Il Museo Richard Ginori | Ceccarelli, Dorigoni, Mazzin

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Il Museo Richard Ginori della Manifattura di Doccia a Sesto Fiorentino

Recupero e rifunzionalizzazione

elena ceccarelli anna dorigoni vanessa mazzini

La serie di pubblicazioni scientifiche DIDATesi ospita i risultati delle tesi di laurea condotte all’interno della Scuola di Architettura dell’Università di Firenze che, per l’interesse dei temi trattati, le peculiari modalità di ricerca adottate e l’originalità degli esiti conseguiti nell’ambito del progetto dell’architettura, del territorio, del paesaggio e del design, meritano di essere diffusi al di fuori delle aule universitarie. Le tesi di laurea, che sempre meno si connotano come esercizi accademici, sviluppano in molti casi la continua sperimentazione che unisce ricerca, formazione e progetto nel Dipartimento di Architettura.

Spesso le tesi esprimono nel modo più efficace la relazione di cooperazione che il DIDA intrattiene sia con altre Università che con i territori, con le loro Associazioni, ONG, Amministrazioni, Enti ed imprese.

La presente pubblicazione è frutto della tesi di Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio discussa il 22 maggio 2020.

Relatore: Prof. M. De Vita; Correlatore: Prof. R. Renzi.

Commissione: Proff. M. De Vita, U. Tramonti, S. Van Riel, P. Matracchi, R. Renzi, M. G. Bevilacqua, V. Tesi

in copertina

Pier Niccolò Berardi, Tullio Rossi, Fotografia del plastico per il nuovo edificio del Museo Ginori a Sesto Fiorentino, 1965 circa. Archivio Centrale dello Stato Firenze, fondo Berardi.

Impaginazione a cura di Anna Dorigoni

progetto grafico

didacommunicationlab

Dipartimento di Architettura

Università degli Studi di Firenze

Susanna Cerri

Federica Giulivo

didapress

Dipartimento di Architettura

Università degli Studi di Firenze

via della Mattonaia, 8 Firenze 50121

© 2022

ISBN 978-88-3338-175-6

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset

Il Museo Richard Ginori

della Manifattura di Doccia a Sesto Fiorentino

Recupero e rifunzionalizzazione

elena ceccarelli anna dorigoni vanessa mazzini

Il Museo Richard-Ginori: territori e traiettorie del Moderno

La ricerca e le riflessioni critiche che seguono in questo volume propongono tematiche non solo particolarissime, ma anche caratterizzate da un alto grado di complessità ed interrelazione, il tutto sia nelle modalità più avvertite di una scrupolosa analisi storica che operando in vista di una inedita e coraggiosa ridefinizione dei destini e delle modalità espositive del museo Richard Ginori della Manifattura di Doccia a Sesto Fiorentino. A partire da una tesi redatta e discussa in chiusura del percorso delle autrici presso la Scuola di specializzazione in Beni architettonici e del Paesaggio di Firenze questa ulteriore elaborazione offre, sia in chiave di metodo che per le informazioni e valutazioni ivi contenute, uno strumento di indagine e soprattutto una visione diacronica delle questioni e problematiche specifiche di assoluto livello. Il museo Richard Ginori della Manifattura di Doccia fu progettato nei primi anni sessanta del novecento da Niccolò Berardi,perlopiù noto per essere stato uno dei componenti del “Gruppo Toscano” vincitore del concorso per la nuova stazione di Firenze, con Giovanni Michelucci capogruppo e con Nello Baroni, Italo Gamberini, Sarre Guarnieri, Leonardo Lusanna, avendo peraltro avuto al suo attivo prestigiosi allestimenti ed arredi, edifici di abitazione, ville private, la nota Chiesa di San Bernardino a Borgunto. Il Museo, metafora eccellente del tempo per la sua azione combinatoria attuata per mano di soggetti colti, racconta in questo caso molto più dei criteri e tecniche di una museografia sperimentale ed innovativa, peraltro di per se’ di grandissimo interesse e suggestione. Indagare un Museo d’Impresa impone una sfida culturalepriva di riferimenti univoci ed anzi posizionata su una eccezionale molteplicità di crocevia conoscitivi e propositivi fra loro interrelati. Certamente: la museografia del novecento con le sue inedite proposte espositive, la storia di una azienda prestigiosa e conosciuta in tutto il globo, i sottesi ed aperti temi propri dell’Archeologia industriale, le questioni in divenire del restauro dell’Architettura Moderna e contemporanea, la storia di una città e di un territorio attraversati dalle vicende di un’avventura industriale che, come per le righe di una mano immanente, rivelano vicende e destini di generazioni di lavoratori come anche segni fondativi scavati per sempre nella storia di Sesto Fiorentino e dell’Architettura.

Non ultima, la forza inedita ed immaginifica di un Architetto e con lui l’irruzione nel “progetto di museo” di soluzioni di assoluta avanguardia e di un allestimento elegante, curato da Berardi insieme a Tullio Rossi, a formare un edificio capace ancora e vorrei dire sempre, di innescare quel meraviglioso connubio fra conservazione, curiosità intellettuale e trasporto emozionale che solo le architetture di assoluto livello, piccole o grandi che siano, sono capaci di provocare. Ci riserva dunque questo volume un rigoroso percorso della conoscenza effettivamente capace di ridefinire su base solidamente documentaria la stratificazione e la complessità delle opere e delle vicende, muovendosi poi con coerenza ed attenzioneper operare, con i principi e le tecniche del restauro e quindi della progettualità insieme più creativa e compatibile, quella sempre diversa ricucitura e trasposizione della storia dei luoghi nel tempo presente ed in un auspicabile futuro.

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pagina precedente Biglietto di visita alla collezione Museo Ginori, 1967 circa

I Maestri ed il Museo Richard-Ginori Temi e figure

Questo lavoro di Tesi condotto in maniera esemplare, seppur nelle difficoltà sopraggiunte in fase finale per l’emergenza pandemica, ha permesso alle Specializzate di toccare argomenti di estremo interesse e di acuire in maniera sistematicamente progressiva il legame tra ricerca e territorio. L’occasione del recupero del Museo Richard Ginori ha favoritola tessitura, all’interno di una più ampia traiettoria che ha traguardato analisi, ricerca e progetto, di un insieme di relazioni con Enti tra cui anche la Soprintendenza ai monumenti di Firenze, il Polo Museale, il Ministero dei Beni Culturali e la Fondazione Richard Ginori.

Il lavoro, incentrato sul fertile ed urgente tema del recupero del Moderno e sul ruolo del progetto contemporaneo in relazione ad un contesto fortemente identitario e storicizzato, ha promosso inoltre l’incontro con alcune, fondamentali, figure dei Maestri dell’Architettura Italiana del Ventesimo secolo.Giò Ponti, Giovanni Michelucci, Italo Gamberini, Pier Niccolò Berardi, Tullio Rossi e Franco Minissi insieme a Franco Albini e Carlo Scarpa sono stati gli attori, i Maestri, inseriti in un processo di costante contributo latente ed in sottofondo con alcuni sensibili acuti, che hanno guidato la comprensione del Museo Ginori all’interno del panorama architettonico italiano recente.

L’opera di Giò Ponti come direttore della Richard Ginori dal 1923 al 1933, anno della V Triennale diretta da Ponti stesso e svoltasi per la prima volta a Milano nel nuovo edificio di Giovanni Muzio, ha influito direttamente nella configurazione della produzione delle linee ceramiche che ancora oggi definiscono una rilevante identità del marchio. Ponti e Richard Ginori sono stati legati nel tempo in un forte e deciso rilancio dell’industria artistica italiana a cavallo fra le due guerre; questo ruolo ha contraddistinto inoltre Ponti nell’arco della sua intera carriera professionale ed editoriale, grazie soprattutto alla rivista Domus, con uno sguardo rivolto sempre al panorama internazionale.

Negli stessi anni Trenta a Firenze si stava affacciando sulla scena delle Università italiane la primissima configurazione della Scuola di Architettura dove docenti come Fagnoni, Papini, Michelucci, nel tentativo di costituire propria autonomia identitaria che potesse trasmettersi anche attraverso l’insegnamento di alcuni contenuti didattici, tracciavano relazioni con il territorio ed ampliavano i loro interessi anche a modelli internazionali. Michelucci, che insegnava Scenografia ed Architettura degli Interni, stava per primo provando ad instituire una solidità culturale fra il tema del progetto di architettura e la dimensione anche urbana dell’interno. Questo approccio, che nel dopoguerra genererà una propria autonomia teorica anche grazie a figure con Leonardo Savioli e Leonardo Ricci, in quei primi anni aveva permesso a studenti come Gamberini, Berardi, Lusanna ed altri di esercitarsi in ex tempore didattiche che avevano riguardato anche padiglioni espositivi per industrie italiane legate al territorio. E’ il caso infatti del progetto per padiglione pensato per la Richard Ginori di Gamberini del 1931 che per primo presentava, in una generale interessante configurazione frutto di una comprensione anche di progetti della IV Triennale di Monza, un legame fra didattica, ricerca e territorio. E’ il secondo dopoguerra poil’ambito in cui veniva rilanciata con estrema urgenza la questione del museo pubblico nell’Italia della ricostruzione, facendone maturare il ruolo da custode di beni in pro-

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pagina precedente Foulard in cotone Richard Ginori, anni Cinquanta

motore culturale ed infine, più vicino ai nostri giorni, elemento di attrazione turistica. In quei pochi anni erano figure come Minissi a Villa Giulia, in un serrato confronto con Vignola ed Ammannati, Albini a Genova, Scarpa a Palermo ed ancora Michelucci con Detti e Scarpa agli Uffizi a tentare una difficoltosa ma magistrale opera di modernizzazione del museo oltre il ruolo assunto nel diciannovesimo secolo in Italia e soprattutto dopo l’Unità nazionale. Ma il ruolo della ricerca di un rinnovato carattere della tipologia museale come elemento di esposizione non si esauriva solamente con la questione del mostrare o contenere brani pubblici del patrimonio culturale. Durante gli stessi anni Cinquanta, parallelamente, il mondo dell’industria rafforzava ed ampliava il ruolo della fiera campionaria, fortemente promossa nel secolo precedente con incontri universali ed ora ripreso come occasione di conferma della rapidità dei sistemi commerciali europei. Il tema espositivo vedeva quindi il padiglione configurarsi come elemento autonomo ed altamente rappresentativo di un contenuto ben preciso, allineandosi a quella immagine coordinata che si stava iniziando a diffondere nel contesto europeo nelle principali industrie.

In Italia il ruolo di Marcello Nizzoli, Luciano Baldessarri, Luigi Cosenza, oltre ai già citati Ponti ed Albini, stava amplificando questo nuovo ruolo inizialmente intrapreso nella fortunata V Triennale del 1933 dove la tipologia del padiglione era considerata mezzo sperimentale di espressione di una nuova idea di abitare italiana, regionale, mediterranea. Negli anni Cinquanta il padiglione espositivo stava configurandosi come quell’elemento architettonico ibrido che in tempi più recenti si sarebbe poi chiamato showroom. Anche il negozio, in un profondo rinnovamento promosso sempre dai principali Maestri, tra cui sempre Ponti, per le più rilevanti industrie italiane aveva contribuito a sostenere il valore commerciale dell’esporre acquisito poi con grande rapidità dalla tipologia del padiglione.

In questo frangente di veloce ed ampio cambiamento sociale, commerciale ancora prima che architettonico, il Museo Richard Ginori iniziava a prendere forma come poderoso strumento di comunicazione e promozione nell’idea della dirigenza dell’industria che tra il 1960 ed il 1961 affidava il progetto a Berardi.

Tullio Rossi e Berardi avevano fondato lo studio San Giorgio insieme a Firenze subito dopo la fine degli eventi bellici, quando Rossi si era trasferito da Roma dove aveva progettato e realizzato numerosi edifici per la curia romana. Il sodalizio, fortunato seppur in una costante diversità per approccio al progetto, aveva permesso ad entrambi di maturare uno nel profilo dell’altro mutuando alcuni caratteri che spiccavano tra i due in maniera più marcata. Rossi aveva incluso nel proprio panorama figurativo l’elemento naturale che sempre di più Berardi stava accrescendo come tematica unitaria durante i primi anni del dopoguerra per poi divenire negli anni Sessanta e Settanta la primaria fonte di linguaggio progettuale. Berardi al contrario tendeva ad includere ed accoglierecome propria una visione più razionale che Rossi aveva sempre mantenuto salda pur all’interno di una sua eterogenea produzione che stava spaziando, in grande quantità per luogo e per tipologia. Il progetto per il nuovo Museo Richard Ginori, firmato da Berardi ma con intestazione dello studio San Giorgio con Rossi, nasceva proprio come fusione di questi due prevalenti principi compo-

sitivi. Il rapporto con il paesaggio ed il tema di una scansione razionale che armonizzava spazio e forma in un più ampio ed articolato sistema di ordine e di gerarchie geometriche, erano il sottofondo su cui il museo veniva costituito con eleganza e con misurata semplicità papiniana. Sul territorio il museo si incardina ancora oggi seguendo l’orizzontalità del tracciato ferroviario e contrapponendosi visivamente al complesso sistema di produzione della fabbrica Richard Ginori. Due sono gli aspetti assai rilevanti della scelta insediativa di Berardi: il primo riguarda la similitudine che è possibile rintracciare nel rapporto con la villa medicea di Castello, dove il profilo planimetrico svela una lettura metrica degli spazi e dove l’allineamento ad un forte asse urbano/paesaggistico regge l’intera composizione;il secondo è invece relativo al rapporto con il paesaggio naturale e con la pianura della piana fiorentina anche esso distinguibile in relazione alla villa di Castello.

Mentre la villa ancora oggi rappresenta con il lungo prospetto il traguardo di un lungo percorso continuo che nasce dalla pianura e che idealmente prosegue nel retrostante giardino verso il monte, il Museo ribalta questa assialità rivolgendosi con il prospetto principale direttamente al monte. Questo cambio di prospettiva pone il museo progettato da Berardi verso una propria autonomia funzionale e linguistica rispetto all’impianto di produzione delle ceramiche seppur in condivisionedi regole costitutive grazie all’allineamento al sistema ferroviario.

Queste scelte di giacitura avevano permesso di configurare le scelte dello spazio espositivo facendo in modo che l’edificio, più assimilabile ad un lungo padiglione con uno spazio unitario, ponesse il tema della luce naturale come elemento cardine della composizione.

In linea con tutta la ricerca teorica e delle ricadute operative condotte in seno alla Scuola Fiorentina degli anni Trenta, cui anche Berardi con il Fabbricato Viaggiatori di Santa Maria Novella aveva contribuito, il tema della luce naturale guida ancora oggi l’intero piano espositivo del Museo; essa proviene da enormi finestre ad altezza di intero solaio che guardano il monte Morello e parallelamente introiettano il paesaggio all’interno del Museo. Alla muratura opposta invece il ruolo di spazio espositivo senza alcuna apertura. Questa strategia, anticipata da alcune ricerche condotte da Mies van der Rohe negli Stati Uniti, aveva influenzato Berardi che in questo progettotentava di includere tra due lame orizzontali, lo scorcio continuo del paesaggio naturale rivolgendosi a nord verso il Monte Morello.

Lo spazio che il Museo ancora oggi esprime si colloca in una modernità attuale che ben si incardina nelle ricerche spaziali che la tipologia del museo nel contesto globale promuove.Allineandosi al rapporto fra padiglione e museo, l’edificio, come la Tesi ben dimostra, ha carattere in grado di sostenere un progetto di recupero e di, eventuale, ampliamento per poter essere nuovamente inserito nel circuito museale della provincia di Firenze, divenedo punto di attrazione a livello nazionale. Cosa che fortemente, è auspicabile.

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Il Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia rappresenta un esempio unico di architettura moderna italiana, nato come edificio museale e di rappresentanza per un’azienda dal prestigio internazionalmente riconosciuto. Progettato dall’architetto Pier Niccolò Berardi negli anni 1960-63, il Museo si sviluppa come un lineare spazio architettonico all’interno del quale custodire e mostrare la preziosa collezione della manifattura, dal XVIII secolo alla contemporaneità; per questo è considerato uno dei più antichi e ricchi musei ceramici d’Europa. Con la sua architettura moderna e all’avanguardia per sistemi tecnologici ed impiantistici, vuole essere al contempo espressione di un museo d’impresa, a testimonianza della lunga illustre storia imprenditoriale della famiglia Ginori. Oltre all’eccezionale collezione ceramica, il patrimonio artistico della manifattura è arricchito da un grande archivio di beni librari, fotografici e documentari e da una collezione di strumenti di produzione e lavorazione, solo in parte conservati all’interno del Museo. Con il fallimento della Società proprietaria, negli anni Duemila, il complesso museale vede la chiusura e l’inizio di un periodo di abbandono della struttura. Con l’acquisto nel novembre 2017 da parte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (MiBACT), l’intero complesso di beni viene sottoposto a tutela, con la previsione di un restauro e di una complessiva operazione di valorizzazione. Da qui la volontà di sviluppare in questo lavoro di tesi un concreto progetto di analisi, studio e riqualificazione del Museo, nell’ottica di renderlo centro di riferimento internazionale per la ricerca e l’esposizione dei manufatti ceramici, sia della storica Manifattura, così come di opere internazionali.

L’approfondita conoscenza del passato dell’edificio e dei suoi caratteri architettonici e funzionali sono la base per un intervento di restauro consapevole ed accurato. La nostra ricerca è partita da una dettagliata analisi storica che ha portato alla ricostruzione dello stato originario dell’edificio attraverso lo studio e l’analisi dei documenti oggi conservati presso gli Archivi Storici del Museo (in parte depositato presso l’Archivio di Stato di Firenze), della Manifattura e del Comune di Sesto Fiorentino. Questa prima fase è stata la premessa per comprendere l’identità e le potenzialità del Museo e quindi per redigere il “progetto della conoscenza”. Il quadro conoscitivo dello stato attuale è stato delineato da una campagna di rilievo ed osservazione svolta sul posto, che, tramite l’utilizzo della tecnologia laser scanner, ci ha permesso la ricostruzione di un rilievo tridimensionale molto accurato. La restituzione degli elaborati ha reso possibile la successiva rappresentazione delle patologie di degrado, esterne ed interne, e del progetto. Questo dettagliato quadro d’insieme ha reso possibile una precisa comparazione tra lo stato originario e quello attuale per l’individuazione di discrepanze con il progetto depositato da Berardi e successivi interventi. Tale confronto è stato poi la base per la redazione di un progetto di rifunzionalizzazione dell’edificio, con la volontà di intervenire per renderlo nuovamente accessibile e funzionale, ma anche per riportarlo al suo originario fascino di architettura moderna, elegante e tecnologica. Oltre al ripristino di alcuni spazi secondo il disegno originario, numerose sono le criticità riguardanti l’aspetto manutentivo e impiantistico. Gli interventi riguardano quindi in primo luogo il restauro

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Introduzione
pagina precedente L’architetto Pier Niccolò Berardi all’interno del Museo Richard-Ginori, giugno 1965 (AMG, Fototeca)

delle superfici, gravemente danneggiate da infiltrazioni e umidità, e la sostituzione di materiali interni con soluzioni visibilmente simili ma tecnologicamente più efficienti. Gli impianti illuminotecnici, elettrico e di condizionamento dell’aria, certamente all’avanguardia all’epoca dell’inaugurazione, sono ora da sostituire con apparati più efficienti e meno ingombranti, pur mantenendone la disposizione e i tracciati originali. Lo studio progettuale si è infine occupato dell’allestimento espositivo, curato da Berardi e dal collega Tullio Rossi dalla disposizione museografica al disegno delle teche, appositamente progettate in funzione dell’edificio. La grande sala al primo piano diviene quindi occasione per l’esposizione di numerose opere basate su tematiche differenti e presenta la necessità di trasformarsi in uno spazio dedicato a mostre temporanee. La visione del progetto trova nell’idea di flessibilità la coniugazione ideale tra il rispetto della storia e una rinascita degli spazi, fruibili e adattabili alle esigenze della contemporaneità.

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pagina precedente Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: interno primo piano, particolare della vetrata del salone (ASF, Fondo Ginori, Fototeca)

Analisi storica

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Vanessa Mazzini

Il Museo delle porcellane Richard-Ginori a Sesto Fiorentino, progettato dall’architetto Pier Niccolò Berardi in collaborazione con l’architetto Tullio Rossi, rappresenta un esempio emblematico dell’unione tra architettura, arte e attività produttiva. Un dialogo già pensato e fortemente voluto dal fondatore della manifattura di Doccia, il marchese Carlo Ginori che, dotato di grande spirito imprenditoriale, intorno alla prima metà del Settecento realizza la sua fabbrica di porcellana stabilendo un legame profondo tra il luogo (villa Le Corti), la storia dell’arte fiorentina e la produzione.

La ricerca inizia con la storia della famiglia Ginori e l’inizio dell’attività della manifattura. Il capitolo 1 ripercorre le fasi principali di questa azienda familiare, pioneristica nel suo genere, che grazie alla lungimiranza ed intraprendenza del fondatore e degli eredi conquista un primato nel panorama dell’antico Granducato di Toscana e poi nella più vasta realtà nazionale. Con la “Galleria dei modelli”, in cui sono riuniti disegni, cere, sculture in gesso e terracotta, il marchese Ginori crea il nucleo di quello che sarà uno dei più antichi musei d’impresa d’Italia ed uno dei musei della ceramica più antichi d’Europa. Una collezione che racconterà nei secoli la capacità di portare avanti un marchio che farà la storia del gusto in Italia e non solo.

Nel 1896 Carlo Benedetto Ginori decide di vendere la manifattura ad Agusto Richard e da questa fusione nasce la Società Ceramica Richard-Ginori, con una nuova struttura organizzativa con sede a Milano. Questa scelta fa perdere alla manifattura la stretta identificazione con la casa Ginori, ma determina l’evoluzione da fabbrica familiare a cartello industriale.

La storia della produzione è sintetizzata nel capitolo 2 dove si ripercorre l’evoluzione delle forme e del linguaggio della ceramica dalla metà del Settecento fino gli anni recenti.

Nel capitolo 3 sono analizzate le premesse e le motivazioni che, a partire dalla seconda metà del Novecento, porteranno alla realizzazione del nuovo Museo di porcellane a Sesto Fiorentino.

Nei primi anni Cinquanta la Società Richard-Ginori, per adeguare gli impianti alle moderne esigenze industriali, decide di trasferire la produzione dalla villa di Doccia presso i nuovi stabilimenti nella piana di Sesto Fiorentino a sud della ferrovia e anche per il museo, ormai separato dalla fabbrica, si comincia ad ipotizzare un trasferimento. Ma l’anno di svolta è il 1956, quando la villa e tutta la manifattura vengono vendute: nasce, quindi, l’esigenza impellente di progettare un nuovo edificio destinato a museo per esporre la collezione fino ad allora conservata nell’antica sede di Doccia. Negli stessi anni viene stipulato l’atto di cessione, da parte del marchese Lorenzo Ginori alla Società Ceramica Richard-Ginori, del nucleo più rappresentativo delle opere facenti parti della raccolta storica privata della famiglia Ginori.

La proprietà decide di costruire il nuovo fabbricato destinato a sede espositiva nell’area contigua alla fabbrica e affida il progetto allo Studio San Giorgio di cui fanno parte l’architetto fiorentino Pier Niccolò

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Premessa
pagina precedente Sesto Fiorentino, viale di ingresso dello Stabilimento Richard-Ginori prima della costruzione del museo, immagine dei primi anni Cinquanta (AMG, Fototeca).

Berardi e il collega romano Tullio Rossi. Sarà Berardi a firmare il progetto, ma dai documenti archivistici si evince che si tratta di un lavoro in gran parte condiviso.

La figura di Berardi è delineata nel capitolo 4 in cui, dopo un breve cenno alla sua formazione, sono elencate le opere principali.

A partire dal capitolo 5, dedicato al progetto del museo, inizia la parte principale della ricerca, in gran parte inedita. Seguono i capitoli 6 e 7 che descrivono l’edificio realizzato, gli arredi e l’allestimento del 1965.

Per la ricostruzione della storia del progetto sono stati consultati il fondo dell’Archivio del Museo Ginori conservato attualmente presso l’Archivio di Stato di Firenze, il materiale ancora presente presso il museo di Sesto Fiorentino (in particolare la Fototeca) e alcuni documenti conservati presso l’Archivio della Manifattura. Gli elaborati del progetto, redatti dallo Studio San Giorgio, sono conservati in copia presso l’Archivio delle Pratiche Edilizie del Comune di Sesto Fiorentino.

Grazie all’analisi dei fondi sopra descritti è stato possibile ricostruire la storia dell’edificio e le trasformazioni che esso ha subito nel corso del tempo, analizzate nel capitolo 8.

Il museo, inaugurato nel 1965, viene concepito dai progettisti come un lungo parallelepipedo razionalista, dalla struttura in cemento armato con tamponature in laterizio, caratterizzato dalla grande parete vetrata del prospetto principale, pensata come una “vetrina” espositiva della produzione, in diretto rapporto con il vicino stabilimento e la città di Sesto. Un museo esemplare caratterizzato dallo “spazio unico” del primo piano che possiede la vastità di un “laboratorio” pur riuscendo a creare, con la disposizione delle vetrine, zone ideali per la piena visione degli oggetti esposti. Un ambiente agevole e funzionale che si differenzia da tutti gli altri musei fiorentini e che si pone in stretto legame con la storia della manifattura e con il paesaggio circostante la cui luce entra, attraverso la vastità della grande vetrata continua, a far parte della realtà dell’oggetto esposto.

Un edificio concepito come “un astuccio per gioielli”, utilizzando le stesse parole di Berardi, ovvero come una “grande teca” che non si mette in concorrenza con gli oggetti esposti, ma dove architettura e arti decorative hanno la stessa dignità.

Nel fondo “Tullio Rossi”, conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, è presente la “Scheda cliente”, relativa all’incarico del museo, in cui sono elencati tutti gli elaborati grafici redatti dallo Studio San Giorgio: il lungo elenco delle tavole testimonia che i due architetti progettano non solo l’edificio ma anche tutti gli arredi interni, dimostrando una grande capacità e disinvoltura nell’affrontare le diverse scale progettuali al fine di creare un’opera unitaria e coerente. Berardi e Rossi disegnano sia le strutture espositive che gli altri complementi di arredo: dalle vetrine con la teca in cristallo a chiusura emetica, tutte dotate di una propria illuminazione, alle sedie, ai tavoli dedicati alle aree di riposo e studio.

L’ultimo capitolo, il numero 9, è dedicato alla tutela giuridica del museo. Nel 2012 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali decide di emanare un provvedimento specifico per tutelare l’intero immobile. In considerazione del forte legame fra gli oggetti e il fabbricato appositamente progettato per esporli, il Direttore Regionale per i Beni Culturali per la Toscana il 12 maggio 2012 emana un decreto vincolo “pertinenziale” della collezione e dell’archivio-biblioteca del museo al “contenitore”, riconosciuto di “particolare interesse culturale” insieme ai relativi arredi di allestimento.

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pagina precedente L’architetto Pier Niccolò Berardi all’interno del Museo Richard-Ginori, giugno 1965 (AMG, Fototeca)

La famiglia Ginori e l'inizio dell'attività

La manifattura di Doccia ha origine nella prim a metà del Settecento, quando il marchese fiorentino Carlo Ginori (1702-1757)1 decide di avviare una fabbrica in grado di produrre la porcellana2. Per l’allestimento della sua nuova impresa il 15 marzo 1737 acquista dal senatore Francesco Buondelmonti la villa Le Corti, situata a poca distanza dalla residenza di campagna di proprietà della famiglia Ginori dal 15253. Le dimensioni del complesso sono modeste: la residenza padronale è composta da sei vani di dimensioni abitabili, una loggia al piano terra, una scala a due rampe, la cappella e qualche piccolo ricetto4

Subito dopo l’acquisto, Carlo inizia i lavori di ristrutturazione e ampliamento della villa per realizzare i locali utili a creare un laboratorio di sperimentazione per l’affinamento della ricetta della porcellana (la prima fornace, le officine, il mulino per macinazione delle terre)5. Il marchese setaccia tutta la Toscana per reperire il caolino indispensabile alla manifattura; trova gli artisti e i tecnici adatti a dirigere i vari reparti e a formare i lavoranti; supera le numerose difficoltà tecniche del periodo sperimentale; si occupa direttamente dell’indirizzo artistico da dare alla produzione acqui-

Relazione storico-archivistica

stando, tra l’altro, modelli per le plastiche e i decori6

Nel 1741 la fabbrica di Doccia ottiene il monopolio per la produzione di porcellane in Toscana ed acquisisce ben presto fama in tutta Europa. In questo periodo vengono prodotte porcellane a bassorilievo e tutto tondo e vasellame per le mense dei nobili famiglie italiane. La fabbrica si cimenta anche nella creazione di pezzi di maggiore impegno artistico, quali sculture e figure singole o a gruppi di notevoli dimensioni, realizzate grazie all’opera di importanti scultori, modellisti e pittori, fra i quali Gaspero Bruschi (1710-1780) e Carl Wendelin Anreiter (1702-1747). Nell’aprile del 1753 il marchese decide di realizzare al piano terra della villa una “galleria” dove poter esporre il campionario dei prodotti che la fabbrica aveva realizzato nel corso dei primi quindici anni di vita della manifattura7. Il nuovo ambiente viene costruito in aderenza alla residenza originaria, a partire dall’estremità nord-ovest, “sul versante immediatamente accessibile dalla strada in modo da poter sopperire alle esigenze di rappresentanza ed accoglienza dell’impresa; per accedervi viene accuratamente evitato l’attraversamento dei fabbricati produttivi, le nuove officine, e vi si accede anche direttamente dal giardino tramite un grande portale aperto al centro

del fronte” 8. Accanto alla nuova ala, destinata ad esposizione, viene subito edificato uno “stanzone” necessario per la conservazione delle forme per le statue9

Nel 1754 due sale della galleria vengono decorate con architetture illusionistiche, secondo il gusto barocco dell’epoca, dal pittore quadraturista Giuseppe del Moro (1718-1781) e dal pittore Vincenzo Meucci (1694-1766) che esegue la parte figurata. Su una volta viene rappresenta l’“Allegoria dei quattro elementi” che partecipano alla realizzazione della porcellana e nelle sette lunette sono raffigurate le fasi di lavorazioni delle argille, descritte anche nei cartigli sottostanti10. La decorazione funge da preludio e presentazione degli oggetti esposti11

Nello stesso periodo, su una parete di fondo della galleria, viene murato il camino monumentale realizzato in porcellana bianca da Gaspero Bruschi e Domenico Stagi (1754).

Il contesto, molto ricercato, diventa una tappa d’obbligo per i visitatori della fabbrica ed esalta le opere più prestigiose realizzate in porcellana: ad esempio le traduzioni in scala di statue antiche quali la “Venere dei Medici”, l’“Arrotino” e l’“Amore e Psiche”12.

