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Preambolo

Fo come mi pare! Nell’Architettura contemporanea possiamo incontrare molti e buoni esempi di come è stata utilizzata la Memoria, la Mnemosine, in maniera adeguata. Quando Juan Navarro Baldeweg progetta il Palazzo dei Congressi di Salamanca, il ricordo della cupola sospesa della Casa-Museo di Sir John Soane a Londra, riletto in maniera magistrale, collabora efficacemente a generare uno spazio meraviglioso. Quando Alvaro Siza costruisce il ristorante Boa Nova a Oporto, una delle sue prime opere, il fatto che Alvar Aalto sia chiaramente presente nella sua concezione spaziale e nei dettagli, non toglie un briciolo della sua originalità né della straordinaria qualità al maestro portoghese. Quando Eduardo Souto de Moura costruisce la Torre Burgo a Oporto, l’intenso aroma miesiano non toglie niente all’originalità e alla qualità di questa architettura. [Campo Baeza (2018), p. 57]

La totalità delle opere d’arte prodotte oggi o in epoca precedente deriva direttamente o indirettamente da non più di qualche centinaio di capolavori-archetipi realizzati nell’arco di tutta la storia dell’uomo (qualcuno anche recentemente). [Mari (2013), p. 159]

Un giorno, durante una revisione, una studentessa mi mostra un progetto debolissimo, di quelli rispetto ai quali non si sa mai cosa poter dire, tanto sono inconsistenti. In casi del genere ricorro alla strategia di chiedere agli studenti a quali architetti o designer o progetti si sono ispirati. Alla domanda: “Quali sono i tuoi riferimenti?”, la studentessa, piccata, mi risponde che lei vuole esprimere sé stessa, le interessano solo le sue idee (che io, evidentemente, non riuscivo né a vedere né a comprendere), la ricerca dell’originalità (sua) e della novità: quanto era già stato fatto non era affare dietro al quale perdere il suo prezioso tempo. La mia risposta, forse abborracciata, perché tanta presunzione e sfacciataggine mi avevano obnubilato, non è stata evidentemente convincente: la studentessa si è alzata e se n’è andata sdegnata. Vi assicuro che non si tratta di una studentessa idealtipica. L’ho incontrata veramente! Il libro vuole essere una risposta a posteriori, più articolata e argomentata, alla studentessa, auspicando che le capiti per mano codesto libro, sull’importanza del conoscere e in special

modo sul come utilizzare la conoscenza che abbiamo archiviato nella nostra memoria quando dobbiamo risolvere un problema di progetto nell’ambito dell’architettura e del design. Il libro è un’apologia della necessità della conoscenza e della cultura. Non c’è via di scampo: per essere un buon architetto o un buon designer, bisogna avere cultura, vasta, e quindi conoscere molto e in molti campi diversi. Tant’è che nel primo e più influente trattato teorico della storia dell’architettura occidentale Vitruvio riconosceva – siamo intorno al 15 a. C. – l’ampiezza della disciplina architettonica e la necessaria interazione con numerose altre discipline e aree della cultura: «Di conseguenza egli [l’architetto, n.d.a.] deve essere versato nelle lettere, abile disegnatore, esperto di geometria, conoscitore di molti fatti storici; nondimeno abbia anche cognizioni in campo filosofico e musicale, non sia ignaro di medicina, conosca la giurisprudenza e le leggi astronomiche» [Vitruvio (1990), p. 9]. Spero che il presente libro possa essere d’aiuto a quegli studenti che non pensano di avere un talento smisurato pari a quello dei grandi maestri dell’architettura e del design, ma che sono modestamente interessati a capire perché ricorrere alla propria conoscenza, che potremmo anche chiamare memoria, quando la utilizzano per risolvere problemi di progetto. Confido che leggendolo apprendano il modo di ragionare e di conoscere da progettisti e quindi possano diventare progettisti consapevoli. Da qui il titolo del libro: La conoscenza per il progetto. Il suo sottotitolo, Il case-based reasoning nell’architettura e nel design, trae spunto da una teoria della conoscenza che è a fondamento del testo: il case-based reasoning (cbr) o, in italiano, “il ragionamento basato su casi”. La teoria, sviluppata nel contesto delle scienze cognitive e dell’intelligenza artificiale per comprendere come nell’ambito del problem solving gli esseri umani ragionano e compiono azioni intelligenti, postula che quando nella vita ordinaria le persone devono capire o risolvere un problema, anche banale, ricorrono a esempi del passato, detti appunti “casi”, simili alla situazione problematica corrente. Nella letteratura dedicata al design thinking si sostiene che architetti e designer facciano altrettanto quando sono incaricati di risolvere un problema di progetto, ossia ricorrono a dei casi del passato, che nell’ambito dell’architettura e del design vengono generalmente chiamati “riferimenti di progetto”, i quali, dopo essere stati richiamati, attraverso opportuni adattamenti, elaborazioni e modificazioni aiutano a dare risposta al problema di progetto. Il case-based reasoning applicato alla progettazione si chiama case-based design. È questo l’argomento del libro che stai per leggere.