Ut unum sint | Giuseppe Cosentino

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giuseppe cosentino Ut unum sint
Centro studi per il dialogo religioso tra Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa
tesi | architettura design territorio

Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “La tesi si distingue per la particolare sensibilità nell'affrontare il rapporto con l'antico e il paesaggio, riuscendo a costruire spazi di straordinaria intensità”.

Commissione: Proff. G. Anzani, M.G. Eccheli, F. Mugnai, F.Sciurpi, P. Zermani

in copertina

Dettaglio degli affreschi conservati nella Cattolica di Stilo

progetto grafico didacommunicationlab

Dipartimento di Architettura

Università degli Studi di Firenze

didapress

Dipartimento di Architettura

Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121

© 2023

ISBN 978-88-3338-192-3

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset

giuseppe cosentino Ut unum sint

Centro studi per il dialogo religioso tra Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa

“La Calabria sembra essere stata creata da un Dio capriccioso che, dopo aver creato diversi mondi, si è divertito a mescolarli insieme.” Con queste parole Guido Piovene fotografa con efficace sintesi la complessità del territorio calabrese, che per la sua posizione geografica è stato da sempre un crocevia nel centro del mediterraneo, un paesaggio creatosi per sedimentazioni e stratificazioni successive di culture diverse che in questa terra hanno realizzato nel tempo un potente nucleo di tradizioni e hanno contribuito a definire un’identità plurale. Spesso si associa la Calabria solo alla Magna Grecia, un passato classico di cui rimangono pochissime tracce e non si ricorda che le coste calabre, ieri come oggi, sono state nella storia mete di conquiste e rifugio per molti e diversi popoli del mar Mediterraneo.

Il piccolo borgo di Stilo, affacciato sulla costa jonica, è un modello perfetto della complessità storica e culturale del territorio calabrese. Stilo rappresentò infatti il primo porto sicuro per i monaci basiliani che perseguitati in oriente si rifugiarono in Calabria e pervasero la Magna Grecia, attraverso il culto dell’icona, della spiritualità bizantina. La proposta progettuale di Giuseppe Cosentino è un centro studi per il dialogo ecumeniuco tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa che trova come riferimento le architetture eremitiche basiliane, prototipi di spazi di contatto e dialogo tra Occidente e Oriente. Il progetto si sviluppa dal confronto diretto con ciò che resta del convento domenicano, luogo di vita di Tommaso Campanella, e dal significato di memoria e continuità temporale che con quelle rovine è ancora possibile stabilire.

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Presentazione
pagina precedente La Cattolica di Stilo

"Quanto s'è detto del sonno andrebbe ripetuto, con scarse modifiche, di ogni trapasso da sfera a sfera. Così nella creazione artistica l'anima è sollevata dal mondo terreno ed entra nel mondo celeste. Lì senza immagini si nutre della contemplazione dell'esistenza del mondo celeste, tocca gli eterni noumemi delle cose e, impregnata, carica di conoscenza torna al mondo terreno"

(P. Florenskij, pp.34)

Le prime tracce della città di Stilo sono riferibili a Kaulonia, colonia greca che sorgeva sulle coste del mar Jonio, di fondazione Achea, intorno al VIII secolo a.C. L’episodio più noto della storia di Kaulonia è l’assedio di cui fu vittima la città nel 388 a.C. ad opera di Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa. La città, malgrado beneficiasse dell’aiuto della lega Italiota e di Velia in particolare, fu distrutta l’anno seguente. Il suo territorio, che precedentemente era stato strappato a Crotone, fu ceduto a Locri, città fedele a Siracusa. La città ricostruita da Dionisio il Giovane, fu in seguito occupata dai cittadini di Reggio Calabria nel 280 a.C. Nel 209 a.C. Annibale la difese dai romani, i quali riuscirono a conquistarla nel 205 a.C. Da allora Kaulonia non fu più praticamente abitata, rimase solo un piccolo villaggio sull’itinerario costiero.

