcun passo avanti per quanto riguarda le nostre costanti rivendicazioni in merito all’uso della lingua slovena di fronte alle autorità amministrative e giudiziarie, come pure per quanto riguarda le scritte pubbliche bilingui. La legge sui traduttori e interpreti previsti presso le Corti d’appello bisognerà ancora esaminarla e osservare come funzionerà. Esiste il timore che la parte italiana cerchi di strumentalizzare proprio questa legge affermando che con essa qualcosa è stato comunque fatto. La legge, infatti, a detta degli stessi rappresentanti italiani, non riguarda le minoranze. Non è stato registrato alcun progresso nemmeno per quanto riguarda la TKB - Banca di Credito di Trieste, o la giusta rappresentanza della minoranza slovena

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nei servizi pubblici, come è stata del tutto negativa la risposta della delegazione italiana per quanto riguarda gli espropri. Nel settore dei finanziamenti devoluti alle organizzazioni culturali slovene è stato constatato un piccolo miglioramento, ma non dal punto di vista della regolamentazione e della posizione giuridica del Teatro sloveno di Trieste. Nel settore scolastico le cose stanno andando meglio con l’attività portata avanti dai consiglieri pedagogici, dai seminari, con lo scambio dei libri di testo e del materiale didattico, delle escursioni scolastiche, ecc. Nuovamente si è ripresentata in maniera negativa la questione riguardante il riconoscimento dei titoli di studio acquisiti presso la Scuola magistrale di Portorose. Del tutto negativamente sono state accolte anche le proposte jugoslave in merito all’istituzione di una scuola professionale a Trieste. 2. L’atmosfera presente durante la sessione è stata meno cordiale rispetto a quella della XIII sessione. Particolarmente negativo è stato soprattutto l’atteggiamento della parte italiana, che valutava positivamente e come tutto risolto per quanto riguardava i loro obblighi e si è praticamente assunta da sola il ruolo di arbitro nello stabilire i limiti italiani nel rispetto dello Statuto Speciale. L’affermazione di Molinari secondo cui gli Sloveni di Trieste stanno meglio che gli Italiani da noi, nel frattempo, è stata già riportata dal “Piccolo” di Trieste. 3. In una situazione del genere, è necessario tener presente che l’attività del Comitato Misto comporta soltanto degli effetti indiretti (un certo sviluppo si è avuto quest’anno per esempio in merito alla doppia tassazione per le tabelle bilingui delle aziende al di fuori delle sessioni del Comitato Misto, qualche piccolo progresso è stato conseguito anche nei bandi pubblici bilingui alla periferia di Trieste), il che dimostra l’assoluta necessità che le nostre richieste per quanto riguarda la minoranza slovena di Trieste vengano attivamente discusse a tutti i livelli possibili. Questo è innanzitutto un compito che spetta alla stessa minoranza e ai suoi rappresentanti politici e altro. È naturalmente un compito che spetta anche alla nostra stampa, e soprattutto alla diplomazia jugoslava ed ai suoi rappresentanti consolari. Come nel corso della sessione precedente anche in questa è stato dimostrato che nell’attuale situazione è praticamente impossibile raggiungere qualcosa di più nell’ambito del Comitato Misto, indipendentemente da quanto precisi e sistematici siano gli argomenti jugoslavi. 4. La nostra stampa dovrebbe scrivere molto di più di tutte questi problemi. Da questo punto di vista non sono stati utilizzati anche tutti i verbali ufficiali del Comitato Misto italo-jugoslavo che, in Jugoslavia, vengono pubblicati fin dal 1957 come allegati al Bollettino Ufficiale della RSFJ sotto la voce “Accordi internazionali ed altri accordi” e nei quali sono presentate in maniera abbastanza evidente tutte le diversità delle rispettive posizioni. Anche nella stesura dell’ultimo verbale, la parte jugoslava è stata attenta nel far risultare molto chiaramente le posizioni dell’una e dell’altra parte. Il comp. Perišić, durante la sessione, ha più volte dichiarato, e parzialmente questo è stato presente anche nel comunicato congiunto, che di questi problemi è necessario ne discutano i due governi, in quanto il Comitato Misto non ha la competenza di approvare delle delibere che impegnino come obbligo preciso, e proprio per questo subentra soltanto come organo consultorio dei due governi. Purtroppo oggi la situazione è tale, per cui la soluzione del problema minoritario è ancora lontano dall’essere in armonia con la situazione raggiunta nell’ambito dei rapporti tra Italia e Jugoslavia negli altri settori.

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5. Non dobbiamo accantonare nemmeno la possibilità, o addirittura l’eventualità che tra breve l’Italia non si presenti nuovamente con delle nuove richieste in merito allo status dell’ex Zona B. La posizione della delegazione italiana, ovvero del dott. Gerin, secondo cui gli accordi interstatali jugoslavo-italiani non valgono per il territorio dell’ex Zona B, va certamente inteso come un sintomo straordinariamente negativo, tanto più in quanto in tutti gli interventi pubblici di questo genere nel corso del 1967, gli italiani hanno sempre sostenuto che la posizione delle due Zone A e B non è uguale. Infine, desideriamo constatare che la delegazione jugoslava ha acquisito nel frattempo da parte degli organismi locali e da parte del Consolato Generale Jugoslavo di Trieste, un materiale sufficiente con il quale aggiornare tutte le infornmazioni che già esistono. Anche durante l’ultima sessione la delegazione jugoslava è stata informata in tempo utile su alcuni nuovi eventi che, nel frattempo, si erano verificati a Trieste. Firmato: dr. Ivo Murko - Albert Zornada (3) A conclusione della XIV sessione ordinaria del Comitato Misto, venne diramato il seguente Comunicato stampa: “Dal 13 al 23 novembre 1967 si è svolta a Belgrado la XIV sessione ordinaria del Comitato Misto Italo-Jugoslavo in base all’art. 8 dello Statuto Speciale allegato al Memorandum d’Intesa di londra del 5 ottobre 1954. A presiedere la delegazione jugoslava è stato il ministro plenipoteziario Zvonko Perišić, mentre a presiedere quella italiana è stato il ministro plenipotenziario Gian Luigi Milesi Ferretti. Durante i lavori il Comitato Misto ha effettuato una disamina particolareggiata delle misure che sono state adottate e di quelle che sono in procedura d’attuazione e che riguardano la realizzazione delle clausole dello Statuto Speciale. È stato constatato il conseguimento di uno sviluppo in determinati settori, mentre sono state illustrate le valutazioni delle due parti sulle misure che sono state già adottate e su quelle che sarà necessario apportare nell’interesse dei due gruppi etnici. Il Comitato Misto ha quindi ascoltato le relazioni degli esperti in merito alla realizzazione del programma degli scambi culturali nel periodo tra le due sessioni, constatando che questo è stato portato a termine in maniera soddisfacente. Agli esperti è stata affidata la stesura di un programma orientativo degli scambi culturali per il periodo successivo, con l’impegno di sottoporlo ad approvazione ai due presidenti nel corso del loro prossimo incontro. Il Comitato ha discusso delle relazioni presentate dai consiglieri pedagogici sull’attività svolta nel corso dell’anno scolastico precedente, sulla situazione delle scuole e del personale insegnante, sugli aiuti didattici agli insegnanti, come pure delle misure che devono essere adottate per un insegnamento più efficace nelle scuole dei due gruppi etnici. È stato prorogato il mandato dei consiglieri pedagogici anche per l’anno scolastico 1967/68. Inoltre è stata esaminata la posizione dei due gruppi etnici e delle loro richieste, soprattutto dal punto di vista della rete scolastica e dello sviluppo delle istituzioni culturali. È stato concordato che il prossimo incontro dei presidenti abbia luogo nella prossima primavera, per un’adeguata preparazione della prossima sessione del Comitato Misto.

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La sessione , che si è conclusa con la firma del verbale che verrà inviato ai due Governi, ai sensi del Regolamento, onde avviare la procedura inerente l’attuazione delle misure approvate dal Comitato Misto, si è svolta in un’atmosfera di collaborazione cordiale e amichevole, la quale caratterizza anche i rapporti tra i due Paesi. Belgrado, 23 novembre 1967 Il Comunicato stampa pubblicato lo stesso giorno in cui si conclusero i lavori della XIV sessione ordinaria del Comitato Misto, ancorché attento a simulare un procedimento improntato alla positività, sta a dimostrare che, in effetti, dopo il piccolo slancio di reciproca buona volontà registrato appena due sessioni prima, il dibattito si era completamente arenato. Nessun argomento che riguardasse una qualsiasi reale prospettiva di miglioramento delle minoranze era stato portato in campo: la parte jugoslava continuando ad insistere sulle stesse questioni istituzionali avanzate fin dalla prima riunione, la parte italiana portando di volta in volta nuove istanze, ma ormai consapevole che niente o poco sarebbe stato recepito positivamente. Indubbiamente la realtà di cui dovevano tener conto le rispettive delegazioni erano specifiche e difficilmente comparabili: da una parte l’Italia che aveva introdotto un sistema democratico pluripartitico di cui il governo e il Ministero degli esteri erano l’espressione, dall’altra un regime totalitario che, però, almeno per quanto riguarda lo Statuto Speciale doveva tener conto di due realtà locali e due interessi ben diversi, quello croato e quello sloveno. Non è un segreto, difatti, che tutta la trattativa sull’attuazione dello Statuto Speciale - pur di competenza dell’Esecutivo Federale - era totalmente gestito da esponenti della Repubblica Socialista di Slovenia, che nelle clausole dello Statuto Speciale vedeva una concreta possibilità di migliorare, anche per concrete ragioni di opportunità strategica locale ed europea, sia dal punto di vista culturale, ma soprattutto economica, la posizione della minoranza slovena di Trieste e del Friuli Venezia Giulia. Di fronte ad una situazione di stallo delle trattative e delle reciproche iniziative, rappresenta un dato di fatto che tutto il lavoro del Comitato Misto, negli ultimi due anni, si era limitato soltanto ad esaminare il lavoro svolto dagli esperti per il settore culturale, e dai consiglieri pedagogici per quanto riguarda il settore scolastico. Da questo punto di vista diventa molto esplicativo il rapporto che il vicepresidente della parte jugoslava del Comitato Misto, lo sloveno dr. Ivo Murko, invia un paio di settimane più tardi da Lubiana all’Ufficio per gli Affari Esteri del Consiglio Esecutivo della RS di Slovenia. Il rapporto dattiloscritto è stato conservato tra i verbali in nostro possesso, e contrariamente a questi, è scritto in lingua slovena e non sembra che copia ne sia stata inviata al Ministero degli Esteri Federale a Belgrado. Già nel preambolo, il dr. Murko si è soffermato sul capo della delegazione italiana, il ministro plenipotenziario Gian Luigi Milesi Ferretti, constatando che recentemente era stato nominato anche presidente della delegazione italiana nella Commissione mista per l’attuazione dell’Accordo di Udine sul piccolo traffico di frontiera. Un breve cenno anche agli altri componenti della delegazione italiana: Vincenzo Molinari (vice-commissario del Commissariato Generale del Governo a Trieste), Emilio Mellaro (viceprefetto nel Commissariato Generale del Governo a Trieste), Antonio Mancini (segretario, MAE), Guido Gerin (di Trieste, esperto permanente della delegazione italiana) e Alfredo Vernier (di Trieste, esperto per le questioni scolastiche, in sostituzione del prof. Angioletti, ammalato). Bisogna riconoscere che i lavori iniziarono in maniera soffice, per cui l’atmosfera avrebbe potuto essere “molto buona”, se la parte jugoslava non avesse portato tante questioni, come in realtà fece. Gli Italiani hanno ripresentato con gli stessi argomenti le loro rimostranze in merito alla riforma amministrativa del 1955, aggiungendo però questa volta anche l’osservazione secondo cui l’istituzione si alcuni servizi intercomunali sul territorio di entrambe le repubbliche, in qualche maniera rappresentavano una riduzione dell’autonomia di questi comuni

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nella loro veste di unità amministrative fondamentali, la cui esistenza è garantita dall’art. 7 dello Statuto Speciale. Questa volta, gli Italiani non hanno ripresentato il problema riguardante le modifiche dei cognomi. Per il resto, gli esponenti italiani si sono soffermati ribadendo che in alcuni casi l’amministrazione bilingue non era soddisfacente (soprattutto nella scrittura dei nomi italiani, ma senza concretizzare le loro rimostranze), che sul territorio jugoslavo è troppo poco preso in considerazione il principio della giusta rappresentanza degli appartenenti alla minoranza italiana, che i Circoli italiani di cultura non sono supportati adeguatamente, che il gruppo etnico italiano non dispone di pubblicazioni sufficienti e che si stanno ancor sempre frapponendo “ostacoli” per l’importazione di pubblicazioni italiane. Particolare attenzione venne da loro dedicata alla questione della sala di lettura italiana a Capodistria, di cui si parlerà più tardi. La parte italiana, nella loro relazione elencarono tutto quanto avevano fatto nel periodo tra le due sessioni in favore della minoranza slovena a Trieste ponendo in primo piano l’approvazione nel 1966 della legge con cui avevano revocato il divieto di dare ai bambini nomi “stranieri”, ma sottolineando anche di aver posto alcune insegne bilingui e che a Trieste stavano operando un gran numero di organizzazioni culturali slovene, che era stato rinforzato il trasmettitore dei programmi radio in lingua slovena e che, nel corso dell’anno avevano stanziato mezzi finanziari per 21 milioni di lire, dei quali ben 6.400.000 erano andati al teatro sloveno di Trieste. Su particolare richiesta della delegazione jugoslava, per la prima volta venne anche specificato ufficiosamente l’elenco dei destinatari dei 21 milioni di lire. Dall’elenco si evince che cifre consistenti venivano destinate ad alcune organizzazioni cattoliche, come p. es. l’Unione Culturale slovena, alla quale sono stati destinati 4,600.000 di lire. Dal verbale ufficiale, che comprende circa 30 pagine dattiloscritte, è possibile avere alcune indicazioni - pur se in forma ridotta - dei dibattiti e delle risposte alle reciproche rivendicazioni e proteste.

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Capitolo XV Prof. Ermanno Visintin: migliorare la scuola italiana! Verbale della XV.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Roma, dal 7 al 16 novembre 1968. (1)

Gli jugoslavi sottolinearono subito all’inizio i progressi conseguiti nella realizzazione pratica dell’uso paritetico della lingua italiana, come pure dell’adeguamento giuridico-costituzionale di quei diritti minoritari che nella prassi teorica jugoslava venivano definiti specifici, ovvero diritti aggiuntivi delle minoranze nazionali. Sul territorio sotto amministrazione jugoslava - recita il verbale - il gruppo etnico italiano gode degli stessi diritti e delle stesse libertà, ma anche degli stessi doveri degli altri cittadini della Jugoslavia. Questa uguaglianza ed i diritti sanciti dallo Statuto Speciale erano garantiti dalla Costituzione della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia e dalle Costituzioni delle Repubbliche Socialiste di Croazia e di Slovenia, da singole leggi e, in particolare, questi diritti erano concretamente garantiti negli statuti dei comuni di Buie, Umago, Cittanova, Capodistria, Isola e Pirano. Verso la fine del 1967 il Sabor della RS di Croazia aveva discusso della posizione giuridico-costituzionale e della politica riguardante le minoranze nazionali approvando delle conclusioni in favore dei gruppi etnici. Le Assemblee comunali di Capodistria, Isola e Pirano durante il 1968 hanno preso in esame la posizione del gruppo etnico italiano. In merito sono state approvate delle conclusioni riguardanti la politica delle borse di studio per quei profili che, una volta entrati in rapporto di lavoro, renderanno possibile una gestione bilingue dell’amministrazione e della giustizia, mentre nelle scuole italiane anche il residuo numero ancora presente di professori sloveni verrà sostituito da appartenenti alla nazionalità italiana. L’Assemblea Federale della RSF di Jugoslavia, come pure il Sabor della RS di Croazia, hanno dato inizio alla procedura di modifica di alcune clausole costituzionali al fine di una più precisa definizione della parità nell’uso delle lingue degli appartenenti alle minoranze nazionali, nonché per una più concreta definizione dei diritti specifici. La Corte Suprema della Jugoslavia ha approvato anche un’interpretazione di principio obbligatoria riguardante l’uso della lingua degli ap-

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partenenti alle minoranze nazionali nelle procedure durante i processi nei tribunali. La Repubblica Socialista di Croazia ha approvato due leggi che contengono la nuova normativa sull’uso delle lingue dei gruppi etnici negli organi dell’amministrazione pubblica e della giustizia. La RS di Slovenia aveva adottato simili normative già prima. Sul Bollettino Ufficiale della RS di Croazia No. 21/67 è stata pubblicata la Legge sui Tribunali in cui viene sancito l’uso paritetico della lingua minoritaria davanti alla Corte di giustizia. Inoltre, sempre sul Bollettino Ufficiale della RS di Croazia No. 40/68 è pubblicata la Legge sull’amministrazione, dove, negli artt. 130, 131, 132 e 133 viene concretamente regolato il metodo previsto per l’uso della lingua dei gruppi etnici nei procedimenti davanti agli organi dell’amministrazione (presentazione di richieste, di ricorsi ed altro, la verbalizzazione delle dichiarazioni rilasciate nella lingua materna, la procedura e la deliberazione nella lingua dell’appartenente al gruppo etnico, l’uso di timbri bilingui, l’obbligo degli organi di seconda istanza a consegnare le delibere comprensive della traduzione nella lingua minoritaria. La lingua italiana è paritetica davanti agli organi dell’amministrazione, della giustizia e degli altri enti e organizzazioni autorizzati a svolgere mansioni pubbliche, come pure in tutti gli altri aspetti della vita sociale in genere. Negli statuti comunali del territorio dove è in vigore lo Statuto Speciale, sono stabiliti i posti di lavoro per i quali è obbligatoria la conoscenza della lingua italiana. Ciò rende possibile l’uso della lingua italiana senza dover ricorrere agli interpreti. Agli appartenenti al gruppo etnico italiano sono riconosciuti i diplomi e gli attestati conseguiti in Italia. Le delibere e gli atti degli organi dell’amministrazione e della giustizia vengono emessi nella lingua croato-serba, oppure nella lingua slovena, assieme alla traduzione in lingua italiana, in forma bilingue oppure soltanto in lingua italiana, quindi senza la traduzione. Tutte le delibere più importanti, le conclusioni e gli altri atti dei Comuni di Buie, Umago e Cittanova, dei loro Consigli e delle Commissioni, vengono pubblicati bilingui sul Bollettino Ufficiale. Gli avvisi ed altri sistemi per informare i cittadini sono bilingui. Su tutto il territorio sono indicati in forma bilingue tutte le località, le insegne e le organizzazioni, soprattutto per quanto riguarda le scritte, gli avvisi e gli avvertimenti. Oltre ai formulari bilingui già esistenti nel 1968 sono stati stampati in gran numero anche i formulari per le necessità dell’amministrazione e della giustizia. 198


Per tutte le spese riguardanti l’uso della lingua e, in generale, del bilinguismo, ogni anno vengono assicurati mezzi finanziari particolari. Gli appartenenti al gruppo etnico italiano sono rappresentati negli organismi rappresentativi delle due repubbliche (Croazia e Slovenia), come pure in numero consistente nelle assemblee comunali, nei relativi consigli e commissioni. Gli appartenenti al gruppo etnico italiano vengono nominati alla funzione di giudice popolare nelle giurie dei tribunali comunali. Il numero più grande è rappresentato da coloro che sono eletti nei vari consigli, nelle commissioni e nei consigli amministrativi delle diverse organizzazioni ed enti. Gli appartenenti al gruppo etnico italiano dispongono della stampa quotidiana e periodica, di riviste letterarie, giornali per l’infanzia e di libri nella propria lingua. Nel 1968 per queste finalità sono stati assicurati 4.190.000 nuovi dinari Oltre alle trasmissioni in lingua italiana di Radio Capodistria e di Radio Fiume, è stata introdotta anche una nuova trasmissione in lingua italiana presso la stazione di Radio Pola. La Radiotelevisione di Lubiana in collaborazione con Radio Capodistria e realizzata con gli appartenenti al gruppo etnico italiano, ha introdotto la trasmissione quindicinale “La Costiera”, con la quale informa l’opinione pubblica delle attività del gruppo etnico italiano. Per queste necessità dell’informazione, le autorità jugoslave assicurano ingenti mezzi finanziari. In collaborazione con l’Unione degli Italiani, il Dramma Italiano e gli otto Circoli Italiani di Cultura sviluppano un’intensa attività culturale che è migliorata sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Per la propria attività di base, nel 1968 il Dramma Italiano ha ricevuto 300.000 Nuovi Dinari, e altri 118.000 ND per le tournèe. Mezzi a parte, per un importo di 150.000 ND, sono stati assicurati per l’acquisto di un autobus. Per l’attività dei Circoli Italiani di Cultura dei comuni di Buie, Umago e Cittanova sono stati stanziati 30.000 ND. Questi Circoli sono stati aiutati finanziariamente anche dall’Unione degli Italiani. I Circoli italiani di cultura di Capodistria, Isola e Pirano, hanno ricevuto complessivamente per la propria attività 113.500 ND e ulteriori 9.000 ND per l’acquisto di nuovi libri per le biblioteche. Per l’adattamento e risanamento dell’edificio del Circolo Italiano di Cultura di Capodistria sono stati assicurati 100.000 Nuovi Dinari. Un nuovo Circolo Italiano di Cultura è stato inaugurato a Verteneglio, mentre a quello di Umago sono stati assegnati nuovi spazi. Sono stati organizzati molti corsi e conferenze di aggiornamento riguardanti i più diversi settori della vita sociale. È aumentato anche il numero delle tournèe e delle manifestazioni provenienti dall’Italia (complessivamente 125).

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Dopo aver affrontato ampiamente anche le problematiche sociali, giuridiche e materiali della minoranza slovena di Trieste, La delegazione italiana ha proseguito i propri interventi segnalando alcune questioni che influivano negativamente sul libero sviluppo culturale e sullo sviluppo linguistico del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Richiamandosi ad alcune argomentazioni riportate nel corso delle sessioni precedenti, ribadirono nuovamente che la soppressione di alcuni comuni e le modifiche apportate alle circoscrizioni di altri comuni, ugualmente come la soppressione dei distretti, hanno profondamente cambiato la composizione etnica del rispettivi territori, riducendo di conseguenza il numero della popolazione italiana rispetto a quella slovena o croata. Questo ha comportato pure una riduzione delle rappresentanze del gruppo etnico italiano nei vari organi rappresentativi. Gli Italiani accennarono pure al fatto che recentemente si era parlato di ulteriori integrazioni dei comuni, il che avrebbe nuovamente provocato delle modifiche delle unità amministrative di base. Pertanto, la delegazione italiana chiese che venissero abrogate le modifiche delle circoscrizioni amministrative dei Comuni e dei Distretti, che erano state eseguite violando l’art. 5 dello Statuto Speciale. In merito all’art. 5 dello Statuto Speciale è stata sottolineata la necessità che i principi ivi compresi vengano adottati più largamente, soprattutto nei settori scolastici e delle assicurazioni sociali. Anche le clausole 2 b) e c) dello Statuto Speciale dovrebbero essere adottate in misura più vasta e concreta. In merito a queste clausole, la parte italiana specificò alcuni casi per i quali riteneva che al gruppo etnico italiano sarebbe stato opportuno assicurare una adeguata rappresentanza negli organismi più consoni ai loro interessi. Proseguendo, i membri della delegazione italiana accennarono anche ad alcune questioni che, pur essendo oggetto d’esame in altre sedi (come per esempio il rilascio di attestati sulla cittadinanza e l’esistenza di tabelle con scritte che si differenziano da quelle concordate per definire la linea di confine del Memorandum d’Intesa), ma che non potevano facilitare un libero sviluppo del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, e influivano negativamente dal punto di vista psicologico anche sulla consistenza numerica del gruppo etnico italiano. Gli Italiani, pur constatando un miglioramento, ricordarono anche il problema della stampa quotidiana e periodica che continuava a rimanere ferma nel modesto numero delle copie di giornali e riviste che giungevano dalla Madre Patria. In questo contesto fecero l’esempio di alcuni giornali che addirittura non si trovavano in vendita sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Chiesero pertanto che le norme in vigore venissero adeguatamente modificate in modo da mettere a disposizione del gruppo etnico italiano tutte le pubblicazioni. Tenendo conto dell’alto costo delle pubblicazioni e dei libri che rendeva difficile ai connazionali interessati di

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poterne disporre, gli Italiani riproposero l’apertura di una sala di lettura nell’ambito di un Circolo Italiano di Cultura, sulla base di uno scambio di lettere, come previsto dal Memorandum d’Intesa, con il quale i governi si erano impegnati a prendere in considerazione con favore l’esame di richieste riguardanti spazi nei quali sviluppare l’attività culturale delle organizzazioni minoritarie. L’apertura di un centro informativo del tipo previsto dall’Accordo culturale, in effetti, non avrebbe potuto soddisfare le necessità di tutto il gruppo etnico italiano, in quanto questi centri informativi erano destinati a tutti i cittadini del paese ospitante. Gli Italiani ricordarono, inoltre, che quanto previsto dall’art. 4 b) dello Statuto Speciale, avrebbe potuto esser impiegato in misura maggiore facendo in modo che ai Circoli Italiani di Cultura, che rappresentavano la sola associazione che raccoglieva gli appartenenti al gruppo etnico italiano, fossero stati assicurati assicurati i mezzi finanziari necessari per la loro esistenza. È vero, la delegazione jugoslava aveva informato poco prima della riunione, che era stata già decisa l’adozione di misure in favore di questi Circoli, ma i mezzi che venivano stanziati erano ancor sempre insufficienti, come erano insufficienti gli spazi che i Circoli avevano a disposizione e che non corrispondevano, o addirittura non esistevano, come è il caso di Salvore e di Cittanova. I rappresentanti italiani espressero quindi la loro preoccupazione per le notizie che si erano diffuse negli ambienti interessati, secondo le quali il Dramma Italiano che, tra l’altro, finanziariamente dipendeva dalla consimile istituzione croata, pareva non avesse più ricevuto i mezzi finanziari sufficienti per la sua attività, e ancor meno per la successiva organizzazione degli spettacoli nelle varie località sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Nella risposta. la delegazione jugoslava ribadì che, per quanto riguardava presunte integrazioni o modifiche di unità amministrative, non si erano verificati cambiamenti nel periodo tra le due sessioni. Per cui, gli jugoslavi si richiamarono a quanto in merito avevano già illustrato alla XIV sessione. Inoltre, dichiararono che ufficialmente non era stato compiuto alcun passo che riguardasse l’integrazione di alcuni comuni sul territorio sotto amministrazione jugoslava. I principi presenti nell’art. 5 dello Statuto Speciale che riguardavano l’uso della lingua italiana venivano completamente applicati sul territorio sotto amministrazione jugoslava, il ché valeva anche per il settore delle assicurazioni sociali e della scuola (a dimostrazione, gli jugoslavi presentarono diverse delibere e formulari compilati in lingua italiana). Un’attenzione completa veniva dedicata alla questione della giusta rappresentanza degli appartenenti al gruppo etnico italiano ai sensi delle clausole presenti nell’art. 2 b) e c) dello Statuto Speciale.

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Per quanto riguardava le affermazioni dei membri italiani in merito al rilascio degli attestati sulla cittadinanza, i rappresentanti jugoslavi dichiararono che in questo caso si trattava di questioni che erano state risolte per via diplomatica o consolare. Per quanto riguardava invece alcune indicazioni stradali sostennero che le autorità jugoslave non avevano assunto alcuna iniziativa che fosse stata in contrasto con il Memorandum d’Intesa o con lo Statuto Speciale. Di conseguenza, la parte jugoslava non vedeva alcun motivo che avrebbe potuto influire psicologicamente in maniera negativa sul gruppo etnico italiano e sul suo libro sviluppo. La stampa ed i giornali italiani arrivavano sul territorio sotto amministrazione jugoslava in numero soddisfacente anche per quanto riguardava la scelta. Era ricorrente il fatto che un numero consistente di queste pubblicazioni venisse restituito perché invenduto. I Circoli Italiani di Cultura disponevano di proprie sale di lettura nelle quali le pubblicazioni italiane erano in numero soddisfacente a disposizione dei lettori. Al punto successivo, che riguardava le relazioni presentate dai consiglieri pedagogici (la relazione del consigliere italiano, prof. Ermanno Visintin, l’abbiamo pubblicata integralmente, anche se in una traduzione non verificata dal serbo-croato, nelle note a questo capitolo (2), i primi a prendere la parola sono stati i rappresentanti jugoslavi. Riporteremo in seguito tutte le argomentazioni esposte, anche se non raccontano niente di nuovo. Alcune constatazioni del prof. Visintin, però, vennero affrontate dagli jugoslavi soltanto alla fine del dibattito. Riteniamo opportuno segnalarle, proprio perché stanno ad illustrare che alcune valutazioni di merito espletate dal prof. Visintin avevano urtato la suscettibilità della delegazione jugoslava. Così, per esempio, ci tennero a ribadire che l’affermazione, secondo la quale nelle piccole scuole croate molti alunni parlassero in italiano, era soltanto una valutazione personale; come pure per l’analisi sulla posizione del gruppo etnico italiano in seguito all’esodo dei connazionali. o , ancora, certe valutazioni del sistema scolastico jugoslavo in merito alla rielezione dei direttori di scuola. Riprendendo il dibattito iniziale sull’esposizione sostenuta dal prof. Visintin, gli jugoslavi sostennero che nella Repubblica Socialista di Croazia era stata istituita una Commissione per i problemi delle istituzioni scolastiche con lingua d’insegnamento italiana, della quale faceva parte anche un rappresentante dell’Unione degli Italiani. Ugualmente, informarono che anche nella RS di Slovenia era operante una Commissione per i problemi minoritari della quale facevano parte due rappresentanti della Comunità Nazionale Italiana. Si comunicò, inoltre, che era pronta una proposta sulla riorganizzazione dell’Accademia Pedagogica di Pola, nella quale era previ-

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sto che l’insegnamento di tutte le materie generali venisse svolto in lingua italiana, che venisse inoltre organizzato anche l’insegnamento fuori corso per le maestre degli asili d’infanzia, assieme ad altre forme di aggiornamento del corpo insegnante. Si stava discutendo, inoltre, che l’Accademia Pedagogica potesse diventare l’unica istituzione chiamata a formare i quadri insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio delle Repubbliche di Croazia e di Slovenia. Già nel corso dell’anno scolastico in corso, all’Accademia Pedagogica di Pola, oltre alle lezioni sulla lingua italiana, sulla letteratura italiana, sulla didattica della lingua italiana e sull’insegnamento di classe, lezioni in lingua italiana venivano impartite anche sulla filosofia, sulla psicologia dell’infanzia, sulla psicologia pedagogica, come pure sulla didattica e sulla sociologia. Per tutte le materie elencate erano state già stampate anche le dispense in lingua italiana. In base allo Statuto dell’Accademia Pedagogica di Pola, a tutti gli studenti appartenenti al gruppo etnico italiano, era reso possibile che, indipendentemente dal gruppo di studio, potevano scrivere i testi dei seminari ed i testi per il conseguimento dei diplomi, come pure di sostenere tutti gli esami in lingua italiana. In questo contesto, anche il Segretariato repubblicano per la cultura della Slovenia aveva avviato una procedura presso le autorità universitarie di Lubiana per permettere agli appartenenti al gruppo etnico italiano che stavano studiando presso questa università di affrontare gli esami in lingua italiana. Oltre ai seminari che si svolgevano a Capodistria e a Trieste, sulla base degli accordi del Comitato Misto, ad un consistente numero di insegnanti era stato reso possibile che, con la mediazione dell’Unione degli Italiani, hanno potuto partecipare ad altri seminari in Italia. Come negli anni precedenti, anche quest’anno, il seminario estivo per insegnanti si è tenuto anche a Rovigno. Tra le altre cose segnalate dalla parte jugoslava in favore delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, va segnalato ancora: - che l’Assemblea della RS di Slovenia ha approvato il “Decreto sul finanziamento della costruzione di due aule presso la Scuola professionale italiana di Isola e della palestra per la scuola elementare, per quella economica e professionale di Isola. I mezzi previsti per l’investimento ammontano complessivamente a 587.500 ND. - che è stata portata a termine la ricostruzione della scuola elementare italiana di Strugnano per un valore di 164.000 ND. - che nel programma per il 1969 è prevista la ristrutturazione dell’edificio scolastico delle località di Bertocchi, Semedella e Ancarano, per un importo di 270.000 ND. - che nel periodo tra il 1 ottobre 1967 ed il 31 ottobre 1968, per le necessità delle scuole elementari e di quelle di secondo grado con lingua

