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I PERCORSI DELLE FORNITURE

NEL POST-PANDEMIA

Come cambiano i percorsi delle forniture

La parola a consulenti e addetti ai lavori

Reshoring: fra rischi e opportunità l’occasione per un’azione concertata

Dai timori di nuovi lockdown in Cina alla sostenibilità, le motivazioni per accorciare la supply chain non mancano. Il rientro delle produzioni in Italia resta però un’iniziativa a discrezione della singola impresa, al contrario di quanto avviene negli Usa

DI ELISABETTA FABBRI

Con la pandemia e le conseguenti criticità nella supply chain e nei trasporti si è tornati a parlare a più riprese di reshoring, la pratica di riportare un business, o parte di esso, nel Paese di origine. Ma non c’è traccia di statistiche recenti che diano un’idea del fenomeno, per quanto riguarda la filiera italiana della moda. Qualche indicazione si può ricavare dal report La manifattura al tempo della pandemia. La ripresa e le sue incognite, pubblicato circa un anno fa da Confindustria e curato dal suo centro studi con Re4it, un gruppo di lavoro che ha coinvolto le Università di Bologna, Bergamo, L’Aquila e il Politecnico di Milano. Si tratta comunque di dati preliminari, emersi da un questionario a cui avevano risposto 404 imprese del manifatturiero italiano nel

suo complesso. Il 75% di loro acquistava forniture da imprese estere alla data di chiusura del report e il 23% aveva realizzato un backshoring negli ultimi cinque anni ma, dentro questa quota, solo il 10% aveva riconfigurato la fornitura su base nazionale. Tessile e alimentare erano i settori che più avevano rilocalizzato in Italia i propri fornitori (quasi il 50% di questi comparti aveva modificato le scelte di offshoring) e alte concentrazioni emergevano anche nell’abbigliamento, nelle calzature, nei gioielli e negli articoli sportivi. Le principali motivazioni addotte dalle manifatture che avevano cambiato strategia erano il fatto che in Italia esistono ancora fornitori idonei e la possibilità di abbattere i tempi di consegna, a conferma che la fornitura nazionale è rimasta efficiente sul piano operativo. «Si sa di alcune realtà del made in Italy che si stanno muovendo per riportare la produzione in Italia, ma non esistono numeri ufficiali - conferma Marenza Vinci, executive director EY-Parthenon (braccio di EY dedicato alla consulenza strategica globale), Fashion&Luxury practice Europe West -. Quello che notiamo è soprattutto la ricerca di nuove aree alternative alla Cina da cui rifornirsi». «C’è più movimento dalla Cina verso altri Paesi che dalla Cina verso l’Italia - ribadisce Riccardo Montagnino, business advisor di EY-Parthenon Fashion&Luxury practice -. Mentre gli Stati Uniti, motivati anche dall’aumento dei dazi, hanno deciso in modo organizzato di ridurre gli investimenti in produzioni cinesi, l’Italia sembra muoversi in modo non strutturato, a discrezione della singola impresa». «Nella manifattura leggera - sottolinea Montagnino - la Cina sta a sua volta facendo tanto outsourcing. Inoltre sta spostando parte delle produzioni per la moda da dove erano diffuse, come Shenzhen, nella parte Sud-orientale, o il Sud del Paese, per portarle in aree più interne, dalla vocazione agricola, per esempio Chongqing e Chengdu, nella provincia del Sichuan. Altri bacini di produzione sono la Cambogia, il Vietnam e il Corno d’Africa». Quest’ultima destinazione, in realtà, è sulla carta ma dovrebbe diventare ricettiva nel giro di quattro-dieci anni, dopo investimenti governativi per la realizzazione di impianti, uffici, dormitori e scali merci. «L’Africa sarà destinata a coprire la fascia bassa di mercato e merceologie come l’intimo: un prodotto di piccole dimensioni e compatto, per cui ha senso la spedizione dalla Cina al continente africano - specifica Montagnino -. Per i prodotti in pelle non ha molto senso. Nell’area gli spagnoli stanno iniziando con i cappotti. Il denim invece si sta orientando su Turchia, Bangladesh e Mauritius». A tutt’oggi risulta che l’alto di gamma realizza in Asia semilavorati, in seguito completati o rifiniti in Italia o in area Euro. Anche se la Cina in questo caso la fa ancora da

