Multimedialità tra virtuale e reale | Gabriele Pellegrini, Gianluca Ricciolini

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gabriele pellegrini gianluca ricciolini

Multimedialità tra virtuale e reale Il caso della Popina di Felix e Dorus (P VI 16 40)



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. “Per l'originalità dei materiali sviluppati, la specificità dei risultati conseguiti, per l'abbinamento capace tra materiali raccolti ed elaborati da questi prodotti in modo chiaro e completo e orientato a divulgare i risultati della propria ricerca negli aspetti architettonici ed anche del patrimonio intangibile”. Commissione: Proff. R. Nudo, G. A. Centauro, F. Collotti, G. Verdiani, T.Rotunno, L. Zaffi, M. Fagone, N. Setola

Ringraziamenti Si ringrazia il Prof. Giorgio Verdiani per la disponibilità e il supporto scientifico con il quale ha coadiuvato la ricerca e la stesura del presente lavoro, in qualità di relatore. Un grazie sentito va inoltre al Parco archeologico di Pompei nelle persone del Dott. Fabio Galeandro e dell'Arch. Raffaele Martinelli, per averci dato la possibilità di accedere alle aree ed agli archivi oggetto di ricerca, e per averci fornito di un supporto tecnico e scientifico indispensabile. Un ultimo ringraziamento all'Arch. Carlo Gira per il fondamentale apporto nell'elaborazione tecnica dei dati raccolti.

in copertina Serpente Agatodemone, estratto dall'ortophoto dell'affresco votivo all'interno della Popina di Felix e Dorus

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Giacomo Dallatorre

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2021 ISBN 978-88-3338-139-8

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


gabriele pellegrini gianluca ricciolini

Multimedialità tra virtuale e reale Il caso della Popina di Felix e Dorus (P VI 16 40)



Presentazione

Elaborazione propria di J.L. Desprez, F. Piranesi, Tempio di Iside, Purgatorium, s.l., 1788.

Per le discipline dell’Architettura l’indagine per la ricostruzione digitale incontra spesso l’ambito e le procedure dell’Archeologia, questo avviene ogni volta che la ricerca affronta la necessità di riproporre antichi manufatti e contesti nel loro aspetto originale. Ogni volta che si affronta la procedura di ricostruzione di un contesto alterato, di un rudere architettonico, di un ritrovamento archeologico, le rimanenze del costruito sono la traccia guida, ma molto delle parti mancanti dell’edificio deve essere definito in base a deduzioni e astrazioni. Questa operazione diventa essenziale per l’indagine e la scoperta scientifica e può trasmettere queste conoscenze in maniera chiara e ispiratrice ad altri studiosi, studenti, visitatori, turisti e anche a semplici curiosi. Nella procedura di ricostruzione le regole di immaginazione e speculazione scientifica sono articolate e devono intrecciarsi a formare un processo metodico che sviluppa soluzioni realistiche, ragionate, basate su un processo graduale e verificato, ma dove la scienza applicata non può essere meramente ragionamento logico, ma anche percezione creativa, capacità di incrociare le conoscenze acquisite focalizzandole nello spazio costruito, abilità di comprendere i contesti antichi ed efficace comunicazione dei risultati. Il risultato della ricostruzione è l’esito di questo procedimento e sta a chi opera la ricostruzione dichiararlo nei suoi livelli di approssimazione, trasmettendo sia un modello di efficace impatto visivo, sia un modello “critico”, una sorta di mappa dei livelli di approssimazione, che permetta la comprensione dell’effettivo apporto della ricerca senza il potenziale inganno della completezza grafica del risultato. Le procedure digitali hanno oggi reso possibile una rapida ed estremamente efficace visualizzazione e trasmissione dei contenuti di ricostruzione e questi posso essere considerati come componenti di grande valore progettuale, da incorporare e specializzare nel contesto dell’allestimento museale, di un’area archeologica, di una mostra, delle versioni virtuali di questi stessi spazi, che l’architetto ha possibilità di progettare e integrare nella pianificazione accurata delle proprie soluzioni progettuali. Il tema dell’antica Pompei, nel suo particolare contesto di preservazione e di mancanze, pone un problema articolato, che nelle pagine successive viene affrontato, analizzato, circostanziato ed infine risolto con approccio curato, architettonico, che vede nella trasmissione del risultato digitale una possibilità e sfida di realizzazione, immateriale, ma al tempo stesso risolutiva e completa, contributo alla conoscenza contemporanea di un luogo di questa città “interrotta”.

Prof. Giorgio Verdiani Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Introduzione

Elaborazione propria di G.H. Busse, Veduta degli scavi Pompei coll'eruzione del Vesuvio nell'anno 1838, Hannover 1840.

“Nihil durare potest tempore perpetuo cum bene sol nituit redditur oceano decrescit phoebe quae modo plena fuit ven[to]tum feritas saepe fit aura l[e]vis” (CIL IV, 9123) Il seguente lavoro di tesi di Laurea magistrale riassume una ricerca realizzata nell’antica città di Pompei, con il fine ul­timo di documentazione e diffusione ad un ampio pubblico di tematiche relative all’architettura d’uso comune e la riproposi­zione di una serie di manufatti attraverso le nuove tecnologie di musealizzazione virtuale. La scelta di indirizzare l’attività su un oggetto non “nobi­le”, come la popina di Felix e Dorus, e la conseguente indagine sulla disposizione degli spazi, la loro originale funzione, nonché il loro arredo, ha risposto all’esigenza di spostare l’accento della narrazione verso una delle tante unità abitative e commerciali meno battute dal turismo di massa e, dal momento del suo scavo, non toccato da attività di musealizzazione, in quanto, come si può leggere nel diario di scavo, “affatto rustico”. Superata ormai, almeno da parte della dottrina, l’impostazione ottocentesca per cui fosse degno di conservazione e fruizione solo ciò che era considerato di rilevante valore artistico e storico, si può finalmente metter mano allo stu-

dio approfondito sulle soluzioni edilizie che non rispettano sicuramente il canone vitruviano, ma che tramandano un documento fresco della praticità connessa all’uso di certi luoghi. D’altro lato, un enorme aiuto in campo di divulgazione delle conoscenze acquisite ci è oggi disponibile con l’ausilio delle nuove tecnologie, che permettono al fruitore una completa immersione nell’ambiente originario. Il prezzo da pagare è sicuramente la riduzione dello sforzo d’immaginazione, forse una parte intrinseca del fascino di un bene archeologico; d’altro lato, però, si fornisce un valido aiuto per una corretta interpretazione dei manufatti e dell’uso che ne poteva scaturire. Da qui l’esigenza di predisporre una musealizzazione che possa essere parametrata secondo vari gradi di intensità, i quali, convivendo tra loro, forniscono un’immagine completa del com’è e del com’era, lasciando ampio spazio alla reversibilità, che, nel caso in oggetto significherà anche aggiornabilità in funzione di nuovi studi, scoperte e sensibilità.


Contesto antico Per poter delineare la conformazione del territorio antico è stato necessario eseguire una ricognizione sui dati geofisici disponibili, desunti da studi sulla paleogeografia della pianura pompeiana, dei suoi rilievi, nonché della linea di costa, fino al momento dell'eruzione del Mons Vesuvius. Tale attività si è basata sulla consultazione di digital elevation models (DEM) realizzati con l'uso di carotaggi campione, nelle aree della pianura Sarno-nucerina1. Inoltre, evidenze archeologiche e fonti storiche avallano l'immagine di una pianura caratterizzata dalla presenza del fiume Sarno, all'epoca navigabile, il quale, nel suo ultimo tratto, si diramava in diversi bracci, fino a lambire la parte meridionale dell'altopiano lavico dove si trovava la città di Pompei, di fronte alla quale, creava una depressione palustre retrodunale per poi sfociare nel Mar Tirreno. La natura dei luoghi, estremamente favorevole, permise l’istallazione di saline, le Salinae Herculeae e, nell’ampio retrorerra agricolo, centuriato fin dal III secolo a.C., si insediarono ville d’otium e rusticae, facendo fiorire una produzione e commercio prosperi di vino, frumento ed ortaggi ed altri generi, esportati in tutto l’Impero. Pompei si impose come uno dei principali porti dell'area. In età tardo repubblicana ed imperiale si venne così a delineare un continuum edilizio comprendente città, porti, stabilimenti industriali, che si snodava lungo l'intera costa da Neapolis a Stabiae. Dal punto di vista insediativo l’altopiano lavico venne occupato da popolazioni opiche fin dal tardo Bronzo e si sviluppò all'iterno delle mura per una superficie apprissimativa di 66 ettari. 1 Cfr. S. Vogel, M. Maerker, F. Seiler, Revised modeling of the post-AD 79 volcanic deposits of SommaVesuvius to reconstruct the pre-AD 79 topography of the Sarno River plain (Italy), Geologica Carpathica, 62, I, 2011, pp. 5-16.

Pompei era collegata con il resto della regione da importanti arterie stradali che si snodavano lungo la costa da Neapolis, passando per Herculaneum fino a Stabiae. La rete stradale inoltre, dopo aver superato il Sarno con dei ponti, garantiva un sicuro accesso anche all'entroterra verso la la città di Nocera e, oltre i monti Lattari, Salerno. La formazione del nucleo urbano si sviluppa all'incirca per 8/9 secoli, fino alla sua completa distruzione da parte del Vesuvius. Durante questo lasso di tempo la città si plasma sotto Greci ed Etruschi, per assorbire pienamente, durante il periodo sannitico, le caratteristiche di una città ellenistica. Dai recenti scavi condotti si è desunto che il primo nucleo della città nacque con carattere diffuso, per effetto del sinecismo etrusco. Una prima cerchia

muraria già cingeva tutto l’altopiano e i tracciati stradali si sviluppavano nel sedime di conformazioni naturali2. Nel VI secolo a.C. la città subì una contrazione, in concomitanza della crescente pressione della popolazione osco-sannitica stanziata nell'entroterra. Solo dopo il loro definitivo insediamento sull'altopiano, ebbe luogo una nuova fase edilizia, tra la fine del IV e l'inizio del III secolo a.C. In questa prima espansione l’attività edificatoria si strutturò a nord lungo gli assi di collegamento con l’ager pompeianus, colmando gli spazi liberi intramurali, secondo lo schema ippodameo, che ebbe come asse generatore l’attuale via di Mercurio, orientando

le insulae allo stesso modo della protocenturiazione delle campagne a nord. Tra il III e il II secolo a.C. la città fu oggetto di una seconda ondata espansiva, generata dalla migrazione ed dall'inurbamento di contingenti di popolazione dalle campagne limitrofe. In questo periodo la cinta muraria fu restaurata secondo la tecnica greco-ellenistica ed una nuova attività edilizia pianificata comportò la rettificazione degli assi viari coinvolti nel futuro sviluppo della città: Via dell’Abbondanza, Via stabiana e Via Nola3. Con l'assedio e la conquista da parte di Roma si ebbe una massiccia iniezione di veteranes sillani, la quale generò un nuovo fermento edilizio concomitan-

H. W. Horsnaes, From Iron Age to Pompeii. Urbanization in Southern Campania-A case Study, Acta Hyperborea, 7, 1997, pp. 195-227.

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Cfr. F. Pesando, M. P. Guidobaldi, Pompei, Ercolano, Oplontis, Stabiae, in “Guide archeologiche Laterza”, Laterza Editore, Bari, 2006


te alla veloce romanizzazione culturale e linguistica. La città assunse infatti il nome ufficiale di Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum nell'anno 80 a.C. La lottizzazione seguì di nuovo lo schema ippodameo, saturando da ovest ad est tutte le aree rurali comprese nella cinta muraria, le quali furono suddivise in insulae e quest’ultime in lotti, successivamente assegnati ai proprietari. Si ha anche il riscontro di una diffusa tendenza all’aggregazione di più unità edilizie presistenti. D’altro lato, con la dominazione romana inziano i lavori per l’adeguamento alle nuove strutture sociali, volto ad adattarsi allo svolgimento della vita pubblica previsto per una colonia romana. In questo periodo iniziò la definitiva sistemazione del foro, la ristrutturazione del teatro, la costruzione di un anfiteatro, degli edifici termali e la città fu dotata di un acquedotto e fontane pubbliche per l’approvigionamento idrico. Lo sviluppo della città intra moenia fu accompagnato, infatti, da un forte fermento edilizio in tutta l’area circostante. In particolare, benché molte aree non risultino ancora investigate o parzialmente scavate e rinterrate nei momenti successivi, si ritiene che esternamente alla città esistessero dei quartieri abitativi con una spiccata vocazione economico mercantile. Ne è un esempio il Pagus Augustus Felix Suburbanus. Accanto a questo si ha traccia archeologica in tutto l’ager pompeianus di importanti insediamenti di tipo agricolo-rurale, come già visto, per la produzione di vino e delle derrate alimentari necessari al sostentamento degli abitanti del centro mercantile. Un altro importante insediamento della città si doveva localizzare nella piana che divideva l’altopiano dal mare. Benché per il momento le attività di scavo siano estremamente limitate ad opere contingenti la realizzazione di moderne infrastrutture, si può ritenere,

con un buon grado di sicurezza che un porto, dotato di templi, magazzini e punti di ristoro, insistesse su quest’area; mentre l’antico nome dell’attuale Porta Ercolano, Veru Sarinu o Porta Salis4, indicava nelle adiacenze un importante impianto per la raccolta del sale: le cosiddette Saline d’Ercole. E' importante menzionare, in ultima istanza, un evento naturale che caratterizzò e sconvolse gli ultimi anni di vita delle città vesuviane e, tra queste, Pompei. Nel 62 d.C., infatti, un violento terremoto distrusse e arrecò ingentissimi danni a tutti gli insediamenti ai piedi del Vesuvius, tanto che al momento

Cfr. Annalisa Marzano, Harvesting the Sea: The Exploitation of Marine Resources in the Roman Mediterranean, OUP Oxford, 2013, p. 113 e E. De Carolis, G. Patricelli, Vesuvius, A.D. 79: The Destruction of Pompeii and Herculaneum, Getty Pubblication, 2003, p. 62.

dell'eruzione del 79 d.C. la città appariva parzialmente spopolata ed era ancora intenta in un'opera di massiccia ricostruzione: non sono rare le testimonianze di lavori in corso, sia negli edifici pubblici sia in quelli privati. L'evento eruttivo5 che distrusse la città cambiò totalmente la morfologia dei luoghi, ma ha permesso, d'altro canto, di sigillare un contesto storico in maniera pressoché perfetta, dando oggi la possibilità di aquisire un'enorme quantità di dati ed informazioni circa l'effettiva conformazione di una città della provincia altoimperiale. In particolare, oltre all'ottimo stato di conservazione delle strutture antiche,

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A questa eruzione del Vesuvius si fa risalire il collasso del cono vulcanico originario e la successiva trasformazione in un rilievo culminante con un altopiano, ribassato in direzione del Golfo, che si coprì nuovamente di boschi e fauna.

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spesso preservate fino al secondo piano fuori terra, la mancanza di successivi interventi edilizi e stratificazione storica hanno consentito la lettura di un intero contesto antico, nel suo complesso, aprendo così la strada ad una serie di considerazioni legate alla fruizione ed alla percezione dei luoghi tramandati nella loro interezza.

in alto Elaborazione propria dell' Ager Pompeianus pagina precedente Elaborazione propria dell'antico golfo di Pompei



Estratto e elaborazione propria dell'affresco pompeiano presente al Museo Archeologico di Napoli, Praedia di Julia Felix (II, 4, 3)

Attività commerciali a Pompei Il tessuto edilizio della città di Pompei presenta un vasto assortimento di unità edilizie destinate alla vendita di generi alimentari e al ristoro, attività molto spesso affiancate da altri servizi destinati agli avventori, quali il gioco d’azzardo e la prostituzione. Le botteghe o negozi, normalmente si componevano di uno o due vani aperti su una delle strade di maggior frequentazione. Erano nella maggior parte dei casi gestite da schiavi o liberti, ancora legati da un rapporto di dipendenza con il vecchio dominus. Da questa circostanza la connessione spaziale tra molte delle dimore dei patrizi e questi luoghi di vendita. Nell’ampia rassegna che si potrebbe fare6 delle varie tipologie che si incontrano attualmente negli scavi, questi spazi avevano caratteristiche comuni e salienti. Le botteghe, in particolare, al tempo definite tabernae7, erano caratterizzate architettonicamente da facciate non particolarmente elaborate, se non da un eventuale apparato pittorico-decorativo, che indicava agli avventori il tipo di produzione in vendita dall’esercizio. Sulla facciata erano inoltre presenti tettoie per il riparo dagli agenti atmosferici della merce esposta esternamente e per i passanti. Spesso terrazze o vani in aggetto sostenute da una 6 Le tabernae possono essere suddivise in tre gruppi principali: gli ostelli, comprendenti mansiones, cauponae e mutationes; le botteghe di commestibili, comprendenti i pistrina, le tabenae fructuarii, le popinae, i thermopolia, ecc...; le botteghe di abbigliamento, comprendenti le tabenae lanarii, lintearii e vestiarii; ed altre, di vario tipo, che esponevano e vendevano generi più o meno necessari alla vita quotidiana. 7 Al nome seguiva un aggettivo che ne qualificava il settore merceologico di appartenenza. Si troveranno quindi: tabernae unguentariae, tabernae argentaia, tabernae vinariae, ecc.

travatura in legno caratterizzavano questi edifici nel loro prospetto, permettendo di avere uno spazio addizionale alla vita del commerciante. L’apertura sull’esterno era caratterizzata da un’ampiezza simile a quella del vano retrostante, la quale permetteva di esporre in modo adeguato la mercanzia. L’apertura veniva tamponata all’occorrenza attraverso la disposizione in verticale di una serie di tavole strette e lunghe, lasciando lo spazio necessario per collocare un battente girevole munito di serratura. Ogni tavola aveva un anello metallico orizzontale, tenuto fermo da un perno con un gancio passante da una tavola all’altra. Un altro anello era disposto verticalmente sul lato esterno. In questi anelli erano inseriti due bastoni metallici, uno la continuazione dell’altro e, nel punto di incontro, veniva posizionata la serratura. Le tavole di legno erano, inoltre inserite in solchi incisi sulla soglia lapidea d’ingresso e, in corrispondenza, sull’architrave del vano d’ingresso, così che l’orlo di ogni tavola si sovrapponesse con quello della tavola vicina. L'ambiente al piano terreno aveva normalmente una forma rettangolare, così come il vano al piano superiore. Una scaletta di legno o di muratura, aderente a uno dei muri perimetrali del pianterreno, montava alla stanza superiore, che era utilizzata dal mercante e dalla sua famiglia come abitazione. Lo sviluppo in altezza dell’edificio era infatti di norma soppalcato con una struttura lignea chiamata pergula. Le pergulae erano inoltre usate come magazzino connesso all'attività del mercante o artigiano.

