Ecomuseo del Pratomagno | Emma Amidei

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emma amidei

Ecomuseo del Pratomagno Recupero di una borgata



tesi | architettura design territorio


Il presente volume è la sintesi della tesi di laurea a cui è stata attribuita la dignità di pubblicazione. ‘Studio esemplare sulla rigenerazione di luoghi resistenti e paesaggi abbandonati dell’Appennino, sia a scala territoriale, sia a scala architettonica’. Commissione: Proff. A. Manfredini, F. V. Collotti, F. Rossi Prodi, M. Alpini, C. Carletti, M. Carta, C. E. Martinelli, V. Lingua, Arch. Daniele Aurilio

A tutti quei luoghi e quelle persone che, nonostante tutto, ti fanno sempre sentire a casa.

in copertina Sezione di progetto di Borgata Roveraia, una delle aree di intervento per la realizzazione dell’Ecomuseo del Pratomagno

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Federica Aglietti

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2021 978-88-3338-146-6

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


emma amidei

Ecomuseo del Pratomagno Recupero di una borgata



a sinistra Cavalli al pascolo sul crinale del Pratomagno

Al Pratomagno Un velo violaceo d’amore copre di melanconia il tuo volto, Oh! potente signore del mondo. Il sole stanco del giorno ti carezza ancora d’una luce di fievole gioia. Tenta ancora una volta di ridarti il riso leggero d’infanzia, ma ormai tu non ti lasci sedurre. Nella tua veste pesante modesta di lana decorata appena, nel tuo volume sicuro sereno tu domini la vita. Sei la terra che giace rotonda cullando in segreto i suoi figli… È notte… E nella notte rimani e vegli. Venturino Venturi Albania, giugno 1940



a sinistra Modello di progetto di Borgata Roveraia

Concretezza utopistica

Il progetto dell’Ecomuseo del Pratomagno fa parte di un gruppo di tesi universitarie che via via sono state sviluppate in questo decennio e che si fondano su uno spirito che definirei ‘resistenziale’. In questa fase storica in cui la ricerca linguistica si andava esaurendo, e lo studio dell’architettura come ermeneutica con essa – poiché entrambe troppo legate a una visione di individualismo estetizzante, perfino nelle sue declinazioni nichiliste - una profonda attenzione per i temi più generali e più di lunga durata è andato emergendo, parallelamente a una ritrovata sensibilità morale, o quanto meno alla ricerca di una legittimazione etica del fare architettura. Il fondamento del progetto è diventato principalmente il prendersi cura, di volta in volta del territorio, del clima, delle comunità e dei più deboli e dimenticati. È ricomparsa - e negli anni si è consolidata - una nuova, ma anche vecchia categoria di studenti, come fosse la riserva della nostra civiltà che, nella sua specie più sensibile e previdente, risorge proprio quando i paradigmi consueti non funzionano più, perché consumati e prigionieri nei limiti di una società edonistica, in via di esaurimento, come il mondo che, sempre più insofferente, li abita. Di fronte allo spreco e al consumo, giovani studenti si sono rimessi in marcia per cercare altrove, in altri luoghi e in altri tempi, fuori dal caos e dai ritmi impazziti, proprio i temi da recuperare e così riannodare i fili di un antico abitare e di un’antica sapienza, con un atteggiamento di cura materna e di partecipazione affettiva, tanto è vero che in prevalenza questo genere di tesi è stato sviluppato più da studentesse (che non dai loro colleghi maschi), più capaci di accogliere e di accompagnare e più caparbie, che non di agire a colpi di distruzione creativa. L’esercizio si confronta soprattutto con la scelta dei temi di tesi, il contenuto diventato stavolta forse più importante dei suoi veicoli comunicativi - dei linguaggi - dopo tutta una stagione di spreco linguistico. Sono temi spesso legati a una passione personale, a un impegno etico, a una preoccupazione per la civiltà e per il pianeta. Nel lavoro di tesi lo specifico tema prescelto, anche come contenuto istituzionale o sociale, o anche incarnazione di un carattere, è diventato così importantissimo e imprescindibile, certamente prevalente, rispetto invece all’interesse o all’obiettivo di esercitare e affinare la propria tecnica progettuale. La scelta del tema di tesi non è più occasione un po’ indifferente, speditamente svolta, per poi impegnare la gran parte del tempo del laureando a riflettere sui linguaggi impiegati. Risulta poi che anche i codici e soprattutto i metodi e le regole sintattiche dell’esercizio di composizione architettonica sviluppato nelle tesi, risultano fortemente influenzati e animati dalle scelte di tema. Così prevalgono i recuperi, le trascrizioni, le repliche, tutto un insieme di procedimenti che appartengono alla sfera del progetto come palinsesto e modificazione. Talvolta la ricerca si spinge ‘à rebours’ e recupera – forse ricicla, destinandoli a nuova vita – frammenti delle culture passate, trascrivendoli nei processi di trasformazione del progetto, delle sue metodiche e dei suoi statuti. Naturalmente il principio di organismo architettonico è assolutamente e sempre presente e si estende ad ambiti crescenti, in estensione, nel tempo, nella cultura dei luoghi. Dai cerchi sempre più grandi l’esercizio si ritrasmette in modo concentrico alle sfere più controllate dell’impianto distributivo, degli impaginati, con le loro