Intorno al VII d.C. la popolazione, devastata dalle incursioni Saracene, in-

Stilo

Città tra Oriente e Occidente

traprese un esodo verso l’entroterra, insediandosi sulle pendici del monte Consolino, fondando così l’attuale Stilo. Il nome stesso della città, “stylos”, è riferibile alla forma del monte che appare come una colonna isolata nella vallata alta 700 metri. Fin dal periodo classico, il Consolino svolse il ruolo di montagna sacra per poi diventare nel 731 d.C. il rifugio dei monaci basiliani perseguitati in oriente dalla politica iconoclasta dell’imperatore di Bisanzio Leone III. I monaci bizantini scelsero di isolarsi sul monte Consolino in grotte naturali; le “lauree”, spazi romiti adatti alla vita ascetica.

Nel IX secolo i padri basiliani organizzarono le “lauree” intorno ad una chiesa comune: il Katholikon di Stilo, oggi conosciuto come la Cattolica; una delle maggiori architetture di epoca bizantina costruita in Calabria tra il IX e il XII secolo.

I Normanni conquistarono il borgo di Stilo nel 1072. Per la sua posizione strategica, a dominio dell’intera valle del torrente Stilaro, il borgo fu eletto a Regio Demanio e fortificato con la costruzione di un castello difensivo. Il castello fu edificato sulla cima del monte Consolino intorno al secolo XI per diretto volere di Ruggero II il Normanno, a scopo difensivo e di sentinella sulla valle, e quindi sui territori della Calabria meridionale. Di pianta quadrata, il

castello si estendeva su una vasta area circondata per intero da possenti mura merlate, lungo le quali si aprivano torri circolari, quadrate e triangolari. All’interno, nella zona centrale dell’edificio, sorgeva una cappella di cui sopravvivono oggi solo alcuni tratti dei muri portanti. La dominazione normanna apportò al territorio stilitano radicali trasformazioni a livello paesaggistico e culturale. La città fu fortificata con una possente cinta muraria e furono costruite cinque porte di accesso. Nella descrizione de La città del Sole, Tommaso Campanella, nato proprio a Stilo, restituisce un’’immagine precisa della sua città natale:

“Sorge nell’alta campagna un colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri molto spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto, che la città fa due miglia di diametro e più, e viene ad essere sette miglia di circolo; ma, per la levatura, più abitazioni ha, che si fosse in piano.

É la città distinta in sette gironi grandissimi, nominati dalli sette pianeti, e s’entra dall’uno all’altro per quattro strade e per quattro porte, alli quattro angoli del mondo spettanti [...]Nella sommità del monte vi è un gran piano ed un gran tempio in mezzo, di stupendo artifizio”. (T. Campanella, p.23-24)

La politica inaugurata da Roberto il Guiscardo, con il giuramento di vassal-

laggio fatto a Papa Niccolò II nel 1059, non consisteva nel combattere ed eliminare la tradizione greca, bensì nel ricondurre le sedi vescovili, che si trovavano sotto la giurisdizione del patriarcato di Costantinopoli, all’obbedienza romana.

La progressiva estraneazione dall’Oriente ortodosso, accentuata dalla crescente latinizzazione, determina la diffusione di nuovi ordini monastici, soprattutto francescani, domenicani e delle clarisse. Nel contesto delle donazioni normanne assume una particolare rilevanza quella fatta il 7 maggio 1093, dal conte Ruggero I a San Bruno di Colonia, per la fondazione della prima Certosa in Italia, nei territori tra Stilo ed Arena. La primordiale struttura aveva un carattere eremitico, con piccole celle distribuite intorno alla chiesa conventuale: un edificio in muratura di piccole dimensioni, probabilmente simile alla Cattolica. Quando San Bruno morì il 6 ottobre 1101, i monaci iniziarono la costruzione della certosa, che nei secoli si ampliò sempre di più, per volere anche del papa Leone X. Lo stesso Leone X il 19 luglio 1514, autorizzò il culto di San Bruno con sentenza orale (vivae vocis oraculo), e il 17 febbraio 1623 Gregorio XV ne estese il culto alla Chiesa universale, da celebrarsi nell’anno liturgico il giorno 6 di Ottobre.

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pagina precedente Beato Angelico, (part.), Tebaide, 1418-20, Galleria degli Uffizi Interno della laura del Monte Stella
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Grotta del Monte Stella

La bolla papale del 29 Marzo 1480, abolì definitivamente il rito greco in Calabria, portando all’obbedienza romana tutte le diocesi che dal VIII secolo dipendevano dal patriarcato di Costantinopoli. Il passaggio dal rito greco a quello latino porterà inevitabili contaminazioni tra le due culture: innanzitutto si passò dal greco, che era lingua di Stato, al latino; sul piano iconologico si verificò un sincretismo religioso che significò il trasferimento del rapporto di consustanziazione fra l’icona e Dio, di origine orientale, alle statue legate alla tradizione latina; infine, non meno importate, le piccole chiese ortodosse furono trasformate per il culto cattolico.

