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Una finestra aperta sull'Africa: sarà il nuovo place to be?

Nonostante l’instabilità politica, le disuguaglianze sociali e i paletti all'import, questo sconfinato continente, ricco di materie prime e al centro di un boom demografico, si candida a essere un mercato irrinunciabile per la moda.

Grazie a un ceto medio-alto in espansione e a un crescente potenziale di spesa

DI ANGELA TOVAZZI

«Dall’Africa arriva sempre qualcosa di nuovo». A distanza di quasi 2mila anni, l’affermazione di Plinio il Vecchio appare ancora di grande attualità e rimanda a un continente in forte trasformazione, molto lontano dall’immagine stereotipata di territorio povero e arretrato che vive di carità internazionale, dove tutti sognano di emigrare. Una visione eurocentrica e ghettizzante decisamente superata dall’evoluzione di cui è stata protagonista questa sconfinata regione, il cui Pil negli ultimi 15 anni è raddoppiato, tanto da identificare il mercato africano come il secondo del pianeta per crescita economica dopo l’Asia. Dalla sua parte ci sono ben 54 Stati, una progressiva industrializzazione e urbanizzazione e un’impetuosa crescita demografica, che ha portato il numero degli abitanti a 1,4 mi- liardi, di cui il 50% under 20: un esercito di giovani globalizzati che, grazie anche alle nuove tecnologie, stanno cambiando dal basso la fisionomia sociale e culturale dell'area, trasformando le megalopoli in hub di sperimentazione e aprendo nuove prospettive alla vicina, ma anche anziana, Europa. Certo, la strada per competere ad armi pari con i mercati più evoluti è ancora lunga, se si considera il persistere di dittature, governi corrotti e regimi fiscali responsabili di forti disuguaglianze, con la concentrazione della ricchezza in poche mani, e che la crescita rischia di essere soffocata da un debito pubblico per la prima volta in 20 anni, complice la pandemia, al 60% del Pil. Pur nell’instabilità, l’Africa si candida a diventare sempre di più un “place to be” anche per i marchi moda, che da una decina di anni a questa parte hanno iniziato a testare le potenzialità del Paese nei vicini Marocco, Tunisia ed Egitto o nei mall più importanti del Sudafrica, leader indiscusso del lusso della regione subsahariana, contando sulla disponibilità di spesa degli africani più abbienti. «Le opportunità per la moda italiana in Africa sono eccellenti», commenta Andrea Dini, ceo di Paul&Shark, riferendosi all’area geografica posizionata tra il Sudafrica e il deserto del Sahara, quella finora meno esplo- rata. «Il ceto della media e alta borghesia è in forte espansione - sottolinea - e il costo delle materie prime, di cui il continente è molto ricco, sta esplodendo, tanto che la popolazione sta finalmente disponendo di un reddito utile al consumo di beni non solo di prima necessità». Attualmente il brand dello squalo, oltre a presidiare il Sudafrica e gli Stati che si affacciano sul Mar Mediterraneo, è presente con spazi propri in Costa D’Avorio, Congo e Angola e sta guardando con attenzione alla Nigeria, dove l’insegna è per il momento presente

1. Gli interni del negozio Camicissima (Gruppo Fenicia) a Rabat, in Marocco

2. Il monomarca di Bottega Veneta all'interno del Morocco Mall a Casablanca, fashion destination per numerose griffe del lusso

3. Uno scatto della nuova campagna pubblicitaria di Paul&Shark, presente in molti Paesi del continente africano 4. Una modella sulla passerella di Chanel a Dakar, capitale del Senegal, in occasione della presentazione della collezione Métiers d’Art all’interno di negozi multimarca. «Il nostro progetto a breve-lungo termine - informa l’a.d. - è quello di seguire da vicino, grazie ai nostri partner locali, l’evoluzione dei diversi mercati, per valutare l’eventuale apertura di monomarca non appena percepiamo che si sta creando una base di consumatori sufficientemente estesa da poterne garantire il buon funzionamento». Lo stesso percorso - dal multibrand al monobrand - è quello praticato da Artioli, luxury brand di calzature presente nelle più importanti fashion destination del Paese, dalla Nigeria al Congo, dall’Uganda al Sudafrica, come l’Hotel Hilton ad Abuja, frequentato dall’alta società locale e che «sin dall’apertura, sei mesi fa, sta dando molte soddisfazioni», commenta Andrea Artioli, terza generazione dell’azienda di Tradate. L’imprenditore parla di consumatori (quelli naturalmente con alta capacità di spesa) dal gusto sempre più assimilato a quello dei mercati

Tra gli Stati emergenti spicca la Nigeria, sulla strada per diventare il terzo Paese più popoloso al mondo nel 2050