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a sinistra Modello di progetto di Borgata Roveraia

scelte di materiali e linguaggi, delle concatenazioni spaziali, fino agli ambiti più minuti del dettaglio. Un esercizio di misura è connaturato a tutte le scelte, da quella relativa al contenuto istituzionale, alle relazioni con i luoghi, alle dimensioni dell’intervento – ricercatamente modesto – al riutilizzo dei principi insediativi, giù, giù fino agli spazi e ai materiali adottati. Anche gli strumenti di rappresentazione si adattano all’atteggiamento assunto, rifuggono dal realismo, dal frastuono, dalla ricercatezza suggestiva e invece adottano moduli elementari, linguaggi semplificati e visioni collagistiche che remixano materiali preesistenti, creando paesaggi stranianti di scenografie a piani sovrapposti, quasi a rifuggire dalla profondità prospettica, preferendole magari un racconto di mondi semplici e parziali, presentati come in attesa di essere ricollegati fra loro. L’osservazione della realtà e la sua attenta registrazione, entrambe assistite da una continua preoccupazione per le conseguenze del fare, accompagnano tutto il processo, lo moderano e lo indirizzano costantemente, delineando i tratti di un atteggiamento che può essere riassunto nell’ossimoro di una ricercata concretezza utopistica. Questi lavori didattici certamente risentono di una diversa temperie culturale e sociale che ci circonda da alcuni anni, ma anche di una correzione che traspare recentemente nella produzione architettonica contemporanea. Dopo aver superato le questioni tecniche e costruttive, esaurita anche tutta la passione per le problematiche linguistiche ed ermeneutiche, o quelle per gli strumenti e i metodi di rappresentazione, la ricerca, dopo tanto tempo, sembra aver riabbracciato l’utilitas, certo legata alle istituzioni delle comunità e al loro cammino, e certamente in una concezione molto più ampia, dominata dalle preoccupazioni per le risorse e da una forte tensione etica. Mi pare che questo scarto introdotto nel processo didattico – da parte dell’allievo questa volta – e ancora più lo scarto impresso al procedimento compositivo, insieme alla sua novità, arricchiscano di nuove risorse e di nuovi strumenti i contenuti della didattica e della disciplina e tornino ad alimentare in modo inusuale la cultura architettonica, in un momento di difficoltà, traendo energia dal più profondo della capacità maieutica della nostra civiltà.

Prof. Fabrizio Rossi Prodi Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Il Pratomagno



Il territorio

a sinistra La casa padronale di Borgata Roveraia, una delle due aree di progetto

Il Pratomagno è una dorsale toscana parallela a quella principale degli Appennini Centrali. Interessa la provincia di Arezzo nella parte nord-occidentale e in parte minore quella di Firenze a sud-est. Si estende per circa 30 km, dividendo il Valdarno superiore, versante più montuoso, dal Casentino. Il nome Pratomagno deriva dal grande prato che corre sulla quasi totalità del suo crinale, che mantiene una quota di norma superiore ai 1200 m s.l.m., e che ha come punti di maggiore altitudine il Monte Pianellaccio (1593 m s.l.m.) e la Croce del Pratomagno (1590 m s.l.m.), riconoscibile per la grande croce di ferro visibile da quasi ogni zona delle due valli sottostanti. Il Pratomagno è costellato da torrenti che scendono in maniera parallela verso il fiume Arno, la cui sorgente si trova sul vicino Monte Falterona. Entrambe queste formazioni montuose sono caratterizzate da una netta prevalenza di arenarie, che, per quanto riguarda il Pratomagno, sono localizzate soprattutto sul versante che scende alla strada Setteponti. Se i torrenti hanno scavato con il tempo il profilo della montagna, marcandola con numerose vallecole e contrafforti nella discesa a valle, il vento e la neve hanno invece modellato il crinale, conferendogli forme più arrotondate. La conformazione variabile del territorio ha originato variazioni microclimati-