In Italia esistono ancora fornitori idonei alla manifattura, efficienti e in grado di abbattere i tempi di consegna

La moda si sta in parte allontanando dalla Cina che, a sua volta, sta facendo outsourcing

MARENZA VINCI EY-PARTHENON

C’è la ricerca di aree alternative alla Cina, più che un vero e proprio rientro delle produzioni in Italia

RICCARDO MONTAGNINO EY-PARTHENON

Nel giro di 4-10 anni il Corno d’Africa potrebbe diventare una nuova area di sourcing

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padrona, in parte sta muovendo le lavorazioni verso Paesi limitrofi. La Repubblica Popolare si distingue per le lavorazioni in pelle. Magari il materiale è acquistato, tagliato e rifinito in Italia. Se le fasi di lavorazione hanno avuto luogo prevalentemente sul territorio italiano è consentito l’uso dell’indicazione “Made in Italy”. «Il ricamo è ancora appannaggio dell’India e ci sono aziende italiane che hanno rilevato delle fabbriche locali, per garantirsi lavorazioni di particolare pregio», aggiunge Marenza Vinci. Invece il Vietnam è da sempre un fornitore di capi tecnici e sportivi di qualità, grazie alla delocalizzazione dei marchi americani, già prima che si parlasse di guerra dei dazi. «Hanno costi di manodopera più bassi della Cina e modalità di lavoro più vicine a quelle occidentali - spiega Riccardo Montagnino -. Diverse aziende cinesi e italiane basate nella Repubblica Popolare stanno investendo nella produzione di sneaker, per contenere i costi ed esercitare un maggiore controllo della produzione. Le migliori sono made in Asia». Tentando di

completare la nuova mappa del sourcing si apprende pure che l’Est Europa non è più tanto interessante, a parte la Bulgaria, che però ha costi alti. La Tunisia sarebbe vicinissima all’Italia, facile da controllare e con un costo della manodopera basso, ma là è tutto da costruire e non ha materie prime, quindi resta un’opportunità ipotetica. «In Italia si nota, specie nell’accessorio e nel beauty, la nascita di poli per creare massa critica - osserva Vinci -. Il lusso sta creando delle eccellenze nei distretti ma ci sono anche aziende, non necessariamente della stessa area, che si stanno organizzando in conglomerati, diventando importanti partner per moda e lusso». Alcuni brand non del lusso hanno invece de-

In Italia, specie nell’accessorio e nel beauty, nascono nuovi poli per fare massa critica

I più grandi esportatori di abbigliamento nella mappa del Wto

Di anno in anno il Wto realizza la mappa dei maggiori esportatori di abbigliamento nel mondo (evidenziati in verde). Tra loro figura l’Italia, quarta nel ranking con 27,3 miliardi di dollari di export. Il maggiore esportatore è la Cina (176 miliardi di dollari), seguita dal Bangladesh (35,8 miliardi) e dal Vietnam (31,2 miliardi).