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d’insegnamento italiana, sono stati pubblicati 13 libri di testo per le scuole ottennali e 4 per i ginnasi, mentre si trovavano ancora in stampa altri sei testi e si stavano preparando altri otto libri di testo per le scuole elementari e sette per le scuole di secondo grado. All’inizio dell’anno scolastico in corso presso la casa Editrice EDIT di Fiume erano in vendita 40 libri di testo per le scuole elementari e 21 per le scuole di secondo grado. - che per la stampa dei libri di testo in lingua italiana le RS di Slovenia e Croazia hanno previsto nel bilancio dell’anno in corso un importo di 600.000 ND. - che sono stati stampati e sono in uso 25 diversi registri bilingui ed un numero imprecisato di formulari per le necessità delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. - che Radio Capodistria continua le trasmissioni destinate alle scuole con lingua d’insegnamento italiana. - che su proposta di una speciale Commissione del Segretariato per l’istruzione e la cultura e di altre istituzioni della RS di Croazia era stata approvata in linea di principio la proposta che a Buie venga istituito un centro scolastico con indirizzo metalmeccanico, elettrico e ginnasiale. - che continuava il trasporto gratuito e la frequentazione delle scuole di secondo grado a Isola e a Pirano per gli studenti proveniente dal territorio del buiese. Ogni giorno verso queste scuole venivano trasportati 72 ragazzi. Le spese di trasporto venivano coperte dalla RS di Croazia. - Erano nuovamente aumentate di 112 alunni le iscrizioni nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Questo incremento delle iscrizioni stava a dimostrare un’atmosfera e condizioni favorevoli in cui si trovava il settore scolastico sul territorio sotto amministrazione jugoslava. In quest’anno scolastico, sul territorio di Buie, Cittanova e Umago erano iscritti 387 ragazzi, rispetto ai 348 dell’anno precedente. Sul territorio dei comuni di Isola, Capodistria e Pirano il numero era di 692 rispetto ai 619 dell’anno prima. Di rimando, la parte italiana rivolse alla controparte ancora una serie di richieste: - che lo studio e la formazione degli insegnanti venga agevolato con l’apertura di un’Accademia Pedagogica in lingua italiana a Capodistria, oppure assicurando un numero adeguato di borse studio per la frequentazione dell’Accademia Pedagogica di Pola, dove, però, tutte le lezioni dovrebbero tenersi in lingua italiana; - che agli insegnanti italiani venga assicurato l’alloggio nella località dove lavorano;

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- che venga stabilito un organico dei posti di lavoro per le scuole superiori, in modo da assicurare il posto fisso almeno agli insegnanti della maggior parte delle materie d’insegnamento; - che con l’entrata in vigore delle nuove misure adottate dalla RS di Slovenia in materia di qualifiche professionali, agli insegnanti italiani che ancora non disponevano di queste qualifiche venisse adeguatamente prorogato il termine e, soprattutto, venisse loro offerto “aiuto morale e materiale”, simile a quanto aveva approvato tempo fa la parte italiana ai sensi dell’ art. 2 d) e dell’art. 4 c) dello Statuto Speciale; - che, in conformità con quanto previsto dall’art. 4 c) dello Statuto Speciale, venissero sostituiti tutti gli insegnanti che erano di madre lingua diversa da quella degli alunni (compresi gli insegnanti di lingua slovena e croata), e, in primo luogo, quegli insegnanti che recentemente, per la prima volta, erano stati impiegati nelle scuole di lingua italiana; - che venissero aperti nuovi asili d’infanzia nelle località dove le necessità del gruppo etnico italiano erano più impellenti, come, per esempio, a Bertocchi, Santa Lucia, Castagna, Momiano, Salvore e Villa Nova; - che venisse riaperta la scuola elementare di Colombano che quest’anno non era stata in funzione; - che venisse aperta una nuova scuola elementare a Madonna del Carso; - che venissero ripristinate le quattro classi superiori della scuola elementare di Castagna e che venissero aumentate di quattro classi superiori almeno alcune delle scuole elementari che attualmente disponevano soltanto delle prime quattro classi; - che a Buie venisse aperta una scuola media superiore in quanto era evidente che questa necessità era fortemente sentita da parte del gruppo etnico italiano; - che venisse ripristinata l’autonomia, soprattutto dal punto di vista finanziario, delle scuole elementari periferiche; - che venisse avviata la stampa dei libri di testo ancora mancanti; - che venissero eliminate le deficienze dal punto di vista degli spazi e dell’arredo ancor sempre presenti in molte scuole (Ginnasio di Capodistria, le scuole di Isola, le scuole elementari di Sicciole, Pirano, Santa Lucia, Cittanova, ecc...). Il Comitato misto, a conclusione del dibattito sulle relazioni presentate dai consiglieri pedagogici, concordò che le richieste avanzate dalle due parti vengano sottoposte all’attenzione degli organi competenti. Comunque, non si mancò di ribadire anche la necessità che le relazioni dei consiglieri pedagogici trattassero in futuro esclusivamente le questioni previste

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dall’accordo approvato dal Comitato Misto il 21 luglio 1964. Nonostante questa precisazione che faceva chiaramente intendere il parere già espresso durante il dibattito dalla parte jugoslava, che qualche consigliere pedagogico, nella sua relazione, avendo affrontato anche determinati elementi e situazioni della relativa minoranza, avevano superato il limite delle loro competenze, il Comitato Misto non mancò di riconfermare la proroga del mandato ai due consiglieri, il prof. Stane Mihelič per la parte jugoslava, e il prof. Ermanno Visintin per quella italiana. (2) Più tranquillo il dibattito riguardate le relazioni degli esperti delle due parti, sulla base delle risultanze concordate nel corso di ben quattro riunioni nel periodo tra la XIV e la XV sessione del Comitato Misto. Praticamente erano stati presi in esame, quasi senza alcun intervento, le varie iniziative portate a termine nel lasso di tempo di un anno. Tutto regolare, quindi, per quanto riguardava i seminari per studenti ed insegnanti; tutto secondo le previsione anche per l’assegnazione delle borse di studio (13 i concorrenti dall’Istria che avrebbero frequentato le Università di Lubiana o Zagabria, previa presentazione dell’attestato di presenza alle lezioni); per lo scambio di libri e materiale didattico per le biblioteche scolastiche tutto secondo le previsioni. Anche per quanto riguardava lo scambio dei libri di testo, le gite scolastiche ed i programmi d’insegnamento di storia, nulla da eccepire. Qualche elemento di innovazione e di nuove modifiche soltanto per quanto riguardava i seminari di Capodistria. La proposta prevedeva l conseguimento di una maggiore specializzazione e l’organizzazione di tavole rotonde alle quali far intervenire conferenzieri qualificati. Per tutto il resto, nessun problema particolare evidenziato.

Note: (1) La XV sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo, dopo tutta una serie di preparativi dall’una e dall’altra parte, si svolse a Roma dal 7 al 16 novembre del 1968. I preparativi, almeno per quanto riguarda la parte jugoslava, della quale disponiamo alcune relazioni inviate al proprio governo dai responsabili a capo della delegazione, erano indirizzate probabilmente ad un tentativo di superare una certa stanchezza e mancanza d’iniziativa registrate nelle due ultime sessioni. Ma anche, crediamo, perché il 1968 rappresentò comunque un anno di importanti rotture e sconvolgimenti nell’ortodossia diplomatica internazionale. Se la minoranza italiana era ancora costretta all’interno delle rigide regole del regime jugoslavo, la minoranza slovena di Trieste e in genere del Friuli Venezia Giulia non mancava di spingere sugli jugoslavi per veder realizzate quelle che ritenevano le loro aspirazioni nei settori economici, sociali e culturali, anche questi imbrigliati in un contesto politico locale non favorevole e da una burocrazia italiana che non riusciva ad affrontare con l’adeguata conoscenza le necessità di un gruppo minoritario. Pure per la minoranza italiana, però, si era verificata una qualche importante apertura grazie soprattutto all’ormai consolidata presenza sul territorio istriano dei consiglieri pedagogici che potevano

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affrontare de visu le necessità ed i problemi della Comunità Italiana nel settore scolastico, ma non solo. Ne è un valido documento proprio la relazione del prof. Ermanno Visintin del 30 luglio 1968 che pubblichiamo al punto (2) di queste note nelle pagine seguenti. Ma che la situazione nei rapporti tra i due Paesi e, soprattutto nei riguardi delle due minoranze, non fosse proprio idilliaca lo testimonia il rapporto inviato alle autorità della Repubblica slovena dal dr. Ivo Murko, vicepresidente della delegazione jugoslava e uomo forte nella conoscenza e nella gestione del rapporto jugoslavo nei confronti della controparte italiana per quanto riguarda la minoranza slovena. Anche questo documento è pubblicato nelle note immediatamente successive al verbale della XIV sessione. Evidentemente esistevano due livelli di informazione della delegazione jugoslava. Uno era quello legato direttamente al Segretariato Federale per gli affari esteri, ma un secondo livello, molto più efficiente, veniva portato avanti da esponenti sloveni del Comitato misto nei confronti del governo repubblicano della Slovenia, molto più elaborato, dettagliato, convinto ed interessato. Va detto, ancora, che proprio alla luce di questi nuovi momenti e sviluppi dei rapporti tra i due Paesi, anche il verbale della XV sessione del Comitato Misto riesce a presentare un quadro più esauriente della reale situazione anche per quanto riguarda la Comunità Italiana. Già l’esposizione introduttiva della delegazione jugoslava su quanto fatto nel periodo tra le due sessioni risulta più dettagliata per quanto riguarda il quadro normativo, anche se la sua applicazione pratica sulla posizione del corpo minoritario assume una luce diversa, tenendo conto del sistema sociale e politico imperante in Jugoslavia. (2) Di seguito, la relazione del prof. Ermanno Visintin, consigliere pedagogico inviato dall’Italia presso le scuole italiane sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Teniamo a precisare, che, non disponendo dell’originale in lingua itaoliana, il testo rappresenta una traduzione non verificata dal serbo-croato:

RELAZIONE del consigliere pedagogico Ermanno VISINTIN per l’anno scolastico 1967/68 Non vi parlerò del lavoro che ho svolto durante il mio mandato, in quanto vi è già conosciuto ed è stato portato a termine rigorosamente entro i termini previsti dagli accordi del Comitato Misto italo-.jugoslavo. Osservando la situazione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, cercherò di presentarvi alcuni grossi problemi sui quali già i miei predecessori avevano attirato l’attenzione del Comitato Misto, ma che finora non sono stati risolti in maniera giusta e soddisfacente. Inoltre, cercherò di illuminare alcuni aspetti particolari dei problemi legati alla scuola ed alla cultura, e che ad un esame superficiale possono sembrare di poca importanza, ma che se non vengono affrontati possono arrecare un danno a tutto il lavoro che è stato fatto finora o che deve ancora esser fatto. Ho sempre mantenuto stretti contatti con le competenti autorità scolastiche e amministrative che si sono impegnate per rendermi più facile il compito. Entrando nei dettagli, dirò che ho avuto spesso contatti utili e cordiali con l’Istituto Pedagogico di Capodistria, dove ho sempre incontrato una sincera collaborazione del consigliere per le scuole italiane, prof. Debernardi Giuseppe. Ho incontrato, invece, delle difficoltà nel coordinare il mio lavoro sul territorio croato, vista la lontananza del consigliere Zdenka Sušanj che abita a Fiume, cioè fuori dal territorio per il quale sono autorizzato. Sarebbe opportuno, che la prof.ssa Sušanj avesse a Buie

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un suo rappresentante autorizzato a svolgere quei compiti che a Capodistria sono demandati al prof. Debernardi. La collaborazione con questi due rappresentanti sarebbe di grande utilità per il consigliere pedagogico italiano che non può contare sul sostegno di un’autorità scolastica superiore e con maggiori competenze, come è regolato, per esempio, in Italia con la presenza del provveditore scolastico. Un’altra difficoltà deriva dal fatto che questo territorio è diviso in due diverse zone politiche e amministrative, in quanto sono amministrate da due repubbliche autonome, mentre per le scuole con lingua d’insegnamento italiana sarebbe utile che il loro funzionamento fosse unitario, soprattutto per quella parte che riguarda il calendario scolastico, gli orari ed i programmi. Sarebbe necessaria una collaborazione più stretta tra i due istituti pedagogici, non soltanto per assicurare alle scuole ed agli insegnanti il necessario aiuto didattico e pedagogico, ma anche per assicurare una regolare attività delle istituzioni scolastiche, nelle quali spesso viene a mancare un controllo con cui prevenire eventuali indiscipline e lassismi da parte degli insegnanti. L’assenza di un’autorità responsabile superiore ostacola ancor di più anche gli obblighi dei dirigenti delle scuole, la cui influenza sul personale è limitata alle norme previste dall’autogestione. Quest’assenza è ancora più evidente nelle scuole più piccole, nelle quali di solito sono di ruolo uno o due insegnanti. In queste, di solito, vista l’assenza di controlli, gli insegnanti di fatto controllano la situazione a tal punto che alcuni di loro, a propria discrezione se lo ritengono più conveniente, interrompono le lezioni e modificano il piano di lavoro ed il programma d’insegnamento. Una situazione, quindi, che provoca un danno sia agli alunni, ma anche, di fronte ai genitori, al buon nome della scuola. I consiglieri italiani presso gli Istituti pedagogici, causa il grande numero di obblighi e l’ampiezza del territorio che sono chiamati a coprire, non hanno la possibilità di assicurare un adeguato controllo sulle scuole e sugli insegnanti, per cui sarebbe opportuna la collaborazione di altre personalità, e soprattutto del consigliere pedagogico italiano, alle cui osservazione dovrebbe essere dedicata la necessaria attenzione. Ritengo di aver fatto il meglio possibile per portare a termine l’impegno che mi era stato affidato, nello stesso tempo, però, non posso ritenermi soddisfatto dei risultati conseguiti, poiché questi erano condizionati da una simile situazione che non permette una piena attuazione delle clausole previste dallo Statuto Speciale allegato al memorandum d’Intesa. Lo Statuto Speciale garantisce agli appartenenti ai gruppi etnici minoritari sui territori sotto amministrazione italiana, ovvero jugoslava, uguali diritti e uguale trattamento rispetto agli altri abitanti del territorio. Spesso questa uguaglianza sul territorio sotto amministrazione jugoslava esiste spesso più sulla carta che nella realtà, non per mancanza di buona volontà da parte delle autorità jugoslave, ma soprattutto perché dopo il Memorandum di Londra e dopo che l’abbandono del territorio da parte dei nostri connazionali, si è venuta a creare una situazione che ha modificato il rapporto tra la maggioranza etnica e la minoranza a danno esclusivo degli Italiani, rendendo ancora più difficile l’attuazione di quelle misure che dovrebbero servire per garantire la conservazione del carattere etnico e un libero sviluppo culturale. L’esodo della popolazione ha comportato delle conseguenze particolarmente pesanti soprattutto per le scuole e in genere per la cultura, innanzitutto perché il territorio è stato abbandonato prima di tutto dagli intellettuali che hanno lasciato le istituzioni scolastiche sguarnite del corpo insegnante. Oggi è difficile ricomporre

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il corpo insegnanti e, d’altra parte, le leggi e l’ordinamento attuale jugoslavo non aiutano un ritorno alla normalità in quanto non stimolano i giovani a dedicarsi all’insegnamento e, ancor più, non sono attirati dalle condizioni economiche e dall’impiego fisso. Di conseguenza c’è ancor sempre mancanza di personale insegnante che deve essere completato da persone che non sono di madrelingua italiana, il che è in contrasto con le clausole dello Statuto Speciale. La precarietà del posto di lavoro, inoltre, induce spesso i migliori ad abbandonare l’insegnamento ed a optare per altre attività più sicure e redditizie. Rimangono gli insegnanti più anziani che sono legati alla scuola, mentre i giovani, purtroppo anche coloro che ritengono utile l’insegnamento, sono alla ricerca di un impiego diverso seguendo le ragioni che ho spiegato sopra. Qualcuno obietterà, che anche la situazione delle scuole della maggioranza non è migliore. È un’affermazione esatta solo in parte, poiché i giovani Sloveni o Croati sono facilitati in quanto possono sempre studiare nella loro lingua materna, mentre agli Italiani questo è possibile soltanto fino al termine della scuola media superiore, dopo di chè, i futuri insegnanti devono frequentare, nel migliore dei casi, il biennio presso l’Accademia Pedagogica di Pola, che permette la frequentazione di soltanto alcuni corsi in lingua italiana, mentre tutte le materie generali vengono insegnate in lingua croata. Questa situazione comporta un prolungamento del periodo di studio per tutti coloro che non conoscono bene la lingua croata, almeno quando questo fattore non li induce addirittura ad abbandonare lo studio. Una difficoltà questa che è sentita particolarmente dai giovani Italiani del territorio sloveno, motivo per cui nella zona del Capodistriano è quasi del tutto assente la presenza di giovani insegnanti, mentre nei posti lasciati vuoti vengono impiegate persone provenienti dalle località situate dall’altra parte del fiume Quieto. Queste persone molto spesso guardano a questo impiego come ad una fase transitoria della propria attività e, appena possibile, non stimolati da un impegno per i propri alunni. ma nemmeno da parte degli abitanti di questa località e dalle rispettive istituzioni culturali, fanno ritorno a casa propria. Un impegno non soddisfacente da parte di un numero troppo grande di insegnanti, assieme alle frequenti modifiche che non assicurano un insegnamento continuato agli alunni, pone gli Italiani di questo territorio in una situazione molto sfavorevole, per cui la proclamata uguaglianza di trattamento con la maggioranza diventa spesso illusoria. Per questi motivi sono giustificate le richieste da parte italiana per l’adozione di misure urgenti in favore della scuola su questo territorio, in quanto soltanto con la piena attuazione di tali misure potrebbe venir assicurata una piena attuazione delle clausole previste dal Memorandum d’Intesa. Concludendo, i problemi più grossi che è necessario risolvere nel settore scolastico possono essere raggruppati nei seguenti punti: 1) Gli insegnanti Dal punto di vista giuridico non esiste alcuna differenza tra gli insegnanti della maggioranza e quelli della minoranza etnica, ma nella realtà le cose sono molto diverse e sempre a danno di questi ultimi per i motivi cui ho accennato sopra. a) La mancanza dell’istituto del posto di lavoro fisso e la riduzione dei posti previsti dall’ organico in seguito alla chiusura di una classe può significare non soltanto la perdita di un posto di lavoro, ma anche l’impossibilità di trovare un nuovo lavoro, almeno nella stessa località. Nei migliore dei casi, anche quando si rende possibile il trasferimento in un’altra località, una grossa difficoltà dipende dal fatto che i Comuni non hanno la possibilità di assicurare un alloggio al nuovo venuto,

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come prevede la legge. Gli alloggi che sono a disposizione degli impiegati a scuola di solito continuano ad essere occupati da loro anche quando si trasferiscono ad un altro impiego, il che rende impossibile, o quasi impossibile, il trasferimento dell’insegnante assieme alla famiglia. b) Le nuove norme di legge in Slovenia stabiliscono per gli insegnanti il possesso di una qualifica professionale conseguita in un istituto universitario oppure presso un’Accademia pedagogica. A coloro che non dispongono ancora di un diploma adeguato viene riconosciuto un termine di tempo troppo breve per conseguirlo, pena la perdita del diritto all’insegnamento. Tra gli insegnanti italiani ce ne sono molti che non dispongono del diploma previsto, spesso non per mancanza di volontà, ma perché è difficile per loro portare a termine il diploma causa la non conoscenza della lingua slovena o croata. Una rigorosa applicazione di questa nuova legge influirà in maniera ancora maggiore sulle scuole italiane nel territorio del capodistriano, dove mancano insegnanti nativi del luogo o qui trasferitisi in maniera permanente. I vecchi insegnanti che hanno dedicato alla scuola tutta la vita e sono apprezzati per le loro capacità didattiche e per la loro serietà nell’esecuzione dei propri compiti, rischiano di perdere il lavoro. Sarebbe pertanto auspicabile che le autorità scolastiche competenti esaminassero attentamente questi casi e li risolvessero con giustizia. Agli insegnanti più giovani, infatti, potrebbe venir concesso un periodo di tempo più lungo per il conseguimento del diploma prescritto, mentre i più anziani potrebbero mantenere il loro posto almeno fino al compimento del limite minimo d’età necessario per il pensionamento. c) Un altro elemento sfavorevole per gli Italiani è rappresentato dal fatto che le cariche dirigenziali delle scuole, a conclusione del mandato, dipendono dalla circoscrizione elettorale e se, in caso di eventuale rielezione, il vecchio dirigente non dovesse venir rieletto, nessuno sarebbe in grado di assicurargli un nuovo posto di lavoro, ma sarebbe costretto a rimanere nella propria scuola come semplice insegnante. Per questi motivi, anche paventando una simile eventualità, il dirigente, durante il periodo in cui è in carica, deve stare molto attento a non entrare in un rapporto di conflittualità con gli insegnanti subordinati i quali, più tardi, potrebbero trovarsi al suo stesso livello e potrebbero fin d’ora ostacolare le sue attività nel collettivo della scuola. Un dirigente del genere non può impegnarsi a fondo per il bene della scuola come vorrebbe. Succede, quindi, che i posti dirigenziali non sono molto appetibili e spesso succede che su questi posti si trovino persone che non sentono di appartenere appieno al mondo scolastico, ma continuano a nutrire altre ambizioni. d) Nelle scuole di livello superiore, che sono poco frequentate e che spesso sono attive con una sola classe, non possono disporre di un proprio organico, ed i pochi insegnanti impiegati sono costretti, per riempire l’orario di lavoro, a trovare una soluzione passando durante la giornata da una scuola all’altra, anche quando queste sono distanti decine di chilometri, e senza poter contare anche su un minimo di garanzia che il posto di lavoro, già così difficile, potrà mantenerlo anche in futuro. Di conseguenza vengono a mancare insegnanti qualificati e anche quando se ne trovano cercano appena possibile di trovare un altro posto di lavoro più sicuro. Molti insegnanti, provenienti da altri mestieri, svolgono a scuola soltanto alcune ore d’insegnamento alla settimana, oppure ci sono insegnanti provenienti dalle scuole della maggioranza che nelle scuole italiane insegnano ad onorario. Pochi tra questi, comunque, sono quelli di madrelingua italiana, il che influisce sull’insegnamento e provocando un sentimento di sfiducia della popolazione italiana nei confronti delle proprie istituzioni scolastiche. È necessario, pertanto che quanto

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prima venga assicurato un personale insegnante di fiducia e quanto più stabile. Elemento questo che potrebbe esser conseguito disponendo di alloggi adeguati per gli insegnanti e le loro famiglie, per tutti retribuzioni minime sicure, anche nel caso di una riduzione degli organici del personale insegnante. In assenza di alloggi, a tutti dovrebbe venir assicurato un rimborso. 2) - Le Scuole a) Per quanto riguarda gli asili e le scuole dell’obbligo sul territorio sotto amministrazione jugoslava va segnalato che non è sufficientemente larga e non corrisponde alle reali necessità della popolazione italiana. come invece avviene a Trieste per i bambini del gruppo etnico sloveno. In quasi tutte le località più piccole non esistono asili infantili, e dove ci sono, spesso dipendono da quelli sloveni o croati, per cui dispongono di pochi locali e insufficienti mezzi materiali. È necessario che essi possano operare negli edifici delle scuole elementari italiane , oppure nelle loro vicinanze, non soltanto a causa del fattore psicologico, ma anche per rendere più facile alle famiglie che hanno bambini, sia grandi che piccoli, ad accompagnarli a scuola. Nei casi in cui il bambino non frequenta ancora la scuola, invece di essere iscritto all’asilo, solitamente rimane a casa. La mancanza di una scuola elementare è sentita a Madonna del Carso (Umago), dove i bambini italiani sono obbligati a frequentare la scuola croata. b) La rete delle scuole superiori non corrisponde assolutamente alle necessità, e spesso alla minoranza italiana non viene offerta alcuna possibilità di scelta: rinunciare, per la lontananza, ad iscriversi alla scuola italiana, oppure intraprendere un viaggio verso località abbastanza lontane dal luogo di residenza. Il problema è più serio nel buiese, dove non esiste alcuna scuola superiore e molti giovani, una volta finita la scuola dell’obbligo, non possono permettersi il lusso (la scuola per loro diventa proprio questo) di viaggiare ogni giorno in autobus verso il capodistriano, dove sono costretti a trascorrere tutto il giorno lontani da casa, con sacrifici e spese che questi viaggi comportano. Anche diversamente, una tale situazione non normale, rappresenta un danno per i nostri connazionali. Molte famiglie, soprattutto nei centri più piccoli del buiese dove l’elemento italiano è ancora numeroso, mi assicuravano che non potendo assicurare l’iscrizione ad una scuola italiana, erano sottoposte a forti pressioni per indurli a mandare i figli nella scuola croata dove incontravano delle difficoltà di inserimento causa la non conoscenza della lingua. Personalmente ho constatato che nelle piccole scuole croate molti alunni parlano tra loro in italiano essendo questa la lingua che usano in famiglia. 3) Edifici scolastici a) Gli ambienti di cui dispongono le scuole con lingua d’insegnamento italiana sono quasi dappertutto insufficienti. È vero che spesso anche le scuole della maggioranza si trovano nelle stesse condizioni, viste le costanti difficoltà finanziarie delle Repubbliche e dei Comuni, ma per esse, queste difficoltà non sono accompagnate da altri elementi sfavorevoli di cui ho parlato più sopra e che condizionano negativamente la vita delle scuole italiane. Quasi tutte le scuole operano in edifici obsoleti che hanno bisogno di riparazioni, spesso anche fondamentali. Esclusa la scuola di Buie, tutte le altre non dispongono di una palestra e quasi tutte sono sprovviste di aule specifiche. Una situazione particolarmente difficile si è creata a Isola con il rapido sviluppo della scuola professionale economica. Nel vecchio edificio sono state dislocate otto classi della scuola dell’obbligo, la scuola economica, la scuola professionale e, a

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partire dal mese di marzo, anche i bambini dell’asilo. Le aule sono assolutamente insufficienti, nonostante i lavori di ristrutturazione effettuati, con i quali sono stati eliminati quasi tutti gli spazi ausiliari, gli uffici e le aule particolari. Per il prossimo anno scolastico verranno a mancare anche due nuove aule che sono necessarie per l’apertura della terza classe della scuola di avviamento nell’economia e per il laboratorio. Se i lavori di ampliamento promessi, pianificati già per questo autunno, non verranno iniziati - la scuola sarà costretta a respingere le iscrizioni nella prima classe, con il ché diventerà ancora più evidente il disuguale trattamento delle scuole italiane rispetto a quelle slovene che non sono mai state costrette a ricorrere a misure così drastiche. Per tranquillizzare la popolazione italiana locale assicurando alla scuola un’attività utile e normale, è necessario in tempi brevissimi risolvere il problema dei mezzi finanziari per la costruzione del nuovo edificio, per il quale i progetti sono già stati approvati dal Segretariato repubblicano per l’istruzione di Lubiana, e la cui realizzazione era stata prevista già per quest’anno. Altrettanto difficile anche la situazione a Sicciole (Pirano), dove le otto classi della scuola elementare svolgono le lezioni a turno in un modesto alloggio privato composto da tre stanzette e da una cucina nella quale si trova ancora il lavello ed il focolare. L’insostenibilità di questa situazione è stata illustrata dalla scuola con una relazione dettagliata inviata al Segretariato di Lubiana, ma per conoscenza anche al Comune di Pirano e alle competenti autorità scolastiche. b) Il vecchio Ginnasio di Capodistria, nel quale è collocata anche la scuola dell’obbligo, non corrisponde più alle necessità soffrendo ormai in maniera cronica per l’insufficienza degli spazi. Sarebbe necessario effettuare quanto prima una riparazione generale dell’edificio, costruire una nuova ala per la palestra e per le aule specializzate, trasferendo le classi della Scuola economica slovena che stanno occupando le aule indispensabili per un lavoro normale. c) È necessario liberare con urgenza il ristorante dall’edificio della scuola di Pirano, sia per motivi di sicurezza e di decoro, ma anche perché questo permetterebbe al ginnasio ed alla scuola ottennale di disporre del numero adeguato di aule e di spazi ausiliari. d) Le misere condizioni in cui si trovano alcuni edifici scolatici esigono lavori di ristrutturazione. Una necessità particolarmente sentita a Colombano, Bertocchi, Semedella, Strugnano, Momiano, Grisignana e Castagna. e) Alla scuola di S. Lucia serve almeno ancora un’aula. f) Esclusa Buie, non esistono altre palestre per la ginnastica. g) Bisogna accennare particolarmente alla scuola di Cittanova che si trova in un vecchio edificio non abilitato a tale ruolo. Il Comune prevede la costruzione di una nuova scuola nella quale dovrebbe trovare posto sia la scuola italiana, come pure quella croata. Disporrebbe di entrate separate, ma la palestra ed alcuni spazi ausiliari dovrebbero essere comuni, come pure gli asili infantili, anche se in stanze separate. Un progetto che non è ben visto dagli Italiani in quanto in esso non vedono alcuna garanzia di una propria autonomia, e preferirebbero che venisse riparato e ampliato il vecchio edificio che, per la sua posizione, corrisponderebbe del tutto. 4) Autonomia delle scuole Esiste ancora un problema che, per l’importanza che riveste per gli istituti scolastici, è stato ampiamente illustrato dai miei predecessori, e riguarda l’autonomia delle scuole periferiche che, giorno per giorno, si stanno adeguando alle pressioni

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che su di loro svolgono le direzioni dei centri maggiori. I motivi che giustificano questi comportamenti possono essere accettabili quando si parla di aiuti didattici e di controllo della disciplina. Tuttavia è necessario vedere anche l’altra faccia della medaglia. Dall’esperienza degli ultimi anni scaturisce che l’abolizione dell’autonomia rappresenta un danno per la vita stessa delle piccole scuole innanzitutto perché diminuiscono i mezzi necessari per il loro funzionamento che si fondono nel bilancio comune e che, durante la spartizione delle risorse finanziarie, a fare la parte del leone è la scuola centrale che si avvale della volontà della maggioranza. Le scuole periferiche sono dislocate di solito in edifici obsoleti necessari di ristrutturazioni generali che, per i motivi su accennati, non possono venir realizzate. Piccole riparazioni non possono risolvere il problema, per cui dappertutto è percepibile il malessere degli insegnanti e degli alunni che sono costretti a resistere in ambienti spesso umidi e di cattiva costruzione. Non c’è da meravigliarsi, di conseguenza, se per questi motivi che spesso vengono ulteriormente accentuati dall’incapacità e dall’incuranza degli insegnanti si riscontra una diminuzione delle iscrizioni scolastiche che possono portare a situazioni estreme, come a Colombano, dove per il prossimo anno scolastico non è prevista nemmeno la presenza di un alunno. Un’inchiesta eseguita sul posto ha confermato che vi sono dei bambini italiani che in futuro potrebbero frequentare la scuola se, nel frattempo venissero superate tutte le manchevolezze. In un caso come questo, se viene a mancare l’autonomia si può arrivare anche all’estinzione della scuola con delibera del Comitato scolastico nel quale verrebbe adottata la volontà della maggioranza per niente interessata al funzionamento di questa sezione scolastica sul territorio. Come evitare queste spiacevoli situazioni assicurando allo stesso tempo il necessario aiuto didattico? Ritengo che questo aiuto potrebbe venir assicurato dalla direzione della scuola cittadina con la collaborazione del consigliere presso il locale istituto pedagogico e del consigliere pedagogico italiano, nell’ambito delle sue competenze. Queste istituzioni potrebbero inoltre esercitare il necessario controllo finanziario e disciplinare, il che comporterebbe un alleggerimento delle responsabilità degli insegnanti delle piccole scuole periferiche per quanto riguarda l’amministrazione, evitando anche spese inconsiderate ed evitando alla scuola i danni cui ho accennato prima e che sono conseguenza di inesperienza, di non conoscenza o di leggerezza da parte degli insegnanti. 5) Testi scolastici, mezzi didattici ed ausiliari È necessario che i libri di testo ricevuti dalla parte italiana vengano subito distribuiti agli interessati, evitando metodi burocratici e semplificando il controllo. C’è mancanza di inventario scolastico e di mezzi ausiliari didattici, soprattutto per le materie umanistiche e tecniche. Una mancanza che è sentita soprattutto nelle scuole superiori. 6) programmi di studio Per le scuole professionali sono in vigore i programmi di studio della maggioranza con le modifiche richieste per ogni singolo corso. Purtroppo la mancanza di insegnanti impedisce che questi programmi possano venir sempre completamente svolti. Una situazione che succede soprattutto nelle classi superiori della scuola ottennale a Castagna che dispone di un solo insegnante, e al ginnasio di Capodistria, dove alcune materie non vengono svolte. Questi problemi potrebbero venir superati - credo - con accordi tra i due governi interessati sulla base dei quali inse-

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gnanti qualificati italiani potrebbero venir autorizzati, almeno temporaneamente, a coprire i posti rimasti vacanti. 7) Registri scolastici Sul territorio del buiese i registri sono ancora soltanto in lingua croata. Sarebbe urgente eliminare questa mancanza. 8) Conoscenza della lingua italiana La conoscenza della lingua italiana non è soddisfacente per vari motivi. Innanzitutto si vive in un ambiente misto, nel quale viene prevalentemente usata la lingua slovena o quella croata. Anche dove vivono prevalentemente Italiani, come è il caso di alcuni piccoli centri del Buiese, la lingua parlata è il dialetto (istroveneto). I nostri connazionali vivono in gran parte separati e dispersi, spesso disponendo di poche possibilità di comunicazione reciproca, e soprattutto appartengono agli strati sociali più bassi dove esiste un’attività culturale ridotta o assente del tutto. Inoltre, mancano libri e giornali di cui solo pochi possono disporre. Nelle scuole, sia per le accennate condizioni, come pure per la loro mancanza di esperienza, molti insegnanti non riescono a conseguire i risultati auspicati. Purtroppo, molti insegnanti non sono all’altezza dei loro compiti per i motivi di cui ho già parlato. In primo luogo, un’insufficiente conoscenza della lingua italiana, sia di quella letteraria che della grammatica e, in particolare, della sintassi. Non sono pochi gli insegnanti che vengono da un uso misto della lingua materna, e addirittura di Sloveni e Croati che hanno terminato gli studi in Italia nella lingua italiana, ma non conoscono ancora bene la nostra lingua, per cui abitualmente l’uso delle lingua viene limitata soltanto nell’ambito della scuola. Di conseguenza, le loro lezioni si riflettono negativamente sul sapere degli alunni. 9) Seminari Si sono dimostrati indubbiamente utili in quanto servono allo sviluppo di quei rapporti di amicizia e di cordialità che sono indispensabili fra colleghi, ma anche perché rendono possibile un utile scambio di idee su questioni culturali e su comuni problemi di carattere didattico. Inoltre, già la modesta conoscenza della lingua italiana, assieme alla poca conoscenza della letteratura e, in genere, della cultura della matrice nazionale, giustifica pienamente questa iniziativa che rende possibile l’instaurazione di utili contatti sul piano culturale e dei comuni sentimenti tra gli insegnanti istriani ed i conferenzieri che giungono dall’Italia, contatti che spesso si mantengono per molto tempo anche al di fuori del contesto dei seminari. Non voglio soffermarmi sul programma dei prossimi seminari invernali che, nelle linee principali, è già conosciuto, almeno in base alla proposta avanzata dalle direzioni delle scuole all’incontro svoltosi a Capodistria verso la fine del mese di giugno. Riassumendo, desidero dire che andrebbero ridotte le ore di lezione per gli insegnanti onde permettere più tempo per il dibattito. Per gli alunni delle scuole professionali di Isola sarà necessario raddoppiare i corsi tenendo conto del consistente aumento del numero degli alunni. Ancora un’osservazione in merito ai Seminari di cultura di Capodistria, che vengono organizzati in base ad un preciso accordo nell’ambito del Comitato Misto, soprattutto per evitare una spiacevole situazione che deriva da una non sufficiente conoscenza della lingua e della letteratura italiana da parte degli insegnanti che non sono della stessa madre lingua degli alunni.