All’interno le botteghe avevano una serie di suppellettili, spesso lignei, strumentali allo svolgimento dell’attività. In particolare, a ridosso delle pareti erano posizionate scaffalature di vario tipo ed armadi che contenevano il materiale in vendita e gli strumenti tipici del mestiere. All’ingresso era localizzata un tabula, cioè un banco in muratura o legno, spesso realizzato in due parti posizionate tra loro ad angolo retto, o a tre parti, disposte a ferro di cavallo. Questi “banconi” erano disposti per il primo lato parallelamente all’ingresso della bottega, andandosi poi a sviluppare in direzione dell’interno. I banconi in muratura erano normalmente nobilitati attraverso l’incrostazione di lastre marmoree policrome e di varie forme o attraverso l’intonacatura delle superfici laterali, su cui si andavano a realizzare pitture parietali. Inoltre, nel caso in cui il fondo fosse adibito all’esercizio di una popina o di una caupona, il bancone recava al suo termine un fornello, in muratura, dove veniva collocata una caldaia o gli attrezzi per la cucina. Altra caratteristica di quest’ultimo tipo di esercizio era la presenza di grossi recipienti in terracotta alloggiati all’interno dello spessore del bancone, i dolia, utilizzati per contenere le vivande in vendita. Da ultimo, sempre su questi banconi in muratura, si andava a realizzare, sul lato corto a contatto con il muro, una piccola struttura scalettata, usata per l’esposizione della merce in vendita. Un tipico elemento decorativo di natura cultuale era costituito da un larario posto negli ambienti privati per propiziare la buona sorte e il guadagno.

I temi ricorrenti erano rappresentazioni ad affresco di Lari domestici o serpenti Agathodemoni a cui si tributavano offerte votive. Gli ambienti legati alla ristorazione avevano solitamente dimensioni maggiori rispetto alle singole botteghe artigiane o di mera vendita. Queste spesso univano infatti all’attività di somministrazione di vivande e cibi, anche la possibilità di esercitare il gioco d’azzardo, la prostituzione e il ricovero dei viandanti, offrendo spazi specificamente realizzati per queste attività. Quando collocate agli angoli delle strade principali questi ambienti architettonici definivano una percezione promiscua nella conformazione dello spazio urbano tra pubblico e privato assumendo una valenza centrale nella vita quotidiana della popolazione, in particolare appartenente alle fasce medio basse, spesso non dotata di vere e proprie cucine.

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Inquadramento area e rilievo



L'area di progetto

pagina precedente Planimetria fotogrammetrica aerea, Regio VI Insula 16 in basso Analisi funzionale della Regio VI, elaborazione propria

L’oggetto della presente trattazione riguarda l’approfondimento dell’area costituita dall’Insula 16 della Regio VI e, nello specifico, l’attività di ricerca sarà svolta su l’unità catastale costituita dal civico 40. Per poterne determinare la consistenza metrica, materica e morfologica, al fine di un’ipotesi ricostruttiva del manufatto si è approntato un rilievo sulla base del dato fornito dalla Soprintendenza di Pompei, Ercolano e Stabia. La vasta campagna di rilievo laserscanner in seno al G.P.P.1 presenta per la qualità del dato fornito e per la sua precisione uno strumento imprescindibile per la produzione e rielaborazione del dato finale. A questo si è aggiunta una campagna di rilievo topografico, atta a georefernziare, dopo la registrazione delle scansioni, l’intera insula 16. Si è altresì predisposta un’attività integrativa di determinati elementi architettonici, i quali, una volta discretizzati, sono stati sottoposti ad una specifica campagna di rilievo fotogrammetrico.

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Acronimo per Grande Progetto Pompei.

Regio VI L’area oggi definita come VI Regione di Pompei2 è un ampio quartiere della città antica che si estende su una superficie approssimativa di 80 ettari, delimitata a Nord dalle mura urbiche, a est dalla Via del Vesuvio, realizzata nel VI secolo a. C. seguendo il tracciato naturale di un canalone naturale, ad Ovest dal tracciato irregolare della Via consolare, probabilmente di origine protostorica. Il quartiere presenta una griglia planimetrica regolare, ordinata da un asse generatore mediano della larghezza di 7 m, precedentemente il cardo maximus della città diretto nell’ager coltivato a nord3: la via di Mercurio4. Ne derivano così, dall’incrocio della via di Mercurio, orientata Nord-Ovest Sud-Est e il vicolo di Mercurio, orientato Sud-Ovest Nord-Est, la determinazione di 11 isolati, di cui le Insulae Suddivisione operata da Fiorelli. Cfr. supra § La via di Mercurio attraversava una delle antiche porte cittadine e collegava l’abitato con la campagna circostante. La porta originaria fu successivamente obliterata dalla costruzione di una torre, in seno alla realizzazione di nuove fortificazioni 4 La strada prende il nome dal rilievo presente sulla fontana stradale prospiciente la Casa della Fontana Piccola (PVI823). 2

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Commerciale Produttivo (industriale, artigiale) Ricettivo (stabulum, hospitium) Ricreativo (Taberna lusoria, lupanare) Abitativo


Elaborazione propria, Insula 16, Regio VI

2,5,7,9 e 11 di una lunghezza pari a 140 metri per una larghezza di 35; mentre le Insulae 6,8,10,12 e 13 ciascuna occupante una superficie delimitata da un lato lungo di 90 metri e uno corto di 35. La restante parte della Regio viene gestita come spazio di risulta rispetto agli assi stradali già presenti che influenzano la conformazione delle insulae restanti: l’insula 1, 3 e 4 ad Ovest, intervallate dal percorso della Via consolare; le Insuale 14 e la 16 ad Est di forma trapezoidale, risultato dell’intersezione presso Porta Vesuvio della Via di Vesuvio (porzione della via stabiana) con il Vicolo dei Vettii, antica strada di collegamento del foro con la campagna orientale. Originariamente, la zona compresa all’interno delle antiche mura in pappamonte del VI secolo a. C, presentava una destinazione d’uso promiscua, in

parte dedicata ad insediamenti abitativi e agricoli, in parte occupata da boschi sacri5. Come nel resto dell’abitato esterno ai limiti dell’Altstadt, anche per l’intera Regio VI si ebbe l’abbandono durante il V-VI secolo a. C, in concomitanza delle migrazioni dei popoli sanniti dall’entroterra verso i principali centri costieri6. Si dovrà aspettare il III secolo a. C per poter avere una nuova occupazione dell’area, che si andò a specializzare ospitando in seguito le sontuose abitazioni della nuova aristocrazia sannitica. Relativamente a questo periodo compaiono importanti residenze che vedono impiegata come tecnica muraria l’opus africanus e l’opus quadratus. Si deve notare che anche in seguito alla deduzione della colonia roma5 6

Cfr. Casa della colonna estrusca Cfr. supra §

na il quartiere continuerà ad essere prediletto dall’aristocrazia pompeiana e dall’alta borghesia di recente formazione. Per questa ragione, sebbene fossero presenti ampi spazi dedicati a funzioni industriale e artigianale o alla vendita, il dato saliente che accomuna l’intera area è la totale assenza di aree coltivate, come, invece, si trovano nella parte della città di occupazione più recente7, dove il tessuto urbano risulta ancora essere non interamente occupato o, in ogni caso più dilatato. D’altro canto, le dimore che rivestono una particolare importanza dal punto di vista architettonico e decorativo, così come per la qualità di oggetti e suppellettili rinvenute, hanno in quest’area della città una rilevante concentrazione. 7

V. Regiones I,II,III.

L’Insulae PVI 16 Gravitando nell’area della Regio VI, l’Insula 16 presenta tracce di una più antica urbanizzazione estremamente influenzata dalla sua posizione tra il Vicolo dei Vettii e la Via di Vesuvio, ultimo tratto della Via stabiana: due assi di collegamento del cuore della città con l’ager pompeianus. Infatti, la particolarità topografica di quest’area sta nelle caratteristiche geomorfologiche del rilievo in cui si trova, il quale presenta una spiccata pendenza da nord-ovest a sud-est, con il suo punto più elevato presso Porta Vesuvio. L’alveo in cui invece giace Via Vesuvio-Via stabiana, può essere definito, come già detto, un vero e proprio canalone naturale, dentro il quale, naturalmente si convogliavano le acque meteoriche in discesa verso la valle del Sarno.


L’originale griglia della Regio VI si viene in questo punto a sovrapporre a quest’asse naturale facendo in modo di avere, in ultima istanza una configurazione urbanistica che lascia spazi di ritaglio difformi dal resto dell’impianto. L’Insula 16, infatti, ha, a differenza delle altre una forma trapezoidale molto allungata, dove, il lato nord-ovest ha l’esiguo spessore di 10,5 metri di larghezza, mentre il lato sud est si attesta a circa 48 metri. La parcellizzazione delle insulae venne condotta in modo assai ordinato, salvo aggiustamenti laddove erano presenti edifici precedenti. L’occupazione di quest’area ebbe invece caratteri di difficoltà, in particolare per il dislivello presente tra il suo lato ovest (vicolo dei Vettii) e il lato est (via di Vesuvio). Si deve infatti ritenere che l’area di prima occupazione dell’insula in età sannitica8 potesse attestarsi soprattutto sull’asse di Via dei Vetti, quale naturale proseguimento del congiungimento con l’antico centro, attraverso vicolo Storto. Sembra quindi pacifico ritenere che la circostanza di un dislivello tra i due assi, abbia portato, per praticità a privilegiare il lato dell’insula dove il salto di quota era minimo (Seiler et al., 2005, pp.216-234). Saggi stratigrafici hanno accertato tale impostazione, individuando, tra l’altro, la preponderanza delle aperture principali su tale percorso. L’area adiacente all’odierna Via Vesuvio, di successiva urbanizzazione, era probabilmente lasciata ad un uso misto, ospitante in parte cortili rustici, in parte adibita ad impianti artigianali e botteghe (Seiler et al., 2005, p. 218). L’edificazione del settore occidentale dell’insula non dovette essere completata prima del termine dei lavori di rifacimento lungo Via Vesuvio, in età sillana. Il tracciato della strada fu sicuramente ampliato per migliorare il

percorrimento dei carriaggi, anche attraverso una rettificazione delle unità abitative confinanti con la strada (Seiler et al., 2005, p. 219). L’insieme dei lavori si doveva inserire nel piano di opere urbanistiche dettato in seguito alla deduzione della Colonia Cornelia Veneria Pompeianorum. Tra di questi, come già detto, la creazione di una rete idrica che servisse la città, per la quale era necessario predisporre un collettore, il quale, appunto, venne posizionato con la costruzione del castellum aquae che attualmente vediamo a lato dei resti di Porta Vesuvio. Nell’area compresa tra la porta ed il lato nord dell’Insula 16 si viene così a realizzare uno spazio di convergenza delle due strade Vicolo dei Vettii e Via di Vesuvio, le quali si congiungono con la via intrapomeriale. L’importanza e la nobilitazione al nuovo spazio costituito si può ravvedere nella foggia architettonica che venne data al punto di raccolta e smistamento delle acque, la cui facciata, realizzata in laterizio, è articolata secondo le proporzioni del triangolo aureo (Adam, Varène, 2008, pp.37-72) e si suddivide in quattro arcate cieche, incorniciate da lesene sormontate da una trabeazione, anche questa in laterizio. L’effetto finale doveva essere reso da un’intonacatura a stucco. A suffragio della natura collettiva dello spazio, ai lati della piazza si articolavano una serie di strutture ricettive, quali la Statio vindemitorum9, due cauponae con stabulum10, le cui facciate, parallele tra loro, paiono derivare da un unico progetto architettonico (Seiler et al., 2005, pag. 219); nonché un larario pubblico con serpenti agatodemoni alla confluenza della strada intrapomeriale con la piazza stessa11. Una funzione analoga, per la vicinanza dei grandi assi di attraversamento PVI1620 PVI1514.15.16.17 Non si può ancora con sicurezza determinare la destinazione d’uso del lato orientale della piazza, in quanto risulta per il momento non scavato. 9

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Dal III secolo a. C.

è assegnata anche al lato meridionale dell’insula 16, dove convivono due popinae adiacenti12, di cui la seconda, in angolo, si trova di fronte ad un analogo esercizio, determinando anche per quest’area una particolare densità ricettiva. Si devono inoltre notare gli altri esercizi che si innestano sul lato est dell’insula, e la loro preponderanza nella funzione d’uso in tutto l’asse di attraversamento di Via stabiana, segno di una specificazione funzionale marcata nell’alveo dell’artigianato e della ricezione, dettata dal continuo transito e frequentazione dell’asse di attraversamento pompeiano (Weilguni, 2011, pp.135-139). Di particolare rilevanza, risulta infine la menzione dello slargo che si apre in corrispondenza della Casa degli Amorini dorati13 in direzione della torre piezometrica. Sebbene possa configurarsi come uno spazio di risulta, rispetto a quanto appena osservato, quest’ultimo doveva avere una funzione propedeutica14 alle attività svolte all’interno delle officine adiacenti, fullonicae, votate alla lavorazione dei tessuti (Weilguni, 2011, pp.140-142; Ciambelli 2015,p.7). Andando ora a determinare i rapporti quantitativi d’uso che si presentano all’interno dell’insula, estesa su una superficie lorda di 3741,77 mq15, si ravvede un esclusivo uso abitativo sul 64,5% di questa. Tra le abitazioni spiccano due grandi dimore per estensione: la Casa degli Amorini dorati, con una superficie a terra di 830 mq e la casa dell’Altare di Giove, al civico 2616, estesa per 570 mq; ed accanto a queste, altre 7 domus PVI162 e PVI1640. PVI167 Cfr. lex Dig XLIII, 10, 1, 4: «allo stesso modo si interessino, affinché nulla sia sporgente davanti alle botteghe: ciò non vale per il fullone che desidera far asciugare i vestiti o per l’operaio addetto alla costruzione dei carri che mette le ruote fuori. Tuttavia in questi casi comunque si deve consentire il passaggio dei veicoli». 15 Il dato si riferisce all’ingombro a terra dell’insula, tralasciando l’individuazione dell’effettiva superficie dei piani superiori, dei quali non si dispone di un’approfondita documentazione. 16 PVI1626 12

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partecipano, anche se in misura nettamente inferiore, all’ingombro abitativo dell’insula. Da un’analisi tipologica, molte di queste sono il prodotto dell’aggregazione di più unità immobiliari, spesso realizzata nelle ristrutturazioni successive alla conquista sillana o al terremoto del 62 d. C. Gli schemi abitativi sono quelli consolidati dell’architettura pompeiana di stampo italico, in cui sono via via penetrati gli stilemi architettonici ellenistici: salvo in rari casi e con le dovute differenze17, ci troviamo in presenza di abitazioni che rispecchiano il tipico modello della casa con atrio tuscanico, tablino e viridario. Il 28% netto dell’insula è invece destinato a funzioni commerciali, artigianali o ricettive. Anche in questo caso, come suggerisce l’evidenza di scale per il collegamento ai piani superiori o soppalchi, si deve comunque ritenere che queste unità avessero un uso promiscuo, dove l’attività economica era localizzata al livello stradale, mentre l’uso residenziale si attestava ai piani superiori. Tra queste, notiamo due fullonicae: la fullonica di Manius Salarius Crocus18 (Ciambelli 2015,pp. 27-28; Eschebach et al.,1993, pp. 224-225) e la fullonica collegata direttamente con la casa degli Amorini dorati (Ciambelli 2015,pp. 29-30; Eschebach et al.,1993, p.225); dieci botteghe; quattro popinae19 e la Statio Vindemitorum, una taberna, il cui uso è da considerarsi ristorativo-ricettivo e forse di supporto all’attività agricola dell’ager a nord (Weilguni, 2011, pp.136-138; Seiler et al., 2005, pag. 219). Per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico, il vicino castellum aquae sicuramente riforniva la casa degli Amorini dorati e la casa dell’Altare di Giove (Olsson, 2015, p.72). Inoltre, intorno all’Insula 16 gravitavano 3 fontane pubbliche, due in Via del Vesuvio ed una 17 18 19

Casa dell’Ara massima, PVI1615. P VI 16 3. P VI 16 2; P VI 16 12; P VI 16 33; P VI 16 40.