ciso di avvicinare le produzioni ai mercati di conferma del reshoring in atto - prosegue riferimento, per rispondere adeguatamente il presidente di Antia - ci sono realtà come alla domanda locale». il Gruppo Florence». Fondato nel 2020, «Un vero reshoring c’è nel lusso - ribatte presieduto da Francesco Trapani (ex nuAlberto Gregotti, presidente di Antia, mero uno di Bulgari) e guidato dal ceo l’associazione nazionale dei tecnici profes- Attila Kiss, il gruppo è arrivato ad aggresionisti del sistema moda -. Gli imprendi- gare una ventina di eccellenze della moda tori italiani si sono accorti che possono pro- tra cui le più recenti Taccetti, produttore durre meno guadagnando di più, a patto di fiorentino di calzature femminili di alta alzare la qualità». «In realtà i veri produttori gamma e la marchigiana Ideal Blue Manidi made in Italy sono i francesi, che stanno fatture, attiva nella lavorazione del denim. comprando i laboratori italiani - dice pro- L’obiettivo della società - controllata da vocatoriamente -. Il problema un consorzio guidato da Vam sono proprio i laboratori: dalla Investments, Fondo Italiaprossima stagione sarà com- no d’Investimento (parteplicato trovare un posto dove cipato da Cassa Depositi e produrre, per soddisfare tutta Prestiti) e Italmobiliare - è la domanda vivace che c’è». attivare sinergie fra le azien«Inoltre manca un ricambio de che entrano nel polo del generazionale per la manodo- manifatturiero made in Italy, pera, tanto che le operaie alba- preservandone allo stesso temnesi e rumene adesso sono in po le singole identità. «I fondi Italia perché non si trovano cucitrici - aggiunge -. L’aumento ALBERTO GREGOTTI ANTIA sembrano sempre più orientati al “compra e costruisci”, della domanda di queste figure Il rientro delle rispetto al “compra e specula” è stato determinato proprio dal produzioni in Italia del passato - nota Gregotti -. rientro delle produzioni in Ita- sta evidenziando la Oggi serve più che mai l’ottica lia». Non è un caso che in set- scarsità di laboratori imprenditoriale anziché quella tembre sia stata inaugurata a Novara una nuova sede dell’Istituto Secoli (nelle ex Offie di manodopera specializzata finanziaria, della rincorsa al dividendo». In questo momento, secondo il presidente di Ancine Grafiche De Agostini) tia, sono favorite le aziende per formare esperti della prototipia. L’ini- italiane che hanno ancora al loro interno ziativa coinvolge anche il Comune e alcune una componente industriale, «ma si devono aziende presenti sul territorio con produzio- comportare come le francesi, riconoscendo ni e logistica come Alexander McQueen, le nostre abilità anche in termini salariali, Gucci, Herno, In.Co. Industria Confe- altrimenti si rischia di perdere tutto il know zioni, Versace e Zamasport. «A ulteriore how». «Inoltre - aggiunge - credo che molti

marchi abbiano esagerato nel voler diventare anche retailer. Forse dovrebbero tornare a concentrarsi di più sul loro core business. L’Italia può realizzare prodotti di alto livello, mentre l’estero non ne è capace. Quando gli stilisti hanno spostato la produzione hanno abbassato la qualità». Gianluca Tanzi, ex Brooks Brothers, da poco più di un anno ceo della divisione tessile della francese Chargeurs (Chargeurs Pcc Fashion Technologies e Chargeurs Luxury Materials) conferma il reshoring in corso anche per marchi europei dei segmenti premium/affordable luxury e fast fashion, che via via stanno avvicinando le produzioni dall’Asia. «Cina, Vietnam, India, Sri Lanka, Americhe: noi siamo attivi da sempre in varie aree geografiche, ma vantiamo una presenza importante in Europa e parte della produzione è ancora in

In un momento di mercato vivace per il lusso sono favorite le aziende che hanno mantenuto la componente industriale

Francia - racconta -. Dopo i lockdown abbiamo realizzato nuovi accordi per alcune tipologie di prodotto, per esempio in Turchia. L’obiettivo è ridurre i rischi derivanti da nuovi lockdown in Cina e far fronte al rischio Paese, nel caso alcune aree di approvvigionamento diventassero “calde”». Di fatto il gruppo francese, noto nel tessile per le interfodere e la lana merino premium Nativa, ha duplicato e talvolta triplicato alcune attività per ridurre i rischi dall’esposizione in Cina e ha riallocato i magazzini al di fuori del Grande Paese. «Non è stato un processo facile - ammette Tanzi -. Abbiamo cambiato sistema informatico, che include la possibilità di pianificare con l’Intelligenza