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A partire dal 1967, in attuazione dei accordi concordasti sugli scambi culturali, la durata dei seminari per gli insegnanti è stata ridotta da 10 a 8 giorni. In questo modo sono state eliminate due preziose giornate per l’elaborazione dei temi e per il dibattito, con conseguenze che sono immaginabili. Anche se è noto che proprio i seminari rappresentano l’unica e anche la migliore occasione per installare contatti, particolarmente nel settore della cultura, con i colleghi e con gli insegnanti che sono arrivati dall’Italia. Sarebbe utile che la durata dei seminari venisse nuovamente riportata a dieci giorni. Infine, anche agli insegnanti di Isola e Pirano dovrebbe essere acconsentito di pernottare a Capodistria. Si eviterebbero così le assenze ingiustificate e l’allontanamento appena finite le lezioni, togliendo agli interessati quei contatti che si possono intrattenere anche fuori dalle lezioni. In ogni caso, sarebbe necessario adempiere appieno all’attuazione delle clausole dell’accordo che prevedono la frequentazione obbligatoria dei seminari, un obbligo che attualmente molti non rispettano. Per quanto riguarda i seminari estivi collegati alle escursioni, ritengo che nella scelta degli studenti bisogna innazitutto tener conto dei meriti sia in ambito scolastico che in ambito alle istituzioni culturali italiane in genere. 10. Varie Sarebbe utile incrementare il numero dei 30 studenti che ogni primavera, a conclusione dell’ultimo anno della scuola dell’obbligo, partecipano all’escursione in Italia. L’anno scorso hanno portato a termine le otto classi 67 alunni, cosicché molti non hanno potuto partecipare all’escursione. Sia da parte degli insegnanti che degli alunni si auspica l’instaurazione di un legame con le scuole e con le istituzioni culturali della vicina Trieste. Il Comitato Misto potrebbe prendere in esame la mia proposta di organizzare delle brevi gite di alcune ora nelle località che è possibile raggiungere con il normale Lasciapassare. Questi sono i problemi che con deferenza porto in esame al Comitato Misto italo-jugoslavo nella convinzione che una favorevole soluzione delle proposte italiane permetterà di andare incontro alle necessità della minoranza etnica, alla quale verrà riconosciuta anche “de facto” la parità dei diritti e di trattamento con la maggioranza, parità che, oltre che dai trattati internazionali e dagli accordi bilaterali stipulati tra i due governi, le viene riconosciuta anche dalla stessa costituzione jugoslava. 30 luglio 1968

prof. Ermanno Visintin m.p.

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Capitolo XVI Ancora le scuole al centro del dibattito Verbale della XVI.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Belgrado, dal 15 al 20 dicembre 1969. (1)

All’inizio della propria esposizione, la delegazione jugoslava fece sapere che l’Assemblea Federale della RSF di Jugoslavia aveva approvato che l’emendamento XIX (Bollettino Ufficiale RSFJ no. 35 del 30 dicembre 1968) fosse considerato come parte integrante della Costituzione della RSFJ. Con esso venivano ampliati i diritti particolari delle nazionalità, confermando i principi riguardanti: - la parità dei diritti dei popoli e delle nazionalità; - il libero e paritario uso, nelle forme scritta ed orale delle lingue dei popoli e delle nazionalità sui territori dove questi vivono, comprese le norme che, per legge e statuti delle organizzazioni socio-politiche e con altri atti generali delle organizzazioni di lavoro, consolidano le condizioni ed i metodi della loro attuazione; - il principio secondo cui gli appartenenti alle nazionalità, in conformità alle disposizioni delle leggi e delle Costituzioni delle relative repubbliche, hanno il diritto di usare la propria lingua nella realizzazione dei propri diritti e dei propri doveri sia nelle procedure davanti agli organi statali e davanti alle organizzazioni che hanno competenze di ordine pubblico. Il Sabor della RS di Croazia con decreto del 7 febbraio 1969, aveva proclamato la Legge Costituzionale sull’attuazione della Costituzione della RS di Croazia (Bollettino Ufficiale no. 6 del 14 febbraio 1969), con la quale erano stati modificati gli artt. 93 2 93 della Costituzione della RS di Croazia i quali, tra l’altro, regolano i diritti particolari delle nazionalità. In conformità con il XIX emendamento, la Costituzione della RSF di Jugoslavia ampliava i diritti delle nazionalità sul territorio della RS di Croazia, confermando i principi riguardanti: - la parità dei diritti dei popoli e delle nazionalità; - il libero e partitario uso delle lingue, nelle forme scritta ed orale, delle nazionalità sui territori dove queste vivono;

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- i principi, secondo cui gli appartenenti alle nazionalità, in conformità alle disposizioni di legge, hanno il diritto di usare la propria lingua nella realizzazione dei propri diritti e doveri, come pure nei procedimenti di fronte agli organi dello Stato e delle organizzazioni che hanno competenze di ordine pubblico. Analoghe modifiche e aggiunte erano state inserite anche nella Costituzione della RS di Slovenia. Dal 9 al 12 dicembre 1969, le cinque Camere del Sabor croato avevano approvato il Decreto di legge sull’istituzione della Commissione del Sabor per le questioni delle nazionalità. Compito della Commissione sarà quello di seguire, esaminare e discutere le questioni legate alla realizzazione dei diritti assicurati alle nazionalità dalle Leggi e dalla Costituzione, nonché di proporre misure di rilevante importanza per lo sviluppo generale delle nazionalità. I Consigli federale e politico-organizzativo della Camera federale della RSF di Jugoslavia avevano approvato una Risoluzione sull’attuazione dei principi costituzionali riguardanti la posizione paritaria delle lingue dei popoli e delle nazionalità della Jugoslavia nelle disposizioni federali e nello svolgimento delle attività degli organi federali. Le Assemblee dei Comuni di Buie, Umago e Cittanova hanno dato il via alla procedura di modifica degli Statuti comunali al fine di definire concretamente l’attuazione dei nuovi principi costituzionali e delle nuove disposizioni di legge nella prassi quotidiana sul territorio dove vive il gruppo etnico italiano. Contemporaneamente sono stati armonizzati i principi che regolano il libero e paritario uso delle lingue nelle organizzazioni di lavoro nello svolgimento delle relative competenze di carattere pubblico sul territorio dei comuni di Capodistria, Isola e Pirano. Sulla base dei principi costituzionali, delle leggi e delle clausole degli statuti comunali, gli organi dell’amministrazione pubblica e della giustizia nei procedimenti che vedono coinvolti nella prassi quotidiana gli appartenenti al gruppo etnico italiano, si attengono a tutte le norme che riguardano i diritti particolari che regolano il loro trattamento paritario. La lingua italiana viene usata liberamente e con uguale diritto in tutti gli aspetti della vita sociale e socio-politica (sessioni delle assemblee comunali, dei vari consigli e commissioni, alle assemblee degli elettori, delle comunità cittadine, dei tribunali e nelle altre associazioni di cittadini). La realizzazione pratica dell’uso libero e paritario della lingua rende più facile la comunicazione con le parti in tutti i Comuni nella maggior parte dei casi, hanno una perfetta o buona padronanza della lingua italiana. Le sentenze, le delibere, le conclusioni e gli altri atti delle assemblee comunali vengono pubblicate nello stesso tempo nelle due lingue sui bollettini ufficiali (Buie, Umago, Cittanova), oppure separatamente soltanto

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in lingua italiana, come allegati ai bollettini ufficiali di Capodistria, Isola e Pirano. Le sentenze, le delibere, le conclusioni, gli attestati e altri atti ufficiali degli organi dell’amministrazione e della giustizia e destinati agli appartenenti al gruppo etnico italiano vengono compilati bilingui oppure soltanto in lingua italiana, assicurando così anche praticamente il principio del libero e paritario uso della loro lingua. Nei procedimenti di fronte agli organi dell’amministrazione e della giustizia i cittadini usano moduli bilingui. Oltre a quelli già esistenti, nel 1969 sono stati stampati altri 13 nuovi formulari bilingui per le necessità dei tribunali. Sono bilingui i proclami, gli annunci, i timbri, tutte le insegne della toponomastica, le insegne delle aziende e delle istituzioni, indipendentemente dalla consistenza numerica degli abitanti. Un’applicazione così ampia, libera e paritaria della lingua italiana non ha registrato alcun caso di protesta per eventuali scorrettezze da parte dei cittadini appartenenti al gruppo etnico italiano. Per un uso libero e paritario della lingua italiana e dei bilinguismo nel senso più ampio, ogni anno vengono pianificati ed assicurati a tale fine mezzi finanziari nell’ambito dei bilanci di previsione dei comuni e delle repubbliche. Gli appartenenti al gruppo etnico italiano sono eletti in tutti gli organi rappresentativi comunali, delle repubbliche e della federazione. Alle elezioni dello scorso aprile un rappresentante è stato eletto alla Camera per l’istruzione e la cultura dell’Assemblea Federale, un altro nell’Assemblea della Repubblica Socialista di Slovenia. Durante queste elezioni nei sei comuni sono stati eletti complessivamente 23 consiglieri, mentre altri 67 appartenenti al gruppo etnico italiano sono stati eletti nei vari consigli e comitati di queste Assemblee comunali. La loro presenza è assicurata anche presso le altre istituzioni dove si decide dei diritti dei cittadini. Presso il Tribunale comunale di Buie tre appartenenti al gruppo etnico italiano sono entrati a far parte della giuria popolare, mentre uno è giudice popolare addirittura presso il tribunale Circondariale di Pola. Inoltre, il presidente del Consiglio delle Comunità di lavoro dell’Assemblea comunale di Buie è italiano. I presidenti delle Comunità Locali di Buie, Momiano, Grisignana e il segretario della Comunità Locale di Verteneglio sono appartenenti al gruppo etnico italiano. Un tanto è riferibile anche ad un certo numero di direttori e dirigenti delle organizzazioni e delle istituzioni di lavoro. Molti sono gli italiani membri dei Consigli d’amministrazione e dei consigli operai delle organizzazioni di lavoro.

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Gli appartenenti al gruppo etnico italiano dispongono di ampie possibilità di sviluppo culturale ed educativo. Centri per lo sviluppo di queste attività sono presenti in otto località, dove operano i Circoli Italiani di Cultura, le scuole che, in collaborazione con l’Unione degli Italiani o singolarmente, organizzano le più diverse attività. Durante il 1969 si sono svolte numerose manifestazioni artistico-culturali che hanno suscitato grande interesse nell’opinione pubblica. Il Dramma Italiano di Fiume, in quanto complesso di professionisti, è pure attivo su questo territorio contribuendo allo sviluppo culturale del gruppo etnico italiano. Nel 1969 i Circoli Italiani di Cultura hanno ricevuto contributi per 208.500 ND. Il Dramma Italiano ha ricevuto per le proprie attività 600.000 ND, mentre l’Unione degli Italiani, per le sue regolari attività, ne ha ricevuti 135.000. Per l’allestimento di manifestazioni politico-culturali particolari quest’anno sono stati devoluti dai bilanci repubblicani all’Unione degli Italiani ulteriori 110.000 ND, e altrettanti anche dai bilanci dei Comuni. Per riparazioni e adattamenti del Circolo Italiano di Cultura di Capodistria, il Comune, con il supporto della Repubblica, ha già riservato mezzi per un importo di 610.000 ND. Sono state avviate pure le procedure per sanare i locali dei Circoli Italiani di Cultura di Cittanova, Salvore e Verteneglio Per le necessità del gruppo etnico italiano vengono stampati nella lingua materna sia quotidiani che altre pubblicazioni periodiche, riviste e un giornalino per bambini. Con mezzi comuni, assicurati completamente con sovvenzioni delle due repubbliche, negli ultimi tempi è notevolmente migliorata la qualità ed i contenuti dei giornali. A tale scopo, nel 1969 sono state assicurate sovvenzioni per un ammontare di 3,407.000 ND. I programmi radiofonici di Capodistria, Fiume e Pola continuano a trasmettere in lingua italiana. La RTV di Capodistria continua a trasmettere anche la trasmissione quindicinale “La Costiera” con informazioni sulla vita e le attività del gruppo etnico italiano. Per queste trasmissioni le RS di Croazia e Slovenia assicurano mezzi direttamente finalizzati. Per lo sviluppo culturale del gruppo etnico italiano è importante anche il suo collegamento con la nazione madre sia tramite l’Unione degli Italiani che altrimenti. Sulla base di questa collaborazione nel 1969 sono stati organizzati numerosi corsi di aggiornamento professionale, proiezioni cinematografiche, conferenze ed altre attività. In seguito a questa relazione molto dettagliata presentata dalla delegazione jugoslava, i membri italiani del Comitato Misto ricordarono alcune questioni che erano già state fatte ampiamente presenti durante le sessioni precedenti, ma che ancor sempre, a loro dire, continuavano ad influenzare sia la struttura che la stessa esistenza del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava.

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In particolare si richiamarono alle modifiche delle circoscrizioni comunali e all’eliminazione dei distretti compiute precedentemente e che avevano comportato una riduzione della rappresentanza del gruppo etnico italiano su queste aree. Gli Italiani ribadirono che lo stesso problema potrebbe ripetersi nuovamente, se non dovesse venir bloccata l’annunciata fusione di singoli comuni. di cui si stava attualmente discutendo, in quanto avrebbe nuovamente influito negativamente sul libero sviluppo del gruppo etnico italiano. I membri della delegazione italiana del Comitato Misto, fecero riferimento anche ad altre questioni che non erano state ancora risolte e che erano state già affrontate soprattutto durante la XV sessione. Alcune questioni che avevano influito negativamente dal punto di vista psicologico sul gruppo etnico italiano e che, qualche volta, avevano comportato decisioni drastiche. Ricordarono così, che l’aspirazione del gruppo etnico italiano di disporre di una propria sala di lettura finora non aveva portato ad alcun risultato positivo. Collegata a questo problema anche la diffusione della stampa italiana che, nell’area del capodistriano, sembrava essere alquanto migliorata, ma che continuava ad esser ancor sempre irregolare nell’area del buiese per via di una complicata procedura di distribuzione.Riferendosi alle prospettate modifiche di alcuni statuti comunali, gli Italiani vollero esprimere l’auspicio che queste avrebbero contribuito ad un più libero uso della lingua italiana da parte degli appartenenti al gruppo etnico italiano, per cui sarebbe stato auspicabile che, in questo contesto, venisse attuato in pieno l’art. 5 dello Statuto Speciale, soprattutto nel settore delle assicurazioni sociali, degli uffici finanziari e, in alcuni casi, anche nel settore della giustizia. In merito, gli Italiani sottolinearono che fino a quel momento non erano ancora entrate dappertutto in vigore le disposizioni annunciate da parte jugoslava, per cui nel settore erano ancora presenti molte manchevolezze. Per quanto riguarda l’attuazione dei punti b) e c) dell’art. 2 dello Statuto Speciale, oltre a quanto già detto in merito alle modifiche apportate alle circoscrizioni delle unità amministrative, in alcune aree del territorio sotto amministrazione jugoslava si erano verificate limitazioni negative nella rappresentanza del gruppo etnico italiano durante la definizione dei candidati alle ultime elezioni politiche e amministrative. Ribadito pure, che gli appartenenti al gruppo etnico italiano già da molto tempo stavano chiedendo un aumento delle sovvenzioni per i Circoli Italiani di Cultura, l’unica organizzazione attraverso la quale possono sviluppare le attività culturali ed artistiche. Venne sottolineato che, anche se una qualche iniziativa era stata intrapresa nella zona del capodistriano, i mezzi e gli spazi di cui disponevano i circoli del buiese erano ancor sempre del tutto insufficienti.

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I membri italiani del Comitato Misto ritennero necessario che a questo problema venisse dedicata un’attenzione particolare soprattutto per il Dramma Italiano di Fiume che, causa l’insufficienza di mezzi, fino all’inizio della stagione teatrale corrente, aveva dovuto assentarsi completamente dalle scene del territorio sloveno sotto amministrazione jugoslava, e ultimamente non aveva potuto proseguire con la tournèe nemmeno sul territorio del buiese. Si tratta di una delle istituzioni più importanti del gruppo etnico italiano per cui la crisi del personale artistico e la mancanza di mezzi finanziari provocano preoccupazione e insoddisfazione tra gli appartenenti del gruppo etnico italiano. Fatto questo, che è apparso anche sulla stampa, la quale aveva più volte attirato l’attenzione delle autorità competenti sulla necessità di assicurare al teatro italiano le condizioni per lo svolgimento della sua attività. La delegazione italiana fece pure presente che il gruppo etnico italiano poteva seguire molto difficilmente le trasmissioni radiofoniche quindicinali trasmesse sul territorio sloveno, per cui la lodevole iniziativa di Radio Capodistria di introdurre delle trasmissioni dedicate agli alunni delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, in pratica non conseguiva i risultati auspicati, anche perché queste trasmissioni qualche volta avevano inizio in orari quando i bambini non avevano ancora preso posto nelle relative aule. La specifica situazione in cui si trovano i Circoli Italiani di Cultura, le difficoltà procedurali nella diffusione della stampa, alcuni problemi ancora sempre presenti per quanto riguarda l’iscrizione degli alunni nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, la mancanza di insegnanti della stessa madrelingua degli alunni, l’assenza di scuole di secondo livello, erano tutti elementi che ostacolavano una libera crescita del gruppo etnico italiano in alcune località del territorio sotto amministrazione jugoslava. Gli Italiani conclusero le loro osservazioni esprimendo l’auspicio che su quanto esposto sarebbero state intraprese delle misure, in particolare che le clausole dello Statuto Speciale venissero pienamente attuate in favore del gruppo etnico italiano che viveva sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Nella risposta, gli esponenti della delegazione jugoslava respinsero decisamente le affermazioni secondo le quali esisterebbero dei problemi che rappresentavano una minaccia per il gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Che queste affermazioni non fossero esatte, come dissero, è dimostrato tra l’altro dal fatto stesso che il numero degli alunni iscritti nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana sta aumentando di anno in anno.

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Per quanto riguarda le altre questioni concrete, ribadirono che di tutte se ne era discusso nelle sessioni precedenti. Tra l’altro assicurarono che la rappresentanza degli appartenenti al gruppo etnico italiano ai sensi dell’art. 2 a) dello Statuto Speciale era addirittura aumentata. In merito al sostegno finanziario dei Circoli Italiani di Cultura e del Dramma Italiano di Fiume, affermarono che le autorità jugoslave avevano coperto completamente le loro necessità e le spese. Per quanto esposto in merito alle scuole con lingua d’insegnamento italiana, la delegazione jugoslava fece presente che l’argomento sarebbe stato ampiamente trattato al punto successivo della sessione. La delegazione jugoslava, nel seguito del dibattito, precisò ancora che il Segretariato repubblicano per l’istruzione e la cultura della RS di Croazia aveva inviato al Consiglio esecutivo repubblicano la proposta di modifiche della Legge sulle scuole con lingua d’insegnamento delle singole nazionalità. La nuova legge, come affermato, avrebbe contribuito all’ulteriore miglioramento della posizione giuridica delle scuole delle singole nazionalità. Inoltre, l’Assemblea comunale di Buie il 6 settembre del 1969 aveva approvato una delibera sull’istituzione di una scuola media generale con lingua d’insegnamento italiana (Bollettino Ufficiale dei Comuni di Buie, Umago e Cittanova No. 13 del 12 settembre 1969). La scuola avrebbe sviluppato le proprie attività in osservanza al programma d’insegnamento delle scuole medie e sarebbe stata finanziata in base alla Legge sul finanziamento dell’istruzione nella RS di Croazia. Nominato pure, anche se provvisoriamente, il preside. I lavori per l’apertura e l’inizio dei lavori della scuola dovrebbero venire conclusi entro il 3 agosto 1970. L’iscrizione degli studenti dovrebbe iniziare con l’apertura dell’anno scolastico 1970/71. La scuola avrà un indirizzo metallurgico, elettrico e una sezione a indirizzo economico-turistico, con la possibilità di comprendere anche altri orientamenti, a seconda delle necessità e degli interessi. Nel frattempo, 72 studenti del Buiese continueranno a frequentare le scuole del secondo livello di Pirano e Isola. Provenienti da quest’area erano iscritti nel primo anno 23 studenti, per i quali la RS di Croazia aveva assicurato nel bilancio i mezzi necessari per un ammontare di 503.686 ND. Per quanto riguarda il corpo insegnanti la situazione va migliorando soprattutto grazie al fatto che a tutti i diplomati delle scuole medie superiori con lingua d’insegnamento italiana vengono concesse delle borse di studio per il conseguimento di lauree universitarie, e a tutti gli insegnanti in servizio senza adeguato titolo di studio viene offerta la possibilità di iscriversi, sia regolarmente che fuori corso, all’Accademia pedagogica. Gli insegnanti che non sono della stessa madrelingua degli studenti sono addetti soltanto all’insegnamento della lingua slovena, ovvero croata.

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Altri due stanno insegnando la lingua inglese, uno invece la matematica e un’altro educazione fisica. Cinque, infine, sono istruttori presso la scuola professionale, per cui l’appartenenza linguistica non è fondamentale per l’insegnamento in lingua italiana. Le autorità cercano comunque, di intraprendere tutte le misure per cui anche questa mancanza venga superata quanto prima. Al miglioramento della situazione per quanto riguarda il corpo insegnanti contribuiscono anche i numerosi seminari di aggiornamento e le borse di studio. Nel corso di quest’anno, tutti gli insegnanti hanno preso parte ai seminari che si sono svolti a Isola, una trentina di essi al seminario di Venezia, una trentina pure a quello di Rovigno, mentre altri sono stati ospitati singolarmente presso delle scuole di Trieste. 6 insegnanti stanno studiando presso l’Università di Firenze, All’Accademia Pedagogica di Pola è in corso di svolgimento un corso per insegnanti delle istituzioni prescolari in lingua italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Sul territorio del buiese, inoltre, sono state aperte tre nuove sezioni nelle scuole elementari. In questo modo, in tutte le scuole elementari è stato reso possibile che le lezioni dalla prima alla quarta classe si svolgano separatamente. Dall’ottobre del 1968 fino alla fine di quest’anno la casa Editrice EDIT di Fiume ha pubblicato sei libri di testo per le scuole elementari, altri cinque per i ginnasi, sei quaderni di lavoro e compiti di controllo, nonché due nuovi moduli bilingui. È uscito anche il primo numero della rivista di pedagogia in lingua italiana “Scuola nostra”. Secondo i programmi della Casa Editrice, entro la fine dell’anno dovrebbero venir pubblicati ancora altri cinque libri di testo. Per quanto riguarda gli edifici scolastici, gli jugoslavi hanno fatto sapere che sono in corso i lavori di rinnovo della scuola di Capodistria per un valore di 4.450.00 ND e che sono ultimati i lavori sull’edificio scolastico di Isola, dove la scuola potrà disporre di altre due aule e di una palestra. Rifatto anche l’edificio della scuola di Strugnano. in corso pure i lavori di ristrutturazione della scuola elementare di Cittanova. In preparazione, inoltre la documentazione per la ristrutturazione dell’edificio scolastico di Umago, che oltre ai mezzi già assicurati a livello locale, è previsto anche un prestito dai fondi repubblicani. Piccole riparazioni sono state eseguite anche sull’edificio della scuola di Pirano, mentre è in preparazione il progetto finanziario per la ristrutturazione della scuola di Sicciole. Nella proposta degli investimenti previsti per il 1970, nella RS di Slovenia è previsto l’acquisto di alloggi per il corpo insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, per un ammontare di 1,060.000 ND.

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Radio Capodistria continua la trasmissione di programmi per le scuole italiane. Anche quest’anno è in aumento il numero delle iscrizioni nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Sul territorio dei comuni di Buie, Umago e Cittanova la scuola elementare è frequentata da 331 alunni, mentre 34 bambini sono iscritti all’asilo. Sul territorio di Capodistria, Isola e Pirano 704 alunni e studenti frequentano le scuole elementari, le scuole di secondo livello e gli asili, compresi 72 studenti provenienti dal buiese. Complessivamente, su tutto il territorio dell’ex Zona B gli istituti scolastici italiani sono frequentati da 1.089 ragazzi, il che, rispetto all’anno scolastico precedente, rappresenta un incremento del 10 per cento. Richiamandosi ad alcune osservazioni fatte alle riunioni precedenti, i membri italiani del Comitato Misto ribadirono che, a distanza di 15 anni dalla firma dello Statuto Speciale, la situazione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, purtroppo, è assolutamente insoddisfacente, anzi, per qualche aspetto, addirittura peggiorata. Il problema più importante che deve essere risolto è ancor sempre quello degli insegnanti. Per un buon svolgimento dell’insegnamento, le scuole devono disporre di insegnanti professionalmente ben preparati. Attraverso una paziente ricerca, inoltre, è stato constatato che un consistente numero di insegnanti, purtroppo, ancor sempre non è della stessa madre lingua degli alunni, come previsto dallo Statuto Speciale. Sembra addirittura che da qualche tempo nemmeno si tenti di attuare le clausole dello Statuto Speciale. Si arriva persino a nominare nuovi dirigenti scolastici di madre lingua slovena o croata, come è successo, per esempio con la direzione della scuola di Isola. Oppure vengono pianificate più scuole medie, a Buie oppure il ginnasio a Pirano. Secondo alcuni dati di cui disponevano i membri italiani, sarebbe necessario tener presente che i posti di 24 insegnanti che non appartengono al gruppo etnico italiano non sono stati messi a concorso e che non vengono intraprese misure per la loro sostituzione, come prescritto dallo Statuto Speciale. Un altro problema è rappresentato dalla carenza di alloggi, il che ha come conseguenza che gli insegnanti abbandonano il loro posto di lavoro, come successo recentemente a Cittanova con il nuovo insegnante di matematica e fisica. Una carenza che è particolarmente sentita in alcune località, dove anche le scuole sono meno efficienti, il che si riflette sull’iscrizione dei bambini italiani in queste scuole. La delegazione italiana, nel prosieguo, illustrò alcuni casi nei quali, prima o durante l’inizio dell’anno scolastico, succedeva che gli alunni venissero iscritti o trasferiti dalle scuole italiane in quelle con lingua d’insegna-

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mento slovena o croata. Una questione che riveste la massima importanza e sulla quale è necessario intervenire energicamente. La delegazione italiana fece presente inoltre la mancanza di insegnanti professionalmente preparati, come del resto ribadito anche nelle sessioni precedenti. La frequentazione dell’Accademia pedagogica di Pola comportava grosse difficoltà, soprattutto per gli studenti che arrivavano dal territorio sloveno e per i quali le borse di studio non sono sufficienti, visto che a Pola non esiste una casa dello studente. Di conseguenza, causa le grosse spese che devono sopportare, molti studenti preferiscono abbandonare lo studio all’Accademia. Per quanto riguarda le qualifiche professionali degli insegnanti la delegazione italiana chiese di venir informata sulle misure che la parte jugoslava intendeva intraprendere per facilitare agli insegnanti che ne erano sprovvisti l’acquisizione delle qualifiche necessarie prescritte dalle nuove norme di legge, analogamente a quanto intrapreso da parte delle autorità italiane che avevano le clausole degli artt. 2 d) e 4 c) dello Statuto Speciale. Per un buon funzionamento delle scuole elementari, secondo i membri italiani, era doveroso dedicare la massima attenzione alla necessità di ampliare la rete degli asili d’infanzia, in quanto oggi questa sembra del tutto insufficiente, e di evitare gli aumenti delle rette a crico dei genitori, elemento che ha già avuto come conseguenza l’abbandono di alcuni bambini dagli asili italiani. Pertanto, sarebbe urgente l’apertura di un asilo a Santa Lucia presso Pirano, dove recentemente è stato inaugurato un asilo sloveno, e a Verteneglio, come già proposto dalla locale scuola elementare. Per quanto riguarda la rete delle scuole elementari venne fatta presente la richiesta, di anno in anno sempre più energica e che l’anno scorso è stata supportata anche dall’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume, per l’apertura di una scuola elementare a Madonna del Carso (Umago), in quanto la sua assenza viene pesantemente sentita soprattutto dalla popolazione locale. Pur avendo espresso soddisfazione in merito alla decisione di aprire una nuova scuola professionale a Buie, come da tempo auspicato dal gruppo etnico italiano, la delegazione italiana sentì il dovere di esprimere anche la sua insoddisfazione per la nomina del direttore che appartiene alla nazionalità croata invece che a quella italiana, anche se è noto che esistono risorse presenti nel gruppo etnico italiano. Il Consigliere pedagogico, nella sua relazione, illustrò ampiamente la problematica legata alla situazione degli edifici che ospitano la scuola italiana. Pur riconoscendo che le autorità jugoslave si erano impegnate per migliorare la situazione degli edifici scolastici in alcune località, era comunque necessario rilevare alcune manchevolezze, soprattutto a causa

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dello stato di abbandono in cui versavano alcuni vecchi edifici, come per esempio le scuole elementari di Sicciole, Pirano, Santa Lucia, Umago e Cittanova. Riferendosi alla questione dell’autonomia delle scuole periferiche, di cui si era discusso anche nel corso delle sessioni precedenti, la parte italiana desiderò precisare che le loro preoccupazioni riguardavano soltanto l’autonomia finanziaria, cioè la suddivisione dei mezzi tra le scuole che venivano gestite da un solo ufficio. La parte italiana concluse le sue osservazioni soffermandosi sui mezzi didattici e sui libri di testo, ma in particolare sull’esigenza di incominciare la soluzione dei problemi legati agli insegnanti che ancora non corrispondono alle clausole dello Statuto Speciale. Gli jugoslavi, da parte loro, nelle risposte si richiamarono a quanto già esposto nel corso delle sessioni precedenti e - tra l’altro - sottolineando in particolare che le iscrizioni nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana erano pienamente libere e di non essere a conoscenza di violazioni dello Statuto Speciale da questo punto di vista. Per quanto riguardava le qualifiche degli insegnanti, la parte jugoslava illustrò con dati e prove che tutti gli insegnanti (a parte un singolo caso riguardante l’insegnante di Bertocchi) erano in possesso almeno dell’attestato della scuola media superiore, e che quasi tutti stavano seguendo fuori corso gli studi presso l’Accademia pedagogica di Pola. Le autorità scolastiche offrivano in questo il proprio supporto garantendo anche i mezzi finanziari necessari. Sul territorio sotto amministrazione jugoslava, tutti gli asili infantili svolgevano la loro attività in base alle clausole previste dallo Statuto Speciale, compresi quelli che erano stati aperti successivamente. Le autorità jugoslave, su raccomandazione dei membri jugoslavi del Comitato Misto, esamineranno le reali necessità e possibilità per un’eventuale apertura di alcuni istituti prescolari. La delegazione jugoslava, respinse con forza l’affermazione secondo cui la posizione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana fosse peggiorata e, in questo, fecero riferimento ai fatti e alle misure generali adottate o in via di approvazione, in favore di queste scuole. Per quanto riguardava gli insegnanti che erano della stessa madre lingua degli alunni, la delegazione jugoslava fece riferimento al fatto che a suo tempo un gran numero di insegnanti avevano abbandonato le scuole con lingua d’insegnamento italiana (2). Fino ad oggi, da parte delle autorità competenti jugoslave, erano state adottate le misure adeguate finalizzate al superamento del problema, e anche in futuro verranno assunte tutte le misure volte all’eliminazione di questo problema, anche se la situazione at-

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tuale non era preoccupante, come sottolineato dalla delegazione italiana. In merito alla disponibilità degli alloggi per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana, gli jugoslavi affermarono che anche in questo settore la situazione non era preoccupante, in quanto si stava risolvendo gradualmente in armonia con le possibilità materiali dei rispettivi Comuni. Anche per quanto riguarda la richiesta di aprire una nuova scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana a Madonna del Carso, gli jugoslavi si richiamarono a quanto già affermato nelle sessioni precedenti, ribadendo che per il momento non esistevano condizioni reali, nè che esistesse la necessità di aprire una nuova scuola italiana. Infine, in merito alla situazione riguardante gli edifici scolastici, la parte jugoslava specificò le misure che si stavano adottando o che erano già state adottate, tenendo conto che alcuni lavori erano già iniziati e che altri sarebbero stati avviati nel prossimo periodo. Più sciolta e quasi senza interruzioni la presentazione del lavoro svolto tra le due sessioni, tenendo anche conto del fatto che gli esperti delle due delegazioni in quel periodo si erano incontrati ben tre volte, e cioè: il 21 aprile, il 27 maggio e il 3 dicembre del 1969, alternativamente a Capodistria e a Trieste, per l’esame delle singole questioni riguardanti gli accordi raggiunti nell’ambito del Comitato Misto. Inoltre, gli esperti hanno avuto più incontri di carattere informale finalizzati alla soluzione di dettagli di alcuni aspetti degli scambi culturali. Gli esperti, inoltre, presero atto che, sulla base di quanto concordato alla riunione dei presidenti, svoltasi a Roma nei giorni 3 e 4 luglio 1969, il mandato dei consiglieri pedagogici era stato prorogato nelle persone del prof. Stane Mihelič per le scuole slovene e del prof. Ermanno Visintin per le scuole italiane. Succintamente, nel prosieguo, quanto risultato dalle relative relazioni soltanto per quanto riguarda il gruppo etnico italiano: - Seminari per insegnanti Da parte italiana il seminario è stato organizzato a Venezia dal 28 giugno all’11 luglio 1969 con la partecipazione di 30 insegnanti. - Borse di studio Per il territorio sotto amministrazione jugoslava parteciparono otto candidati. - Scambi di libri e materiale didattico per le biblioteche scolastiche

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La distribuzione dei libri e del materiale didattico è stata regolarmente portata a termine. - Scambio di libri di testo Anche il contingente di libri di testo per le scuole con lingua d’insegnamento italiana è stato regolarmente consegnato e distribuito. - Gite scolastiche La gita scolastica per gli alunni delle scuole elementari italiane ha avuto luogo nei giorni dal 28 al 30 aprile con visite a Venezia, Padova e Verona. Dal 28 giugno al 3 luglio, invece, per gli studenti delle scuole di secondo gtado con visita a Roma. Gli esperti, previo consenso delle autorità, decisero di aumentare il numero dei partecipanti ad ogni escursione da 30 a 40. - Seminari invernali di Capodistria Il seminario di cultura italiana si è svolto dal 30 gennaio al 5 febbraio 1969 a Isola. Gli esperti nel frattempo hanno già approvato il programma del seminario di cultura italiana per l’anno successivo e che si terrà a Capodistria dal 29 gennaio al 4 febbraio 1970. - Rapporti dei consiglieri pedagogici Per le scuole italiane la relazione è stata presentata dal prof. Ermanno Visintin. La delegazione jugoslava osservò che il rapporto del prof. Visintin non era stato realizzato nel rispetto delle conclusioni approvate alla XV sessione del Comitato Misto, in quanto nel testo erano contenute in prevalenza considerazioni riguardanti la situazione materiale e lo status delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, considerazioni che erano di esclusiva competenza del Comitato Misto, soffermandosi poco, invece, sull’attività e sui compiti che sono di competenza del consigliere pedagogico. La stessa osservazione è stata avanzata anche da parte della delegazione italiana nei confronti del consigliere pedagogico per le scuole slovene di Trieste, prof. Stane Mihelič. - Programma degli scambi culturali Da entrambe le parti proposto che anche dopo la sessione corrente del Comitato Misto si portino avanti le iniziative finora concordate. A tal fine, concordato pure di proporre alle rispettive autorità di snellire le procedure amministrative per lo scambio di un determinato numero di pellicole di normale formato sia di produzione jugoslava che di produzione italiana da

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proiettare nelle sale cinematografiche con la gestione diretta delle associazioni dei due gruppi etnici. In questo contesto, il Comitato Misto autorizzò i relativi esperti a stendere una proposta di programma degli scambi culturali per il prossimo periodo.