Uno dei maggiori esempi di tale passaggio a Stilo è la fondazione del convento domenicano intitolato a Santa Maria del Gesù. Il convento fu fondato nel 1560, sui resti di un’antica chiesa bizantina dedicata a Sant’Agata. Il convento, così come la chiesa, sono certamente legati al personaggio più noto della città, Tommaso Campanella. In questo convento nel 1583 il giovane Giovan Domenico ricevette l’abito domenicano.

Nel 1783 tutta la Calabria fu scossa da un violento terremoto. La città di Stilo sarà quasi totalmente rasa al suolo e le sue chiese e conventi, tra cui quello di San Domenico, non saranno mai ricostruiti a seguito dell’abolizione degli ordini monastici disposta il 13 febbraio

del 1807 da Gioacchino Murat. Se nel VII secolo la vallata dello stilaro divenne la Terrasanta del Basilianesimo, nel 1964 le coste del mar Jonio ritornano a rappresentare il passato, i luoghi e lo scenario della Terrasanta nel Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini. Nella sua visita in Palestina Pier Paolo Pasolini di fronte al monte delle Beatitudini scrive: “sembra uno dei luoghi più desolati della Calabria e delle Puglie,[...] mi aspettavo luoghi favolosi, ho avuto una lezione di umiltà, la vita, la morte di Cristo sta tutta dentro un pugno [...] ci sono montagne molto simili a quelle sullo Jonio, fra Cutra e Crotone.” (P.P. Pasolini, p.21)

I Bizantini nella vallata dello Stilaro. Le lauree, la Cattolica e il convento di San Giovanni Therestis

La costa ionica rappresentò il primo porto sicuro per i monaci iconoduli, i quali, perseguitati dalla politica iconoclasta dell’imperatore Leone III, si rifugiarono nella Magna Grecia e avviarono sul territorio una fervente attività di proselitismo, mirante a convertire la popolazione e a sacralizzare tutti i siti religiosi pagani.

I monaci bizantini scelsero di isolarsi sul monte Consolino in grotte naturali, “le lauree”, adatte sia alla vita ascetica nonché come riparo per le icone trasportate dall’Oriente.

Dalle parole di Pavel Florenskij appa-

re primario il ruolo delle icone nella spiritualità bizantina: “l’icona è sempre o più grande di se stessa, quando è una visione celeste, o è meno di se stessa, se essa non apre a una coscienza il mondo soprannaturale, e non si può chiamare altro che una tavola dipinta. È una profonda falsità l’opinione corrente secondo cui nell’icona si deve ravvisare un’arte più antica, la pittura[...] lo scopo della pittura è l’arte, quello dell’icona è di sollevare la coscienza al mondo spirituale, [...] l’icona è la reminiscenza d’un archetipo celeste.” (P. Florenskij, pp.63)

Così i monaci si accontentarono di umili grotte naturali, adattate secondo le necessità e disposte lungo il versante orientale dell’imponente massa calcarea del Consolino, quasi a costituire una fascia sacra tra il sovrastante kastron ed il sottostante nucleo rupestre. Le lauree costituirono il primo nucleo abitativo del monachesimo stilitano che fondava le proprie radici sulla Parola evangelica e che proponeva di seguire Cristo secondo il modello di vita dei Padri del deserto. L’architettura era molto semplice: nelle grotte naturali, scavate nel calcare, si elevava un piccolo altare e le pareti erano tutte ricoperte di affreschi.

Le ricognizioni condotte sul monte Consolino e sul monte Stella hanno permesso di individuare la presenza di numerose grotte, tutte localizzate sul versante orientale.

