Boom Economy: banche, armi e paesi in conflitto

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Le truppe del colonnello Gheddafi, intanto, suscitavano l’indignazione internazionale per aver sparato dai mortai, nelle zone residenziali vicino all’ospedale di Misurata, bombe a grappolo da 120 millimetri: le bombe erano uscite nel 2007 dalla fabbrica spagnola Instalaza, ma questo non suscitava altrettante rimostranze.

Atto quinto: addestrare gli insorti Il 25 agosto l’inviato del Corriere della Sera, Lorenzo Cremonesi, entrava nel bunker di Gheddafi a Bab al Aziziya dove “nelle stanze adibite ad arsenali militari ci sono le scatole intatte e i foderi di migliaia tra pistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigorosamente marca Beretta. A lato, letteralmente montagne di casse di munizioni italiane”. Anche perché, nel frattempo ci sarebbe soprattutto da chiarire perché sia stato posto il segreto di Stato sulla “destinazione finale delle armi confiscate e custodite nelle riservette di Santo Stefano” nell’isola sarda della Maddalena che facevano parte del cosiddetto “arsenale Zhukov”: 400 missili Fagot con 50 postazioni di tiro, 30mila mitragliatori AK-47, 5mila razzi katiuscia, 11mila razzi anticarro e 32 milioni di proiettili per i mitragliatori che avrebbero dovuto essere distrutti da tempo, ma che qualche zelante funzionario ha pensato bene di tenere da parte. In tempi di crisi economica l’Italia non può certo inviare armi nuove di zecca agli amici libici: ed è così che – secondo diverse ed accreditate fonti giornalistiche – buona parte di quelle armi sarebbero state inviate in Cirenaica con navi che trasportavano generi umanitari per sostenere gli insorti contro Gheddafi. Armi facilmente confondibili con quelle, sempre di fabbricazione sovietica, già nelle mani dei ribelli. D’altronde l’Italia, oltre ad aver mandato ufficialmente in Libia insieme a Francia e Gran Bretagna dieci ufficiali “consiglieri” per gestire i rapporti con lo stato maggiore degli insorti, avrebbe anche inviato in segreto a Bengasi alcuni team militari di forze speciali con compiti di supporto ai miliziani: non per combattere, ma – spiegano gli analisti – con un chiaro ruolo da “military advisor”. “Una cosa è offrire training, altra è partecipare” – aveva detto il ministro La Russa. Compiti simili sarebbero stati assegnati anche a unità francesi e britanniche che in alcuni casi avrebbero affiancato in azione le milizie degli insorti. La Francia non ha però avuto bisogno di nascondere le proprie forniture militari agli insorti: le ha semplicemente paracadutate dai cargo Transall C-160 insieme agli aiuti umanitari spiegando – parole del Col. Thierry Burkhard – che le armi “erano solo mezzi di autodife-

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