Note: (1) La XVI sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo si tenne a Belgrado da 15 al 20 dicembre 1969. L’ordine del giorno approvato in accordo con i relativi governi ripeteva la formula diventata ormai tradizionale comprendente le attività portate a termine in favore delle due comunità nazionali e, in particolare l’esame delle relazioni presentate dai due consiglieri pedagogici e dagli esperti del Comitato. Anzi, possiamo dire che il Comitato aveva ormai perso buona parte della sua spinta iniziale, quando, comunque, tentava di portare avanti un discorso innovativo sulla posizione delle due minoranze nazionali, pur tenendo conto delle diversità politiche, economiche e culturali delle quali le due delegazioni dovevano tener conto. Così, le prime sei pagine del verbale vennero dedicate a quanto aveva realizzato la parte italiane nei confronti della minoranza slovena di Trieste. Per ampiezza abbastanza consistente anche la relazione della parte jugoslava su quanto realizzato nell’ultimo anno a favore della Comunità Italiana dell’ex Zona B. In particolare si trattò di una particolareggiata relazione sull’attuazione del bilinguismo e sulla situazione delle scuole con lingua d’insegnamento italiana. Riportiamo, comunque, la traduzione di tutto il testo riguardante il gruppo etnico italiano, se non altro per avere un’evidenza abbastanza precisa delle procedure che a livello legislativo e amministrativo il governo jugoslavo, ma in particolare i governi repubblicani di Croazia e Slovenia stavano introducendo nella prassi quotidiana richiamandosi alle clausole dello Statuto Speciale. Tutte le iniziative che la Jugoslava portava avanti erano sempre e comunque frutto dell’iniziativa ufficiale della Jugoslavia o delle due Repubbliche che ormai avevano assunto pieni poteri sulla parte della minoranza italiana residente sul loro territorio. Ancor sempre, la voce che all’o.d.g. prevedeva la disamina di richieste, domande e ricorsi presentati da istituzioni o da singoli appartenenti alla minoranza, per quanto riguarda la Comunità Italiana rimase superflua e non sfruttata, visto che nessuno in tutto questo periodo aveva presentato (o, più correttamente, avuto il coraggio di presentare?) una qualsiasi richiesta. A dimostrazione che le due realtà avevano un modo diverso di intendere e di interpretare il principio della libertà collettiva e individuale. (2) La forza del detto, secondo cui un falso ripetuto mille volte rischia di diventare verità: del problema della costante e rimarchevole carenza di insegnanti nelle scuole italiane del cosiddetto “territorio sotto amministrazione jugoslava”, dopo che il Comitato Misto aveva chiuso i battenti sostituito dall’art. 8 degli Accordi di Osimo, ne scrisse uno dei personaggi forti della delegazione jugoslava al Comitato Misto, il dr. Ivo Murko che per vent’anni ricoprì la carica di vicepresidene e fu l’autore di tutti i rapporti che, a nome del Comitato, venivano inviati dopo ogni seduta al governo ed agli organi politici della federazione jugoslava e della Slovenia. In un saggio di una trentina di pagine, intitolato “Vent’anni di sessioni del Comitato Mosto italo-jugoslavo”, nel volume “Slovenci v Italiji po drugi svetovni vojni” (Gli Sloveni in Italia dopo la seconda guerra mondiale) pubblicato nel 1975 a Lubiana dalla Cankarjeva Založba, scrisse testualmente:

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“La delegazione italiana in merito alla situazione delle nostre scuole con lingua d’insegnamento italiana criticò più volte il fatto che una parte del corpo inseganti non era di nazionalità italiana. Anche se la parte italiana si rendeva conto, che questa situazione era stata causata fin dall’inizio proprio per colpa sua dopo che, proprio nel 1953, una buona parte degli insegnanti di nazionalità italiana era stata richiamata in Italia nel giro di una notte, e altri si trasferirono più tardi, per cui - dal punto di vista formale - gli Italiani si sentivano giustificati nel sostenere che la situazione esistente non corrispondeva alle intenzioni dell’art. 4/c, comma 2 dello Statuto Speciale. Le autorità scolastiche jugoslave si prodigarono in tutti i modi, e lo stanno facendo ancor oggi, per migliorare la situazione, in parte facendo studiare nuovi insegnanti e introducendo borse di studio per la frequentazione di corsi universitari. Sono stati migliorati anche i redditi individuali degli insegnanti italiani, per cui si è presentata la necessità di rispondere alla domanda del perché gli stipendi delle scuole italiani siano superiori a quelli delle scuole slovene e croate. In questo contesto, già nel 1959 la delegazione italiana aveva offerto la possibilità di farvenire sul territorio jugoslavo insegnanti e professori dall’Italia. Una proposta che è stata più volte ripetuta, e,ultimamente, anche alla XX.a sessione. È comprensibile che la delegazione jugoslava rifiutò queste proposte”. Collegato a quanto sopra, due o tre piccole osservazioni: a) Un’interpretazione, quella del dr. Ivo Murko, storicamente falsa e scorretta degli eventi che nel 1952-53 portarono, nel giro di una notte, al completo allontanamento del corpo insegnanti dalle scuole italiane dell’ancora in vigore Zona B del Territorio Libero di Trieste. L’autore evidentemente ha preferito non ricordare che allora, anche se sotto amministrazione dell’Armata Popolare Jugoslava (STT-VUJNA), era pur sempre un territorio formalmente indipendente sotto la protezione dell’ONU, e che l’Italia, anche volendo, non avrebbe potuto richiamare gli insegnati delle scuole italiane perché non soggetti alla patria ed alla legislazione potestà italiana, b) Il dr. Murko, evidentemente, ha preferito non rivelare che la fuga (perché di fuga vera e propria si è trattato) degli insegnanti dalle scuole italiana dell’ex Zona B, nel giro di una notte, erano stati costretti ad andarsene e trovare scampo, non in Italia, ma a Trieste. perché si erano rifiutati di firmare un documento in cui avrebbero dovuto dichiararsi favorevoli all’annessione della Zona B alla Jugoslavia e colpevoli di aver operato contro gli interessi della popolazione italiana locale, perché in contatto con il C.LN dell’Istria, con sede a Trieste,(allora definita “una banda di teroristi”)che si batteva per l’annessione del territorio all’Italia, in un momento quando, anche in questa parte del TLT, dichiararsi ostili alla Jugoslavia e al Comunismo, significava venir identificati come “terroristi al soldo dell’imperialismo”. c) Diventano evidenti anche le ragioni del commento del dr. Murko che definisce “comprensibile” il rifiuto della delegazione jugoslava alla più volte ripetuta offerta italiana di far arrivare in zona insegnanti dall’Italia. Si sarebbe trattato, anche in pieni anni Sessanta, di elementi ritenuti non affidabili e, quindi, corrompibili di un organismo minoritario ritenuto ancor sempre e comunque ideologicamente “non sicuro”..

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Capitolo XVII Tante le iniziative, poche le soluzioni Verbale della XVII.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Roma, dal 20 al 30 ottobre 1970 (1)

La XVII sessione ordinaria del Comitato Misto, si tenne a Roma dal 20 al 30 ottobre del 1970. Constatato che i due governi avevano approvato il verbale della sessione precedente, le 42 pagine dattiloscritte del verbale rappresentano praticamente per buona parte l’elenco delle cose realizzate dall’una e dall’altra parte, comprese le relazioni dei consiglieri pedagogici sulla situazione nelle rispettive scuole e le relazioni degli esperti sugli scambi culturali portati a termine (2). Per quanto riguarda la Comunità Italiana, cercheremo di presentare soltanto alcune novità presentate dalla delegazione jugoslava, se non altro per disporre di un’evidenza sulla posizione del gruppo etnico italiano. Non ci soffermeremo sugli sforzi compiuti a tutti i livelli - da quello repubblicano a quelli comunali - per consolidare l’affermazione e l’attuazione dei principi di uguaglianza e di libero uso della lingua italiana in tutte le forme della comunicazione pubblica. Per le attività culturali vengono citati i Circoli italiani di Cultura, i gruppi artisitico culturali, le attività scolastiche, le biblioteche e le sale di lettura, le rappresentazioni teatrali del Dramma Italiano, nonché l’organizzazione di rassegne e festival. Non si manca di porre in rilievo l’impegno anche finanziario per migliorare le sedi dei Circoli, soprattutto a Cittanova e Capodistria. A Pirano è stato celebrato con tutta una serie di manifestazioni il 200.esimo anniversario della morte di Giuseppe Tartini. A disposizione del gruppo etnico italiano stampa, libri e riviste in lingua italiana e, inoltre, vengono finanziate le pubblicazioni dell’EDIT e le trasmissioni in lingua italiana di Radio Capodistria, Radio Pola e Radio Fiume. Continua a venir messo in onda abnche il quindicinale TV “La Costiera”. In risposta a quanto elencato dagli jugoslavi, gli italiani riportarono per l’ennesima volta l’attenzione sulle modifiche delle circoscrizioni amministrative dei comuni che portarono alla formazione del Consiglio Costiero di Capodistria, al quale i Comuni di Capodistria, Isola e Pirano avevano trasferito alcune delle proprie competenze. Come accennarono, simile in-

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tenzione era presente anche nel buiese. Iniziative, queste che, dopo l’eliminazione dei distretti.influì sulla rappresentatività del gruppo etnico italiano in quanto il nuovo organismo non teneva conto delle reali proporzioni di questo gruppo sul territorio. La delegazione italiana ripropose anche alcune osservazioni fatte già alla sessione precedente, con un particolare accento alle difficoltà che stava incontrando il Dramma Italiano di Fiume che, a causa dei mezzi finanziari insufficienti, era stato costretto a sospendere le tournèe nella varie località istriane. La delegazione italiana ribadì ancora una volta che in alcune zone gli appartenenti al gruppo etnico italiano incontravano serie difficoltà nell’attuazione delle clausole dello Statuto Speciale che lo riguardavano e chiesero misure adeguate per evitare che si consolidasse una situazione di trattamento diversificato rispetto alla maggioranza. Per comprendere la situazione di insicurezza psicologica che rendeva difficile la vita degli appartenenti al gruppo etnico italiano, non si poteva sottacere il fatto che dopo tanti anni dalla firma del Memorandum d’Intesa, quindi dall’entrata in vigore dello Statuto Speciale, fosse ancor sempre necessario far presenti questi problemi, in particolare il fatto che molti insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento itaiana non appartenevano al gruppo etnico italiano: tra questi anche alcuni presidi di scuole medie. Quest’ultimo problema rivestiva un’importanza fondamentale per la stessa vita e la sopravvivenza del gruppo etnico italiano in quanto tale. Era fuori di dubbio che una tale situazione insoddisfacente provocasse un senso di disagio tra gli appartenenti al gruppo etnico, ostacolasse il libero sviluppo della sua cultura e della sua lingua, per cui si rendeva necessario adottare delle norme di legge e d’altro genere per eliminare questi fattori e per evitare che il gruppo etnico italiano fosse di fatto trattato diversamente dal resto della popolazione residente sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Concludendo, i membri della delegazione italiana dichiararono di non volersi soffermare su altre questioni marginali, ed espressero la propria preoccupazione poiché questo stato di cose si riflettva sull’intero gruppo etnico italiano. La delegazione jugoslava, prima di elencare ancora una volta i mezzi assicurati per la Comunità Italiana, tutte le pubblicazioni stampate e quelle importate dall’Italia, seguendo più o meno la falsariga degli interventi e dei contenuti illustrati già nel corso delle sessioni precedenti, si soffermò soprattutto sulla questione riguardante l’istituzione del Consiglio dei Comuni Costieri che comprendeva i comuni di Capodistria, Isola e Pirano. La sua costituzione - dissero - non modificava in alcun modo i confini delle unità territoriali fondamentali e, soprattutto, non intendeva assolutamente modi-

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ficare la composizione etnica di questo territorio. Si trattava di un’unione di singoli servizi per il conseguimento di una gestione più efficiente e razionale; un organismo volto in particolare all’unione dei mezzi destinati a grandi progetti comuni come la nuova strada costiera, l’ospedale, le scuole, ecc. Una simile forma di gestione in comune era in corso già da alcuni anni ed aveva raggiunto un risultato che aveva visto aumentare il prodotto nazionale procapite di questo territorio dai 4.500 ND del 1963 ai 12.800 del 1969. Con l’istituzione del Consiglio costiero, quindi, la collaborazione tra i Comuni di Capodistria, Isola e Pirano abeba avuto soltanto una conferma anche di natura formale e giuridica. Nel consiglio erano rappresentati anche gli appartenenti al gruppo etnico italiano dei tre Comuni. Un simile organismo di coordinamento era da più anni in funzione anche nel buiese. Infine, conclusero affermando che le norme di legge e statutarie assicuravano al gruppo etnico italiano tutti i diritti previsti dallo Statuto Speciale, per cui, i membri della delegazione jugoslava non ritenevano non esistesse alcun motivo di preoccupazione per la posizione in cui si trovava il gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Per sottolineare quanto affermato più sopra, la delegazione jugoslava, al punto successivo del verbale, elencò punto per punto, nel dettaglio, tutte le misure che erano stato adottate in favore della minoranza italiana nel periodo tra la XVI e la XVII sessione del Comitato Misto. Elenco che - da entrambe le parti - risultava essere praticamente ripetitivo di quello esposto nella sessione precedente e che tralasciamo in quanto non apportano nulla di specifico nella posizione delle due minoranze nazionali. Per motivi di documentazione, riportiamo soltanto l’elenco dei libri di testo per le scuole italiane che l’EDIT di Fiume aveva pubblicato nel corso del 1970 e che nel verbale viene riportato testualmente in lingua italiana: Per le scuole elementari: - LA NOSTRA LINGUA, Primi elementi di grammatica; - CALCOLIAMO E MISURIAMO, per la II classe; - LEGGO E COMPRENDO, Materiale programmato per le prime classi; - LA MIA PATRIA, per la IV classe; - TRE STRADE PER ARRIVARE A SCUOLA, Educazione al traffico, I classe; - DA PEDONE AD AUTOMOBILISTA, Educazione al traffico per la IV classe; - IL MIO PRIMO ATLANTE, per la III, IV e V classe;

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Per le scuole medie; - SCIENZA DELL’EVOLUZIONE, ad uso della III e IV classe; - BOTANICA, per il ginnasio; - LE REGIONI GEOGRAFICHE DEL MONDO, per la II classe; Quaderni di lavoro: - PROVE DI CONTROLLO delle lezioni di lingua italiana per l’VIII classe; - LA STRUTTURA DELLA NATURA, Quaderno attivo per la VII classe; - LA VITA DELLA NATURA, Quaderno attivo per la VI classe; - L’UOMO E LA SUA SALUTE, Quaderno attivo per l’VIII classe; - IL MIO PICCOLO MONDO, Quaderno attivo per la II classe; In preparazione si trovavano altri 6 quaderni di lavoro per le scuole elementari, e 5 libri di testo per mle scuole medie. Pubblicato, inoltre, anche il secondo numero della rivista pedagogica “Scuola Nostra”. Solo alla fine delle reciproche presentazioni, la delegazione italiana, richiamandosi a quanto già esposto nelle sessioni precedenti, ribadì la propria insoddisfazione per la situazione in cui si trovavano ancora le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, in particolare per quanto riguardava gli insegnanti. Così, sulla base dei dati di cui essi disponevano, addirittura 24 insegnanti non erano di madrelingua italiana, e i loro posti di lavoro non erano stati messi in bando di concorso pubblico, in base al quale sarebbe stato possibile arrivare ad una loro sostituzione, magari temporanea, con appartenenti al gruppo etnico italiano. Una condizione che non è stata prevista nemmeno nel bando di concorso per la nomina del preside, come è stato constatato per la nomina di uno Sloveno a direttore della Scuola economica di Isola, e di un Croato, che tra l’altro insegna anche la lingua italiana, alla scuola media di Buie. Lo stesso si poteva dire anche per i segretari e per gli altri inservienti che non erano Italiani nelle scuole di Capodistria, Isola e Umago. Inoltre, insegnanti delle quattro classi superiori delle scuole ottennali e delle scuole medie superiori non disponevano delle qualifiche previste, e un notevole numero di insegnanti stava ancora studiando presso l’Accademia pedagogica di Pola, il che significava che non disponevano del diploma prescritto. Proseguendo, la delegazione italiana fece presente il forte disagio che si notava tra gli insegnanti causato dal trattamento , disagio che era aumen-

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tato dalla ricerca di un alloggio nella località dove lavorano. Elemento che certamente non influiva favorevolmente sul loro atteggiamento nei confronti dell’insegnamento nelle scuole italiane. Ripeterono ancora, nella lunga lista di richieste, il problema riguardante il numero insufficiente degli asili infantili, dei libri di testo e delle aule che mancavano, dello stato in cui si trovavano gli edifici scolastici, dei pochi mezzi a disposizione per le attività culturali dei Circoli, delle biblioteche scolastiche, della necessità di far intervenire insegnanti provenienti dall’Italia. Anche le risposte che vennero portate in campo dalla delegazione jugoslava erano praticamente le stesse che erano state già illustrate nel corso delle sedute precedenti. Nessuna novità particolare nemmeno nel dibattito sulla relazione degli esperti che elencarono ancora una volta i capitoli che, come si rilevò alla fine, erano stati tutti portati a termine come da accordi precedenti tra le parti, tra cui i seminari di cultura italiana, gli scambi culturali e le gite scolastiche Al punto dell’ordine del giorno dedicato alle domande ed ai ricorsi di singoli ed istituzioni, però, il Comitato Misto prese in esame per la prima volta anche una petizione inviata da un appartenente alla Comunità Italiana. Leo Ughetti, insegnante presso la scuola italiana di Sicciole aveva inoltrato in data 27 luglio 1969 una petizione nella quale faceva ricorso per non aver vinto il concorso per il posto di direttore della scuola elementare di Sicciole. La parte jugoslava dichiarò che Ughetti nella sua petizione faceva riferimento alla delibera di un organo d’autogestione che in merito non era stato ancora ufficialmente informato. Inoltre, come spiegarono i membri jugoslavi, con il suo ricorso non aveva ancora concluso tutte le possibilità previste dalle norme vigenti, per cui non aveva ancora acquisito il diritto, in base all’art. 5 del Regolamento, di fare ricorso al Comitato Misto. Solo ad informandum, la delegazione jugoslava affermò che il concorso per il posto di direttore della scuola elementare di Sicciole era stato portato a termine seguendo la normativa vigente e che era stata scelta un’insegnante che corrispondeva in tutto alle condizioni del concorso dal punto di vista della professionalità e della madrelingua, per cui non c’è stata alcuna trasgressione dello Statuto Speciale. La parte italiana intervenne ribadendo che all’insegnante Ughetti erano state inviate due risposte, entrambe da parte dell’Assemblea Comunale di Pirano. Una prima datata 29.8.1969, con la quale gli veniva comunica-

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to che la sua domanda era stata respinta in quanto al posto di direttore era stata nominata la prof.ssa Evelina Prodan. Con la seconda risposta del 16.10.1969 gli veniva comunicato che l’Assemblea Comunale non è competente per deliberare sul suo ricorso. Nella sua replica, l’interessato sostenne che nonostante egli fosse munito di qualifiche superiori, è stata scelta l’insegnante Prodan Evelina la quale, tra l’altro, poteva venir considerata di nazionalità slovena, come era attestato dalla sua vecchia carta d’identità. L’interessato aggiunse ancora che per simili comportamenti, anche altri insegnanti di nazionalità italiana avevano abbandonato la scuola, provocando un grande danno per queste scuole. In seguito a queste motvazioni, la parte italiana volle insistere affinché il ricorso venisse preso in esame Il dibattito si concluse prendendo atto, alla fine, che in merito al problema non era stato raggiunto il consenso delle parti.

Note: (1) Anche se i rapporti tra Italia e Jugoslavia negli ultimi anni andavano rapidamente migliorando in tutti i settori, un ostacolo ancora non definitivamente chiaro era rappresentato proprio dalle reciproche recriminazioni riguardanti le rispettive minoranze nazionali. Per quanto riguarda la collaborazione anche nel piccolo traffico di frontiera, come annota Francesca Rolandi nella ricerca intitolata “Il confine italo-jugoslavo (1955-1965)” (Gruppo Editoriale Bonanno - Acireale-Roma - 2014), Se nel primo decennio post-bellico il confine era stato scarsamente attraversato, dalla metà degli anni Cinquanta gli abitanti delle zone confinarie acquistarono una libertà di movimento fino a poco prima inimmaginabile. Le possibilità di viaggiare in Italia aumentarono anche per gli abitanti delle altre zone della Federazione jugoslava, inizialmente grazie a escursioni organizzate i cui partecipanti venivano forniti di un visto collettivo. Dall’inizio degli anni Sessanta furono sempre più numerosi i cittadini jugoslavi che ottennero un passaporto individuale e l’aumento della mobilità fu esponenziale: se, nel 1960, in 191.000 varcarono il confine, già nel 1968 erano 8.107.000, tre quarti dei quali diretti in Italia. La pratica dell’attraversamento del confine divenne sempre più un’iniziativa dei singoli che il frutto di escursioni organizzate, in particolare dalla seconda metà degli anni Sessanta, quando la motorizzazione in Jugoslavia raggiunse numeri significativi. Una situazione di libertà vigilata, frutto dell’Accordo sul piccolo traffico di frontiera, siglato tra i due Paesi confinanti, che - come racconta ancora la Rolandi “ oltre a un innegabile vantaggio economico, presentava anche dei rischi ben presenti alla leadership jugoslava. Il viaggio a Trieste diventava spesso occasione per fare acquisti per le proprie necessità, quelle della propria famiglia e anche quelle del vicinato. Da qui al passaggio a una forma di contrabbando spicciolo, che permetteva di arrotondare le magre entrate mensili, il passo era in alcuni casi breve. Molto spesso le persone che contrabbandavano in patria gli articoli acquistati in Italia erano estranee al mondo criminale, ma piuttosto erano parte di quella fascia di economia grigia, così tipica delle società socialiste, dove relazioni economiche formali e informali si confondono. Fin dai primi mesi il contrabbando si rivelò un’attività fiorente per gli abitanti della zona confinaria e si registrano ripetuti casi di sequestro dei permessi frontalieri in caso di infrazione. Che il

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piccolo commercio e il contrabbando siano la realtà costitutiva di molti confini e che, in special modo quando dai due lati della frontiera si registrano forti squilibri economici, il confine venga a rappresentare una risorsa economica nelle zone adiacenti, è stato messo in luce da numerosi recenti studi. Proprio avendo presente questa nuova dimensione che apriva nuove possibilità di scambi di merci e di persone, l’atmosfera di severa intransigenza che si era venuta a creare da entrambe le parti durante le trattative connesse al Comitato Misto,, non poteva non essere vista con preoccupazione dai due governi. In questo senso va intesa anche l’intervista che durante la XVI sessione del Comitato Misto venne rilasciata al corrispondente del quotidiano sloveno di Trieste “Primorski Dnevnik” dal presidente della delegazione jugoslava, dr. Zvonimir Perišić, il quale dichiarò apertamente che i risultati del Comitato Misto non corrispondevano all’atmosfera cordiale e positiva esistente fra i due Paesi in tutti gli altri settori. Il Comitato Misto - affermò - ha affrontato questioni molto delicate, soprattutto nella fase iniziale quando l’atmosfera era alquanto tesa, spesso anche creata da gruppi che non vedevano di buon occhio il miglioramento dei rapporti tra Italia e Jugoslavia. In secondo luogo, i due Paesi erano costretti ad affrontare le conseguenze molto serie del periodo postbellico che ostacolavano anche i rapporti di buon vicinato, per cui era necessario, innanzitutto, creare anche nel Comitato Misto, un’atmosfera di rispetto, di fidcia e di reciproca collaborazione. Alla fine dell’intervista Perišić ammise che sarebbe certamente immodesto affermare che il lavoro svolto dal Comitato Misto abbia incontrato i favori dei due gruppi etnici. Sono comprensibili, pertanto, le reazioni negative e le critiche, che sono venute soprattutto da parte della minoranza slovena di Trieste, in quanto ritiene che i risultati e le conclusioni del Comitato Misto sono molto al di sotto del livello conseguito dai due Paesi in tutti gli altri settori della collaborazione.reciproca. È chiaro, che le affermazioni di Perišić sull’insoddisfazione dei gruppi etnici in merito al lavoro del Comitato Misto non si riferiva alla Comunità Italiana dell’Istria, visto che il regime vigente mal avrebbe sopportato una qualsiasi parere negativo espresso pubblicamente. È certo, però, che ormai entrambe le parti si rendevano conto che il dibattito interno, nonostante l’ostentata atmosfera di cordialità, non offriva più sbocchi ad una qualsiasi soluzione dei problemi che presentavano ormai a ripetizione sia l’una che l’altra parte, Anzi, è probabile che, coscienti ormai del blocco delle iniziative, i due governi stessero già cercando una forma accettabile anche a livello diplomatico per uscire dall’empasse in cui era finito il Comitato Misto. Evidentemente, la situazione, come abbiamo già avuto modo di dire, aveva subìto un’importante modifica qualitativa nel rapporto tra le due delegazioni, quando venne introdotta la presenza dei consiglieri pedagogici, in particolare di quello italiano per le scuole con lingua d’insegnamento italiana, che poteva seguire la situazione “in loco”, direttamente a contatto con le persone e con le istituzioni della minoranza italiana. Da qui, anche il monito e gli avvertimenti lanciati del Comitato Misto, che invitavano i consiglieri pedagogici a non trattare argomenti che non erano di loro competenza. (2) Le relazioni dei due profili del Comitato Misto, da una parte quello degli esperti, e dall’altra le relazioni dei consiglieri pedagogici, rapprentavano il filo conduttore della maggioranza degli interventi promossi dalle due delegazioni alle sessioni del Comitato Misto. Per quanto riguardava la posizione ed i problemi della Comunità Italiana in Istria, tra cui in particolare le modifiche delle circoscrizioni amministrative del territorio, si erano trasformate soltanto in un elenco di proteste che non avevano ricevuto mai risposta, nè, era evidente, mai l’avrebbero ricevuta da paerte jugoslava.