in Vicolo dei Vettii; ed un antico pozzo20, all’interno della Statio Vindemitorum. Per quanto riguarda la Via di Vesuvio, troviamo la prima fontana a nord all’altezza del civico 19, mentre la seconda in corrispondenza della torre piezometrica all’angolo sud-est dell’insula. Entrambe presentano una pietra paracarro posta a protezione della vasca e presentano rispettivamente un rilievo con fiaschetta, la prima; un rilievo con testa di toro, la seconda. Si deve aggiungere che le attigue fullonicae non connesse alla rete idrica, probabilmente usassero quest’ultima fontana per l’esecuzione della follatura. La terza fontana si trova invece all’altezza del civico 28, in Vicolo dei Vettii. Realizzata anche questa in pietra lavica, possiede un masso paracarro per proteggere la vasca e un rilievo a forma di testa di leone da cui sgorgava l’acqua (Eschebach, 1983, p.13). Escludendo i danni del terremoto del 62 d. C., di cui permangono le tracce di distruzione e di restauri in vari am-

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Datato al VI secolo a. C..

bienti21, nonché i danni dovuti ai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, l’Insula 16, scavata all’inizio del secolo scorso, mostra attualmente uno stato di conservazione disomogeneo tra le sue unità. I prospetti stradali hanno perso pressoché tutto lo strato di intonaco superstite che li ricopriva al momento dello scavo, mentre, all’interno si conservano sporadicamente ampi lacerti di intonaco dipinto, ancorché nella quasi totalità dei casi sia sottoposto ad agenti degradanti quali risalita capillare delle acque con deposito di sali, erosione, distacco e dilavamento per l’azione degli agenti meteorici e biologici. A questa situazione si deve fare una parziale eccezione qualora, in passato, siano state predisposte coperture ai vani affrescati. L’insula 16, infatti presenta una superficie coperta pari a 695,90 mq, equivalente al 18,65% del totale. L’azione di protezione si è concentrata in particolare laddove sussi21 P VI 16 30. Cfr. Notizie dagli Scavi di Antichità, Tipografia della Real Accademia dei Lincei, Roma, 1908, pag. 284

stessero apparati decorativi particolarmente ben conservati e degni di nota. Sono i casi della casa degli Amorini dorati e la casa dell’Ara massima. Per la restante parte dell’insula si è predisposto un consolidamento strutturale a tappeto, per evitare crolli e il consolidamento degli intonaci superstiti. In ultima istanza, per quanto riguarda le superfici pavimentali, all’interno dell’Insula 16 troviamo un ampio spettro di soluzioni: pavimenti in terra battuta22, cocciopesto e lavapesta23, fino ad arrivare alle importanti soluzioni musive della Casa degli Amorini dorati. Quanto già detto per gli intonaci affrescati vale anche per i pavimenti dell’Insula, i quali presentano un grado di leggibilità assai basso, quando non siano stati protetti con appositi presidi. Oltre alla risalita capillare delle acque meteoriche, che comporta l’interruzione dell’adesione tra supporto e superfici musive, un altro dato importante Pavimenti in terra battuta sono documentati, al momento degli scavi, in varie unità, in particolare dove le esigenze del lavoro o dello status sociale dell’abitante, richiedessero un ambiente più rustico 23 Entrambe le tipologie sono molto diffuse in tutta la città. 22

in seno alla conservazione, è dovuto al degrado biologico, per il quale, erbe e piante infestante ne compromettono la leggibilità e durata nel tempo. Il civico al P VI 16 40 La popina di Felix e Dorus si trova nell’angolo sudoccidentale dell’Insula 16, di fronte alla casa dei Vettii. Questa unità commerciale consiste in una stanza dotata di un bancone di vendita sulla strada (B), una dispensa sotto le scale per il piano superiore (A), la cui entrata si trovava al civico 39, ed due locali per gli avventori (C e D), nonché una cucina dotata di larario (F) a cui si accede attraverso un corridoio (E) e una latrina (G). La popina prende il nome dai due proprietari, i cui nomi sono presenti su una targhetta appesa ad una lanterna itifallica bronzea che fu rinvenuta sul bancone del locale, anticamente attaccata all’architrave di accesso. Storia dello scavo Durante la sovrintendenza di E. Pais si mise mano allo sterro dell’intera area


a sinistra Elaborazione propria, prospetto Sud dell'Insula 16 a destra Planimetria, P VI 16 40, Popina di Felix e Dorus, elaborazione propria

G

C F

A D

B

corrispondente all’Insula 16 così da poterne esplorare l’intera area. Lo scavo della popina al civico 40 dell’Insula 16 fu realizzato dal 6 al 13 maggio del 1903, così come si può evincere dai diari di scavo pubblicati nel 1908 in “Notizie degli scavi di Antichità” (pp. 368-370). Per tutta l’area si fa menzione di manomissioni ed asportazioni di paramenti architettonici ed arredi, compiuta in seguito all’eruzione in tutta l’area (“Notizie degli scavi di Antichità”,1906, pag.374; “Notizie degli scavi di Antichità”,1907, pag.549). Il dato è suffragato dalle stratigrafie sconvolte rinvenute nella casa degli Amorini dorati così come nella popina ai civici 1-2 (“Notizie degli scavi di Antichità”,1906, pag.345). La descrizione del civico 39, come “adito ad una scaletta indipendente A, per la quale si saliva al piano superiore del termopolio che immediatamente segue”, ci informa che è stato appena superato il posticum della Casa degli Amorini dorati24.

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P VI 16 38.

Gli ambienti vengono descritti in maniera sommaria, andandone ad elencare gli elementi salienti per quanto riguarda l’arredo e la conformazione architettonica. Si dà infatti una prima descrizione della soglia “fatta di tre pezzi di lava coi soliti incavi per le tavole di chiusura e con l’abbassamento a destra per il battente girevole”, continuando poi con la determinazione degli ambienti seguenti, indicati come “affatto” rustici. Principale elemento per la determinazione funzionale del “termopolio” fu il “banco per la vendita , in muratura,(...), dove termina con un triplice fornello, a, del pari in muratura”. La pianta allegata alla relazione di scavo mostra infatti un bancone terminante con tre elementi assimilabili a fornelli, di cui adesso resta traccia solo di uno. Dalla lettura del paramento murario, non si legge alcun elemento che possa farne supporre la presenza al momento dello scavo, ma ci troviamo comunque in presenza di un edificio visibilmente più volte rimaneggiato. La superficie verticale esterna del bancone si presentava ricoperta di intona-

E

co dipinto di rosso, mentre la superficie orizzontale, dove anche oggi sono alloggiati due recipienti in terracotta per la vendita di cibi e bevande, è descritta, in linea con l’attuale aspetto, ornata “con lastre triangolari di marmo e di altra forma, incrostate”. Altro carattere saliente che viene prontamente riferito è la struttura a forma di piccola scala, tipica di locali per la somministrazione di bevande e cibo, addossata alla parete nord. Oltre alla menzione degli oggetti rinvenuti nei vari ambienti25 altro elemento rilevante risiede nel larario (Pugliese Carratelli, Baldassarre, 1994, pp.996-998; Eschebach, Müller Trollius, 1993, p.232) presente nel vano F in cui sono “dipinti, su fondo bianco, i due serpenti agatodemoni, i quali si avvicinano dall’una parte e dall’altra ad una piccola ara cilindrica imbandita, sulla quale si distinguono bene la pigna e le uova: nel campo, numerose pianticelle; in alto, un festone nel cui mezzo un uccello beccante un insetto.

25

v. infra

Di sotto all’ara dipinta esisteva una sporgenza formata da una mezza pelvi di terracotta che serviva così da vero altare”. Ci giunge quindi l’immagine che anche oggi possiamo apprezzare, la quale, estremamente diffusa, incorpora la tipica modalità di rappresentazione di un larario con i serpenti agatodemoni rappresentati nell’atto di appressarsi all’altare per le libagioni. La stanza viene descritta come illuminata da una piccola finestra in alto sulla parete sud, ancora presente. Si menziona poi una latrina nel vano F. Per quanto riguarda la dislocazione degli arredi, questi sono stati rinvenuti in numero maggiore nell’apotheca26, nel vano B e nel vano C, probabilmente dedicato agli avventori del locale. Analisi architettonica Dal punto di vista strutturale ed edilizio, l’edificio della popina di Felix e Dorus può iscriversi nell’ampio novero di edifici Pompeiani in cui si ravvedono le caratteristiche di una mediocre mura26 Dispensa ricavata nel sottoscala del vano A.


tura e la mancanza di vincoli tra muri perimetrali e divisori (Giuliani, 2006, p.278). Da ciò, risulta difficile, se non in rari casi, la collocazione della divisione tra stanze al piano superiore segni di crollo che la parete presenta sono probabilmente riferibili alla spinta del solaio e della falda del tetto direttamente su questa, nel punto di maggiore luce del solaio di copertura. L’importante mancanza della superficie in opus incertum si attesta ad un’altezza variabile, minore agli angoli e maggiore in corrispondenza della mezzeria del muro e giunge alla massima ampiezza in corrispondenza della porta tamponata, probabile punto debole del paramento a causa della discontinuità geometrica, che comporta tutt’oggi una riduzione della sezione muraria. Per finire un’analisi generale, dal punto di vista storico, l’edificio, era posto in angolo tra il Vicolo dei Vettii e il Vicolo di Mercurio, prospettante la cosiddetta caupona di Salvius27, ed era provvisto di un piano superiore probabil-

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PVI1436.

mente destinato all’abitazione, a cui si accedeva da un vano scale al civico 39. Nella sua ultima facies, risulta essere stato definito planimetricamente in concomitanza del processo edilizio che portò alla strutturazione della casa degli Amorini dorati. L’intera area sud dell’insula era infatti suddivisa in varie unità abitative, che si andarono aggregare in ampi complessi edilizi intorno al I secolo a. C, in un momento concomitante alla consacrazione di Via di Vesuvio come principale asse di scorrimento interno alle mura in direzione Nord-Sud. Le fasi edilizie dell’edificio in oggetto, ne datano alcune porzioni a questo periodo (Seiler, 1992), mentre la maggior parte dei paramenti murari oggi visibili, sono il risultato delle riparazioni avvenute in seguito al grande terremoto del 62 d. C. Esterno Parte Ovest Nella parete ovest si aprono i due varchi di accesso ai civici 39 e 40, confinanti con il muro occidentale del triclinio O della Casa degli Amorini dorati.

Elaborazione propria, analisi funzionale dell'Insula 16 zona sud

FUNZIONI D'USO Popina di Felix e Dorus 39-40 Popina 1-2 Domus di Quintus Poppaeus Sabinus 36 Domus di Gnaei Hoppaei Habiti 7-38 Taberna 5 Officina 8-9 Fullonica di Manius Salarius Crocus 3-4 Fullonica 6

8-9 7-38 6 5 36 3-4 1-2 39-40

Il paramento murario può essere diviso in due porzioni distinte in funzione della tipologia costruttiva impiegata. Infatti, in corrispondenza delle aperture e del cantonale troviamo l’impiego di opus vittatum e opus mixtum. L’utilizzo di queste due tecniche ci suggerisce un restauro dell’edificio in età augustea, probabilmente in concomitanza con il terremoto del 62 d. C. La parte superiore del muro esterno invece è realizzato in opus incertum. Si può notare l’allineamento dei fori passanti per sostenere la struttura lignea

di sostegno di una tettoia protettiva. Purtroppo lo stato di rimaneggiamento della superficie non permette un’ulteriore analisi relative a strutture che su questa si sarebbero potute innestare. Per quanto riguarda lo stato di conservazione, l’intero muro occidentale esterno, di cui non è pervenuto lo strato di intonaco che lo copriva, presenta fenomeni di erosione e polverizzazione dei tufelli così come degli elementi fittili, laddove si vede l’utilizzo dell’opus vittatum. Il fenomeno è legato all’esposizione prolungata all’azio-


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ne degli agenti atmosferici e si ravvede quando anche in posizioni superiori, si ha l’impiego di questi materiali. La parte restante del paramento è realizzata in pietra lavica e cruma il cui allettamento sembra essere stato abbondantemente sostituito durante i restauri negli anni successivi allo scavo. E’ successivo agli anni ‘80 del 1900 l’inserimento dell’architrave in calcestruzzo cementizio armato per entrambe le aperture, il quale presenta in più punti segni di degrado del copriferro, che tuttavia non è giunto al distacco. Parte sud La parete sud, in continuità angolare con il lato ovest. Condivide con questo il cantonale in opera vittata mista, impiegata anche per gli stipiti della porta che qui si apriva in corrispondenza del vano B. Oggi si presenta tamponata in opus incertum, dove si nota la presenza di elementi fittili, quali frammenti di tegole. La totale mancanza di intonaco mette in luce anche la composizione del resto della parete, concepita interamente in opera incerta.

In corrispondenza del vano F troviamo, inoltre, un’apertura finestrata, il cui intradosso superiore corrispondeva alla quota inferiore delle travi che sorreggevano il solaio28. Sempre in corrispondenza di tale vano si ha, nella parte inferiore della muratura, un’apertura di esigue dimensioni, la quale, qualora si accertasse la destinazione d’uso a cucina dell’ambiente, potrebbe configurare uno scarico delle acque. In ultima istanza, sia a sinistra sia a destra della finestra, si possono notare due fori, forse interpretabili come sostegni della tettoia di copertura del marciapiede. Interno Vano A Il vano, corrispondente al civico 39, di cui era accesso tramite una scala lignea di cui non è pervenuta traccia, doveva rivestire il ruolo di apotheca per la popina. Al vano si accede attraverso una soglia dove era presente una porta d’accesso. Come già specificato, in corrispondenza 28

v. infra

Elaborazione propria, fenomeni di dissesto dovuti a rotazione lungo l'asse est-ovest, prospetto ovest Popina di Felix e Dorus

della aperture si ha l’impiego della tecnica costruttiva dell’opus vittato, mentre, la parte restante del paramento è realizzata in opera incerta con l’utilizzo di pietra calcarea e cruma. Il vano consta di tre pareti: • Parete nord: presenta il lato occidentale in opera vittata, mentre lo sviluppo in altezza mostra tracce dell’innesto del solaio del piano superiore e delle travi di sostegno della tettoia esterna. La mancanza di una parte del paramento murario a Nord-Est espone alla vista la palifi-

cazione passante per una profondità, dalla facciata esterna, di più di un metro. La superficie originaria appare in più punti manomessa ed integrata, come si può ben notare anche dalle malte utilizzate per la stuccatura delle pietre. Non c’è traccia degli intonaci originali, né dell’impronta della scala. • Parete est: la leggibilità del paramento murario originale risulta estremamente compromessa dal crollo di questa nel suo sviluppo superiore alla traccia


Elaborazione propria, sezione trasversale sui vani A e B

del solaio. Non rimane traccia né di intonaco né dell’originario architrave che condivideva con la parete sud. • Parete sud: ha uno sviluppo in altezza pari alla quota dell’architrave di accesso al vano A. Anche questa presenta una superficie realizzata in opus incertum, che lascia però spazio all’opera vittata in presenza degli stipiti della porta d’accesso. I fenomeni di degrado e i restauri successivi hanno inficiato la leggibilità del paramento murario ed in particolare la leggibilità dell’orditura del solaio. • Parete ovest: si sviluppa sopra l’architrave ligneo che sormonta la porta di accesso al vano dalla strada. E’ presente in angolo un foro, obliterato però nel suo naturale sbocco sulla strada. La superficie lapidea risulta manomessa dai restauri effettuati, così come la malta di allettamento tra i singoli elementi sembra non essere più quella originale. La parete prosegue, senza interruzione, nel vano B, di cui è il prospetto Ovest.

Vano B E’ il vano principale della popina che alloggia il banco per la vendita e somministrazione di bevande e cibi. Al suo interno, oltre al banco in muratura che in seguito si analizzerà, è presente un dolium per metà infisso nel piano pavimentale, al momento obliterato da terreno di riporto. Per quanto riguarda le superfici murarie, non si ha evidenza di intonaci, se non in minimi lacerti. Le pareti che delimitano il vano sono: • • Parete nord: si vede addossato il bancone in muratura e, in corrispondenza della struttura a scala per l’esposizione delle merci, presenta pochi lacerti di intonaco ancora dipinto di rosso pompeiano, dilavato dagli agenti atmosferici. Lo sviluppo in altezza della parete è conforme a quanto detto per la sua omologa del vano A29. Anche qui si notano i segni dei recenti restauri. • Parete est 1 e 2: facenti parte precedentemente della stessa parete, la quale sembra aver ceduto a causa

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P VI 16 40 A S

delle sollecitazioni dovute all’eruzione, sono tra quelle il cui sviluppo in altezza è più limitato, facendo così ritenere un azione di carico piuttosto elevata per la consistenza muraria. Non è possibile alcuna analisi relativa all’innesto delle travi del solaio, data l’esiguità dell’elemento superstite. • Parete sud: l’originario paramento in opus incertum appare interrotto per ben tre volte là dove si apriva una porta, poi tamponata già in età romana: così come nel suo sviluppo ovest, laddove si va a raccordare con la facciata. Dal punto di vista statico, valgono le stesse considerazioni espresse per il prospetto esterno sud. Anche qui non sono ravvisabili i fori di inserimento del solaio del piano superiore, per la mancanza di ampie porzioni murarie. • Parete ovest: Si sviluppa sopra l’architrave che sormonta la porta di accesso al vano dalla strada. Ugualmente a quanto detto per la parete ovest del vano A, la superficie lapidea risulta fortemente manomessa dai restauri.