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Artificiale, così da poter individuare velocemente diverse alternative, tenendo conto di fattori chiave come le tempistiche e i costi». «I prezzi delle produzioni europee e turche sono diversi da quelli asiatici - puntualizza -. Probabilmente l’anno prossimo si vedrà una incremento del 30% sui listini. Tutti i marchi che vogliono essere sostenibili, del resto, devono comprare in Europa: vedremo in futuro che evoluzioni ci saranno in proposito». E se la pesante politica zero Covid in Cina sta facendo sì che anche i megavendor di Hong Kong stiano spostando le produzioni di abbigliamento, per il tessile è più difficile. «L’Italia può rimanere e sviluppare un’area tessile importante, magari insieme a Spagna e Portogallo, ma necessita di capitali e di una politica industriale, che includa, per esempio, contributi a fondo perduto», dice il manager con un passato in Geox, Luxottica e Benetton. L’abbigliamento di lusso ha già come punto di riferimento l’Italia, mentre le produzioni di massa possono rivolgersi, a suo parere, all’Albania, con costi talvolta inferiori al Vietnam o all’Egitto. Il Nord Africa sarebbe già pronto a una produzione per i marchi medi, «ma mancano imprenditori che organizzino il business». E mentre ci si chiede se altri investitori vorranno replicare la piattaforma produttiva del Gruppo Florence, Tanzi vede più difficile che si possa ricreare in Italia il modello alla Li&Fung, il conglomerato asiatico che partito agli inizi del Novecento con l’export di porcellane e sete dalla Cina oggi gestisce una delle più estese reti globali di supply chain al mondo, conta circa 15mila addetti in oltre 230 uffici e centri di

1. Diadora ha riportato a Caerano San Marco (Tv) la produzione di alcune calzature sportive 2. L’India resta un fornitore di riferimento per alcune lavorazioni 2. Nel 2021 Benetton Group ha potenziato le basi produttive in Croazia, Serbia, Turchia e Italia distribuzione in 40 mercati diversi. «Il reshoring, ma anche il nearshoring, ossia lo spostamento delle produzioni in geografie a corto raggio, sono temi caldi da almeno cinque anni - dichiara Erika Andreetta, Emea Fashion & Luxury Leader e partner di PwC Italia - ma sono diventati scottanti nell’ultimo anno, viste la situazione geopolitica globale e le difficoltà di approvvigionamento in tutti i settori produttivi». «Le aziende - aggiunge Andreetta - si sono rese conto dell’importanza di avere una supply chain agile e flessibile, della necessità di migliorare la pianificazione e del tracciamento di ordini, stock e logistica. In settori come l’automotive e le tecnologie la situazione è fortemente critica, GIANLUCA TANZI mentre per il tessile-moda più CHARGEURS PCC E che di un’emergenza, si tratta LUXURY MATERIALS dell’esigenza di essere all’alL’Italia può restare tezza del proprio storytelling». un’area tessile L’esperta di PwC fa l’esempio importante ma ha di Benetton che, riavvicinanbisogno di capitali do la produzione al bacino del e di una politica Mediterraneo, ha ottenuto beindustriale nefici in termini di velocità di risposta al mercato e di contenimento delle sovrapproduzioni. Ma c’è anche Diadora, la cui decisione di riportare in Italia alcuni processi produttivi risale al 2015, con l’obiettivo di investire sul valore dell’italianità e sui distretti d’eccellenza a rischio di scomparsa.