Negli spazi adiacenti alle sale affrescate viene allestita la “Galleria dei modelli” che comprende un nucleo consi-

stente di sculture in gesso, terracotta, bronzo e in cera acquistate dal marchese Ginori per servire come modelli di studio e prototipi per le porcellane, realizzate tramite forme in gesso secondo una prassi in uso per l’esecuzione dei bronzi. Una sezione significativa dell’esposizione è rappresentata dalle impronte della glittica antica, tratte dalla raccolta di gemme e medaglie acquisite dal Ginori già dal 1741 e utilizzate per la traduzione della porcellana con effetto “a cammeo”. Viene esposto anche il cosiddetto “Museo delle terre”, uno straordinario campionario di terre e pigmenti raccolti in vasi in vetro e basi e coperchi in maiolica, decorati con ornati blu alla cinese13 Alla “Galleria delle sculture” (o dei modelli) e al “Museo delle terre” si affianca poi l’esposizione dei prodotti della manifattura che rappresenta il terzo nucleo originario della collezione. Non sappiamo con certezza in che modo sia organizzata l’esposizione alla metà del Settecento, né il numero delle sale che effettivamente occupa. Inoltre, come è stato osservato non si tratta di un vero e proprio museo, ma piuttosto di una galleria privata realizzata essenzialmente per motivi promozionali e didattici. Le opere, infatti, oltre ad essere direttamente strumentali all’attività produttiva, hanno il preciso scopo

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pagina precedente Villa Ginori a Doccia, Sesto Fiorentino, foto d’epoca. (AMG, Fototeca)

pagina precedente

Una sala dei “Musei di Doccia” nell’antica sede della manifattura a Sesto Fiorentino, inizi del Novecento (AMG, Fototeca)

Veduta di una sala espositiva dei “Musei di Doccia”, villa Ginori a Doccia, Sesto Fiorentino, 1930 circa (AMG, Foteteca)

di comunicare agli ospiti, ammessi a visitare la manifattura, la cultura artistica e scientifica da cui scaturisce e si alimenta l’impresa di Doccia14

Dopo la morte di Carlo Ginori (1757) gli succedono tre figli maschi: Bartolomeo, Giuseppe e Lorenzo. La gestione dell’impresa viene assunta da quest’ultimo, il primogenito e l’unico ad avere superato la maggiore età. Lorenzo possiede un grande intuito economico e finanziario che compensa le sue scarse competenze scientifiche. Nel primo anno di gestione (1758) riesce a portare in attivo il bilancio della fabbrica che fino ad allora era stato deficitario. Gli introiti aumentano notevolmente grazie al forte incremento delle porcellane che raggiungono, nel 1760, anche il mercato spagnolo15

Al fine di disporre le modifiche e gli accorgimenti necessari per ottenere il maggiore utile di impresa, Lorenzo incarica uno studioso lorenese, Johannon de Saint Laurent, di redigere uno studio completo sulla manifattura, con accurate analisi dei prezzi. Lo studio, concluso il 16 febbraio 1760, è un quadro molto interessante sulla vita aziendale, ad iniziare dalla descrizione dei tempi di lavorazione delle porcellane e delle maioliche, fino al numero degli addetti per ogni singola operazione16

Durante questa seconda fase , la fabbrica si evolve e assume connota -

ti nuovi rispetto al primo periodo. Se Carlo aveva affrontato l’avventura della porcellana con spirito pioneristico e ambizioni artistiche, Lorenzo si preoccupa di razionalizzare i costi e di risolvere il problema dell’approvvigionamento del caolino. Intorno al 1762 introduce il cosiddetto “masso bastardo”, un particolare tipo di porcellana, a cui il caolino toscano conferisce un colore grigio, ma che, grazie ad un rivestimento coprente a base di stagno, appare bianca e piacevole alla vista, permettendo di ridurre drasticamente le importazioni di caolino estero17. L’innovazione tecnica si accompagna ad una maggiore diversificazione dei prodotti e dei decori, passando da una produzione mirata, destinata alla vendita più che alla ricerca di risultati eccezionali come era stato nella fase sperimentale del padre. Cessa la realizzazione delle sculture e dei pezzi di grandi dimensioni, mentre si sviluppa la produzione da servizi da caffè, da tè e da tavola. Pur restando in auge i decori del primo periodo e l’influsso delle porcellane cinesi, nascono nuovi ornati: tra i più famosi il decoro “a roselline” e “a fiori sparsi e frutta”. Alle forme consuete si aggiungono i candelabri, i vasi d’altare, i portalumi da notte e gli scaldini da brace. Sono ancora attivi i maestri e i lavoranti del primo periodo, fra cui il modellatore Ga-

spare Bruschi e il decoratore Jacopo Fanciullacci18

La manifattura diventa un’impresa redditizia e, grazie a nuovi utili, nel 1766 Lorenzo decide di ristrutturare la villa Le Corti affidando l’incarico all’architetto Giovan Battista Clemente Nelli (1725-1793)19. Lo scopo è quello di ricavare all’interno dell’edificio principale ambienti di rappresentanza più consoni ad attività di pubbliche relazioni20

Al 1787 risale l’“Inventario de’ modelli”, un documento di fondamentale importanza per la storia del collezionismo perché redatto secondo la sequenza degli ambienti e la successione degli oggetti su appositi palchetti, armadi e scaffali presenti all’interno delle singole stanze, da cui si possono ricavare i criteri che hanno determinato le scelte espositive. I modelli sono raggruppati a seconda del loro soggetto e delle loro dimensioni, tenendo conto anche della cronologia21

Nel 1791 Lorenzo Ginori muore a soli 57 anni22. Gli succede Carlo Leopoldo (1788-1837) che eredita la manifattura a l’età di tre anni. È la madre, Francesca Ginori, nata Lisci, insieme ad un consiglio di tutori, ad occuparsi della gestione, in attesa che il figlio raggiunga la maturità e completi gli studi che dovranno prepararlo alla guida della fabbrica.

Grazie soprattutto ai viaggi nelle più importanti manifatture europee di porcellane, Carlo introduce a Doccia innovazioni tecniche all’avanguardia per i suoi tempi. A lui si deve l’invenzione di un nuovo tipo di fornace a quattro piani che cuoce simultaneamente diversi tipi di ceramica, con grande risparmio di combustibile, e che diventa famosa in tutta Europa come “fornace all’italiana”23

Per quanto riguarda la produzione, caratteristica di questo periodo è l’importazione sempre crescente di caolino francese di prima qualità, che serve a produrre le porcellane cosiddette “sopraffine”, cioè quelle con impasto e decorazione più pregiati24. Gli ornati e le forme seguono il rapido avvicendarsi degli stili Neoclassico, Impero e Restaurazione, tendenze che impongono un notevole sviluppo delle tecniche lavorative: dall’uso dei colori “matti” cioè opachi, alla brunitura dell’oro fino alle miniature che imitano la pittura ad olio con fedeltà tale da permettere di riprodurre su porcellana i più famosi capolavori delle Gallerie Fiorentine25

Questi nuovi indirizzi figurativi si sviluppano grazie all’arrivo a Doccia di due nuovi maestri di pittura di Ginevra: François Joseph de Germain e Abrham Costantin, specializzati nella riproduzione su porcellana di pitture realizzate in origine su

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tela o ad affresco. Costantin trasmette la sua tecnica a Giovan Battista Fanciulacci e in tal modo la “Pittoria” acquisisce i segreti della minuziosa riproduzione della pittura su porcellana. In questo periodo viene creata una grande quantità di forme, fra cui si ricorda, a titolo esemplificativo, la forma della zuppiera tripode (sostenuta da tre gambe)26

Intorno al secondo decennio dell’Ottocento la manifattura rimane la sola fabbrica di porcellane ancora attiva su vasta scala in Italia, essendosi nel frattempo, via via, spenti i forni di altre celebri officine della penisola. In questi anni, grazie anche alle segnalazioni della letteratura periegetica, la villa di Doccia diventa meta frequente di personaggi illustri. Da ricordare la visita nel 1816 di Maria Luisa d’Austria, duchessa di Parma, e nel 1819 quella dell’imperatore d’Austria Francesco II, accompagnato dal granduca di Toscana27

Durante questo periodo, la collezione dei modelli viene implementata e particolare attenzione è rivolta alla raccolta delle porcellane artistiche28

Carlo Leopoldo Ginori muore nel 1837, a soli 49 anni. La fabbrica resta dipendente dalla direzione della vedova Marianna Garzoni Venturi che segue i criteri della produzione già tracciati da Carlo Leopoldo, in attesa che il giova-

ne erede Lorenzo, che ha solo 14 anni, possa raggiungere la maggiore età29

La seconda metà dell’Ottocento è un periodo di grandi trasformazioni. Lorenzo II Ginori Lisci, proprietario dal 1838 al 1878, si trova a un bivio cruciale per la storia della fabbrica: mantenere l’originario carattere artigianale della manifattura o scegliere la strada della rivoluzione industriale: sceglie la seconda alternativa30

Nel 1854 affida la direzione della manifattura a Paolo Lorenzini31 che ha un ruolo determinante nel rinnovamento e nella presentazione della produzione di Doccia sul mercato internazionale. Questo periodo, infatti, è segnato dalla partecipazione della manifattura alle grandi mostre europee (Parigi 1855, Londra 1862, Parigi 1867, Vienna 1873) e dai riconoscimenti e premi conseguiti. Ne consegue una straordinaria crescita dello stabilimento: vengono costruite nuove fornaci e nuovi mulini per macinare le terre e introdotti nuovi macchinari32

In questo periodo la galleria continua ad essere arricchita di pezzi simbolo della produzione, fra i quali il grande “Vaso mediceo” realizzato nel 1851, decorato con la veduta della fabbrica di Doccia e delle colline retrostanti. Alla “Pittoria” e al decoratore capo Lorenzo Becheroni senior si devono le lastre in maiolica riproducenti celebri dipin-

ti, i servizi in porcellana con i ritratti dei pittori e i piatti con le vedute miniate di Firenze e Milano.

In questi anni alla fabbrica di Doccia vengono richieste commissioni dalla famiglia dei Savoia e dal viceré di Egitto. Tra le novità tecniche introdotte in questo periodo, da ricordare la produzione delle litofanie, sottili lastre in porcellane usate come paralumi, gli esperimenti di trasporto per la fotografia, della stampa e della cromolitografia su porcellana, la reintroduzione della tecnica del lustro metallico nella maiolica, secondo un procedimento messo a punto in epoca rinascimentale. La maiolica è il settore che viene maggiormente potenziato, beneficiando delle ricerche del chimico Giuseppe Giusti e delle decorazioni di impronta naturalistica del pittore Giuseppe Benassai33

Nel 1861 il re Vittorio Emanuele II vista la galleria in occasione dell’Esposizione Artistica e Industriale.

Nel 1864, con la crescita dello stabilimento dotato di nuove fornaci e macchinari, Lorenzo decide di conferire un assetto più rigoroso alle collezioni e di trasformare l’esposizione di matrice settecentesca in un insieme organico, definito esplicitamente “museo”, concepito e ordinato per conservare la storia della manifattura e aperto al pubblico, in giorni e orari stabiliti34. Il mar-

chese decide di destinare all’esposizione nuovi ambienti, arredati con sontuosi armadi e vetrine, dove gli oggetti più rappresentativi della produzione docciana sono esposti con criteri cronologici, a cominciare dalle prove di cottura e alle prove di decoro fino alle produzioni più recenti, ripercorrendo un arco di tempo che va dal 1737 fino al 186035

L’inaugurazione del museo viene celebrata come una “vera solennità artistica e industriale”. Una “folla sceltissima e numerosa di visitatori” giunge a Doccia spinta non solo dalla fama e dal prestigio della famiglia Ginori, ma anche dalla curiosità scaturita dal risalto pubblicitario dato all’evento36 Il museo diventa così il centro artistico della manifattura, dove tutti possono accedere. Quello che fino ad ora era stato una prerogativa esclusiva di una ristretta cerchia di privilegiati, diventa un luogo dove il pubblico può conoscere la storia della famiglia Ginori, stabilire un contatto diretto con gli oggetti più importanti della fabbrica e rintracciare i significati storico-culturali e scientifici posti alla base della produzione. Un luogo d’arte e di studio, ma anche luogo dove conservare la memoria storica dei progressi della fabbrica di Doccia37

Diversi quotidiani dell’epoca riportano notizie sull’aper-

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pagina precedente Doccia, Manifattura Ginori, il pittore Francesco Albizzi dipinge un vaso in maiolica, 1900 circa (AMG, Fototeca)

tura del museo, fra cui la “Gazzetta di Firenze” del 2 giugno 1865 che pubblica un articolo con la descrizione delle cinque sale espositive e l’elenco degli oggetti contenuti in ogni sala: nella prima sono esposti i prodotti più comuni come le stufe e le terre grezze di uso quotidiano, nella seconda i serviti da tavola moderna in porcellana dipinta e dorata, nella terza i pezzi più antichi, dai primi tentativi a quelli più “ragguardevoli” come le due fruttiere dipinte da Antonio Anreiter, nella quarta “un grazioso gabinetto contenente una pregevolissima collezione di statue, per la maggior parte in porcellana biscuit, nella quinta, la galleria affrescata, sono conservati gli oggetti più pregiati, dai bassorilievi alle statue di porcellana alla grande lumiera con putti alle maioliche neorinascimentali a lustro alla porcellana a “guscio d’uovo”38. Dalla successione degli ambienti e del loro contenuto è evidente che gli oggetti sono esposti secondo un ordine gerarchico: dai più umili, come le stufe e le terre grezze della prima sala, fino ai prodotti artistici di maggiore pregio conservati nella sala decorata dal Meucci che accoglie “quanto più bello e di più artistico” che si produce nelle officine di Doccia39. Dalla descrizione è chiaro l’intento di Lorenzo Ginori ovvero proiettare all’esterno la storia personale della famiglia, docu-

mentare le fasi di un percorso iniziato un secolo prima da Carlo Ginori e offrire un campionario completo della produzione di Doccia che ormai non ha più nulla da invidiare alle altre manifatture europee40

Alla fine degli anni Sessanta la manifattura inizia una grande fase di sviluppo per adeguarsi alle trasformazioni legate alla rivoluzione industriale. Arrivano a Doccia tecnici e pittori francesi. Tra il 1866 e il 1872 vengono costruite tre fornaci circolari di nuovo tipo per le porcellane che vanno ad aggiungersi alle tre fornaci per la maiolica e per le stufe e una per le maioliche artistiche. I dipendenti sono circa trecento41

Negli stessi anni il museo si espande per consentire l’inserimento della produzione in maiolica che conosce un revival nel clima storicistico post-unitario, grazie anche alle scoperte chimiche di Giusto Giusti. Tra le maioliche d’ispirazione naturalistica spicca in una stanza del museo per le proporzioni monumentali, il vaso detto “Il Colosso” (h. cm 175) decorato con l’“Incendio delle Pampas” sulla base di un disegno di Giuseppe Benassi, direttore artistico dal 187142

Nel 1873 per la formazione di ceramisti e decoratori, Lorenzo promuove, insieme al Consiglio Comunale di Sesto Fiorentino, la fondazione dell’Istitu -

to Statale d’Arte locale come Scuola di Disegno Industriale43

Dopo una fase di assestamento, le collezioni assumono il nome di “Musei di Doccia” e comprendono, oltre al “Museo Ginori” propriamente detto, con i manufatti prodotti nella manifattura dalle origini in poi, anche il “Museo Ceramico”, cioè una raccolta comparativa di prodotti di fabbriche italiane e straniere, sistematicamente esposti in ampie vetrine al di sopra delle quali è esposto un cartellino che ne indica la provenienza e la fabbrica in cui sono state prodotte. La presenza di questa raccolta è riconducibile allo spirito didattico e competitivo che ispira le Esposizioni Universali, e consente ai visitatori del museo di svolgere confronti tra i manufatti docciani e quelli di altre fabbriche, individuando differenze, affinità stilistiche e formali. Attigue ai Musei, si trovano la “Galleria dei Modelli” e le sale dedicate ai prodotti moderni che di fatto fanno parte dello stesso percorso espositivo, senza soluzione di continuità44

Gli anni di Lorenzo II si concludono nel 1878, anno della sua morte. A questa data la manifattura di Doccia è conosciuta a livello internazionale, le vendite e le esportazioni hanno raggiunto importanti traguardi, le forniture illustri per la Casa reale e per i personaggi celebri ne confermano il successo45

Nel 1879 la proprietà della manifattura passa all’erede ventisettenne Carlo Benedetto che continua ad avvalersi dell’esperienza e delle capacità di Paolo Lorenzini, già direttore della fabbrica, continuando nell’apertura internazionale con la partecipazione alle grandi esposizioni universali (Parigi 1878, Sidney 1879, Melbourne 1881). Fra le commissioni di grande rilievo, da ricordare quella del servizio da dessert ordinato dal re Umberto I di Savoia nel 1880, decorato con motivi floreali di grande eleganza46

Negli ultimi decenni del secolo viene dato grande impulso alla produzione della maiolica realizzata in una grande quantità di forme e colori, con particolare attenzione alla ripresa di forme rinascimentali come le grottesche e alla riproposizione della tradizione pittorica classica. Parallelamente assume sempre maggiore importanza la produzione di porcellane elettrotecniche. Nel 1889 la superficie edificata della fabbrica occupa circa 70.000 mq, sono in funzione quindici fornaci e i dipendenti hanno raggiunto 1200 unità47 Alla fine dell’Ottocento una serie di circostanze sfavorevoli, tra cui la morte di Lorenzini e la congiuntura economica negativa, rendono sempre più difficile per la famiglia Ginori proseguire con la gestione della fabbrica. Per questi motivi

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pagina precedente Doccia, Manifattura Ginori, lavoro al tornio, inizi del Novecento (AMG, Fototeca) Doccia, Manifattura Ginori, reparto pulitura, inizi del Novecento (AMG, Fototeca)

Carlo Benedetto decide di vendere la manifattura ad Augusto Ginori, proprietario di una fabbrica di porcellane di uso domestico a Milano (stabilimento di San Cristoforo)48

Augusto, figlio di Giulio, fondatore della più grande industria ceramica dell’epoca (1873), realizza nel 1896 la fusione tra la Ginori e la Richard, con sede a Milano e tre stabilimenti, creando la Società Ceramica Richard-Ginori.

In base agli accordi contrattuali, la collezione storica del museo, allestita negli ambienti dell’antica villa di Doccia, resta di proprietà della famiglia Ginori, ma viene concessa in comodato alla Società Ceramica49

Nell’anno di fondazione della nuova società il museo è costituito da tre sezioni distinte: la prima sezione comprende il “Museo Ginori” propriamente detto, contenente porcellane fabbricate a Doccia dal 1737 al 1896; la seconda è il cosiddetto “Museo Ceramico” contenente maioliche e porcellane antiche e moderne, italiane ed estere, la terza sezione è costituita dalla “Galleria dei Modelli” contente modelli di statue, bassorilievi, gruppi, animali, vasi, oggetti vari in terracotta, gesso e cera. Risulta escluso dal percorso espositivo della fine dell’Ottocento il “Museo delle Terre” che rappresentava il più antico nucleo della collezione

del marchese Carlo Ginori, nato insieme alla manifattura.

La nuova amministrazione, diretta da Augusto Richard, opera un riordino della produzione concentrando quella di terraglia forte a San Cristoforo presso Milano e specializzando lo stabilimento di Doccia nella produzione di porcellana in una visione di rispetto per una tradizione gloriosa. I diversi impianti permettono di produrre tutte le tipologie di ceramiche, dalla terraglia più economica alle maioliche artistiche, fino alle porcellane elettrotecniche garantendo alla nuova Società il dominio assoluto sul mercato nazionale e una posizione di primo piano anche all’estero50

Dal punto di vista artistico la fusione con la Richard segna l’avvento del Liberty sotto la guida di Luigi Tazzini, il quale, incaricato di aggiornare la produzione al gusto moderno, declina il nuovo stile ispirandosi ai modelli francesi51

Nei primi anni del nuovo secolo le porcellane elettrotecniche assumono sempre maggiore importanza e vengono costruiti nuovi locali per la loro fabbricazione e grandi sale per il collaudo. In questo periodo continuano a confluire nel museo di Doccia gli esemplari più significativi della fabbrica, fra cui i manufatti ceramici di Giò Pon -

ti (1891-1979), direttore artistico fra il 1923 e il 1930.

Agli inizi degli anni Trenta la manifattura raggiunge la sua massima espansione: la superficie edificata è di 80.000 mq., sono in funzione quaranta forni e i dipendenti raggiungono le 2000 unità52

Nel 1936 il Ministero dell’Educazione Nazionale appone “il vincolo di importante interesse artitsico” sulla collezione di oggetti appartenenti alla famiglia Ginori e alla Società Richard-Ginori, risconoscendo la formazione storica della raccolta. Il provvedimento, a cui sono allegati gli inventari di tutti i materilai, è emblamatico della coonsapevolezza del valore identitario del museo di Doccia e del suo collegamento con la manifattura53

1 Carlo Ginori è uno dei protagonisti della scena politica, economica e culturale toscana del suo tempo. Senatore a trentadue anni, dopo la caduta definitiva dei Medici entra nel Consiglio di Reggenza. Dal 1746 ricopre l’incarico di Governatore di Livorno e si impegna nel rilancio dell’economia della Toscana.

2 Intorno al 1735 inizia gli esperimenti per la fabbricazione della porcellana dura di cui esistono soltanto altre due manifatture in Europa: una in Sassonia e l’altra a Vienna. Cfr. Rucellai 2008, p. 21.

3 Carlo Ginori abita nel palazzo avito di Firenze e frequenta, come i suoi avi, la villa Ginori a Doccia, un complesso posto in posizione amena sul monte Acuto, a centro metri a nord da villa Le Corti, composto da residenza padronale, annessi, giardini superiore e inferiore, stanzone per i vasi, vivaio e poderi circostanti. Cfr. Mazzanti 2012, pp. 125-126.

4 Mazzanti 2012, p. 131.

5 La primissima produzione della fabbrica non è porcellana, bensì maiolica e la prima cotta esce dalla fornace nel luglio 1737, pochi mesi dopo dalla costruzione del primo forno. I primi materiali necessari agli esperimenti sulla fabbricazione della porcellana giungono a Doccia già nel maggio del 1737 e provengono da Montecarlo (Lucca), Siena, Valdarno, Venezia e Serravezza. Contemporaneamente, pervengono a Doccia anche alcune sostanze minerali coloranti per la decorazione pittorica della porcellana.

6 Rucellai 2008, p. 21.

7 Mazzanti 2012, p. 140.

8 Ivi, pp. 136-137.

9 Ivi, p. 141.

10 Gnoni Maravelli 2017, p. 19.

11 De Donato 2004, p. 10.

12 Gnoni Maravelli 2017, p. 19.

13 DDR 232/2012, p. 3.

14 Rucellai 2008, p. 4; Gnoni Maravelli 2017, p. 20.

15 Grosso 1988, p. 61.

16 Mannini 1998, pp. 29-32.

17 Rucellai 2008, p. 33.

18 Ddr 232/2012, p. 4; Rucellai 2008, p. 33.

19 Uno degli interventi progettato dall’arch. Nelli è il rifacimento della facciata. Cfr. Maggini Catarsi 1988, p. 27.

20 La manifattura è meta di visite da parte di personalità illustri, tra cui i rappresentanti della ricca nobiltà che rappresenta la migliore clientela della fabbrica di Doccia. Cfr. Grosso 1988, pp. 61-62.

21 De Donato 2004, p. 69.

22 Nel suo testamento dispone, autorizzato dal Granduca, che la manifattura resti in perpetuo legata in

un vincolo di assegnazione al solo primogenito. Cfr. Mannini 1998, p. 32.

23 Rucellai 2008, p. 37.

24 Gli oggetti di questa categoria sono contrassegnati dal 1803 dalle iniziali PF o F incusse nella pasta. Risale alla fine del XVIII sec. l’adozione della stella impressa o dipinta che rappresenta la prima marca di fabbrica della storia di Doccia.

25 Rucellai 2008, p. 37

26 Ddr 232/2012, p. 5.

27 Gnoni Maravelli 2017, p. 20.

28 De Donato 2004, pp. 69-70.

29 Mannini 1998, p. 52.

30 Rucellai 2008, p. 41.

31 Paolo Lorenzini (fratello di quel Carlo che sotto lo pseudonimo Collodi scrisse Pinocchio) è il direttore della fabbrica dal 1854 al 1891.

32 Ddr 232/2012, p. 5.

33 Ibidem.

34 Rucellai 2008, p. 5;

35 De Donato 2004, pp. 70-71.

36 Gnoni Maravelli 2017, p. 21; De Donato 2004, p. 71.

37 De Donato 2004, p. 70; Maggini Catarsi 1988, pp. 27-28.

38 Gnoni Maravelli 2017, p. 21.

39 De Donato 2004, pp. 71-73.

40 Ivi, p. 73.

41 Rucellai 2008, p. 10.

42 Gnoni Maravelli 2017, p. 21.

43 Ivi, p. 22.

44 Rucellai 2008, p. 5; De Donato 2004, p. 75.

45 Ddr 232/2012, p. 5.

46 Ibidem.

47 Rucellai 2008, p. 10.

48 Gnoni Maravelli 2017, p. 22.

49 Ibidem.

50 Ddr 232/2012, p. 6.

51 Rucellai 2008, p. 41.

52 Rucellai 2008, p. 12.

53 Gnoni Maravelli 2017, p. 22.

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Fotografie dell’ingresso e dell’interno dei “Musei di Doccia” in occasione della visita di Maria José di Savoia, 1933 circa (ASF, Fondo Ginori, Fototeca).

La produzione di Doccia: l’evoluzione delle forme e del linguaggio della ceramica

La manifattura Ginori (1737-1896)

Il primo periodo della manifattura corrisponde alla gestione del fondatore Carlo Ginori (1737-1757). La produzione in porcellana è caratterizzata soprattutto da oggetti di piccole dimensioni, essenzialmente tazze e piattini, e dall’esecuzione di maioliche, molto meno problematiche per la realizzazione della tecnica. Le tazzinine hanno la tipica forma “a campana”; i manici, assenti nei primissimi esemplari, sono piuttosto robusti, a sezione circolare e a forma di orecchio. Solo successivamente si cominciano a produrre tazze con due manici. I piatti hanno la falda liscia o lobata spesso con bordo rialzato.

All’inizio degli anni Quaranta, grazie alle prime migliorie tecniche, assistiamo ad una diversificazione degli oggetti e ad un maggiore interesse per esemplari di dimensioni meno modeste come caffettiere, zuppiere e vasi. Le caffettiere sono caratterizzate da una sagoma molto elegante, con coperchio “a cupola” con il beccuccio terminate a testa di serpente o uccello1. Vengono realizzate anche le prime teiere che assumeranno la tipica sagoma detta “a sfera schiacciata”, con il corpo diviso in otto lobi. Caratteristica è la parte ter-

minale del beccuccio, a testa di serpente o di volatile, mentre i punti dove si innestano i perni del manico (generalmente in metallo) sono sostituiti da due teste di ariete.

I moduli decorativi di questo periodo sono dettati principalmente dal pittore austriaco Karl Wendelin Anreiter che lavora a Doccia fino al 1746. L’artista sviluppa schemi decorativi internazionali, derivanti da quelli viennesi o da quelli sassoni di Meissen. Un esempio è rappresentato dai fiori di pruno a rilievo, prima in bianco e poi in policromia. Altri motivi introdotti dall’Anreiter sono i decori detti “a palazzi cinesi”, ovvero figure di pagode, dipinte sia in bianco e blu che in policromia. Per quanto riguarda i fiori il genere più famoso è quello detto “tupilano”, costituito dalla corolla del fiore di peonia2 Durante la direzione artistica di Anreiter compare a Doccia il bassorilievo istoriato realizzato applicando in leggero rilievo, ai vari oggetti, temi decorativi, sia policromi che in bianco talvolta vivacizzati da tocchi dorati.

Soluzione ornamentale tipicamente docciana, presente fin dai primi anni della produzione, è il cosiddetto decoro “a stampino”. Si tratta di una tecnica semplice che consente di ricavare il modulo decorativo su fogli di carta o di metallo, per le superfici piane, di pelle di agnello sulle superfici curve. Queste

matrici traforate, applicate sull’oggetto, permettono, con una semplice stesura di colore, di trasferire il decoro sulla superficie di porcellana bianca. L’ornato “a stampino”, ispirato alle porcellane medicee e di derivazione orientale, viene applicato su pezzi di varia forma. I motivi più ricorrenti, riportati in blu dalle varie gradazioni, sono costituiti da ghirlande floreali, da fiori e foglie su tralci o a mazzetti, da volute e da arabeschi.

Un altro tipo di esemplari caratteristici della produzione dei primi anni è quello a “doppia parete”. Sono oggetti di varia forma, composti da un corpo interno destinato a contenere i liquidi e da un involucro esterno traforato. Le parti sono collegate solo nella zona inferiore o in quella superiore. La funzione della seconda parete, oltre che decorativa, è quella di schermare il calore dei liquidi contenuti all’interno del primo recipiente3. La produzione di esemplari a doppia parete, iniziata a partire dal 1748, comprende sia tazzine da caffè, da tè e da cioccolata, che caffettiere e teiere. A causa delle difficoltà tecniche incontrate nell’esecuzione, la realizzazione di questo tipo non risulta abbondante; per questo motivo ed anche per la loro fragilità sono giunti fino a noi solo pochi pezzi4

Da ricordare anche la produzione di tabacchiere, iniziata nel 1739, con una

grande varietà di forme: rettangolari, a cuore, ovali, a conchiglia, ecc. Anche i decori sono tra i più vari, dai tipi floreali a quelli con ritratti, dalle scene mitologiche, ai paesaggi oppure con i famosi decori a bassorilievo e cammei. La richiesta di questo tipo di esemplari è piuttosto elevata data la moda di fiutare tabacco molto diffusa nella prima metà del Settecento5. L’esecuzione delle decorazioni è affidata ai migliori decoratori della fabbrica, fra i quali il pittore Giuseppe Romei6

Dopo i primi anni, alcuni oggetti caratteristici della produzione docciana subiscono variazioni. Le tazzine, ad esempio, acquisiscono forme più slanciate ed eleganti; i vassoi hanno dimensioni maggiori; le caffettiere presentano una sagoma meno alta e la loro struttura inizia ad assumere una forma molto simile ai versatori barocchi in argento.