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Capitolo XVIII Tante le proposte senza risposta Verbale della XVIII.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Roma, dal 19 al 26 ottobre 1971. (1)

Dopo aver ripetuto tutte le osservazioni che, secondo il parere della delegazione italiana, avrebbero dovuto diventare materia di uno sforzo per migliorare la posizione della Comunità italiana, dai finanziamenti, ai libri di testo, alla necessità di aprire nuovi asili e nuove scuole, anche le risposte della parte jugoslava non fecero che ripercorrere per l’ennesima volta la strada non tanto delle smentite, quanto piuttosto del sostenere ancora una volta che dal punto di vista giuridico e da quello materiale la comunità italiana disponeva delle stesse opportunità del resto della popolazione e che le nuove misure proposte sotto forma di emendamenti alla Costituzione federale ed a quelle repubblicane i diritti minoritari venivano ulteriormente ampliati e rafforzati. Anche per il resto della seduta, le due delegazioni non fecero che ripercorrere la traccia già usata nelle ultime sessioni precedenti, nè a ravvivarlo contribuirono le relazioni dei consiglieri scolastici o la consueta informazione riguardante la realizzazione del programma dei relativi scambi culturali a favore dei due gruppi etnici, dove, ciascuno per la propria parte, elencava i mezzi finanziari che avevano messo a disposizione per le attività concordate. Merita comunque, anche ai fini di una documentazione di quel periodo, elencare quanto ribadito dalla componente jugoslava: - Il Sabor della RS di Croazia aveva approvato la Legge sull’istruzione media superiore (Bollettino Ufficiale No. 30 del 26.7.1971) dove, all’art. 11 si stabiliva che nelle scuole dei gruppi etnici l’insegnamento doveva venir svolto nella rispettiva lingua materna. - La costruzione dell’edificio della Scuola media generale con lingua d’insegnamento italiana di Buie si trovava nella sua fase finale. Per l’edificio e per l’arredo erano stati assicurati 6 milioni di dinari. - Era terminata la costruzione della palestra per l’educazione fisica del Centro scolastico italiano di Capodistria, ed erano iniziati i lavori per l’am238


modernamento dell’edificio scolastico. - Sono stati assicurati i mezzi per la costruzione di nuovi e l’ampliamento degli spazi scolastici presso la Scuola elementare di Sicciole. - Nella Scuola elementare di Umago è stato introdotto il riscaldamento centralizzato. - Con l’anno scolastico 1971/72 era iniziato l’insegnamento nella II.a sezione della Scuola media generale italiana di Buie. Risultavano iscritti 31 allievi, per cui la scuola ora poteva contare complessivamente di 60 allievi. Per l’insegnamento erano impiegati tre professori fissi e un numero consistente di professori e insegnanti con contratto a onorario. - Continuava il trasporto degli alunni del Buiese alle scuole di II grado di Isola e Pirano. Queste scuole erano frequentate da 24 allievi. Per queste finalità la RS di Croazia aveva assicurato i mezzi necessari, il che significava che per questi studenti era stato adottato un trattamento particolare. - Nelle scuole medie con lingua d’insegnamento italiana sul territorio dei Comuni di Capodistria, Isola e Pirano, nell’anno scolastico 1971/72 erano iscritti complessivamente 170 studenti (compresi anche 24 studenti provenienti dal buiese). - Nelle scuole elementari del territorio del buiese, nell’anno scolastico 1971/72 erano iscritti 325 alunni, mentre 52 bambini frequentavano gli asili d’infanzia. Durante quest’anno scolastico è stata aperta una nuova sezione anche a Momiano, cosicché sul territorio dei Comuni di Buie, Umago e Cittanova da quest’anno non vi sono più sezioni combinate nelle classi superiori delle scuole elementari. - Durante l’anno scolastico 1971/72 nelle scuole elementari con lingua d’insegnamento italiana nei Comuni di Capodistria, Isola e Pirano risultavano iscritti 421 allievi, mentre gli asili infantili erano frequentati da 56 bambini. -Sul territorio del buiese nelle scuole elementari erano impiegati 50 insegnanti, con un aumento di due insegnanti rispetto all’anno precedente, mentre negli asili erano impiegate 6 istitutrici. -Invariato, invece, il numero degli insegnanti impiegati nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana nei Comuni di Capodistria, Isola e Pirano. - Nel corso del 1971 presso l’Accademia Pedagogica di Pola hanno conseguito il diploma tre insegnanti (2 di Buie e 1 di Umago). Un numero maggiore di insegnanti del buiese e della costa slovena si è iscritto ai corsi dell’Accademia Pedagogica di Pola. Per questi insegnanti sono stati assicurati i mezzi a copertura delle spese di frequentazione e degli esami ed è stata assicurata pure una adeguata sostituzione durante la loro assenza dai rispettivi istituti. - Alla professionalità degli insegnanti hanno contribuito anche i vari

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seminari che nel corso del 1971 si sono svolti in Jugoslavia o in Italia. Ai seminati di Capodistria hanno partecipato tutti gli insegnanti. - Durante l’anno in corso frequentano corsi di studio a Firenze 6 insegnanti. - Sul territorio sotto amministrazione jugoslava la situazione finanziaria delle scuole è migliorata; nel corso del 1971 nell’area del buiese i redditi individuali del settore scolastico rispetto all’anno precedente sono aumentati del 17%. Per il finanziamento delle scuole elementari con lingua d’insegnamento italiana e degli asili infantili i Comuni di Buie, Umago e Cittanova hanno assicurato complessivamente 3.136.485 dinari. Importi maggiori per le scuole e gli asili con lingua d’insegnamento italiana sono stati assicurati anche nei Comuni di Capodistria, Isola e Pirano. - Il Fondo crediti per studenti e allievi della RS di Croazia ha approvato 5 crediti agli allievi del buiese che stanno frequentando le scuole medie con lingua d’insegnamento italiana. Nei Comuni di Capodistria, Isola e Pirano sono state assegnate 12 borse di studio agli studenti che frequentano la scuola media italiana e 2 borse di studio a studenti universitari. - La stazione radiofonica di Capodistria continua con la trasmissione di programmi destinati alle scuole e agli asili con lingua d’insegnamento italiana. - nel 1971 sono stati assicurati mezzi considerevoli per la soluzione della questione alloggi degli operatori scolastici. A Buie sono in costruzione 5 alloggi per gli insegnanti della scuola media e di quella elementare, mentre nel Comune di Umago per ora non sono stati registrati problemi di questo genere. - La casa editrice “EDIT” di Fiume dal 1 ottobre 1970 ad oggi ha pubblicato i seguenti libri di testo e didattici per le scuole di I e II livello con lingua d’insegnamento italiana: Libri di testo per la scuola elementare: - SI VA ALLA FIERA, educazione alla sicurezza stradale per la III classe; - UČIMO SRPSKOHRVATSKI, per la III classe; - CALCOLIAMO E MISURIAMO 3, matematica per la III classe; - L’ABITAZIONE, economia domestica per la IV classe; - CANTATE CON NOI, educazione musicale per la IV classe; - MONDO GAIO, letture per la II classe; - PASSATO E PRESENTE (II edizione), storia per la VII classe; - LA MIA CASA, libro attivo di conoscenza della natura e della società per la I classe.

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Libri di testo per il Ginnasio: - CHIMICA GENERALE E INORGANICA, per il ginnasio; - RACCOLTA DI PROBLEMI DI FISICA, per la I - IV classe; - L’UNITÀ DEL MONDO, l’interdipendenza economico-goìeografica del mondo contemporaneo, per la IV classe; - PSICOLOGIA, per la III classe; Inoltre sono stati pubblicati 7 quaderni di lavoro e 7 test per la verifica del sapere per la scuola elementare. In preparazione si trovano 14 libri di testo per la scuola elementare e 6 per il ginnasio, più una decina di test per la verifica del sapere in geografia e storia nelle VI, VII e VIII classi delle scuole elementari. I mezzi finanziari per i libri di testo e didattici sono stati assicurati dalle repubbliche di Slovenia e Croazia. (2) A questo punto riteniamo superfluo riportare le risposte della delegazione jugoslava alle osservazioni della parte italiana che in pratica non aggiunge niente a quanto già detto nelle sessioni precedenti, usando sempre la stessa formula del non smentire, ma di sfruttare l’occasione per dimostrare in positivo quanto fatto dalla Jugoslavia. L’unica richiesta che è stata chiaramente respinta, quella riguardante la proposta di accogliere nelle scuole italiane insegnanti provenienti dall’Italia. Dopo aver ribadito che nelle scuole italiane l’insegnamento si svolgeva in base al programma previsto, la delegazione jugoslava dichiarò che la proposta di accettare insegnanti provenienti dall’Italia per migliorare la qualità dell’insegnamento non era accettabile finché le due parti non avrebbero approvato un accordo sul reciproco riconoscimento dei diplomi conseguiti in Jugoslavia e in Italia. Tra le altre novità, da notare che il Comitato prese atto del cambio già concordato dei rispettivi consiglieri pedagogici. Per le scuole italiane dell’ex Zona B era già subentrato il prof. Ermano Visintin, mentre per le scuole slovene di Trieste il nuovo incaricato era il prof. Janez Sivec. Anche il programma degli scambi culturali a favore dei due gruppi etnici era stato realizzato regolarmente. Una nota riguardava lo svolgimento del seminario invernale di Capodistria che, per motivi tecnici, si era tenuto dall’1 al 6 febbraio 1971 a Isola.

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Note: (1) L’ordine del giorno, ormai, è diventato ripetitivo e si limita all’esame di quanto fatto e quanto da fare per l’attuazione dello Statuto Speciale, alla situazione delle scuole ed ai programmi degli scambi culturali a favore delle due comunità minoritarie. Anche se le due parti si sentono impegnate nel descrivere il grosso lavoro svolto dal punto di vista legislativo, questo tuttavia non va oltre ad una generale sistemazione giuridica di quanto già approvato e introdotto o in via di introduzione nella prassi minoritaria. Manca, invece, una reale volontà di assicurare ai due gruppi etnici le stesse opportunità e le stesse possibilità di vita e di sviluppo democratico in base allo Statuto Speciale e in base alla Carta dei diritti umani dell’ONU, che le parti si erano impegnate a rispettare in partenza, Mentre la collaborazione tra i due Paesi aveva ricevuto un’importante svolta nei traffici delle persone, delle merci e commerciali negli ultimi tre-quattro anni, era evidente, che proprio il Comitato Misto, arroccato su posizioni di difensiva verso le rispettive minoranze, stava diventando un ostacolo allo sviluppo della collaborazione reciproca negli altri settori di importanza ben più consistente sia per Italia che per la Jugoslavia. È certo, ormai, che entrambe le diplomazie erano impegnate nella ricerca di una soluzione che riducesse l’impatto negativo che, sessione per sessione, veniva prodotto proprio dal Comitato Misto, in contrasto addirittura con la sua funzione originaria. Infatti un miglioramento reciproco delle due minoranze nazionali nel contesto sociale, politico, culturale ed economico dei relativi Paesi avrebbe potuto contribuire anche a far progredire ulteriormente il clima di fiducia e di comprensione negli altri settori della collaborazione. E, bisogna ammetterlo, era soprattutto il gruppo etnico jugoslavo sul territorio sotto amministrazione italiana - come veniva allora definita la minoranza slovena di Trieste nei verbali del Comitato Misto - che esprimeva apertamente il proprio disappunto per i mancati progressi della propria posizione e situazione. Fattore, questo che era comprensibile se osservato dal contesto sociale e politico nel quale vivevano gli Sloveni d’oltre confine, un contesto che godeva di una relativa libertà d’espressione, anche sui mezzi d’informazione, e, come già sottolineato in altre occasioni, permetteva ai vertici della minoranza di contattare liberamente i vertici della matrice nazionale, premendo per la soluzione di quei problemi che risultavano essere d’importanza strategica. E impegnando la delegazione jugoslava a intervenire adeguatamente durante le sessioni ordinarie, pur se con qualche elemento di riservatezza, tenendo conto dell’atmosfera non sempre gioviale e amica dell’opinione pubblica triestina. In particolare dopo le manifestazioni degli anni Sessanta contro l’introduzione del bilinguismo. Che si trattasse di un diverso atteggiamento strategico dei due Paesi nei confronti delle rispettive minoranze rimaste nello Stato confinante, era evidente già durante tutto il periodo in cui operarono le Zone A e B del Territorio Libero di Trieste 1947 - 1954. Per la Jugoslavia, la Zona B sotto amministrazione dell’Armata Popolare jugoslava, veniva già ritenuta a tutti gli effetti “territorio a piena sovranità jugoslava”, per cui andava salvaguardata e difesa ad oltranza la presenza e la permanenza della comunità nazionale slovena a Trieste e in tutto il territorio italiano della Venezia Giulia. Per l’Italia era evidente che il passaggio della Zona B alla Jugoslavia veniva considerato provvisorio e temporaneo, pur ritenendo la Zona A “sotto piena sovranità italiana”. Su quali basi concrete poggiasse questa paventata provvisorietà che si identificava nella formula “territorio sotto amministrazione dell’uno o dell’altro”, non è di semplice spiegazione: in particolare dopo aver sottoscritto con il Memorandum di Londra, che il “territorio sotto amministrazione jugoslava” sarebbe stato completamente svuotato dalla componente italiana dopo l’esodo 1955-1956. Sapendo bene che, come dicevano i Romani: “Cuius regio, eius religio”! L’Italia, dal momento in cui ebbe coscienza che, approvando il Memorandum di Londra nessuna garanzia di diritti umani e civili sottoforma di allegato Statuto Speciale, avrebbe convinto la componente italiana a non andarsene e sottostare ad un regime totalitario che aveva già dimostrato le proprie

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caratteristiche attraverso il Potere popolare coadiuvato dall’amministrazione militare jugoslava. E non poteva non sapere, che una volta esodata la popolazione italiana nessuna forza internazionale e nessuna diplomazia avrebbe mai concesso il ripristino di una situazione ormai cancellata definitivamente. E poi, a che titolo l’Italia avrebbe potuto chiedere il ritorno di un territorio dopo che questo nel frattempo era stato completamente insediato da nuovi “cittadini” fedeli alla nuova realtà statuale? Una prospettiva per lo meno ingenua! Per la Jugoslavia, invece, la presenza di una comunità slovena a Trieste, fortemente legata alla matrice nazionale dal punto di vista ideale, culturale ed economico, significava avere un piede ben ancorato nel Paese vicino. Per cui la Jugoslavia non solo non appoggiò eventuali tendenze (se ci fossero state!) della popolazione slovena di Trieste ad usufruire della possibilità di optare e andarsene, ma al contrario, usò tutte le sue forze per aumentare e consolidare la presenza di una forte minoranza autoctona slovena sul territorio. In un articolo, pubblicato sul quotidiano di Trieste “Il Piccolo”, lo storico Diego De Castro, commentò: “Nel gennaio 1954, per pura coincidenza, il Segretario generale del Ministero degli esteri ed il diplomatico americano Holmes ebbero la stessa idea: dapprima un negoziato jugoangloamericano per capire quali fossero le vere aspirazioni jugoslave, poi un negoziato Italoangloamericano per vedere se l’Italia potesse accettare la soluzione. Del primo negoziato l’Italia fu tenuta completamente allo oscuro e così, il 31 maggio1954, si vide presentare un accordo già bello e pronto, da accettare o rifiutare. L’abilità del nostro ambasciatore a Londra, Manlio Brosio, riuscì ad ottenere qualche modifica. Ma restava il problema della provvisorietà della decisione che la Jugoslavia voleva definitiva. E qui avvenne l’inganno perpetrato verso istriani, triestini e italiani. Nel testo inglese si usarono parole che noi traducemmo in «linea di demarcazione» e la Jugoslavia in «granica», che vuol dire confine. Perciò, per noi, la soluzione era provvisoria e per la Jugoslavia era definitiva. Il Parlamento jugoslavo ratificò regolarmente il trattato internazionale mentre si fece in modo che, in Italia, il Parlamento non ratificasse l’accordo, ma approvasse soltanto l’azione del governo. Altro equivoco sul quale si giocò era quello del mantenimento della sovranità italiana sulla Zona B. Questa era soltanto una nostra tesi contraddetta ovviamente dagli jugoslavi, ma anche dallo stesso Dipartimento di Stato americano e pure da autorevoli internazionalisti italiani. Ne risultò che, tra il 1954 e il 1975, la Zona B, per 1’Italia, era situata al di là di una linea di demarcazione e sotto nostra sovranità, per la Jugoslavia era posta al di qua di un confine di Stato e sotto la propria sovranità. Di diritto, il Memorandum del 5 ottobre 1954 era provvisorio perché parlava di cessione dell’amministrazione; di fatto era definitivo, perché, salvo prudenziale formalità i due Paesi si comportavano da Stati sovrani nelle Zone in cui avrebbero dovuto esercitare soltanto l’amministrazione. Nel 1958, ad esempio, la Zona A partecipò anche alle elezioni politiche italiane con propri candidati e non parliamo di quanto avveniva nella Zona B già da parecchio tempo prima del Memorandum londinese. L’equivoco durava da vent’anni quando, in vista della Conferenza di Helsinki che avrebbe dovuto stabilire la modificabilità dei confini soltanto per accordi tra Stati (così avvenne per la riunione della Germania dell’Est con quella dell’Ovest), bisognò decidersi a riconoscere che la linea di demarcazione era, in realtà un confine di Stato e che, quindi, la nostra possibilità di raccontare agli italiani. che mantenevamo la sovranità sulla Zona B doveva finire. Da questa necessità derivò il trattato di Osimo. Se si fosse limitato a dire che la linea di demarcazione veniva riconosciuta, dal nostro Paese, come un confine non vi sarebbe stato nulla da ridire: era fatale che un giorno o l’altro, ciò dovesse succedere e le bugie avevano avuto le gambe ben lunghe. Ma il Trattato di Osimo male impostato perché i negoziati furono condotti non da esperti diplomatici del Ministero degli esteri, ai quali fu permesso di intervenire soltanto in extremis, ma da un funzionario di un altro Ministero. Il Trattato in questione può essere considerato da vari punti di vista. Tre furono i suoi errori fondamentali. Il primo é quello della creazione di una Zona franca di confine italo-iugoslavo sul Carso. A parte il ben poco senso ch’essa aveva nel campo economico, il suo scopo politico era troppo evidente e, del resto, mai nascosto dalla Jugoslavia: creare una Nova

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Trst vicino a Trieste, come era stata creata una Nova Gorica vicino a Gorizia. Il secondo errore riguardava lo Statuto delle minoranze, che faceva parte del Memorandum di Londra. (Ricordiamo ancora una volta che con l’art. 8 dello Statuto Speciale veniva cancellato e la minoranza italiana abbandonata a sè stessa).” Comprensibile, pertanto, che le finalità del Comitato Misto, che era comunque soltanto un organo consultivo dei due governi e rigorosamente legato alle clausole dello Statuto Speciale, non potesse trovare piena applicazione in una situazione così fluida e complessa. tenendo conto, in particolare della posizione della comunità minoritaria italiana dopo che questa si era vista svuotata dalla normale consistenza numerica di una popolazione che, nei decenni precedenti, aveva perso tutta la sua potenzialità intellettuale e, pure, tutte le risorse materiali ed economiche. Era logico attendersi, del resto, che nel breve periodo di qualche anno, gli interessi dei due Paesi, in particolare dell’Italia, per quanto riguarda la tutela delle rispettive minoranze nazionali, avessero perso parte del terreno che sarebbe stato possibile far fruttare diplomaticamente in maniera più cospicua e vantaggiosa rispetto agli altri settori della collaborazione reciproca. In questa luce va vista anche la grande euforia con cui la parte jugoslava aveva iniziato la sua esposizione all’inizio della XVIII sessione, annunciando le grandi conquiste conseguite in campo minoritario dalla proposta degli emendamenti alla Costituzione della RFSJ ma che, ricordiamo, vennero approvati dal Parlamento Federale nel 1975, Novità, che non vennero interpretate dalla controparte italiana come una reale prospettiva di miglioramento e di consolidamento della posizione del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Prospettiva, naturalmente, che non poteva sganciarsi dall’opinione generalmente negativa di proposte che derivavano da una classe politica fortemente legata al potere centrale di una dittatura che aveva abolito il diritto della proprietà privata e menomato buona parte delle libertà individuali. Nè convinsero la controparte le affermazioni secondo cui gli appartenenti al gruppo etnico italiano potevano liberamente usare la propria lingua durante i lavori delle assemblee, delle commissioni e degli altri organi di lavoro comunali, dell’amministrazione e degli organi giudiziari. Come dimostrazione vennero presentati gli Statuti Comunali e gli altri atti normativi degli organi amministrativi e giudiziari che, secondo la parte jugoslava, testimoniavano l’applicazione pratica dell’uso paritario della lingua italiana. Proprio in quegli anni, alla Comunità Italiana in Slovenia veniva offerta la possibilità di essere presente direttamente in alcuni settori della vita pubblica, dalla gestione della Comunità locale, alla cultura, attraverso le Comunità d’Interesse autogestite, che assicuravano alla componente italiana il diritto di entrar a far parte di organismi che partecipavano al dibattito pubblico su tutte le questioni riguardanti la posizione della Comunità italiana. In risposta a queste novità, la delegazione italiana non mancò ancora una volta di accennare, come già nelle sessioni precedenti, ad alcune misure che a suo parere ostacolavano un libero sviluppo del gruppo etnico italiano. Fece presente ancora una volta che l’abolizione di alcuni comuni, la modifica delle circoscrizioni amministrative di altri comuni, e l’abolizione dei Distretti, assieme alle più recenti concentrazioni di determinate competenze comunali che avevano provocato un’ulteriore riduzione della rappresentatività del gruppo etnico italiano sul territori (2) Nel valutare la situazione scolastica del gruppo etnico italiano, la componente italiana del Comitato Misto, richiamandosi a interventi precedenti, si dichiarò preoccupata innanzitutto per la situazione presente nel settore del personale insegnante delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Nonostante le clausole dell’art. 4/c dello Statuto Speciale, sono ancora sempre presente in gran numero

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gli insegnanti che non sono di madrelingua italiana; in alcuni casi si tratta di persone che addirittura conoscono male l’italiano, tra questi alcuni che insegnano la lingua italiana, o altri che addirittura nemmeno conoscono la lingua italiana. I posti di lavoro sui quali vengono assunti questi insegnanti non sono in base a un bando di concorso pubblico, per cui nemmeno si tenta di assumere persone con le qualifiche più appropriate. Alcuni concorsi, come è il caso della Scuola media generale di Buie e della Scuola professionale di Isola, nemmeno viene richiesta l’appartenenza obbligatoria alla nazionalità italiana. Oltre a tutti gli insegnanti che insegnano la lingua slovena o croata, al gruppo etnico italiano non appartengono nemmeno 18 insegnanti delle quattro classi superiori delle scuole ottennali, 30 dei 51 insegnanti delle scuole medie e 3 dei cinque presidi di scuola. A queste mancanze molto serie va aggiunto anche il fatto che molti insegnanti non sono muniti dei diplomi professionali prescritti. negli asili infantili soltanto una istitutrice su otto è provvista di adeguato attestato, molti insegnanti delle prime quattro classi delle scuole elementari dispongono soltanto dell’attestato di aver portato a termine il ginnasio e che, quindi, non dispongono di alcuna preparazione pedagogico-didattica. Dal punto di vista delle qualifiche professionali migliore la situazione delle scuole medie, dove però la maggior parte degli insegnanti non è di madre lingua italiana. Tutto ciò ha come conseguenza una diffusa sfiducia nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, a dimostrazione del continuo calo del numero degli allievi registrato nel corso dell’anno, sia nelle scuole elementari che negli asili infantili. L’incremento registrato nelle scuole medie, invece, è il risultato soprattutto dell’apertura della nuova scuola media di Buie. Vanno tenute in debito conto, quindi, le misure molto serie che sono state adottate sotto varie forme per la seconda volta durante le iscrizioni alla Scuola economica di Isola che hanno limitato il numero degli iscritti e così reso impossibile agli allievi italiani una libera scelta della scuola. Dopo aver presentato la necessità di un ampliamento della rete scolastica, di una miglioramento nella costruzione degli edifici scolastici, di libri di testo e di libri per le biblioteche, i membri italiani presentarono le seguenti richieste: - che vengano occupati i posti di lavoro liberi o quelli che sono occupati da insegnanti che non dispongono delle previste qualifiche e che vengano messi a concorso per insegnanti di madrelingua italiana, inoltre, in quanto sul posto non vi siano persone adeguate, che i posti vengano coperti magari temporaneamente da insegnanti fatti venire dall’Italia; - che vengano adottate agevolazioni per il conseguimento dei diplomi professionali prescritti per un gran numero di insegnanti che ancor sempre non dispongono del titolo di studio necessario; - che tutto il personale non insegnante in servizio presso le scuole con lingua d’insegnamento italiana sia appartenente al gruppo etnico italiano; - che venga concessa la libera iscrizione nelle scuole medie scelte ritirando le limitazioni adottate dalla Scuola economica di Isola; - che vengano aperti nuovi asili infantili a Bertocchi (dove sembrano essere in attesa 17 bambini) e a Santa Lucia presso Pirano, nonché di nuove scuole elementari a Babici ed a Petrovia; - che vengano assegnate le aule necessarie alla Scuola economica di Isola, alle scuole di Pirano e di Sicciole e che vengano riparate le scuole a Colombano ed a Semedella; - che vengano assicurati libri di testo adeguati, compresi quelli per lo studio delle lingue straniere; - che vengano ulteriormente arricchite le biblioteche scolastiche e che venga acquistato il materiale didattico, soprattutto nelle scuole piccole.

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Capitolo XIX Il comitato misto ostaggio dei rapporti fra Italia e Jugoslavia Verbale della XIX.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Roma, dal 14 al 21 ottobre 1972

La XIX sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale allegato II del memorandum di Londra del 9 ottobre 1954, si svolse a Roma nei giorni dal 14 al 21 ottobre 1972. Essendosi riunito nella capitale italiana, secondo la prassi vigente fino ad allora, i primi a prendere la parola gli jugoslavi per illustrare quanto realizzato in favore del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava (questa la formulazione che continuava a venir usata nel parlare della Comunità italiana). Per la Comunità slovena di Trieste, invece, si continuava a definirla come gruppo etnico jugoslavo sul territorio sotto amministrazione italiana, portando in campo direttamente le definizioni presenti nello Statuto Speciale e nel Memorandum d’Intesa. I membri jugoslavi, naturalmente, si soffermarono subito sull’appena conclusa prima fase della riforma costituzionale, che, come affermarono, aveva ulteriormente contribuito al rafforzamento della posizione giuridico-costituzionale del gruppo etnico italiano nelle RS di Croazia e di Slovenia. Il IV ed il V emendamento alla Costituzione croata e gli emendamenti XXV e XLII della Costituzione slovena riguardavano direttamente la regolamentazione della posizione dei gruppi etnici. Sulla base della Costituzione, delle leggi e degli Statuti comunali, ai cittadini del gruppo etnico italiano era assicurato l’uso libero e paritario della lingua italiana sui territori dove viveva in tutti i settori della vita sociale e pubblica nell’esercizio delle funzioni e degli altri compiti volti alla realizzazione dei suoi diritti. Dopo una lunga specifica su dove e come venivano attuati concretamente i principi e le modalità sull’uso della lingua italiana e sulla rappresentanza assicurata alla componente italiana negli organi elettivi e statali, un accenno particolare venne dato al settore culturale. Il libero sviluppo degli appartenenti al gruppo etnico italiano era rappresentato dalle molteplici attività artistico-culturali svolte dalle Comunità degli Italiani che si erano particolarmente impegnate nell’allestimento di diverse rassegne 246


e festival: dalla rassegna teatrale, a quella corale e folkloristica, svoltesi a Buie, Parenzo e Dignano, nonché al festival della canzone per l’infanzia a Rovigno e Parenzo. La loro partecipazione era stata notata anche in altre manifestazioni culturali in occasione di festività statali e comunali, scolastiche, di conferenze e in altre occasioni a carattere culturale. Così, per esempio, la Comunità degli Italiani del capodistriano, accanto a molte altre attività, aveva organizzato 53 spettacoli. Per queste attività, i Circoli Italiani di Cultura di Capodistria, Isola e Pirano avevano ricevuto 264.300 dinari. Per una parte delle proprie attività i Circoli Italiani di Cultura del buiese avevano ricevuto 58.000 dinari. Secondo questi dati, anche la presenza della stampa e delle pubblicazioni italiane nelle biblioteche e nelle sale di lettura dei Circoli Italiani di cultura era soddisfacente, come pure le pubblicazioni della casa editrice “EDIT” di Fiume ed i programmi radiofonici in lingua italiana di Capodistria, Pola e Fiume. Dopo aver ascoltato quanto gli Jugoslavi dicevano di aver realizzato in favore del gruppo etnico italiano e illustrato la posizione della minoranza slovena a Trieste, la delegazione italiana si soffermò in particolare su alcuni aspetti riguardanti il gruppo etnico italiano. Nuovamente venne posta la questione delle modifiche apportate ai confini delle giurisdizioni amministrative dei Comuni e dei Distretti dal punto di vista delle conseguenze negative che queste hanno comportato per una giusta rappresentanza del gruppo etnico italiano, sottolineando, inoltre, l’insoddisfacente presenza sul territorio della stampa italiana. Ribadite pure alcune manchevolezze riscontrate durante il censimento della popolazione, visto che la maggior parte delle persone incaricate di intervistare la popolazione non conosceva la lingua italiana e apportava direttamente i dati nei formulari che, così compilati, venivano sottoposti alla firma delle persone censite. Dati scritti con la matita che, successivamente, venivano completati o corretti. Come conseguenza, quindi, succedeva che durante le trascrizione venisse indicata un’appartenenza nazionale diversa da quella dichiarata dal diretto interessato. Una conferma di questo stato di cose era possibile riscontrare negli stessi risultati del censimento che sul’area slovena del territorio sotto amministrazione jugoslava non erano stati ancora pubblicati ufficialmente, ma, da quanto era dato di sapere, le autorità locali parlavano di numeri molto inferiori rispetto a quelli pronosticati dall’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume. Anche se bisognava ammettere con rammarico che, purtroppo, ogni anno un consistente numero di persone abbandonava la propria area di residenza. Ciononostante, rimaneva il fatto che un paio di centinaia o poco più di persone emigrate non poteva giustificare un calo così forte del numero degli appartenenti al gruppo etnico italiano. Lo stesso si poteva dire per la parte croata del territorio sotto amministrazione jugoslava, dove i dati ufficiali del censimento parlavano di un numero di Italiani che rappresentava circa la metà del numero che precedentemente

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era stato annunciato dall’Unione degli Italiani. Del resto, se i dati del censimento avessero espresso l’esatta situazione del numero degli appartenenti al gruppo etnico italiano, questi avrebbero rappresentato una chiara sproporzione se paragonati al numero degli allievi che frequentavano la scuola italiana. Proseguendo il discorso, i membri della delegazione italiana spiegarono che alcuni statuti comunali non avevano tenuto conto delle richieste avanzate dal gruppo etnico italiano riguardanti l’applicazione delle clausole previste dallo Statuto Speciale, cosicché è venuta a crearsi una situazione negativa sia dal punto di vista psicologico come pure dal punto di vista di un’applicazione pratica dei principi sanciti dall’art. 5 dello Statuto Speciale. Neppure l’uso della lingua italiana con le autorità amministrative non veniva applicato pienamente sia per le insufficienze conoscitive tra coloro che parlavano la lingua italiana, ma anche perché mancavano i traduttori, per cui i Comuni di Pirano, di Buie e di Cittanova, non avevano approvato l’invio della traduzione italiana dei moduli fiscali e di altri decreti, come, del resto era successo anche per alcuni documenti dei tribunali di Capodistria, di Pirano e Buie. Lo stesso dicasi per la Casa della Sanità di Capodistria. Le stesse Capitaneria del porto, ad eccezione di quella di Umago, non ammettevano che i documenti da loro rilasciati avrebbero dovuto esser corredati anche da traduzione italiana. Nella corrispondenza con i Circoli Italiani di Cultura, le autorità locali spesso usavano soltanto la lingua slovena o croata, ma questo succedeva anche in ambito scolastico, in quanto una gran parte degli insegnanti non erano appartenenti al gruppo etnico italiano. Continuando, la delegazione italiana rilevò ancora, che gli articoli 2 e) e 2 d) dello Statuto Speciale non venivano attuati interamente, in particolare nell’ambito dei Consigli Operai e dei Consigli Scolastici. Ribadito pure che le sovvenzioni elargite per il Dramma Italiano di Fiume, per i Circoli Italiani di Cultura, e in particolare per le biblioteche, il cui funzionamento, soprattutto nell’area del buiese, non soddisfaceva gli appartenenti al gruppo etnico. Infine, rivolsero l’attenzione sul fatto che alcuni uffici postali sul territorio sotto amministrazione jugoslava, quando il nome della località veniva scritto soltanto in lingua italiana, rispedivano la posta al mittente con il timbro “n’existe plus”, Elementi, questi, come ribadito, che non potevasono non influire negativamente sul gruppo etnico italiano e, in secondo luogo, rappresentavano una violazione delle clausole presenti nello Statuto Speciale. La delegazione italiana, concludendo, dichiarò di non volersi soffermare su problemi periferici, esprimendo però la propria preoccupazione in

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quanto questi fatti avevano avuto come conseguenza il calo numerico degli appartenenti al gruppo etnico italiano. Inutile sottolineare che, in risposta, la delegazione jugoslava rigettò completamente tutte le osservazioni fatte da parte italiana. Tra l’altro, riferendosi al fatto che il numero di coloro che frequentavano la scuola italiana avrebbe dovuto far pensare ad un numero maggiore di appartenenti al gruppo etnico italiano, il che, però andava considerato tenendo conto, come ribadirono, che dei 573 allievi iscritti nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana a Isola, Capodistria e Pirano, ben 187 non erano di nazionalità italiana. Inoltre, nè nella RS di Slovenia, nè nella RS di Croazia era pervenuta alcuna denuncia da parte della popolazione! Per quanto riguardava la mancata consegna della corrispondenza nei casi quando le località di destinazione venivano scritte soltanto in Italiano, la delegazione jugoslava specificò che ciò avveniva soltanto per quella corrispondenza che riportava le scritte che si richiamavano alla “Zona B”, alla “Provincia di Trieste ed altri indirizzi non più esistenti. Al punto successivo dell’ordine del giorno, che prevedeva l’esame di questioni riguardanti il settore scolastico, la delegazione jugoslava fece subito presente che in Slovenia era stata promulgata la nuova legge (Bollettino Ufficiale RS Slovenia No. 33 del 2.7.1972) che assicurava un libero e paritario sviluppo dell’istruzione, della cultura e della lingua degli appartenenti al gruppo etnico italiano. La procedura per la nuova legge sull’istruzione dei gruppi etnici, inoltre, era stata avviata anche nella Repubblica di Croazia. All’art. 4 della menzionata legge slovena è stabilito che nei Comuni di Capodistria, Isola e Pirano operano istituti prescolari a Bertocchi, Isola, Capodistria, Pirano e Sicciole, anche se lo Statuto Speciale prevede l’esistenza di un solo asilo autonomo per l’infanzia. Sulla base di questa legge è già operante l’asilo di Bertocchi, mentre tra breve verrà inaugurato anche l’asilo di Santa Lucia nel comune di Pirano. Secondo la relazione degli jugoslavi, i quattro asili per l’infanzia di Buie, Verteneglio, Cittanova e Umago, nell’anno scolastico 1971/72 erano iscritti nelle cinque sezioni 62 bambini, il che rappresentava un aumento di dieci bambini rispetto all’anno precedente. Per l’anno scolastico 1972/73 nelle scuole elementari del buiese erano iscritti 299 alunni, mentre nelle scuole elementari del capodistriano erano iscritti 402 alunni. Grande attenzione è stata dedicata all’aggiornamento professionale degli insegnanti, ai quali sono state concesse giornate libere e riconosciute le spese per la frequentazione delle lezioni e per gli esami. Ingenti i mezzi finanziari, inoltre, per la ristrutturazione, la riparazione e per l’arredo degli edifici scolastici. Così, per la Scuola elementare di Sicciole sono stati stanziati 2,716.000 dinari, mentre altri 511.000 sono stati evoluti per la scuola di Isola. Mezzi aggiuntivi sono stati assicurati anche per l’apertura dell’asi-