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1. La marchigiana Ideal Blue è entrata di recente nel polo delle eccellenze del made in Italy del Gruppo Florence 2. Il tessile di Chargeurs sta incrementando la produzione in Europa e Turchia per far fronte a eventuali nuovi lockdown in Cina

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per il sourcing, mentre l’alto di gamma vede un aumento della domanda - prosegue Erika Andreetta -. Alcune maison, come Chanel, hanno comprato i fornitori strategici durante il Covid, per sostenere e dare continuità alla domanda. Altri, vedi Gucci, hanno aiutato i fornitori con contratti di filiera. Probabilmente assisteremo a un nuovo ciclo di ac«Accorciando la supply chain - puntualizza quisizioni, mirate a categorie di prodotto e Andreetta - Diadora ha anche migliorato professionalità che interessano davvero. Pol’efficienza e l’interscambio tra le diverse fun- trebbe trattarsi, per esempio, della maglieria, zioni aziendali: la stretta collaborazione tra la che adesso sta crescendo ovunque». Si pensa produzione e il centro R&S ha reso l’efficien- che un progressivo orientamento a consumi za e la velocità di aggiornamento di alcuni più responsabili potrebbe incentivare la proprogetti incredibilmente rapide duzione in Italia. Stando a un e fruttuose. Anche i consuma- recente sondaggio condotto da tori hanno premiato l’impegno PwC, per le nuove generazioni nel voler avvicinare i proces- accorciare la filiera per favorire il si produttivi». «Se parliamo made in Italy e ridurre l’inquinadi tessile italiano - precisa - il mento dei trasporti rappresenta reshoring spesso non è com- un aspetto fondamentale nel pleto, dati gli alti costi di pro- classificare un’azienda di moda duzione nel nostro Paese, per come sostenibile. «Adesso sercui sta avvenendo un avvicina- virebbe un’azione forte e conmento dall’Asia a Paesi come Est Europa, Maghreb o Egitto, ERIKA ANDREETTA certata, per affrontare il tema del reshoring a livello di sistedal costo del lavoro più basso e con una logistica a corto raggio, con possibilità di trasporti su strada». Prato, il principale distretto tessile d’Europa, punta a rafforzare il suo rapporto PWC Servirebbe un’azione forte e concertata per affrontare il tema del reshoring a livello di sistema ma - auspica Andreetta -. Ci abbiamo provato anni fa, coinvolgendo il Mise ai tempi in cui era guidato da Carlo Calenda, ma ci siamo arenati su temi di competenza europea che ricon gli agglomerati tessili del Mediterraneo, guardavano la concorrenza sleale. Quello per avviare una rete di sourcing alternativa che stiamo affrontando ora è un problema all’area asiatica, come dimostra il proget- di concorrenza a livello europeo e sarebbe to Tex-Med Alliances, di cui Confindustria il momento di riprendere i colloqui, ragioToscana Nord è partner. «Ci sono gruppi nando anche con il resto d’Europa». «Tanto come Lvmh (vedi box accanto) e Prada che più - conclude - che si tratta di una filiera stanno facendo grandi investimenti in Italia che sta costantemente crescendo» 

SHOPPING DI ECCELLENZE Ai francesi piace fatto in Italia

La notizia non è stata confermata, ma nemmeno smentita: poco prima delle festività natalizie Chanel ha comprato il 60% della padovana FashionArt, specializzata nella confezione e nei trattamenti di denim di lusso (nella foto, una particolare tecnica di ricamo) e da circa 15 anni fornitrice della griffe parigina. Dal 1985 a oggi la maison è arrivata a contare in portafoglio 42 aziende fra case di métiers d’art e manifatture. FashionArt è la decima italiana in scuderia, insieme ai produttori di calzature Roveda, Gensi e Nillab Manifatture (Calzaturificio Ballin), al produttore di filati fantasia e tessuti Vimar 1991, alle realtà della pelletteria Mabi International e Renato Corti, alle concerie Samanta e Conceria Gaiera Giovanni e al produttore di maglieria Paima. A fare shopping in Italia prima che finisse l’anno è stato anche Lvmh, che ha rilevato il produttore di gioielli Pedemonte dal fondo Equinox. L’azienda con sedi a Valenza e Valmadonna, in provincia di Alessandria, ha all’attivo 350 artigiani ed è nata nel 2020 dalla fusione di diversi laboratori di produzione indipendenti. Pare inoltre che la controllata di Lvmh, Christian Dior, abbia messo le mani su ArtLab, azienda di Santa Croce sull’Arno (Pi), specializzata in stampa digitale e rifinitura a mano su pelle. In Toscana il colosso francese si sta muovendo su più fronti: ha stanziato 50 milioni di euro per uno stabilimento da 30mila metri quadrati dedicato a Fendi a Bagno a Ripoli e ha annunciato l’apertura di una sede produttiva per Givenchy. In programma ha anche uno stabilimento per le borse Louis Vuitton a Pontassieve, oltre all’acquisizione della maggioranza della conceria Nuti Ivo, nel distretto di Santa Croce sull’Arno. Salendo in Veneto, recentemente Lvmh ha annunciato la creazione di un polo produttivo a Castelfranco da parte di Conceria Masoni, di cui possiede una quota di minoranza.