Vano C Indicato come stanza per gli avventori da Eschenbach (1993, p.232), attualmente ospita al suolo una serie di oggetti qui depositati in momenti successivi, quali una macina di piccole dimensioni e 3 dolia in terracotta. Le pareti che delimitano il vano sono: • Parete nord: è la parete che presenta le migliori tracce dell’orditura del solaio relativo al piano superiore30. Dalla dimensione delle travi e dall’interasse tra questi, sembra che dovessero sostenere un peso rilevante, probabilmente relativo ad una pavimentazione con rifinitura in cocciopesto. Non ne viene data, però, alcuna menzione all’interno dei diari degli scavi. • Parete est: realizzata in opus incertum, non arriva nel suo sviluppo verticale all’altezza del solaio. Presenta due fori passanti di travature nel vano G. • Parete sud: ha uno spiccato limitato, che incrementa nel punto di inse-

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Nord-sud.


Elaborazione propria, sezione longitudinale sui vani A, C e G

rimento del muro divisorio tra vano D ed F. Non è presente traccia di intonaco. Si notano opere di restauro, con rifacimento delle creste. • Parete ovest 1 e 2: Come le omologhe ad est del vano B, hanno un limitato sviluppo in altezza. Anche qui si nota il segno di recenti restauri. Vano D Da Eschenbach è definito come l'altra stanza per i frequentatori della popina: Le pareti che delimitano il vano sono: • Parete nord: ugualmente a quanto detto per la parete sud del vano C, non presenta caratteri particolari e risulta mancante di un’ampia porzione di spiccato murario. • Parete est: non presenta particolari elementi, se non la copertura in tegole realizzata sopra la cresta per proteggere il larario dipinto nel vano F. • Parete sud: la parete, di uno spessore inferiore ai 30 cm, in opus incertum, probabilmente non aveva una funzione strutturale e, a differenza della parete al confine con il vano C non doveva essere ripetuta al piano superiore.

• Parete ovest: presenta le stesse caratteristiche delle pareti ovest del vano C. Vano E E’ un corridoio che mette in comunicazione la stanza principale della popina con il vano F, dove troviamo un larario e, con tutta probabilità, si aveva un ambiente di lavoro, se non una cucina vera e propria: Le pareti che delimitano il vano sono: • Parete nord: ugualmente a quanto detto per la parete sud del vano D, non presenta caratteri particolari e si conserva per un’altezza esigua. • Parete sud: naturale continuazione della parete sud del vano B, presenta un incremento di altezza, che raggiunge il culmine nel vano F. Da notare i fori nel paramento murario per alloggiare le travi che sorreggevano il solaio, con orditura Nordsud, il cui secondo estremo doveva poggiare sulla parete di confine tra i vani C e D. Da un’analisi del paramento murario si può scorgere una serie di 5 abrasioni a distanza re-

golare all’altezza di 1.80 m, le quali però non possono essere considerate un vero e proprio alloggio per travi di sostegno ad un solaio. L’ipotesi interpretativa a cui si rifarà la ricostruzione è basata sulla tecnologia costruttiva per la realizzazione di volte ad incannucciata. Le abrasioni, infatti, più profonde in corrispondenza del lato inferiore, potevano fungere da alloggio dei travicelli di cipresso (Giuliani, 2006,p.97) sui quali era applicata una superficie in canne greche schiacciate, intonacate sull’intradosso. E’ inoltre presente la traccia di un altro alloggio per trave di legno a sezione quadrata. Per quanto manchino le tracce di altri elementi simili sulla superficie muraria esterna/interna, si dovrà ritenere, in analogia con quanto riscontrato sulla parete nord, lato est, del vano A, che qui si impostasse una struttura lignea per sorreggere una tettoia esterna di riparo dagli agenti atmosferici.

Vano F Da Eschenbach è definito come la cucina della popina. Attualmente, se non la presenza del larario, non ci sono altri elementi che possano far protendere in tale direzione. Si dovrà però aggiungere che, a differenza della pianta redatta in modo più sbrigativo al momento dello scavo, si hanno rappresentazioni di una struttura addossata al muro perimetrale sud, nelle vicinanze di una foratura nel muro passante verso la strada, la quale potrebbe essere la rappresentazione del banco di lavoro di una culina o, altrimenti, dell’elemento di attacco di una scala lignea per il soppalco ubicato al di sopra del vano G. Le pareti che delimitano il vano sono: • Parete nord: la parete ospita parte dell’affresco presente sulla parete occidentale del vano. Risulta anche qui parzialmente schermato dagli agenti atmosferici dalla tettoia in coppi e tegole. Lo sviluppo della superficie affrescata non supera i 10 cm di larghezza. La parte restante del muro manca totalmente dello strato di intonaco.


Elaborazione propria, sezione trasversale sui vani G e F

• Parete est: presenta un marcato sviluppo verticale e gli alloggiamenti delle travi che sorreggevano il solaio interpiano, le quali si impostavano ad un’altezza di 3 m dall’attuale piano di calpestio. Se ne può desumere un’orditura di travi, a sezione rettangolare, direzionata est-ovest, che si andava ad innestare su quella dell’attiguo vano E. Dal punto di vista strutturale, in più punti sono presenti lesioni che percorrono verticalmente la parete dall’attuale cresta, indice del carico concentrato che il paramento murario sopportò al momento dell’eruzione. • Parete sud: la parete ospita una finestra con una strombatura inferiore all’altezza di 2.40 m rispetto al piano medio di calpestio,per un totale di 60 cm, altezza in cui si impostava il solaio del vano. Come già visto, in questa parete, al livello dell’attuale piano di calpestio, si apriva un foro di comunicazione con la strada esterna, forse per lo scarico delle acque reflue. Si notano in vari punti interventi di rifacimento e restauro del paramen-

to murario. In particolare, è degna di menzione la discontinuità di muratura in angolo con la parete Est, frutto di una ricucitura muraria effettuata in seguito allo scavo. Ciò si può spiegare con il crollo di un meniano relativo al civico 1-2, con il quale tale parete era condivisa. Asseverano la presenza di questo elemento architettonico le profonde tracce di palificazioni inclinate a 40° con la funzione di sostegno all’aggetto del solaio, in corrispondenza del vano 6 del civico 1-2 . • Parete ovest: la parete, coperta da una tettoia in coppi e tegole, ospita un affresco raffigurante due serpenti agatodemoni nell’atto di apprestarsi alle libagioni. Lo stato di conservazione non è ottimo e la superficie pittorica presenta una serie di lacune dovute a distacchi dello strato d’intonaco fino alla preparazione. Si notano risarciture effettuate con intonaco a base cementizia, che, per la maggiore rigidità rispetto all’originale, ha comportato la fessurazione di questo e l’espulsione di materiale. La patina pittorica risente invece dell’azione

degli agenti atmosferici, che la tettoia non è capace di arginare. Si nota a più riprese una perdita della normale policromia che arriva a inficiare la leggibilità degli elementi rappresentati. Vano G Il vano corrisponde all’antica latrina della popina. Il vano sembra che fosse suddiviso su due livelli, la cui altezza esigua fa protendere per l’interpretazione di un soppalco per lo stoccaggio di beni di commercio. Al soppalco si doveva accedere attraverso una scala di legno dal vano F. Le pareti che delimitano il vano G sono: • Parete nord: la parete, continuazione della parete nord del vano C presenta i segni dell’ammorsamento delle travi del solaio, ordito nord-sud, le quali si impostano ad un’altezza di 3 m dal piano di calpestio del vano G. Anche in questo vano sembra che si potesse presentare una finta volta ad incannucciata, applicata direttamente alle travi di sostegno del solaio, le quali appaiono ricalate rispetto all’altezza media d’imposta del solaio condiviso con il vano C.

Si notano inoltre elementi che lasciano ritenere che parte sia stata oggetto di restauro in un periodo successivo nella sua porzione apicale, probabilmente in concomitanza del ripristino della copertura del peristilio della casa degli Amorini dorati31. Come già detto, nella parte bassa del vano è alloggiata una latrina, le cui tracce della struttura lignea di copertura sono evidenti ad un’altezza di 1.50 m dal piano di calpestio del vano G. • Parete est: prosecuzione della parete est del vano F, presenta evidenti segni di alloggi di travature che si attestano ad un’altezza inferiore rispetto al solaio interpiano pari ad 1.20 m. Non sono presenti aperture, nonostante lo sviluppo in altezza della superficie muraria. • Parete ovest: Come la parete est, presenta i fori per l’alloggio di travi ordite est-ovest. Lo sviluppo in altezza è conforme a quello della parete est del vano C adiacente, così come l’opus incertum utilizzato per il paramento. 31

PVI167


Dall'alto verso il basso Elaborazione propria, sezione trasversale sui vani F e G Elaborazione propria, sezione longitudinale sui vani B,E e F


Arredi fissi Bancone Il banco per la vendita e la somministrazione è collocato nel vano B, parallelamente al Vicolo dei Vettii. Presenta la tipica forma ad L e un piano ricoperto di lastre di marmo a forma poligonale, sormontato da una scaletta comprendente 3 scalini coperti di intonaco con piano in lastre marmoree. Nel banco sono alloggiati due dolia per la conservazione della mercanzia, mentre all’estremità, dove ora si vede lo spazio per un fornello, sembra che ce ne fossero tre (“Notizie degli scavi di Antichità”,1908, pag.360). La superficie laterale rivolta verso la strada è intonacata e dipinta di rosso, di cui ora restano ampi porzioni. Dolium nello stesso vano è presente un recipiente incassato nel terreno, sul lato est, accanto alla porta di accesso al corridoio per la cucina e la latrina. Altri arredi Sono presenti altri arredi, perlopiù trasportati al civico 40, di cui non è stato possibile stabilire la provenienza, non menzionati in alcun testo al momento dello scavo né al momento dell’inventario degli oggetti rinvenuti. Possiamo elencare altri due dolia, una macina in pietra lavica e un altro recipiente, anche questo in pietra lavica.

dal basso verso l'alto Elaborazione propria,riproduzione di: imbuto a coppa, vasi ad alto collo da 0,08 a 0,1 m, fiasco piramidale, fiaschi e bottiglie a ventri e colli svasati, tazze, askos

Elaborazione propria, riproduzione di tre unguentari di 0,13 m

Arredi Mobili All’interno furono rinvenuti, al momento dello scavo: Vetro • tre unguentari in vetro; • otto bottiglie di vetro sottile (altezza variante dai cm. 13 ai 17); • fiasco piramidale con ansa a quattro sporgenze (alt. m. 0,28); • tre sottili vasettini sferici, dei quali due ad alto collo e uno col labbro rovesciato (altezza variante da cm. 8 Va a 10); • una tazza grande con orlo rovesciato in fuori e due più piccole quasi simili

(diam. variante da cm. 6 a 15); • piccola bottiglia sferica ed altra piccola bottiglia cubica (alt. m. 0,08); • tre piccole bottiglie sferiche e una piramidale con cinque nervature dalla bocca alla pancia; • askos di sottile vetro blu con ansa a nastro impostata sulla pancia e sulla bocca; • imbuto a coppa, privo dell’orlo; • un unguentario (alt. m. 0,11); Bronzo • dodici cerniere, delle quali alcune rotte; • uno scudo quadrato ed altri accessori, ed ornamenti di una serratura; • quattro così detti guarda-spigoli, attraversati da chiodetti; • una oinochoe a bocca circolare senza ansa (alt. m. 0,17); • vaso conico con l’orlo rovesciato in dentro, privo del fondo (alt. m. 0,13); • piccola casseruola a coppa, il cui manico ha nella estremità tre piccoli fori; • forma ellittica per pasticceria; • piccola lucerna a un luminello con ansa ad anello, ornata di mezza luna (lungh. m. 0,11); • specchio rettangolare rotto in tre pezzi (mill. 15 per 12); • quattro asticine formate a palette (ferri chirurgici?); • due cucchiaini con estremità a punta; • due pinzette una delle quali a nastro, (lungh. m. 0,07 e 0,09). Due asticine e una terza più piccola, terminanti in un disco; • anellino rappresentante due teste di serpi opposte; • cinque anellini di diversa grandezza; • un lebete dal fondo rotto, con le anse terminanti a testa di biscia (diam. m. 0,33); • quattro sesterzi, uno di Tiberio, uno di Claudio e due di Nerone; • un asse repubblicano, un asse di Claudio e 14 di Nerone; • due frazioni di asse, una di Nerone e l’altra irriconoscibile; • gruppo di catenelle, alle quali sono

sospese una lucerna a due luminelli (lungh. m. 0,19), una targhetta ansata (lungh. m. 0,10), un fallo in forma di cane (lungh. m. 0,09) e quattro campanelli, dei quali due a bocca tonda e due a bocca quadrata; • borchia tonda con anello striato; • frammenti di una lagena biansata (alt. m. 0,28). Altra lagena rotta nella pancia e con le anse dissaldate (alt. m. 0,24); • serratura rettangolare con due anelli striati (cm. 9 X 10); • calderotto conico dal labbro rovesciato al di fuori, rotto nel fondo e nella pancia (diam. della bocca m. 0,25); • un sesterzio di Nerone e due assi mal conservati; Argento • ornamento foggiato a mezzaluna; Osso • nove stecche ornamentali in frammenti; • diversi frammenti di corna di antilope; • due denti di cinghiale; • due fusi (lungh. m. 0,16 e 0,15); • ago crinale terminante in una mano; • frammento di cucchiaino; • otto cerniere di cassa; • una fuserola; • tre bottoni torniti; • dadi di osso; Crostacei • quattro conchiglie; • Pasta vitrea • cinque globetti; Terracotta • piccola ara foggiata a fruttiera (diam. m. 0,16). Piccola tazza aretina (diam. m. 0,08); Porcellana • cassettino quadrato aperto superiormente e rivestito di smalto vitreo (cm. 12 X 12); Marmo • statuetta molto consumata, una volta ricoperta di pasta vitrea;


Elaborazione propria, riproduzione di ara foggiata a fruttiera

Elaborazione propria,riproduzione di lucerna itifallica

Elaborazione propria, riproduzione di: specchio rettangolare, oinochoe a bocca circolare

dal all'alto verso il basso Elaborazione propria,riproduzione di: lebete con anse terminanti a testa di biscia, lucerna ornata di mezza luna, pinzette asticine e cucchiaini, casseruola a coppa e forma ellittica per pasticceria

dal basso verso l'alto Elaborazione propria,riproduzione di: utensili in legno da riconnettersi al focolare, piccola tazza in terracotta, cassettino quadrato aperto superiormente



Il rilievo

pagina precedente Nuvola di punti Insula 16, Regio VI, Pompei (acquisizione da Soprintendenza di Pompei, Ercolano e Stabiae) in basso Elaborazione propria, planimetria da volo del drone a 15 metri, P VI 16 (acquisizione da Soprintendenza di Pompei, Ercolano e Stabiae)

Il materiale fornito su espressa richiesta da parte della Soprintendenza di Pompei Ercolano e Stabiae per lo sviluppo del progetto di tesi comprende: 1. Planimetria completa dell’area archeologica di Pompei in formato .dwg 2. Planimetria di dettaglio dell’Insula 16 Regio VI georeferenziata in coordinate Gauss-Boaga 3. Planimetria georeferenziata in coordinate Gauss-Boaga derivata da volo del drone a 15 m, in formato .tif (con .ftw d’accompagnamento) 4. Scansioni allineate, ma non georeferenziate relative all’Insula 16 e assi stradali confinanti, fornite in formato .rcp Ad accezione del materiale al punto 1, gli altri dati forniti derivano dall’archiviazione del materiale prodotto durante il GPP. Il sistema di acquisizione della nuvola di punti è stato realizzato attraverso l’utilizzo di un laser scanner a differenza di fase, modello Z+F 50010c.

Allineamento scansioni e georeferenziazione Il progetto di allineamento delle scansioni fornite dalla Soprintendenza in formato .rcp si è reso necessario per un controllo relativo all’allineamento complessivo dell’Insula che era stato realizzato precedentemente. Si è ritenuto, per accuratezza scientifica del dato fornito, l’allineamento della mole di 249 scansioni, comprendente sia la campagna di rilievo effettuata civico per civico, sia le scansioni realizzate sul sedime stradale, in modo da poter avere il profilo completo dell’insula 16. Il software utilizzato per la registrazione è stato Autodesk Recap360, in analogia con il formato di consegna. La registrazione tra nuvole di punti acquisite è stata condotta secondo un approccio per il quale si è proceduto ad un allineamento di tipo pairwise, cioè a coppie di viste 3D, allo scopo di pervenire a una stima approssimativa delle trasformazioni che legano tra loro le varie coppie. Le coppie di scansioni così calcolate vengono ulteriormente “raffinate”, ovvero migliorate.