Di grande importanza è anche la produzione plastica, già iniziata fin dai primissimi anni. Nel luglio 1737 il marchese Carlo Ginori chiama a Doccia lo scultore Gaspero Bruschi, membro dell’Accademia Fiorentina del Disegno. La scelta dei modelli si rivolge prevalentemente verso la scultura fiorentina tardo barocca. Sono numerose le traduzioni in porcellana operate dal Bruschi su modelli di Massimiliano Soldani Benzi (acqui-

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pagina precedente Camino, Gaspero Bruschi e Domenico Stagi, porcellana, 1754 circa (fotografia databile al 1930 circa), I periodo Carlo Ginori. Camino, Gaspero Bruschi e Domenico Stagi, porcellana, 1754 circa, I periodo Carlo Ginori, Museo Richard-Ginori.

stati dal Ginori, fra il 1743 e il 1744, dal figlio dello scultore) da cui si ricavano esemplari in porcellana di straordinaria qualità. Si pensi, ad esempio, al gruppo della “Pietà”, del quale la manifattura fornisce varie forme sia in bianco che in policromia, o ai gruppi di soggetto mitologico come “Andromeda e il mostro” e quello della “Leda col cigno”7 Sono utilizzati anche modelli di un altro scultore fiorentino del tardo barocco, Giovan Battista Foggini. Tra le produzioni plastiche di notevoli dimensioni dobbiamo ricordare anche le realizzazioni derivanti dalla scultura classica e in particolare da quella ellenistica. I modelli, tratti principalmente dalle raccolte medicee, sono riprodotti a dimensioni naturali, confermando l’alto livello tecnico raggiunto dalla manifattura in pochi anni di attività. Degli esemplari giunti fino a noi, da ricordare la “Venere dei Medici” e l’“Arrotino”, ripresi entrambi da modelli di epoca ellenistica. Si possono citare anche i due gruppi di “Amore e Psiche”, realizzati in porcellana bianca, conservati uno al Museo delle Porcellane Doccia e l’altro al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Tra le realizzazioni di grandi dimensioni, dobbiamo ricordare anche il grande camino appositamente creato nel 1754 per la parete di fondo della galleria da Gaspero Bruschi e da Domenico Stagi. Questo am-

biente, creato per raccogliere gli esemplari più significativi prodotti a Doccia, diventa il primo nucleo e la prima sede del museo della fabbrica. Il camino nella cimasa presenta un interessante bassorilievo raffigurante la distillazione dei fiori, tratta da un modello di Soldani Benzi, e ai lati di questa, delle figure sdraiate che ricordano le sculture realizzate da Michelangelo nelle tombe medicee della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo8

Per motivi commerciali, ben presto vengono abbandonate le realizzazioni di grande plastiche per opere dalle dimensioni più modeste. Si preferiscono gruppi a soggetto mitologico come quelli già citati di “Andromeda e il mostro”, di “Leda con il cigno”, a cui dobbiamo aggiungere il “Giudizio di Paride” (1750-55) derivato da un modello del Soldani Benzi. Di notevole interesse sono anche le piccole plastiche ispirate alle maschere della Commedia dell’Arte, desunte dai modelli di gusto europeo, e in particolar modo dalle figurine di Vienna9

Di notevole interesse è anche la produzione di oggetti di maiolica i cui introiti servono per integrare le perdite economiche dovute al settore della porcellana. La produzione in maiolica comprende servizi da tavola, ma anche altri generi come camini, stufe, ambrogette, candelieri, vari tipi di vasi da fiori,

bacinelle da barba, boccali, albarelli, orci, ecc. I colori usati per le maioliche sono il blu per i motivi decorativi e il bianco per il fondo10

Il primo periodo dell’attività della manifattura si conclude con la morte del suo fondatore, il marchese Carlo, avvenuta a Livorno nel 1757. Gli succede il figlio Lorenzo Ginori con cui inizia una nuova fase molto florida.

L’orientamento generale di questo secondo periodo (1758-1791) è la produzione di esemplari di piccole dimensioni, anche per i gruppi che vengono realizzati in grande quantità e generalmente con soggetti di tipo arcadico. Un esempio interessante è costituito dal gruppo “La raccolta delle pere”, opera di Giuseppe Bruschi.

Per quanto riguarda il repertorio ornamentale di tipo pittorico, vengono ancora utilizzati molti generi decorativi del primo periodo. Tra questi il decoro “del galletto” ispirato a modelli orientali, con la sua versione più famosa dipinta di rosso e oro. Lo schema compositivo di questo soggetto viene adattato alla vastità della superficie da decorare attraverso integrazioni o riduzioni degli stessi moduli. Anche il tipo decorativo floreale “del tulipano” compare molto spesso nelle opere di questo periodo, con una corolla più semplificata rispetto al tipo dell’epoca di Carlo Ginori. Così il decoro “a mazzetto”, carat-

terizzato da fiori di tipo occidentale, riportati in modo naturalistico, che continua ad essere utilizzato durante la gestione del marchese Lorenzo11 Accanto ai motivi decorativi che continuano la tradizione avviata dal fondatore della manifattura, ne esistono altri che hanno la loro origine proprio con Lorenzo Ginori. Si pensi ad esempio alla decorazione “a roselline” che, pur derivando da un tipo analogo utilizzato per le porcellane di Sèvres, deve essere considerata una delle più felici soluzioni decorative di Doccia, molto diffusa anche in epoche successive12. In questo periodo anche le sagome tendono a subire dei cambiamenti. Nelle caffettiere, ad esempio, il beccuccio assume la forma triangolare, mentre il coperchio perde lentamente l’aspetto di cupola per diventare più piatto; anche i manici assumono forme più articolate rispondenti al gusto rococò. L’altezza subisce una sensibile diminuzione mentre il corpo si arrotonda. Alla primitiva forma a campana delle tazzine, si predilige una forma cilindrica che fa la sua comparsa nelle tipologie docciane verso la fine del secondo periodo, mentre già fin dall’inizio (1760) compaiono nelle tazzine nuove forme di manici denominati “alla napoletana”, costituiti da una serie di volute. Anche la sagoma delle zuppiere, in genere ovale, a partire dagli

anni Settanta, viene prodotta in forma circolare. In alcuni tipi detti “a sepolcro”, appare evidente l’influenza del gusto neoclassico. Si ricorre ai modelli di oggetti ispirati all’antichità classica come le urne cinerarie13

Vari tipi di vasi di fiori incrementano il repertorio delle sagome di Doccia. Il più singolare è un esemplare di forma cilindrica con orlo leggermente svasato, con una decorazione a paesaggio monocromo color porpora. In questo pezzo viene utilizzata il tipo di bordatura “a uova tagliate”, cioè a fascia di ovali, e anche il tipo “a rametti”, elementi questi che, assieme ad altri generi come per esempio i bordi dentellati o le fila di perline, sono una caratteristica di questo periodo. Minori sono invece le novità nelle forme dei piatti. Si continua a produrre il tipo dalla tesa a rilievi intrecciati, già utilizzata durante la gestione di Carlo Ginori. Anche il tipo di piatto a sei lobi, detto “alla francese”, caratteristico del primo periodo, continua ad avere successo. All’adozione di certi moduli di derivazione rococò si deve la nascita di un tipo di vassoio ovale, detto “marescialla”, con i bordi mossi da volute14

Esigenze commerciali rendono fiorente la produzione caratterizzata da un impasto porcellanico di colore grigiastro e da una copertura effettuata da una vernice stannifera, molto spessa

che nasconde le irregolarità e il colore troppo scuro. Questo impasto, detto “masso bastardo”, ha come base la terra di Montecarlo in Lucchesia, di gran lunga più economica di quella prelevata dalle cave vicentine del Tretto15

Il secondo periodo di attività della manifattura finisce nel 1791 con la morte del marchese Lorenzo Ginori.

Il periodo successivo corrisponde alla gestione di Carlo Leopoldo Ginori Lisci (1792-1837), figlio di Lorenzo. Con il mutare dei canoni artistici nel panorama europeo, la produzione di Doccia cerca di allinearsi con i tempi: il gusto neoclassico e lo stile Impero dominano le porcellane Ginori, le cui forme subiscono una trasformazione radicale diventando più lineari e severe. Ad esempio, le caffettiere (dette “vasi da caffè”) talvolta hanno forme perfettamente cilindriche, mentre quelle a sagoma ovale presentano il coperchio incassato nel collo. Le anse assumono la forma di animali come grifoni o delfini e il beccuccio prende la forma di testa di cavallo. Le tazzine hanno sagoma cilindrica, a volte con svasatura in alto, e possono essere sostenute, in alcuni modelli, da piccoli piedi a zampa di leone. I piattini sono caratterizzati da una tesa dritta e leggermente svasata16. Il vasellame antico, riportato alla luce dagli scavi archeologici, ispira le nuove forme: ad esempio le zuppiere pren-

dono la forma di urne (dette “a sepolcro”) mentre le zuccheriere assumono l’aspetto di pissidi.

Nuovi repertori nel settore decorativo sono introdotti da artisti stranieri, fra cui il ginevrino François Joseph de Germain che realizza sui piatti decorazioni aventi come soggetto vedute del territorio fiorentino, con fastosi ornamenti in oro su fondo blu della tesa, secondo l’influenza della porcellana di Sèvres17 Abraham Constantin, anche lui proveniente da Ginevra e pittore della manifattura di Sévres, introduce a Doccia il particolare genere delle placche di porcellana su cui vengono riprodotti celebri capolavori della pittura. Da ricordare la placca dipinta nel 1825, raffigurante il celebre quadro di Cristofano

Allori “Giuditta che mostra la testa di Oloferne”, conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze.

Con il diffondersi del gusto neoclassico, non solo le sagome subiscono trasformazioni, con evidenti richiami ai reperti archeologici, ma anche i generi decorativi. Molto frequenti sono i decori, detti “a incisioni”, tratti dai volumi dell’opera di Niccolò Marcello Venuti “Le pitture antiche di Ercolano”, pubblicate a Napoli a partire dal 1757. Un nuovo genere di vedute è introdotto dal pittore Ferdinando Ammannati che realizza sulle porcellane scorci di città italiane come Firenze, Roma

o Napoli, tratte da stampe dell’epoca, oppure paesaggi con rovine. Un esempio significativo con vedute policrome è quello di una zuppiera detta “a tripode” per la presenza di tre esili sostegni terminanti a zampa di leone.

In questo periodo anche la tavolozza cromatica subisce modifiche. Vengono introdotte nuove tonalità di colori come il verde cromo, il verde moscone, il carminio, il rosa, il carnicino ed il tenue “color aria”. Talvolta la scelta cromatica subisce una riduzione, come per esempio nell’uso del rosso mattone e del nero per emulare la cromia degli antichi vasi greci. L’uso contenuto del colore è dovuto anche all’introduzione dei modelli derivanti dallo stile Impero. Questo è evidente, ad esempio, in una tazza con coperchio e vassoio, caratterizzata da una sagoma molto semplice, di gusto neoclassico, che presenta una soluzione decorativa raffinata costituita da una ripartizione geometrica rigorosa delle superfici, evidenziata dal contrasto del blu sul fondo bianco, mediato dall’oro.

Le rifiniture d’oro diventano molto importanti nelle porcellane di Doccia, proprio secondo i modelli Impero che la manifattura di Sèvres aveva diffuso18

La produzione di plastiche in questo periodo non è abbandonante. I soggetti sono desunti da esemplari di raccolte napole-

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tane, rinvenuti in scavi, oppure ispirati all’arte egiziana. Si tratta di opere realizzate in biscuit, una novità che conduce ad abbandonare i generi in policromia. Tra i collaboratori del reparto di scultura da ricordare Gaspare Bini. La morte prematura di Carlo Leopoldo avvenuta nel 1837, conclude questa terza fase.

Il quarto periodo corrisponde alla gestione di Lorenzo II Ginori Lisci (18381878). In generale la produzione di questi anni viene influenzata dal clima instaurato dello storicismo e quindi dalla ripresa dei modelli antichi. Si pensi, ad esempio, al celebre vaso detto “dei Medici”, di grande effetto per la ricca produzione policroma e le abbondanti dorature su fondo scuro. Questo esemplare, che trae la sua forma dal repertorio rinascimentale, viene attualizzato attraverso l’inserimento di vedute di Doccia come temi principali di decorazione19

Nella produzione si ritrovano numerosi modelli già visti in epoche precedenti. Viene ripresa, ad opera del Fanciullacci, la tecnica del bassorilievo istoriato prodotta con porcellana molto bianca, dovuta ai finissimi caolini francesi, e con maggiore varietà nella cromia. Da ricordare anche la produzione di un tipo di tazze dette “sbavate”, cioè di sagoma cilindrica con orlo svasato, derivanti dalla “tasse ja-

smin” utilizzata ampiamente in epoca napoleonica.

Fra le novità occorre citare le litofanie, cioè lastre di porcellana molto sottili con decori a spessori variabili.

Nel 1861 con la proclamazione del Regno di Italia, e il trasferimento della capitale a Firenze, inizia una regolare committenza alla manifattura di Doccia da parte della casa sabauda. Tra le prime forniture richieste dalla famiglia Savoia si deve ricordare il raffinato servizio da caffè in porcellana “a guscio d’uovo” di porcellana quasi trasparente. Si tratta di un tipo porcellanico molto sofisticato, dallo spessore minimo, che denota l’alto livello raggiunto dalla fabbrica. Le sagome hanno sempre con riferimento a tipologie dell’epoca precedente, mentre risulta una novità per la manifattura l’introduzione della decorazione in oro “pate sur pate” utilizzata per servizi da tavola20

Dopo il 1860 la fabbrica dedica grande impegno nella realizzazione di porcellana più seriale, tra cui le cosiddette “porcellane da camera” che comprendono in particolare calamai e servizi da toeletta. In sintonia con il gusto eclettico, le loro tipologie derivano dalle epoche del passato. Sono prodotti, ad esempio, servizi da scrivania in porcellana bianca con fregi in oro, ripresi dai modelli dello stile Impero, mentre in alcuni calamai compaiono forme

e decorazioni ispirati alle linee Rococò. Un’opera molto singolare di questo periodo (1872-1874) è il celebre servizio per il Kedivé d’Egitto, realizzato in occasione dell’apertura del canale di Suez, caratterizzato da forme e decori liberamente ispirati all’arte egiziana antica. Si tratta di un servizio curioso e originale, la cui linea dominante è quella di un’eccessiva eccentricità. Un’altra novità è un tipo di decorazione ottenuta tramite il trasporto diretto della fotografia sulla porcellana 21 Tra le sperimentazioni compiute va ricordata anche la tecnica attraverso la quale è possibile l’applicazione delle stampe e della cromolitografia per la decorazione delle stoviglie di lusso22 Durante gli anni della gestione di Lorenzo II un notevole impulso viene dato anche al settore delle maioliche. A partire dal 1848 viene iniziata una serie di ricerche da parte del chimico Giusto Giusti con lo scopo di riprendere i modelli delle maioliche rinascimentali. Tra i vari generi di maioliche prodotti, generalmente di gusto eclettico, si devono citare alcune interessanti realizzazioni rappresentate da sedili dalle forme più varie: a tamburo, a cuscino, o con scimmia tra filodendri23

Un’impronta totalmente diversa viene impressa alle decorazioni delle maioliche dal pittore Giuseppe Benassai che introduce l’uso di scene di paesag-

gio influenzate dalla corrente pittorica del Naturalismo di cui lui stesso è seguace.

Nel 1878 Lorenzo II muore e la fabbrica viene ereditata dai quattro figli. Il primogenito, Carlo Benedetto, ne assume la direzione (1879-1896).

Durante la gestione di Carlo Benedetto Ginori Lisci l’orientamento stilistico della produzione presenta novità significative. In Europa la stagione dell’Eclettismo ormai volge al termine, contrastata da nuove influenze che provengono dalle ceramiche della Cina e del Giappone. Anche a Doccia viene recepito questo nuovo clima culturale e i moduli decorativi risentono degli influssi stranieri: i temi dominanti sono motivi floreali calligrafici disposti liberamente sulla superficie degli oggetti. Per quanto riguarda il settore delle maioliche è importante a Doccia la presenza, dal 1879 al 1880, di Angelo Marabini che determina un mutamento di indirizzo stilistico. Vengono abbandonati i temi di spirazione naturalistica, introdotti dal Benassai, per adottare temi desunti dal mondo biblico o mitologico, tradotti con una tecnica esecutiva molto raffinata24

Sul finire del secolo si ha un grande sviluppo della produzione di oggetti per uso industriale che presentano una ricca diversificazione per far fonte alle richieste provenienti dai campi della te-

legrafia, della farmaceutica e della chimica25

Nel 1896 la famiglia Ginori decide di vendere la fabbrica all’industriale milanese Augusto Richard, già proprietario di un’impresa ceramica a Milano26 Si realizza così la fusione di queste due manifatture da cui ha origine la Società Ceramica Richard-Ginori.

1.2.2. Il Novecento: l’epoca dell’Art

Nouveau

All’inizio del secolo la Società Ceramica Richard-Ginori produce opere di alta qualità artistica in cui sono evidenti mutamenti radicali nella scelta dell’indirizzo stilistico. Accanto ai modelli classici, i nuovi esemplari risentono fortemente delle nuove tendenze del gusto legato ai modelli dell’Art Nouveau. Il merito di questa svolta stilistica si deve al lombardo Luigi Tazzini che diventa il nuovo direttore della “Pittoria”.

Dall’esame degli esemplari docciani giunti fino a noi e dai bozzetti conservati nell’archivio storico del museo, risulta evidente come, in questo periodo, le intenzioni degli artefici della manifattura siano indirizzate verso una raffinata eleganza unita ad una grande sobrietà. Compaiono a Doccia gli elementi tipici dell’Art Nouveau come il pavone, i fiori caratterizzati dai lunghi steli, gli elementi vegetali dal rit-

mo sinuoso e la figura femminile dalle lunghissime chiome utilizzata spesso anche come decoro plastico di molti oggetti e, di volta in volta, adattata a varie sagome. La troviamo come elemento portante in lampade con il corpo drappeggiato da lunghe vesti o imprigionata nell’abbraccio di un satiro. La figura femminile diventa ornamento anche di servizi da tè o da fumo, in leggero rilievo, secondo un’interpretazione moderna dello “stile cammeo”27 Questo tipo di raffigurazione prende l’avvio dalla grafica modernista dove è frequente la scelta del tema della vegetazione con fanciulle dalle lunghe chiome confuse tra i rami delle piante in cui si muovono. Altre volte la figura femminile costituisce una perfetta sintesi strutturale-decorativa tra l’oggetto stesso e gli elementi ornamentali. Un esempio famoso è costituito da una fioriera formata da tre fanciulle danzanti in cui le figure femminili, dagli abiti morbidi e pieghettati, sono molto affini alle immagini del manifesto disegnato da Leonardo Bistolfi per l’esposizione torinese del 190228 Soggetti zoomorfi vengono invece utilizzati con intenti decorativi e funzionali. Le anse di certi esemplari sono, ad esempio, costituite da aironi, da teste di elefanti o da serpenti. Il mondo vegetale diventa fonte di grande ispirazione: si pensi alla serie dei raffina-

ti vasi-corolla che prendono la forma dai fiori di ninfea, di magnolia o di tulipano29

I moduli naturalistici caratteristici della produzione dei primi anni del secolo vengono ben presto affiancati da motivi molto stilizzati derivati dalla cultura della Secessione viennese. I motivi ornamentali e le sagome adottano forme più razionali, con il progressivo abbandono delle forme di tipo animale e vegetale. Ciò è evidente in alcuni servizi da tavola caratterizzati da una grande semplicità strutturale e dal decoro minuto, di tipo geometrico. Molto singolari, infine, sono alcuni esemplari presentati alla Biennale di Venezia del 1912, eseguiti su disegni di Vittorio Grossi e con elementi decorativi attinti ancora dal mondo naturale: strutture floreali e rettili vengono rappresentate con evidenti riduzioni formali, ma sempre attraverso soluzioni che ne prevedono l’inserimento organico sulla superficie della sagoma. Nel primo Novecento la manifattura di Doccia si pone nel panorama delle arti decorative italiane come uno straordinario esempio di modernità. I raffinati esemplari prodotti mostrano l’affrancamento da tipologie tradizionali e l’assimilazione del principio morrisiamo di stretto legame tra struttura, funzione e decoro. Grazie alla direzione intelligente del Tazzini, che si circonda

di collaboratori molto validi come i pittori Zoppi, Donnini, Boni, Giusti e i modellatori Bianchi e Contini, la fabbrica si può confrontare con le più grandi manifatture europee30

1.2.3. La direzione artistica di Gio Ponti (1923-1930)

Nel 1923 inizia la collaborazione della Società Richard-Ginori con il giovane architetto milanese Gio Ponti che, con la sua poliedrica personalità, segna profondamente la produzione di Doccia31

Questa feconda collaborazione rappresenta “nel panorama industriale italiano del primo Novecento, l’episodio più significativo e di successo di intervento di un artista su di una produzione industriale, poiché introduce elementi di novità assoluta sia per l’arte che per l’industria di quegli anni”32. Ponti con il suo lavoro di direttore artistico diventa, inconsapevolmente, il primo industrial designer italiano, in un momento in cui in Italia ancora non si parlava di design. Inoltre, avvia un modo assolutamente nuovo, sia per la manifattura di Doccia che per l’industria in generale, di lavorare e progettare “a distanza”, basato sulla fiducia nei suoi collaboratori, ottenendo un’affermazione immediata e portando al successo nazionale e internazionale la Società Richard-Ginori. A

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pagina precedente Piatto Donatella, su disegno di Gio Ponti, maiolica, diam. 48 cm, 1927 circa, Sesto Fiorentino, Museo Richard - Ginori.

Gio Ponti, Figura femminile nuda distesa su nubi (Donatella), disegno preparatorio eseguito a matita e inchiostro rosso su cartoncino crema, 1923-1926 (ASF, Fondo Ginori, Biblioteca, Inv. n. 09/00625477).

Gio Ponti, Architetture per le mie donne. Donatella, disegno preparatorio eseguito a inchiostro su carta a righe giallina, 1923-1926 (ASF, Fondo Ginori, Biblioteca, Inv. n. 09/00625526).

lui si deve la creazione di quella che viene riconosciuta come la via italiano al déco, caratterizzata dal forte rispetto verso la tradizione, da lui considerata il punto di partenza imprescindibile33 Ponti sviluppa un programma di rinnovamento integrale di tutta la produzione che coinvolge non solo le forme e i colori delle ceramiche, ma anche la grafica dei cataloghi, i manifesti, le foto pubblicitarie e i loghi delle varie linee di prodotti. È lui stesso a valutare se un prodotto è vendibile e a che prezzo. Nel panorama industriale di quegli anni una figura simile risulta del tutto inedita34

Dal suo studio nella sede di San Cristoforo a Milano, Ponti dirige la produzione di Doccia, recandosi di persona presso lo stabilimento almeno una volta al mese e mantenendo un rapporto epistolare con i dirigenti della manifattura. Braccio di destro di Ponti a Doccia è Luigi Tazzini, al quale sono indirizzate la maggior parte delle sue lettere. Fra i due si instaura da subito un rapporto non solo di natura professionale, ma anche di amicizia, rispetto e fiducia. Del resto Ponti da Milano deve fare completo affidamento sull’esperienza di Tazzini. Nelle missive, l’architetto comunica ai collaboratori le sue idee, invia disegni e dà indicazioni precise sul modo in cui devono essere eseguite forme e decori, sicuro che sarebbe-

ro stati realizzati come da lui richiesto, considerato che nel reparto di decorazione sono presenti personaggi dalle grandi capacità artistiche come Vittorio Faggi, decoratore di maiolica e capo del reparto Pittoria, e la giovane Elena Diana, decoratrice di porcellana e molto abile nell’incidere l’oro a punta d’agata35

Per la Richard-Ginori non disegna solo decori, ma la sua attività è quella di un vero industrial designer proprio perché si occupa di ogni aspetto della produzione: è lui ad ideare le confezioni e le etichette per i prezzi, a disegnare la pubblicità, a stabilire in che modo devono essere fotografati gli oggetti, a curare i cataloghi, a progettare i padiglioni delle esposizioni e anche a stabilire le cifre con cui gli oggetti vengono messi in vendita. Crea nuovi colori, come il blu Ponti realizzato in due tonalità (il blu a gran fuoco e il rosso di Doccia), inventa la grafica del nuovo marchio del reparto di Pittoria e nel 1930 trasforma uno dei suoi oggetti preferiti, la sirena, nell’emblema dell’intera manifattura. Oltre a questo Ponti inventa anche il marchio che identifica tutti gli oggetti prodotti su suo disegno originale 36

Nel 1923 la collaborazione Ponti e Richard-Ginori consegue il suo primo successo all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Monza do-

ve un’intera saletta è dedicata alle sue opere. La stampa dell’epoca sottolinea le novità da lui introdotte nella produzione ceramica che spiccano all’interno della tendenza generale da parte delle fabbriche italiane all’imitazione37

Secondo Ponti la ceramica italiana deve ritrovare un proprio carattere sia attraverso il recupero e il perfezionamento delle tecniche che le sono proprie che attraverso l’acquisizione della tecnica e della maniera industriale, dai procedimenti produttivi agli aspetti commerciali. Lo stile dei prodotti deve essere poi essere strettamente legato alle diverse destinazioni d’uso degli stessi38

L’evento che segna il secondo grande successo del binomio Ponti-Richard-Ginori è l’Esposizione Internazionale di Arti Decorative di Parigi del 1925. Nei due anni precedenti la società aveva lavorato intensamente in vista di questo appuntamento con lo scopo di presentare non dei modelli, ma oggetti che fossero effettivamente “prodotti”. A Parigi le ceramiche di Ponti ricevono il Grand Prix, il riconoscimento più prestigioso della giuria, e il padiglione Richard-Ginori viene preso d’assalto da pubblico che si contende tutto ciò che esce dalle casse inviate dalla manifattura39

Il successo commerciale della produzione consente a Ponti di ottenere

grande visibilità a livello internazionale: in soli due anni ha riorganizzato e rinnovato completamente la produzione, conferendole un gusto moderno, al passo con le esperienze europee contemporanee40

Ponti in questo periodo ha come riferimento le fabbriche danesi che proprio a Parigi hanno presentato una produzione in serie caratterizzata da una grande qualità di prodotti che sono il risultato non dell’opera di un singolo artigiano ma di una produzione industriale moderna. Il suo obiettivo è quello di realizzare pressola manifattura Richard.Ginori una produzione che consenta di creare in serie anche gli oggetti d’arte, diffondendo il gusto moderno ed educare il pubblico41 Nella seconda metà degli anni Venti Ponti inizia a dedicarsi con più continuità all’architettura, e alle due esperienze parallele del “Labirinto” e della “Domus Nova”, e soprattutto prepara il lancio della rivista “Domus”, fondata nel 1928, sulle cui pagine compariranno frequentemente gli oggetti Richard-Ginori e dove arti decorative e l’architettura avranno la stessa dignità e stessa possibilità di espressione42

Dopo il 1930 la collaborazione fra Ponti e la Richard-Ginori sia avvia alla conclusione, una separazione non definitiva e forse determinata dall’interesse sempre più for-

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te di Ponti per l’architettura, e dai numerosi altri suoi impegni, ma probabilmente anche dalla scomparsa di Augusto Richard che tanta fiducia gli aveva dato quando era ancora agli esordi. Tornerà a collaborare con la società negli anni successivi, ma si tratterà solo di episodi isolati43

Il carteggio e i disegni autografi conservati presso l’archivio del museo, restituiscono con la vivacità e l’eleganza delle figure e delle parole manoscritte, la sua personalità artistica e il suo metodo di lavoro44

Fedeli specchi di colui che le ha create le ceramiche disegnate da Ponti per la manifattura di Doccia riflettono la sua personalità: decisi i lori colori, come deciso è il suo carattere, estremamente varie le forme ed i loro decori, come sono i suoi interessi. L’analisi dei singoli decori non può prescindere dalla conoscenza dei suoi interessi, alimentati dai viaggi, le visite ai musei, la lettura di libri e riviste dell’epoca45

La sua collaborazione con la manifattura diventa l’occasione di rinnovare l’oggetto industriale puntando principalmente sul decoro. Diversamente dagli artisti del Liberty, si pone il problema della struttura-ornamento e trasforma gli oggetti utilizzando una serie di temi decorativi dei quali utilizzerà anche solo alcuni motivi su forme diverse. Il suo sistema ornamenta-

le è basato sulla possibilità di ottenere soluzioni attraverso varie combinazioni del tema principale, sia che si tratti di vasi, ciste o urne, sia che si tratti di mattonelle per rivestimenti o pavimenti46

Per Ponti l’apertura alle tendenze europee più aggiornate non può prescindere dall’affermazione di un linguaggio tipicamente italiano, strettamente legato alla tradizione culturale e artistica del Paese. Fin dai primi esemplari realizzati, emerge la volontà di scegliere forme del repertorio classico sulle quali prende vita un modo personale di collocare sul fondo, a ripartizione geometriche, esili figurine isolate o in gruppo. Compaiono anche gli elementi architettonici classici come l’arco e la colonna. Il clima culturale da cui deriva questa impostazione è il neoclassicismo lombardo di cui Ponti ha una visione personale. Anche il suo amore per l’archeologia greca, romana o etrusca gli ispira le forme che diventeranno più famose come le coppe, le ciste, le urne, le anfore o gli orci47 Lo stile di Ponti per la Richard-Ginori è un’interpretazione originale dell’Art Déco in voga in questi anni: pur assimilandone certi formalismi, come ad esempio la stilizzazione, l’allungamento della figura umana o l’adozione di animali alla moda come i levrieri slanciati, il suo interesse è basato

soprattutto sulla costruzione dell’impianto compositivo, indipendentemente dalle dimensioni dell’oggetto. Ne scaturisce un costante equilibrio fra la razionalizzazione dello spazio e la distribuzione in esso dei motivi decorativi (figure o elementi architettonici) entro i limiti della forma ceramica. Ponti opera quindi una volontà ordinatrice e rigorosa, spesso accompagnata da una vena ironica. Si veda ad esempio la figura dell’architetto o del disegnatore del tema “La conversazione classica” che assumono spesso l’aspetto e le movenze di raffinati dandies, e le figure femminili, in particolari quelle derivanti dai soggetti de “Le mie donne”, raffigurate in atteggiamenti e pose fatali48

Anche l’elemento mondano rientra nella decorazione di Ponti, ma in modo particolare. Non attraverso la ricerca di elementi lussuosi nell’abbigliamento, come i tessuti preziosi, ma attraverso simboli espliciti di spettacolo come il circo, o tramite altre attività ricreative come l’equitazione, la passione per il volo, per gli sport marini e per la caccia. Tutto questo viene tradotto in termini decorativi con un linguaggio agile su una serie di coppe i cui titoli presentano il tema ornamentale. “Alato” e Celesio” sono l’immagine di un cielo dove tra nuvole soffici vagano areoplani e mongolfiere. “Velesca” e “Nau-

tica” presentano i loro simboli, con rigore geometrico nel secondo caso, con movenze oscillanti nel primo, che vengono tradotte da antiche raffigurazioni con barche a vela circondate da delfini. Per gli sporti equestri Ponti disegna la coppa “Fantini” dove sono raffigurati giubbe e berretti di diverse scuderie. Mentre per il circo, utilizza elementi più caratteristici come i trapezisti rappresentati in un momento della loro esibizione49

Ponti dà sempre un titolo alle sue ideazioni che rilevano particolari qualità evocative: “La passeggiata archeologica”, “La conversazione classica”, “L’amore dell’antichità”, “La casa degli Efebi”, “Le mie donne”, La migrazione delle sirene”, per citare i più celebri. Si tratta di opere che diventano “parlanti” ovvero rievocano memorie del passato, tradotte in un linguaggio attuale, contemporaneo. Il tema “Le mie donne”, ad esempio, trae ispirazione da un tipo di maioliche rinascimentali, per lo più coppe o brocche, su cui veniva eseguito il ritratto della donna a cui si voleva rendere omaggio. Nella rappresentazione di Ponti le donne però non hanno alcun riferimento ai soggetti reali, le forme dei corpi, simili tra loro, derivano da schemi manieristi, senza nessuna intenzione ritrattistica. Le donne, i cui nomi sono Donatella, Balbinia, Domitilla, Emeren-

ziana, Apollonia, Agata, Fabrizia, Leonia e Isabella, si adagiano su nubi, su grandi corolle o su corde attraverso l’adozione di un vero e proprio impianto teatrale, in cui si ha la sensazione che i personaggi vengano calati dall’alto su un palcoscenico50

Tra i decori pontiani di interesse sono anche alcuni temi non figurativi, generalmente di tipo geometrico utilizzati, ad esempio, su alcuni grandi vasi. Si tratta di ornati a prospettive oppure di motivi a catena o a labirinto che decorano l’oggetto sia internamente che esternamente.