Due di queste grotte esicastiche conservano importanti testimonianze pittoriche. La Grotta di Santa Maria della Stella si apre sulla parete del monte omonimo, l’antico Cuccumella, dominando l’ampia valle dello Stilaro. L’ambiente ipogeo, che raggiunge la profondità lineare di oltre venti metri, conserva all’interno un affresco di Santa Maria Egiziaca datato intorno al X secolo. La seconda è la Grotta dell’Angelo, rivolta verso la valle dello Stilaro, ma in posizione più nascosta, è larga circa sette metri e profonda tre. La parte superiore presenta una piccola nicchia. Qui si notano tracce di affreschi datati al X secolo: si tratta dell’incontro tra i Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Nel IX secolo i padri basiliani organizzarono le lauree intorno ad una chiesa comune: il Katholikon di Stilo, oggi conosciuto come Cattolica. La Cattolica è una delle maggiori architetture di epoca bizantina costruita in Calabria tra il IX e XII secolo. La posizione della Cattolica, extra muros castri, domina tutta la vallata dello stilaro. La tipologia è quella della croce greca inscritta in un quadrato; l’interno è un unico ambiente 6,10mx6,10m, coperto da cinque cupole su tamburi cilindrici, sorrette da quattro colonne.

Nella parete volta ad oriente ci sono tre absidi che costituiscono i tre luoghi più sacri della chiesa ortodossa: il bema nell’abside centrale è separato dal-

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G.B.Pacichelli, Il regno di Napoli in Prospettiva, 1703 Pianta della chiesa Ortodossa di San Giovanni Therestis
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Vista dell'abside bizantino della chiesa di San Giovanni Therestis Fotografie d'epoca della chiesa di San Giovanni Therestis
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La vergine Orante, frammento di affresco conservato nella chiesa di San Giovanni Therestis

la naos tramite l’iconostasi; ai lati vi è il prothesis, e il diakonikon. L’esterno presenta una tessitura in grossi laterizi su malta bianca; particolari sono le decorazioni ceramiche in opus reticularum dei tamburi cilindrici, a supporto delle cinque basse calotte delle cupole. La sottile gradazione della luce interna proveniente dalle bifore, collocate nelle cupole, metteva in risalto gli affreschi di cui i muri della chiesa erano in origine interamente ricoperti. Gli affreschi sono la migliore eredità dell’arte bizantina in Calabria; le figure rappresentano la più compiuta testimonianza iconografica legata agli antichi modelli dell’arte greca e orientale. Un’eredità che dalle parole di E.H.Gombrich appare ineludibile per la compressione dell’intera arte bizantina “chiedendo al pittore d’immagini sacre di attenersi strettamente agli antichi modelli, la Chiesa bizantina aiutò a preservare i concetti e le conquiste dell’arte greca, per quanto riguarda la tecnica del drappeggio, dei volti o dei gesti. Se guardiamo i mosaici lasciati da questi artisti greci nei Balcani o in Italia durante il medioevo, vediamo che l’impero di Bisanzio era riuscito a far rivivere qualcosa della grandiosità e maestà dell’antica arte d’Oriente, impiegandola a gloria di Cristo e della sua potenza”. (E.H. Gombrich, p.108)

La Cattolica ancora oggi non è soltanto il simbolo di un antico passato, ma

rappresenta, in quanto luogo sacro e d’incontro per i cattolici e gli ortodossi, il maggiore simbolo dell’ecumenismo per il dialogo tra la Chiesa d’Oriente e d’Occidente.

Intorno al secolo XI i monaci basiliani abbandonarono la vita ascetica e iniziarono a costruire cenobi e conventi in tutto il territorio.

Il convento più importante è quello legato a San Giovanni Therestis, monaco basilaino scappato dalla dominazione araba in Sicilia. La chiesa è una perfetta fusione di architettura orientale e latina; l’impianto a croce greca orientale si fonde con l’impianto a croce latina delle basiliche romane; i due diversi impianti, segnano due spazi: il santuario e la naos legati dall’iconostasi. Pavel Florenskij così descrive la naos e il santuario: “la naos è la scala di Giacobbe, e dal visibile essa eleva all’invisibile; ma tutto il santuario, come complesso, è il luogo dell’invisibile, lo spazio non è di questo mondo, il santuario indica l’anima umana, la naos stessa è il corpo. Lo schermo del santuario, che distingue i due mondi, è l’iconostasi.” (P. Florenskij, pp.53) Questa dicotomia interna è ben visibile nell’esterno: la parte absidale, così come la cupola, sono realizzate in una cortina muraria in laterizio con influenze arabe nella policromia del tessuto murario e degli archi acuti intrecciati; la parte della navata invece è realizzata in pietra e ricorsi in mattoni.