ALTAGAMMA-BAIN MONITOR 2022 Lusso: i beni personali verso la vetta dei 580 miliardi di euro nel 2030

Nel 2022 il mercato globale del lusso raggiungerà i 1.400 miliardi di euro, in aumento del 21% rispetto al 2021, come stima l'Altagamma-Bain Worldwide Luxury Market Monitor 2022. I beni personali, che includono la voce abbigliamento e accessori, dovrebbero registrare un +22% a 353 miliardi. Nel 2023 questo segmento dovrebbe invece risultare fra 360 e 380 miliardi di euro, corrispondenti a un aumento sul 2022 tra il 2% e l’8%. L’incremento minore corrisponde a uno scenario “realistico”, dove una recessione colpirà i mercati maturi e ci sarà una lenta ripresa in Cina, con consumi sotto i livelli del 2021. Nello scenario migliore, il settore dovrebbe beneficiare della ripresa in Cina già nella prima metà del 2023 e del proseguimento della crescita positiva in Europa e Usa, dove la confidenza al consumo di lusso sarà solo marginalmente impattata da un potenziale scenario di recessione. Come puntualizzano gli analisti, la possibile recessione sarà diversa da quella del 2008-2009. Il 2023 potrebbe essere dominato dall’iper-inflazione e dalle ricadute cross-industry su scala globale, mentre la precedente crisi fu finanziaria (innescata dai mercati del credito e delle azioni) e su scala internazionale, non globale. Stavolta il mercato del lusso avrebbe una base di consumatori più ampia e più concentrata e le aziende sarebbero più customer-centric, con a disposizione più punti di contatto con i loro clienti. L’Altagamma-Bain Monitor 2022 prevede per il 2030 che il valore del mercato dei beni personali di lusso arrivi a 540-580 miliardi di euro (ipotizzando un cagr 20222030 fra il 5% e il 7%). Fra otto anni il peso dei diversi canali dovrebbe cambiare a favore dell’e-commerce, che dovrebbe raggiungere il 32-34% delle vendite totali, dal 21% previsto per il 2022. Per i monomarca è stimata una quota del 30-32% del mercato (dal 34%). Gli outlet sono previsti in discesa all’8-10% (dal 12%), mentre gli specialty store dovrebbero calare al 10-12% (dal 15%). In contrazione anche i department store, dal 15% all’11-13%, mentre il peso del travel retail potrebbe salire dal 3% al 4-6%.