La cromia scelta da Ponti è piuttosto singolare. In molti esemplari è affidata all’uso solo di binomi cromatici: viola-ora, blu-giallo, bianco-oro, blu-oro. Comunque, anche quando si ha una varietà cromatica più ricca compare una gamma di colori piuttosto ristretta. Da ricordare poi la vena orientalistica che percorre tutta l’opera di Ponti, presente fin dall’inizio, dalla decorazione a paesaggio della serie “Herculanea” alle quali la scelta cromatica con l’abbinamento del grigio e del viola, conferisce l’aspetto di una “cineseria”, essa riemerge nei grandi vasi in bronzo e maiolica per la Cassa di Risparmio per le Province Lombarde e nella serie di porcellana dipinta in smalto celadon in cui colore e decorazioni rimandano alle giade cinesi. Con lo stesso smalto

è dipinta la serie “Exagon”, ideata nel 1930, un tentativo di Ponti di adeguarsi al razionalismo che in questi anni si sta affermando sia nlle arti decortaive che in architettura. Il servizio da té, in cui i manici sono ricavati nella forma senza sporgere all’esterno, si basa su forme esagonali che, accostate e sovrapposte, permettono un risparmio razionale dello spazio51

Negli anni succcessivi l’immaginario di Ponti diventa più misterioso, esoterico: alcuni oggetti cominciano ad essere decorati con segni zodiacali, chiavi, garticoli, fenici il cui significato è di difficile interpretazione52

Al 1935 si datano le “mani”, sicuramente tra gli oggetti più strani e famosi fra quelli ideati da Ponti. Nate dell’osservazioni degli stampi in porcellana che la manifattura produce per la confezione dei guanti di gomma, costituiscono la base per numerose varianti ci sono quelle decorate con tralci di fiori, ma anche la “Mano di Dafne” e la “Mano della Fattucchiera”, sulla quale compaiono numerosi simboli, quali catene, scale, occhi, segni zodiacali e semi delle carte da gioco53

La collaborazione tra Ponti e la manifattura di Doccia è un’esperienza straordinaria, non solo per i prodotti di qualità che ha dato, ma soprattutto perché rappresenta il primo caso italiano di produzione artistica industrilae e

che aprirà la strada all’industrial design in Italia54

Dalla direzione di Giovanni Gariboldi (1946- 1969) agli anni recenti

L’opera innovativa di Ponti porta la produzione della manifattura di Doccia ad un livello qualitativo eccezionale. Questa situazione trova in un suo allievo, Giovanni Gariboldi (1908-1971), anche lui architetto e milanese, l’energia necessaria per procedere con risultati analoghi, senza soluzione di continuità, fino all’inizio degli anni Settanta. Gariboldi inizia la collaborazione con Ponti già a partire dal 1928. Negli anni Trenta disegna modelli per vari serviti e per plastiche di animali (cervi, cavallini), ma anche per oggetti in grès tra cui vasi ornati da catene, da drappi o da nastri55. I modelli per i servizi da tè e caffè, come ad esempio il “Clelia” o il “Luisa”, mostrano elementi di ripresa di uno schema rococò soprattutto nella sagomatura rotondeggiante della teiera e della lattiera. Negli anni Quaranta sono visibili nella sua produzione nuove scelte stilistiche che esibiscono un’impostazione più razionale della struttura e quindi il superamento delle linee preziose dei modelli precedenti56.

Nel 1946 Gariboldi viene incaricato della direzione del centro artistico della Richard-Ginori e sotto il suo impulso

la manifattura si apre defintiamente al funzionalismo e ai criteri dell’industrial design.

Dalla seconda metà degli anni Cinquanta emerge l’esigenza di far coesistere la qualità del design con i nuovi criteri di praticità e di efficienza funzionale. Porcellane e ceramiche devono rispondere a determinati requisiti, quali il minimo ingombro, essere facilmente lavabili e maneggevoli, resistere agli urti. Gariboldi progetta i servizi “Standard”, “Colonna”, “Uno più uno” che sono appunto dotati di queste caratteristiche57. Nella forma “Ulpia”, ideata nel 1954, fonde in un unico pezzo elementi differenti come l’ansa, il beccuccio e il corpo della teiera o della lattiera. In queste opere l’effetto decorativo è suggerito dal profilo strutturale, attraverso una linea flessuosa e asimmetrica.

Anche nelle epoche successive è evidente l’intenzione di Gariboldi verso la ricerca di forme razionali, insieme alla volontà di proporre servizi scomponibili, di cui si possono acquistare singoli elementi separatamente, secondo le proprie necessità58. Un esempio è il servizio “Eco”, ideato nel 1969, in cui assistiamo all’abbandono di modelli tradizionali, per offrire la libertà di scegliere singoli pezzi senza dover acquistare la serie completa59. Con questo servizio si

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Giovanni Gariboldi, disegno tecnico per la teiera del servizio Lucrezia (poi Ulpia), 1954

Teiera del servizio Ulpia su disegno di Giovanni Gariboldi, porcellana dura, 1954

chiude il lungo sodalizio tra il designer milanese e la Richard-Ginori. Numerosi altri designers di fama internazionale collaborano con la Società Richard-Ginori dai tempi di Gariboldi in poi, e realizzano forme di grande interesse60. Da ricordare il “Servizio di bordo Alitalia” del 1973, ideato da Joe Colombo e Ambrogio Pozzi per la famosa compagnia di volo. La soluzione adottata nella struttura, che prevede tagli nella tesa dei piatti, dovuta ad esigenze pratiche, diventa elemento di grande effetto decorativo. Molto interessanti sono anche alcuni piccoli oggetti, come posacenere e spargi-sale, ideati da Gae Aulenti negli anni Sessanta. Concepiti con forme essenziali che si ricollegano a figure geometriche elementari sono resi attraenti dalla brillantezza dei colori dall’effetto metallico61

Occorre ricordare che, accanto alla collaborazione con varie personalità dell’industrial design, esiste all’interno della manifattura anche un gruppo di ricerca che produce pezzi molto interessanti. La forma “Song” è un esempio. Creata nel 1970 circa dal direttore di allora Gino Campana62, è caratterizzata da una linea rigorosa con l’adozione di elementi dalla forma squadrata che contrastano con la linea curva del resto della sagoma63. La linea, che prende il nome dalle ceramiche pro -

dotte in Cina all’epoca della dinastia Song (960-1279), comprende solo teiera, lattiera, zuccheriera e salsiera perché è pensata per essere liberamente abbinata a pezzi di altri servizi. Nel 1990 la Richard-Ginori commissiona a nove studi di designers italiani di fama internazionale altrettanti progetti per nuove linee di oggetti in porcellana. Il servizio “Odissea”, realizzato nel 1993 su disegno di Albini-Helg-Piva, viene selezionato per entrare in produzione. La semplicità e la funzionalità delle linee suggeriscono di realizzarlo in un materiale di uso quotidiano come la vitreous china. Da ricordare, sempre negli anni Novanta, la collaborazione con l’illustratore belga Jean Michel Folon, noto in Italia per i manifesti e le campagne pubblicitarie a disegni animati, che nel 1995 progetta per la Richard-Ginori i decori per un servizio da tè e per un piatto da muro. Le sfumature degli acquarelli che caratterizzano lo stile dell’artista sono trasferite sulla ceramica grazie alla tecnica dell’aerografo64

1 Grosso 1988, pp. 45-46.

2 All’Anreiter è attribuita anche una serie di vassoi decorati con figure orientali.

3 Grosso 1988, p. 51.

4 Ibidem.

5 Verso la metà del Settecento la moda di fiutare tabacco incomincia a declinare e con questa anche la produzione di tabacchiere, tanto che negli anni successivi alla gestione di Carlo. Ginori (dopo il 1757), sono prodotti pochi esemplari.

6 Grosso 1988, p. 52.

7 Una delle traduzioni in porcellana più famose tratta da un’opera di questo artista, cioè il “Borea e Orizia”, è il gruppo del “Tempo che rapisce la Bellezza” situato nel “Tempietto di Cortona”.

8 Grosso 1988, p. 55.

9 Ivi, p. 55.

10 Ivi, p. 58.

11 Ivi, p. 63.

12 Ibidem.

13 Ivi, p. 68.

14 Ivi, pp. 68-72.

15 Il parametro che incideva maggiormente sui costi di queste terre venete era dovuto alle spese di trasporto che avveniva attraverso un percorso lunghissimo, in gran parte effettuato via mare.

16 Grosso 1988, p. 76.

17 Ivi, p. 79.

18 Ivi, pp. 84-85.

19 Ivi, p. 88.

20 Ivi, p. 90.

21 Per realizzare questo tipo di ornamentazione la manifattura si serve dell’esperienza dei fratelli Alinari.

22 Grosso 1988, p. 91.

23 Ivi, p. 94.

24 Ivi, p. 100.

25 Alcuni di questi oggetti erano stati prodotti già negli anni della gestione di Lorenzo II: all’Esposizione Universale di Parigi del 1878, ad esempio, erano stati presentati alcuni isolatori per il settore dell’elettricità.

26 Una delle ragioni che spingono il marchese Carlo Benedetto Ginori alla vendita della manifattura è la morte del direttore Paolo Lorenzini, avvenuta nel 1791. La sua scomparsa determina una situazione di grave disagio in quanto i nuovi direttori non sono in grado di dimostrare analoghe capacità. Ad aggravare la situazione è la richiesta di divisione della manifattura da parte dei fratelli di Carlo Benedetto. Cfr.

Grosso 1988, p. 101.

27 Grosso 1988, p. 114.

28 Ivi, p. 114.

29 Ivi, p. 118.

30 Ivi, p. 128.

31 Sarri 2005, p. 17.

32 Giovannini 2009, p. 73.

33 Ibidem.

34 Ibidem.

35 Ivi, pp. 73-74.

36 Ivi, pp. 76-77.

37 Gli oggetti di Ponti sono ancora legati alle forme e ai decori tradizionali della manifattura, ma si tratta di rielaborazioni e non di imitazioni.

38 Giovannini 2019, p. 21.

39 Rucellai 2008, p. 45.

40 Giovannini 2009, p. 78.

41 Giovannini 2019, p. 21.

42 Ivi, p. 22.

43 Giovannini 2009, p. 79.

44 Rucellai 2008, p. 45.

45 Giovannini 2009, p. 79.

46 Grosso 1988, p. 135.

47 Ivi, p. 136.

48 Ivi, p. 137.

49 Ivi, pp. 137-139.

50 Ivi, p. 150.

51 Ibidem.

52 Giovannini 2009, p. 83; Giovannini 2019, p. 25.

53 Giovannini 2009, p. 84.

54 Ivi, p. 86.

55 Sarri 2005, p. 27.

56 Grosso 1988, p. 153.

57 Sarri 2005, pp. 27-28.

58 Rucellai 2008, p. 49.

59 Grosso 1988, p. 154.

60 Alcuni designers propongono forme e decori che non sono mai entrati in produzione.

61 Grosso 1988, p. 154.

62 Gino Campana è direttore dello stabilimento dal 1951 al 1974.

63 Grosso 1988, p. 158.

64 Rucellai 2008, p. 51.

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Sesto Fiorentino, Stabilimento Richard Ginori: vista dall’alto prima della costruzione del museo, immagine dei primi anni Cinquanta (AMG, Fototeca)

Richard-Ginori,

Il nuovo Museo Richard-Ginori a Sesto Fiorentino

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il museo di Doccia viene chiuso per motivi di sicurezza (1941) e vengono prese misure di protezione per la salvaguardia delle collezioni1. Nel 1943 la Soprintendenza Belle Arti di Firenze, su disposizione del Ministero dell’Educazione Nazionale2, decide di trasferire altrove le opere più importanti, mantenendo all’interno dell’antica villa Ginori solo gli oggetti ritenuti meno pregiati che vengono opportunatamente protetti3. Un cospicuo gruppo di opere viene imballato e messo in sicurezza nei depositi delle ville di Poggio a Caiano e della Petraia, di proprietà demaniale, mentre le cere, in parte inserite entro teche lignee, vengono ricoverate nelle soffitte dell’Opificio delle Pietre Dure dove vengono restaurate4. Finita la guerra soltanto la raccolta di proprietà della Società Richard-Ginori viene ricollocata all’interno della villa di Doccia (1948), mentre la collezione storica della famiglia Ginori rimane nei depositi della Soprintendenza in attesa di definirne la destinazione. Dai documenti archivistici sappiamo che si era aperto un dissidio fra la Società Richard-Ginori e Lorenzo Ginori Lisci per la suddivisione della collezione5. Il marchese, infatti, intendeva rientrare in possesso di alcune opere per esporle a Firenze, all’interno del

palazzo di famiglia6, dove intendeva realizzare un museo di arte ceramica; la Società, invece, si era fortemente opposta allo smembramento dell’intero complesso. Il 28 ottobre 1950 il Ministero della Pubblica Istruzione con apposito decreto (“vincolo”) decide di tutelare, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 1089 del 1939, il Museo Richard-Ginori di Doccia, costituito dalle raccolte di proprietà del marchese Lorenzo Ginori e della Società Ceramica Richard-Ginori, come complesso di “eccezionale interesse artistico e storico” per “tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali”7. Negli stessi anni, per la necessità di adeguare gli impianti alle moderne esigenze industriali, l’insediamento produttivo di Doccia viene progressivamente abbandonato e tutta la produzione viene trasferita in un nuovo stabilimento realizzato nella piana di Sesto Fiorentino, a sud della ferrovia (1949-1952). Anche per il museo, ormai staccato dalla fabbrica, si comincia a pensare ad un trasferimento8. Intanto, proseguono le trattative per la suddivisione della collezione e nel marzo 1955 viene finalmente raggiunta un’intesa, in base alla quale circa tremila manufatti vengono ceduti alla Società Ceramica, mentre una parte di circa mille opere (limitata ai doppioni e alcuni pezzi scultorei), compreso l’archivio storico settecentesco, rimane agli eredi Ginori. In base all’ac-

cordo citato, la collezione rimasta alla Società deve essere esposta in una nuova sede, realizzata “a spese e cure” della Richard-Ginori, tenendo conto delle indicazioni della Soprintendenza di Firenze9. Nel frattempo, la concentrazione degli investimenti economici verso il moderno complesso produttivo posto a sud della ferrovia, comporta, inevitabilmente, il progressivo abbandono degli edifici dell’antica manifattura di Doccia che, insieme alla villa, nel 1956 vengono venduti dalla Società Ceramica alle Officine Galileo di Firenze. Il fatto suscita molte polemiche e il Consiglio Comunale di Sesto Fiorentino chiede formalmente al Ministero della Pubblica Istruzione di intervenire ed apporre un “vincolo” sulla villa Ginori perché venga mantenuto al suo interno il museo storico-artistico di porcellane e maioliche, al quale “è legata moralmente in modo particolare la cittadinanza sestese, che, attraverso i secoli, con operosità e sacrificio, ha dato vita ad una così fiorente industria”10

La richiesta del Comune rimane in parte inascoltata: la villa di Doccia viene tutelata dal Ministero con apposito decreto il 13 giugno 1958, ma il “vincolo” non impone il mantenimento delle opere nell’antica sede. Tuttavia, al fine di mantenere il collegamento “storico” della collezione con l’impianto produttivo, la Società Ceramica si impegna a trasferire tutte le opere all’interno di

un nuovo edificio, appositamente destinato a museo, da realizzare ex novo nell’area posta difronte al grande e moderno stabilimento di Sesto Fiorentino11 Per la progettazione del fabbricato il committente, conte Raimondo Visconti di Modrone, sceglie l’architetto fiorentino Pier Niccolò Berardi, il quale, a partire dal 1946 aveva fondato insieme al collega romano Tullio Rossi, lo Studio San Giorgio con sede a Firenze in via delle Belle Donne n. 1212 Gnoni Maravelli 2017, p. 22.

2 AMG, Lettera del 7 maggio 1941 inviata dal Soprintendente alle Gallerie di Firenze al marchese Lorenzo Ginori Lisci (c/o via Ginori, 11 Firenze) e alla Società Ceramica Richard-Ginori con sede a Milano.

3 Vengono mantenuti all’interno della villa di Doccia alcuni modelli in cera, terracotta e gesso, protetti in casse di legno e vetro appositamente realizzate. Sono mantenuti sul posto anche gli oggetti “murati” e le sale del museo vengono messe in sicurezza mediante sacchi di sabbia. È il Soprintendente Poggi che dirige costantemente le operazioni di messa in sicurezza delle opere e la sua presenza è attestata più volte presso il museo di Doccia. Le opere vengono imballate e riposte in più di 300 casse. Cfr. AMG, Lettera del 1° marzo 1941 inviata dai Musei di Doccia alla Direzione Generale della Richard Ginori con sede a Milano e Lettera del 10 marzo 1941 inviata dalla sede del museo di Doccia alla Direzione Generale della Richard Ginori con sede a Milano.

4 Gnoni Maravelli 2017, p. 23.

5 Le notizie relative alle trattative per fra il marchese Ginori e la Società Richard-Ginori sono tratte dai documenti conservati presso l’Ufficio Vincoli Beni Mobili della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato. Cfr. Gnoni Maravelli 2017, p. 27, nota 25.

6 Il palazzo è sito a Firenze in via Ginori n.11.

7 Gnoni Maravelli 2017, p. 23.

8 Ibidem.

9 Maggini Catarsi 1988, p. 30; De Donato 2004, p. 104.

10 Gnoni Maravelli 2017, p. 23.

11 “Richard-Ginori” 1965, p. 6.

12 Fa parte dello Studio di Architettura e Ingegneria San Giorgio anche l’ingegnere Fabio Rossi. Lo studio ha una sede anche a Roma in via del Babuino n. 29.

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Sesto Fiorentino, Stabilimento operaie a lavoro, immagine dei primi anni Cinquanta. (AMG, Fototeca)

L’Architetto: Pier Niccolò Berardi

Proveniente da una famiglia di industriali del legno e imprenditori piemontesi, Pier Niccolò Berardi (Fiesole1904-Milano 1989) si allontana dalle imprese familiari e dal suo destino per iscriversi alla Facoltà di Architettura di Roma1: “Ero destinato a diventare l’erede di un grosso impero metallurgico, e invece sono diventato architetto e pittore perché questa era la mia vocazione”, ricorda in una intervista del 19862

Già architetto attivo nell’ambiente fiorentino, nel 1928 partecipa alla prima Esposizione Italiana di Architettura Razionale di Roma con la cosiddetta Casa del ferro battuto e nello stesso anno si laurea presentando un progetto per un Golf Club sul lago Maggiore. Fra il 1926 e il 1931 Berardi si occupa di alcune ristrutturazioni e arredamenti per conto di nobili ed imprenditori del centro e nord Italia: una villa a San Domenico per il dottor Pietro De Faveri, la ristrutturazione del villino Piero Civita a Firenze, la cappella di villa L’Uccellatoio a Pratolino (FI), la scuola elementare in località Il Castagno a Firenze, il ristorante Andreini a Viareggio3

Nel 1932 realizza, in collaborazione con Michelucci, Bosio e Guarneri (Gruppo Toscano), i padiglioni e l’allestimento della IV Fiera Internazionale del Libro a Firenze e dei padiglioni tempora-

nei per la Fiera delle Comunità artigiane a Firenze4

Nello stesso periodo, insieme agli archetti fiorentini Nello Baroni, Italo Gamberini, Serre Guarnieri e Leonardo Lusanna, guidati Michelucci, partecipa al concorso del 1932 per il nuovo fabbricato viaggiatori della stazione ferroviaria di Santa Maria Novella a Firenze. La giuria del concorso, cui fanno parte anche Filippo Tommaso Marinett, Ugo Ojetti e Marcello Piacentini, proclama vincitore, primo fra cento progetti, quello del Gruppo Toscano (1932-33).

Il clima di intesa, l’esperienza del lavoro di gruppo, la ricerca del segno comune e non della particolarità, portano ad un lavoro straordinario, in cui gli apporti individuali sono irriconoscibili a favore di un risultato unitario5

Negli anni seguenti Berardi partecipa ad altri concorsi di progettazione quali per la stazione di Venezia con Baroni, Gamberini e Lusanna, per la piazza dei Musei all’E42 con Gamberini e per lo stadio comunale di Arezzo con Gamberini, Guarneri, Lusanna e Baroni6

Nel 1935 Giuseppe Pagano, direttore di “Casabella” - in vista della VI Triennale di Milano dell’anno successivo, che ospiterà la mostra “Architettura rurale italiana”, da lui curata con Guarniero Daniel - dà vita al tentativo di trovare la radice italiana del Razionalismo in architettura. Secondo Pagano la ra-

dice può essere individuata nei caratteri regionali, differenti ma omogenei, dell’architettura spontanea, specialmente dell’architettura rurale, della casa colonica7. Con questo obiettivo decide di lanciare una grande campagna fotografica per ogni regione dell’Italia rurale8 e affida a Pier Niccolò Berardi la ricerca nella Toscana.

Il servizio fotografico realizzato dall’architetto fiorentino individua forti connessioni fra l’idea di Razionalismo e l’architettura spontanea che si ripete nel mondo contadino toscano9. Le sue immagini inquadrano la struttura architettonica con l’intenzione di mostrare moduli e cadenze utili alla ricerca di una via italiana al nuovo movimento, privilegiando i valori volumetrici, i tagli di aperture orizzontali, le composizioni asimmetriche, le forme strutturali degli archi o dei pilastri.

Le ventiquattro fotografie di case coloniche realizzate da Berardi per la VI Triennale del 1936 rappresentano la prima espressione di un amore che egli coltiverà per tutta la vita e che impronterà tutta la sua opera di architetto e di pittore10. L’anno successivo, una serie di queste immagini viene esposta alla “Mostra della casa rurale toscana” tenuta nel palazzo dell’Arte della Lana di Firenze11

A partire dal 1937 Berardi, come collaboratore di Bosio, progetta per il Mi-

nistero degli Esteri la ristrutturazione della Legazione Italiana a Bucarest, gli Istituti di Cultura per le sedi italiane in Ungheria e Romania e un albergo-foresteria a Tirana. Sempre in questi anni (1939-1940), in collaborazione con Bosio, realizza il padiglione del Lavoro in Africa e il Padiglione dell’Albania alla Mostra Triennale delle Terre di Oltremare a Napoli12

Nel dopoguerra il suo interesse si concentra sui temi dell’edilizia residenziale privata, interessandosi anche all’arredamento e all’organizzazione di spazi esterni come campi da golf e piscine13. Soprattutto nel tema dell’abitazione unifamiliare sono evidenti i riferimenti al tema della casa rurale toscana, una costante nella sua attività progettuale.

Nel 1946 Berardi fonda lo Studio San Giorgio a Firenze, con l’architetto Tullio Rossi, suo amico e compagno di università14. Il nome dello studio fa riferimento al progetto per il piano urbanistico dell’Isola di San Giorgio a Venezia a cui Rossi lavora per un lungo periodo, ma che non verrà realizzato15. Insieme partecipano al concorso bandito dal Comune di Firenze per la ricostruzione delle zone bombardate dai tedeschi intorno al Ponte Vecchio (1946) e, pur non essendo premiati, sono coinvolti nella progettazione di alcuni edifici 16. L’atteg-

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pagina precedente Pier Niccolò Berardi. (Da ZEVI 2013, p. 30)

giamento dei due professionisti è di estrema cura, l’obiettivo è di comprendere le ragioni della sottostante tessitura urbana e di assecondarla17: “ridare alla ricostruenda zona l’antico tradizionale carattere, per cui la maggior parte degli edifici dovrà essere adibita principalmente a negozi e laboratori, a botteghe artigiane in modo particolare, così che non venga a crearsi tra l’antico aspetto e la tradizionale sostanza delle gloriose strade e quelli avvenire, alcuna soluzione di continuità”18

Fra i lavori eseguiti in collaborazione con Tullio Rossi da ricordare la Club House del circolo di golf La Mandria presso Torino (1956-57), quella per il Golf Club Le Betulle a Biella (1958) e fra il 1960 e il 1965 la sede del museo della Porcellana di Doccia a Sesto Fiorentino, realizzato per accogliere la collezione della manifattura Richard-Ginori19

Si tratta di un edificio razionale, dalla struttura in cemento armato con tamponature in mattoni lasciati a vista, connotato da una grande parete-finestra, pensata come una sorta di vetrina espositiva della produzione in rapporto diretto con il vicino stabilimento e la città di Sesto20

Nel fondo Tullio Rossi, conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, è presente la “Scheda cliente”, relativa al museo, in cui sono elencati tutti gli elaborati redatti dallo Studio San Gior-

gio: il lungo elenco delle tavole testimonia che i due architetti progettano non solo l’edificio ma anche tutti gli arredi interni, dimostrando grande capacità e disinvoltura nell’affrontare le diverse scale progettuali per creare un’opera unitaria ed estremamente coerente.

A partire dal 1950 Berardi esegue varie ristrutturazioni e nuove realizzazioni per la famiglia di industriali biellesi Rivetti: ristrutturazione e arredamento di villa Mino a Biella; ristrutturazione, ampliamento e arredamento di villa Il Ciuc a Vigliano, presso Biella; villa in via S. Leonardo a Firenze; studio per il restauro della torre Pallavicino a Soncino, in provincia di Cremona21 Dal 1955 ha inizio il lungo lavoro di progettazione e costruzione del centro turistico, industriale e agricolo di Maratea22, tra cui l’hotel di Santa Venere situato su una collina di fronte al mare del golfo di Policastro, e anche una serie di case realizzate recuperando e restaurando ruderi colonici23

Alla metà degli anni Cinquanta risalgono alcuni interventi a Fiesole, fra cui la villa Regresso (1955) progettata in accordo tra i temi della casa colonica e della villa suburbana24 e la realizzazione della sua casa a Montececeri, caratterizzata da eleganti forme classiche e da un bellissimo parco aperto sulla vista di Firenze. Qui Berardi realizza la

singolare piscina scavata nella roccia, concepita secondo un principio di mimesi con l’ambiente naturale (1956)25

Sempre nel Comune di Fiesole, Berardi realizza nel 1964 la chiesa di San Bernardino nel piccolo abitato di Borgunto, unica sua esperienza nel campo dell’edilizia religiosa26

Alla fine del 1966 lascia lo Studio San Giorgio, che aveva subito gravi danni dall’alluvione, e apre uno studio nella sua casa di Montececeri, a Fiesole, con l’intenzione di dedicarsi soprattutto alla pittura27. Solo dopo alcuni anni riprende a progettare ville e arredamenti per alcuni amici esponenti dell’imprenditoria. Il livello della committenza gli permette di affrontare al meglio la progettazione dello spazio abitativo come dialogo continuo fra interno ed esterno, alla ricerca continua dell’integrazione dell’edificio con il paesaggio. Possiamo citare, a questo proposito, la villa Nasi a Castiglione Torinese, la villa Pellicciotti a Saint Paul de Vence, la villa Settepassi a Roccamare nel Comune di Castiglione della Pescaia, la ristrutturazione della villa San Domenico e dell’hotel Villa San Michele a Fiesole, la casa colonica La Madonnina a Castagneto Carducci, tutte realizzate fra il 1967 e il 198628.

Nella ristrutturazione e ampliamento dell’albergo Villa San Michele, Berardi affronta il progetto con l’obietti-

vo principale di mantenere intatta la bellezza dell’ambiente naturale in cui l’immobile è inserito29. Infatti, le otto nuove suite a doppio volume sono scavate nella collina e le cinque camere in linea vengono incassate dietro il muro di sostegno del giardino all’italiana, direttamente collegate all’albergo, sfruttando la morfologia del terreno30 Berardi progetta anche la piscina, la cui forma “morbida” si adatta alle caratteristiche geologiche del terreno ed alla sua morfologia, integrandosi perfettamente nel contesto paesaggistico di pregio31. In questo caso realizza, in prossimità della piscina, una piccola cascata che, oltre a servire dal punto di vista funzionale alla depurazione e al riciclo d’acqua, aggiunge naturalezza all’insieme facendo sì che l’atmosfera sia meno artefatta32

Risale al 1975 la progettazione, non realizzata, del porto e delle residenze turistiche di Punta Ala e la costruzione, sempre a Punta Ala, del nuovo hotel Allelulja situato in un grande parco a breve distanza dal mare33

Parallelamente all’attività di progettista, Berardi, fin dai primi anni Cinquanta, si dedica anche alla pittura 34: “Nel mio lavoro di architetto hanno contribuito tanti anni passati a dipingere dal vero. Dipingere un paese arroccato su una collina cancellando sulla tela le costruzio -

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pagina precedente Nuova stazione di Firenze presentata dal Gruppo Toscano, 1932 (Da Pier Niccolò Berardi 1988, p. 12) Stazione di Santa Maria Novella: la galleria di testa in una foto d’epoca (Da Pier Niccolò Berardi 1988, p. 12)

pagina precedente Progetto di concorso bandito dal Comune di Firenze per la ricostruzione delle zone intorno al Ponte Vecchio distrutte dai bombardamenti tedeschi, veduta, 1948 (Da Pier Niccolò Berardi 1988, p. 26) Pier Niccolò Berardi, Disegno del cortile allestito a bar dell’hotel Villa San Michele a Fiesole (Da ZEVI 2013, p. 117)

ni nuove, quasi sempre un elemento di disturbo, disarmoniche, sproporzionate, come tanti blocchi di cemento scaricati da un camion. Le case che io dipingo, o che costruisco, sono limpide, intatte, realizzate con materiali esistenti sul posto, con una pazienza e una tecnica artigianale legata alle radici, e non turbano minimamente l’equilibrio che si è creato da secoli in rapporto con l’ambiente e con la storia”35

In effetti, ciò che si riscontra in modo evidente nei suoi quadri (nature morte, marine, olii che ritraggono paesaggi, villaggi toscani e del sud Italia) è il rapporto inscindibile fra pittura e architettura, tra composizione pittorica e creazione architettonica. Ovvero il rapporto tra l’uomo e la natura, il paesaggio, il territorio: questa è la cifra stilistica che rappresenta la “costante” dell’attività di Berardi sia come architetto che come pittore36

Significative, a questo proposito, sono le parole di Giovanni Michelucci (1987): “Oggi che mi si dà l’occasione di valutare criticamente ciò che egli ha realizzato nell’arco di una vita […] confesso che tutta l’opera sua corrisponde al concetto che io avevo già intuito sulla sua onestà di costruttore, onestà che per me è rara ed essenziale. Berardi, progettando, non ha voluto fare nulla di eccezionale, e tanto meno di monumentale, anzi, si è quasi defilato inse-

rendo armoniosamente le sue ville, gli alberghi e le vecchie case coloniche sapientemente ristrutturate nel contesto del paesaggio, con una nitidezza, una modestia e una vena di poesia da rasentare la fiaba […]. Egli inoltre ha suggerito nello stile, nella gestione degli spazi, nell’uso corretto dei materiali e nella perfezione dei dettagli un modello di vita dignitoso per chi deve abitare questi edifici, e per chi deve costruire questi spazi. […] Berardi architetto, uno dei pochi, o forse l’unico collega che ha sempre lavorato tenendo presente un concetto per me fondamentale, e cioè che, nel nostro mestiere, il vero protagonista non è l’architetto, ma l’ambiente”37

1 Berardi è nipote, da parte di madre, di Ernesto Redaelli, capo di una importante industria siderurgica in Toscana.

2 Pier Niccolò Berardi 1988, p. XXV.

3 Insabato, Ghelli 2007, p. 60.

4 Ibidem.

5 Bono 2013, p. 13.

6 Insabato, Ghelli 2007, p. 61.

7 Nel 1934 Ottone Rosai pubblica in un volumetto, L’architettura delle case coloniche in Toscana, una serie di 32 disegni a carboncino e matita di case coloniche di varie aree toscane. Cfr. Fanelli, Mazza 1999, p. 8; Bono 2013, p. 15.