L’architettura domenicana in Calabria

La Chiesa di San Domenico a Stilo

L’introduzione e lo sviluppo degli ordini mendicanti in Calabria, così come nel Mezzogiorno, avvenne in tempi e modalità differenti. Nota è l’ostilità di Federico II nei confronti degli ordini mendicanti, così come difficoltosi erano i rapporti con i preesistenti monasteri greci e latini, in gran parte fortemente feudalizzati e sostenuti dalla nobiltà locale.

L’espansione degli ordini mendicanti in Calabria ebbe inizio soltanto nel 1401, anno in cui venne fondato il convento di Catanzaro. In questa prima fase i conventi sorsero nelle poche città sedi vescovili.

L’edilizia conventuale dei complessi domenicani non si differenzia dai modelli utilizzati dagli altri ordini religiosi. Quasi tutti i conventi si disponevano su due piani: al piano terra erano situate le officine, che si aprivano direttamente sul chiostro: la cucina, il refettorio, la dispensa. Al piano superiore erano i dormitori con le rispettive celle, il guardaroba, le stanze degli ospiti e la biblioteca.

Circa la dislocazione dei conventi è da rilevare che la maggior parte di essi sorgeva a breve distanza dai centri abitati, lungo le principali vie di comunicazione allora esistenti. Questo tipo di distribuzione territoriale rispondeva sia all’esigenza di rapido colle -

gamento tra i diversi conventi, che di norma distavano meno di un giorno di cammino, sia alla necessità d’indirizzare l’azione di apostolato ai centri vicini a quello prescelto quale sede conventuale.

Tuttavia, la collocazione extra moenia dei conventi non sempre è stata accolta con favore dalle popolazioni locali, le quali molto spesso si sentivano depauperate delle già scarse risorse naturali. Altre volte a promuovere il cambiamento della sede originaria furono l’ubicazione giudicata o troppo esposta all’incursione dei Turchi oppure inadatta alle esigenze spirituali. In ragione delle diverse situazioni considerate va analizzata anche la sistemazione dei mendicanti nei pressi delle mura cittadine e delle porte. Tali situazioni però, sono molto spesso frutto di scelte obbligate da preesistenze oppure dall’opportunità di donazioni ai frati, pertanto è difficile individuare un criterio caratterizzante tali fenomeni.

La scelta della localizzazione dei conventi degli ordini mendicati alle porte della città era dettata dall’esigenza sia di sfruttare le rendite provenienti dagli scambi commerciali prossimi agli ingressi del centro abitato, sia di dominare un punto strategico della città.

Oltre alle localizzazioni esterne alla cinta muraria e nel rispetto della morfologia del territorio, gli insediamenti mendicanti si dispongono spesso a co-

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Prospetto e pianta della Cattolica di Stilo Foto d'epoca della Cattolica di Stilo prima dei restauri
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Foto d'epoca del monte Consolino e della Cattolica di Stilo prima dei restauri Foto d'epoca, particolare di una colonna, Cattolica di Stilo
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Foto d'epoca, interno della Cattolica prima dei restauri Fotogramma tratto dal Vangelo secondo Matteo di P.P. Pasolini, 1964
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Fotogramma tratto dal Vangelo secondo Matteo di P.P. Pasolini, 1964 Fotogramma tratto dal Vangelo secondo Matteo di P.P. Pasolini, 1964
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Fotogramma tratto dal Vangelo secondo Matteo di P.P. Pasolini, 1964

rona attorno all’abitato, secondo uno schema di uguali distanze fra le diverse sedi, così da spartirsi equamente le diverse aree d’influenza.

Il convento di Santa Maria del Gesù di Stilo è stato costruito su una preesistenza bizantina accanto alle mura cittadine. Un documento del 1650 ci descrive il convento sia nell’ubicazione che nella struttura:

“Ubicazione: Edificato sotto le muraglie della predetta Città inanza la Porta detta San Giovanni a canto la strada pubblica. Struttura conventuale: le fu concessa una chiesa sotto il titolo di S. Agata e dopo fu eretta nova chiesa sotto l’invocazione di Santa Maria del Gesù, la quale è di palmi 115 di lunghezza e 44 di larghezza, escluso il coro, il quale è capacissimo e proportionato, et è ornata la chiesa di molti quadri, tiene il soffitto lavorato alla moderna, un organo nuovo di nove registri, tre campane, una di sei carata, l’atra di uno e mezzo, e l’atra di mezzo. Tiene la sacrestia con sufficienti paramenti per le solennità, et osservanza delle rubriche, calici, pisside sfera, seu tabernacolo, incensiero e croce d’argento. La pianta del convento sta in piano, ove v’è un dormitorio a proportione di conventi formati, con nove celle, due delle quali si stanno in atto coprendo, le altre sono co li loro suffitti, con le officine di sotto e tiene proportione di conventi formati, formando un braccio del claustro, la

chiesa e l’altro il dormitorio con un a cisterna in mezzo" (O. Milella, p.184)

Il convento fu fondato in seguito alla predicazione quaresimale da parte di un certo frate Dionisio di Sangineto, il quale terminò il suo ciclo di predicazione il 14 aprile 1560, giorno di Pasqua, e tre giorni dopo, ricevette in dono un’antica chiesa bizantina dedicata a Sant’Agata, posta fuori le mura, accanto alla porta di San Giovanni, ed un terreno adiacente nella località detta L’anzari, toponimo di origine araba che significa posti di osservazione, terrazze, accanto alla strada pubblica. “L’insediamento per una comunità numerosa non fu facile, vuoi per mancanza di fondi che non consentiva la costruzione in un breve lasso di tempo di una chiesa più capiente, sia per gli ostacoli posti dai locali frati francescani i quali si vedevano depauperati da quella nuova presenza, e inoltre per l’opposizione dei certosini, nel cui territorio fuori le mura di Stilo i frati domenicani iniziarono a costruire il loro convento.” (C.Longo, p.368) La chiesa ad un’unica navata a croce latina, presenta ai lati sei cappelle di proprietà delle famiglie nobili di Stilo. Il convento, così come la chiesa, sono certamente legate al personaggio più noto della città, Tommaso Campanella. Il giovane Giovan Domenico cominciò a frequentare il convento della sua città natale nel settembre 1583 e in quello stesso anno ricevette

l’abito domenicano. Nel 1598 la piccola chiesa sarà ingrandita per volere dello stesso Tommaso Campanella. I lavori interesseranno principalmente la costruzione della cupola, all’incrocio del transetto con la navata principale. Nel convento di Stilo il filosofo fu costretto a ritirarsi in seguito ai processi per eresia tenutesi a Padova e Roma. Proprio a Stilo compose la tragedia Maria Regina di Scozia, il trattato teologico De praedestinatione et gratia e l’opera politica, La Monarchia di Spagna. Celebri sono il convento e la chiesa, perché in essi il filosofo ordì le fila di quella vasta congiura che avrebbe dovuto liberare l’Italia dalla dominazione spagnola.

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A. di Buonaiuto, (part.) La chiesa militante e trionfante, Cappellone degli Spagnoli, Santa Maria Novella, Firenze, 1365-67 E. Lear, Veduta di Stilo da porta San Giovanni, 1847
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M. C. Escher, La fiumara di Stilo, 1930
Il progetto

Centro studi per il dialogo Ecumenico tra la Chiesa Ortodossa e la Chiesa Cattolica

Il sito di progetto si trova a ridosso delle rovine del convento di San Domenico. Successivamente al terremoto del 1783 il convento non è mai stato ricostruito, e la chiesa così come i pochi ruderi rimasti sono ora in uno stato di totale abbandono.

Il progetto mira anche a recuperare il valore di questo luogo così rilevante nel contesto storico e che ha visto crescere e formarsi il giovane Tommaso Campanella.

Il tema di progetto è un centro studi per il dialogo Ecumenico tra la Chiesa Ortodossa e la Chiesa Cattolica.

La città di Stilo, con la sua architettura più famosa, la Cattolica, è da sempre stata simbolo del dialogo ecumenico.