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lo infantile di Bertocchi. La Croazia, invece, ha provveduto a finanziare le necessarie ristrutturazioni delle scuole di Buie, Umago e Cittanova. Sottolineato, inoltre, che al Corso di italianistica dell’Accademia pedagogica di Pola nel 1972 si sono diplomati cinque insegnanti e, sempre per migliorare la professionalità del quadro insegnanti, l’Istituto regionale per l’istruzione di Pola ha organizzato nel periodo tra le due sessioni del Comitato Misto anche tre seminari per gli insegnanti del buiese. Sempre in questo periodo, gli insegnanti dei sei comuni interessati dal Memorandum d’Intesa hanno partecipato anche a tre seminari di aggiornamento professionale in Italia. mentre il tradizionale seminario di lingua e cultura italiana di Isola è stato frequentato da tutti gli insegnanti e dagli studenti delle scuole medie nel periodo dal 31 gennaio al 5 febbraio. Durante l’autunno si sono iscritti all’Università di Firenze sei insegnanti provenienti dal territorio sotto amministrazione jugoslava. Nelle scuole medie di Capodistria, Isola e Pirano, nel corso dell’anno scolastico 1971/72, si sono iscritti 171 studenti. Nel maggio di quest’anno è stata portata a termine la costruzione dell’edificio della nuova Scuola media generale di Buie con lingua d’insegnamento italiana. Per l’edificio e per l’arredo sono stati spesi cca 7 milioni di dinari. Per l’anno scolastico 1972/73 la scuola verrà frequentata da 78 studenti e verranno impiegati 15 insegnanti. In base ad un bando di concorso pubblico direttore è stato nominato il prof. Giuseppe Rota. Dal territorio del buiese 14 studenti stavano frequentano il Ginnasio Italiano di Pirano, mentre altri 13 la Scuola media economica di Isola. Le spese del loro trasporto sono stati assicurati da mezzi speciali. Nel periodo a partire dall’ottobre 1971, la Casa editrice “Edit” di Fiume ha pubblicato 10 libri di testo e 8 quaderni intitolati “Compiti attivi e di controllo” per le necessità di tutte le scuole con lingua d’insegnamento italiana. In questo periodo sono stati stampati anche 19 libri di storia per le classi VI, VII e VIII delle scuole elementari e 4 libri di studio per la geografia; in questo periodo sono usciti anche i numeri 4 e 5 della rivista “Scuola Nostra”. La Cattedra di italianistica dell’Accademia pedagogica di Pola, invece, sta preparando la pubblicazione di “Didattica”. All’esposizione della delegazione jugoslava sono seguite le osservazioni da parte italiana. Riferendosi alle relazioni degli esperti, la delegazione italiana ribadì che da quanto esposto in merito alla situazione degli insegnanti ne scaturiva, a loro parere, un quadro molto preoccupante. Nonostante il fatto che lo Statuto Speciale stabilisca precisamente che gli insegnanti devono essere della stessa madrelingua degli alunni, va constatato che nelle scuole medie superiori con lingua d’insegnamento italiana, di 148 insegnanti ben 48 sono quelli che non corrispondono a questa esigenza, tra questi anche alcuni direttori e, addirittura, alcuni insegnanti

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di lingua italiana. Anche se è vero che di questi 48 una quindicina di loro insegnano la lingua slovena o croata, va comunque detto che alcuni di loro non conoscono proprio la lingua italiana, rendendo pertanto più difficile per gli alunni l’apprendimento della materia. Inoltre, tenendo conto che anche questi fanno parte del collettivo di lavoro, rompono l’omogeneità nazionale dello stesso, non partecipano alla vita del gruppo etnico italiano e non possono educare i propri alunni coltivano le loro caratteristiche nazionali, come raccomandato dallo Statuto Speciale. Continuando, la delegazione italiana sottolineò che soltanto 37 dei 59 insegnanti delle prime quattro classi delle scuole elementari, nonché 21 dei 39 insegnanti delle quattro classi superiori delle scuole elementari, come pure soltanto 20 dei 50 professori delle scuole medie, dispongono delle necessarie qualifiche e dell’esame professionale. Insegnanti di ruolo a tempo indeterminato sono soltanto 46 di 59, 33 di 59 delle quattro classi superiodi delle scuole elementari e 25 dei 50 professori delle scuole medie. In questo modo, la situazione nel nuovo anno scolastico 1972/73, invece di migliorare peggiorerà ulteriormente la situazione. Una situazione che influirà in maniera determinante sull’efficienza di queste scuole e sulla fiducia della quale non potranno godere da parte degli appartenenti al gruppo etnico italiano. A dimostrarlo anche il fatto che, nell’anno scolastico in corso, il numero degli alunni nelle scuole elementari è diminuito di 31. Particolare attenzione, secondo i componenti della delegazione italiana, deve essere dedicata alla Scuola media di Buie, dove il numero degli iscritti sta a dimostrare quanto fosse stata necessaria l’istituzione della scuola in questa località. Ciononostante si preupppone che l’organizzazione della scuola non sia ancora soddisfacente. Durante quest’anno gli 8 allievi della terza classe dell’indirizzo elettrico sono stati costretti a frequentare le lezioni in lingua croata. escluso l’insegnamento dell’italiano e della matematica. Gli alunni che, volendo proseguire gli studi trasferendosi al ginnasio a Pirano, incontrano notevoli difficoltà a causa dei programmi diversi, per cui viene loro limitata la possibilità di continuare gli studi. Non ultimo, la scuola non gode di piena autonomia, ma è dipendente dalla scuola croata. Per quanto riguarda la rete scolastica, invece, la delegazione italiana espresse soddisfazione per l’apertura dell’asilo infantile di Bertocchi e per l’annunciata apertura dell’asilo a Santa Lucia, e, nel contempo l’auspicio che venga aperto anche un asilo d’infanzia a Momiano, come pure l’apertura di nuove scuole a Babici e a San Pietro. Nonostante alcuni miglioramenti, tuttavia, secondo la parte italiana, sono ancora evidenti alcune manchevolezze per quanto riguarda i libri di testo che non sono ancora stati adeguati o che, addirittura, non esistono proprio, tra i quali anche quelli per lo studio delle lingue straniere. Ugualmente, sarebbe necessario arricchire e aggiornare le biblioteche, in particolare quelle delle scuole elementari.

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Per quanto riguarda la costruzione e la ristrutturazione degli edifici scolastici sarebbe necessario portare a termine i lavori del ginnasio di Capodistria, anche se rimangono aperti i problemi inerenti la palestra e le aule specialistiche della scuola di Pirano a causa del sempre presente ristorante al pianterreno, per l’insufficiente numero di aule scolastiche alla Scuola economica di Isola e per la ristrutturazione di alcuni vecchi edifici scolastici , come quello di Colombano, di Semedella, di Strugnano e di Grisignana. Concludendo la loro esposizione, gli esponenti della delegazione italiana del Comitato Misto proposero: - 1) Che venga pubblicato un bando di concorso per il completamento dei posti rimasti vacanti, o di quelli occupati da insegnanti che non sono di madrelingua italiana, per insegnanti che corrispondano a questa condizione, includendo pure, in caso di necessità, insegnanti provenienti dall’Italia. - 2) Che venga agevolato il conseguimento del titolo di studio e degli attestati professionali prescritti da parte degli insegnanti che non ne sono ancora in possesso. - 3) Che tutto il personale non insegnante impiegato nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana provenga dalle file degli appartenenti al gruppo etnico italiano. - 4) Che vengano aperti nuovi asili d’infanzia a Santa Lucia presso Pirano ed a Momiano, come pure di alcune scuole elementari in alcune località, come per esempio a Babici, a San Pietro ed a Materada. - 5) Che venga ristrutturata la Scuola media di Buie onde permettere anche agli allievi dell’indirizzo elettrico di portare a termine gli studi in lingua italiana; che venga istituito un indirizzo ginnasiale e che la scuola diventi pienamente autonoma. - 6) Che alla Scuola economica di Isola e alla scuola di Pirano vengano assicurate le aule necessarie, che vengano ristrutturati gli edifici scolastici di Colombano, di Semedella, di Strugnano e di Grisignana. Che vengano assicurati i libri di testi compresi quelli per lo studio delle lingue straniere. Che vengano arricchite le biblioteche ed i mezzi didattici, in particolare delle piccole scuole periferiche. Tra le risposte della delegazione jugoslava, oltre a quelle che parlano del continuo impegno profuso, merita un cenno quella riguardante l’impiego di insegnanti provenienti dall’Italia, dove l’atteggiamento jugoslavo ribadì ancora una volta la posizione negativa espressa già nelle sessioni precedenti.

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Per quanto riguarda la richiesta di aprire un asilo d’infanzia a Momiano, la parte jugoslava ripetè quanto già detto in altre occasioni, per cui a Momiano non esistevano nè le condizioni, nè la necessità di aprire un’istituzione prescolare, mentre venga confermata l’imminente apertura dell’asilo a Santa Lucia (Pirano). Anche per quanto riguardava la richiesta di una ristrutturazione della Scuola media di Buie, gli jugoslavi dichiararono che non esistevano motivi giustificabili, in quanto la scuola già operava come istituzione autonoma, il che veniva confermato dal fatto di essere soggetto giuridico e amministrativo, il che comprendeva un proprio bilancio ed un proprio organo di autogestione. Per le altre osservazioni e proposte, la delegazione jugoslava non era andata oltre ad un generico impegno per migliorare la situazione. Per quanto riguardava, invece, le osservazioni riguardanti il calo dei bambini iscritti nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, gli jugoslavi ricordarono che il fenomeno dipendeva dalle modifiche apportate nella struttura demografica riguardante anche l’età scolastica, introdotta sul territorio sotto amministrazione jugoslava, ricordando, alla fine, che l’iscrizione nelle scuole su tutto il territorio jugoslavo era pienamente libera. Niente di particolare anche nel dibattito sugli scambi culturali che continuavano sempre a seguire un rigido calendario in gran parte rispettato da entrambe le parti. Per la relazione presentata alla XIX sessione, gli esperti italiani e jugoslavi si erano riuniti ben sette volte nel periodo tra le due sessioni, vicendevolmente a Capodistria e a Trieste. Gli incontri si erano svolti il 2 dicembre del 1971, poi il 9 febbraio, il 13 e il 27 marzo, il 9 maggio, il 23 giugno e in ottobre del 1972. Tra le altre cose, il Comitato Misto prorogò il mandato ai due consiglieri pedagogici, il prof. Janez Sivec per la parte jugoslava e il prof. Ermanno Visintin per quella Italiana. Dalla relazione si evince che il seminario per gli insegnanti si tenne ad Assisi nei giorni dal 3 al 15 luglio 1972.per tutti gli altri settori, tutto secondo le previsioni, ripetendo praticamente quanto realizzato anche durante il periodo precedente.

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Capitolo XX L’ultima seduta del Comitato Misto e i numeri del censimento Verbale della XX.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale /allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, tenutasi a Belgrado, dal 17 al 21 dicembre 1973 (1)

A presiedere la XX.a sessione ordinaria del Comitato Misto italo-jugoslavo, istituito con l’art. 8 dello Statuto Speciale, allegato II del Memorandum d’Intesa di Londra del 5 ottobre 1954, che si riunì per l’ultima volta a Belgrado dal 17 al 21 dicembre 1973 (anche se allora nessuno sapeva ancora che era arrivato al capolinea), i due capi delegazione, Branko Perišić per la Jugoslavia, e Gian Luigi Milesi Ferretti per l’Italia. Dopo aver preso atto che i due governi avevano confermato il verbale della sessione precedente, il Comitato, come consuetudine e come previsto dal Regolamento, approvò l’ordine del giorno seguendo la procedura ormai consueta delle ultime riunioni: svolgendosi la seduta nella capitale jugoslava, a prendere per primi la parola i rappresentanti della delegazione italiana che illustrarono ampiamente quanto fatto dal governo italiano per migliorare la posizione della minoranza nazionale slovena di Trieste nel periodo trascorso dall’ultima riunione. La delegazione jugoslava, nell’illustrare le misure adottate nel stesso periodo in favore della minoranza italiana dell’ex Zona B, sottolineò subito che nella realizzazione dei diritti particolari degli appartenenti al gruppo etnico italiano un elemento importante riguardava il libero e paritetico uso della lingua italiana. Uso, come venne ribadito, che, in armonia con la Costituzione, con le norme di legge e con gli Statuti comunali, garantiva agli appartenenti al gruppo etnico italiano il diritto di fruire nella vita pubblica l’uso della propria lingua durante i lavori delle assemblee comunali; dei relativi consigli e commissioni e di tutti gli organismi amministrativi; che gli atti normativi delle assemblee e le disposizioni generali degli organismi amministrativi venissero pubblicati sui bollettini ufficiali dei Comuni nelle lingue croata o slovena e italiana, e sul territorio dei Comuni di Capodistria, Isola e Pirano, con adeguato riassunto in lingua italiana e slovena; che le assemblee comunali ed i relativi organismi accettino la presentazione di ri-

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chieste, domande o ricorsi in lingua italiana; che nei procedimenti davanti alle autorità amministrative e giudiziarie gli appartenenti al gruppo etnico italiano possano usare la propria lingua e che gli organi statali pubblichino delibere, attestati. conferme e scritte bilingui, oppure soltanto in italiano; che, da parte degli organi di Stato e delle altre istituzioni e organizzazioni possano ricevere informazioni orali nella propria lingua (per fare un esempio, soltanto nel Comune di Pirano nelle procedure amministrative erano stati promulgati 257 diversi atti e sentenze); che lo svolgimento delle cerimonie matrimoniali si svolgano in lingua italiana; che i timbri ed i formulari dei consigli comunali, degli organi amministrativi e giudiziari siano realizzati e usati in forma bilingue; che sugli edifici statali le scritte e le altre informazioni siano scritte anche nella lingua italiana; che le insegne pubbliche e stradali, gli avvisi e gli annunci, come pure le insegne economiche ed artigianali e di altre organizzazioni siano bilingui, come pure siano bilingui le indicazioni viarie; che alle manifestazioni pubbliche destinate a tutti i cittadini sul territorio croato vengano usate le lingue croata e italiana, e sul territorio sloveno le lingue slovena e italiana; che a queste manifestazioni, oltre ai complessi croati e sloveni siano presenti anche i gruppi della comunità italiana. Per il completamento dei posti di lavoro, per i quali si richiede la conoscenza della lingua italiana,vengano pubblicati dei concorsi nei quali sia espressamente richiesto dal candidato la conoscenza della lingua italiana. Oltre alla rappresentanza nell’Assemblea federale con un deputato, gli Italiani erano rappresentati con 2 deputati al Sabor della RS di Croazia, e con un deputato all’Assemblea della RS di Slovenia. Inoltre, gli Italiani erano adeguatamente rappresentati nelle assemblee comunali e nei loro organi collegiali. Così, per esempio, nell’Assemblea comunale di Buie e nei suoi comitati e consigli erano presenti 39 appartenenti al gruppo etnico italiano, nell’Assemblea di Cittanova 10 consiglieri, mentre altri 6 erano nei Comitati, 3 nelle commissioni e 18 nei comitati amministrativi. Nell’Assemblea comunale di Umago erano presenti 6 consiglieri, 3 nei Comitati e 6 nelle commissioni, nonché altri 6 nei comitati amministrativi dei vari fondi comunali. Gli Italiani erano rappresentati anche nel Comune di Pirano con 3 consiglieri, con 7 membri nei consigli comunali e 6 nelle varie commissioni, oltre ai 4 presenti nei consigli d’amministrazione. Nel comune di Isola 2 erano i consiglieri comunali, 3 i membri delle varie commissioni e 1 presente nei consigli d’amministrazione. Anche nel Comune di Capodistria la rappresentanza minoritaria era affidata ad un consigliere comunale, 7 membri delle commissioni, 5 inclusi nei Comitati e altri cinque nelle diverse commissioni. Il Consiglio Costiero che comprendeva alcune competenze dei Comuni di Capodistria, Isola e Pirano, il gruppo etnico italiano disponeva di 4 consiglieri e di altri quattro membri di commissioni. Gli

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Italiani erano largamente rappresentati anche negli altri settori della vita socio-economica e politica dei singoli Comuni; nelle Comunità Locali e nelle Comunità d’interesse, nei Consigli amministrativi delle organizzazioni di lavoro e delle istituzioni, come pure nelle dirigenze delle altre strutture socio-economiche. Nel periodo preso in esame, gli appartenenti al gruppo etnico italiano avevano sviluppato molteplici forme di attività artistico-culturali. I portatori di queste attività erano le Comunità degli Italiani, le Scuole, il Dramma Italiano di Fiume, l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume e le Università Popolari delle rispettive località. Le organizzazioni italiane avevano allestito e partecipato ad un grande numero di rappresentazioni teatrali, artistiche, folkloristiche e di altro genere. Per queste attività, nel corso del 1973, le Comunità degli Italiani avevano ricevuto i seguenti mezzi finanziari; Buie e Verteneglio 45.000 dinari, Umago e Salvore 15.000 dinari, Cittanova - 26.000, Capodistria - 90.778, Isola - 99.370 e Pirano - 75.300 dinari. In tutti i centri comunali le Comunità degli Italiani avevano potuto fruire gratuitamente delle Case di cultura per le loro rappresentazioni teatrali, per le conferenze, le rassegne, le proiezioni cinematografiche e simili. Le Comunità degli Italiani disponevano di biblioteche che nel 1973 erano state aggiornate, così che oggi disponevano di un ricco fondo librario. Le biblioteche civiche presso le Università Popolari disponevano pure di un fondo di libri italiani molto usato. Tutte le sale di lettura erano fornite di quotidiani, periodici e riviste nazionali e dall’Italia, adatte per bambini, giovani e adulti. Il Dramma Italiano di Fiume è stato sovvenzionato per la propria attività con 125.000 dinari. Sul territorio sotto amministrazione jugoslava si erano esibiti, oltre al Dramma Italiano di Fiume, anche complessi teatrali e musicali provenienti dall’Italia. Conferenzieri provenienti dall’Italia avevano svolto delle conferenze in tutti i centri dove esistevano delle organizzazioni italiane. L’Unione degli Italiani ed il Centro di Ricerche Storiche nel 1973 erano stati sovvenzionati con 525,000 dinari. La collaborazione culturale tra l’Unione degli Italiani e l’Università popolare di Trieste si era pure svolta con le stesse finalità. Allo sviluppo generale del gruppo etnico italiano contribuirono pure i giornali e le riviste pubblicati dall’Azienda giornalistico editoriale “EDIT” di Fiume. Si tratta del noto quotidiano “La Voce del Popolo”, della rivista “Panorama”, del giornalino per bambini “Il Pioniere”, della rivista letteraria “La Battana” e della rivista pedagogica “Scuola nostra”. Tutte queste attività sono state finanziate interamente dalle dotazioni statali. Nel 1973, per le attività giornalistiche ed editoriali all’azienda “Edit” sono stati assicurati mezzi per un totale di 5,050.000 di dinari.

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Le stazioni radiofoniche di Fiume, Pola e Capodistria hanno continuato a trasmettere programmi informativi, mentre lo studio televisivo di Capodistria ha messo in onda tutto il programma in lingua italiana e, in gran parte, a colori. Le redazioni di queste trasmissioni erano composte esclusivamente da appartenenti al gruppo etnico italiano. Dopo l’esposizione della parte jugoslava, i membri della delegazione italiana esposero brevemente alcune questioni riguardanti il gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, illustrando alcuni casi di mancata applicazione delle clausole dello Statuto Speciale ed elencando alcuni problemi che, secondo loro, avevano influito negativamente sul libero sviluppo del gruppo etnico. Senza ritornare su quanto già esposto nel corso delle sessioni precedenti, come per esempio il problema delle modifiche alle circoscrizioni amministrative e la conseguente trasformazione delle unità fondamentali, la delegazione italiana confermò pure quanto già esposto alla XIX sessione in merito ai risultati del censimento della popolazione riguardanti la Comunità Italiana. Nel ribadirlo, gli Italiani si richiamarono a quanto era stato dichiarato da fonti qualificate e pubblicato anche sulla stampa jugoslava in merito all’attendibilità dei risultati del censimento riguardanti gli appartenenti il gruppo etnico italiano sul territorio di competenza dello Statuto Speciale. Da questi dati risultava che il numero degli Italiani si era ridotto di circa la metà rispetto al numero precedentemente noto e posto in risalto dall’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume. Del resto, se i numeri del censimento avessero rispecchiato esattamente la consistenza numerica del gruppo etnico italiano, ci si troverebbe di fronte ad una evidente sproporzione, per esempio, rispetto al numero di coloro che stanno frequentando le scuole italiane. Evidentemente, secondo il parere della delegazione italiana, in alcuni casi è stata segnata un’appartenenza nazionale diversa da quella dichiarata dai diretti interessati. Anche per quanto riguarda l’uso della lingua da parte degli appartenenti al gruppo etnico italiano, i membri Italiani del Comitato Misto citarono le dichiarazioni di alcuni esponenti dello stesso gruppo etnico nelle quali si esprimeva concretamente rammarico in merito all’applicazione del bilinguismo e si esigeva dalle autorità preposte per risolvere il problema. Senza soffermarsi nuovamente sul comportamento dell’ufficio postale di Capodistria, la parte italiana ricordò alla parte jugoslava che l’Ufficio fiscale di Isola pareva avesse rifiutato di allegare alla bolletta per le tasse anche la traduzione italiana, nonostante fosse stata presentata esplicita richiesta. Nella stessa corrispondenza con gli organismi della Comunità italiana, alcune autorità locali continuavano a rivolgersi soltanto in lingua slovena o croata. Anche nei contatti verbali del gruppo etnico italiano con

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la pubblica amministrazione venivano notate alcune mancanze in quanto determinati uffici non avevano accettato la richiesta che il colloquio si svolgesse in lingua italiana, adducendo come motivo il fatto secondo cui la persona interessata conosceva soltanto il dialetto. In alcuni uffici catastali era iniziato il ritiro di alcuni registri catastali non ancora completati dalle locali autorità, ma dove era ancora possibile consultarli, per sostituirli con nuovi registri catastali scritti soltanto in lingua slovena o croata. Sui documenti, rilasciati su richiesta degli interessati, i dati venivano offerti soltanto in lingua slovena o croata. Alcuni esponenti locali, come per esempio a Umago, avevano chiesto che venisse istituito un sistema che armonizzasse la materia con le clausole degli Statuti comunali in modo da assicurare la parità di trattamento del gruppo etnico italiano nel quadro dei principi contenuti nelle clausole dello Statuto Speciale. Continuando le sue osservazioni, la delegazione italiana ha quindi rilevato che l’organizzazione delle Comunità degli Italiani sta incontrando delle difficoltà per l’inadeguatezza e l’insufficienza dei mezzi finanziari e, in alcuni casi, come a Buie, Villanova, Grisignana o Momiano, la Comunità non dispone di spazi propri. Insufficienza di mezzi finanziari per lo svolgimento delle proprie attività è stata segnalata anche dall’EDIT e dal Dramma Italiano di Fiume, il che ha avuto come conseguenza una minore disponibilità nella diffusione della stampa italiana. Fattore questo che va aggiunto alle norme di legge recentemente introdotte, in base alle quali è stata aumentata del 10% la tassa sull’importazione di libri. Elemento, questo, che ha provocato il blocco nelle importazioni di libri e giornali dall’Italia. Con rammarico è stato sottolineato pure, che presso la Biblioteca Civica di Pirano, su un totale di 22.500 volumi del fondo librario, soltanto 657 erano i volumi in lingua italiana. Non risultava soddisfacente nemmeno l’attuazione di una giusta rappresentanza della Comunità Italiana, tenendo conto del ridotto numero degli Italiani negli organismi scolastici e in quelli delle organizzazioni di lavoro. Secondo il parere della delegazione italiana sarebbe stato opportuno che venissero adottate delle misure che potessro garantire una rappresentanza concreta delle Comunità degli Italiani sull’intero territorio sotto amministrazione jugoslava e, attraverso delle delegazioni professionali, anche negli organismi d’autogestione. Nell’occasione, i rappresentanti della delegazione italiana fecero riferimento anche alle critiche che erano state rivolte all’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume per aver informato l’opinione pubblica delle problematiche che erano state evidenziate nei dibattiti svoltisi nell’ambito delle organizzazioni del gruppo etnico italiano. Questo, a quanto era dato di sapere, sarebbe stato sufficiente per provocare delle reazioni sempre più

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pressanti da parte delle autorità jugoslave, il cui esito finale non era ancora conosciuto. Fattore, questo, che non era possibile stabilire, soprattutto se si teneva presente, per esempio, che sul Bollettino degli Sloveni di Trieste, che pure finanziato con mezzi pubblici, erano costantemente presenti critiche e attacchi al governo ed alle altre autorità pubbliche provenienti dalle organizzazioni e delle istituzioni degli Sloveni, e che tutto questo non provocava neanche la più piccola ritorsione nei confronti degli autori. Richiamandosi ancora a quanto era stato reso noto da esponenti del gruppo etnico italiano, la delegazione italiana fece riferimento alle osservazioni rilasciate in merito alle proposte delle Costituzioni repubblicane allora in esame. Poiché il trattamento del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava veniva regolato in base alle clausole dello Statuto Speciale, si ribadiva la necessità che la nuova Costituzione tenesse conto della particolare situazione presente su questo territorio. La delegazione italiana rimarcò in particolare, che l’art. 2 dello Statuto Speciale stabiliva l’uguaglianza di trattamento e la parità dei diritti tra gli appartenenti alla minoranza e la maggioranza, per cui, la futura legislazione avrebbe dovuto tener conto di questo principio riconoscendo al gruppo etnico italiano la possibilità di costituirsi in comunità autogestite dando vita a proprie delegazioni. Invece., sulla base delle informazioni disponibili, sembrava che il progetto della nuova Costituzione croata, fosse completamente sprovvista di una clausola che riguardasse i gruppi etnici minoritari. Nello stesso progetto della Carta Costituzionale veniva posto in rilievo che al popolo di maggioranza era consentito di sviluppare dei rapporti culturali con gli appartenenti ai loro gruppi etnici residenti all’estero, mentre questa possibilità, nel progetto della Costituzione croata, non prevedeva alcuna clausola similare in favore del gruppo etnico italiano. Se il progetto avesse dovuto venir approvato in questa forma - come venne sottolineato dalla delegazione italiana - il fatto avrebbe comportato una divisione del gruppo etnico italiano presente sul territorio sotto amministrazione jugoslava da quello residente nel resto del territorio istriano, in quanto una parte avrebbe goduto di meno diritti rispetto a quella i cui diritti sarebbero stati assicurati agli Italiani residente sul territorio dell’ex TLT, e, in ogni caso gli uni e gli altri, avrebbero potuto fruire di meno diritti rispetto a quelli goduti dal popolo di maggioranza. Concludendo, la delegazione italiana chiese che le autorità jugoslave tenessero conto di quanto esposto. Nella replica alle osservazioni poste dalla parte italiana, gli Jugoslavi sottolinearono che sul territorio sotto amministrazione jugoslava le clausole dello Statuto Speciale venivano pienamente rispettate.

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La questione riguardante i servizi intercomunali comuni era stata già spiegata dalla parte jugoslava durante le sessioni precedenti. I principi dell’art. 7 dello Statuto Speciale, secondo la spiegazione jugoslava, venivano pienamente rispettati e il gruppo etnico italiano si trovava rappresentato in misura sufficiente nelle assemblee comunali, nei consigli, nelle commissioni e negli altri servizi pubblici. Il censimento della popolazione del 1971, che era già stato oggetto d’esame alla XIX sessione del Comitato Misto, era stato attuato nel rispetto dei principi di assoluta libertà di dichiarare la propria apprtenenza nazionale, in armonia con la Costituzione e le leggi vigenti. Vennero categoricamente respinte anche tutte le affermazioni secondo le quali, durante il censimento ci sarebbero state delle scorrettezze. In merito - affermarono gli jugoslavi - non era stata presentata nessuna osservazione da parte del gruppo etnico italiano. Del resto, le commissioni chiamate a svolgere il censimento vedevano ampiamente rappresentati anche gli Italiani, mentre a Umago, addirittura il vicepresidente dell’assemblea comunale, che era appartenente alla nazionalità italiana, era nel contempo anche presidente della commissione scrutatrice. La delegazione jugoslava rilevò che, ai sensi dell’art. 5 dello Statuto Speciale, gli appartenenti al gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava, usavano in piena libertà la lingua italiana e, da questo punto di vista, non erano state riscontrate delle rimostranze. Per il resto, la delegazione jugoslava si richiamò ai fatti presentati già nella prima parte di questo punto dell’ordine del giorno. Per quanto riguardava l’Ufficio postale di Capodistria venne constatato che questo operava nel rispetto dello Statuto Speciale e svolgeva la propria attività in armonia con le convenzioni internazionali. I timbri postali sul territorio sotto amministrazione jugoslava erano bilingui e come tali registrati presso l’Unione postale mondiale. Nel contempo, invece, si constatava che sul territorio sotto amministrazione italiana non erano in vigore timbri postali bilingui. Le Comunità degli Italiani dell’area di Buie, Umago e Cittanova disponevano di proprie sedi. Queste Comunità venivano finanziate sulla base dei loro programmi di lavoro. L’attività ordinaria della Casa giornalistico-editoriale “Edit” e del Dramma Italiano non era stata mai stata posta in questione, tenendo conto del fatto che l’intera attività veniva finanziata da mezzi repubblicani facendo in modo che non si giungesse ad una riduzione delle tirature dei giornali in lingua italiana, nè ad una riduzione delle rappresentazioni teatrali. Secondo le norme di legge in vigore in Jugoslavia l’importazione di libri era sottoposta ad un’imposta del 10%. Tuttavia, questa norma non riguardava quei libri che venivano importati sulla base dell’accordo conse-

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guito nel Comitato Misto, anche se, nel corso dell’anno corrente, si erano verificate delle difficoltà provocate dall’introduzione di queste tasse. Negli organismi d’autogestione che si occupavano delle questioni scolastiche, come pure nelle altre organizzazioni di lavoro, gli Italiani, tenendo conto della consistenza numerica della popolazione, disponevano di una rappresentanza a carattere paritetico piuttosto che proporzionale. Per quanto riguardava le osservazioni fatte in merito a determinate critiche che sarebbero state rivolte all’attività dell’Unione degli Italiani, la delegazione jugoslava dichiarò di non comprendere in che cosa queste avrebbero offeso i diritti del gruppo etnico italiano ai sensi delle norme previste dallo Statuto Speciale. In merito alla osservazioni riguardanti i progetti delle nuove Costituzioni delle RS di Croazia e Slovenia, la delegazione jugoslava affermò categoricamente che nè le norme attuali, nè quelle future avrebbero comportato una riduzione dei diritti particolari del gruppo etnico italiano garantiti dallo Statuto Speciale. Al punto successivo, riguardante il settore scolastico, dopo aver ascoltato la parte italiana sulle misure intraprese per migliorare la situazione delle scuole slovene sul territorio sotto amministrazione italiana, anche gli jugoslavi elencarono nei dettagli quanto fatto in favore delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava nel periodo intercorso tra la XIX e la XX sessione del Comitato Misto. Nel corso dell’anno scolastico 1973/74 negli asili d’infanzia di Buie, Umago, Cittanova e Verteneglio risultavano iscritti 57 bambini, mentre negli asili di Capodistria, Bertocchi, Pirano, Sicciole, Santa Lucia e Isola erano iscritti 68 bambini, per un totale di 123. Da rilevare che dall’ultima sessione aveva incominciato a lavorare anche l’asilo di Santa Lucia, mentre era in corso la costruzione dell’asilo di Umago che avrebbe coperto le necessità sia dei bambini croati che di quelli italiani. Con la costruzione di questo edificio si sarebbe liberato lo spazio che oggi nell’edificio della scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana, era occupato dai bambini dell’età prescolare. Durante l’anno scolastico in corso, sul territorio inerente lo Statuto Speciale vi erano cinque educatrici che stavano studiando fuori corso. Sul territorio di Capodistria, Isola e Pirano durante l’anno scolastico erano iscritti 380 alunni, mentre sul territorio di Buie, Umago e Cittanova frequentavano la scuola con lingua d’insegnamento italiana 305 allievi, il che significava che dalla prima all’ottava classe risultavano iscritti nella scuola italiana 685 allievi. Dall’ultima sessione del Comitato Misto andava registrato che, su richiesta dei genitori, la scuola di Colombano era stata temporaneamente trasferita a Crevatini.

