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LORENZO OSTI/CP COMPANY

INTERVISTA Lorenzo Osti CP Company

«Genderless, Metaverso, resale: per CP Company evolvere è la taglia unica del successo»

Il marchio, acquisito nel 2015 da Tristate Holdings, è cresciuto fino a raggiungere (previsione 2022) i 100 milioni di euro. «Ci cercano le nuove generazioni, che conoscono la nostra storia e amano tutti i nostri prodotti. Anche la clientela femminile aumenta pur senza una linea donna», racconta Osti per spiegare il successo del brand

DI ANDREA BIGOZZI

Quando ne parla la chiama semplicemente CP. Di continuo. Come fosse una figlia, una sorella o un'amica. E c’è da credere che sia proprio così. Perché per Lorenzo Osti, CP Company è una questione di famiglia. Il padre Massimo ha fondato il marchio nel 1971 per poi rivenderlo nel 1984 e quando, nel 2015, il brand è tornato sul mercato (dopo un paio di passaggi di proprietà) ha convinto il colosso cinese Tristate Holdings Limited a investirci, tenendo per sé una piccola quota. All’epoca si partiva da una base-ricavi di 7 milioni di euro, nel 2022 la prospettiva per il brand è di superare i 100 milioni di fatturato. «Un risultato importante, che arriva sulla scia del 2021, segnato dalle celebrazioni del 50esimo anniversario. È stato un anno importante, perché ci ha dato l’occasione di guardare a quello che in 50 anni CP aveva fatto. Un patrimonio straordinario».

Ha passato il 2021 a fare regali ai clienti, con 10 progetti speciali in 12 mesi. Qual è stata invece la sopresa che le ha riservato questo anniversario?

Di sicuro la lettera con cui Giorgio Armani accettava la proposta di collaborazione e da cui è nata la capsule di CP con Emporio. Mio padre aveva una stima assoluta di lui, ma non era mai riuscito a lavorarci insieme. Mai avrei pensato

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1. Lorenzo Osti è dal 2019 presidente e general manager di CP Company 2. Un look Fall-Winter 2022/23

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di farcela, invece è arrivata la famosa lettera.

Quella con Emporio è stata la capsule di maggior successo?

Probabilmente è stata quella che ha generato i maggiori volumi, anche perché si trattava di una collezione molto ampia. Poi ci sono stati i casi di adidas e Barbour, andati sold out più velocemente. Ma anche i progetti più di nicchia sono stati un successo: abbiamo ristampato il libro monografico e la statua in porcellana con il nostro marinaio è andata subito esauruta.

Come se lo spiega?

È un fatto di credibilità. La credibilità è tutto per CP. Questo è un marchio che può contare su dei veri supporter, interessati al prodotto che facciamo e anche a come lo raccontiamo. Per loro le nostre collaborazioni sono da vivere, più che da mettere in mostra. Questo fa sì che le collaborazioni funzionino, ma non devono diventare uno strumento per attirare l’attenzione. Per questo continueremo a farle, anche nel 2022, ma nel rispetto del dna di CP.

Chi sono a distanza di 50 anni questi clienti-supporter?

In molti ci associano al casual inglese e a luoghi come Liverpool, Manchester e Londra, ma la

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verità è che stiamo assistendo a una trasformazione del nostro consumatore, che è sempre più giovane e vicino allo streetwear. In alcuni mercati, come il Sud della Francia, siamo letteralmente esplosi, con vendite in crescita a tripla cifra, grazie all’interesse che abbiamo suscitato all’interno di alcune subculture.

Come avete raggiunto la NewGen?

Non siamo andati a prenderla volontariamente, sono loro che sono arrivati da noi. Queste nuove generazioni conoscono la nostra storia, sono attente ai nostri prodotti e approfondiscono sulla nostra attività di ricerca. Questo è un aspetto che, oltre a gratificarci, ci dà certezza verso il futuro di CP.

Dopo i giovani, volete conquistare anche il pubblico femminile?