L'evoluzione del mercato dei personal luxury goods

’19-30F CAGR ’22E-30F CAGR

6/7% 5/7%

~2,5x

2020 LUXURY MARKET

540-580

281

220 290 353 360-380

2019 2020 2021 2022E

Fonte: Altagamma-Bain Worldwide Luxury Market Monitor 2022

2023F 2030F

MA I RICAVI DEL BEAUTY GROUP VANNO GIÙ Tom Ford nelle mani di Estée Lauder

Estée Lauder è il nuovo proprietario della fashion house Tom Ford, di cui è partner dal 2005 per il beauty. Il colosso americano dei prodotti di bellezza è riuscito ad avere la meglio sul gruppo francese Kering, nonostante la minore esperienza in ambito moda e nonostante in questo periodo non brilli come performance di bilancio. Nel primo trimestre fiscale terminato il 30 settembre i ricavi di Estée Lauder sono scesi del 5% su base organica, a 3,93 miliardi di dollari. L'utile operativo rettificato è calato del 26% a cambi costanti e l'utile netto adjusted ha accusato un -24%. Per l'intero esercizio fiscale il management ipotizza un calo delle vendite del 6-8%, tenendo conto dell'impatto sfavorevole delle valute e degli accordi di licenza scaduti il 30 giugno 2022 per i marchi Donna Karan New York, Dkny, Michael Kors, Tommy Hilfiger ed Ermenegildo Zegna. Nel nuovo deal la Tom Ford è stata valutata circa 2,8 miliardi di dollari. Estée Lauder, che prevede di raggiungere il miliardo di dollari di ricavi in pochi anni con Tom Ford Beauty, pagherà direttamente 2,3 miliardi. Altri 250 milioni deriveranno da un accordo con il produttore italiano di occhiali Marcolin, per la gestione perpetua dell'eyewear Tom Ford (di cui si occupa già dal 2005). Il Gruppo Zegna, dal 2006 licenziatario del menswear del brand, ha invece firmato un'intesa per la licenza a lungo termine della divisione moda di Tom Ford, che include il prêt-à-porter uomo e donna, gli accessori, l’underwear, la gioielleria, il childrenswear, i prodotti tessili e l’homewear. Il perfezionamento dell’acquisizione di Tom Ford da parte di Estée Lauder è previsto nella prima metà del 2023. Lo stilista texano manterrà la direzione creativa dopo il closing e fino alla fine del 2023.

ALLA BORSA DI NEW YORK Debutto senza botto per Lanvin

Il 15 dicembre il Lanvin Group - la divisione moda del colosso cinese Fosun International - ha debuttato alla Borsa di New York. La società che ha in portafoglio, oltre all'eponimo brand francese, anche realtà come Sergio Rossi, Caruso, Wolford e St. John Knits ha raccolto 150 milioni di dollari, molto meno dei 544 milioni preventivati in marzo. Il listing è avvenuto al prezzo di 10 dollari per azione, che valuta il gruppo 1,31 miliardi di dollari, ma nel primo giorno di scambi le azioni hanno chiuso a 7,63 dollari (-24%). Si è trattato, in particolare, di un Special purpose acquisition company (Spac) listing, cioé di un collocamento attraverso una società veicolo. Circa il 97% delle azioni della Spac creata da Primavera Capital sono state però riscattate: gli investitori hanno chiesto la restituzione del capitale, anziché rimanere a bordo per la fusione con Lanvin.

MODA ITALIANA L'export sostiene il +16% dei ricavi 2022

Il 2022 della moda italiana (incluso tessile, pelle e pelletteria, bigiotteria e gioielli, occhiali e cosmesi) si chiuderà con un fatturato di 96,7 miliardi di euro, in aumento del 16% sul 2021. Lo si rileva dai Fashion Economic Trends della Camera Nazionale della Moda Italiana-Cnmi. A trainare le vendite è l’export, prospettato a 80,8 miliardi di euro (+19%). Limitatamente alla filiera dell'abbigliamento, pelle e calzature risultano particolarmente dinamici gli Stati Uniti (+54% nei primi nove mesi) e la Corea del Sud (+33%). La Francia è il maggiore buyer con 5,85 miliardi di importazioni (+24%). Gli acquisti da Cina e Giappone salgono rispettivamente del 19% e 18%. La Cnmi non azzarda previsioni per il 2023, «a causa dell'elevata incertezza sull'andamento delle principali variabili geopolitiche e geoeconomiche».

Le stime per il 2022

Valori in miliardi di euro

Fatturato 96,7 +16%

Export 80,8 +19%

Import 52,8 +28%

Saldo con l'estero 28,0 +5%

Fonte: Cnmi