Il progetto è il frutto di un rapporto diretto con i ruderi del convento e il valore che le rovine, come scritto da S. Settis, hanno assunto nella cultura e nella tradizione occidentale. “Le rovine segnalano al tempo stesso un’assenza e una presenza: mostrano anzi sono, un’interazione fra il visibile e l’invisibile. Ciò che è invisibile (o assente) è messo in risalto dalla frammentazione delle rovine, dal loro carattere “inutile” e talvolta incomprensibile, dalla loro perdita di funzionalità (o almeno di quella originaria). Ma la loro ostinata presen-

za visibile testimonia, ben al di là della perdita del valore d’uso, la durata, e anzi l’eternità, delle rovine, la loro vittoria sullo scorrere irreparabile del tempo.” (S. Settis, p.85)

Forse questa interazione tra visibile e invisibile espressa da Salvatore Settis può ricondurre a quel carattere evocativo che Pavel Florenskij attribuiva all’icona“non solo come finestra attraverso la quale appaiono i figuranti, ma soprattutto evocazione di un archetipo celeste”. (P. Florenskij, p.87)

L’idea di progetto è incentrata sul concetto di memoria e continuità delle rovine. Il tema della memoria è affrontato nel lavoro della chiesa e del convento. In entrambi gli edifici non vi è alterazione nella struttura, ma solo un intervento che si presenta con discreta misura. La chiesa è utilizzata come sala per le conferenze ecumeniche e lo spazio occupato dal convento diventa una piazza verde, dove le pietre disegnano la pianta dell’antico chiostro.

L’idea di continuità è espressa invece dal Centro per il dialogo Ecumenico. La forma nasce dalla misura del chiostro principale, ed è progettata come un’espansione dell’antico convento. Un’espansione lineare, quasi seriale, così come avveniva nella tradizione monastica, parzialmente interrotta dalla rotazione del volume più distante che, pur mantenendo il nesso con la geo-

metria del convento, si ruota e si spezza in ascolto del tormentato paesaggio naturale circostante e in aperto dialogo con il convento ortodosso di San Giovanni Therestis, situato sulle opposte montagne di Bivongi. Questo modo di operare nel progetto tra memoria e continuità è esemplificativo di un dialogo possibile tra Oriente e Occidente: al senso delle rovine intese come tracce di memoria, proprio della tradizione occidentale, corrisponde l’attitudine, tutta orientale, di continuità diretta e ininterrotta col passato.

Memoria.

La chiesa e il convento di San Domenico Gli interventi sulla chiesa e sul convento sono finalizzati a preservare le strutture esistenti.

Nella chiesa, ormai abbandonata da anni, il progetto è focalizzato sulla parte centrale, nell’intersezione tra il transetto e la navata. Nel pavimento è stato realizzato uno scavo a gradoni, quasi come un teatro, capace di accogliere le conferenze ecumeniche.

La scelta del posizionamento dell’intervento sotto la cupola ha principalmente un carattere simbolico: la cupola intesa come elemento unificatore della Chiesa, rappresentazione della sfera celeste e di Dio.

Un’altra immagine ispiratrice dell’intervento sulla chiesa è quella traman-

dataci dalle icone raffiguranti la scena della Pentecoste. L’architettura descritta è molto semplice: una panca semi circolare a gradoni, dove sedevano gli apostoli chiamata Syntronon, cioè trono comune. Tutti i partecipanti seduti sono uguali, simbolo della nascita di una chiesa universale che parla tutte le lingue.

Ancor più nel convento il lavoro è fortemente legato al tema della memoria. L’unica preesistenza è qui un muro di contenimento del terreno, isolato, che ieri come oggi svolge la funzione di tenere e contenere la città che s’innalza sopra di esso.

Ma da quel muro e dalle poche tracce degli archi ancora presenti è possibile capire la misura del convento, misure che vengono tracciate sul terreno come presenza o assenza di qualcosa che non c’è più.

Continuità.

Centro Studi per il dialogo Ecumenico La continuità tra il convento di San Domenico e il Centro Studi per il dialogo Ecumenico è espressa da due elementi: la misura e il tipo.

Tutto è disegnato sulla figura di due quadrati intersecati (26,5mx26,5m), che traggono le loro misure dal convento preesistente.

Il primo edificio è pensato come un’estensione del convento e

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pagina precedente Piero della Francesca,(part.) Incontro tra Salomone e la Regina di Saba, 1452-58, Basilica di San Francesco, Arezzo Vista della porta Stefanina, già porta San Giovanni
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Dettaglio della cupola della chiesa di San Domenico

mantiene l’allineamento con la strada. Il secondo edificio è invece ruotato verso il convento di San Giovanni Therestis e, attraverso una grande apertura, fa entrare nella corte il paesaggio. La facciata del primo edificio, nel suo allineamento all’antica strada d’ingresso alla città, assume l’immagine di un grosso basamento in pietra, dotato di un’unica apertura: un portale in ferro, progettato guardando i modelli bizantini di Aquisgrana e Amalfi, che rievoca alla mente l’ingresso alla Città del Sole “Entrando dunque per la porta di Tramontana, di ferro coperta, fatta che s’alza e cala con bello ingegno.”