8 Occorre ricordare che lo studio e l’interesse per la casa colonica è uno dei nodi più importanti della cultura architettonica e figurativa del Novecento in Toscana a partire dagli anni Trenta. Giovanni Michelucci, nell’ambito della ricerca della cultura architettonica italiana di una via mediterranea al Razionalismo, si rifà proprio alle case coloniche toscane. Nel 1932 pubblica su “Domus” due disegni di composizioni volumetriche razionalistiche ricalcate per processo di sintesi e semplificazione su due fotografie Alinari di case coloniche toscane.

9 Le case fotografate da Berardi sono situate in zone diverse della Toscana: la maggior parte sembrano localizzabili nelle zone del Valdarno, della Val di Chiana, del senese e del pisano. Cfr. Zevi 2013, p. 40 e p. 48.

10 Le fotografie di Berardi rappresentano una preziosa testimonianza dei caratteri architettonici della casa colonica Toscana prima delle trasformazioni della cultura e dell’economia contadine che in alcuni casi hanno comportato la loro alterazione o demolizione.

11 Fanelli, Mazza 1999, p. 20.

12 Insabato, Ghelli 2007, p. 61.

13 Ibidem.

14 Successivamente diventa contitolare dello Studio San Giorgio anche l’ingegnere Fabio Rossi, fratello di Tullio. Così Berardi descrive il collega: “Tullio viveva in una sua dimensione che comprendeva soltanto il lavoro. Non ammetteva distrazioni e divagazioni. Cupo, corrucciato, taciturno, si piazzava al tavolo da disegno dalle 8 del mattino a mezzanotte, con un tour-de-force impossibile. Impossibile per me che facevo le ore piccole e tiravo all’alba in buona compagnia. Mi presentavo allo studio frastornato, distratto, e lo trovavo lucido, preciso, efficiente, come dopo una notte di bei sogni. Però, nel corso della mattinata, entravamo in sintonia, e realizzavamo i nostri progetti”. Cfr. Pier Niccolò Berardi 1988, p. XXIV.

15 Insabato, Ghelli 2007, p. 319.

16 Ivi, p. 61.

17 Bono 2013, p. 21.

18 Pier Niccolò Berardi 1988, p. 25.

19 Insabato, Ghelli 2007, p. 61 e pp. 319-320.

20 Gnomi Mavarelli 2017, p. 24.

21 Insabato, Ghelli 2007, p. 62.

22 Il conte Stefano Rivetti decide di trasferire parte della sua attività a Maratea.

23 Zevi 2013, p. 182.

24 Capanni 2003, p. 69.

25 Ivi, p. 63.

26 L’edificio è ispirato alla semplicità delle chiese romaniche minori presenti nel territorio circostante: una ripida scalinata conduce al portico che protegge l’ingresso della chiesa a navata unica e copertura a capanna. Un traforo a forma di croce caratterizza la facciata della chiesa. Il campanile, a pianta quadrata, è un volume semplice intonacato e tinteggiato di colore chiaro. Cfr. Capanni 2003, p. 63.

27 Insabato, Ghelli 2007, p. 62.

28 Ibidem.

29 Berardi riceve l’incarico di ampliare l’hotel Villa San Michele da Mr. James B. Sherwood.

30 Pier Niccolò Berardi 1988, pp. 186-191.

31 Per Berardi la piscina è un elemento “vivo”, collegato con l’ambiente circostante. Alcune piscine sono significative della sua concezione dell’elemento acqua e del suo contenitore artificiale: ad esempio quella di casa Berardi a Montececeri, ricavata e scavata nella roccia, quella di casa Silvia, priva di bordi lastricati, in cui il bordo è delimitato da un semplice cordolo di pietra poco visibile che la separa dal prato. Tutte le pareti delle piscine sono completamente intonacate (nei suoi progetti viene esclusa la maiolica) in modo che il colore del cielo sia riflesso dall’intonaco. Cfr. Zevi 2013, p. 33.

32 Una piccola cascata viene realizzata anche accanto alla piscina della fattoria di Colle Bereto a Radda in Chianti. Cfr. Zevi 2013, p. 33.

33 Zevi 2013, p. 182.

34 Per la figura di Berardi pittore si veda Bassani 1973.

35 Pier Niccolò Berardi 1988, p. XXV.

36 Mazzoni 2013, pp. 179-180.

37 Pier Niccolò Berardi 1988, p. V.

49

Il progetto del Museo

Dalla documentazione archivistica1 si evince che il 16 giugno 1961 il direttore generale della Società Ceramica Richard-Ginori2 presenta al Sindaco del Comune di Sesto Fiorentino il progetto per la costruzione di un “nuovo museo”, in sostituzione di quello dell’antica villa di Doccia, da realizzare nel grande prato posto di fronte allo stabilimento con ingresso da via Pratese. L’istanza è sottoscritta, oltre che dalla proprietà, anche dall’architetto Pier Niccolò Berardi incaricato dall’amministratore delegato della Società, il conte Raimondo Visconti di Modrone, di progettare un museo che possa raccogliere la lunga storia di una produzione di grande artigianato3

Il progetto, costituito da nove tavole, viene approvato dalla Commissione Edilizia in tempi record4 e il 7 luglio 1961 il Sindaco rilascia il Permesso n. 199/1662 per la costruzione del fabbricato5. Dai documenti sappiamo che lo Studio San Giorgio, di cui fanno parte Berardi, Tullio e Fabio Rossi, realizza anche un plastico del museo, probabilmente andato distrutto6, ma di cui si conservano alcune immagini fotografiche7

Berardi concepisce il nuovo museo come un grande parallelepipedo, lungo 90,00 metri, largo 12,50 metri e alto 9,00 metri, con due piani fuori ter-

ra e libero su quattro lati. Il piano terra è concepito per accogliere un grande “atrio”, gli ambienti di rappresentanza e di studio (“salone-biblioteca”, “saletta”, “negozio”), gli uffici e i locali di servizio (“deposito”, “guardaroba”, “toilette” per i visitatori e i dipendenti, “centrale termica”, “quadri elettrici”)8. Attraverso due ampie scale simmetriche si raggiunge il piano primo caratterizzato da un grande ambiente destinato a “museo”. A lati dell’ampia sala espositiva si collocano un locale “deposito” (poi trasformato in saletta espositiva), collegato al piano terra da una scala di servizio, e una piccola “sala”. Al museo si accede da via Pratese attraverso una strada privata interna che conduce all’ingresso principale, mentre due ingressi secondari si aprono sul fronte opposto prospiciente lo stabilimento.

Dai documenti di archivio 9 sappiamo che Berardi si occupa, con la collaborazione di Tullio Rossi, solo della progettazione architettonica del museo e dei suoi arredi10, lasciando ad altri professionisti e collaboratori il compito di “costruire” l’edificio. Le opere strutturali sono progettate dall’ingegner Antonio Laurenzi di Roma, mentre i lavori vengono diretti dall’ingegnere Fabio Rossi, fratello di Tullio; la maggior parte dei progetti degli impianti tecnologici, invece, sono redatti dall’Ufficio

Tecnico dello Stabilimento Richard-Ginori di Sesto Fiorentino11

I lavori di costruzione dell’edificio, realizzati dalla ditta fiorentina “Soc. Costruzioni Poggi e C.”12, iniziano nel mese di ottobre 196113 e si concludono il 20 marzo 1963.

Concluso l’edificio si provvede alla realizzazione delle sistemazioni esterne, delle opere a verde, della pavimentazione dei piazzali14 e della costruzione della strada interna di collegamento fra il museo e via Pratese15

Tuttavia, alcune scelte architettoniche, legate alla volontà di creare un moderno edificio razionalista, si rivelano, fin da subito, piuttosto problematiche e ritardano la sua apertura al pubblico. Il museo, infatti, sarà agibile solo due anni dopo la sua costruzione. Numerosi inconvenienti sono legati all’utilizzo di nuovi materiali e tecnologie innovative per il tempo. Un esempio è l’installazione della grande parete-vetrata autoportante sul prospetto nord, realizzata con pilastri in acciaio, infissi in alluminio e vetri thermopane. Questa tipologia costruttiva comporta numerose infiltrazioni d’acqua all’interno del salone del primo piano, registrate dal mese di agosto 1963 fino all’autunno 196416. L’acqua piovana penetra sia dai cristalli delle vetrate, nella parte bassa, che dai punti di connessione del telaio degli infissi e le

strutture metalliche di appoggio, soprattutto in corrispondenza del rivestimento dei pilastri in ferro17

Per risolvere il problema, che comporta più volte la sospensione dei lavori di allestimento del museo, si provvede a smontare gli infissi, sostituire tutte le guarnizioni in gomma esterne e sigillare i vetri con materiale plastico. Successivamente, data la persistenza delle infiltrazioni, si decide di applicare lungo il perimetro esterno dei finestroni un piccolo angolare metallico in alluminio anodizzato, fissato con viti e adesivo. Esiste una fitta corrispondenza fra la ditta, la direzione dei lavori (Studio San Giorgio) e il direttore dello Stabilimento (Gino Campana) per concordare la soluzione più adatta, anche dal punto di vista estetico, che non comprometta il prospetto dell’edificio, così come progettato da Berardi18

Ulteriori difficoltà tecniche, ancora legate allo smaltimento delle acque meteoriche, sono causate dalla scelta progettuale di realizzare una copertura non visibile dall’esterno, con falde dalla pendenza molto ridotta, e dalla soluzione di incassare i pluviali all’interno della muratura (quindi facilmente otturabili) per non interrompere l’uniformità dei prospetti.

Nel dicembre 1964 abbiamo notizie di preoccupanti infiltrazioni d’acqua piovana pro-

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pagina precedente Foto del plastico del museo, prospetto principale sulla via Pratese e prospetto posteriore verso la fabbrica (ACSF, Pratiche edilizie 1961, allegato al Permesso di Costruire 199/1622 del 7 luglio 1961)

venienti dal tetto che macchiano e danneggiano i mattoni a faccia vista della parete interna del primo piano19

Per risolvere il problema vengono sostituiti tutti i canali di gronda in lamiera di zinco, posti lungo il perimetro del fabbricato, e nell’occasione si decide di sopraelevare anche la linea di gronda, mediante sagomatura del canale che ricopre la veletta esterna, in modo da nascondere il bordo inferiore del manto di copertura (prima visibile dal basso)20. I lavori, realizzati dalla ditta Costruzioni Poggi, sono diretti dall’ingegnere Fabio Rossi21.

Altre problematiche, che rallentano l’apertura del museo, sono causate dalla scelta dei materiali di finitura e dalla loro posa in opera. Innanzitutto, i pannelli della soffittatura in gesso del primo piano che presentano, subito dopo il montaggio, screpolature e rotture in molti punti e costringono la ditta a intervenire sostituendo circa duecento lastre22. Altre difficoltà sono legate al pavimento in gomma, prodotto dalla Società “Linoleum Gomma Pirelli” di Milano, installato su entrambi i livelli del museo e sulle scale. Questo tipo di pavimento, fin da subito, si rivela difettoso per la fuoriuscita di una polvere superficiale bianca difficilmente trattabile. Nei primi mesi del 1964 vengono eseguiti ripetuti lavaggi e trattamenti a cera del pavimen -

to, ma il problema non viene risolto. Si decide, quindi, di ricoprire con tappeti di moquette tutta la superficie del primo piano e di alcuni locali posti al piano terra (“Sala del Fondatore”) per poi procedere alla fase di allestimento del museo.

Come risulta dalla documentazione archivistica, la fase di progettazione e realizzazione degli arredi si rileva piuttosto complessa in quanto ogni elemento viene creato su misura da ditte specializzate, in base ai disegni redatti dallo Studio San Giorgio. Berardi segue personalmente tutte le operazioni, controlla i prototipi e sceglie i campioni dei materiali con cui confezionare gli arredi.

Occorre più di un anno per l’allestimento che risulta completato solo nella primavera del 1965. Contemporaneamente si procede alla sistemazione della collezione, secondo un percorso espositivo studiato da Berardi e da un comitato di esperti.

Finalmente il museo viene inaugurato e aperto al pubblico il 7 giugno 196523

Alla cerimonia sono presenti numerose personalità del mondo culturale, politico ed economico italiano: il presidente del Senato, Cesare Merzagora, il presidente della Società Richard-Ginori, Giulio Richard, l’amministratore delegato, conte Raimondo Visconti di Modrone, l’arcivescovo di Firenze, il

cardinale Ermenegildo Florit, il sottosegretario al Tesoro, onorevole Renato Cappugi, il senatore Giulio Meir, gli onorevoli Emilio Pucci e Giuseppe Vedovato, il direttore generale delle Antichità e Belle Arti presso il Ministero della Pubblica Istruzione, prof. Bruno Molajoli, il prefetto di Firenze, dott. Simone Prosperi Valenti, il procuratore generale della Repubblica, dott. Ferruccio Perfetti, i soprintendenti alle Belle Arti di Firenze, professori Ugo Procacci e Guido Morozzi, il rettore dell’Università di Firenze, prof. Gian Gualberto Archi, ed altre numerose autorità civili e militari della provincia di Firenze e del Comune di Sesto Fiorentino 24. Sono presenti anche i discendenti diretti del fondatore della manifattura di Doccia, il marchese Leonardo Ginori Lisci e il marchese Paolo Venturi Ginori25

“Ho pensato a questa forma come ad un astuccio per gioielli”, spiega Berardi il giorno dell’inaugurazione, “accompagnando gli ospiti attraverso la lunga sala dal basso soffitto, ritmata dalle teche tutte in cristallo, prive di sostegni metallici, accoppiate secondo vari giochi geometrici e poste in maniera da evitare i riflessi”26. In effetti il museo è davvero “un astuccio prezioso” sia per la forma che per il contenuto27

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pagina precedente ACSF, Pratiche edilizie, Progetto per il museo, Prospetto principale (nord), scala 1:200; dettaglio. ACSF, Pratiche edilizie, Progetto per il museo, Prospetto posteriore (sud), scala 1:200; dettaglio. (allegati al Permesso di Costruire 199/1622 del 7 luglio 1961)

pagina precedente

ACSF, Pratiche edilizie, Progetto per il museo, Dettaglio facciata principale, scala 1:20 (allegato al Permesso di Costruire 199/1622 del 7 luglio 1961)

pagina successiva

ACSF, Pratiche edilizie, Progetto per il museo, Pianta piano terra, scala 1:200. ACSF, Pratiche edilizie, Progetto per il museo, Pianta piano primo, scala 1:200 (allegati al Permesso di Costruire 199/1622 del 7 luglio 1961)

1 ACSF, Archivio Pratiche Edilizie, Museo Ginori, 196163, Istanza “per la costruzione del nuovo Museo della Società Ceramica Richard-Ginori”, acquisita al prot. del Comune di Sesto Fiorentino al n. 7283 del 16 giugno 1961, Cat. 10, Cl. 8, Anno ’61. Cfr. Mazzini 2018, pp. 14-17.

2 Società Ceramica Richard-Ginori con sede a Milano in via Bigli n. 1.

3 Zevi 2013, p. 25.

4 La Commissione Edilizia Comunale approva il progetto del museo nella seduta del 5 luglio 1961, pochi giorni dopo la presentazione dell’istanza (16 giugno 1961). Cfr. ACSF, Archivio Pratiche Edilizie, Museo Ginori, 1961-63.

5 ACSF, Archivio Pratiche Edilizie, Museo Ginori, 196163, Permesso di Costruire n. 199/1622 datato 7 luglio 1961 e rilasciato dal Sindaco di Sesto Fiorentino alla Società Ceramica Richard Ginori “per costruire il nuovo Museo della Società in via Pratese in conformità del progetto allegato redatto dall’Arch. Berardi”.

6 AMD, Nota del 27 marzo 1961 con cui il Dott. Melone trasmette al Dott. Campana un promemoria relativo alla visita congiunta effettuata presso lo studio fiorentino San Giorgio, in cui si fa esplicito riferimento al plastico del museo che sarebbe stato consegnato dai progettisti (entro il 10 aprile 1961) allo Stabilimento di Sesto Fiorentino per poi essere inviato a Milano.

7 ACSF, Archivio Pratiche Edilizie, Museo Ginori, 196163, Istanza “per la costruzione del nuovo Museo della Società Ceramica Richard-Ginori”: due tavole del progetto contengono le immagini del plastico realizzato dallo Studio San Giorgio. Due immagini sono conservate anche presso gli eredi Berardi.

8 La centrale termica e gli altri volumi tecnici si sviluppano sia al piano terra che al piano seminterrato dell’edificio.

9 Si veda il verbale di collaudo delle strutture in cemento armato redatto dall’ingegnere Renato Monselles iscritto all’Ordine degli Ingegneri di Firenze al n. 368, con sede dello studio professionale a Firenze in viale Michelangelo n. 78. Cfr. ACSF, Archivio Pratiche Edilizie, Museo Ginori, 1961-63, Verbale di collaudo allegato alla nota del 19 luglio 1962 (acquisita al prot. del Comune di Sesto Fiorentino al n. 10449

del 21 luglio 1962) sottoscritta dal presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Firenze, ingegnere Luigi Fortino.

10 Le tavole di progetto sono tutte firmate da Pie Niccolò Berardi.

11 All’interno dell’Archivio Storico del museo si conservano le copie eliografiche dei progetti di tutti gli impianti tecnologici redatti dall’Ufficio Tecnico dello Stabilimento di Sesto Fiorentino.

12 “Soc. p. Az. Costruzioni Poggi e C.” con sede in questi anni a Firenze, in via Marsilio Ficino n. 22.

13 AMD, Nota del 31 ottobre1961 con la quale la Direzione Tecnica Immobili della Soc. Ceramica Richard-Ginori di Milano trasmette all’ufficio di Sesto Fiorentino la documentazione di appalto per la costruzione del nuovo museo, insieme ad una copia degli elaborati di progetto. Gli allegati non risultano presenti in archivio.

14 AMD, Relazione dell’11 ottobre 1963 redatta da Bruno Crescioli della Ditta Costruzioni Edili Stradali con sede in Lungarno F. Ferrucci 2, Firenze.

15 AMD, “Progetto ampliamento stabilimento e sistemazione museo”, tavola in scala 1:1000.

16 AMD, Lettera del 20 agosto 1963 indirizzata dall’Ufficio Tecnico dello Stabilimento di Sesto alla Società Costruzioni “Poggi”, via M. Ficino n. 22 Firenze e all’ingegnere Fabio Rossi presso lo Studio San Giorgio, via delle Belle Donne, Firenze.

17 Infiltrazioni d’acqua provengono anche dalla finestra a nastro del piano terreno posta sul prospetto prospiciente lo stabilimento.

18 AMD, Lettera del 18 dicembre 1964 inviata dallo Studio San Giorgio alla Spett. Soc. Ceramica Richard-Ginori, Direzione Tecnica – Ufficio Immobili, via Bigli n. 1, Milano.

19 I mattoni a faccia vista interni sono sabbiati. All’interno del deposito del museo si conserva un campione della parete in mattoni.

20 Il manto di copertura è realizzato in lamiere grecate in alluminio.

21 AMD, Lettera del 7 dicembre 1964 inviata dalla Soc. per Az. Costruzioni Poggi & C. alla Spett. Soc. Cera-

mica Richard-Ginori, Ufficio Gestione Immobiliare, Via Goldoni, 10 Milano e p.c. alla Direzione dello Stabilimento della Soc. Ceramica Richard-Ginori, via I° maggio, Sesto Fiorentino (Firenze).

22 AMD, Lettera del 4 settembre 1963 inviata dalla Direzione Tecnica della Soc. Ceramica Richard-Ginori di Milano allo Studio San Giorgio, Via delle Belle Donne 32 r, Firenze e per conoscenza alla Soc. Cer. Richard-Ginori di Sesto Fiorentino.

23 Tre giorni prima della inaugurazione ufficiale, i rappresentanti dei principali quotidiani nazionali sono invitati in anteprima ad una conferenza stampa presso il museo di Doccia. Ai giornalisti il conte Raimondo Visconte di Modrone fornisce una completa rassegna di “tutte le notizie relative alla nuova sistemazione dell’eccezionale patrimonio artistico di Doccia”. È presente anche l’architetto Berardi che fornisce indicazioni sulla costruzione del museo. Cfr. “Richard-Ginori” 1965, p. 12.

24 Cfr. Articoli della stampa dell’epoca conservati presso ASF, Fondo “Berardi Pier Niccolò” e “Richard-Ginori” 1965, pp. 13-15.

25 “Richard-Ginori” 1965, p. 12.

26 Figeri 1965.

27 Mazzini 2018, p. 17.

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L'edificio realizzato

L’edificio “nasce dall’esperienza dell’architettura razionale qui con forte significato civile. All’interno di questo tema, Berardi, carico dell’espressione dell’architettura rurale toscana, fatta di forti valori chiaroscurali, ne fa sintesi e tesoro”1

Il fabbricato ha una superficie coperta di 1200 mq. e si sviluppa in orizzontale su due piani per un volume totale di 9600 mc2. La struttura in cemento armato risulta nascosta da una doppia parete di mattoni a faccia vista, interna ed esterna.

La copertura è a falde in latero-cemento su travi trasversali a sezione variabile, leggermente inclinate e protette da lastre in lamiera grecata in alluminio che versano le acque piovane in un canale perimetrale, ugualmente di alluminio, incassato nella trave di bordo di cemento armato e con pluviali interni3. Le falde di copertura, sia per la loro limitata pendenza che per la presenza di una veletta perimetrale in alluminio, non sono visibili dal basso e l’edificio appare come un perfetto parallelepipedo in muratura dalle superfici scandite da file di mattoni in leggera sporgenza che conferiscono alle facciate un elegante effetto chiaroscurale.

Berardi utilizza l’alluminio, il vetro, il cemento armato e il laterizio per esprimere tutta la modernità dell’edificio. Il

prospetto principale è alleggerito dalla grande parete-finestra posta sopra l’ingresso che, come una grande vetrina, anticipa al visitatore la presenza dell’esposizione vera e propria. Al contrario, il prospetto verso la fabbrica appare come uno fronte chiuso realizzato in mattoni, senza aperture al primo piano, e caratterizzato da una lunga finestra a nastro e da due ingressi di servizio al piano terra. Anche i due lati corti sono costruiti completamente in mattoni: quello posto a est, in corrispondenza del deposito interno, risulta cieco, mentre l’altro, che chiude il vano destinato agli impianti (lato ovest), è caratterizzato da una grande porta e da due finestre quadrangolari necessarie per il ricambio dell’aria. Tutti gli infissi esterni sono in alluminio anodizzato.

Superato l’ingresso principale si accede ad un grande ambiente (profondamente trasformato nel 2003), separato dall’atrio mediante un’ampia porta scorrevole. Questo ampio spazio ha una funzione sia espositiva che di sala riunioni per gruppi di studio o per manifestazione culturali specializzate. Accanto a questa sala, intitolata al “fondatore”, è posta la biblioteca dove sono conservati i volumi antichi, i libri moderni, l’archivio storico e la fototeca. Ancora al piano terra si trova una piccola “bottega”4 dove i visita-

tori possono acquistare le riproduzioni degli esemplari autentici ammirati nel museo e gli oggetti caratteristici della produzione Richard-Ginori, seguendo la tradizione toscana dell’artigianato di qualità5. A sinistra, entrando, un ampio deposito è destinato al materiale non esposto, mentre nella parte opposta sono ubicati gli ambienti destinati agli impianti tecnici centrali 6 , come quello di condizionamento, indispensabile per rendere il museo indipendente alle mutevoli condizioni ambientali esterne e per evitare intrusioni di polveri dannose7. Altri spazi sono destinati a servizi, guardaroba e uffici. Al piano superiore, a cui si accede attraverso due scalinate speculari dalla struttura in c.a. e parapetti in cristallo, è ubicata la vera e proprio sala espositiva: un unico grande ambiente di circa 1.000 mq., caratterizzato dalla lunga parete vetrata, terminante con due locali privi di illuminazione naturale 8

Le pareti interne del salone sono realizzate con elementi in laterizio cotti a mano in una fornace maremmana9

Questi mattoni di colore rosso-grigio lasciati a vista, oltre a ricordare gli oggetti di scavo, forniscono alle porcellane bianco lucenti uno sfondo di tono contrastante per “salvare”, in un certo senso, l’unità della materia10

“Ho affrontato la progettazione del nuovo Museo – spiega Berardi - e dei

suoi numerosi problemi di carattere funzionale, estetico, tecnologico e di servizi, studiando un fabbricato che, del tutto simile ad una grande teca, non si mettesse in concorrenza con gli oggetti esposti, e risolvesse il problema in estrema semplicità”11

La scelta progettuale di non escludere l’ambiente esterno, ma anzi di farlo “sentire” attraverso la parete-finestra del primo piano12, è uno stimolo per arrivare a soluzioni architettoniche brillanti rispetto alle tecnologie dell’epoca13. Il problema dell’illuminazione, forse il più spinoso, è risolto proprio grazie dalla grande vetrata, realizzata con infissi in alluminio anodizzato e cristalli in thermopane14 a doppia lastra saldata, di cui quella esterna è in cristallo atermico di colore leggermente fumé per attutire l’eccessiva luminosità riflessa in particolare condizioni di insolazione15. La luce naturale è integrata da un impianto di illuminazione regolabile a mezzo di un reostato per ottenere mediante compensazioni prestabilite una luminosità costante della sala e delle vetrine, e inclinando il controsoffitto, costituito da pannelli in gesso fonoassorbenti16, in modo da deflettere in modo opportuno la luce17

Il museo è dotato di tutti gli impianti necessari per assicurare le migliori condizioni ambientali: impianti di riscaldamento in-

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pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori in fase di costruzione, 1961-62 circa: lato ingresso principale e piano primo. (ASF, Fondo Ginori, Fototeca).

pagina precedente

Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: viste diurna e notturna del prospetto principale (ASF, Fondo Ginori, Fototeca).

Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: particolare dell'ingresso principale e parete-finestra primo piano (ASF, Fondo Ginori, Fototeca).

vernale e di condizionamento estivo, impianti di illuminazione e forza motrice sia per le sale di esposizione che per i servizi, impianti telefonici per collegamento interno ed esterno e l’impianto di diffusione sonora18

La pavimentazione di entrambi i piani, comprese le scale, è realizzata in linoleum di colore grigio che esalta la modernità e la spazialità dell’edificio.

Il fabbricato è circondato da un terreno trattato a prato che costituisce un importante complemento in quanto risulta indispensabile per salvaguardare il carattere di museo-vetrina dell’intero complesso.

Nelle sue linee semplici e minimaliste il museo Richard Ginori rappresenta nel 1965 un caso unico in Italia. E’ la prima costruzione realizzata appositamente per accogliere una collezione di circa quattromila pezzi che comprende gli esemplari più importanti prodotti nella manifattura di Doccia dalla sua fondazione al periodo contemporaneo. Un moderno museo di impresa strettamente collegato, anche, fisicamente, alla fabbrica collocata alle sue spalle.

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pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, interno, primo piano, 1966 circa. (AMG, Fototeca)

Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: scala di accesso al primo piano e particolari del parapetto in cristallo. (ASF, Fondo Ginori, Fototeca)

1 Zevi 2013, p. 72.

2 AMG, Note sul museo, “Dati tecnici”.

3 Nel 1965 i pluviali (oggi esterni) risultano inseriti all’interno della muratura, tra la doppia parete in laterizio che nasconde la struttura in cemento armato. Questa soluzione, esteticamente molto elegante perché lascia inalterata la continuità della superfice muraria a faccia vista, crea fin dall’inizio problemi di infiltrazioni delle acque meteoriche all’interno dell’edificio, soprattutto al piano primo.

4 Il vano destinato nel 1965 a “negozio” è oggi destinato a “biblioteca-archivio”.

5 “Richard-Ginori” 1965, p. 11.

6 La centrale termica e gli altri volumi tecnici si sviluppano sia al piano terra che al piano seminterrato dell’edificio.

7 Boccia 1965, p. 11.

8 Nel progetto originario di Berardi la saletta, oggi destinata alle cere, è denominata locale “deposito”.

9 Boccia 1965, p. 16.

10 I mattoni hanno dimensioni e colore diversi rispetto a quelli delle pareti esterne. I mattoni “color spento” e/o “color scavo” che foderano l’interno e l’esterno dell’edificio sono stati realizzati a San Guido in Bolgheri. Cfr. Lattes 1965; Boccia 1965, p. 16; Maggini Catarsi 1988, p. 30.

11 “Richard-Ginori” 1965, p. 7.

12 Nel 1965 l’edificio è ubicato in una zona periferica di Sesto Fiorentino e l’ampia vetrata si apre sulle colline che circondano l’abitato.

13 Purtroppo, la bellissima vista che si poteva godere dal primo piano del museo è stata, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, irrimediabilmente compromessa dalle tante costruzioni sorte sulla collina e nelle aree adiacenti a viale Pratese.

14 Vetrate isolanti costituite da due lastre di cristallo chiaro trasparente, tra le quali è racchiusa aria disidratata, isolata termicamente mediante un giunto metallico brevettato.

15 “Richard-Ginori” 1965, p. 7.

16 Il controsoffitto è realizzato con pannelli in gesso fibrato che risultano forellati per il passaggio a pioggia dell’aria di riscaldamento e condizionamento. I pannelli sono appesi al solaio di copertura con fili in metallo.

17 Boccia 1965, p. 14.

18 AMG, Note sul museo, “Dati tecnici”.

63

Gli arredi e l'allestimento del 1965

Niccolò Berardi, come già anticipato nei capitoli precedenti, non si limita a progettare l’edificio, ma disegna, in collaborazione con Tullio Rossi, anche tutti gli arredi del museo1

Presso l’Archivio Storico della Manifattura di Doccia è conservata una fitta corrispondenza fra l’Ufficio Tecnico dello stabilimento di Sesto Fiorentino e la Direzione Immobiliare della Società Richard-Ginori di Milano che testimonia il costante impegno dello Studio San Giorgio in tutte le fasi di progettazione e realizzazione degli arredi museali. Dai documenti risulta anche una stretta collaborazione fra Berardi e la commissione incaricata di definire l’ordinamento delle porcellane e il percorso espositivo del museo2

In un fascicolo si conservano due elaborati, redatti in scala 1:100, denominati “Pianta dell’arredamento” che ci consentono di ricostruire, per ogni piano, tutti gli elementi di arredo presenti nel museo agli inizi degli anni Sessanta. Molto interessanti sono anche i disegni, redatti in scala 1:50, relativi alle sistemazioni delle due salette laterali del primo piano, definite “A” e B”, destinate ad ospitare le cere, che subiscono in corso d’opera modifiche e adattamenti.

