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DIETRO L’IMPERO DI CHRIS XU

DIETRO L’IMPERO DI CHRIS XU

Sotto la lente processi e business model

Punti di forza e criticità

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Il nuovo drago cinese si chiama Shein

Prezzi stracciati. Offerta sterminata. Produzione on demand e totalmente in house. Identikit di un player che va più veloce di Zara ed H&M, che non parla al mercato ma solo sui social. E che continua a crescere, anche in tempi di battaglie antispreco e slow fashion

DI ANGELA TOVAZZI

Top da 3 euro, abiti da 7, jeans da 16. Capi per tutte le taglie e un campionario sterminato di 600mila articoli. Siamo nel paradiso dell’acquisto compulsivo. Ovvero nel regno di Shein, il player cinese di fast fashion che marciando in sordina - profilo basso, zero pubblicità, niente interviste - è passato dai 50 milioni di dollari di fatturato del 2012, quando è nato, ai 10 miliardi del 2020, con crescite medie del 100% ogni anno. Ed entro il 2022, secondo le previsioni di Morgan Stanley, potrebbe raggiungere i 20 miliardi, diventando il più grande marchio di moda al dettaglio del mondo. Numeri che non permettono di liquidarlo semplicemente con l’appellativo di re della moda trash, come parte dell’establishment del settore tende a considerarlo, sebbene la sua opacità riguardo alle social practice (responsabilità ambientale e condizioni di lavoro in primis) lo pongano in una posizione controversa, specialmente in questa fase, in cui la fashion industry occidentale sta affrontando una trasformazione titanica vervelocissima, prezzi stracciati, addirittura ridicoli, e un dialogo serrato sui social media. Quello che Amancio Ortega, patron di Zara, ha inventato oltre 30 anni fa, Shein lo ha portato alla sua più estrema evoluzione, grazie a un ultra fast fashion prodotto totalmente in house, che fa piazza pulita degli intermediari e vende direttamente sul web a Europa e Stati Uniti (suo principale mercato), ingaggiando i clienti finali su Tik Tok, Instagram e You Tube. «Shein - commenta Dario Golizia, docente e autore di Fashion Business, Teoria e casi di Strategic Fashion Management - ha implementato uno dei modelli di business più aggressivi in assoluto. Ha copiato lo schema tipico del tradizionale fast fashion, apportando delle innovazioni che lo differenziano rispetto ai leader Inditex e H&M, in quanto ha ridotto i tempi di produzione e consegna, consentendo un cambio dell’assortimento ancora più repentino rispetto ai competitor con una distribuzione prevalentemente fisica». Shein non è

so la sostenibilità. Se le origini di Shein sono confuse (a partire dal suo misterioso fondatore, Chris Xu, che nel corso degli anni ha cambiato diversi nomi), la sua traiettoria è invece chiarissima: conquistare la Generazione Z a colpi di moda veloce, anzi

SHEIN, NUOVO LEADER DEL FAST FASHION NEGLI STATES

% market share  Jan 2021  Jun 2021

Shein

Zara

H&M

Forever 21

Fashion Nova

Other

0 5 10 15 20 25 30

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infatti una semplice piattaforma di vendite online, ma una fabbrica 4.0 che si avvale di circa 3mila fornitori cinesi, di cui circa 1.400 nella sola regione di Guangzhou, che producono a ciclo continuo ma on demand, in base al termometro delle tendenze e dei like. Qui sta il segreto di Chris Xu, espertissimo di Seo: essere veloce e chirurgico nell’estrapolare dal web i trend, veloce e mirato nel tradurli in prodotto, veloce nell’immetterli sul mercato, ancora più veloce nel realizzare su vasta scala ciò ha colpito nel segno. Vicinanza geografica dei siti produttivi, intelligenza artificiale, deep e machine learning, un software denominato Lacr (modello di test e riordino automatizzato su larga scala) sono gli ingredienti base della sua ricetta di business, che è riuscita a battere sul tempo due velocisti come Inditex e H&M. Facciamo un esempio: se Gigi delle macchine se prende piede. Tutto questo in tempi strettissimi: parliamo di 3-6 giorni, contro i 14 di Zara. «Shein - commenta l’analista Luca Solca - ha saputo sviluppare il modello Inditex in maniera ancora più veloce e riesce a essere sul mercato con i prodotti che “vendono” in tempi molto rapidi e a un prezzo decisamente basso. Una grande parte dei consumatori trova questa proposta utile, da qui la sua repentina crescita». A fare la differenza con i competitor sono in particolare la comunicazione real time con i fornitori e il modello B2C, che bypassa anelli della catena come logistica e negozi, per approdare direttamente nella vetrina di Internet. A valle l’offensiva di Shein si fa ancora più risoluta e fa comprendere come questo pla-