1,4 mld NEL 2023

2,5 mld

NEL 2050

4,5 mld

NEL 2100 più maturi, capaci di discernere la qualità, interessati ai marchi europei e a comprare soprattutto su ordinazione. «Recentemente abbiamo realizzato una ventina di paia di scarpe per il presidente della Liberia, l’ex calciatore e pallone d’oro George Weah, che ha preferito una griffe italiana a una turca o di altra provenienza», dice soddisfatto. «In Africa siamo pronti a investire - aggiunge - perché in futuro la domanda di beni di lusso aumenterà e noi per quel giorno vogliamo essere pronti». Il business plan è già chiaro: oggi il brand è presente nel canale wholesale con 23 shop-in-shop, ma l’obiettivo è di esordire nel retail «con l’apertura di 12 negozi monomarca nei

1. Lo spazio Replay presso lo Stars Center al Cairo

2. Uno scatto del Sandton City Mall in Sudafrica, che ospita numerose griffe internazionali 3. Un modello del luxury footwear di Artioli prossimi cinque-sei anni, in collaborazione con un partner», anticipa l’imprenditore, indicando la Nigeria come prima destinazione. «Un mercato - sottolinea Artiolipopolato da 216 milioni di abitanti, dotato di risorse energetiche e di materie prime e con l’intellighenzia che dall’estero sta tornando in patria». Il patron dell'azienda lombarda non è il solo a essere ottimista sulle potenzialità offerte da questo sterminato continente. Fabio Candido, alla guida del Gruppo Fenicia, è stabilmente presente in buona parte della regione dal 2017, dove ha progressivamente costruito un network retail con una decina di negozi a insegna Camicissima, dislocati in Sudafrica, Marocco, Mozambico ed Egitto, ma l’obiettivo è di «triplicare il numero dei negozi nei prossimi tre anni». Anche se l’humus fertile per far attecchire l’offerta è indubbia - «La camicia per molti africani ha un valore simbolico, perché espressione di un elevato status sociale», ricorda l’imprenditore - il percorso per far sedimentare il business non è altrettanto lineare, se si considerano l’endemica instabilità delle nazioni africane e il loro sistema protezionistico. «In quasi tutto il continente ci sono paletti per l’importazione, con dazi del 40-50%», spiega Candido, che parla anche di «sistemi di pagamento che allungano i tempi commerciali» e di «una crescente mobilità dei clienti danarosi, che sempre più spesso volano nei negozi a Milano o a Parigi, a scapito dello shopping domestico». Andrea Dini di Paul&Shark aggiunge altre criticità e limitazioni ai flussi di merce provenienti dall’Europa, come «la dogana che funziona secondo tempistiche molto lunghe che incidono sulla logistica e il trasporto e il problema delle valute locali, con svalutazioni che possono essere molto repentine e impattanti, tanto da far oscillare i prezzi anche dal 30% al 50%». Al fine di non commettere passi falsi quando si fanno affari con questo mercato, è d'obbligo considerare anche «l’assenza delle stagioni canoniche, con l’accorgimento - avverte l’imprenditoredi progettare collezioni adatte a un clima sempre relativamente caldo», e la difficoltà nel mettere subito a fuoco la posizione migliore per atterrare con la propria insegna, anche perché, trattandosi di città in repentino sviluppo, «una certa area può rivelarsi non più funzionale nel giro di poco tempo». Le controindicazioni per questo immenso continente dunque non mancano, ma non superano le “indicazioni”: «Gli africaniconclude Fabio Candido - hanno fame di prodotti europei e in loco ci sono, e ci saranno, grandi opportunità. Noi ne siamo convinti. L’Africa sarà uno dei mercati su cui nei prossimi anni investiremo di più». 

A MILANO I PRIMI

BLACK CARPET AWARDS

Leaders of change: diversity e inclusion

le leve per crescere

Solo unendo le forze e facendo network è possibile innescare il cambiamento. Questa la convinzione di Michelle F. Ngonmo, coraggiosa fondatrice di Afro Fashion Association, che dal 2015 lavora per mettere in luce i “talenti invisibili”, a partire da quelli provenienti dal continente africano. Con questa mission è nata la prima edizione dei Black Carpet Awards, andati in scena in occasione dell’ultima fashion week milanese. All’interno dell’associazione è nato un team di esperti in diversi settori – dalla moda al design, dall’arte al cibo, dalla musica al business, fino a sport e cinema – per dare visibilità a profili inascoltati e sottorappresentati, ma che possono trasformarsi in leader of change. Cinque i vincitori di questa prima edizione dell’evento, a cui hanno partecipato ospiti internazionali, come, Anna Wintour, Edward Enninful e Khaby Lame

Uno scorcio di vigneti in capo ad Argea, la nuova holding focalizzata sui vini fondata da Clessidra

L’AGRIBUSINESS NEL MIRINO DI FONDI E GRUPPI

Una filiera di eccellenza

Obiettivo internazionalizzazione