Dalla documentazione risulta che ogni arredo è progettato dallo Studio San

Giorgio: si conservano, all’interno del fascicolo citato, i disegni numerati (in scala 1:10) delle vetrine dei piani terra e primo, dei cavalletti in noce per le cere, dei tavoli destinati al salone-biblioteca e al negozio, del bancone per il guardaroba, della scrivania, della consolle e della libreria per gli uffici e l’archivio, del tavolo per la portineria, delle basi da sistemare nell’atrio, dei tavolinetti, delle poltrone e poltroncine da collocare ai piani terra e primo. Berardi si occupa anche della progettazione delle scaffalature e degli armadi metallici per l’archivio e la biblioteca e del rivestimento in pannelli laccati bianchi degli ambienti al piano terra. Dai preventivi, inviati dalle ditte fornitrici allo stabilimento di Sesto Fiorentino, è possibile ricostruire i nomi degli artigiani che realizzano gli arredi, sulla base dei disegni redatti dallo Studio San Giorgio.

I falegnami “Rangoni Basilio & Figlio” creano la struttura in legno delle vetrine per il salone centrale, complete di basamento e degli elementi di raccordo in legno paniforte multistrato3; le vetrine per le salette A e B del primo piano, costruite con armatura in legno di abete rivestita in paniforte multistrato4; i cavalletti in noce massello destinati alle cere5; i quattro grandi tavoli rettangolari e i quattro tavolinetti porta lumi in legno di noce.

La ditta “Felice Quentin - Manifattura specchi e vetri” fornisce ed installa i cristalli di tutte le vetrine del museo, comprese le parti metalliche (sottostruttura in ferro tubolare, serrature, ecc.)6 e i corrimani in vetro delle scale.

La “ Trau” fornisce gli scaffali metallici e i mobili per la biblioteca e l’archivio7

La ditta “Filippo Haas & F.i” installa le tende al primo piano, fornisce i tappetti e i rivestimenti per le basi delle vetrine e i piani interni delle stesse8. La “Poltronova” realizza le poltrone grandi “imbottite con gomma piuma, complete di cuscino, fusto e zampe in ottone, ricoperte in SKAI” (n. 12) e le poltroncine “fusto in noce, imbottite di gomma piuma e ricoperte in SKAI” (n. 25)9. La ditta “A.C.E.T” si occupa della fornitura e posa in opera dell’impianto di illuminazione in tutte le vetrine10 Berardi, anche nell’allestimento, opta per una scelta progettuale “coraggiosa” ovvero quella di raccogliere la maggior parte della collezione (composta da circa quattromila pezzi) in un unico ambiente al primo piano non differenziato da arredi museografici intermedi che, se pur avrebbero facilitato l’esposizione per stacchi e allusioni, avrebbero compromesso l’impegno unitario che caratterizza la grande sala. Qui le teche, realizzate in legno e cristallo, sono disposte in gruppi di tre lungo la parete di fondo dell’ampio spazio

espositivo; mentre lungo la grande parete vetrata nord le vetrine sono disposte in linea11

Per quanto riguarda l’illuminazione delle vetrine la scelta è quella di utilizzare luci mobili a neon (protette da un carter in alluminio anodizzato di forma parallelepipeda e aperto su un lato) posate direttamente sulle teche per ottenere una percezione ottimale degli oggetti esposti.

Il problema della manutenzione è uno dei più importanti da risolvere, in quanto non era immaginabile, sia per la preziosità che per la delicatezza del materiale raccolto, il dover ricorrere a continue e rischiose spolverature. Per questo motivo Berardi pone grande attenzione alla progettazione delle vetrine che sono tutte a tenuta stagna, realizzate con cristalli saldati fra loro, senza parti metalliche ad eccezione di due lembi magnetizzati che ne garantiscono sia la perfetta sigillatura che l’apertura quando necessario12

Le due salette laterali, che costituiscono la testata cieca della galleria, sono illuminate artificialmente ed ospitano vetrine fisse disposte lungo le pareti, dotate dello stesso sistema di luci mobili presenti nelle teche del salone centrale.

Anche il resto dell’arredamento è studiato in funzione dell’edificio: sedie e tavoli per

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pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo terra, veduta ingresso, 1966 circa. (AMG, Fototeca)

le zone di rappresentanza e di amministrazione al piano terra, poltrone e poltroncine per le aree di riposo al primo piano.

Per quanto riguarda il percorso espositivo, esso si avvale dei risultati dei primi studi scientifici sulla storia della manifattura condotti dall’ultimo discendente della famiglia Ginori13

Il progetto museografico viene elaborato da un comitato costituito da Gino Campana, direttore della manifattura, dal conte Leonardo Ginori Lisci, da Elena Maggini Catarsi, nominata conservatrice del museo di Doccia, dallo storico Klaus Lankheit, da Giuseppe Liverani, all’epoca direttore del museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, e dal collezionista Roberto Bondi14

L’obbiettivo dei curatori è quello di fornire al visitatore un’esposizione cronologica che possa suggerire l’evoluzione storica della manifattura e, al tempo stesso, sottolineare le capacità degli artefici di Doccia di adeguarsi continuamente ai cambiamenti degli stili, dei gusti e della società15

Per raggiungere questo obiettivo ci sono però alcuni problemi da risolvere. Innanzitutto, la collezione, che nella vecchia sede di Doccia occupava numerose sale, deve necessariamente essere snellita e quindi occorre selezionare gli oggetti da esporre e conservare tutti gli altri nel deposito16. Un se-

condo ordine di problemi è rappresentato dalla scelta progettuale di Berardi, già accennata, di raccogliere l’intera la collezione in un unico ambiente non differenziato, privo di elementi museografici intermedi che avrebbero facilitato un’esposizione per aree cronologiche, ma senza dubbio avrebbero annullato la spazialità della grande sala al primo piano.

I curatori decidono di coniugare le diverse esigenze, contrapponendo all’accumulo scenografico dell’antico museo di Doccia un percorso cronologico lineare, basato sulla divisione in periodi corrispondenti ai vari proprietari che si sono succeduti alla guida della manifattura: i cinque periodi storici di Doccia corrispondenti agli anni della gestione dei diversi marchesi Ginori (1737-1896), il Novecento con la nascita della Società Richard-Ginori (1896) e la direzione artistica di Gio Ponti (19231930) ed infine il design industriale 17 Per motivi di spazio si decide di non esporre i modelli in gesso e la sezione compartiva del “Museo Ceramico”, costituita dalla raccolta di porcellane provenienti da altre manifatture italiane ed estere.

Rispetto all’allestimento ottocentesco, caratterizzato da un’esposizione ricca e sovraccarica di oggetti disposti all’interno di spazi ridotti18, l’allestimento del 1965 si affida a criteri più ra-

zionali e sacrifica la quantità in nome della qualità, esponendo gli esemplari più importanti, spesso isolati dal loro contesto19

Il museo, snellito di gran parte del repertorio ottocentesco e arricchito con i nuovi acquisti sul mercato antiquario (necessari a colmare le lacune per le opere rimaste alla famiglia Ginori Lisci) e con le riscoperte maioliche del primo periodo, rappresenta la testimonianza della vita passata e presente della manifattura20

La lettura della storia di Doccia inizia con la produzione sperimentale e pioneristica del Settecento e continua attraverso la suddivisione in cinque periodi, che ne caratterizzano gli sviluppi successivi, fino al Novecento. Ogni sezione cronologica è divisa a sua volta con un ordinamento per temi, colori e tipo di disegno. I diversi stili, le forme e le decorazioni rappresentano il segno della cultura e del gusto degli artefici di Doccia, dal 1737 fino all’età contemporanea21

L’esposizione inizia al piano terra dell’edificio, all’interno della sala centrale detta “Sala del fondatore” dove è possibile ammirare, entro vetrine a tavolo, una selezione di calchi dei cammei antichi, dei piombi rinascimentali, delle terrecotte barocche, e alcune plastiche realizzate per Doccia dallo scultore Gaetano Bruschi e dai suoi colla-

boratori22. Nello stesso ambiente trovano posto esemplari rappresentativi del primo periodo che si chiude con la morte di Carlo Ginori.

Il percorso prosegue nell’atrio dove sono esposte maioliche e targhe ottocentesche. Ai lati dell’ingresso due teche trasparenti proteggono il cosiddetto “Museo delle terre”, costituito dai vasi in vetro con basi e coperchi in maiolica, testimonianza degli interessi scientifici del fondatore. Nelle vetrine a muro sono esposte porcellane e maioliche degli anni Venti e Trenta del Novecento realizzate su disegni originali di Giò Ponti e dei suoi collaboratori23 Sempre al piano terra, agli angoli della parete che dà accesso al locale impianti, sono collocate due antiche vetrine a muro in legno intagliato e di gusto eclettico (parte integrante dell’antico allestimento del museo di Doccia) dove sono esposti gruppi di porcellane del XVIII secolo24

L’esposizione continua al primo piano, nel grande salone, dove, secondo una disposizione tipo-cronologica, si sviluppa l’intero quadro della produzione di Doccia.

Il primo periodo, quello intitolato a Carlo Ginori (1735-1757) è rappresentato da esemplari decorati in modo semplice con la tecnica dello “stampino”, da pezzi dipinti da famosi artisti come Carl Anrei-

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pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo piano, fine anni Sessanta. (AMG, Foteteca)

ter e da realizzazioni plastiche ispirate ai modelli settecenteschi di Foggini e Soldani Benzi. Questa prima sezione espone anche il caminetto in porcellana bianca modellato da Gaspero Bruschi nel 1754, di oltre tre metri di altezza. Del secondo periodo (1758-1792) è documentata l’ampia diversificazione tipologica degli accessori e dei servizi da tavola; in particolare nascono in questa fase i primi vassoi denominati “marescialla”, i rinfrescatori e le tazze per le puerpere. Di gusto neoclassico e in stile Impero sono invece le produzioni del terzo periodo (1793-1837), quando le decorazioni assumono nuove tonalità cromatiche e sono caratterizzate da ornamenti in oro. L’internazionalità della produzione Ginori del quarto e del quinto periodo (1838-1896) risente del clima culturale di allora, quando vengono ripresi i temi e i modelli rinascimentali; di questa fase è indicativo il “Vaso mediceo” presentato dalla manifattura all’esposizione di Londra nel 1851. Abbiamo poi la fase successiva che inizia nel 1896 con la nascita della Società Richard-Ginori, rappresentata da pezzi di gusto Liberty e Art Déco, come il vaso tratto dal manifesto disegnato da Leonardo Bistolfi per l’esposizione internazionale di Torino del 1902.

Alcune raccolte organiche (ad esempio tazze e piattini di diversi periodi)

sono esposte nelle vetrine disposte in linea lungo la grande parete finestrata del primo piano e concludono il percorso espositivo, offrendo una visione completa del ciclo evolutivo della manifattura.

Le due salette laterali, poste alle estremità del grande ambiente centrale, ospitano, opportunatamente illuminate, le splendide cere di Gian Battista Foggini, di Massimiliano Soldani Benzi, di Giuseppe Piamontini e altri, insieme con i calchi in porcellana bianca ottenuti dal fondo degli stampi conservati nella fabbrica.

Dalla descrizione è evidente che l’allestimento del 1965, rispetto a quello del 1864, predilige una esposizione selettiva e lineare di oggetti per offrire al visitatore una rassegna storica, razionale e ordinata25

“Con i principi tendenti a stimolare l’interesse del pubblico, ogni pezzo esposto nel museo acquista una funzione del tutto nuova: l’esemplare pur conservando una identità autonoma si compenetra nella storia del complesso mondo ceramico. Secondo i canoni della nuova scienza della museologia, l’architetto Pier Niccolò Berardi nella realizzazione del suo progetto manifesta soluzioni e situazioni nuove come l’efficace presentazione della collezione, l’organizzazione del percorso, la funzionalità di zone diversificate ove gli

spazi sono destinati alle pubbliche relazioni, alle esposizioni di piccole mostre, alla sala dei convegni, alla biblioteca e sala di lettura”26

Al piano terra, in adiacenza alla sala riunioni, trova posto la biblioteca specialistica nella quale sono conservate opere che vanno dal XVIII al XX secolo. Questi volumi, che non sempre hanno un riferimento specifico alla storia della porcellana, trovano nella storia di Doccia una connotazione specifica. Gli artisti della fabbrica, infatti, hanno attinto dalle illustrazioni di queste pubblicazioni la loro ispirazione per realizzare modelli pittorici e plastici. Con il tempo la biblioteca si è potenziata con nuovo materiale di stampa. Le raccolte d’arte, gli atti delle esposizioni internazionali e le riviste specializzate della prima metà del Novecento completano il quadro degli acquisti e costituiscono un nucleo di tutto rispetto27 Nei locali della biblioteca sono conservati anche l’archivio storico e quello fotografico.

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pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo piano, saletta laterale dedicata alle cere, vetrina angolare, 1966 circa. (AMG, Fototeca)

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Sesto Fiorentino, Museo RichardGinori, primo piano, gruppo di tre vetrine, 1966 circa. (AMG, Fototeca)

Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: interno primo piano, particolare della vetrata del salone. (ASF, Fondo Ginori, Fototeca) Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo terra, bottega, 1966 circa. (AMG, Fototeca)

1 AMD, Lettera del 4 settembre 1963 inviata dalla Direzione Tecnica della Soc. Ceramica Richard-Ginori di Milano allo Studio San Giorgio, via delle Belle Donne 32 r(Firenze) e per conoscenza alla Soc. Ceramica Richard-Ginori di Sesto Fiorentino. In questa nota la Società chiede espressamente di conoscere il compenso dello Studio San Giorgio “per le prestazioni relative alla progettazione delle opere di arredamento”.

2 AMD, Nota del 23 giugno 1964 avente per oggetto “arredamento museo” inviata dalla Direzione di Sesto Fiorentino alla Direzione Generale di Milano dalla quale si evince che la “Commissione ordinatrice” è composta dal conte Leonardo Ginori Lisci Ginori, dal collezionista Roberto Bondi, da Giuseppe Liverani direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza e da Gino Campana direttore della manifattura.

3 AMD, Preventivo del 15 giugno 1964 inviato dalla ditta “Rangoni Basilio & Figlio Falegnami – stipettai” alla Società Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino. La nota descrive puntualmente la fornitura: “esecuzione di vetrine […] complete di basamenta ed eventuali raccordi, fascia listrata in legno di noce e giunta con denti a coda di rondine persi, armatura interna in legno duro a sostegno della vetrina, piano in paniforte multistrati e fascia attorno, rese tutte finite con lucidatura previa patinatura e tracce per gli sportelli scorrevoli […]”.

4 AMD, Preventivo del 4 luglio 1964 “per eseguire l’arredamento delle salette al primo piano” inviato dalla ditta “Rangoni Basilio & Figlio Falegnami – stipettai” alla Soc. Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino.

5 AMD, Preventivo del 13 novembre 1964 per “eseguire un cavalletto in legno noce massello come da disegno e campione eseguito” della ditta “Rangoni Basilio & Figlio Falegnami – stipettai” con sede a Firenze, via del Ronco n. 38, inviato alla Soc. Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino, Firenze.

6 AMD, Preventivo del 18 giugno 1964 della “Manifattura specchi e vetri Felice Quentin” con sede in Firenze in via Capodimondo n. 52 inviato alla Soc. Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino.

7 AMD, Nota del 29 dicembre 1964 inviata dall’Ufficio Tecnico di Sesto Fiorentino alla Segreteria Centrale, Ufficio Gestione Immobiliare di Milano. Dalla nota si evince che la ditta TRAU a sede a Firenze in via B. Marcello n. 49.

8 AMD, Nota del 30 dicembre 1963 inviato dalla Soc. Richard-Ginori alla ditta “Filippo Haas & F.i” con sede a Firenze in via Tornabuoni n. 51, e per conoscenza alla Studio san Giorgio, via delle Belle Donne, Firenze; Preventivo del 10 luglio 1964 inviato alla ditta “Haas” alla Soc. Richard-Ginori a Sesto Fiorentino.

9 AMD, Preventivo del 10 giugno 1964 per realizzazione di “poltroncina” e “poltrona” inviato dalla ditta “Poltronova Mobili e tessuti per arredamento” con sede ad Agliana Pistoia, alla Soc. Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino.

10 AMD, Offerta del 3 novembre 1964 inviato dalla ditta “A.C.E.T – Azienda Costruzioni Elettriche Telefoniche” con sede a Firenze in va della Robbia n. 46 alla Soc. Ceramica Richard-Ginori presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino.

11 Boccia 1965, p. 14.

12 Ivi, pp. 13-14.

13 Maggini Catarsi 1988, p. 31; De Donato 2014, p. 114.

14 Gnoni Maravelli 2017, p. 25.

15 De Donato 2014, p. 112.

16 L’esposizione ottocentesca mostrava anche attraverso la quantità la qualità dei prodotti docciani.

17 Rucellai 2008, p. 5; Gnoni Maravelli 2017, p. 25.

18 Si vedano le fotografie dell’epoca pubblicate in Maggini Catarsi 1988, pp. 28-29.

19 De Donato 2014, p. 113.

20 Liverani 1967, p. 48.

21 Maggini Catarsi 1988, p. 31.

22 La sala delle riunioni, a piano terra, organizzata per incontri di studiosi e manifestazioni culturali, funge anche da prima sala espositiva del materiale più antico. Cfr. Maggini Catarsi 1988, p. 31.

23 De Donato 2014, pp. 113-114.

24 Le due vetrine a muro intagliate sono ancora oggi conservate all’interno del museo. Per le immagini dell’epoca si veda Gregori 1965, pp. 20-21.

25 De Donato 2014, pp. 114-115.

26 Maggini Catarsi 1988, p. 31.

27 Ivi, p. 32.

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Le trasformazioni del Museo

L’allestimento del 1965 si mantiene inalterato, almeno nelle linee generali, fino alla fine del secolo scorso. Nel corso della seconda metà de Novecento si attuano solo piccole trasformazioni che però non possiamo definire organiche: si cambia, ad esempio, il contenuto di una vetrina ricorrendo all’esposizione a rotazione per dare maggiore visibilità agli oggetti custoditi in deposito, oppure si realizzano interventi limitati ad una singola zona del percorso museale1

Il cambiamento più significativo del percorso espositivo è lo spostamento della produzione di Giò Ponti dal piano terra al primo piano, avvenuto negli anni Novanta In questo periodo una delle due salette laterali, che in origine ospitava le cere tardo barocche, viene interamente destinata alla produzione del grande designer italiano: dai piatti in maiolica della serie intitolata “Le mie donne”, alle urne in porcellana, agli orci prospettici, alle “Mani”, agli elementi scultorei per il “Trionfo da tavola” per le ambasciate italiane2 Cambiamenti più significativi nell’allestimento avvengono a partire dai primi anni Duemila. Nel 2001 la nuova proprietà decide di rivedere il percorso espositivo, con il duplice obiettivo di valorizzare la ricchezza della collezione e di garantire una maggiore leggibilità

anche da parte di un pubblico non specializzato3

La prima esigenza si traduce nel rendere l’allestimento più interessante, puntando l’attenzione sulla varietà dei prodotti e offrendo una lettura alternativa a quella “cronologica”. L’allestimento del 1965 aveva puntato a mostrare la produzione più prestigiosa della manifattura dal punto di vista artistico, “censurando”, in un certo senso, gli altri settori della storia dell’azienda, come ad esempio la produzione degli isolatori elettrici o delle maioliche, all’epoca non ritenuti significativi o adatti ad una esposizione museale. Passati ormai quasi quaranta anni, il giudizio storico su queste tipologie di oggetti è cambiato, si è evoluto, e, soprattutto, il museo viene interpretato come deposito di una memoria in toto, memoria di tutta la storia della manifattura, e non solo come luogo espositivo delle opere più importanti4 La seconda esigenza è quella di dare maggiori informazioni ai visitatori, soprattutto a coloro che non conoscono in modo approfondito la storia della collezione. Il museo è infatti a questa data (2001) privo di pannelli informativi e quasi tutte le vetrine non hanno didascalie: aspetti questi che rendono “difficile” la lettura da parte di un pubblico meno colto.

Da queste diverse necessità nasce l’idea di creare, all’interno del percorso espositivo, delle aree tematiche per dimostrare che quella “cronologica” non è l’unica chiave di lettura possibile. La collezione può essere interessante per il visitatore anche da altri punti di vista, non solo da quello artistico, stilistico e formale, ma anche per altri aspetti a cominciare da quello tecnico, storico-economico, aspetti utili a comprendere la storia del costume, la storia politica, quella industriale, ecc. Le aree tematiche, dedicate ad esempio alle tecniche, ai committenti, o all’influenza orientale su forme e decori prodotti a Doccia, possono consentire al visitatore di scegliere alcuni aspetti specifici su cui concentrare la propria attenzione5. L’idea progettuale si traduce nell’inserimento, all’interno del percorso espositivo del primo piano, di alcuni totem verticali che hanno lo scopo di suggerire agli utenti le diverse chiavi di lettura e segnalare “visivamente” i temi della produzione da selezionare durante la visita6

Tutte le vetrine vengono svuotate e l’ordine ternario progettato da Berardi7, viene nei fatti “smontato” per creare un nuovo ordine espositivo, meno geometrico e razionale rispetto a quello degli anni Sessanta. Tuttavia, al fine di non annullare il senso unitario dello spazio, che da sempre ha caratteriz-

zato il salone del primo piano, si realizzano delle divisioni “ideali”, delle stanze senza pareti, utilizzando le vetrine per delimitarne i confini. Ogni ambiente è individuato da un totem informativo che ha un proprio “titolo” e riporta un’introduzione sintetica al singolo tema. L’effetto è duplice: da un lato sia rende più chiara la lettura del percorso e dall’altro si lascia libero il visitatore di scegliere in quale “stanza” entrare per approfondire la conoscenza del tema scelto.

Rispetto all’allestimento del 1965 il numero degli oggetti esposti, fuori e dentro le vetrine, viene sensibilmente aumentato. Ciò consente all’esperto collezionista di avere a disposizione più materiale di studio senza doversi recare in deposito, mentre il visitatore che non ha un interesse specifico, grazie all’impatto visivo dato dalla quantità degli oggetti esposti, può godere maggiormente del nuovo allestimento, anche dal punto di vista scenografico 8 Oltre ai totem, vengono installati alcuni pannelli didattici sulle pareti, aggiunte le didascalie alle vetrine e potenziata l’illuminazione.

Ulteriore novità, rispetto al 1965, è l’esposizione di alcuni disegni provenienti dall’archivio storico del museo e di alcuni modelli in gesso di grandi dimensioni come il grande “Vaso mediceo”, testi-

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pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo piano, allestimento 2003 (AMG, Foteteca)

monianza significativa dell’antica gipsoteca che costituiva il nucleo originario dell’antico museo di Doccia.

Alcune modifiche vengono realizzate anche al piano terra dove sono trasferiti i bassorilievi in cera (conservati nei cavalletti in legno), in origine esposti al piano superiore e ora collocati lungo la parete di ingresso. Nell’atrio le vetrine a muro vengono svuotate per creare ulteriori aree tematiche, quali appendici del percorso principale: vengono allestite le vetrine con gli isolatori elettrici e con gli strumenti medici, le vetrine con gli arredi da chiesa e con gli oggetti ispirati al repertorio etrusco, ecc., tutte opere che fanno parte integrante della storia della manifattura.

Per rispondere alle nuove esigenze della committenza vengono realizzati anche alcuni interventi edilizi che modificano la distribuzione interna del museo. Si tratta di lavori che alterano il grande ambiente centrale, sito al piano terra, attraverso l’inserimento di una struttura in cartongesso dalla forma semicircolare, del tutto estranea all’impianto razionalista degli anni Sessanta. La “Sala del fondatore” e l’annessa “saletta” vengono collegate e trasformate in un ampio show-room destinato all’esposizione dei prodotti moderni della manifattura, mentre il vano un tempo destinato a “nego -

zio” viene trasformato in “archivio-biblioteca”.

Il progetto, redatto dall’architetto Gian Battista Vannozzi9, prevede la realizzazione di uno spazio privo di illuminazione naturale: la lunga finestra a nastro del piano terra viene obliterata dal nuovo allestimento in cartongesso, caratterizzato da nicchie di varie dimensioni illuminate da faretti incassati. Il pavimento è realizzato in resina bianca, in totale contrapposizione con quello originario pensato da Berardi, in linoleum di colore grigio scuro.

I lavori, che comportano la chiusura del museo per circa un anno, vengono completati nel 2003.

Nello stesso periodo si ripresenta il problema delle infiltrazioni d’acqua causate sia dalla soluzione costruttiva del solaio di copertura (modesta pendenza del tetto e mancanza di guaina impermeabile) che dal sistema di smaltimento delle acque meteoriche (pluviali interni alla muratura).

Per queste motivazioni, in occasione del nuovo allestimento, si decide di intervenire anche all’esterno dell’edificio inserendo sui prospetti lunghi discendenti in rame e catene metalliche per lo scarico delle acque meteoriche (2002-2003)10.

Nel corso degli anni, tuttavia, i canali di doccia, oltre a degradarsi, si ostruiscono a causa delle foglie e degli aghi di pi-

no provenienti dagli alberi vicini. Le acque meteoriche, non convogliate correttamente, penetrano più volte nei locali interni del museo creando ristagni d’umidità, danni ai soffitti, al pavimento11 ed alle facciate esterne in laterizio12

Un ulteriore motivo di infiltrazioni è causato, in tempi recenti, dal sollevamento per il vento di alcuni pannelli di lamiera della copertura che sono volati via e non sono sostituiti13 Nel 2014 il museo, a causa del fallimento della proprietà, viene chiuso al pubblico. Il 27 novembre 2017 diventa di proprietà dello Stato italiano che lo acquista attraverso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Nel maggio 2018 il Polo Museale della Toscana, al quale l’immobile è assegnato14, promuove un intervento di “somma urgenza”15 al fine di risolvere definitivamente il problema delle infiltrazioni d’acqua e mettere in sicurezza il museo e la sua collezione. L’intervento, in vista di un futuro riassetto complessivo dell’edificio e della nuova definizione della sua gestione, ha il duplice obbiettivo di garantire, da un lato, una protezione supplementare a quella esistente con l’inserimento sulla copertura di una guaina bituminosa e di un sistema affidabile di pannelli isolanti, dall’altro di installare un nuovo

sistema di canali e pluviali in rame/alluminio per lo smaltimento delle acque meteoriche che garantisca un funzionamento minimo anche in situazioni di emergenza16

I lavori futuri, che saranno realizzati dalla Direzione Regionale dei Musei della Toscana (ex Polo Museale), avranno come principale obiettivo il restauro conservativo degli spazi interni del museo, compresi l’adeguamento e la messa a norma degli impianti tecnologici, il rifacimento dei servizi igienici e l’eliminazione delle barriere architettoniche17

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pagina precedente Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, primo piano, saletta laterale dedicata a Gio Ponti, allestimento 2003 (AMG, Foteteca) Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori, piano terra, sala centrale, allestimento 2003 (AMG, Foteteca)

1 De Donato 2014, pp. 122-123

2 Gnoni Maravelli 2017, p. 26.

3 Il passaggio di proprietà nel dicembre 2001 riporta il museo in seno alla Richard-Ginori 1735 S.p.a. e rappresenta una nuova tappa nella storia della collezione, offrendo l’occasione per rivedere l’allestimento che, a circa quaranta anni dall’inaugurazione, appare decisamente “Invecchiato”. Cfr. Rucellai 2008, p. 6.

4 De Donato 2014, pp. 123-124.

5 Rucellai 2008, p. 6.

6 De Donato 2014, p. 124.

7 Berardi aveva disposto le vetrine al primo piano del museo in gruppi di tre.

8 De Donato 2014, pp. 125-126.

9 L’architetto Gian Battista Vanozzi ha realizzato per la Richard-Ginori vari decori e forme per le porcellane e si è anche occupato dell’allestimento di alcuni stand espositivi dei prodotti della manifattura in occasione di fiere.

10 Presso l’Archivio Storico del Comune di Sesto Fiorentino sono conservate le pratiche degli interventi

edilizi realizzati nel corso del tempo.

11 Sulla facciata posteriore i pluviali sono realizzati con sezioni quadrate in rame per riprendere il colore dei mattoni, mentre sulla facciata principale sono realizzati in alluminio di colore naturale. Su entrambi i prospetti i pluviali non sono installati fino a terra, ma “interrotti” a varie altezze. Il sistema adottato nel 2001 prevede che le acque piovane siano indirizzate a dei pozzetti aperti con ciottoli drenanti mediante catene o bocchette di convogliamento.

12 I pozzetti si sono rapidamente riempiti di terra e piante, risultando nel tempo totalmente ostruiti. Le tubazioni nel terreno si sono riempite di radici diventando irrecuperabili, nonostante un’indagine sui documenti d’archivio ha consentito di ritrovare i progetti dei vari interventi e la posizione delle tubature.

13 La situazione è stata tamponata con “toppe” di guaina bituminosa.

14 Il museo è stato consegnato al Polo Museale della Toscana (struttura periferica del MiBACT) dall’Agenzia del Demanio dello Stato, Direzione Regionale Toscana e Umbria, in data 29 marzo 2018.

15 Cfr. Art. 163 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 “Codice dei contratti pubblici” e s.m.i. e art. 23 del D.M. 22 agosto 2017, n. 154 “Regolamento sugli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004, di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016”.

16 Il prof. arch. Carlo Blasi dello Studio “Comes Studio Associato di Ingegneria e Architettura” con sede a Sesto Fiorentino (FI) ha ricevuto l’incarico dal Polo Museale della Toscana per la progettazione dei lavori di somma urgenza. I lavori, conclusi nel gennaio 2019, sono diretti dall’arch. Vanessa Mazzini ed eseguiti dalla Ditta “Restauri Artistici e Monumentali di Fabio Mannucci snc”, con sede legale in via Mannelli n. 3/r, 50136 Firenze.

17 Mazzini 2018, p. 21.

La tutela del Museo: il Decreto di vincolo del 2012

Grazie all’attività didattica, agli studi scientifici, alle mostre, il museo Richard-Ginori diventa negli anni un organismo dinamico, un punto di riferimento importante per la formazione dei giovani e generatore di idee per i futuri designers.