che che si riflettono sulla vegetazione dell’intera zona: essa infatti passa dalla macchia mediterranea, con i suoi terrazzamenti ad oliveti, boschi di quercia, castagno, faggio e abete, fino ad arrivare ad intere zone adibite al pascolo. Come conseguenza di questa enorme varietà di flora, anche la fauna è ricca e diversificata. Gli insediamenti L’area del Pratomagno è caratterizzata da piccoli agglomerati di montagna dalla struttura compatta, a testimonianza di antichi insediamenti difensivi, o più sparsi sul territorio. Possono essere distinte due tipologie di insediamento: il castello e il borgo agricolo. Prendendo come esempio Rocca Ricciarda e Trappola, due insediamenti di tipo castellare, si nota la presenza di una struttura allungata e fortemente arroccata, impostata su un asse centrale che dà accesso a un dedalo di vicoli e rampe di distribuzione capillare. Poggio di Loro invece, nato come borgo agricolo, si organizza su un impianto radiocentrico privo di emergenze, che ricalca la forma tondeggiante del luogo: la cortina degli edifici si sviluppa in continuità, interrotta soltanto da strettissimi vicoli di accesso alla parte centrale. Decaduta con il tempo la ragione difensiva che li distingueva, i due modelli si sono fortemente integrati.

In entrambi i casi, la morfologia degli insediamenti è da mettere in stretta relazione con le caratteristiche fisiche e morfologiche del luogo, poiché nasce di solito dalla ricerca di siti riparati dal vento e con un buon soleggiamento. Se la struttura introversa dei centri di origine castellare è divenuta con il tempo ampiamente permeabile nei confronti dell’esterno, così è stato anche per l’assetto dei borghi che, seppure molto diversi tra loro, si presentano oggi come vere e proprie strutture insediative dotate di un’organizzazione funzionale degli spazi in relazione alle emergenze presenti. In entrambi i casi infatti ritroviamo caratteri tipologici simili: piccole costruzioni in pietra di ridotta altezza, netta prevalenza delle parti piene sulle vuote, aperture piccole rivolte prevalentemente ai quadranti favorevoli e la piazza, vero centro della collettività, che denota il raggiungimento di un evoluto livello di vita comunitaria. Loro Ciuffenna, nucleo urbano di riferimento per gli insediamenti di montagna, è ubicato in zona semi collinare, abbracciato dal torrente Ciuffenna, affluente del fiume Arno. La sua posizione ne ha determinato nel tempo l’isolamento dal fondo valle, dove passano le linee di grande comunicazione e sono concentrate le maggiori 13 attività economiche e sociali.



a sinistra in alto Una veduta di Rocca Ricciarda dalla Via del Castagno a sinistra in basso Uno dei sentieri del CAI nei pressi di Rocca Ricciarda a destra Uno dei paesaggi che si incontrano lungo i sentieri del Pratomagno

Ciò ha prodotto una non programmata tutela di tutti i piccoli centri residenziali dislocati nella montagna, al punto che questo territorio può essere considerato un raro esempio di misurato insediamento in ambiente naturale, pressoché inalterato nel tempo, nonostante le complesse vicende storiche. Il centro di Loro Ciuffenna mostra chiaramente la sua origine di natura difensiva, testimoniata dal tracciato delle mura originarie, in alcuni punti fondate direttamente sul macigno che si affaccia sul fiume. Il Castello di Loro infatti appartenne ai Conti Guidi fino al 1344, per poi passare nelle mani della Repubblica Fiorentina e successivamente del Governo dei Medici. Nel 1646 divenne Marchesato sotto Piero Capponi, per poi tornare nel 1665 sotto il dominio del Granducato. La struttura urbanistica del borgo medievale non risulta