In passato una collezione donna c’è stata, ma oggi parlare di capi per lui o per lei sarebbe anacronistico. Entrare nel sistema del womenswear non ci interessa: CP è naturalmente genderless. Il nostro impegno è renderci compatibili con chiunque, indipendentemente da età e sesso. Tra i nostri clienti, poi, ci sono già molte donne: per questo abbiamo introdotto la taglia 44 e sul nostro profilo Instagram da un anno compaiono post con modelle come protagoniste. Così facendo sul nostro e-shop diretto la quota di acquirenti donna è passato dal 10% al 16%.

I modelli storici, come la Goggle Jacket del 1988, restano i vostri best seller?

La Goggle Jacket è un’icona e lo resterà per sempre, ma se come penso, nel 2022 CP arriverà a fatturare 100 milioni di euro, è perché ormai tutte le categorie merceologiche contribuiscono alla sua crescita. La felperia è il best seller del momento, seguita dai capispalla. I pantaloni, che in passato

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1. Un'immagine dal profilo Instagram di CP Company, dove da un anno vengono pubblicati post con donne protagoniste. 2. Il flagship store di Milano in corso Matteotti, in arrivo store anche Marsiglia, Parigi e Londra faticavano a imporsi ora stanno conquistando il mercato e sono al quarto posto tra le merceologie più vendute, nonostante un prezzo mai sotto i 250 euro.

Il record di fatturato è legato anche al potenziamento della distribuzione?

Al contrario, i risultati sono stati ottenuti tenendo la mano saldamente sul freno. Avremmo potuto ampliare il nostro network wholesale che attualmente conta circa 1.200 clienti nel mondo, ma a partire da questa stagione autunno/inverno adotteremo una logica più selettiva, confermando solo partner che garantiscono certi standard qualitativi. Non ci siamo dati obiettivi, ma vogliamo che CP si trovi solo nei contenitori giusti.

Ci saranno più investimenti sul retail?

Continueremo a crescere, ma senza strafare. Questa primavera apriremo a Marsiglia con un player locale e poi sarà la volta di un flagship store diretto a Parigi. Era un investimento messo a budget nel 2023, ma i risultati incredibili di CP in Francia ci stanno facendo venir voglia di anticipare il progetto. Ci sono molte novità anche per la Gran Bretagna, che resta il nostro primo mercato e dove Four Marketing Group continuerà a gestire solo il wholesale, mentre andremo diretti con il retail e l’e-commerce con due/tre opening nei prossimi mesi: prima arriverà Londra, poi Manchester.

Alle sfilate uomo e donna le aziende hanno ospitato sperimentazioni nel Metaverso: anche da CP dobbiamo attenderci sorprese digitali?

Il Metaverso lo stiamo studiando ed è qualcosa che presto faremo, ma non mi interessa che CP sia un early adopter. Siamo nel pieno di una bolla che probabilmente scoppierà, ma ciò non toglie interesse a questo mondo virtuale, dove si muovono le nuove generazioni chi lo ignora rischia di invecchiare precocemente.

Avete pronto un progetto resale?

Ce lo avevamo e gli avevamo anche trovato un nome Vintage Buy back, ma quando lo avevamo immaginato, nel 2019, i tempi non erano ancora maturi. Il programma prevedeva la valutazione e l’acquisto da parte dei clienti per poi rimetterli in circolo. Gestire la piattaforma internamente era troppo impegnativo e ci siamo fermati. Ora esistono player specializzati che hanno dalla loro una macchina collaudata e appena avremo più tempo riprenderemo in mano il progetto, che è decisamente in linea con CP. ■

Alessandro Pungetti (a sinistra) e Paul Harvey (a destra) condividono dal 2012 la direzione creativa di CP Company. Ma la relazione tra il marchio e Pungetti è ancora più duratura: lo stilista aveva già guidato lo stile di CP Company dal 2001 al 2009. Paul Harvey, invece, è stato in precedenza designer di Stone Island, dal 1995 al 2007.

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