Nel 2012, in considerazione dello stretto legame fra la collezione e il fabbricato appositamente progettato per contenerla, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali nel 2012 emana un decreto di “vincolo” (D.D.R. n. 232 del 15 maggio 2012) 1 con il quale il “Museo della Manifattura di Doccia” è dichiarato di “particolare interesse culturale per quanto riguarda l’edificio e i relativi arredi di allestimento museale”, e di “eccezionale interesse per quanto riguarda i nuclei costituenti l’intera collezione”, e quindi sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella Parte II del D.lgs. 42/2004 e s.m.i. “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. Inoltre, vista l’unitarietà inscindibile della collezione e la stretta relazione di quest’ultima con l’immobile, appositamente progettato e realizzato per ospitarla, è dichiarata la pertinenzialità di tutti gli oggetti costituenti la collezione stessa e l’edificio destinato a museo2

Al provvedimento di tutela è allegato un inventario aggiornato comprendente tutti i manufatti, incluso anche il gruppo di modelli e forme attualmente presente nella manifattura (ubicata in prossimità del museo), suddivisi in sette nuclei: i beni storico-artistici (cere, calchi in bronzo, opere docciane e del museo ceramico comparativo), il “Museo delle terre”, i modelli in gesso, le impronte in zolfo dei cammei e delle medaglie, le forme storiche in gesso e i loro positivi, le lastre in metallo incise e le pietre cromolitografiche3

In considerazione della grande quantità di beni mobili tutelati, il provvedimento ministeriale (D.D.R. n. 232 del 15 maggio 2012) prevede la possibilità di adottare, nella gestione della valorizzazione dei beni stessi, modalità di esposizione congruenti con la capienza del museo, anche sperimentando eventuali rotazioni nell’esposizione, pur assicurando lo stretto legamene tra l’edificio e la collezione nel suo insieme4

Anche l’archivio storico della Società Richard-Ginori è stato riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali di “notevole interesse storico” con un primo decreto di vincolo nel 1979 e successivamente nel 1999, infine nel 2012 è stato dichiarato pertinenziale all’edificio e al museo al fine di assicurare la “memoria della produzione

dell’impresa” e mantenere l’integrità del complesso che costituisce un caso straordinario nel contesto internazionale5

Nel 2014 con il fallimento della società proprietaria e la chiusura del museo, per la mancata manutenzione si sono verificate situazioni di rischio per l’’edificio, per gli arredi e per la conservazione dei materiali più delicati. Le preoccupanti condizioni generali hanno portato al trasferimento dell’Archivio Storico, nel novembre 2015, presso l’Archivio di Stato di Firenze e alcune cere, aggredite da muffe, sono state in parte restaurate e spostate nel luglio 2016 negli ambienti climatologicamente più stabili della manifattura. La situazione del museo, dopo due aste andate deserte, ha una svolta nel novembre 2017, quando il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Dario Franceschini, decide di acquisire il museo (edificio e collezione) al patrimonio dello Stato prospettando la costituzione di una Fondazione per garantire un piano di gestione teso a realizzare il restauro dell’edificio, i necessari adeguamenti normativi e la riapertura espositiva di questo importante museo di impresa.

Il 9 dicembre 2019 l’annuncio citato è diventato realtà. Presso i locali dell’antica villa di Doccia, oggi biblioteca comunale, il Ministro per i Beni e le At-

tività Culturali e per il Turismo, Dario Franceschini, il Presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, e il Sindaco di Sesto Fiorentino, Lorenzo Falchi, sottoscrivono l’atto costitutivo della “Fondazione Museo Archivio Richard-Ginori della Manifattura di Doccia”.

La Fondazione ha le seguenti finalità: ricostruire un quadro conoscitivo su cui basare la futura elaborazione di un programma strategico di sviluppo culturale, così come previsto dall’art.

112 del D.Lgs 42/2004 “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”; identificare i principi-guida per la predisposizione del progetto culturale museografico, così come di valorizzazione culturale nel senso più ampio; delineare gli elementi principali del modello giuridico-istituzionale ed operativo mediante cui configurare il nuovo Museo-Archivio.

D.D.R. n. 232/2012.

2 Ivi, p. 9.

3 Gnomi Maravelli 2017, p. 26.

4 D.D.R. n. 232/2012, p. 9.

5 Gnomi Maravelli 2017, p. 26.

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pagina precedente Museo Richard-Ginori, fine anni Sessanta: vista notturna del prospetto principale (ASF, Fondo Ginori, Fototeca)
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Quadro conoscitivo
Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni

pagina precedente

Sesto Fiorentino, ortofoto, 1954.

Sesto Fiorentino, ortofoto, 1963.

Sesto Fiorentino, ortofoto, 1978.

Sesto Fiorentino, ortofoto, 1988.

Sesto Fiorentino, ortofoto, 2002.

Sesto Fiorentino, ortofoto, 2013. (Regione Toscana, Geoscopio)

Inquadramento territoriale

Inquadramento territoriale e urbanistico

L’edificio è ubicato nella “Piana Fiorentina”, a Sesto Fiorentino, ad est del nucleo storico della città. E’ situato di fronte alla Manifattura, esattamente parallelo ad essa, a sua volta posta lungo l’asse della ferrovia che collega Firenze a Prato. Negli anni Sessanta il museo viene costruito sulla strada che collega perpendicolarmente la fabbrica alla via Pratese, dove si apre l’accesso principale al nuovo edificio, filtrato sul fronte da un ampio parco lasciato a parto.

All’epoca, come si può desumere dalla cartografia storica, la zona risulta essere ancora campagna, scarsamente costruita. Nei decenni successivi l’area si satura progressivamente in seguito all’espansione della città e dell’area industriale tra Sesto Fioentino e Calenzano. La Manifattura ed il Museo vengono così inglobati nel tessuto cittadino. Dal punto di vista urbanistico, il museo Richard-Ginori è ubicato nel Comune di Sesto Fiorentino (FI) in via Pratese n. 31 e risulta identificato al N.C.E.U. al foglio n. 44, particella 1500, sub. 1. Ai sensi del Regolamento Urbanistico vigente il museo e la sua area di pertinenza si inseriscono nel subsistema denominato “Aree urbane non consolidate da mantenere” e rientrano nella categoria degli Edifici storici.

Le “Aree urbane non consolidate da mantenere” sono definite, ai sensi dell’art. 25 del N.TA del RU, quelle “porzioni del territorio urbano nelle quali il Piano Strutturale ammette interventi di trasformazione complessiva volti a ridefinire la configurazione morfologica per ottenere una migliore connessione, fisica e funzionale con le altre componenti del sistema insediativo, demandando al Regolamento Urbanistico il compito di distinguere le porzioni non interessate da trasformazioni urbanistiche per le quali si deve mantenere l’assetto preesistente”. Per gli edifici esistenti, come il caso in oggetto, sono consentiti interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia R1 e R2. Ai sensi dell’art. 33, comma 1, delle N.T.A. del RU, “Gli edifici storici e le loro pertinenze, individuati nella tavola 1, sono raggruppati in diverse categorie in base alle caratteristiche tipologiche e al grado di significatività e di permanenza delle stesse. Tale classificazione è riportata nella tavola 2”. Nella tavola citata il museo è classificato come Unità edilizia speciale a struttura modulare – (H) e ai sensi dell’art. 24 dell’Appendice 2 è definito come Unità edilizia storica ovvero “unità edilizia caratterizzata da una struttura seriale, con vani di dimensioni simili ripetu-

ti in sequenza, con ambienti interni sostanzialmente paritetici, e con sistemi distributivi orizzontali lineari, quali corridoi, porticati e simili. Si tratta in genere di edifici di particolare rilevanza architettonica, inizialmente adibiti a funzioni speciali con esclusione delle produttive e delle residenziali. Rientrano in questa categoria gli edifici con struttura architettonica a vani paritetici, raramente gerarchizzati, come gli edifici per uffici, i conventi, le scuole, gli ospedali, ecc. In alcuni casi possono presentare caratteri architettonici di particolare rilievo e costituire complessi monumentali, anche in associazione a sistemazioni esterne come giardini e parchi”.

Inoltre il complesso denominato “Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia”, costituito dall’edificio con i relativi arredi di allestimento museale e dalla collezione dei beni della Manifattura di Doccia è tutelato con D.D.R. del 15 maggio 2012 in quanto riveste, per quanto riguarda l’immobile e i relativi arredi di allestimento museale, “interesse culturale particolarmente importante” per il suo riferimento con la storia dell’arte e della cultura in genere ai sensi dell’art. 10 comma 3 lettera d del D.Lgs. 42/2004 e ss.mm.ii. e, per quanto riguarda i nuclei costituenti l’intera collezione, “eccezionale interesse artistico e storico” ai sensi

dell’art. 10 comma 3 lettera e del medesimo decreto legislativo.

L’area in cui insiste l’immobile è di “interesse storico archeologico particolarmente importante” ai sensi dell’ex legge 1089/39, come risulta dalla declaratoria 27 maggio 1988 del Ministero dei beni culturali e ambientali, Soprintendenza Archeologica di Firenze.

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Metodologie di rilievo

La campagna di rilievo si è svolta in più fasi. Un primo sopralluogo a Giugno 2019 ha permesso di iniziare a conoscere le attuali condizioni dell’edificio, chiuso al pubblico dal 2014. Al suo interno il tempo sembra essersi fermato. Tutto è stato lasciato al suo posto, come dopo un normale giorno di apertura, ad eccezione delle teche espositive, accorpate e sigillate al fine di proteggerle insieme al loro contenuto.

La decisione è stata presa in seguito all’aggravarsi del problema delle infiltrazioni di acqua all’interno dell’edificio, che hanno reso necessario un intervento di somma urgenza sulla copertura nel 2019.

Lo stato attuale è stato documentato con un’ampia documentazione fotografica degli esterni e degli interni.

Sono stati consultati gli elaborati grafici esistenti sull’edificio: la pratica depositata dallo Studio San Giorgio al Comune di Sesto Fiorentino, varianti e pratiche edilizie successive al 1965, relazione di collaudo della struttura, elaborati dello Studio Gian Battista Vannozzi relativi alla realizzazione della nuova sistemazione delle sale espositive a piano terra nel 2002, etc. Gli elaborati, in parallelo ai sopralluoghi e al rilievo, sono risultati utili nella comprensione dei cambiamenti che ha subito l’edificio nel tempo e degli aspet-

ti strutturali e impiantistici che non è stato possibile approfondire con il rilievo diretto.

L’acquisizione dei dati per la documentazione dei caratteri geometrico-dimensionali, è avvenuta con tecnologia laser scanner. Il rilievo strumentale è stato complementare al rilievo diretto, eseguito con metro e distanziometro laser. Lo strumento utilizzato è Faro Focus M70 a variazione di fase, strumento panoramico in grado di misurare ogni elemento presente secondo un angolo di 360° sul piano orizzontale e di 310° sul piano verticale. Generando un impulso elettromagnetico a emissione continua, misura la differenza di fase tra il segnale di andata e di ritorno e trasforma il dato rilevato in un insieme di punti posti all’interno dello spazio cartesiano. Le acquisizioni all’esterno sono state impostate con una durata di 4 minuti ognuna e una risoluzione (distanza tra un punto e l’altro su un piano posto a dieci metri) data da una griglia di punti a 6 mm, e all’interno con una durata di 3 minuti ognuna e una griglia di punti distaziati di 7,7 mm. Le scansioni, in totale 268, sono state realizzate in tre giornate di lavoro, una per l’acquisizione dell’esterno e due per gli ambienti interni. Tutti gli spazi sono risultati accessibili e rilevabili dallo strumento, sebbene il lavoro sia stato reso più difficoltoso dalla presenza

delle grandi scatole contenenti le vetrine e la collezione (piano primo e sale espositive a piano terra) e dalla grande quantità di materiale stipata negli ambienti di servizio (magazzino e locale impianti). Altro elemento di disturbo nell’acquisizione dello strumento sono stati i fenomeni di rifrazione causati dalle numerose superfici vetrate in entrambi i piani. Le scansioni effettuate sono state allineate in una unica nuvola di punti, successivamente elaborata con il software Leica Cyclone al fine della restituzione degli elaborati grafici. Nel modello sono stati impostati dei piani di taglio, orizzontali per le piante e verticali per le sezioni e i prospetti e sono state estratte delle ortofoto che hanno permesso di ricostruire con precisione gli aspetti geometrici del manufatto.

All’esterno, all’acquisizione laser scanner, è stato affiancato anche il rilievo fotogrammetrico per ricostruire la documentazione materica degli elevati. Ad una attenta campagna fotografica, realizzata con macchine fotografiche digitali reflex (Nikon D5100 e Nikon D7500) è seguita l’elaborazione digitale con il software Photoscan da cui sono stati elaborati i fotopiani. A partire dalle immagini fotografiche è stata generata una nuvola densa di punti dei prospetti esterni e successivamente un modello tridimensionale al qua-

le sono state assegnate le caratteristiche materiche. Il modello così ottenuto è stato poi scalato e geroreferenziato con l’aiuto delle coordinate scelte nella nuvola laser scanner.

Dei saggi realizzati precedentemente alla campagna di rilievo nei controsoffitti hanno permesso di verificare l’altezza di imposta dei solai (interpiano e di copertura) e delle travi, mentre non è stato possibile verificare le fondazioni e la copertura, inaccessibile dall’interno, per la quale la fonte sono state le fotografie del recente intervento del 2019. Questi dati sono stati poi incrociati con le informazioni ricavate dagli elaborati esistenti consultati. Sono state prodotte piante, sezioni trasversali e longitudinali, prospetti e una sezione di dettaglio.

In seguito allo studio degli aspetti puramente dimensionali del manufatto, l’attenzione è stata rivolta all’analisi degli aspetti distributivi, funzionali, oltre che strutturali, tecnologici e impiantistici dell’edificio.

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Rilievo
pagina precedente Vista complessiva della nuvola di punti di Cyclone. Ortofoto del prospetto nord, estratta dalla nuvola di punti di Cyclone; dettaglio.

Fasi del rilievo

1. sopralluogo e documentazione fotografica

2. consultazione degli elaborati grafici esistenti

3. rilievo laser scanner

4. rilievo diretto

5. rilievo fotogrammetrico

6. restituzione grafica

Strumentazione per il rilevamento

• Laser scan Faro Focus M70 a variazione di fase

• Fotocamere reflex digitali: Nikon D5100 e Nikon D7500

Supporto tecnico per il rilievo strumentale

Arch. Francesco Tioli, Lab. di Rilevo dell’Architettura

Dipartimento di Architettura - DIDA Università degli Studi di Firenze

Software per la restituzione

• Leica Cyclone

• Agisoft PhotoScan

• Autodesk Autocad

• Adobe Photoshop

pagina precedente Sezioni trasversali ("slice") estratte dalla nuvola di punti di Cyclone.

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Estratti dell’elaborazione su Photoscan.

pagina precedente Campagna fotografica, vedute esterne da/verso l’ingresso da via Pratese

sotto Rilievo geometrico, planimetria pagine successive Rilievo geometrico e fotogrammetrico, prospetti nord e sud

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Rilievo geometrico e fotogrammetrico, dettaglio prospetto nord, scala 1:100

Rilevo geometrico e fotogrammetrico, prospetto ovest, scala 1:100 pagine successive Rilievo geometrico, pianta piano terra e piano primo

94

pagina precedente Rilievo geometrico, sezioni, scala 1:100 sotto Analisi accessibilità

95

pagina precedente

Rilievo geometrico, sezioni, scala 1:100 sotto

Localizzazione impianti

pagine successive Rilievo geometrico, sezioni

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Analisi degli esterni

L’edificio del Museo è realizzato con struttura in calcestruzzo armato, rivestito su tutti i lati da una doppia parete in mattoni con intercapedine per il passaggio di impianti. All’esterno il paramento in laterizio è caratterizzato da filari orizzontali alternati in aggetto a creare un gioco di luci ed ombre. Il basamento è evidenziato da una fascia in pietra forte. Gli infissi di tutto l’edificio sono rivestiti in alluminio brunito, così come il rivestimento frontale scanalato orizzontalmente e le scossaline. Il fronte nord è caratterizzato dalla lunga vetrata di cristalli “Termophane” a doppia lastra saldata con lastra esterna in cristallo atermico. Sul lato sud vi è invece una lunga finestra a nastro e due porte di emergenza con le stesse finiture. L’ingresso al Museo è segnato da una pensilina aggettante in calcestruzzo, rivestita con pannelli in alluminio in cui sono ritagliate le lettere della scritta “Museo di Doccia” illuminate da diffusore in Perspex. Si accede tramite infissi sempre in alluminio, protetti da serranda di sicurezza in acciaio, scorrevole, con apposito vano all’interno della muratura. La copertura, in lamiera grecata, è stata interamente sostituita nel 2018 con l’aggiunta di una guaina e pannelli isolanti. Nello stesso anno sono stati installati anche i nuovi pluviali in rame e acciaio.

Con la definitiva chiusura al pubblico nel 2014, il complesso museale vede l’inizio di un periodo di abbandono dell’intera struttura. All’esterno, così come all’interno, il tempo si è fermato e tutto è rimasto immobile. Il degrado del complesso è quindi dovuto principalmente alla mancata manutenzione in questi anni di abbandono e il fenomeno più grave è rappresentato dall’umidità meteorica e dalle infiltrazioni provenienti dalla copertura, prima del suo recente rifacimento. I pluviali, progettati internamente alla struttura, hanno da sempre presentato problemi di frequenti occlusioni, data la difficoltà delle operazioni di manutenzione e pulizia, e hanno causato quindi vasti fenomeni di macchie di umidità sul paramento esterno in laterizio, con conseguenti aree di efflorescenza salina. Nel 2018, un intervento di somma urgenza ha previsto il rifacimento della copertura e la posa di nuovi pluviali esterni fino a terra, in alluminio e rame sul fronte principale, in rame su quello posteriore. L’intervento ha risolto la causa del degrado ma gli effetti sono ancora evidenti sui paramenti esterni.

Nella parte alta dei prospetti, così come sulle scossaline in alluminio, sono presenti segni di percolazione per effetto del ruscellamento dell’acqua piovana. L’alluminio utilizzato per gli esterni si presenta in generale in buo-

no stato. Gli infissi esterni in alluminio brunito presentano macchie di ruggine, così come la serranda scorrevole di ingresso. Si riscontrano alcune vetrate del piano superiore danneggiate, con lesioni di probabile causa meteorica o antropica. Effetto della mancata manutenzione delle aiuole verdi è la crescita di una folta vegetazione infestante alla base dell’edificio, che ha ulteriormente incrementato il livello di umidità delle murature e la formazione di colonizzazione biologica. La scritta luminosa indicante il nome del museo, simbolo rappresentativo dell’edificio, è ora non più funzionante e presenta diverse lacune nella parte in alluminio.

I principali interventi che si intendono apportare alle facciate esterne per un restauro accurato sono quindi:

• Pulitura dei paramenti in laterizio tramite spazzolatura al fine di rimuovere materiale fine disgregato o friabile;

• idrolavaggio della superficie al fine di rimuovere ogni traccia di deposito e conseguente consolidamento-protezione al fine di preservare la superficie dalle azioni meteoriche;

• risarcitura puntuale dei giunti dei mattoni erosi mediante uso di spatola con malta di calce di composizione e colore di fondo simile all’originale;

• rimozione degli infestanti vegetali, accurato lavaggio della superficie lapidea a contatto e trattamento biocida;

• pulitura delle parti in alluminio mediante impacco a base di soluzioni acide a base di fosfato di ammonio e successivo idrolavaggio della superficie;

• sostituzione delle vetrate lesionate;

• sostituzione delle parti in alluminio mancanti.

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Diagnostica
pagina precedente dall'alto in senso orario Foto dello stato di degrado prima dell’intervento del 2018 Foto dell’intervento (2019) Foto dello stato attuale; Presenza di elementi incoerenti e barriere architettoniche Analisi dello stato di degrado, dettaglio prospetti nord e sud, scala 1:100
103

Analisi della consistenza materica, dettaglio prospetti nord e sud, scala 1:100

pagina successiva Materiali esterni

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Analisi degli interni

Al piano terra le pareti interne sono rifinite con intonaco bianco, nel corridoio principale sono rivestite con pannelli compound originali RIV su armatura prefissata alle pareti in muratura. Allo stesso modo era rifinita in origine anche la sala centrale, ora coperta da una struttura posteriore in cartongesso. Al primo piano le pareti senza finestrature sono rivestite con campigiane speciali in cotto fatte a mano e sabbiate. La pavimentazione di tutti i locali ad accesso del pubblico è realizzata con pannelli in linoleum di colore grigio scuro, mentre i locali di servizio sono in piastrelle di ceramica e i depositi e locali tecnici in cotto. Per quanto riguarda la struttura, il solaio centrale è ad armatura incrociata di tipo “STIMIP” della RDB a travetti di calcestruzzo con altezza totale 45 cm. Ad esso è agganciato il controsoffitto originale in pannelli in gesso fibrato forellato per il passaggio a pioggia dell’aria di riscaldamento e condizionamento, passante nelle sovrastanti canalizzazioni. Lo stesso vale per il solaio di copertura, con struttura in latero-cemento e trave a T in calcestruzzo armato di altezza variabile, sempre coperto dai pannelli in gesso. L’illuminazione è stata disposta al fine di evidenziare la linearità degli spazi dell’architettura, sia al piano terra che al piano superiore,

tramite lunghe plafoniere continue. Le due scale principali di accesso al piano primo, sono anch’esse rivestite dalla pavimentazione in linoleum e presentano i parapetti originali in cristallo temperato.

Negli ambienti interni del museo la causa principale di degrado è sicuramente l’umidità causata dalle persistenti infiltrazioni di acqua dalla copertura. Questa ha creato vaste macchie di efflorescenza salina sul paramento in laterizio interno. L’umidità ha deteriorato ampie zone del controsoffitto in gesso che si mostra sgretolato e mancante in alcuni punti; gli agganci al solaio si presentano deteriorati ed arrugginiti, spesso mancanti. L’acqua stagnante sul pavimento ha provocato il sollevamento dei pannelli in linoleum. In generale si nota un diffuso deposito superficiale di polveri e sporcizia. L’illuminazione delle plafoniere continue con lampade ad incandescenza non è più funzionante. Il sistema aeraulico di mandata e ripresa dell’aria in tutti i locali, con impianto condizionatore multi-zone nel locale tecnico, non è più funzionante. Nel 2002 sono stati quindi installati degli ingombranti impianti di climatizzazione con unità esterne, che hanno deteriorato il lungo prospetto a sud, sia interno che esterno. I locali tecnici e i servizi igienici risultano molto degradati.

Sulle pareti e i soffitti in intonaco del piano terra sono visibili ampie porzioni distaccate di pellicola superficiale. Gli infissi apribili sono bloccati a causa del prolungato inutilizzo e la presenza di ruggine.

107
pagina precedente Foto dello stato di degrado degli ambienti interni al piano terra e al piano primo

Analisi dello stato di degrado degli ambienti interni, legenda sezione e fotografie pagine successive sezione, scala 1:50

ANALISI MATERICA - TECNOLOGICA

Pannelli di lamiera grecata; Barre di sostegno in acciaio; Solaio di copertura di tipo latero-cemento;

Trave a T in CA di altezza variabile;

Controsoffitto in pannelli in gesso fibrato forellato per il passaggio a pioggia dell’aria di riscaldamento e condizionamento (60x60 cm) appesi al solaio con fili di metallo.

Illuminazione a plafoniera continua.

Canalizzazioni aerauliche di mandata.

Canalizzazioni aerauliche di ripresa.

Vetrate fisse con telaio in alluminio brunito e cristalli “Termophane” a doppia lastra saldata con lastra esterna in cristallo atermico;

Rivestimento montanti in alluminio brunito.

Rivestimento frontale in alluminio brunito scanalato orizzontalmente.

Parapetto scala in cristallo temperato.

Rivestimento con campigiane speciali in cotto fatte a mano e sabbiate provenienti dalla tenuta di San Guido in Bolgheri, Livorno.

Pensilina in CS;

Fascia in alluminio brunito con lettere ritagliate e diffusore in Perspex;

Infisso in alluminio brunito;

Serranda di sicurezza in acciaio. Pavimento in Linoleum (Gomme Pirelli).

Solaio cetrale ad armatura incrociata di tipo “STIMIP” della RDB a travetti di CA di cm 12 con sovrastante caldana di cm 5 e altezza totale cm 45; Controsoffitto in pannelli in gesso fibrato forellato per il passaggio a pioggia dell’aria di riscaldamento e condizionamento (60x60 cm) appesi al solaio con fili di metallo.

Rivestimento in pannelli compound originali RIV dello spessore di 12,5 mm su armatura prefissata alle pareti in muratura.

Pannelli in cartongesso.

Struttura portante in pilastri di c.a. con doppia parete in laterizio ed intercapedine con passaggio di impianti.

Struttura delle fondazioni (non rilevata) costituita da travi continue e cordoli di c.a..

ANALISI DELLO STATO DI DEGRADO

La copertura è stata oggetto di un recente intervento di sostituzione nel 2018. Non presenta fenomeni di degrado.

Controsoffitto in gesso con gravi problemi di umidità e conseguenti fenomeni di sgretolamento e mancanze; agganci al solaio deteriorati e arruginiti, spesso completamente distaccati.

Lampade ad incandescenza non più funzionanti.

Impianto non più funzionante.

Impianto non più funzionante.

Vetrate in cristallo rotte in alcuni punti; telaio in alluminio distaccato in alcuni punti.

Rivestimento esterno con macchie di ruggine e colaticcio.

In buono stato.

Numerose macchie di umidità ed efflorescenze saline causate dalle infiltrazioni dalla copertura.

Sistema di illuminazione diffusa non più funzionante; Perdita/caduta di alcune parti della scritta; Macchie di ruggine.

Pavimento in Linoleum sollevato con bolle di umidità; Controsoffitto in gesso con gravi problemi di umidità e conseguenti fenomeni di sgretolamento e mancanze; agganci al solaio deteriorati e arruginiti, spesso completamente distaccati.

Pannelli originali in buono stato.

I pannelli in cartongesso sono stati posati nel 2003 in occasione del rinnovamento dell’allestimento.

Struttura portante in buono stato di conservazione. Non rilevata.

1_ 2_ 3_ 4_ 5_ 6_ 7_ 8_ 9_ 10_ 11_ 12_ 13_ 14_ 15_ 1_ 2_ 3_ 4_ 5_ 6_ 7_ 8_ 9_ 10_ 11_ 12_ 13_ 14_ 15_
109 1 7 8 9 12 13 10 11 3 5 2 6 4
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Progetto di recupero

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Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni

Il restauro del Museo

Criticità e strategie di intervento

Il dettagliato quadro conoscitivo acquisito ha permesso di individuare le criticità dell’edificio e di sviluppare un progetto di recupero che tenesse conto dei caratteri identitari dell’architettura in esame. L’edificio, estremamente moderno e innovativo dal punto di vista tecnologico al tempo della sua costruzione, presenta adesso la necessità di un adeguamento dal punto di vista normativo, funzionale e impiantistico. Particolare importanza nello sviluppo della proposta di recupero è stata riservata al confronto tra lo stato originario e lo stato attuale. La distribuzione interna dell’edificio nel tempo è stata pressochè mantenuta, se non per modifiche al piano terra che in particolare hanno interessato le sale centrali, dove originariamente erano previsti un salone/biblioteca e un negozio, mentre nel 2003 è stato realizzato lo showroom che, con delle pareti in cartongesso, ha chiuso la vetrata a nastro continua che illuminava la sala e ha ridisegnato completamente lo spazio interno con un sistema di nicchie espositive.

Esterni

Per quanto riguarda gli spazi esterni l’unica operazione prevista è la sostituzione della pavimentazione, adesso in asfalto, con una più permeabile (tipo levocell), ipotizzando che l’ accesso da via Pratese non sia più carrabile ma esclusivamente pedonale. L’accesso carrabile, per i lavoratori del museo/ archivio e per i disabili rimane sul retro dell’edificio dove si trova il parcheggio. Inoltre si prevede la pulitura del paramento di mattoni esterni, interessanti da ampi fenomeni di umidità e sul fronte est, l’unico cieco, l’apertura di una porta speculare a quella della facciata ovest, esistente nel progetto originale depositato in Comune ma mai realizzata. La nuova porta permette l’accesso diretto dall’esterno al nuovo vano ascensori/montacarichi.

Sistema distributivo-funzionale

La necessità di adeguamento delle dotazioni spaziali necessarie per l’accoglienza dei visitatori è risolta prevedendo una nuova biglietteria nell’atrio di ingresso, uno spazio guardaroba dotato di armadietti, dei bagni accessibili anche da persone disabili e inoltre uno spazio caffetteria/bookshop.

Si ripristina poi il grande salone centrale (la “sala del fondatore”) che sarà nuovamente spazio espositivo e ambiente multifunzionale dedicato a conferenze ed eventi.

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pagina precedente Progetto, prospetti nord e sud

scala di servizio esistente utilizzata come scala di emergenza antincendio, inserimento in copertura di finestra ad apertura automatica per evacuazione di fumo e calore

inserimento vano ascensore (1,10 x 1,40 m) e montacarichi (1,60 x 1,80 m)

sostituzione dei rivestimenti danneggiati (pavimento di linoleum e controsoffitto in pannelli di gesso), progettazione nuovo sistema di allestimento con il riutilizzo delle teche esistenti e nuovi elementi espositivi

sostituzione vetri danneggiati con tipologia originale e inserimento di schermatura regolabile della luce naturale con sistema di veneziane automatizzate

apertura sul prospetto est di nuovo vano porta, come originariamente previsto dal progetto dell’Arch. Berardi

nuova sistemazione del deposito per la conservazione degli oggetti della collezione non esposti

riorganizzazione dei servizi per i visitatori, prevedendo bagni accessibili, guardaroba, caffetteria, bookshop eliminazione delle superfetazioni in cartongesso e ripristino degli spazi originali: spazio multifunzionale con funzione di sala espositiva, sala conferenze, workshop, eventi nuova biglietteria/punto informazioni

rampa a struttura leggera con rivestimento in corten per l’abbattimento delle barriere architettoniche

riorganizzazione dello spazio dedicato all’archivio/biblioteca dotato di ufficio, sala consultazione e ingresso autonomo (accesso riservato)

riduzione delle dimensioni del locale tecnico, adeguamento impiantistico, posizionamento nuovi macchinari: unità di trattamento aria e pompa di calore

messa a norma dell’impianto elettrico con predisposizione a terra di prese elettriche per eventuale illuminazione dei pannelli espositivi

sostituzione, dove necessario, delle canalizzazioni dell’impiano di riscaldamento/climatizzazione posizionate nei cavedi e nei controsoffitti

sostituzione degli infissi con tipologia apribile

nuova scala di emergenza antincendio, inserimento in copertura di finestra ad apertura automatica per evacuazione di fumo e calore

Archivio e spazio espositivo

Il patrimonio afferente al museo è distinto in diversi nuclei:

• modelli, sculture, manufatti plastici e ceramici (esposti nel museo e conservati nei depositi, n. 9000 circa)

• museo delle terre (nel museo e conservati nei depositi, n. 820 circa)

• forme storiche in gesso “a tasselli” e loro positivi (conservate nella fabbrica)

• modelli in gesso (conservati nella fabbrica, n. 1569)

• impronte in zolfo di cammei (esposti nel museo e conservati nei depositi, n.1510 circa)

• lastre in metallo incise (conservate nella fabbrica, n. 3330 circa)

• cromolitografie (conservate nella fabbrica, n. 3400)

L’Archivio del Museo della Manifattura di Doccia poi Museo Richard-Ginori (ora in deposito presso l’Archivio di Stato di Firenze) è suddiviso in cinque sezioni principali:

• la “Biblioteca Antica” (1737-2000, 30 metri lineari)

• il carteggio (1820-1930, 4 metri lineari)

• i registri di fabbrica e di magazzino (1801-1970;2005;2011, 20 metri lineari)

• la sezione iconografica con i tariffari (1896 ca.-2005, 338 pezzi/5 metri lineari), gli schizzi, i disegni, gli spolveri

• la fototeca antica e moderna (1900 ca. - 1965 ca., 81 pezzi, scatole/album/pacchi contenenti foto e cartelle/ 5 metri lineari)

• diplomi (1900 ca.-1965 ca., 3 cartelle di diplomi)

• disegni 6765 pezzi

Da queste premesse la necessità di offrire maggiori spazi all’archivio, luogo di conservazione e di studio, e di mantenere un ampio spazio di deposito per le opere non esposte, anche in previsione di un allestimento che possa variare nella tipologia di esposizione nel tempo.