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Nell’ambito di tutte le scuole elencate erano impiegati 73 insegnanti. Agli insegnanti che stavano completando gli studi, le scuole coprivano tutte le spese. In questo periodo, presso l’Accademia Pedagogica di Pola avevano conseguito il diploma due insegnanti di Buie. Dall’area del buiese, alla Cattedra di italianistica dell’Accademia Pedagogica di Pola risultavano iscritti 13 studenti tra regolari e fuori corso. L’aggiornamento professionale degli insegnanti si svolgeva anche attraverso seminari di didattica che, nel periodo tra le sessioni, venivano organizzati a Pola, Fiume, Umago e Isola per le materie di matematica, fisica, biologia, chimica, della lingua croato-serba e di quella italiana. Un certo numero di insegnanti aveva frequentato dei seminari di fisica e matematica anche in Italia, il che aveva comportato un ulteriore miglioramento dell’aggiornamento professionale. Per queste finalità, erano stati assicurati mezzi particolari: così, per esempio, dal territorio del buiese per l’anno in corso erano stati assicurati 53.000 dinari. Il Fondo per le borse di studio per alunni e studenti dei Comuni di Buie, Umago e Cittanova stava stipendiando 21 alunni. Tenendo conto che esistevano delle difficoltà per assicurare il quadro insegnanti nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana, tutti gli studenti che appartenevano al gruppo etnico italiano dell’area del buiese vennero agevolati nell’assegnazione di mezzi superiori rispetto alle altre richieste. In 7 sezioni delle scuole medie con lingua d’insegnamento italiana del buiese erano iscritti 73 studenti, mentre nelle scuole medie di Capodistria, Isola e Pirano erano iscritti 174 studenti, per un totale complessivo di 249 studenti che frequentavano le scuole di secondo grado. Una novità per l’anno scolastico in corso era rappresentata dalla terza classe del Ginnasio di Buie che veniva frequentato da 18 studenti. Agli allievi appartenenti al gruppo etnico italiano del territorio del buiese era stata resa possibile anche la frequentazione delle scuole medie di Isola e Pirano. Così, durante l’anno scolastico in corso, la Scuola economica di Isola era frequentata da 8 e il Ginnasio di Pirano da 11 studenti provenienti dal buiese. Per le spese di trasporto di questi studenti erano stati assicurati mezzi particolari. Per quanto riguarda gli aggiornamenti professionali ed il completamento degli studi degli insegnanti che operavano nelle scuole medie venivano stanziati consistenti mezzi finanziari e alle persone interessate venivano offerte tutte le possibilità per conseguire il titolo di studio necessario. Oltre alla cattedra di italianistica con lingua d’insegnamento italiana presso l’Accademia Pedagogica di Pola, l’aggiornamento professionale degli insegnanti veniva effettuato anche presso la neo-costituita sezione dell’Accademia Pedagogica per la lingua italiana di Lubiana a Capodistria, dove già si trovavano iscritti 5 studenti provenienti dalle file degli insegnanti di nazionalità italiana. 262


Come già accennato, si stava lavorando per ampliare lo spazio scolastico della scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana di Umago, dopo che sarebbe stata portata a termine la costruzione dell’edificio per le necessità dell’asilo infantile. Con generale soddisfazione era stato completato l’edificio per le necessità della scuola con lingua d’insegnamento italiana di Sicciole. Le autorità scolastiche di Isola, invece, stavano esaminando la possibilità di assicurare al locale asilo infantile degli spazi adeguati. Si stava studiando anche la possibilità di ristrutturare la scuola di Colombano, ovvero di Crevatini. Durante il 1974 sarebbero continuati pure i lavori per il completamento del Centro scolastico italiano di Capodistria. Oltre ai lavori di adattamento degli edifici scolastici nell’area del capodistriano, da accennare anche a quelli in corso di ristrutturazione nel buiese. La stazione radiofonica di Capodistria continuava con la trasmissione di programmi destinati alle scuole con lingua d’insegnamento italiana. La casa giornalistico-editoriale “Edit” di Fiume nel periodo dal 1.10. 1972 al 1.12.1973 aveva pubblicato otto libri di testo per le scuole elementari, quattro compiti di controllo di matematica per le classi IV, VI, VII e VIII, un quaderno di lavoro di chimica per la VII classe, il volume “Geografia della Jugoslavia per la IV classe del ginnasio, diversi fogli di lavoro, registri ed altri stampati e formulari per le necessità delle scuole. Dalle stampe era uscito anche il No. 6 della rivista pedagogica “Scuola Nostra”. Nel prosieguo della seduta, riportando in campo quanto già era stato esposto nelle sessioni precedenti, la parte italiana fece nuovamente riferimento alla situazione del quadro insegnanti che, nell’anno scolastico 1972/73 aveva continuato a peggiorare in seguito al pensionamento di alcuni insegnanti e dopo che altri avevano abbandonato la scuola. In questo contesto segnalarono alcuni dei casi più preoccupanti causa la mancanza di insegnanti, o dove la presenza di insegnanti che non conoscevano bene la lingua italiana, in quanto non appartenenti al gruppo etnico italiano, come succedeva presso la scuola professionale di Isola e nelle scuole medie del buiese. On generale, circa un terzo del corpo insegnanti era ancor sempre formato da insegnanti la cui lingua materna non era l’italiano, mentre un altro terzo non riusciva ad entrare in possesso del prescritto diploma e della dovuta preparazione professionale. Per questi motivi, la delegazione italiana ritenne necessario proporre alcune misure che, a loroparere, avrebbero aiutato a migliorare una situazione che stava diventando sempre più seria, anche tramite l’impiego, per esempio, pur se per periodi limitati nel tempo, di insegnanti provenienti

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dall’Italia, sull’esempio di quanto avevano già fatto le autorità italiane che avevano fatto assumere nelle scuole slovene del territorio sotto amministrazione italiana insegnanti con diplomi e con cittadinanza jugoslava, proprio per assicurare agli alunni sloveni di Trieste insegnanti della loro stessa madre lingua. Un’altra soluzione, ma a scadenza più lunga, avrebbe potuto esser rappresentata dall’offrire agli studenti appartenenti al gruppo etnico italiano delle agevolazioni delle quali usufruire durante l’iscrizione alle Università di Lubiana e di Zagabria, oppure all’Accademia Pedagogica di Pola, riservando loro dei posti nelle case dello studente, garantendo borse di studio con le quali coprire le spese del vivere fuori di casa, con una maggiore comprensione nei confronti di coloro che non ce la facevano a presentare tutti gli esami previsti per il primo anno di studio, tenendo conto delle difficoltà che questo comportava per coloro che avevano frequentato tutta la verticale scolastica in lingua italiana il dover assistere alle lezioni in lingua slovena o croata. E, inoltre, con l’apertura a Capodistria di una sezione italiana dell’Accademia Pedagogica. Infine, sarebbe stato opportuno agevolare la procedura per l’acquisizione dell’attestato di equipollenza dei titoli di studio conseguiti in Italia da parte delle università jugoslave, analogamente a quanto fatto dai Consigli delle facoltà italiane nei confronti dei diplomi jugoslavi. In molti casi, inoltre, bisognava sostituire il personale amministrativo, tecnico e ausiliario delle scuole con lingua d’insegnamento italiana che non apparteneva al gruppo etnico italiano, come per esempio nella scuola media di Buie, il che influiva negativamente sulle delibere del collettivo di lavoro della scuola. Un motivo di preoccupazione era rappresentato anche dalla diminuzione del numero degli iscritti negli asili infantili, soprattutto a Isola, conseguenza dei contributi troppo onerosi da pagare mensilmente, ma anche a Buie, dove sembrava che un problema fosse rappresentato dalla mancanza di istitutrici, dopo che una di loro era stata trasferita in una scuola elementare. Preoccupante anche il fatto che un numero sempre maggiore di asili italiani venivano accorpati agli asili sloveni o croati, invece di mantenere un rapporto diretto con la scuola con lingua d’insegnamento italiana. In questo senso era stata segnalata anche la necessità di aprire un nuovo asilo a Momiano. Risultava ridotto anche il numero degli iscritti in alcune scuole ottennali, specialmente a Isola, dove esistevano rapporti di conflittualità tra gli insegnanti. Difficile pure la vita di alcune scuole periferiche nella zona del buiese provocata da una presenza instabile degli insegnanti. Una certa insicurezza era rappresentata anche dalle previste norme che avrebbero dovuto essere inserite nella legge sull’istruzione elementare della RS di Croazia. Norme, in base alle quali sarebbe stato assegnato agli

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Statuti comunali la competenza di stabilire il numero minimo degli alunni necessario per l’apertura di una scuola o di una sezione. Nel campo delle scuole medie superiori vennero segnalati i casi della scuola professionale di Isola e della scuola media di Buie, nelle quali insegnavano troppi insegnanti che non appartenevano al gruppo etnico italiano e, nel caso di Buie, per la mancanza di autonomia che veniva limitata esclusivamente alla parte didattica. Per quanto riguardava la costruzione degli edifici scolastici, purtroppo, si verificavano delle interruzioni nei lavori inerenti alcune riparazioni del ginnasio di Capodistria, il che ostacolava il normale funzionamento della scuola, metteva in pericolo la salute degli studenti e degli insegnanti e non permetteva l’insediamento in questo edificio dell’asilo infantile con lingua d’insegnamento italiana. Insufficienti pure gli spazi della Scuola Economica di Isola, del Ginnasio di Pirano, dell’asilo infantile di Isola, mentre necessitavano di urgenti riparazioni gli edifici scolastici di Semedella, di Grisignana, di Castagna e di Momiano. Anche la scuola di Crevatini denunciava una mancanza di aule. Sarebbe stato necessario organizzare pure il trasporto con scuola-bus di quegli alunni che vivevano in località distanti dalla scuola con lingua d’insegnamento italiana e che, proprio per la lontananza non potevano frequentare questa scuola. Dal punto di vista dei libri di testo la situazione non era ancora soddisfacente, sia dal punto di vista della quantità, che della qualità. Concludendo la delegazione italiana formulò le seguenti proposte, basandosi sostanzialmente sulle indicazioni e sui ragionamenti presentati nella relazione del consigliere pedagogico, Ermanno Visintin: 1) Che vengano completati i posti rimasti vacanti degli insegnanti e che vengano sostituiti quelli che non sono di madrelingua italiana con quelli che dispongono di questa caratteristica e che, in caso di necessità, vengano impegnati, magari temporaneamente, insegnanti provenienti dall’Italia. 2) Che agli studenti italiani nei villaggi dello studente di Lubiana e di Zagabria venga riservato alloggio gratuito, oppure vengano assicurate borse di studio che corrispondano ai costi della vita in queste città. 3) Che venga agevolato il riconoscimento dei titoli di studio italiani da parte delle università jugoslave, come pure l’acquisizione delle qualifiche prescritte e dell’esame professionale da parte di molti insegnanti che ne sono sprovvisti. 4) Che il personale amministrativo ed ausiliario impiegato nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana appartenga interamente al gruppo etnico italiano.

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5) Che venga concessa l’autonomia a tutti gli asili d’infanzia che ancor sempre fanno parte degli asili sloveni o croati e che vengano collegati alle relative scuole elementari con lingua d’insegnamento italiana. Che venga pure prevista l’apertura di qualche nuovo asilo, come per esempio a Momiano. 6) Che la Scuola media di Buie diventi autonoma nei confronti della scuola croata non soltanto dal punto di vista didattico, ma anche amministrativo. 7) Che vengano portati a termine i lavori di restauro e di ampliamento dell’edificio del ginnasio di Capodistria in modo che in esso si possa svolgere il regolare insegnamento e che in esso venga incluso anche l’asilo d’infanzia per i bambini italiani. 8) Che presso la scuola economica di Isola e presso le scuole di Pirano vengano assicurate le aule necessarie; che vengano riparati gli edifici delle scuole di Semedella, di Castagna, di Grisignana e di Momiano e che venga trovato uno spazio per permettere alla scuola di Crevatini lo svolgimento delle lezioni nelle ore antimeridiane. 9) Che venga organizzato un regolare servizio di trasporto con scuolabus per gli allievi italiani. 10) Che alle scuole vengano forniti i libri di testo mancanti o non adeguati, e che venga rafforzato il fondo delle biblioteche scolastiche, in particolare nelle sezioni periferiche. Nella risposta, la delegazione jugoslava si richiamò a quanto esposto durante l’illustrazione delle misure adottate, ribadendo nuovamente che le autorità jugoslave stavano adottando tutte le misure possibili per assicurare che nelle scuole con lingua d’insegnamento italiana l’insegnamento fosse nel più breve tempo possibile assegnato interamente ad insegnanti di madre lingua italiana, evitando le difficoltà di carattere oggettivo sopravvenute a suo tempo. Per questo motivo, ma anche per abilitare adeguatamente quegli insegnanti che non avevano ancora portato a termine il titolo di studio, erano stati organizzati dei seminari di lingua e cultura italiana. A tutti gli appartenenti al gruppo etnico italiano che intendevano dedicarsi all’insegnamento, erano state assegnate borse di studio. Le autorità scolastiche supportavano tutte le spese per gli insegnanti iscritti fuori corso alle facoltà o presso l’Accademia Pedagogica: a Capodistria era stata aperta una sezione italiana dell’Accademia Pedagogica di Lubiana, e nei Comuni di Isola, Capodistria e Pirano i redditi individuali degli insegnanti italiani, rispetto agli altri insegnanti, erano stati aumentati del 15%. Le autorità jugoslave continueranno a dedicare particolare attenzione alle borse di studio elargite per le facoltà universitarie di Lubiana e di Zagabria.

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Per quanto riguardava la proposta avanzata dalla parte italiana sulla possibilità di completare i posti vacanti con insegnanti provenienti dall’Italia, la parte jugoslava non fece che ripetere ka risposta negativa già ribadita nel corso delle sessioni precedenti del Comitato Misto. In merito alla problematica inerente il riconoscimento reciproco dei titoli di studio universitari, in primo luogo per quanto riguardava le materie inerenti lo studio della madre lingua, si ribadì che già da anni era presente la proposta avanzata dai membri jugoslavi, per cui la proposta fatta dalla parte italiana poteva considerarsi accettata. Per quanto riguardava il personale amministrativo ed ausiliario, i rappresentanti jugoslavi sottolinearono che la questione non era in contrasto con le clausole dello Statuto Speciale, ma che, ciononostante, era stato adottato il principio secondo cui gli impiegati avrebbero dovuto essere della stessa madre lingua degli alunni, ma che singoli esempi di diverso comportamento non rappresentavano una deroga da questo principio. Per quanto riguardava le osservazioni in merito agli asili infantili, i rappresentanti jugoslavi ribadirono che, ai sensi dell’allegato II dello Statuto Speciale, soltanto l’asilo di Capodistria godeva di piena autonomia, mentre per le altre località erano previste soltanto delle sezioni, Tuttavia, la maggioranza di queste sezioni nella prassi erano già collegate alla scuola elementare con lingua d’insegnamento italiana (Bertocchi, Santa Lucia, Sicciole, come pure tutti gli asili sul territorio dei Comuni di Buie, Cittanova e Umago). La delegazione jugoslava, infine, ritenne che non esistessero le condizioni per l’apertura di un nuovo asilo a Momiano. Per quanto riguardava la richiesta di assicurare piena autonomia alla Scuola media di Buie con lingua d’insegnamento italiana, gli jugoslavi spiegarono che queste scuole operavano come istituzioni indipendenti ed erano soggetti di diritto che avevano diritto di un proprio direttore, di un proprio bilancio finanziario, di uno statuto e di propri organismi d’autogestione. La delegazione jugoslava, riconobbe che negli ultimi tempi era stato registrato un rallentamento nella realizzazione del programma edilizio e di ristrutturazione degli edifici scolastici, dovuto a difficoltà di carattere finanziario. La costruzione del Centro scolastico di Capodistria, pertanto, sarebbe proseguito il prossimo anno. In tutti i Comuni era stato assicurato il trasporto gratuito degli alunni a scuola. Per quanto riguardava, infine, la pubblicazione dei libri di testo, gli esponenti jugoslavi si richiamarono all’ampia esposizione fatta al punto inerente le misure adottate. L’aggiornamento delle biblioteche scolastiche si svolgeva in armonia con le possibilità finanziarie delle singole scuole.

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All’ultimo punto previsto all’ordine del giorno, anche questa volta nessuna novità importante nel settore degli scambi culturali. Tuttavia, trattandosi dell’ultima sessione del Comitato Misto (anche se non prevista), riportiamo a titolo di documentazione, tutte le attività portate a termine per quanto riguardava il gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Intanto va detto, che i portatori degli scambi culturali erano direttamente gli esperti delle due delegazioni, che per la parte jugoslava era stato per tutte e venti le sessioni lo sloveno di Capodistria Črtomir Kolenc, e per la parte italiana, pure per tutte le venti sessioni, il triestino Guido Gerin. Nel periodo tra la XIX e la XX sessione del Comitato Misto gli esperti, che comprendevano nel gruppo anche l’italiano Giuliano Angioletti ed il croato Lino Šepić, si incontrarono ben sei volte, e cioè il 3 ottobre 1972, il 4 dicembre 1972, il 6 maggio 1973, il 14 maggio 1973, il 22 giugno 1973 e, infine il 16 novembre 1973, scambiando le località, tra Capodistria e Trieste per concordare l’attuazione dell’accordo approvato a livello di Comitato Misto. Oltre agli incontri di cui sopra, gli esperti svolsero altri incontri informali per la soluzione di alcuni dettagli riguardanti singoli aspetti degli scambi culturali. Consiglieri pedagogici Gli esperti hanno preso atto che, sulla base dell’accordo conseguito alla riunione dei presidenti del Comitato Misto, veniva prorogato il mandato dei consiglieri pedagogici. Da parte jugoslava è stato riconfermato il prof. Janez Sivec, mentre da parte italiana è stato riconfermato il prof. Ermano Vistintin. Entrambi i consiglieri pedagogici erano già subentrati in ruolo. Gli esperti presero pure atto dell’avvenuto scambio delle relazioni preparate dai consiglieri pedagogici. Seminari per insegnanti Il seminario per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana è stato organizzato dalla parte italiana ad Assisi dal 2 al 14 luglio 1973. Vi hanno partecipato 30 insegnanti. Borse di studio Le due parti hanno bandito il concorso per l’assegnazione di 6 borse di studio per ciascuna parte per l’anno scolastico 1973/74. Dal territorio sotto amministrazione jugoslava parteciparono 14 candidati. I prescelti che sono stati subito informati dovevano frequentare l’Università di Trieste e presentare regolarmente l’attestato di frequenza alle lezioni.

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Scambi di libri e di materiale didattico per le biblioteche scolastiche Scambi regolarmente realizzati in base al programma precedentemente stabilito. Scambio di libri di testo Le autorità italiane hanno fornito i libri di testo concordati alle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. Escursioni scolastiche La parte italiana ha organizzato la prima escursione scolastica per alunni delle classi superiori delle scuole elementari a Venezia, Verona e sul lago di Garda dal 27 al 29 aprile 1973. Per gli studenti delle scuole medie l’escursione ha toccato Roma e Firenze dal 2 all’8 luglio 1973. Seminari invernali di Capodistria I seminari di cultura italiana si sono svolti regolarmente dal 29 gennaio al 3 febbraio 1973. Per motivi tecnici si sono svolti a Isola. A completamento di questi seminari, causa l’aumentato numero degli studenti, sono state organizzate anche 16 conferenze separate per la scuola media di Buie e per la Scuola professionale di Isola. Programmi degli scambi culturali Il Comitato Misto ha preso atto della relazione sul lavoro svolto dagli esperti nel periodo tra la XIX e la XX sessione e confermò l’accordo dei due presidenti di prorogare il mandato ai consiglieri pedagogici. Al fine di proseguire e agevolare l’attuazione dell’accordo del 21 luglio 1964, riguardante lo scambio dei libri di testo, dei mezzi didattici e di libri per le biblioteche scolastiche degli insegnanti, il Comitato Misto approvò che il testo dell’accordo venisse completato con le seguenti formulazioni: “In occasione dell’importazione di materiali didattici e di libri per le biblioteche scolastiche, degli insegnanti e dei professori, non sarà necessario pagare tasse d’importazione o altri contributi doganali.” “Al fine di regolare le formalità doganali durante l’invio dei libri e dei materiali di cui sopra da un territorio ad un altro delle rispettive autorità doganali, verrà presentato l’elenco (specifica) di quanto inviato, nella quale sarà presente la clausola che il materiale viene inviato gratuitamente e che servirà per le finalità previste dall’Accordo del 21 luglio 1964.”

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Il Comitato Misto concordò pure di autorizzare gli esperti delle due parti per lo svolgimento delle pratiche necessarie in merito alle modifiche di cui sopra. In occasione di ogni invio di materiali all’altra parte si sarebbe provveduto anche all’invio in duplice copia degli elenchi con annesso il testo di cui sopra. Il Comitato Misto prese nota pure delle modifiche riguardanti l’organizzazione del seminario di Capodistria, ed espresse soddisfazione per il lavoro svolto dagli esperti, autorizzandoli a sforzarsi ancora maggiormente per un ulteriore ampliamento del programma finalizzato a migliorare le iniziative degli scambi culturali in favore dei due gruppi etnici. Va detto, anche, che il verbale contiene pure i ricorsi presentati da esponenti della minoranza slovena di Trieste, come del resto era successo anche in precedenza alla fine di ogni sessione. E, come per tutte le venti sessioni, neanche questa volta non era stata presentata una qualsiasi domanda, richiesta o ricorso da un qualche esponente o istituzione del gruppo etnico italiano sul territorio sotto amministrazione jugoslava. ooooooooooo Nel concludere questo ultimo verbale delle venti sessioni ordinarie del Comitato Misto va detto che da nessuna parte era ancora trapelata alcuna notizia che annunciasse la chiusura dei battenti del Comitato, pur se, con il senno di poi, sembrava tutto abbastanza prevedibile. Con il senno di poi è sempre tutto prevedibile, ma rimane il fatto che il 21 dicembre del 1973, alla vigilia di Natale, le due delegazioni, italiana e jugoslava, forse prevedendo che non si sarebbero più incontrati, non si dissero addio!, ma forse, anche, nemmeno arrivederci! A distanza di anni, da appartenenti ad una delle due minoranze etniche, per la cui tutela il Comitato Misto era stato previsto ed istituito, in forza dell’art. 8 dello Statuto Speciale - allegato II, del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, volendo, si potrebbero ora esprimere due tipi di valutazione generale. Secondo la prima, un commento dovrebbe essere certamente negativo, tenendo conto delle volontà politiche e civili che ispirarono la sua istituzione e che avrebbero potuto rappresentare uno strumento fondamentale di sviluppo sociale, civile ed economico di tutta la regione, oltre che delle due Comunità minoritarie, traendo energia e forza proprio dai principi universali che pochi anni prima Eleonora Roosvelt aveva annunciato presentando la Carta dei diritti umani dell’ONU, alla quale il documento faceva direttamente riferimento.

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Da un altro punto di vista, la valutazione non può essere che parzialmente e sostanzialmente positiva, di fronte al quesito fondamentale: ”senza Il Comitato Misto, le due minoranze avrebbero potuto godere nell’ultimo mezzo secolo di una posizione migliore?”. Francamente, credo di no! Alcune iniziative, ma anche alcuni dibattiti del Comitato Misto, hanno certamente contribuito ad ammorbidire una situazione che, all’indomani della II guerra mondiale, nel pieno della intercorrente guerra fredda tra occidente e oriente, tra due ordinamenti politici, economici e sociali che si combattevano ideologicamente, sarebbe stata altrimenti certamente più discutibile. Non ultimo, sia per quanto riguarda la minoranza slovena di Trieste, sia per quella italiana in Istria, il Comitato Misto ha rappresentato un’importante forma di persa di coscienza e dt acquisizione dei propri diritti e delle relative rivendicazioni da presentare allo Stato di residenza, ma anche con alterne fortune, almeno per quanto riguarda la Comunità Italiana - nei confronti della Matrice Nazionale. Senza andar a compilare una specie di censimento sulle priorità che sarebbe stato giusto assicurare alla Comunità Italiana, perché diventerebbe un elenco troppo lungo e troppo amaro, soprattutto se visto con gli occhi attuali di cittadini europei, vorremmo comunque sottolineare almeno alcune delle iniziative che il Comitato riuscì se non a portare in porto, a far registrare dalla memoria della nostra Comunità! Dall’arroganza di un regime che si sentiva forte, tanto da non dover rispondere a niente ed a nessuno, alla debolezza di una matrice nazionale che, tra i conti da pagare per una sciagurata e tragica avventura bellica, aveva accettato di includere subito non soltanto la perdita di un territorio, ma anche della sua popolazione e della sua storia. E va anche detto che buona parte delle cose positive sono state nonostante tutto realizzate soprattutto per iniziativa, serietà, competenza e responsabilità di alcune perone chiamate a far parte, nei ruoli più diversi, di questo organismo. A partire dalla figura degli “esperti” che nel tempo erano diventati i veri e propri motori del Comitato Misto nel proporre e organizzare le più diverse iniziative degli scambi culturali in favore delle due minoranze. Compresa l’istituzione della figura dei consiglieri pedagogici che rappresentarono, non solo nel mondo della scuola minoritaria, ma anche in generale,la vera finestra attraverso la quale la Comunità Italiana potè finalmente dialogare e far conoscere alla propria Matrice Nazionale i propri problemi per farla intervenire con la voce più autorevole della diplomazia italiana. Persone che continuarono a mantenere il proprio ruolo e le proprie responsabilità anche negli anni successivi. Proprio per questo, tra le note che seguono in calce questo capitolo, presentiamo i verbali ed i protocolli di alcune iniziative importanti, attraverso le quali, soprattutto negli ultimi anni, si concretizzò buona parte, se non addirittura tutta l’attività del Comitato Misto:

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- il Protocollo della riunione degli esperti jugoslavi e italiani per l’organizzazione dei seminari di cultura italiana del giugno 1961; (2) - il verbale delle riunioni degli esperti del Comitato Misto italo-jugoslavo per le minoranze, svoltisi a turni a Trierste ed a Capodistria tra il 26 maggio ed il 29 luglio 1965, (3) - il verbale della riunione degli esperti italiani e jugoslavi sulla posizione degli insegnanti e dei professori sui territori sotto amministrazione jugoslava e rispettivamente italiana, del marzo 1972; (4) Infine, anche se la XX sessione del Comitato Misto era stata in effetti l’ultima volta che questo organismo si era riunito e anche se nessuna indicazione aveva fatto presumere o prevedere che sarebbe stata effettivamente l’ultima, rimane il fatto che nei due anni successivi il Comitato Misto non si è più riunito. Ciononostante, alcuni punti di contatto tra alcuni funzionari del Comitato Misto,vennero mantenuti e, bene o male, continuarono a dialogare. Sarebbe interessante un giorno ricostruire tutti gli angoli nascosti dell’una e dell’altra diplomazia chem comunque, portarono nel 1975 agli Accordi di Osimo, dove, a sostituire tutto l’impianto diplomatico e giuridico del Comitato Misto è stato previsto il solo art. 8. Per l’Italia, probabilmente, l’aver tolto dal piatto delle trattative la questione delle minoranze deve aver rappresentato un vero e proprio sospiro di sollievo. Interessante, infatti, quanto su questo tema, ebbe a sottolineare lo sloveno Boris Šnuderl, che in quel periodo era, assieme all’italiano Carbone, nel pieno delle trattative segrete per l’accordo di Osimo: “Il punto sulla problematica delle minoranze, nel processo di mediazione per i confini definitivi tra i due Paesi, fu strenuamente respinto da parte italiana, che sosteneva la tesi che si stava discutendo di problemi di confine e non di minoranze.” (5) Proprio per questo riteniamo importante riportare nelle note, anche l’atteggiamento della Slovenia. attraverso il promemoria steso dall’esperto jugoslavo Črtomir Kolenc, il 15 novembre 1975, quindi all’indomani del Trattado di Osimo tra Italia e Jugoslavia e inviaro a tutti i responsabili del governo sloveno. Un documento riguardante alcune misure da introdurre per il mantenimento del livello di tutela delle minoranze dopo l’entrata in vigore dell’Accordo tra la RFS di Jugoslavia e la Repubblica di Italia del 15 novembre 1975. (6)

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Note: (1) Secondo i documenti che siamo riusciti a rintracciare tra la documentazione jugoslava, sembra non vi sia stato alcun accordo, nè palese nè sottobanco, che fece bloccare l’attività del Comitato Misto, giunto ormai alla sua ventesima sessione, Anzi, almeno stando ai documenti successivi riguardanti l’attività diplomatica dei due Paesi,è certo che un determinato interesse per le sorti delle due Comunità minoritaria fosse ancora presente. Se non altro, nell’ambito delle trattative segrete che i due Paesi stavano portando avanti per regolare e migliorare i rapporti di buon vicinato. Rapporti, come è stato constatato proprio da alcuni esponenti del Comitato Misto, che riscontravano proprio nel dibattito sulle minoranze un ostacolo che non si riusciva a superare. Tanto da porre in pericolo anche gli altri positivi miglioramenti conseguiti nella collaborazione tra Italia e Jugoslavia. E, a quanto ebbe a dire il principale negoziatore jugoslavo, proprio il problema delle due minoranze, è rimasto un osso duro anche durante le trattative segrete che nel 1975 portarono agli Accordi di Osimo.Rimase, come eredità dei lunghi dibattiti svoltisi tra le due Parti al Comitato Misto, lo striminzito art. 8 degli Accordi di Osimo che, con il senno di poi, rappresentò per la Comunità Italiana in Istria, una vera e propria mazzata, le cui prime avvisaglie si fecero sentire già nei mesi e negli anni successivi, ma già annunciate nel corso della XX sessione con le critiche all’UIIF per aver espresso delle osservazioni negative sul censimento della popolazione e sui risultati emersi in merito alla minoranza italiana. Osservazioni che, accumulate ad altre incongruenze del sistema jugoslavo, portarono già nel 1974, alla defenestrazione del Presidente dell’UIIF, Antonio Borme, e ad un riallineamento ideologico del rapporto tra RS di Croazia e istituzioni rappresentative della Comunità Italiana in Istria, senza provocare un benché minimo intervento diplomatico italiano che, imperante il Comitato Misto, sarebbe stato certamente un atto dovuto. (2)

Protocollo della riunione degli esperti jugoslavi e italiani per l’organizzazione dei seminari di cultura italiana Sulla base dell’accordo conseguito alla VI sessione del Comitato Misto italojugoslavo previsto dall’artt. 8 dello Statuto Speciale, (allegato II del memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954), punto II/B-b dell’ordine del giorno in merito allo scambio di lettere tra i Presidenti delle delegazioni jugoslava e italiana nel corso della II sessione e della proposta del verbale della IV sessione del Comitato Misto tenutasi nei giorni dal 23 al 26 giugno 1961, si sono riuniti a Lubiana gli esperti jugoslavi e italiani, e cioè: per la parte jugoslava: - sig. Črtomir Kolenc - sig. Vinko Jurcan per la parte italiana: - sig. Guido Gerin - sig. Giuliano Angioletti Presenti pure da parte jugoslava: - sign, Brataševec Slavka traduttore - sign. Metka Košir da parte italiana:

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- sig. Alberto Boncelli traduttore - sign.ina Elvira Brancia Dopo ampio dibattito gli esperti concordarono quanto segue: I. Seminari di cultura italiana, obbligatori per gli insegnanti delle scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava. a) I seminari si svolgeranno a Capodistria ogni anno all’inizio del II semestre pedagogico dell’anno scolastico (febbraio); b) i seminari avranno una durata di dieci giornate effettive, con una media di quattro ore di conferenze al giorno; c) I temi delle singole conferenze verranno stabiliti dalle autorità scolastiche jugoslave, cercando di comprendere le relative epoche della cultura italiana; Le autorità jugoslave competenti informeranno le autoritò italiane del programma del seminario entro il primo ottobre. Le autorità scolastiche italiane potranno inoltrare delle osservazioni in merito ai temi proposti e proporre eventualmente dei temi sostitutivi. Le autorità jugoslave risponderanno nel più breve tempo possibile alle osservazioni italiane e, in caso di necessità, si riuniranno gli esperti di entrambe le Parti. d) I conferenzieri per ogni tema verranno scelti dalle autorità scolastiche jugoslave dalla lista che verrà presentata dalle autoritò italiane entro il primo dicembre di ogni anno. Le autorità scolastiche jugoslave informeranno sui nomi dei conferenzieri entro 15 giorni. Per ogni gruppo di temi verrà scelto un conferenziere. Complessimanete, il numero dei conferenzieri, compresi i conferenzieri per gli alunni, non dovranno superare il numero di dodici. e) I conferenzieri potranno far uso di proiezioni di documentari filmati e di diapositive riguardanti la storia dell’arte, e di dischi gramofonici con registrazioni di recite di testi letterari e di altri mezzi didattici. Le due Parti procureranno delle agevolazioni doganali per il trasporto dei materiali didattici elencati. f) Le autorità jugoslave copriranno le spese per l’organizzazione dei seminari e assìcureranno gli spazi necessari. Ai conferenzieri verranno rimborsate le spese, comprese le spese di soggiorno. in base alle leggi jugoslave in vigore Le autorità italiane assicureranno la copertura degli onorari per i conferenzieri.

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II. Seminari di cultura italiana, obbligatori per gli studenti delle scuole medie con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava a) I seminari si svolgeranno a Capodistria ogni anno all’inizio del II semestre pedagogico dell’anno scolastico (febbraio); b) i seminari avranno una durata di dieci giornate scolastiche effettive con una media di quattro ore di conferenze al giorno; Per i seminari serali verrà stabilito un orario particolare; c) I temi delle singole conferenze venono stabiliti dalle autorità scolastiche jugoslave, cercando di comprendere le relative epoche della cultura italiana; Le autorità jugoslave competenti informeranno le autorità italiane del programma del seminario entro il primo ottobre. Le autorità scolastiche italiane potranno inoltrare delle osservazioni in merito ai temi proposti e proporre eventualmente dei temi sostitutivi. Le autorità jugoslave risponderanno nel più breve tempo possibile alle osservazioni italiane e, in caso di necessità, si riuniranno gli esperti di entrambe le Parti. d) I conferenzieri per ogni tema verranno scelti dalle autorità scolastiche jugoslave dalla lista che verrà presentata dalle autorità italiane entro il primo dicembre di ogni anno. Le autorità scolastiche jugoslave informeranno sui nomi dei conferenzieri presenti entro 15 giorni. Per ogni gruppo di temi verrà scelto un conferenziere. Complessimante, il numero dei conferenzieri, compresi i conferenzieri per gli alunni, non dovranno superare il numero di dodici. e) I conferenzieri potranno far uso di proiezioni di documentari filmati e di diapositive riguardanti la storia dell’arte, e di dischi gramofonici con registrazioni di recite di testi letterari e di altri mezzi didattici. Le due Parti procureranno delle agevolazioni doganali per il trasporto dei materiali didattici elencati. f) Le autorità jugoslave copriranno le spese per l’organizzazione dei seminari e assìcureranno gli spazi necessari. Ai conferenzieri verranno rimborsate le spese, comprese le spese di soggiorno, in base alle leggi jugoslave in vigore. Le autorità italiane assicureranno la copertura degli onorari per i conferenzieri. Gli esperti italiani concordano con quanto sopra esposto, tuttavia sono del parere che un solo ciclo di conferenze all’anno non sia sufficiente e, in questo senso, invitano a riflettere su quanto è già stato soggetto di dibattito al Comitato Misto (vedi punto III/B-1 del verbale della IV sessione ordinaria e relaltivi allegati).