Per quanto riguarda i punti usati per l’allineamento delle singole scansioni, si è proceduto per terne di punti morfologici omologhi, correggendo il risultato qualora non rientrasse nel range di tolleranza che Recap di volta in volta forniva nel rapporto di allineamento. Una volta unito in un unico blocco l’insieme delle scansioni, si è quindi proceduto con la geroreferenziazione. Rilievo topografico Durante la campagna topografica, sono stati individuati una serie di punti morfologici ben ravvisabili sulle scansioni, di cui sono state estratte le coordinate. Il metodo utilizzato è il c.d. metodo “convenzionale” (Schuhmacher e Bohm). La registrazione e la georeferenziazione delle scansioni sono svolte in un’unica procedura che richiede la presenza di un numero sufficiente di target per il calcolo dei parametri di trasformazione. Una volta determinate le stazioni di acquisizione si sono individuati i punti per la georeferenziazione delle scansioni. Si è cercato di soddisfare i requisiti di visibilità da più stazioni, distribuzione omogenea sulle superfici da rilevare e una buona collimabilità dei vertici della rete topografica. Una volta individuati, i punti con queste caratteristiche sono stati collimati con la stazione totale. Il libretto è stato quindi usato per estrapolare una terna di punti che sono stati successivamente inseriti. Una volta che l’intera nuvola è stata georiferita, si è proceduto all’importazione della stessa su Autocad. Nello stesso file sono stati posizionati dei punti, battuti da parte degli operatori della Soprintendenza, corrispondenti ad uno spigolo dell'Insula. Dalla nuvola è stata estratta un sezione (slice) dello spessore di 3 cm, misura della tolleranza ammessa per il rilievo (x;y;z). Il discostamento dello spigolo, rispetto al punto dato è stato quindi quantificabile in un massimo di 0,008 m, gran-

Elaborazione propria, poligonale d'inquadramento Regio VI, Insula 16 a destra Foto di cantiere relative al rilievo topografico (30/07/2017)

dezza ottimale e assorbibile nell’errore di graficismo di rappresentazione. In seguito all’acquisizione presso la Soprintendenza di Pompei delle scansioni Laser 3D relative all’Insula 16 della Regio VI, realizzate con Laser ZF 510C, si è convenuto di effettuare un rilievo topografico con il fine di georeferenziare le scansioni. Il rilievo topografico è stato effettuato con una Stazione Totale Leica TCR 705, messa a disposizione dal Laboratorio di Rilievo dell’Architettura dell’Università di Architettura di Firenze. L’attrezzatura resa disponibile dal Laboratorio, oltre alla Stazione Totale, comprendeva tre treppiedi regolabili, due prismi riflettenti di cui uno mini e una batteria di riserva. Il progetto di rilievo su carta è stato effettuato dopo un attento sopralluogo, prendendo

in considerazione il listato dei capisaldi ufficiali della Soprintendenza con relative schede monografiche dei punti che ci è stato trasmesso. I punti topografici di coordinate note che sono stati individuati nella nostra area di lavoro (Insula 16 della Regio VI) sono: • ST 032, centrino metallico infisso tra il basolato della strada, situato a sud-ovest dell’Insula 16 in prossimità dell’incrocio tra il Vicolo di Mercurio e il Vicolo dei Vetti; • ST 033, centrino metallico infisso tra il basolato della strada, situato ad ovest dell’Insula 16 nel Vicolo dei Vetti; • ST 034, centrino metallico infisso tra il basolato della strada, situato a nord dell’Insula 16 sopra la copertura del Castellum Acque; • ST 035, centrino metallico infisso

nella pavimentazione del marciapiede, situato a sud-est dell’Insula 16 all’incrocio di Via del Vesuvio con il Vicolo di Mercurio; • ST 065, centrino metallico infisso tra il basolato della strada, situato a nord dell’Insula 16 nelle vicinanze Porta Vesuvio; • ST 088, centrino metallico infisso nel terrapieno nella zona nord-est di Porta Vesuvio; Il fine del rilievo, individuato nella fase di progettazione, è stato quello di creare una salda poligonale chiusa di inquadramento topografico sulla quale andar ad innestare delle braccia aperte che ci aiutassero nell’acquisizione di punti morfologici, utili alla georeferenziazione delle scansioni Laser 3D. La prima ipotesi di poligonale di inquadramento è stata effettuata su car-


ta utilizzando la planimetria completa dell’area archeologica di Pompei, dove sono indicati i capisaldi ufficiali, la congettura era quella di formare una poligonale con i punti topografici ST 032, ST 033, ST 034, ST 035 posizionati nelle immediate vicinanze del’Insula e distribuiti intorno al suo perimetro, da questa dovevano diramarsi delle braccia che avrebbero permesso di acquisire dei punti morfologici distribuiti in maniera omogenea sull’Insula. Per il raggiungimento di questo obiettivo è stata in primis valutata, in fase di sopralluogo, la intervisibilità dei vertici della poligonale ipotizzati. Dato che la fase di sopralluogo ha confermato l’intervisibilità dei vertici, la successiva fase progettuale del rilievo si è basata sullo stesso schema ipotizzato in prima istanza. Dopo la progettazione del rilievo su carta è stata eseguita la fase operativa sul campo, la prima operazione compiuta è stata quella dell’individuazione materica dei capisaldi a terra, che per lo più erano nascosti da piccoli strati di terra. Una volta individuati i capisaldi è stato posizionato il primo treppiede in prossimità del vertice di stazione ST 034 sopra il Castellum Acque, disponendo lo strumento e eseguendo tutte le operazione di messa in stazione, misurando e segnando l’altezza dello strumento (presa nel punto del centro ottico dell’obiettivo) dal punto materico a terra. Nel frattempo un operatore si è adoperato per posizionare i prismi, collocati su treppiedi messi in bolla, in corrispondenza dei vertici ST 033 e ST 035 che sono stati collimati. Dalla stazione ST 034 è stato battuto anche un nuovo punto individuato con il numero 1000 esterno alla poligonale chiusa, oltre che una serie di 5 punti materici individuati con i numeri dal 10000 al 10005. Terminate le operazioni nella stazione ST 034 è stato spostato lo strumento nella stazione ST 035 dalla quale, do-

po aver eseguito tutte le operazioni di messa in stazione, sono stati collimati i vertici della poligonale ST 034 e ST 033. Dalla stazione ST 035 sono stati altresì battuti due nuovi punti fuori dalla poligonale (braccia libere) individuati con i numeri 2000 e 3000 e collimati i 4 punti morfologici dal 10010 al 10013. Proseguendo in senso orario è stato spostato lo strumento, con relativo treppiede, nel vertice ST 032 dal quale è stato possibile collimare le stazioni ST 035 e ST 033 oltre che battere i punti morfologici 10040, 10041, 1042, 1043 e 1044 in prossimità del civico 40 dell’insula 16 Regio VI. Dalla stazione ST 033 è stato infine possibile collimare le stazioni ST 034 e ST 032 per chiudere la poligonale, dallo stesso punto di stazione sono stati battuti i tre punti materici dal 10030 al 10032.

Le ultime operazioni sono state quelle che hanno permesso di mettere in stazione lo strumento nei vertici 1000 e 3000, fuori dalla poligonale chiusa, battendo rispettivamente i punti morfologici dal 10020 al 10026 e dal 10050 al 10054. Una volta terminate le operazioni di rilievo, durante le quali è stato redatto il libretto di campagna, è stata calcolato il progetto di rilievo topografico utilizzando il programma Geos. L’operazione di calcolo ha messo in luce degli errori di chiusura angolare della poligonale di 0g.0064, degli errori di chiusura lineare sull’asse “x” di 0,017 m e di -0,038m sull’asse “y” e degli errori di chiusura relativi ai dati altimetrici (asse “z”) di -0,001 m. Sono stati poi confrontati gli errori determinati dal calcolo della poligonale

chiusa con i parametri di tolleranza per poligonali inferiori ad 1km. La tolleranza relativa alla chiusura lineare, T(d), è stata calcolata moltiplicando la radice quadrata della sommatoria delle distanze dei lati della poligonale per 0,015: il parametro di riferimento ottenuto è di 0,2845 m. Tale parametro affinché la poligonale potesse risultare accettabile avrebbe dovuto essere maggiore alla radice quadrata della somma degli errori sull’asse x e sull’asse y al quadrato; il prodotto di questo calcolo è risultato essere -0,0339m che confrontato con la tolleranza risulta minore e quindi accettabile. Per quanto riguarda la tolleranza angolare è stato moltiplicato il parametro 0g,025 (parametro per poligonali inferiori ad 1 km) per la radice quadrata del numero dei


lati della poligonale, il risultato ottenuto (0g,0559) è maggiore dell’errore di chiusura angolare ottenuto per la poligonale e quindi anche in questo caso l’errore è stato considerato accettabile. Rilievo fotogrammetrico La fase di progettazione e attuazione del rilievo fotogrammetrico è stata preceduta da indagini conoscitive relative alle tecniche da utilizzare e relative all’oggetto di studio su cui andare a lavorare. Sopralluogo Date per assunte le nozioni teoriche basilari della fotogrammetria, in data 10/04/2017 è stato effettuato un primo sopralluogo per constatare le caratteristiche morfologiche e distanziometriche degli oggetti da rilevare e analiz-

zare il contesto urbano in cui approcciare il lavoro di presa fotogrammetrica. Da questo sopralluogo sono state appurate le distanze a cui poter lavorare e sono stati prodotti degli eidotipi prendendo delle misurazioni di massima per poter definire i progetti di presa. Gli elementi individuati da dover rilevare con la fotogrammetria sono quelli relativi agli arredi fissi, agli arredi mobili e agli apparati decorati contenuti nella popina al civico 40 Insula 16 Regio VI, così da poter effettuare in fase di restituzione un’attenta analisi degli elementi al fine di determinare un coerente progetto di musealizzazione. Gli arredi fissi, presenti nell’immobile in questione, sono: un bancone per la somministrazione di cibi e bevande (PVI1640B), due soglie di ingresso, tre elementi fittili disposti all’interno

dei vani (B e C) e due porzioni di macine (vano C), anche queste disposte a terra. Gli arredi mobili ritrovati nel civico, catalogati nell’inventario della Sovrintendenza, sono 76 di diversa dimensione e di diverso materiale (di terracotte, vetro, bronzo, osso, oro ecc.). Gli apparati decorativi sono rappresentati da un affresco nel vano F. Fase preliminare Questa fase prevede l’elaborazione dei dati ottenuti nel precedente sopralluogo al fine di strutturare un progetto di presa consono e arrivare totalmente preparati alla fase di presa fotografica prendendo atto delle caratteristiche del sensore utilizzato e della scala di rappresentazione che si vuole ottenere.

Sensori utilizzati I sensori utilizzati per la presa sono stati due, una CANON EOS 1000D dotata di obiettivo EF-S 18-55 mm e una NIKON D-3200 dotata di due obiettivi NIKON AF-S DX NIKKOR 18-105 mm e NIKON AF-S NIKKOR 50mm. Progetto di presa Il primo passo effettuato verso la definizione di un progetto di presa è stato quello della definizione della scala di restituzione finale dell’oggetto preso in esame. Nel caso in questione gli arredi fissi e gli apparati decorativi al fine di una buona restituzione di tutti i particolari verranno restituiti in una scala di 1:20. Gli arredi mobili in una scala compresa tra 1:10 e 1:1. Una volta conosciuta la scala di rappresentazione e scelto il metodo di presa


a sinistra Foto di cantiere relative al rilievo topografico (30/07/2017) e fotogrammetrico (29/05/2017)

Elaborazione propria, ortophoto dell'affresco votivo rappresentante il serpente Agatodemone

in basso Screenshot delle fasi di elaborazione con il software Agisoft Photoscan

1. Photo alignment

4. Mesh

2. Sparse cloud

5. Build texture

3. Dense cloud

6. Orthophoto

delle immagini al fine della ricostruzione digitale dell’oggetto è stato impostato il progetto di presa attraverso l’utilizzo di un semplice foglio di calcolo che ci ha permesso di comprendere il fattore di scala del fotogramma, il GSD e indicativamente il numero di scatti da dover effettuare. Il foglio di calcolo è stato impostato utilizzando GSD predefiniti (0,3 mm per la rappresentazione 1:20, di 0,2 mm per rappresentazioni di 1:10 e di 0,02 mm per rappresentazioni in scala 1:1) che ci permettessero, in relazione della camera utilizzata, di rappresentare gli oggetti nella scala opportuna posizionandoci alla giusta distanza.

Fase sul campo e processo fotogrammetrico In data 29/05/2017 è stata effettuata la fase principale di presa fotografica sul campo. Il processo digitale di allineamento e restituzione fotogrammetrica delle immagini digitali precedentemente prodotte è avvenuto con il programma Agisoft Photoscan, un software che permette di ricostruire modelli tridimensionali partendo da fotografie. La procedura di ricostruzione è automatica e non necessita di alcuna strumentazione particolare.

Elaborati Dalla ribattitura su Autocad delle sezioni opportunamente preparate sulla nuvola di punti se ne sono tratti: • Scala 1:200: Prospetti stradali dell’Insula 16, 2 Sezioni trasversali dell’insula; • Scala 1:50: 6 Sezioni del civico 40 con indicazione materica dei prospetti, prospetti stradali del civico 40; Dalla ribattitura su Autocad degli elementi su cui è stata realizzata una campagna fotogrammetrica, si è ottenuto: • Scala 1:20: soglie del Civico 39 e 40, arredi fissi del civico 40 (bancone, dolia e macina); • Scala 1:10: ribattitura dell’affresco nel vano F e sua mappatura del degrado. • Vettorializzazione dei prospetti de-

gli oggetti rivenuti durante gli scavi del civico 40, vettorializzazione delle sezioni e delle piante degli oggetti rivenuti durante gli scavi del civico 40.

33



Progetto e fruizione



Ricostruzione e modellazione del manufatto

pagina precedente Elaborazione propria, ipotesi ricotruttiva Popina di Felix e Dorus, vista esterna notturna in basso Elaborazione propria, planivolumetrico ricostruttivo Insula 16, parte sud

1. Rhinoceros - modello Insula 16 sud

Dopo l’analisi del manufatto si è proceduto alla ricostruzione e realizzazione di elaborati che permettessero la percezione dell’edificio e del suo contenuto così come avrebbero dovuto essere prima dell’eruzione del Vesuvius. L’operazione di ricostruzione architettonica si è infatti basata sulla discretizzazione dei punti che avessero un indice di affidabilità maggiore per la mancanza di importanti azioni di crollo in seguito all’eruzione e allo scavo, o perché non oggetto d’intervento di restauro invasivo, in modo tale da poter attribuire una maggiore genuinità del paramento murario. I dati raccolti sul campo sono stati quindi confrontati con le pubblicazioni a disposizione, che trattassero in maniera approfondita l’argomento. Si è giunti quindi ad una determinazione certa della maggior parte degli elementi e della volumetria dell’edificio nel suo complesso, salvo indicare appositamente qualora il dato ricostruttivo non avesse un’affidabilità piena o fosse necessario improntare due soluzioni differenti.

Sviluppo planimetrico e volumetrico Come già visto la lettura dei paramenti murari ha portato ad una determinazione abbastanza sicura circa lo sviluppo planimetrico e volumetrico della popina di Felix e Dorus. L’edificio, situato in angolo tra il Vicolo dei Vettii ed il Vicolo di Mercurio, doveva caratterizzarsi come una costruzione incidente su un area di 100 mq, di cui 80 calpestabili, con uno sviluppo su 2 piani fuori terra. Tetto Particolarmente interessante è stata la determinazione dell’andamento, nonché la quota, della copertura, la quale, dal muro di confine con la Casa degli Amorini dorati1, doveva convogliare le acque meteoriche verso le due strade adiacenti. Andando subito ad escludere la presenza di un tetto piano, per la mancanza di discendenti fittili inseriti all’interno del paramento murario, si è quindi optato per un tetto ad una sola falda

1

PVI167

2. Rhinoceros - modello Popina Felix e Dorus

3. Rhinoceros - modello scena arredata


in direzione Nord-Ovest, Sud-Est, in analogia con l’inclinazione planimetrica dell’edificio (Seiler, 1992). Come prima ipotesi, se ne può dedurre un’altezza al colmo pari a 8,40 metri, che permetterebbe l’intera abitabilità del piano superiore, il quale, come già detto, doveva essere adibito ad abitazione (Seiler, 1992, p.74). Una seconda ipotesi può invece muovere le mosse dalla presenza sulla facciata di due alloggi per l’inserimento di travi lignee, di cui però non si è certi della genuinità. Trovandosi infatti in corrispondenza della sommità dei muri perimetrali, quelli che appaiono come elementi strutturali, possono invece essere solo il frutto degli interventi per la creazione dello stato di sacrificio per la protezione dei muri sottostanti. Il primo si trova ubicato nella parete sud del civico 40, a 1.20m dall’intradosso della finestra che si affaccia sul vicolo di Mercurio. Tale elemento dovrebbe configurare il punto di appoggio delle travi del tetto, disposte con andamento Nord-OvestSud-Est. Il secondo, invece, può essere individuato a 3.10 m dall’intradosso

dell’architrave della porta del civico 39, lasciando intendere un orditura che, per il vano B si sviluppasse da Est ad Ovest. In entrambi i casi la cautela è d’obbligo. Si dovrebbe però ricostruire un tetto con un’inclinazione di 18°, la cui altezza al colmo sarebbe di 7 m e che lascerebbe un’altezza interna dell’abitazione pari a 2.50 m nel punto del colmo, mentre risulterebbero parzialmente impraticabili gli spazi sovrapposti ai vani D, E, F e parte del B. Si è quindi avanzata l’ipotesi che il piano abitato superiore si attestasse su due altezze diverse, con una copertura posta ad una quota più alta in corrispondenza dei vani C, D, F e G così da avere una completa abitabilità degli spazi. Tale soluzione, per quanto verosimile, ad oggi è avallata da pochi elementi, cosa che ha indirizzato questo lavoro a continuare nel solco ricostruttivo stracciato da Florian Seiler (1992, pp.37-83). In entrambe le ipotesi, comunque, il tetto doveva essere ricoperto con un manto di coppi e tegole in terracotta, in analogia con gli altri edifici del genere (Giuliani, 2006, pp.8491; Acocella, 2013, p.76).