La ricetta di Shein? Produzione local, niente intermediari, dialogo diretto con i consumatori

Hadid posta su Instagram un top maculato e la Rete si entusiasma, i segugi di Shein portano subito l’input in cascina per trasformarlo in realtà, ma con un’accortezza: produrne solo 50 o massimo 100 pezzi e fare prima un test sull’e-shop, in modo da abbandonare l’articolo se non trova il seguito sperato, oppure aumentare il ritmo

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1. Shein presenta le novità con una sfilata 2. 3. 4. Alcuni modelli venduti sull’e-store 5. Dipendenti al lavoro in uno degli hub dell’azienda

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2 miliardi per un nuovo hub in Cina

Shein mostra i muscoli e rafforza la sua presenza a Guangzhou.

Un nuovo centro logistico a Guangzhou per Shein. Il colosso asiatico ha deciso di investire 15 miliardi di yuan, corrispondenti a poco più di 2 miliardi di euro, per la costruzione di questo nuovo polo. Secondo un documento ufficiale pubblicato dalla Commissione regionale cinese per lo sviluppo, il progetto dovrebbe riguardare una superficie grande come tre campi da calcio.

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1.Una delle immagini che sul sito invita a diventare “Sheingal” 2. Abiti pronti per la spedizione 3. Un modello in vendita yer abbia saputo cavalcare con decisione l’esplosione del social sharing, puntando su un uso pervasivo delle piattaforme utilizzate dagli under 30 e la forza trainante di influencer (soprattutto micro), sulle quali Chris Xu ha iniziato a scommettere già dal 2012, anticipando i concorrenti. «Shein - interviene Francesca Romana Rinaldi, docente, direttrice Monitor for Circular Fashion Sda Bocconi e autrice di Fashion Industry 2030 - sa rivolgersi alla Gen Z in maniera efficace e diretta, attraverso la rilevanza dei messaggi per il target, sapendo leggere le loro caratteristiche demografiche, come le plus size, e nella velocità di risposta immediata alle richieste dei consumatori, guidate dagli stessi social media». La parola d’ordine è online entertainment: su Instagram, YouTube e specialmente Tik Tok spopolano le #Sheingals, letteralmente le ragazze di Shein, che in cambio di visibilità (e in certi casi di percentuali sulle vendite) coinvolgono i loro follower con promozioni e codici sconto. Una volta atterrati sull’e-store, è difficile sfuggire alle sue sirene ammaliatrici: prezzi già di per sé irrisori diventano una potente calamita con la politica di gamification messa in atto dall’azienda, che premia con punti i clienti che visitano più di una volta il sito, valutano una foto, seguono le dirette e gli #Sheinhauls. Solo Primark gli fa concorrenza sul pricing, ma - lo ricordiamo - si trat-

Niente vendite in madrepatria: Shein esporta in 150 Paesi, con Usa in pole position

ta di un retailer che opera per il momento esclusivamente nel commercio fisico. Resta un fortissimo dubbio: come può un operatore low cost come Shein, seppur affidandosi a fabbriche che non distano più di cinque ore di macchina dagli headquarters, riuscire a essere sostenibile, come proclama sul suo sito? Nella sezione “Responsabilità sociale” la società scrive che produce «solo 50-100 pezzi per nuovo prodotto, in modo che nes-

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suna materia prima venga sprecata» e che «solo quando confermiamo che un articolo è molto richiesto implementiamo la produzione su larga scala». Un discorso antispreco che però non assolve Shein sul fronte sulle social practice. Nayla Ajaltouni, attivista del collettivo Éthique sur l’étiquette, su FranceInfo ha sottolineato che i prezzi stracciati di Shein non possono che andare a scapito dei lavoratori, con turni per i fornitori da 11 a 13 ore al giorno e con un riposo al mese se va bene. Senza parlare dell’impegno prettamente ecologico, nonostante la società dichiari di utilizzare il più possibile poliestere riciclato, di adottare processi di stampa meno inquinanti rispetto alla serigrafia tradizionale, di aver implementato progetti di riciclo che incentivano i consumatori a consegnare indumenti usati in cambio di nuovi prodotti. «Shein - osserva Celeste Corso, designer e docente di Supply chain e sostenibilità all’Istituto Marangoni - dichiara di essere sostenibile, ma la sua è una mera operazione di green washing. Con quei prezzi e relativi costi di produzione è impossibile che adotti un modello strategico realmente improntato alla sostenibilità. La sua vocazione