Lo spazio archivio, calcolato in base al materiale da contenere, è stato progettato dove originariamente era stato previsto il negozio. La sala è direttamente accessibile dall’ufficio, dove si trova anche una zona di sala consultazione. Un ulteriore spazio di deposito è ricavato al posto della vecchia centrale termica, dove il pavimento viene rialzato di un metro per raggiungere il piano del museo.

Finiture

Le problematiche di degrado delle finiture sono dovute alle infiltrazioni di acqua dal tetto prima dell’intervento del 2019. Al fine di mantenere il carattere identitario dell’edificio si mantengono le finiture originarie, con la sostituzione dei pavimenti in linoleum di co-

lore simile, il restauro del rivestimento in pannelli, il rifacimento degli intonaci dove necessario, la pulitura del rivestimento in mattoni al piano superiore. E’ prevista anche la sostituzione dei controsoffitti con tipologia simile, mantenendo i lunghi nastri luminosi che saranno sostituiti con luci LED.

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pagina precedente Esploso assonometrico
stato originale da progetto Arch. Berardi stato attuale progetto

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Analisi distributiva, confronto, piano terra

Analisi distributiva, confronto, piano primo

stato originale da progetto Arch. Berardi stato attuale progetto
stato originale da progetto Arch. Berardi stato originale da progetto Arch. Berardi stato attuale stato attuale progetto progetto

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Analisi funzionale, confronto, piano terra

Analisi funzionale, confronto, piano primo pagine successive Pianta piano terra, Pianta piano primo

stato originale da progetto Arch. Berardi stato attuale progetto
123

Accessibilità

Il museo ha accesso su tutti i lati tramite dei gradini. Per questo si prevede la costruzione di rampe, con struttura metallica, leggera e reversibile. Le due uscite sul prospetto posteriore diventano uscita di sicurezza per il piano terra, oltre che ingressi di servizio da un lato per i lavoratori e l’archivio e dall’altro per la caffetteria. Mentre lateralmente le due rampe vanno a servire le scale di emergenza del piano primo. L’edificio attualmente non è dotato di ascensore per raggiungere il piano

superiore. Esiste una predisposizione nella scala di servizio all’interno dell’attuale magazzino, che non rispetta però gli standard normativi attuali. Il vano ascensore, insieme al montacarichi a servizio del deposito, è posizionato di fronte alla scala attuale, con accesso diretto dall’esterno tramite la nuova porta e dall’atrio di ingresso tramite un corridoio che divide il deposito delle opere in due parti distinte.

pagina precedente Prospetto est Prospetto ovest sotto Analisi accessibilità

Impianti

La dotazione impiantistica è ormai obsoleta. Dai progetti originali è stato possibile comprendere la distribuzione dei macchinari e delle canalizzazioni aerauliche. Originariamente l’edificio era servito da una centrale termica a nafta per l’impianto di riscaldamento che andava ad alimentare le piastre radianti e di un condizionatore multizione con presa ed espulsione dell’aria in corrispondenza delle due finestre con griglia nel prospetto ovest. Le canalizzazioni dell’impianto di condiziona-

mento sono distribuite nei controsoffitti e raggiungono tutti gli ambienti, ad esclusione del magazzino. Nel progetto si prevede di ridurre lo spazio destinato a locale tecnico, dove verrà alloggiata U.T.A. (unità trattamento aria) e una pompa di calore. Per quanto riguarda le canalizzazioni si riutilizza la predisposizione attuale, sostituendo le condotte e le canaline di distribuzione, prima assenti in quanto l’aria passava direttamente dai pannelli in gesso forati del controsoffitto.

Anche l’impianto elettrico deve essere rinnovato e messo a norma.

pagina
1:100
precedente Sezioni, scala
sotto Localizzazione impiantistica

pagina precedente Sezioni, scala 1:100

sotto Sovrapposto, piano terra e piano primo

pagine successive Sezioni

129

Sistema di illuminazione tramite faretti LED orientabili e dimmerabili, mobili montati su binario elettrificato incassato nel controsoffitto;

Sistema di illuminazione tramite faretti LED orientabili da incasso nel controsoffitto;

Sostituzione illuminazione a plafoniera continua con luce LED;

Sostituzione del controsoffitto con pannelli di gesso 60x60 cm, autoportante a struttura nascosta, ispezionabile, colore bianco.

Profilato a C ancorato alle travi in c.a. con binario di scorrimento;

Profilo metallico continuo ancorato alla muratura per l’aggancio di pannelli espositivi;

Sostituzione canalizzazioni aerauliche di mandata con bocchette continue di immissione dell’aria nell’ambiente, di colore bianco incassate nel controsoffitto;

Sostituzione canalizzazioni aerauliche di ripresa;

Predisposizione a terra di prese elettriche per eventuale collegamento dell’illuminazione dei pannelli mobili;

Schermatura regolabile della luce naturale delle vetrate a nord tramite sistema di veneziane automatizzate;

Sostituzione dei vetri danneggiati con tipologia originale;

Posa pavimento in linoleum di colorazione e sfumature originali.;

Pulitura del paramento interno in laterizio tramite spazzolatura;

Installazione vetrata con porta scorrevole di accesso alla sala;

Sostituzione infissi con tipologia apribile;

Sostituzione illuminazione e ripristino lacune del pannello originale con la scritta “Museo di Doccia”.

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133

Allestimento originario

La grande sala al primo piano diventa la vetrina d’esposizione della prestigiosa collezione della Manifattura, così come sottolineato dall’architettura del Museo stesso. La scelta museografica dei progettisti è quella di accogliere l’intera collezione in un unico spazio, secondo un percorso lineare privo di differenziazioni ed elementi divisori, sottolineando il carattere unitario della sala. La disposizione delle teche verso la vetrata che dà sul giardino, accentua questa linearità, mentre sul lato opposto, le teche sono disposte a gruppi di tre, secondo il concetto museografico di “isola” espositiva. Lo studio museologico sulla disposizione delle opere, arricchito dagli apporti di un gruppo di esperti, segue quindi un percorso cronologico lineare, permanente, basato sulla divisione in periodi corrispondenti ai vari proprietari che si sono succeduti alla guida della manifattura. L’esposizione comincia al piano terra nella sala centrale, dove trovano posto le opere appartenenti al primo periodo (Carlo Ginori 1737-1757), proseguendo poi nell’atrio e nelle vetrine a muro. L’intera collezione si sviluppa al primo piano con una panoramica estesa all’intero periodo di produzione (XVIII sec.- Novecento). Le vetrine espositive, così come tutti gli arredi del Museo, vengono ap -

Allestimento espositivo

positamente progettate in funzione dell’edificio dall’acrhitetto Berardi. Esse sono realizzate con basamento in legno e teca in cristallo saldato a tenuta stagna senza bordi, apribili tramite sistema di scorrimento del pannello centrale. L’illuminazione avveniva in origine tramite una struttura mobile in alluminio posta sul vetro superiore con luci al neon. Per poterne effettuare uno studio approfondito al fine della loro manutenzione e futuro riutilizzo, è stata effettuata una restituzione grafica in scala, basata sia su rilievi diretti, condotti durante la campagna di rilevo, che su disegni consultati all’Archivio della Manifattura. Le teche vetrate mobili sono state quindi catalogate in otto tipologie (individuate per semplificazione ai fini del nostro studio dalle lettere da A ad H) di dimensioni ed altezze differenti; le prime tre costituiscono i nuclei di tre espositori previsti da Berardi come “isole” espositive, la teca “D” viene disposta lungo la vetrata a nord, mentre la “E” ed “F” sono pensate per la sala del piano terra. Oltre alle suddette tipologie di teche mobili, i progettisti disegnano le vetrine permanenti per le due salette laterali del piano primo e quelle incassate nel muro lungo il corridoio del piano terra, oltre a diversi supporti e basi in legno per i pez -

zi di dimensioni più grandi e i cavalletti per l’esposizione delle cere. Attraverso la consultazione dei documenti, è stato possibile ricostruire con precisione le opere originariamente contenute nelle singole teche espositive, numerate, e il loro posizionamento all’interno delle sale.

135
pagina precedente Piano terra, sala (AMG, fototeca) Piano primo, sala (AMG, fototeca)

nella foto, Teca n. 31

II e III periodo – Lorenzo Ginori 1758-1791/ Carlo Leopoldo Ginori 1792-1837

Tipiche espressioni delle ornamentazioni a paesaggio policromo con costruzioni, figure, uccelli.

nella foto, Teca n. 25

Motivo tematico della “rosellina”. Servizio “roselline, corona verde e nastro porpora”.

Teca “A” n. 7 espositori Teca “B” n. 7 espositori

sotto e pagine successive Ridisegno teche espositive originali da progetto Studio San Giorgio, scala 1:30

Pianta Pianta Prospetti Prospetti

nella foto, Teca n. 22 II periodo – Lorenzo Ginori 1758-1791 Esemplari di servizi e rinfresctoi con ornati plastici e pittorici “a mazzetto”. Caffettiere e tazze con scenette figurate “alla Sassone”.

nella foto, Teca n. 23 Ornamentazioni a mazzetto policromo del II periodo con sviluppi nel III periodo (completamento per un servizio di Sèvres).

Teca “C” n. 7 espositori Teca “D” n. 10 espositori

sotto e pagine successive Ridisegno teche espositive originali da progetto Studio San Giorgio, scala 1:30

6.1_12
Pianta Prospetti Pianta Prospetti

Teca “E”

n. 2 espositori

nella foto, Teca n. 2

I periodo – Carlo Ginori 1737-1757

Vasellame e plastiche bianche e con ornati in turchino sotto vernice “a stampino” ed a mano libera. Caffettiera con doppia parete.

Capo del laboratorio di scultura e modellazione, Gaspero Bruschi.

pagina successiva Ridisegno teche espositive originali da progetto Studio San Giorgio, scala 1:30

Teca “F”

n. 7 espositori

Teca n. 7

Impronte in zolfo di cammei in pietre dure.

Teca “G”

n. 1 espositore

nella foto, Teca n. 45

IV periodo – Carlo Benedetto Ginori 1878-1896 Esemplari di servizio con ornamentazioni in oro a rilievo e coppa con figurazione allegorica.

6.1_13 ALLESTIMENTO ORIGINARIO
Pianta Pianta Prospetti Prospetti

Allestimento anno 2003

Nel 2003 l’allestimento espositivo viene ripensato con una nuova sistemazione delle teche al piano primo e la realizzazione di una sala “showroom” al piano terra. Prendendo il posto della originale sala centrale, il nuovo spazio si espande comprendendo l’aula adiacente, il tutto rivestito con una struttura leggera in cartongesso con nicchie per l’esposizione delle ceramiche. Il percorso espositivo rimane permanente ed organizzato cronologicamente, ma al piano primo viene arricchito da una sequenza di aree tematiche dedicate alle tecniche, ai committenti, alle influenze su forme e decori prodotti a Doccia, che vanno ad aggiungersi ai gruppi di tre teche ideati da Berardi.

143
pagina precedente Piano terra, sala (2003) Piano primo, sala (2003) sotto pannelli espositivi (2003)

Progetto di allestimento

Nell’ottica di rendere il Museo un centro di riferimento internazionale per lo studio e l’esposizione dei manufatti ceramici, sia della storica Manifattura, così come di opere esterne, la visione del progetto trova nell’idea di flessibilità la coniugazione ideale tra il rispetto della storia e una rinascita degli spazi, fruibili e adattabili alle esigenze della contemporaneità. La grande sala al primo piano diviene quindi occasione per l’esposizione di numerose opere basate su tematiche differenti e presenta la necessità di trasformarsi in uno spazio dedicato a mostre temporanee. La linearità viene ripresa dalla ricollocazione delle teche originarie, riviste solamente nella loro illuminazione, sia al piano terra che al piano primo, dove trovano nuovamente spazio lungo la vetrata a nord. La lunga galleria torna ad essere divisa concettualmente in due diversi sistemi espositivi, ora fisicamente separabili da una pannellatura, spostabile e completamente removibile, e là dove Berardi aveva pensato la sequenza di “isole espositive” tramite l’accostamento di gruppi di tre teche, si crea ora una sequenza di “stanze”. Il nuovo spazio può essere allestito a seconda delle esigenze di ogni mostra, tramite una serie di sistemi mobili e

completamente removibili, che consentono anche il ripristino dello spazio libero originario, rispondendo non solo alle esigenze di tutela e conservazione dell’architettura e delle opere, ma anche alla massima adattabilità dell’esposizione. Un primo sistema è costituito da pannelli espositivi di divisione tra i due ambienti lungo la sala. Un secondo da teche in vetro, per dare la massima trasparenza all’ambiente e agli oggetti esposti. Tutto il sistema di pannelli e teche è ancorato con binari nascosti nel controsoffitto che ne permettono anche un facile spostamento lungo l’asse. A seconda delle esigenze museografiche che le varie mostre richiedono, i sistemi espositivi sono facilmente adattabili, così come l’illuminazione. Nel progetto originale, quest’ultima è stata disposta al fine di evidenziare la linearità degli spazi dell’architettura, sia al piano terra che al piano superiore, tramite lunghe plafoniere continue. Questo tipo di illuminazione “d’ambiente” viene ripreso nel progetto tramite il recupero delle plafoniere e la sostituzione degli elementi illuminanti con tecnologia LED regolabile, per poter modificare l’intensità luminosa durante le varie fasi della giornata. Per quanto riguarda invece le teche espositive, l’illuminazione avveniva in origine tramite una struttura mobile in

alluminio posta direttamente sul vetro superiore con luci al neon. La necessità di sostituire questo tipo di tecnologia per fini di sicurezza ha portato allo studio di un’illuminazione puntuale esterna con faretti regolabili nell’orientamento e nell’intensità, sia incassati nel controsoffitto, che mobili, montati su binari. La predisposizione dei binari è stata effettuata longitudinalmente in diversi punti della sala al piano primo, per poter comprendere anche il nuovo spazio espositivo. Gli elementi puntuali sono stati invece adottati nella sala al piano terra e nel controsoffitto più basso al piano primo. La sala al piano superiore è caratterizzata dalla lunga vetrata che guarda a nord, verso gli spazi verdi esterni, creando un piacevole sguardo d’insieme. L’illuminazione naturale è quindi diffusa e mai diretta. Specifiche esigenze espositive potrebbero però richiedere la regolazione della luce naturale e, volendo, il completo oscuramento. Per questo è stato studiato un sistema di veneziane automatizzate che facilmente modulano l’oscuramento e si inseriscono in maniera discreta all’interno dell’ambiente. Le stesse sono previste anche nella sala al piano terra, che vede invece le finestre esposte a sud.

145
pagina precedente Progetto, piano terra e sala piano primo

faretti LED orientabili incassati nel controsoffitto inserimento nel cotrosoffitto di bocchette continue per l’immissione dell’aria nell’ambiente

ripristino plafoniera continua, luce LED

plafoniera continua esistente, sostituzione con luce LED

sostituzione del controsoffitto in pannelli di gesso 60x60 cm con nuova struttura in pannelli similari, autoportante e ispezionabile, e alloggiamento/incasso degli impianti tecnologici (luci e aerazione meccanizzata)

teche pertinenziali esistenti, restaurate

ripristino finiture originali: pavimento in linoleum scuro e pannelli compositi alle pareti con finitura bianca

teche incassate esistenti prospicienti l’atrio/corridoio di ingresso

nuova teca incassata speculare

teche pertinenziali esistenti, restaurate eliminazione delle superfetazioni in cartongesso (showroom) e ripristino dello stato originario della sala

sostituzione dell’infisso con tipologia apribile e inserimento di schermatura regolabile della luce naturale con sistema di veneziane automatizzate

pagina precedente

Esploso assonometrico, piano terra

sotto

Percorso espositivo, confronto, piano terra

progetto originale

stato di rilievo (allestimento anno 2003)

progetto

stato originale da progetto Arch. Berardi

stato di rilievo (allestimento anno 2003)

Ginori 6.5_03
DI SINTESI E CONFRONTO
SCHEMI
progetto

Sezione, scala 1:100

pagina successiva Allestimento e distribuzione dei sistemi espositivi, confronto, piano terra

Il Museo Richard Ginori

stato di rilievo (allestimento anno 2003)

stato di rilievo (allestimento anno 2003)

PROGETTO DI ALLESTIMENTO ALLESTIMENTO ESPOSITIVO SCHEMI DI SINTESI E CONFRONTO Ginori 6.5_01 ALLESTIMENTO
progetto originale
ESPOSITIVO stato originale da progetto Arch. Berardi
progetto progetto

binari di scorrimento ancorati con profilati a C alle travi in c.a. del solaio di copertura per appendere e spostare i nuovi elementi espositivi (pannelli e teche)

faretti LED orientabili e dimmerabili mobili, montati su binario elettrificato incassato nel controsoffitto

faretti LED orientabili incassati nel controsoffitto

inserimento nel cotrosoffitto di bocchette continue per l’immissione dell’aria nell’ambiente

plafoniere continue esistenti, sostituzione con luce LED

sostituzione del controsoffitto in pannelli di gesso 60x60 cm con nuova struttura in pannelli similari, autoportante e ispezionabile, e alloggiamento/incasso degli impianti tecnologici (luci e aerazione meccanizzata)

schermatura regolabile della luce naturale delle vetrate tramite sistema di veneziane automatizzate

sala multimediale/ proiezione video

teche pertinenziali esistenti, restaurate

possibilità di posizionamento di un tendaggio leggero a doppio battente per la divisione delle sale espositive

profilo metallico continuo ancorato alla muratura per l’aggancio di pannelli espositivi

pareti espositive mobili con struttura in mdf

nuove teche di vetro scorrevoli sostenute da struttura metallica e cavi in acciaio

ripristino delle finiture originali: pavimento in linoleum, prevedere prese a terra per l’illuminazione delle pareti mobili

pannelli divisori scorrevoli e impacchettabili appesi alle travi del solaio di copertura

teche pertinenziali esistenti, restaurate

pagina precedente

Esploso assonometrico, piano primo sotto

Percorso espositivo, confronto, piano primo

progetto originale

stato di rilievo (allestimento anno 2003) progetto

SCHEMI DI SINTESI E CONFRONTO ALLESTIMENTO ESPOSITIVO

stato originale da progetto Arch. Berardi

stato di rilievo (allestimento anno 2003) progetto

Studio del sistema di illuminazione pagina successiva Allestimento e distribuzione dei sistemi espositivi, confronto, piano primo

Il Museo Richard Ginori 6.4_01 piano primo Il Museo Richard Ginori Il Museo Richard Ginori

progetto originale

pagina precedente Esploso assonometrico, piano primo sotto, Schema di allestimento, piano primo

stato di rilievo (allestimento anno 2003) progetto

ALLESTIMENTO ESPOSITIVO

SCHEMI DI SINTESI E CONFRONTO

stato originale da progetto Arch. Berardi

stato di rilievo (allestimento anno 2003) progetto

Sistema di illuminazione tramite faretti LED orientabili e dimmerabili, mobili montati su binario elettrificato incassato nel controsoffitto;

Sistema di illuminazione tramite faretti LED orientabili da incasso nel controsoffitto;

Illuminazione a plafoniera continua con luce LED;

Sistema soffitto in pannelli di gesso 60x60 cm, autoportante a struttura nascosta, ispezionabile, classe A2-s1.

Profilato a C ancorati alle travi in c.a. con binario di scorrimento;

Teca con pareti e ripiani in vetro sostenuta al soffitto da stuttura metallica su binario e cavi in acciaio;

Pannelli divisori scorrevoli e impacchettabili con telaio in acciaio e alluminio e pannelli di rivestimento non combustibili con finitura variabile in funzione del’esposizione, L 125 cm x H 344 cm;

Profilo metallico continuo ancorato alla muratura per l’aggancio di pannelli espositivi;

Pareti espositive mobili con struttura in mdf con finitura variabile in funzione del’esposizione;

Predisposizione a terra di prese elettriche per eventuale collegamento dell’illuminazione dei pannelli mobili;

Possibilità di posizionamento di un tendaggio leggero a doppio battente per la divisione delle sale espositive;

Teche originali illuminate da faretti LED orientabili e dimmerabili esterni posizionati nel controsoffitto;

Schermatura regolabile della luce naturale delle vetrate a nord tramite sistema di veneziane automatizzate;

Pavimento in linoleum di colorazione e sfumature originali.

Richard Ginori
1_ 2_ 3_ 4_ 5_ 6_ 7_ 8_ 9_ 10_ 11_ 12_ 13_ 14_
PROGETTO DI ALLESTIMENTO ALLESTIMENTO Sezione, scala 1:50

Piano di allestimento: mostra "Pontesca"

[…] dietro alle piattelle, oltre alla marca della pittoria ed a quella Ginori, si metta in semplice contorno blu Ponti questo disegno, che reca nella cartella superiore il nome Pontesca che sarà quello di tutta la produzione fatta su mio disegno originale e nella cartella inferiore il titolo del disegno […]1

Poco dopo la Prima Guerra Mondiale, in un periodo di forte cambiamento stilistico nelle arti decorative, la direzione artistica della Manifattura Richard Ginori, negli ultimi anni ancora legata al passato glorioso, sente fortemente l’esigenza di un rinnovamento, sia nella produzione che nella ricerca di un nuovo stile, al fine di rilanciare l’antico marchio. È la figura del giovane architetto Gio Ponti a portare un forte segno di cambiamento all’interno della manifattura. All’ Esposizione Internazionale delle Arti decorative di Monza del 1923, la Manifattura Richard-Ginori presenta una collezione del tutto rinnovata, a firma dell’architetto, che porta l’azienda ad un nuovo desiderato successo internazionale.

Gli oggetti che Ponti presenta a Monza sono fortemente legati ai decori e all’eleganza tradizionali della Manifattura, ma completamente ripensa-

ti in chiave moderna. Tutta la sua produzione è giocata sul binomio contrastante di oggetto d’arte e serialità della produzione industriale, ammirazione per l’antico e sguardo verso il nuovo. Ponti diviene così figura chiave per la Richard- Ginori, dove rimarrà fino al 1930, occupandosi non solo della creazione artistica, ma di tutti gli aspetti della produzione, compresa la pubblicizzazione dei prodotti e la redazione dei cataloghi. La creazione ceramica diviene la prima fondamentale esperienza della sua carriera, da qui nascono e si sviluppano poi tutti i concetti che egli applicherà poi al design d’arredo e all’architettura.

La mostra “Pontesca” vuole essere un omaggio ai suoi capolavori prodotti nello stabilimento di Doccia e qui conservati all’interno del Museo. L’intera collezione di Ponti è divisa per tematiche che raccontano cronologicamente gli sviluppi artistici durante gli anni alla manifattura, dal 1923 al 1930, concludendosi con un approfondimento sul design d’arredo e le prime architetture progettate negli stessi anni. La mostra, dopo una breve introduzione sull’Esposizione Internazionale di arti decorative del 1923, si apre con la sala “Antichità”, nella quale sono esposte le prime opere di Ponti, prendendo il nome dal libro su cui era solito studiare decori e ornamenti nell’ar-

cheologia. Proseguono poi la sala “Ironia”, ispirata alla collezione più goliardica dell’artista, e la sala “Simbolismo” con la produzione più tarda, arricchita di simbologia e mistero. Il passaggio tra la produzione ceramica e l’interesse per l’arredo, è qui rappresentato dalle piastrelline da rivestimento interno che egli realizza sempre per la manifattura. Vengono poi introdotte le serie di arredo “Domus Nova e “Labirinto”, contraddistinte dallo stesso binomio oggetto d’arte–serialità, ed infine la sala dedicata alle prime architetture “domestiche” degli anni ‘20 e ’30. La personale su Gio Ponti viene inserita in una più ampia mostra sulla produzione del XX secolo della Richard-Ginori, che occupa tutto il primo piano del Museo, approfondendo la tematica dell’industrial design, con le firme di artisti come Gariboldi, Aldo Rossi, Franco Albini.

157
lettera a Luigi Tazzini senza data, Corrispondenza Arch. Ponti- 1924-1930, Sesto Fiorentino, Firenze, AMD pagina precedente Progetto, esposizione temporanea, vista stanza "Antichità" pagine successive introduzione alla mostra
159
“PONTESCA”
GIO PONTI NEGLI ANNI DELLA RICHARD - GINORI (1923-1930)

Industrial design - XX secolo

allestimento: teche espositive esistenti pannelli

Industrial design - XX secolo

allestimento: teche espositive esistenti

introduzione alla mostra

allestimento: pannelli appesi parete espositiva

"Ironia"

allestimento: teche espositive esistenti

"Antichità"

allestimento: pannelli appesi teche appese pareti espositive con teche espositore centrale

"Simbolismo"

"La casa di moda"

allestimento: pannelli appesi teche appese pareti espositive con teche espositore centrale allestimento: pannelli appesi teche appese pareti espositive con teche espositore centrale allestimento: pannelli appesi pareti espositive elementi d'arredo

"L'architettura della casa"

allestimento: pannelli appesi pareti espositive proiezione video

Industrial design - XX secolo "Pontesca-Gio Ponti negli anni della Richard Ginori (1923-1930)"

Il progetto espositivo si amplia con la realizzazione del piano di allestimento, studiato sulla sala introduttiva della mostra, dedicata alle "Antichità".

I diversi sistemi espositivi ideati per il nuovo museo vengono allestiti ai quattro lati della "stanza" (individuati per semplificazione ai fini del nostro studio come pareti A, B, C e D) per accogliere e presentare specifiche opere della collezione, tutte legate al tema. La scelta museologica è dettagliatamente illustrata nel catalogo delle opere che accompagna l'allestimento.

La prima parete mobile (A), disegnata appositamente per la mostra, è interamente dedicata alla cista "Conversazione Classica" del 1924, esposta nella teca in vetro affiancata dai preziosi disegni originali. Lo stesso per la parete C, dedicata al "piatto Donatella" della collezione "Le mie donne" del 1927. Entrambe le collezioni si sviluppano nelle teche in vetro sospese sullo sfondo dei pannelli mobili appositamente rivestiti in laminato in tinta "blu Ponti".

La parete B è dedicata invece alla riproduzione grafica, su grandi pannelli sospesi, dei documenti legati al processo creativo delle opere di Gio Ponti e del suo legame con la Manifattura: la rivista “Le Antichità di Ercolano esposte”, fonte di riferimento dell'architetto, con appunti originali; la riproduzione di disegni e lettere di corrispondenza; le riproduzioni dei manifesti pubblicitari ideati per la Manifattura.

Parete A

4_collezione “Conversazione Classica” – cista, 1924

5_collezione “Conversazione Classica” - disegni originali

Parete B

6_riproduzioni di fonti riferimento – rivista “Le Antichità di Ercolano esposte” con appunti originali

7_riproduzione di disegni e lettere di corrispondenza

8_riproduzioni di manifesti pubblicitari per la Manifattura

Parete C

9_collezione “Le mie donne” – piatto “Donatella”, 1927

10_collezione “Le mie donne” – disegni originali

Parete D

11_collezione “Le mie donne” – varie, 1924-27

12_collezione “Passeggiata archeologica” – varie, 1923

13_collezione “Conversazione Classica” – varie, 1924

Al centro

14_collezione “Le mie donne” – grande vaso “Le mie donne posate sui fiori”, 1925

161 pagina precedente Esploso
assonometrico, piano primo
STANZA "ANTICHITÀ"
“PONTESCA”

Piano di allestimento, prospetti pareti "A" e "C" a destra

Catalogo opere in mostra, pareti "A" e "C"

pagine successive

Piano di allestimento, prospetti pareti "B" e "D"

162

Cista con decoro La conversazione classica, su disegno di Gio Ponti, porcellana dura, h. 59 cm, 1925 circa, Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori.

Gio Ponti, disegni preparatori eseguiti a matita e inchiostro su carta bianca per La conversazione classica, 1924 circa (ASF, Fondo Ginori, Biblioteca).

Piatto Donatella, su disegno di Gio Ponti, maiolica, diam. 48 cm, 1927 circa, Sesto Fiorentino, Museo Richard - Ginori.

Gio Ponti, Figura femminile nuda distesa su nubi (Donatella), disegno preparatorio eseguito a matita e inchiostro rosso su cartoncino crema, 1923-1926 (ASF, Fondo Ginori, Biblioteca, Inv. n. 09/00625477).

Gio Ponti, Architetture per le mie donne. Donatella, disegno preparatorio eseguito a inchiostro su carta a righe giallina, 1923-1926 (ASF, Fondo Ginori, Biblioteca, Inv. n. 09/00625526).

163
Gio Ponti, Collezione “Conversazione Classica” Gio Ponti, Collezione “Le mie donne"
167 Bibliografia
Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni, Vanessa Mazzini

STORIA DELLA MANIFATTURA DI DOCCIA E DELLA SUA SEDE

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171
173 Il Museo Richard-Ginori: territori e traiettorie del Moderno 5 Maurizio De Vita I Maestri ed il Museo Richard-Ginori. Temi e figure 7 Riccardo Renzi Introduzione 11 Analisi storica 15 Vanessa Mazzini Premessa 17 Relazione storico-archivistica 21 Quadro conoscitivo 79 Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni Inquadramento territoriale 81 Rilievo 83 Diagnostica 101 Progetto di recupero 113 Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni Il restauro del museo 115 Allestimento espositivo 135 Bibliografia 167 Indice
2022
Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

Questa prima Tesi di Specializzazione svolta in seno alla Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio pubblicata, condotta da Elena Ceccarelli, Anna Dorigoni e Vanessa Mazzini con la supervisione di Maurizio De Vita e Riccardo Renzi, ha riguardato uno dei più attuali temi di ricerca, ossia il recupero e la conservazione del patrimonio culturale ereditato dal Moderno. La Tesi, in accordo con Direzione Regionale Musei della Toscana e la Fondazione Richard Ginori, ha riguardato un progetto di recupero integrale, dalla ricognizione storica al degrado alle nuove soluzioni progettuali, del Museo Ginori realizzato da Pier Niccolò Berardi nella prima metà degli anni Sessanta a Sesto Fiorentino, per la omonima manifattura ceramica già diretta da Ponti negli anni Venti e Trenta.

Elena Ceccarelli, Architetto, dopo la laurea ha conseguito il diploma di specializzazione in Beni architettonici e del paesaggio. Cultore della Materia nei corsi di Progettazione Architettonica e Urbana è attualmente Borsista di Ricerca presso il Dipartimento di Architettura - DIDA dell’Università degli Studi di Firenze.

Anna Dorigoni , Architetto specializzata in restauro monumentale, collabora a diversi interventi conservativi su beni tutelati. Dopo la laurea in Architettura ha conseguito il diploma biennale di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio presso l’Università degli studi di Firenze e frequentato un tirocinio professionale presso la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Firenze.

Vanessa Mazzini, Laureata in Architettura presso l’Università degli Studi di Firenze, successivamente ha conseguito la laurea in Scienze dei Beni Culturali e poi in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Siena. Negli anni successivi si è diplomata presso la Scuola di specializzazione biennale in Beni storico-artistici (UNISI) e presso la di Scuola di Specializzazione biennale in Beni Architettonici e del Paesaggio (UNIFI). Dal 2009 è Funzionario Architetto presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle province di Siena, Grosseto e Arezzo dove svolge attualmente il ruolo di Responsabile dell’Area IV Patrimonio Architettonico.

ISBN 978-88-3338-175-6

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