Elaborazione propria, ipotesi ricostruttiva orditura solai intermedi Popina di Felix e Dorus

Esterni Intonaco Per quanto riguarda le facciate dell’edificio, non abbiamo menzione circa la loro finitura al momento dello scavo, salvo qualche breve accenno in Notizie degli Scavi di Antichità, dove si menzionano stipiti delle porte coperti di intonaco dipinto di rosso2. Per la ricostruzione della facies esterna si è quindi proceduto per analogia con l’am-

Notizie dagli Scavi di Antichità, op. cit., pp. 368370.

2

biente circostante, ipotizzando uno zoccolo dipinto in rosso fino ad un’altezza di 1.20 m, per poi lasciare posto ad una colorazione bianca per tutto lo sviluppo delle facciate. Finestre Un discorso a parte si deve fare per le finestre sui due prospetti. Mentre si può ipotizzare con un buon grado di sicurezza che sulla parete esposta a Nord-Ovest non ci fossero aperture al piano superiore; sulla parete Sud-Est troviamo la presenza di una finestra in


pagina precedente Elaborazione propria, ipotesi ricostruttiva prospetto Ovest, Popina di Felix e Dorus in basso Elaborazione propria, ipotesi ricostruttiva prospetto Sud, Popina di Felix e Dorus

corrispondenza del vano F, ad una quota di 3 m ca. dal livello del marciapiede esterno. Con tutta probabilità a questa finestra se ne accompagnavano altre disposte in corrispondenza della porta tamponata nel vano B. Le analisi delle dinamiche di crollo, infatti, lasciano intendere la presenza di aperture finestrate in corrispondenza della stessa. L’affidabilità della ricostruzione di queste aperture, data la scarsità del dato, è quindi da considerarsi limitata. Tettoie Un’ultima indicazione ricostruttiva riguardo ai prospetti esterni è relativa alla presenza di ripari in corrispondenza del marciapiede stradale. Si possono rintracciare, infatti, gli alloggi passanti per le palificazioni di sostegno, di cui uno, ben visibile ed attendibile, in corrispondenza della paires communis con il viridario degli Amorini dorati, la cui profondità all’interno del muro Nord del vano A indica la necessità di sostenere il peso della copertura, dato da un notevole aggetto; mentre l’altro, sempre passante è

ubicato sulla facciata Sud-Ovest, a 1.70 dalla finestra, alla stessa quota. Interni Pavimenti e solai Per quanto riguarda la pavimentazione della popina di Felix e Dorus, al momento non si è potuto prendere visione diretta del livello di calpestio antico, in quanto coperto da uno spessore variabile di materiali di riporto3. Un altro discorso può invece essere fatto per i solai e le pavimentazioni dei piani superiori. Come già visto, essendo ben visibili le tracce lasciate alle travi di sostegno dei solai, è stato abbastanza semplice poterne individuare il posizionamento ad una quota generale di 3.45 m. Si è poi preceduto alla definizione delle stratigrafie (Giuliani, 2006, pp.182-185), confrontando le varie soluzioni che ci sono pervenute sia attraverso la letteratura antica (Vitr., De Architectura) sia attraverso gli scavi archeologici che si sono svolti nell’area pompeiana. Data quindi la breve di-

3

10-30 cm.

Elaborazione propria, ipotesi ricostruttiva della copertura della Popina di Felix e Dorus

stanza e la sezione delle travi di sostegno, si è ritenuto che dovessero sorreggere un carico abbastanza gravoso, in linea con uno spessore di 35/40 cm dei tipici pavimenti in coccio pesto (Seiler, 1992, p.74)4. Un discorso a lato meritano invece i controsoffitti a finta volta a botte che si sono individuati in corrispondenza del vano E e del vano F. Nel primo caso, una serie di tracce nel paramento murario indicano la presen4 Non è, però, presente alcuna relazione di scavo che riporti i materiali degli orizzontamenti rinvenuti durante lo sterro.

za di una struttura leggera di sostegno, che può essere relazionata a una volta a botte in travetti lignei, sostenenti uno strato di canne a loro volta intonacate (Vitr.,7,3,1). La finta volta si impostava ad un’altezza di 1,80 m. Analogamente, una struttura simile doveva essere presente nel vano G, ma, in questo caso, direttamente a contatto con le travi di sostegno del solaio interpiano. Non ci si può invece pronunciare sulla presenza di incannucciate per gli altri vani, mancandone totalmente la traccia.


Collegamenti verticali E’ stato inoltre possibile, attraverso la lettura dei diari di scavo determinare la presenza di una scala lignea di collegamento al piano superiore in corrispondenza dell’apertura al civico 39. Un’altra scala lignea, di cui non restano tracce, potrebbe essere stata situata nel vano F, al fine di raggiungere il vano soppalcato sopra la latrina. Infissi Niente è rimasto degli antichi infissi, anche se i diari di scavi ne riportano la presenza di elementi carbonizzati in corrispondenza degli stipiti dei vani C e D. Si dovrà infatti ritenere che i vani fossero chiusi da porte di legno, la cui riproposizione è stata fatta in relazione ad esempi pervenuti fino a noi, prevalentemente dagli scavi di Ercolano e le riproduzioni pittoriche che le rappresentano. Delle porte di accesso all’abitazione superiore alla popina e alla popina stessa non resta traccia. La loro ricostruzione è stata realizzata omologamente a quanto è stato fatto per l’interno su esempi disponibili. È degno di menzione il sistema di chiusura del vano B verso la strada. In analogia al calco della struttura lignea della taberna PX710, si è riproposto un infisso in cui al lato sud si presenta un uscio fisso, il quale rimaneva aperto durante tutta la giornata, mentre la parte restante dell’apertura era tamponata attraverso un sistema di tavole una con l’altra parzialmente sovrapposte, che venivano tolte durante l’attività diurna. Arredi Il resoconto degli scavi ci riferisce di un gran numero di suppellettili ritrovate all’interno della popina, i quali possono essere suddivisi in 4 gruppi principali per luogo di ritrovamento: • Gruppo 1: arredi rinvenuti nel vano B a. ad 1 metro dal piano pavimentale e ad 1 metro dalla porta tamponata;

Elaborazione propria, ipotesi ricostruttiva sezione longitudinale sui vani A, C e G, s ezione traversale sui vani F e G


b. sopra il bancone; c. dietro il bancone. • Gruppo 2: arredi rinvenuti nel vano C. • Gruppo 3: arredi rinvenuti nel vano F. Modellazione Una volta individuati i principali tratti morfologici dell’edificio, si è quindi proceduto alla produzione dei principali elaborati per la divulgazione. Con un software di disegno vettoriale5, già utilizzato per la ribattitura di piante prospetti e sezioni dell’Insula 16 e del civico 40, è stato possibile andare a ridisegnare l’orditura dei solai, predisporne le sezioni stratigrafiche e ricostruttive. Lo stesso è stato operato in generale su tutti gli elementi costituenti la popina. Analogamente si è operato per gli arredi. Il passo successivo ha avuto per oggetto la riproduzione tridimensionale della struttura e di tutti gli elementi che si trovavano al suo interno al momento dell’eruzione attraverso un software commerciale di modellazione 3D6. I modelli che ne sono scaturiti: • Modello ricostruttivo dell’Insula 16 Sud; • Modello ricostruttivo della popina di Felix e Dorus; • Modello ricostruttivo degli oggetti presenti all’interno del PVI1640; sono quindi da considerarsi fedeli, morfologicamente e metricamente, in relazione alle conoscenze acquisite per il presente lavoro, al fine di soddisfare lo scopo ultimo di una ricostruzione accurata e consolidata scientificamente. Rispetto agli elementi architettonici, per gli oggetti di arredo si è dovuto operare diversamente. Data l’impossibilità di accedere ai magazzini in tempi congrui con il termine del presente lavoro per la realizzazione di riprese fotogrammetriche, sono stati modellati in due modi diversi. Un primo gruppo di questi, di cui la descrizione è presen-

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Autodesk AutoCAD. Rhinoceros.


Elaborazione propria, ipotesi ricostruttiva in assonometria dell'Insula 16, parte sud


Elaborazione propria, spaccato assonometrico dell'ipotesi ricostruttiva della Popina di Felix e Dorus

Elaborazione propria, ipotesi ricostruttiva oggetti presenti nella Popina di Felix e Dorus

1. Letto triclinare

2. Calderotto conico

3. Pentola con coperchio

te all’interno dei diari di scavo, è stato modellato sull’esempio di atri reperti assimilabili per materiale e forma, provenienti dall’area pompeiana. All’interno di questo gruppo si devono comprendere anche i due armadi, di cui vengono elencate le cerniere di chiusura delle ante e, per uno dei due anche le tarsie in osso e i paraspigoli. Per questi ultimi, non essendo rimasta traccia della struttura lignea, si è lavorato per analogia. Il secondo gruppo di oggetti, il vasellame bronzeo, sono stati morfologicamente determinati attraverso la loro catalogazione precisa redatta da Suzanne Tassinari (1993). Degli stessi è fornita infatti la sezione e il dettaglio degli elementi di decoro. Ciò ha permesso, malgrado la mancata visione dell’oggetto, di restituire un’immagine esteticamente e metricamente fedele.

Mappatura Oltre alla creazione dei modelli, un altro passo importante è stata la determinazione dell’aspetto finale dei singoli oggetti. Per ogni singolo reperto è stata realizzata una mappatura UV in modo tale da poterne garantire la miglior resa dal punto di vista della precisione relativa all’applicazione della texture al modello tridimensionale. Il procedimento ha quindi previsto l’unwrapping di ogni singolo oggetto in seguito alla sua modellazione su un piano bidimensionale. In questo modo si è avuto lo sviluppo delle superfici sul piano di giacitura dell’oggetto. All’immagine sono assegnate delle coordinate UV, che creano la corrispondenza tra l’oggetto e la sua proiezione bidimensionale (Orlandi, 2012, p.24) e può essere esportata all'ester-

no del programma come semplice file immagine e trattata all’interno del software di fotoritocco. Una volta realizzata questa operazione si è andati ad applicare la texture creata, portando al termine il processo che prende il nome di texturizzazione: le immagini create hanno potuto essere di nuovo attribuite all’oggetto, riproiettandole, attraverso le coordinate UV. I modelli, resi dettagliati e realistici, possono quindi essere fruiti o singolarmente o all’interno della scena, una volta che questa sia stata allestita.

4. Armadio con cerniere in osso

5. Armadio con cerniere,guardaspigoli e serratura in bronzo



Premessa progettuale

pagina precedente Diario di scavo, Maggio 1903 in basso Elaborazione propria, schema progettuale

“Cacator sic vales ut tu hoc locum trasias” (CIL IV, 6641) La Carta italiana del restauro dell’anno 1972 fu uno dei momenti in cui venne stabilito a tutti gli effetti un interesse relativo alle aree archeologiche che non si limita agli episodi di grandi opere artistiche ma che mira a valorizzare tutte le testimonianze, anche modeste, che possano essere considerate utili a comprendere il contesto culturale e sociale dell’antichità. È proprio in questo periodo che si giunse alla consapevolezza che il patrimonio archeologico dovesse rientrare in un più ampio campo, quello ambientale e paesaggistico. In questa ottica venne dato estremo valore al patrimonio archeologico come elemento essenziale dal punto di vista educativo e di formazione, che potesse essere di supporto alla comprensione dello sviluppo della società moderna. Organismi quali l’UNESCO e l’ICOMOS si sono impegnati in questa direzione, una serie di documenti come le Carte del Restauro sono stati prodotti e convegni sono stati organizzati sul tema. La realtà teorica è molto consapevole delle necessità di preservare il patrimonio archeologico e la conservazione in situ rappresenta oggi l’obiettivo prima-

rio di ogni intervento. Tale fine è stato a più riprese confermato sia dalla cultura moderna sia dalle Carte Internazionali del Restauro (ICAHM Charter 1990), che hanno individuato due sistemi, di tipo integrativo, per la salvaguardia del patrimonio: la conservazione attiva e la conservazione passiva. Per quanto riguarda la conservazione passiva si intendono i sistemi architettonici protettivi e i metodi di rinterro temporaneo (Sposito, 2014, p.43). In tale ambito, tentando di semplificare, possiamo riorganizzare il grado di compimento di un sito archeologico in quattro livelli crescenti: in primis si avrà un livello basilare di conservazione (restauro, manutenzione, protezione temporanea), questo potrà essere integrato con un livello di accessibilità che permetterà la fruizione dello stesso; a sua volta integrabile con un livello di presentazione, cioè di fornitura di servizi ulteriori per la visita (pannelli, illuminazione ecc.). Ultimo grado di compiutezza sarà la musealizzazione cioè la creazione di un vero e proprio museo con tutte le potenziali attività connesse (Ruggieri Tricoli, Sposito, 2012).


Contesto contemporaneo Pompei è oggi uno dei 18 comuni, denominati “paesi vesuviani” facenti parte della provincia di Napoli, confinante a nord con Boscoreale, ad ovest con Castellammare di Stabia e Torre Annunziata, a sud con i comuni di Sant’Antonio Abate e Santa Maria la Carità e ad est con il comune di Scafati. La posizione che occupa è da considerarsi strategica per il ruolo di cardine tra il sistema Costiero-Vesuviano, quello Sorrentino-Stabiese e quello Agro Nocerino-Sarnese che le conferisce il ruolo di crocevia tra diversi sistemi infrastrutturali. Pompei costituisce altresì un fulcro per la sua vocazione di centro turistico e religioso vista la presenza nel suo territorio del patrimonio archeologico dell’antica città sepolta dall’eruzione del 79 d. C. che attrae milioni di visitatori ogni anno e del Santuario della Beata Vergine del Rosario, meta di numerosi pellegrinaggi. L’ambito territoriale che accoglie Pompei è contraddistinto da un agglomerato urbano che occupa in maniera quasi ininterrotta tutta la fascia costiera, da Portici a Castellammare di Stabia, delineando una connessione visiva tra mare, costa e vulcano fortemente compromessa da un’espansione urbanistica non regolata e selvaggia, sancita da fenomeni di abusivismo sia sulla fascia costiera che sui fianchi del Vesuvio. La dotazione infrastrutturale della zona è ampia e la città di Pompei ne rappresenta il perno essendo raggiungibile con tutte le modalità di trasporto: su gomma, ferro, mare e aria. Il ruolo di centralità che assume l’area del comune di Pompei è evidente per quanto riguarda il tema culturale, la città con la sua area archeologica di estremo interesse è il principale attrattore e punto di riferimento del sistema archeologico vesuviano che comprende anche Oplonti, Ercolano e Stabia. L’area archeologica di Pompei si estende per 60 ettari presentando un circuito

murario di 3km, dalla scoperta dell’antica città ad oggi sono stati portati alla luce circa 45 ettari che corrispondono ai 3/4 della città antica; la zona non ancora scavata si colloca a nord-est (Regiones V, IV, IX, III) e a sud (Regio I). Complessivamente a Pompei si conservano 242.000 mq di superfici murarie, 17.777 mq di dipinti, 20.000mq di intonaci, 12.000 mq di pavimenti e 20.000 mq di coperture, con condizioni di conservazione di grande complessità. L’estensione dell’area scavata e la lunga storia degli scavi, contrassegnata da una irregolare sequenza di eventi, ci ha consegnato un’area con uno stato di conservazione disomogeneo. Possiamo affermare senza timori reverenziali che le operazioni di manutenzione e conservazione realizzate in passato, seppur considerevoli, non so-

no risultate sufficienti rispetto all’estensione e la complessità del sito. C’è altresì da ricordare che la città nel corso dei suoi scavi ha subito violenti danneggiamenti a causa dei bombardamenti del 1943 e del terremoto del 1980. Il discostante stato conservativo che si presenta oggi è il risultato di oltre 250 anni di opere e avvenimenti che hanno visto avvicendarsi diverse sensibilità rispetto al patrimonio culturale e differenti stati critici rispetto alle vicende degli scavi. Oggi la consapevolezza è che l’area necessiti una manutenzione ordinaria costante e sistematica al fine di salvaguardare le superfici e gli alzati pervenuti ai giorni nostri. Le necessità che si presentano nell’area archeologica di Pompei, date le dimensioni e le specificità di disseppellimen-

to, sono da considerarsi un unicum a livello mondiale: la manutenzione è da considerarsi come una cura costante che preveda oltre alle sacrosante opere di restauro e protezione anche attività di pulizia e prevenzione volte a salvaguardare tutte le parti dell’antico tessuto urbano (dal macroscopico al microscopico). Il numero di visitatori annui che si sono registrati a Pompei nell’anno solare 2016 sono 3.283.740 (rappresentando secondo i dati del MiBAC (2016) il secondo Museo italiano per numero di visitatori), i dati ci mostrano come a partire dagli anni 2000 ad oggi l’incremento dei visitatori annui è di oltre un milione. I dati, legati alla crescita del dato turistico, sono sicuramente confortanti tuttavia sono forti le ripercussioni del degrado antropico sull’area dovuto a sfregamento e ad usura.


A partire dal 2012 ha preso piede il Grande Progetto Pompei, un intervento rilevante ed impegnativo promosso da un’iniziativa del Governo italiano che attraverso il decreto legge n.34/2011 ha voluto incrementare le operazioni di tutela nell’area di Pompei1, andando nella direzione della “conservazione programmata”. Il progetto da 105 milioni di euro, data la sua grande valenza di sviluppo territoriale, ha ottenuto finanziamenti dalla Comunità Europea (Fondo Europeo Sviluppo Regionale), oltre ad essere finanziato da fondi nazionali. Il Grande Progetto Pompei “si sviluppa in 5 piani operativi (Cecchi, 2011): • Piano della conoscenza: consiste nella realizzazione di programmi di rilieAttraverso l’elaborazione di un programma straordinario di interventi conservativi, preventivi, manutentivi e di restauro.