(T. Campanella, p. 23)

Attraversato il portale, si svela la corte. La pianta segue la tipologia del convento: una distribuzione continua intorno al chiostro. Al piano terra si trova l’ingresso, la caffetteria e un’ala per le esposizioni temporanee. Tramite un grande scalone si accede alla biblioteca, posta la piano superiore.

L’intersezione dei due edifici è segnata da una sala d’ingresso quadrata, filtro di accesso alla foresteria.

Essa ospita gli studiosi di teologia, che ogni anno si recano a Stilo per prendere parte ai Colloqui Canonistici e per consultare i testi conservati nella biblioteca. La foresteria ricorda gli eremi, difatti l’edificio si aggrappa alla montagna e la montagna stessa entra nella corte: una duplice natura tra costrui-

to e artificio che trova una eco nella descrizione che H. Bredkamp dà dell’altorilievo alle spalle del giovane collezionista nell’opera del Parmigianino.

“ai piedi di queste figure (Marte e Venere), la roccia si trasforma in un’allusione all’architettura, talché il gruppo si presenta come fregio di un frontone, mediazione tra la materia grezza e quella formata. Le forme sgusciano fuori dalla ruvida roccia, senza aver ancora abbandonato del tutto quell’ambito”. (H. Bredkamp, p.25). E ancora, la forma del quadrato perfetto si rompe in un lungo taglio, per far entrare il paesaggio montano e orientare lo sguardo verso l’eremo bizantino.

Come nella tipologia del convento, sia le sale studio che le stanze “celle” della foresteria sono distribuite intorno alla corte. La dimensione di queste stanze è di 2,2mx4,2m. La misura è data dal mobile che occupa in lunghezza tutta la parete. Il mobile, ridisegnato sull’esempio presente nella certosa di Serra San Bruno, è in legno ed è diviso in tre parti: il guardaroba, il letto, lo studiolo. Quest’ultimo, posto vicino alla finestra, racconta di un rapporto quasi spirituale che intercorre tra lo studioso che vi soggiorna e il paesaggio.

Guardando al San Girolamo di Antonello da Messina, il rapporto tra lo studio e il paesaggio rievoca “un solenne aulico spazio, che sa d’Italia ed è attraversato da una luce mediterranea.” (V. Sgarbi, p.191)

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Chiesa di San Domenico a destra il basamento del convento distrutto dal terremoto Vuoto lasciato dalla distruzione del converto di San Domenico e in sullo sfondo l'unico frammento del muro di contenimento
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Dettaglio del muro del convento e sullo sfondo la chiesa di San Domenico Certosa di Serra San Bruno, vista dal campanile della chiesa
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Certosa di Serra San Bruno, interno di una cella

I disegni

Alvaro C. 1941, Itinerario italiano, Bompiani, Milano.

Augè M. 2004, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Torino

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61 Bibliografia
Presentazione Paolo Zermani Stilo. Città tra Oriente e Occidente Il progetto. Ut unum sint I disegni Bibliografia Indice 5 7 33 43 61
didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze giugno 2023

Il piccolo borgo di Stilo, affacciato sulla costa jonica, è un modello perfetto della complessità storica e culturale del territorio calabrese, crocevia del mediterraneo e terra di passaggio e di accoglienza di mondi diversi. L’idea progettuale si interroga sul significato di memoria e continuità temporale delle rovine. La proposta di progetto è un centro studi per il dialogo religioso tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa. Il riferimento a cui guardare è quello delle architetture eremitiche basiliane, prototipi di spazi di contatto e dialogo tra Occidente e Oriente.

Giuseppe Cosentino Vibo Valentia, 1988, dottore di ricerca e architetto. Si forma presso la scuola di Architettura del Università degli studi di Firenze laureandosi nel 2016 il con il prof. Paolo Zermani. Nel 2022 è dottore di ricerca in Progettazione Architettonica e Urbana, Università degli studi di Firenze.

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