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Gli esperti jugoslavi sono del parere che un ciclo di conferenze all’anno corrisponda alle necessità delle rispettive scuole, e sottolineano alcuni momenti che, in questo caso, tenendo conto del sistema scolastico in vigore, potrebbero provocare delle serie difficoltà pratiche, e si richiamano alla nota DSIP-No. 414844 del giugno 1959 (Nota del Ministero affari esteri federale). III. Gli esperti italiani chiedono ancora di accordarsi con gli esperti jugoslavi in merito all’obbligatorietà dei seminari per gli studenti delle classi superiori delle scuole elementari con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, come dall’allegato I/c del verbale della IV sessione del Comitato Misto. Dal punto di vista delle modalità per la realizzazione di questi seminari propongono che siano analoghi a quelli già armonizzati e concordati per i seminari destinati agli studenti delle scuole medie, ma che si svolgano due volte all’anno nella durata di 10 giorni di lezioni effettive, e che il numero degli insegnanti vengano adeguati alle necessità. Gli esperti italiani dichiarano pure che il governo italiano eventualmente potrebbe farsi carico delle diarie e delle spese di soggiorno per i conferenzieri. Gli esperti jugoslavi dichiarano di non ritener necessario la formazione di questi seminari e ribadiscono alcuni dettagli e difficoltà pratici che questi provocherebbero facendo nuovamente riferimento alla nota del Segretariato Federale per gli affari esteri no. 414844 del 9 giugno 1959. IV. Gli esperti jugoslavi confermano di aver ricevuto dagli esperti italiani l’elenco dei conferenzieri proposti per i seminari. Compilato a Lubiana, il 26 giugno 1961, in doppio originale, in lingua serbocroata e in lingua italiana, entrambi i testi parimente validi. Črtomir Kolenc Vinko Juraca Guido Gerin Giuliano Angioletti (3)

VERBALE delle riunioni degli esperti del Comitato Misto italo-jugoslavo per le minoranze, svoltisi a turnio a Trieste ed a Capodistria tra il 26 maggio ed il 29 luglio 1965. Gli esperti del Comitato Misto italo-jugoslavo per le minoranze, previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale allegato al Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954, in collaborazione con gli esperti per l’esame dei programmi e dei libri di testo di storia che vengono usati nelle scuole dei rispettivi gruppi etnici, si sono riuniti alternativamente a Trieste ed a Capodistria, a partire dal 26 maggio fino al 29 luglio del 1965.

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Alle riunioni hanmno partecipato: da parte jugoslava: sig. Črtomir Kolenc sig. Albert Zornada prof. Ferdo Gestrin e prof. Bogo Stupan da parte italiana: avv. Guido Gerin prof. Giuliano Angioletti prof. Fernando salsano e prof. Giuseppe Rossi Sabatini. Interprete l’avv. Alberto Roncelli. Le due Parti, che si erano già scambiate in precedenza i programmi ed i libri di testo di storia, concordarono di incominciare il lavoro con l’esame dei programmi. Nel corso degli incontri continuarono a scambiarsi reciprocamente le osservazioni su questi programmi, cosicché giunsero ad una formulazione concordata delle conclusioni. Venne constatato, che i programmi in vigore presso le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava sono più dettagliati rispetto a quelli che vengono usati dalle corrispondenti scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana. Dopo aver esaminato le rispettive ossevazioni, concordarono che nei programmi in vigore vengano inerite alcune modifiche ed aggiornamenti formlando con questo scopo dei nuovi programmi che saranno allegati a questo verbale: 1. Programma di studio della storia nei ginnasi con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava; 2. Programma per lo studio della storia nella scuola media economica con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava; 3. Programma per lo studio della storia nelle classi VI, VII e VIII delle scuole elementari con lingua nd’insegnamento italiana sul territorio jugoslavo; a) Programma di studio della storia presso il liceo classico e quello scientifico con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana; b) Programma di studio della storia presso il la scuola magistrale con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana; c) Programma di studio della storia presso l’istituto tecnico-commerciale con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana; d) Programma di studio della storia presso la scuola media con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana. I dibattiti si sono svolti in un’atmosfera di cordiale collaborazione, per cui il lavoro progredì rapidamente portando a delle formulazioni consensuali di tutti i programmi. Per quanto riguarda la revisione dei libri di testo, gli esperti di entrambe le parti concordarono di non prendere in esame le dispense che sono attualmente in uso

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presso le scuole di entrambi i gruppi etnici, ma di attendere la pubblicazione dei nuovi testi che sono in preparazione. Questi testi, prima della pubblicazione verranno presentati per una verifica agli esperti delle due Parti, i quali avranno così l’occasione di presentare le loro osservazione e proposte. Scritto in doppio originale, in lingua slovena e italiana, ed entrambe facenti ugualmente testo. Capodistria, 29 luglio 1965 Črtomir Kolenc Ferdo Gestrin Guido Gerin Giuseppe Rossi Sabatini (4)

VERBALE sulla posizione degli insegnanti e dei professori sui territori sotto amministrazione jugoslava e rispettivamente italiana Gli esperti del Comitato Misto italo-jugoslavo, previsto dall’art. 8 dello Statuto Speciale (allegato II del Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1854), nell’espletamento dei compiti che sono stati loro assegnati, si sono scambiati elenchi particolareggiati di tutti gli insegnanti e dei professori che sono impiegati presso le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava e presso le scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana. Nel corso delle riunioni, svoltesi nei giorni 12.11.1970, 9.4.1971, 2.12.1971 e 13.3.1972 a Trieste, e nei giorni 19.1.1871, 16,6,1971, 9.2.1972 e 27.1.1972 a Capodistria, gli esperti hanno discusso dell’appartenenza degli insegnanti e dei professori ai rispettivi gruppi etnici, delle qualifiche professionali e dello status giuridico dei singoli gruppi o di singoli insegnanti o professori. Per quanto riguarda la posizione degli insegnanti e dei professori che sono impiegati nelle scuole con lingua d’insegnamento slovena sul territorio sotto amministrazione italiana, gli esperti hanno segnalato quanto segue: A - SCUOLE ELEMENTARI Alle scuole con lingua d’insgnamento slovena insegnano 132 maestri, dei quali 106 sono di ruolo, 10 in rapporto temporaneo e 16 fuori ruolo, per dieci di questi ultimi il licenziamento non è possibile, mentre sei sono impiegati a tempo indeterminato. Tutti gli insegnanti dispongono dell’istruzione professionale prevista - diploma di insegnante. 33 insegnanti hanno frequentato il magistero con lingua d’insegnamento italiana, che comporta delle conseguenze per la conoscenza della madre lingua. Tutti gli insegnanti sono di nazionalità slovena.

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La posizione del direttori didattici e dell’ispettore scolastico non sono a norma di legge. Agli insegnanti che nel periodo tra le due guerre erano impiegati in Jugoslavia, il periodo non viene prese in considerazione nè per l’avanzamento di carriera, nè per la pensione non essendo stato approvato alcun accordo in merito. B - SCUOLE MEDIE Nelle scuole medie con lingua d’insegnamento slovena sono impiegati 99 professori o insegnanti. - 14 sono di ruolo - 61 sono a tempo indeterminato e di 37 di questi abilitati, mentre 24 sono sprovvisti dell’esame di abilitazione - 24 sono supplenti annuali - 29 docenti non sono provvisti del titolo di studio adeguato per la materia che stanno insegnando - Un piccolo numero di professori non dispone dell’esame di abilitazione per le materie che insegnano. Tutti sono di nazionalità slovena. C - SCUOLE MEDIE DI SECONDO GRADO Alle scuole medie di secondo grado con lingua d’insegnamento slovena insegnao 63 profoessori: - 24 sono di ruolo - 2 rientrano in un quadro speciale - 22 sono precari a tempo indeterminato, di questi 14 abilitati, mentre 8 non dispongono dell’esame di abilitazione - 15 sono supplenti annuali - 13 discenti non dispongono dell’attestato universitario Un piccolo numero di professori non è abilitato per le materie che insegnano. Tutti i professori, eccetto uno, sono di nazionalità slovena. In merito ad entrambi i gruppi dei professori, gli esperti jugoslavi constatano: - che 46 professori hanno conseguito l’esame professionale in base al decreto ministeriale del 12 settembre 1970, tuttavia nessuno finora è stato impiegato a tempo indeterminato; - che in base ak decreto ministeriale del 12 settembre 1970 è stato realizzato un concorso particolare per l’assegnazione di ruoli permanenti presso le scuole medie; - che, su iniziativa delle autorità scolastiche, alla quale hanno partecipato oltre ai professori abilitati anche quelli che non dispongono dell’esame di abilitazione completo, questi ultimi hanno partecipato all’esame finale con la condizionale, ma sulla loro posizione non è avvenuta alcuna decisione finale; - che 14 professori aventi diritto di essere assunti a tempo indeterminato sulla base della legge no. 1012/61 sono stati invitati a comunicare a quale posto desiderano essere assegnati;

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- che i candidati che si sono serviti delle clausole della legge no. 468 per essere assunti in forma stabile, stanno ricevendo proprio ora gli avvisi sul loro inserimento nella graduatoria; - che con le norme in vigore finora non è stato ancora risolto il prooblema della retrodatazione della stabilità che permetta di recuperare il danno provocato dai lunghi ritardi nell’applicazione delle clausole dell’art. 4/c dello Statuto Speciale e della legge 1012/61; - 4 professori non possono regolare il proprio rapporto di lavoro in quanto non sono cittadini italiani. In merito agli insegnanti e professori che sono impiegati presso le scuole con lingua d’insegnamento italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava, gli esperti italiani, considerando che nel sistema scolastico jugoslavo non è previsto il diritto di stabilità, constatano quanto segue: A - SCUOLE ELEMENTARI (CLASSI INFERIORI) In queste scuole insegnano 59 insegnanti, 54 di questi a tempo pieno, 4 che devono completare gli obblighi di lavoro; sono disposti come segue: - 46 sono in rapporto di lavoro a tempo indeterminato (orario a trmpo pieno), - 8 sono in rapporto di lavoro a tempo determinato (orario a tempo pieno), - 5 sono in rapporto contrattuale (retribuiti in base alle ore di lavoro svolto). Qualifiche professionali - 37 dispongono del titolo di studio e dell’esame professionale, - 2 non dispongono del titolo di studio, ma dispongono dell’esame professionale, - 20 non hanno nè il titolo di studio nè l’esame professionale. B - SCUOLE ELEMENTARI (CLASSI SUPERIOI) In questo gruppo ci sono 39 insegnanti o professori. Di questi 32 a tempo pieno, mentre 7 devono completare gli obblighi di lavoro: - 27 sono in rapporto di lavoro a tempo indeterminato (orario a tempo pieno), - 6 sono in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma devono completare gli obblighi di lavoro, - 5 sono in rapporto di lavoro a tempo determinato (orario a tempo pieno) - 1 è in rapporto contrattuale (retribuito in base alle ore di lavoro svolto). Qualifiche professionali - 21 dispongono del titolo di studio e dell’esame professionale, - 3 dispongono dell’esame professionale, ma sono senza titolo di studio, - 6 hanno il titolo di studio, ma sono se nza esame professionale, - 9 sono senza titolo di studio e senza esame professionale. Dei 39 insegnanti, ovvero professori, 17 non sono di madre lingua italiana (8 Sloveni e 9 Croati), 5 di questi insegnano le lingue slovena o croata.

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C - SCUOLE DI SECONDO GRADO In queste scuole ci sono 50 professori, dei quali 20 con pieno orario di lavoro, 30 che devono completare gli obblighi di lavoro e sono sistematizzati come segue: - 17 sono in rapporto di lalvoro a tempo indeterminato (orario a tempo pieno), - 8 sono in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma devono completare l’orario di lavoro, - 3 sono in rapporti di lalvoro a tempo determinato (orario a tempo pieno), - 10 sono in rapporto contrattuale (retribuiti in base alle ore di lavoro svolto). Qualifiche professionali - 20 dispongono del titolo di studio e dell’esame professionale, - 3 sono senza titolo di studio, ma dispongono dell’esame professionale, - 17 hanno il titolo di studio, ma sono senza esame professionale, - 10 sono senza tiutolo di studio e senza esame professionale. Dei 50 professori, 24 non sono di madrelingua italiana (14 Sloveni, 9 Croati e 1 Serbo), di questi tre insegnano la lingua slovena o croata. 14 insegnanti sloveni e croati hanno un rapporto di lavoro contrattuale. Dei 48 insegnanti o professori, per i quali è stato constatato che non sono di nadrelingua italiana, e sono riportati sul numero complessivo di 148, ci sono anche tre direttori di scuole di secondo grado e, in queste scuole, anche tre professori che insegnano la lingua italiana. Questi professori, ad eccezione del direttore del ginnasio di Capodistria, non conoscono bene la lingua italiana. Questo verbale è stato compilato a Capodistria il 27 marzo 1972, in doppio originale, in lingua italiana e in lingua slovena, entrambi facenti fede. Črtomir Kolenc Albert Zornada Lino Šepić

Guido Gerin Giuliano Angioletti

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Boris Šnuderl nell’intervista sulle trattative segrete per Osimo e minoranze “Il punto sulla problematica delle minoranze, nel processo di mediazione per i confini definitivi tra i due Paesi, fu strenuamente respinto da parte italiana, che sosteneva la tesi secondo cui si stavadiscutendo di problemi di confine e non di minoranze. Poiché sapevo, quanto era importante per gli italiani la zona industriale, con la quale si cercava di tranquillizzare la struttura triestina confinante, che era quella che più si opponeva a un accordo, ho iniziato io stesso a condizionare la soluzione del problema confinario con la questione della minoranza. La parte italiana era disposta ad accettare un preambolo e a promettere l’approvazione di una dichiarazione solenne in Parlamento, ma respingeva decisamente che nell’accordo un articolo fosse dedicato alla minoranza.

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A Strmol, proprio in seguito alle insistenze sul punto riguardante la minoranza, si ebbe la sospensione delle trattative. Il partner se ne ritornò a Roma, dove fece il giro dei responsabili di tutti i maggiori partiti politici italiani. Ottenne il permesso di armonizzare parte del testo di quest’articolo assieme ad esperti di diritto internazionale, dopo di che fece ritorno a Strmol. Noi due mediatori armonizzammo il testo dell’articolo, ma in seguito la parte italiana a Dubrovnik, nel marzo 1975 richiese una riduzione del suo contenuto. Da parte nostra la proposta fu nettamente respinta, al che offrirono la possibilità che parte del contenuto di quest’articolo fosse trasferita nel preambolo. A Dubrovnik nel marzo 1975 gli italiani non alzarono più obiezioni sulle questioni territoriali e anche l’opinione dei vertici dello Stato concordava che l’introduzione di un punto riguardante la minoranza, anche se con un contenuto ridotto assieme al preambolo, erano il massimo che si poteva ottenere nell’accordo finale. La direzione Jugoslava per tutta la durata delle trattative di Osimo, non ha mai smesso di esigere la soluzione del problema della minoranza. (6)

Promemoria su alcune misure per il mantenimento del livello di tutela delle minoranze dopo l’entrata in vigore dell’Accordo tra la RFS di Jugoslavia e la Repubblica di Italia Mentre viene a cessare la validità dello Statuto Speciale allegato al Memorandum d’Intesa di Londra del 5 ottobre 1954, entra in vigore la clausola dell’art. 8 dell’Accordo tra la RSF di Jugoslavia e la Repubblica Italiana, che impegna entrambe le Parti firmatarie a “mantenere in vigore le misure interne già adottate in applicazione dello Statuto suddetto e che assicureranno nell’ambito del loro diritto interno al mantenimento del livello di protezione dei membri dei due gruppi etnici rispettivi previsto dalle norme dello Statuto Speciale decaduto.” Con questo promemoria desidero attirare l’attenzione su quella parte dei diritti e degli obblighi reciproci di entrambe le Parti derivanti dall’art. 8 riguardante il settore dell’istruzione minoritaria. Ciascuna delle due parti hanno già acquisito nel proprio ordinamento giuridico interno con adeguate norme di legge gran parte degli obblighi inerenti l’istruzione minoritaria derivanti dallo Statuto Speciale, anche se alle sessioni del Comitato Misto si rinfacciavano costantemente alcune deroghe e mancanze. In futuro, il Comitato per l’istruzione (una specie di ministero repubblicano per l’Istruzione della Slovenia - n.d.r.) dovrà assicurare un controllo permanente sulla posizione della scuola slovena in Italia e anche di quella italiana da noi, introducendo magari delle forme occasionali di consultazione con le autorità scolastiche del Friuli-Venezia Giulia. Se verrà mantenuta la posizione dei consiglieri pedagogici, forse sarebbe possibile nel corso di un incontro congiunto esaminare le loro relazioni. Delle difficoltà sorgeranno in merito a quelle competenze che appartengono agli organismi centrali, in quanto, per esempio, nuove scuole in Italia possono essere aperte con decreto del Presidente della Repubblica, l’organico dei posti di lavoro e per gli esami di abilitazione possono essere banditi con atto ministeriale. e anche determinati concorsi per posti di lavoro vacanti con decreto ministeriale.

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Oltre alla tutela, che è sancita direttamente dallo Statuto Speciale e dalle norme di legge interne, le scuole minoritarie partecipano anche ad alcune forme di scambi bilaterali che si sono fortemente affermate e il cui abbandono significherebbe un peggioramento di queste scuole. Queste forme di scambi sono previste da tre atti che, su delibera e direttive del Comitato Misto, sono stati formulati dagli esperti e successivamente confermati anche dal Comitato Misto. Gli esperti si prendevano cura per l’attuazione delle clausole di questi accordi speciali relazionando ad ogni sessioni del Comitato Misto, dopo di che, il Comitato provvedeva ad autorizzare ogni anno la prosecuzione di questi compiti. Gli atti, di cui sopra, sono: 1) Il Protocollo della riunione degli esperti jugoslavi e italiani per l’organizzazione dei seminari di cultura italiana, sottoscritto il 26 giugno 1961. 2) Il verbale delle riunioni degli esperti del Comitato Misto italo-jugoslavo, sottoscritto il 21 luglio 1964, denominato praticamente “Accordo sugli scambi culturali”. 3) Il verbale delle riunioni degli esperti del Comitato Misto italo-jugoslavo, sottoscritto il 29 luglio 1964, che contiene l’Accordo sui libri di testo di storia e sull’insegnamento della storia. Negli anni 1965/66 era in preparazione anche un accordo sugli scambi del settore culturale, simile a quello segnalato al punto 2) e che riguarda il settore scolastico, tuttavia questo accordo non è stato approvato causa l’atteggiamento negativo degli Italiani, cioè in seguito all’entrata in vigore dell’accordo tra l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume e l’Università Popolare di Trieste, attraverso la quale ancora oggi l’Italia offre il proprio aiuto alla minoranza locale, soprattutto nella parte croata dell’Istria. Nel prosieguo elenco ancora i contenuti e le problematiche di determinate forme di scambio. ad 1. Seminari di Capodistria La firma dell’Accordo che regola l’organizzazione di questi seminari è stata possibile dopo che la parte italiana aveva continuato ad insistere affinché accettassimo la loro offerta di aiuto tecnico sotto forma di insegnanti per le scuole medie in quanto non eravamo nella condizione di realizzare un obbligo derivante dallo Statuto Speciale riguardante l’appartenenza nazionale degli insegnanti e dei professori. per noi l’offerta italiana era inaccettabile ed i seminari di Capodistria rappresentano una specie di compensazione per la nostra incapacità si esaudire le clausole dello Statuto Speciale. La parte italiana, soprattutto nei primi anni, dedicò grande importanza a questi seminari garantendo sempre una forte pubblicità. Un paio di volte ai seminari parteciparono anche i presidenti del Comitato Misto. Dopo tre anni di esecuzione dei seminari capodistriani, siamo riusciti ad estorcere dagli Italiani che anche a Trieste venissero organizzati dei seminari di cultura slovena, con conferenzieri provenienti dalla Slovenia. Per il loro sistema organizzativo, questi seminari non sono mai stati parificati ai seminari capodistriani, soprattutto non dal punto di vista giuridico, in quanto i seminari capodistriani rappresentavano un nostro obbligo, mentre i seminari di Trieste rappresentavano soltanto una forma di aggiornamento degli insegnanti e dei professori. Uno status pienamente parificato degli uni e degli altri seminari, quindi, non siamo mai riusciti a conseguirlo. Gradualmente, tuttavia, siamo riusciti a far valere la prassi per cui anche dell’organizzazione dei seminari di Trieste ci si accordava alle riunione degli esperti e di essi si relazionava pure alle sessioni del Comitato Misto.

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P r o p o s t a: In linea di principio i seminari bisognerebbe mantenerli, in quanto significano per entrambe le minoranze un insostituibile contatto con la cultura della nazione madre assieme ad un’informazione quotidiana sugli eventi che vi succedono. Tuttavia, non esiste un motivo per il quale in futuro i seminari debbano venir organizzati sul territorio interessato dal Memorandum d’Intesa, dovrebbe quindi essere allargato da entrambe le parti su tutto il territorio dove è presente la scuola minoritaria. Dalla nostra parte si apre anche il problema se questi seminari devono essere unitari per il territorio di entrambe le repubbliche di Slovenia e Croazia, oppure se ognuno li organizza per conto proprio. I seminari attuali finora erano anche obbligatori ed un loro ampliamento comporterebbe dei costi molto più consistenti. In ogni caso, se i seminari vengono mantenuti, è necessario da entrambe le parti renderli completamente paritetici. Ad 2. Il verbale, ovvero l’Accordo del 21 luglio 1964. L’Accordo contiene le seguenti forme di scambi: a/ Consiglieri Pedagogici Questa forma di scambio si è dimostrata molto utile per le scuole di entrambe le minoranze, in quanto i consiglieri pedagogici avevano cura soprattutto del miglioramento dell’insegnamento della madre lingua che, fino ad allora, si trovava ad un livello basso da entrambe le parti. Contemporaneamente erano di aiuto nell’espletamento delle altre forme di scambi rendendo possibile una migliore visuale delle condizioni in cui si trovavano le scuole minoritarie da parte delle autorità scolastiche della Nazione Madre. Il Comitato Misto provvedeva di anno in anno a prorogare l’accordo sulla posizione dei consiglieri pedagogici e sulle nomine concrete si informavano gli esperti sia durante i loro incontri, sia per lettera. Poiché l’anno scorso non si è svolta la sessione del Comitato Misto, gli esperti si sono riuniti il 20 settembre di quest’anno per informarsi reciprocamente che, sia le autorità jugoslave che quelle italiane, erano d’accordo di prorogare la posizione dei consiglieri pedagogici anche per l’anno scolastico 1975/76, dopo di che abbiamo scambiato le lettere sulla nomina dei due consiglieri che sono immediatamente entrati in carica. P r o p o s t a: Se da entrambe le parti esiste la volontà di mantenere la posizione dei consiglieri pedagogici, allora è necessario ampliare l’area delle loro competenze a tutto il territorio che comprende le scuole minoritarie. Dalla nostra parte sarà necessario raggiungere un adeguamento con la RS di Croazia. Sarà necessario, inoltre, risolvere anche il problema legato agli onorari di entrambi i consiglieri che già da più anni non sono stati adeguati all’aumentato costo della vita. b/ Seminari per insegnanti e professori Si tratta di seminari che ciascuna delle parti organizza nel periodo delle vacanze estive ai quali prendono parte 3o insegnanti e professori. Finora gli Italiani organizzavano questi seminari all’inizio di luglio in diversi centri turistici, da Cortina alla Sicilia, noi invece nelle località turistiche della Slovenia.

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P r o p o s t a: Riesaminare completamente tutta la problematica dei seminari, poiché con l’allargamento a tutto il territorio di interesse minoritario l’attuale numero dei partecipanti non sarebbe più sufficiente. Inoltre, bisogna tener conto anche del fatto che, oltre a questo tipo di seminari e a quelli invernali di Capodistria, dei seminari ai quali partecipano le scuole di tutta l’Istria vengono organizzati dall’Università Popolare di Trieste. c/ Borse di studio L’Accordo prevede che ciascuna Parte pubblichi il concorso per le borse di studio per aggiornamenti di studio presso le Università di Trieste o di Lubiana. Già qualche anno fa ci eravamo accordati che ogni anno venissero banditi concorsi per 6 borse di studio. Nella prospettiva di un reciproco riconoscimento dei diplomi, questa forma di scambio diverrebbe ancora più efficace ed assicurerebbe una più rapida crescita delle scuole minoritarie. Pr o p o s t a: La reciprocità delle borse di studio venga mantenuta e ulteriormente ampliata. d/ Scambi di libri e materiale didattico per le biblioteche scolastiche In armonia con le clausole presenti su questo punto nell’Accordo, ogni Parte destina ogni anno ingenti mezzi per l’acquisto di libri per le biblioteche scolastiche. In questo settore gli Italiani disponevano di maggiori possibilità e sono riusciti ad aggiornare fruttuosamente tutte le biblioteche scolastiche sul nostro territorio. Anche le nostre forniture sul territorio di Trieste hanno agevolato una reale rivitalizzazione delle biblioteche scolastiche che oggi stanno svolgendo bene il proprio ruolo. Nel rispetto delle clausole di questo Accordo, le scuole minoritarie ricevono dalla Nazione Madre anche i più diversi materiali didattici, come per esempio, film, dischi con recite ed altri mezzi audiovisivi, carte geografiche, attrezzature per i laboratori, e simili. Anche per questa forma di scambi la Parte italiana ha potuto disporre di mezzi finanziari più consistenti che hanno permesso loro di inviare alle scuole dei proiettori cinematografici, magnetofoni e microscopi. Ribadisco inoltre, che già fin d’ora gli Italiani fornivano materiali a tutte le scuole della minoranza in Istria in base all’Accordo UIIF - Università Popolare di Trieste. P r o p o s t a: Questa forma di aiuto alle scuole minoritarie venga allargata a tutte le scuole minoritarie. e/ Scambio di libri di testo Le scuole minoritarie usano libri di testo che sono utilizzati anche nelle scuole della Matrice Nazionale se conformi dal punto di vista della diversità dei programmi di studio. In linea di massima di questi libri di testo andavano soprattutto alle scuole medie. Gli elenchi dei libri di testo necessari venivano ogni anno preparati dalle autorità scolastiche, dopo di che con l’intervento degli esperti, venivano scambiati e in autunno distribuiti alle relative scuole. In tutti questi anni la nostra parte è stata relativamente precisa nel rispetto dei termini di tempo, mentre la parte italiana di regola si trovava sempre in ritardo. Soprattutto quest’anno, quando non hanno ancora consegnato il proprio contingente. Questa forma di scambio comporta

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consistenti risorse finanziarie, in quanto, per fare un esempio, i libri in vigore che quest’anno la nostra Parte ha inviato alle scuole slovene di Trieste hanno richiesto una spesa di circa 200.000 dinari. Negli ultimi anni abbiamo qualche difficoltà con la dogana nell’importazione dei libri di testo dall’Italia, mentre le nostre forniture vengono spedite a Trieste senza difficoltà, su diretto interessamento degli esperti italiani. P r o p o s t a: Come al punto d/. f/ Escursioni scolastiche Ciascuna Parte organizza una volta all’anno delle escursioni d’istruzione della durata di tre giorni per le classi inferiori e per le classi superiori della scuola elementare, oltre ad una escursione di 7 - 8 giorni per gli studenti che hanno assolto l’esame di maturità. Noi portiamo i più giovani in giro per la Slovenia, mentre ai più grandi facciamo attraversare le Bosnia e poi al mare e quindi ritorno a Trieste. Gli Italiani fanno visitare ai più giovani Venezia e Padova fino al Lago di Garda e Verona, mentre i maturandi si recano a Roma e a Firenze. L’accordo prevede la partecipazione di 30 allievi, ma negli ultimi anni ci siamo accordati per 40 allievi per ogni escursione. Da entrambe le parti vi sono richieste per aumentare il numero, in particolare per l’escursione destinata ai maturandi, visto, per esempio, che a Trieste superano l’esame di maturità circa 90 studenti, per cui all’escursione in Jugoslavia può partecipare meno della metà. P r o p o s t a: La questione delle escursioni scolastiche va nuovamente presa in esame con gli Italiani, tuttavia, almeno quelle per i maturandi non dovrebbero venir eliminate. g/ Programma per l’insegnamento della storia e per i libri di storia Con un Accordo speciale, segnato al punto 3) di questo Promemoria, le due Parti si sono accordate che nei programmi per lo studio della storia vengano inserite determinate modifiche e aggiunte che sono concretamente elencate negli allegati di questo accordo. Con questo accordo, inoltre, è stato concluso che i testi dei nuovi libri di testo, prima di andare in stampa, vengano sottoposti in visione all’altra Parte per eventuali modifiche. Gli Italiani hanno mantenuto fede a questo accordo ed hanno presentato in esame alcuni manoscritti che i nostri esperti hanno del settore hanno esaminato e, infine, concordate alcune modifiche. P r o p o s t a: Anche questa forma di collaborazione rappresenta una conquista per le due minoranze e che venga mantenuta in vigore. Conclusione La nostra Parte deve quanto prima formulare delle conclusioni riguardanti la tutela e le varie forme di misure reciproche in favore della scuola di entrambe le minoranze che erano in vigore finora sulla base dello Statuto Speciale e degli Accordi particolari. La nostra posizione è, che nei casi dove questo si renda necessario, si giunga ad un’armonizzazione con gli organi competenti della RS di Slovenia, dopo di che venga proposta una riunione con i rappresentanti del governo regionale

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o. con le loro autorità scolastiche (la Sovrintendenza scolastica per la Regione Friuli-Venezia Giulia), per formulare un accordo sul futuro regime degli scambi nel settore scolastico. Nel caso fossimo del parere, e in questo concordasse anche l’altra Parte, che per il prossimo anno vengano conservate tutte o alcune delle forme di scambi in vigore su tutto il territorio della scuola minoritaria da entrambe le parti, il che comporterebbe anche maggiori oneri finanziari, questi dovrebbero essere considerati nei bilanci del Comitato Repubblicano per l’Istruzione. Fino all’introduzione di un nuovo sistema degli scambi, propongo che rimanga in vigore quello concordato finora con la partecipazione degli esperti. Capodistria, 15 novembre 1975 Črtomir Kolenc, m.p.

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INDICE l Gruppo etnico italiano dell’ex Zona B del T.L.T. alla luce delle 20 sessioni del Comitato Misto Italo-Jugoslavo 1955 -1973 / Breve nota introduttiva di Silvano Sau

3

Capitolo I - La Prima Sessione ordinaria del Comitato Misto

17

Capitolo II. - Il Comitato Misto alla ricerca di un “modus operandi”

25

Capitolo III - Il Comitato Misto diventa operativo

30

Capitolo IV - L’uso pubblico della lingua italiana sul territorio sotto amministrazione jugoslava

41

Capitolo V - La modifica dei cognomi italiani

47

Capitolo VI - Blocco del dialogo dopo le manifestazioni antijugoslave di Trieste

62

Capitolo VII - Dopo il no di Trieste

69

Capitolo VIII - La difficile ripresa del dialogo

93

Capitolo IX - Scuola e lingua minoritaria

108

Capitolo X - Al via i seminari di cultura italiana

126

Capitolo XI - Scambi culturali nelle scuole

134

Capitolo XII - Il punto sulla scuola con lingua d’insegnamento italiana 141 Capitolo XIII - La relazione del consiglere pedagogico Fernando Salsano

156

Capitolo XIV - Esperti e consiglieri pedagogici i veri motori del Comitato Misto

172

Capitolo XV - Prof. Ermanno Visintin: migliorare la scuola italiana!

195

Capitolo XVI - Ancora le scuole al centro del dibattito

214

Capitolo XVII - Tante le iniziative, poche le soluzioni

229

Capitolo XVIII - Tante le proposte senza risposta

236

Capitolo XIX - Il comitato misto ostaggio dei rapporti fra Italia e Jugoslavia

244

Capitolo XX - L’ultima seduta del Comitato Misto e i numeri del censimento

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Editore / Izdajatelj Comunità Autogestita della Nazionalità Italiana - Isola Italijanska samoupravna narodna skupnost - Izola Casa Editrice / Založnik Il Mandracchio - Isola Titolo / Naslov LA COMUNITÀ SACRIFICATA Il Comitato Misto Italo-Jugoslavo Autore / Avtor Silvano Sau Revisione linguistica / lektoriranje Marino Maurel Traduzione dei testi dal serbo-croato / Prevod tekstov iz srbo-hrvaščine Silvano Sau Impaginazione / Prelom Andrea Šumenjak

Stampa / Tisk Birografika - Bori d.o.o. Tiratura / Naklada 300 copie / izvodov

Isola / Izola, ottobre / oktober 2015 La pubblicazione del volume è stata possibile grazie al supporto finanziario del Ministero per la cultura della Slovenia e del Comune di Isola Izdajo knjige so finančno omogočili Ministrstvo za kulturo Slovenije In Občina Izola

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