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vo, indagine e diagnosi in tutte le insulae, nonché nella progettazione delle opere principali e prioritarie, anche per la mitigazione del rischio idrogeologico; • Piano delle opere a progettualità avanzata: realizzazione di progetti per la riduzione del rischio idrogeologico, opere di messa in sicurezza e restauro. È previsto inoltre un piano delle “nuove opere da progettare”; • Piano della fruizione: prevede il miglioramento dei percorsi di visita e delle aree verdi. In questo piano sono in oltre previsti lavori per l’ottimizzazione della segnaletica e della comunicazione dell’area archeologica; • Piano della sicurezza: per rendere sicuri gli impianti e garantire la sorveglianza dell’area; • Piano di rafforzamento tecnologi-

co e di capacity building: consiste nel rafforzamento delle capacità gestionali e organizzative attraverso attrezzature tecnologiche. La fortunata gestione del Grande Progetto Pompei, coincidente con il coordinamento del Soprintendente Massimo Osanna, ha riportato Pompei agli onori della cronaca per le positive e innovative proposte, per la sistematicità dei lavori, nonché per la capacità di valorizzazione dell’area archeologica. Nonostante ciò il lavoro che si prospetta in termini di conservazione, conoscenza, fruizione e divulgazione è di gran lunga superiore agli obiettivi raggiunti, in particolar modo per quanto riguarda il tessuto più minuto e spesso poco considerato che costituisce una parte quantitativamente preponderante dell’edilizia pompeiana.

Elaborazione propria del contesto urbano del Parco Archeologico di Pompei pagina precedente Elaborazione propria dell'attuale golfo di Napoli

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Musealizzazione

Elaborazione propria, vista esterna progetto di musealizzazione

Il processo progettuale che è andato a strutturare l’intervento sulla Popina di Felix e Dorus parte da un centrale e ampio obiettivo che prevede la lettura dell’architettura, della funzione urbana e sociale di una parte della città antica attraverso lo studio di un piccolo elemento di architettura popolare. Come già visto, le popinae sono da considerarsi come unità commerciali destinate alla vendita di generi alimentari e al ristoro, al quale spesso erano affiancate altre attività quali il gioco d’azzardo o la prostituzione. Tali luoghi, al pari di altri tipi di botteghe alimentari assumevano un’importanza centrale nella vita quotidiana della città, soprattutto per le classi meno agiate, le quali spesso non possedevano una cucina nella propria abitazione, riversandosi così a mangiare nelle locande. Per questo motivo lo spazio si conformava secondo una declinazione privata ad uso pubblico in cui si svolgeva una parte essenziale della vita della comunità: le ampie aperture per l’ingresso dei clienti e per l’esposizione delle merci che caratterizzavano queste attività le rendevano spazialmente penetrabili quasi a delineare un appendice alle strade pubbliche cittadine. La stessa posizione in cui venivano ubicate, prelude ad una copiosa percorrenza ed a un alto tasso di permeabilità degli spazi.

Si deve infatti notare, da una lettura planimetrica della città antica, come al di fuori della piazza del foro, non esistessero piazze e ampi slarghi. L’idea di incentrare l’intera attività di ricerca su questo tipo di manufatti intende, quindi, fornire al visitatore uno spaccato facilmente comprensibile della vita quotidiana delle classi popolari di una città romana di provincia. Si è così giunti alla delimitazione di un’area precisa, la Regio VI, incardinata in una delle zone di massimo traffico veicolare e commerciale della città antica, nel quale insistevano infrastrutture e strutture abitative anche di un certo pregio architettonico. Ciò ha permesso un’analisi degli esercizi che per la loro conformazione, stato di conservazione e posizionamento, permettessero di rispecchiare al meglio questi presupposti. La popina PVI1640, nell’insula 16 della regio VI, ci ha permesso di sviluppare gli intenti per una serie di motivazioni che si andranno ad elencare. Da un lato , l’edificio si presentava in uno stato di conservazione dove la maggior parte dell’apparato decorativo era totalmente andato perduto, in quanto omologo di un’ampia schiera di altri esercizi commerciali per i quali, il secolo scorso, non è stata disposta nessuna attività di mantenimento degli intonaci.

Risulta però conservata un’ampia porzione dell’elevato, dove gran parte degli alloggi per le travi che sostenevano gli orizzontamenti è ben visibile ed interpretabile. Quest’ultima caratteristica ha permesso un’analisi con una buona percentuale di sicurezza circa l’altezza dei vani, l’orditura dei solai ed infine la copertura. A questo si deve poi aggiungere un valore esemplificativo dell’edificio, il quale si presta morfologicamente, nella sua distribuzione degli spazi ed arredi, alla rappresentazione di una tipica popina pompeiana. Spicca infatti un’articolazione planimetrica semplice, comprendente 7 vani, di cui solo 3 rivolti al pubblico, con tutta probabilità alle classi medio-basse. Da ciò, come si è evinto dalla lettura dei diari di scavo, l’edificio fu considerato fin dall’inizio di scarso valore, per cui non degno di musealizzazione e tutela. La scelta che si è operato è infatti volta a colmare parte delle lacune in materia di conservazione, lettura e valorizzazione del più minuto tessuto abitativo e commerciale della città. In ultima istanza, ha influito nella scelta dell’edificio il fatto che si prestasse molto bene a fornire un’immagine a tutto tondo dell’attività svolta all’interno, per la serie di reperti catalogati e conservati presso i magazzini della Soprintendenza.

L’intento finale si racchiude quindi nella creazione per il fruitore di un precedente di musealizzazione, dove possano convivere diversi gradi d’intervento, parametrati in funzione delle conoscenze acquisite e dello stato di conservazione delle singole parti del manufatto o la loro intrinseca importanza esplicativa. In questo modo si intende dare al visitatore un’immagine paradigma per la comprensione a più livelli delle altre architetture similari all’interno della città di Pompei. Inoltre, il sistema che si è progettato predilige una visione temporanea e, soprattutto, amovibile dell’intervento, affinché la musealizzazione e la tutela possa essere in linea con i principi delle carte per la protezione del patrimonio archeologico e via via aggiornata in relazione a nuove sensibilità storiche ed architettoniche. Per tutto questo, si è resa necessaria l’adozione di due strategie diverse in campo di musealizzazione: una materiale, incentrata, cioè, sulla creazione di strutture fisiche di supporto alla protezione e all’allestimento di un apparato divulgativo; una immateriale, che verte sull’utilizzo di tecnologie come la realtà immersiva ed il video mapping, così da colmare quel divario tra l’odierno e l’antico che normalmente viene lasciato alla fantasia del fruitore.


Il progetto Il progetto museale pensato in riferimento alla Popina al civico 40, Regio VI, Insula 16 si delinea come un allestimento didattico-interattivo, rivolto ad un pubblico variegato, anche non in possesso di conoscenze specialistiche in tema di archeologia e storia classica. Il messaggio vorrà quindi prescindere dai temi più convenzionali di fruizione musealizzata nell’area degli scavi di Pompei, fornendo una lettura diretta e sfaccettata in funzione delle singole esigenze. Il fruitore, quindi, posto al centro dell’esperienza, avrà la possibilità di confrontarsi con il manufatto secondo differenti approcci e gradi di approfondimento che possano consegnargli le chiavi d’interpretazione di uno dei principali ambiti di vita quotidiana di Pompei: il consumo di pasti e l’acquisto di generi alimentari. Il primo aspetto che si vorrà presentare sarà quello visivo, legato all’ambiente nella sua spazialità originaria, con i suoi arredi, i suoi colori e la propria atmosfera, in due orari diversi della giornata.

In seconda istanza si vorranno presentare gli aspetti peculiari della funzione sociale di tali luoghi e le relazioni di questi con il suo contesto. Si proporranno esperienze di interazione diretta del fruitore con i manufatti storici riprodotti in copia oltre che proporre un focus sulle abitudini alimentari pompeiane. Si suggeriranno inoltre esperienze cognitive volte alla comprensione dei valori simbolici ed estetici di apparati decorativi specifici. L’unità edilizia verrà provvista di un sistema protettivo temporaneo che possa permettere di percepire la volumetria originaria, oltre che riproporre le condizioni luminose interne al momento dell’eruzione. Questo dispositivo di copertura permetterà di realizzare all’interno dell’edificio una vera e propria musealizzazione degli spazi, garantendo le condizioni ambientali necessarie per la conservazione dei manufatti e per l’attrezzabilità del sistema museale. L’offerta museale, nel caso in oggetto, sarà relativa a gruppi comprendenti non più di 10 persone per volta, le qua-

li potranno usufruire delle attrezzature a disposizione in maniera sia individuale che collettiva. Da ultimo, si deve porre l’accento sul fatto che il presente progetto si attaglia a diverse fasce di età, competenze e abilità fisiche, in modo tale che il percorso possa essere parametrato in funzione delle singole esigenze. L’utilizzo congiunto di musealizzazione e allestimento in copia degli oggetti originali, pannelli illustrativi, la possiblità di usufruire della tecnologie quali il video-mapping e la realtà aumentata, rende infatti sfaccettata l’offerta ai fruitori, i quali possono scegliere in funzione del loro interesse all’interno di un percorso della durata di 30 minuti circa. Musealizzazione materiale Per quanto riguarda la musealizzazione materiale, si è deciso di operare scelte dal punto di vista strutturale, come visto, per la protezione del civico e per lo sviluppo delle attività al suo interno, accompagnate da un allestimento di tipo museale tradizionale.

Struttura Dal punto di vista volumetrico, la struttura riprende le volumetrie originali così come desunte dalle ricerche ed analisi svolte, secondo le filosofie del “modello evocativo” che tende, attraverso lo studio di fonti scientifiche, a rievocare il manufatto antico attraverso volumetrie e spazi (assumendo anche valore “didattico”) (Sposito, 2014, p.45). Si crea in questo modo una copertura per l’area archeologica caratterizzata da un’unica falda inclinata, il cui colmo si attesta alla quota di 8.40 m, con inclinazione del 18%. D’altro canto, al fine di non gravare sulle strutture preesistenti, delle quali non si ha la sicurezza della tenuta strutturale, si è deciso che il nuovo elemento avrebbe dovuto avere un sistema di appoggio autonomo, compreso all’interno del civico e non distante dall’antico profilo delle murature. Si è dunque optato per una tecnologia a secco, prediligendo le giunzioni tra gli elementi interamente realizzare tramite l’ausilio di bullonature e rivetta-


a sinistra Elaborazione propria, ipotesi progettuale del prospetto Ovest, Popina di Felix e Dorus a destra Elaborazione propria, planimetria di progetto, Popina di Felix e Dorus

ture, che ne permettano il facile montaggio e smontaggio in tempi brevi oltre che facilità nel trasporto. L’attacco a terra è garantito da fondazioni a secco, dove un plinto alla base accoglie i pilastri e ne garantisce la zavorratura a terra, al livello di calpestio antico, con l’interposizione di un tessuto di protezione1. La struttura, al fine di garantire la massima visibilità del paramento murario superstite, sarà caratterizzata da una spiccata esilità degli elementi che la compongono. La scelta è infatti ricaduta su un elemento scatolare in acciaio a sezione quadrata di 10 cm di lato, connessi tra loro attraverso un nodo imbullonato, in cui tutti gli elementi strutturali confluiscono. Il passo dei pilastri, pur dovendo tener conto di una divergenza dei paramenti murari Nord e Sud, si attesta intorno ai 2,25 m. Ogni campata, all’occorrenza è provvista di un sistema di tiranti 1 Si prevede, come atto propedeutico alla costruzione della struttura protettiva, lo scavo fino al livello pavimentale antico, tramite l’asportazione del materiale di riporto.

che garantiscono la tenuta strutturale della copertura. Dalla fondazione, non essendo possibile il collegamento trasversale dei singoli elementi, si diparte una serie di travi, sulle quali si imposta la pavimentazione superiore, assicurando un maggior irrigidimento della struttura nel suo insieme. Un secondo ordine di travi di irrigidimento trasversali è garantito alla quota di 3,50 m, punto di attacco degli altri elementi per il sostegno e la ripartizione dei carichi in copertura. Venendo ora alle tamponature, si prevedono tre tipi diversi di pavimentazione definite da pannelli di 2 cm di spessore,75 cm di larghezza e 90 cm di profondità, che, come visto, poggiano in parte sulle travi di irrigidimento connesse alle fondazioni. Un primo tipo si prevede in lastre di vetro che permetteranno la visione diretta della pavimentazione originale, evitando però il contatto diretto tra il fruitore e la stessa, si opterà per una superficie opaca qualora sia necessario includere il percorso degli

impianti necessari per la musealizzazione, mentre nel caso del vano “C” si opterà per una pavimentazione opaca che vada a riprodurre le fattezze del coccio pesto preesistente. Al fine di conferire al visitatore la percezione della spazialità originaria, si è optato per la tamponatura delle travi di collegamento orizzontale, le quali si impostano alla quota dell’antico solaio, così come desunto dalla ricostruzione. Per quanto riguarda invece le superfici verticali, come già detto, si vuole fare in modo che la struttura originaria sia il più possibile in vista. Per questa ragione si opera un trattamento differente in funzione dei singoli vani e dell’attività che in essi dovrà essere svolta: • vano B: i pannelli, assicurati ad un elemento appeso alle travi di collegamento permettono di colmare visivamente il vuoto tra la cresta muraria ed il soffitto, in corrispondenza della parete Nord, Est 1 ed Est 2; • vano C: dovendo ospitare una riproposizione didattica in copia dell’arredo presente nella stanza, in que-

sto caso, tutte le superfici saranno pannellate con la stessa tecnica. A completamento, verrà restituita alla stanza il cromatismo originario. La pannellatura di questa stanza ha d’altronde anche una funzione tecnica precisa: infatti, la falda del tetto di protezione del vano Q della Casa degli Amorini dorati convoglia le acque meteoriche all’interno del vano C del civico oggetto di musealizzazione. Si prevede quindi la predisposizione di una canala di raccolta delle acque piovane, così da poterle convogliare al disotto della pavimentazione, per poterle poi scaricare sul sedime stradale esterno attraverso il foro passante già presente sul muro perimetrale del vano F. • vano D: Il vano presenta una pannellatura che si va a congiungere con quella del solaio, partendo dalla quota della cresta muraria. • vano E: la parete nord, in analogia con la parete sud del vano D, sarà pannellata dalla quota dello strato di sacrificio. Per questo vano è previsto un solaio in li-


nea con i dati prodotti dall’analisi e la ricostruzione. L’effetto volumetrico originario sarà quindi reso attraverso una pannellatura che ricalca lo sviluppo della volta. • vano F: il vano viene predisposto, come poi si vedrà, per attività di video-mapping. La sua funzionalizzazione, strettamente legata alla proiezione di immagini richiederà quindi una scarsa condizione luminosa. Per ottenere tale effetto, la stanza sarà interamente pannellata e la porta di accesso schermata attraverso un tendaggio. Copertura Dal punto di vista architettonico si è optato per un sistema coprente definito da pannelli metallici di larghezza 60 cm, spessore 3 mm e lunghezza variabile. I pannelli, infatti, se nella parte superiore della falda avranno una lunghezza uniforme di 1,20 m nelle zone di ricalatura verticale verranno sagomati seguendo l’andamento delle creste dei paramenti murari antichi. Il sistema coprente si connota come un ele-

mento distaccato dalla preesistenza antica, andando a palesarsi dall’esterno come un volume sospeso che suggerisce le volumetrie antiche con un linguaggio moderno. Il volume metallico che si manifesta da una vista esterna è rappresentato da varie tonalità cromatiche, che variano dal grigio al beige, alternate nel definire un sistema coprente che alla percezione in lontananza ben si integra nell’ambiente archeologico che lo circonda, andandosi a mimetizzarsi. La sensazione visiva che si ha avvicinandosi all’elemento rende invece palese la distinguibilità dell’intervento contemporaneo che, non entrando in contrapposizione con il contesto archeologico antico dove è immerso, mette in evidenza le preesistenze antiche e ne suggerisce nuove chiavi di lettura. I pannelli utilizzati nel progetto della copertura sono laminati di alluminio verniciati in Polivinildenfluoruro liquido con pigmenti riflettenti: la selezione delle vernici scelte richiama le gradazioni cromatiche del contesto in cui si colloca.