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1. Operaie al lavoro 2. Pacchi in magazzino 3. Il momento del taglio non è essere sostenibile, ma rubare quote di mercato agli spazi lasciati vuoti dai leader del fast fashion. Questi ultimi, attraverso capsule collection ad hoc e facendo ingenti investimenti in comunicazione hanno migliorato la percezione, e ripeto percezione, che il mercato ha circa il loro impegno ecosostenibile. Hanno così aumentato i listini, lasciando un vuoto nella fascia di primo prezzo, occupata da Shein». Secondo Francesca Romana Rinaldi, «Adam Whinston, in qualità di global head of Esg di Shein, ha certamente delle grandi sfide da affrontare. Per modificare concretamente il proprio modello di business non basta lanciare una capsule, aggiungere una linea premium che strizza l’occhio alla sostenibilità o affermare che grazie alla produzione on demand si azzerano resi e rimanenze. Occorre invece lavorare su un sistema di tracciabilità e trasparenza, utilizzare fibre e materiali sostenibili e circolari in tutte le Sku, estendere la vita dei capi anche attraverso programmi di take back, fare educazione dei consumatori, proponendo opzio-

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ni di consumo collaborativo, come affitto e seconda mano, fornire consigli su come prendersi cura dei capi, partendo dalla riparazione». E su questo Shein, rispetto anche ai cugini Inditex e H&M, è molto indietro. Resta il fatto che la sua ascesa repentina è sotto la lente del mercato, e non solo quello presidiato dal fast fashion: nel maggio scorso ha strappato ad Amazon il primo posto delle app per lo shopping più scaricate negli Stati Uniti e circolano rumour sempre più insistenti su una sua possibile quotazione a Wall Street. Se l’operazione andasse in porto, si tratterebbe della più grande Ipo mai realizzata da una società cinese sul listino americano. Secondo Morgan Stanley la presenza di Shein ha pesato con forza sulle recenti prestazioni al ribasso di alcuni e-tailer europei e la crescita vertiginosa di questo player, trascinata da una corrente deflazionistica, potrebbe costituire una minaccia non solo per i competitor, ma per il business moda nel suo complesso. Soprattutto

Basso profilo, comunicazione inesistente: Shein preferisce il passaparola delle #Sheingals

perché non c’è da escludere che nei prossimi anni possa emergere un’altra generazione di imprenditori disruptive come Chris Xu, che puntando su velocità supersonica, prezzi bassissimi e - soprattutto - progettazione e produzione in Cina, siano in grado di cambiare il mercato. E l’immagine stessa del Dragone: non solo fabbrica del mondo, ma fucina creativa capace di esportare pezzi “Designed in China”. ■

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E intanto Zara e H&M studiano l’upgrading

Crescono i prezzi e aumentano le collezioni premium

I due maggiori esponenti del fast fashion mondiale cominciano a cambiare pelle, sulla spinta delle nuove correnti ecologiste a favore di un consumo più consapevole e come strategia per mantenere i profitti in un momento di mercato contrassegnato dall’aumento dei prezzi delle materie prime, dal caro energia e dalle interruzioni nella catena di approvvigionamento, ma anche per differenziarsi e contrastare l’irruzione di competitor molto aggressivi come Shein. Nel 2021 i colossi della moda veloce Inditex e H&M hanno intrapreso un nuovo percorso di upgrading nell’offerta e, parallelamente, alzando i listini. Secondo i dati forniti da Retviews, la moda premium per il gruppo iberico è passata dal 4,1% del 2020 al 4,8% del 2021, grazie anche al lancio di linee come Studio Collection e Zara Origins, sinonimo di pezzi timeless. Nel caso della società svedese, il peso dell’assortimento premium è passato dal 5,49% al 5,6%, con un focus sempre più forte su collezioni come Conscious Exclusive o Innovation Circular Design Story. L’aumento dei listini ha fatto da specchio a questa evoluzione verso l’alto: nel 2021 il prezzo medio dei capi di fascia alta di Zara è salito del 19%, a 60 euro (rispetto alla media di 33 euro). Nel caso di H&M, l’aumento è stato minore, del 3,2%, anche se i pezzi sono generalmente più elevati, in media 66 euro, rispetto ai 24 euro per il resto degli articoli in vendita. (a.t.)

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