Per quanto concerne i parapetti, i segna percorso e gli altri arredi a supporto della fruizione si è optato, al fine di non disturbare la visita e di integrarli con neutraulità nell’area archeologica, per elementi esili (5 cm x 5 cm) realizzati in metallo semiriflettente dalle tonalità scure. L’accessibilità La praticabilità della Popina di Felix e Dorus al civico 40, Regio VI, Insula 16 è stata garantita dalla progettazione di due rampe, di cui una di accesso e una di deflusso dei visitatori, che permettono di colmare con una pendenza massima dell’8% il dislivello tra la quota del marciapiede e quella della pavimentazione calpestabile del sistema museale. Le rampe hanno uno sviluppo di 1,0 m ciascuna e poggiano su uno strato di pavimentazioni a base di calce idraulica, conforme agli interventi già realizzati all’interno del progetto di fruizione “Pompei for all”. Delle passerelle metalliche sagomate consentono invece di colmare i dislivel-

li in prossimità degli antichi blocchi di attraversamento permettendo il collegamento con l’Insula 14 a Sud e con la Casa dei Vettii, Insula 15 ad Ovest. Questi due interventi si connotano come percorsi che permettono l’accessibilità alla totalità dei fruitori andando ad abbattere le barriere architettoniche presenti: l’intento a più ampia scala è quello di collegare il sistema museale creato con il percorso “Pompei for all”, andando ad implementare lo esso. Ingresso e uscita L’accesso al sistema museale avviene mediante l’ampia apertura presente nel prospetto Ovest. Attraverso l’utilizzo di una struttura metallica predisposta con tecnologia a pressione sulle pareti antiche, si è reso possibile ipotizzare la messa in opera di una porta ad assi metallici che possa riproporre in chiave reinterpretativa il portale di ingresso antico, oltre che garantire la migliore gestione e controllo degli spazi interni. In prossimità del punto di accesso verranno disposti dei pannelli illustrativi che vadano a rappresentare un’in-


Elaborazione propria, Popina di Felix e Dorus Ipotesi progettuale del prospetto Sud Sezione tecnologica Assonometria sistema strutturale di progetto Esploso sistema tecnologico di progetto

troduzione tematica del sistema museale, andando a chiarire le relazioni e le caratteristiche della Popina nel contesto urbano antico. L’uscita dal sistema museale è predisposta in prossimità dell’apertura secondaria al civico 39, dove in antichità vi era l’accesso alle scale per il piano superiore. La fruizione Una volta superata la soglia di ingresso si avrà accesso al vano B dove si potranno visionare dei pannelli illustrativi incentrati sulla tipologia edilizia delle Popinae nell’antichità, oltre che sottoporsi all’esperienza della realtà immersiva, dove verrà proposta la ricostruzione virtuale dell’intero vano. Da questo sarà possibile accedere al vano F dove sarà presente un’area dedicata al Projection Mapping con riferimento all’affresco votivo presente nella Popina, oppure di trasferirsi nel vano C dove sarà possibile interagire attivamente con la riproposizione fisica dell’ambiente triclinare antico. La fruizione del sistema museale potrà avvenire secondo diverse modali-

Il vano B, infatti, in quanto luogo di somministrazione di bevande e cibi, viene tematizzato attraverso l’allestimento di una prima sala museale in cui, a lato di una chiara esplicazione su pannelli delle caratteristiche dell’intero complesso, si dà la possibilità ai visitatori di percepire, anche se attraverso una declinazione contemporanea dell’intervento, la condizione ambientale antica, dettata dall’unica apertura per il vano, che garantisce una continua vista sulla strada esterna e, da questa, un’introspezione; e la presenza di un solaio, dalle caratteristiche prettamente contemporanee, riposizionato all’antica altezza di 3.45 m. Il vano, come già visto, fu luogo di una serie di ritrovamenti di rilevante importanza per la comprensione delle dinamiche d’uso in età romana. Per questo motivo, sembra imprescindibile riposizionare sul bancone2, in copia, alcuni degli og-

tà, pur non andando a superare, al fine di garantire le condizioni ideali di visita, il numero massimo ipotizzato di 10 persone contemporaneamente. Le modalità fruitive che si sono ipotizzate sono in gruppo o in maniera autonoma: in entrambi i casi si prevedono dei tempi di visita di 10 minuti a vano, che determinano visite complete di 30 minuti. Si è supposta l’ulteriore ipotesi di garantire accessi notturni, al fine di implementare le visite giornaliere e di proporre l’allestimento museale con condizioni ambientali e di illuminazione differenti. Allestimenti • Vano B: l’intensità dell’intervento per il vano B, naturale accesso alla popina si sostanzia nella predisposizione di un apparato informativo volto a divulgare le notizie acquisite relative allo scavo e all’attività che prima della distruzione del 79 d.C. si svolgeva nella stanza. Lasciando visibili quasi totalmente i paramenti murari, il visitatore ha ben chiara la distinzione tra l’autenticità del sito e la modernità dell’intervento.

L’elemento di arredo che più è rimasto simile a come doveva mostrarsi quasi 2000 anni fa.

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Elaborazione propria, spaccato assonometrico della Popina di Felix e Dorus

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4 2 LEGENDA 1

1. Vano B, realtà virtuale 2. Vano C, riproposizione in copia degli oggetti 3, Piano superiore, impiantistica 4. Vano G, non musealizzato 5. Uscita

getti che a suo tempo furono scavati sotto la direzione dei lavori di Pais. Dai diari di scavo, si ha una precisa menzione del luogo di ritrovamento. Si va quindi ad operare una scelta per una serie di oggetti-paradigma che, a primo acchito, possano facilmente guidare la mente del visitatore verso la giusta interpretazione del contesto. Per la stanza è previsto anche l’ausilio della realtà immersiva come strumento di aiuto per la percezione dell’antico assetto del luogo. A supporto delle tecnologie della realtà immersiva verranno predisposte 8 postazioni, di cui 4 a sedere e 4 in piedi, che possano permettere il godimento di una ricostruzione a 360° del vano stesso. I posti a sedere sono garantiti da una panca metallica, collegata con delle bullonature alla struttura principale della copertura, che verrà predisposta nel lato sud del vano con un ingombro di 2,40 m di larghezza per 0,50 m di profondità. Le altre 4 postazioni, definite da elementi metallici di sostegno e orien-

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tamento del fruitore, sono predisposte nel lato ovest del vano. Degli elementi segna percorso, di 40 cm di altezza dal suolo di calpestio, sono posti a definizione della pavimentazione dell’area musealizzata. • Vano C: data la necessità di fornire, in reale, l’aspetto originario dell’ambiente, anche per chi non intendesse utilizzare lo strumento di cui sopra, l’intera stanza sarà allestita con possibilità d’interazione tra il fruitore e gli oggetti riposizionati. La cura del dettaglio della musealizzazione permetterà quindi la totale riproposizione di una delle due sale triclinari, con la presenza degli arredi che ne caratterizzavano l’uso. Gli spazi del vano saranno allestiti con arredi riproposti in copia che possano permettere l’interazione diretta del visitatore con l’area che lo circonda. • Vano F: gli spazi del vano in questione saranno allestiti in maniera coerente con l’utilizzo che ne sarà previsto: un’importanza primaria verrà affidata al sistema d’illuminazione e di schermamento del va-

no che dovranno garantire un ambiente perlopiù buio. Un videoproiettore verrà predisposto, tramite ancoraggio alle travi di sostegno intermedie, nel lato Est, dove 7 posti a sedere saranno garantiti da una panca metallica a “L”, collegata alla struttura primaria della copertura. • Vano D: l’ambiente assumerà la conformazione di vano tecnico e eventuale deposito a supporto delle attività che verranno svolte negli altri spazi musealizzati. Musealizzazione immateriale Come già visto, il tipo di divulgazione scelta tende a creare una diversa offerta in relazione alle fasce di età, competenze ed abilità fisiche. L’utilizzo delle moderne tecnologie in campo di musealizzazione e divulgazione, le quali hanno un approccio sicuramente meno invasivo sul manufatto storico, permette di differenziare a pieno l’offerta, facendo in modo di attrarre e rendere più consapevole il visitatore. Anche in questo caso si è deciso di andare a differenziare l’utilizzo in funzio-

ne dello stato di conservazione, conoscenza e contenuto dei vani componenti il civico 40 della regio VI. La scelta ha infatti portato a prediligere l’uso della realtà immersiva per il vano B, in quanto calzante esempio per la comprensione dell’uso di una popina; del video-mapping, per il valore aggiunto alla comprensione del luogo attraverso un affresco votivo. Realtà immersiva La realtà virtuale immersiva (RVI) permette una simulazione della realtà attraverso un visore, in modo che il fruitore possa avere un’esperienza visiva diretta della realtà circostante così come questa è stata ricostruita. Senza un intervento diretto sulla struttura archeologica con l’impiego delle tecnologie per l’esecuzione di un’anastilosi o l’interposizione di una lettura lasciata al visitatore di un apparato scritto, si riesce a fornire una vivida immagine a tutto tondo dell’ambiente antico, che non prescinde dalle condizioni ambientali che su questo influivano. La realtà fisi-


ca viene quindi sostituita e arricchita attraverso l’aggiunta di informazioni che si materializzano direttamente davanti agli occhi dello spettatore-visitatore. Si crea in questo modo un senso di assorbimento sensoriale nell’ambiente tridimensionale generato dal computer. Nel caso in oggetto si vanno ad individuare due postazioni privilegiate, dotate di un punto di presa, così da evitare la deambulazione di più soggetti in un ambiente piccolo. La visione fornita si distingue non solo spazialmente, ma va a ricreare quello che sarebbe potuto essere visto dall’oste, nel caso A; dall’avventore, nel caso B. La scena, secondo la metodologia di ricostruzione, modellazione e mappatura precedentemente visto, acquisisce tutte le caratteristiche essenziali per fornire un’idea dettagliata dell’attività svolta all’interno della popina di Felix e Dorus, che appare nuovamente arredata e provvista delle rifiniture architettoniche che attualmente sono andate perdute.Gli oggetti riposizionati ognuno nella posizione originale, tor-

nano in vita, animando a loro volta la scena con i loro contenuti, che indicano meglio di ogni altra cosa la reale funzione che questi avevano. Video Mapping La tecnica multimediale del Projection Mapping consiste nel proiettare dei video, attraverso l’utilizzo di uno o più videoproiettori, su elementi tridimensionali reali al fine di alterare la percezione visiva, anteponendo una “pelle” virtuale a quella reale. Nel caso della musealizzazione della Popina di Felix e Dorus la tecnica del Video Mapping è stata ipotizzata come un mezzo per trasmettere informazioni di carattere cromatico, storico e simbolico in riferimento all’affresco votivo presente nella parete ovest del vano F. Nella definizione dello storyboard del video le principali informazioni che si sono volute trasmettere riguardano: il significato dell’affresco, lo stato di conservazione di esso e l’ipotesi di ricostruzione. Il significato che si vuole raccontare nella prima parte del video è stret-

tamente legato alla rappresentazione votiva dedicata al serpente agatodemone (dal gr. agathos daimon=buono spirito) presente nell’affresco: riguardo al quale la credenza voleva che avesse una funzione protettiva per gli ambienti domestici. La seconda parte del video analizza lo stato di conservazione mettendo in evidenza l’avanzato stato di degrado pittorico, dovuto all’incuria e all’azione degli agenti atmosferici. La terza e ultima parte del video ridefinisce, dandone una dettagliata descrizione, la ricostruzione dell’affresco nella sua versione integrale facendo un’attenta analisi degli elementi e un’ipotesi restaurativa dei cromatismi originali.

in alto Elaborazione propria, equirettangolare del modello ricostruttivo degli interni della Popina di Felix e Dorus In basso Elaborazione propria, QRcode per accesso alla realtà immersiva



Conclusioni

Estratto ed elaborazione propria del dipinto di Karl Briullov, The last day of Pompei, San Pietroburgo, 1830-1833

La massificazione del turismo e la sua esponenziale crescita anche nei siti archeologici pone la comunità di fronte alla sfida di una conservazione e divulgazione del patrimonio storico in modo che la sua comprensione non resti appannaggio di pochi soggetti eruditi o addetti ai lavori. D’altro lato, la necessità di tramandare nel tempo il fragile patrimonio artistico e storico di cui godiamo ci impone sempre più la messa in campo di tutti gli strumenti contemporanei che sono a nostra disposizione. Durante il percorso di questa tesi si è quindi voluto sviluppare un iter conoscitivo e progettuale che fosse il più completo possibile dal punto di vista scientifico, ma che avesse al suo interno la possibilità di una futura revisione, in funzione delle nuove conoscenze acquisite, nuove sensibilità e bisogni. Come visto, si è scelto di indirizzare l’attività su un oggetto non “nobile” come la popina di Felix e Dorus, un’antica locanda con 3 vani adibiti ai clienti, che non vantava una particolare nobiltà né ricercatezza negli arredi e decori. Si è quindi spostato l’accento sul tessuto minuto e spesso poco considerato che costituisce una parte quantitativamente preponderante dell’edilizia pompeiana. Da ciò è scaturita con forza la necessità di conoscere ed analizzare la serie di

oggetti che furono rinvenuti all’interno dell’edificio, i quali ancora riescono a trasmette una vivida scena di vita quotidiana. Infatti, la ricognizione archivistica da un lato, l’acquisizione di un dato morfologico e metrico particolarmente preciso e lo studio, il confronto e l’analisi del manufatto, dall’altro, hanno permesso di giungere ad una buona determinazione delle principali caratteristiche della struttura edilizia. Mentre, infatti, le tecnologie basate sulla scansione laser ed i sopralluoghi hanno permesso di accedere ad una fedele documentazione sull’attuale stato di conservazione del manufatto, una preziosa determinazione del suo stato di conservazione è scaturita dalla lettura dei diari di scavo e pubblicazioni inerenti. Per operare una ricostruzione il più possibile attendibile si è dapprima indagata la disposizione degli spazi, la loro originale funzione, nonché il loro arredo. Da qui, sulla base delle scansioni a disposizione, registrate, georefenziate e confrontate sul dato fornito dalla Soprintendenza, si è potuta realizzare una ricostruzione tridimensionale dell’oggetto nel suo antico contesto, andando a ripristinare virtualmente quanto distrutto dall’eruzione del 79 d.C. e, successivamente allo scavo, dalla mancata tutela del manufatto.

Per la divulgazione del prodotto finale, ci si è dapprima orientati verso la progettazione di un padiglione espositivo, che avesse la duplice funzione di protezione delle rovine al civico 40 dell’Insula 16, Regio VI, e di un allestimento museale temporaneo. L’utilizzo della tecnologia costruttiva a secco è stata il necessario complemento alla progettazione, così da rispettare i canone di reversibilità, per un’opera inserita all’interno di un contesto archeologico. In questa cornice si è potuto trasferire il contenuto della ricerca attraverso diversi e graduati modi di musealizzazione: realtà virtuale immersiva, video mapping e riproduzione in copia di oggetti originali, conservati presso i magazzini della Soprintendenza. Si è quindi provato a rispondere all’esigenza di predisporre una musealizzazione parametrata secondo vari gradi di intensità, i quali, convivendo tra loro, forniscono un’immagine completa del com’è e del com’era, lasciando ampio spazio all’aggiornabilità in funzione di nuovi studi, scoperte e sensibilità. Il perno di quest’operazione è fornire al fruitore un precedente che gli dia le basi per un’interpretazione personale di altri edifici analoghi non musealizzati.

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pagina precedente Estratto ed elaborazione propria di T.Scandrett, Tempio della Fortuna Augusta - veduta, ricostruzione di fantasia, Londra, 1832 in basso Estratto ed elaborazione propria dell'affresco c.d. di Saffo rinvenuto nell'Insula Occidentalis a Pompei

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61



Indice

Presentazione Giorgio Verdiani

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Introduzione

7

Inquadramento area e rilievo L'area di progetto Il rilievo

13 15 29

Progetto e fruizione Ricostruzione e modellazione del manufatto Premessa progettuale Musealizzazione Conclusioni

35 37 45 48 57

Bibliografia

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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze 2021



Durante il percorso di questa tesi scegliendo di indirizzare l’attività su un oggetto non “nobile”, si è spostato l’accento sul tessuto minuto e spesso poco considerato che costituisce una parte quantitativamente preponderante dell’edilizia pompeiana. Da qui è scaturita con forza la necessità di conoscere ed analizzare la serie di oggetti che furono rinvenuti all’interno dell’edificio, i quali ancora riescono a trasmette una vivida scena di vita quotidiana. Infatti, la ricognizione archivistica da un lato, l’acquisizione di un dato morfologico e metrico particolarmente preciso e lo studio, il confronto e l’analisi del manufatto, dall’altro, hanno permesso di giungere ad una buona determinazione delle principali caratteristiche della struttura edilizia. Per operare una ricostruzione il più possibile attendibile si è dapprima indagata la disposizione degli spazi, la loro originale funzione, nonché il loro arredo. Da qui, sulla base delle scansioni a disposizione, registrate, georefenziate e confrontate sul dato fornito dalla Soprintendenza, si è potuta realizzare una ricostruzione tridimensionale dell’oggetto nel suo antico contesto, andando a ripristinare virtualmente quanto distrutto dall’eruzione del 79d.C. e, successivamente allo scavo, dalla mancata tutela del manufatto. Per la divulgazione del prodotto finale, ci si è dapprima orientati verso la progettazione di un padiglione espositivo, che avesse la duplice funzione di protezione delle rovine al civico 40 dell’Insula 16, Regio VI, e di allestimento museale temporaneo. L’utilizzo della tecnologia costruttiva a secco è stato il necessario complemento alla progettazione, così da rispettare il canone di reversibilità, per un’opera inserita all’interno di un contesto In questa cornice si è potuto trasferire il contenuto della ricerca attraverso diversi e graduati modi di musealizzazione: realtà virtuale immersiva, video mapping e riproduzione in copia di oggetti originali, conservati presso i magazzini della Sovrintendenza. Il perno di quest’operazione è fornire al fruitore un precedente che gli dia le basi per un’interpretazione personale di altri edifici analoghi non musealizzati. Gabriele Pellegrini (Lucca, 1984) e Gianluca Ricciolini (Foligno, 1991) si formano presso la Scuola di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze dove si laureano nel 2017 con la tesi presentata in questa pubblicazione.

ISBN 978-88-3338-139-8

ISBN 978-88-3338-139-8

9 788833 381398


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