immediatamente percettibile a causa delle stratificazioni edilizie succedutesi nel tempo per rimediare alle guerre. Nella parte del borgo più bassa sono localizzati i principali insediamenti residenziali, nati per accogliere la popolazione dedita in prevalenza all’attività agricola nel momento in cui venne a cessare l’importanza militare del luogo. Essi sono composti da blocchi isolati di tre o quattro piani a forte densità, uniti da una fitta rete di stretti vicoli collegati fra loro da scale o bassi passaggi coperti, le cui condizioni di degrado e scarsa igiene, dall’’800 ai primi del ‘900, portarono all’abbandono del centro storico a favore delle aree limitrofe. I sentieri Il Pratomagno è percorso da molti sentieri, talvolta panoramici, talvolta immersi nel bosco, che collegano le va-

rie località. Molto probabilmente essi servivano come itinerario per i pastori transumanti verso la Maremma, o per gli spostamenti dei carbonai e dei tagliatori da una zona all’altra del territorio. Non è comunque escluso che alcuni di essi fossero presenti già in epoca medievale per collegare i vari castelli alto-collinari e montani. Alcuni castelli infatti si presentavano come distacco di piccole comunità appartenenti ai castelli maggiori. Oggi i sentieri sono mappati dal CAI e creano un itinerario completo alla scoperta della montagna. Se molti salendo si ricollegano al sentiero 00, che attraversa tutto il crinale, dividendo il versante valdarnese del Pratomagno da quello casentinese, altri, scendendo, si ricollegano alla Setteponti.

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La vita in montagna

a sinistra Il lavoro del carbonaio in Pratomagno fonte: foto storiche da Nassini C., Martinelli M. (a cura di), Immagini dalle Vallate Aretine. Il Valdarno, Montepulciano (SI), Editrice Le Balze, 2003

Prima dello sviluppo industriale la Toscana restava divisa in tre grandi settori geografici: il litorale, le aree montane e l’entroterra maremmano. In ciascuna di queste tre fasce, dai confini talvolta incerti, l’organizzazione sociale ed economica dello spazio rurale era diversa, in quanto legata ai diversi caratteri delle strutture produttive. Nelle propaggini dell’Appennino l’ambiente rurale era caratterizzato da forme insediative accentrate, dove la vita era fortemente socializzata a causa dei boschi e dei pascoli in comune. Il Pratomagno è uno dei pochi luoghi in cui si sentono ancora le influenze dei lavori e delle tradizioni del passato, in stretta correlazione con l’ambiente circostante. Nelle zone più elevate, non coltivate, come la bassa e media collina, prevaleva la pastorizia, con la pratica della transumanza, che consisteva nello spostare durante l’arco dell’anno il bestiame dai pascoli di montagna a quelli di pianura o addirittura fino alla Maremma. Le attività legate all’allevamento del bestiame erano numerose, come quella del tosatore, del maniscalco, del ‘castrino’, e del casaro. Ad altitudini minori l’economia era prevalentemente agricola. Ogni particella di terra veniva sfruttata per realizzare terrazzamenti a secco ancora oggi ben visibili e, dove non era possibile, venivano curati i boschi, in prevalenza di

castagno, per produrre il cibo di base della popolazione. Alcuni dei mulini che costellavano la montagna e che venivano utilizzati per la macinare la farina di castagne sono ancora in buono stato di conservazione e tuttora in funzione. Altre attività tipiche a questa quota erano il lavoro di macchiaiolo e quello di carbonaio: il primo tagliava e accatastava la legna da ardere, mentre il secondo la cuoceva per ottenere il carbone. Nella parte ancora più bassa del Pratomagno, dove tuttora si coltivano vite e olivo, si producevano vino e olio. Scendendo più a valle, nei pressi di Loro Ciuffenna, era presente una filanda, dove veniva prodotta la seta (l’edificio è oggi adibito a centro espositivo), alcune fabbriche e diverse botteghe artigiane, specializzate soprattutto nella lavorazione del ferro battuto. Data la scarsa penetrazione dei capitali cittadini nelle aree montane, il controllo da parte degli abitanti della montagna sulle risorse locali era molto forte, soprattutto per la vicinanza di un centro come Loro Ciuffenna e del suo mercato settimanale, dove gli abitanti potevano scambiarsi i prodotti di prima necessità. Nonostante il mutamento più radicale in queste zone sia stato quello del secondo dopoguerra, a seguito della crescita economica, della maggiore mobilità e della scolarizzazione, non

sono da sottovalutare le dinamiche che interessarono il Valdarno alla fine dell’’800 e che segnarono l’inizio di un rapporto nuovo tra città e campagna, innescando il progressivo allontanamento da un’economia dominata dall’autosussistenza e dal controllo feudale. Tra il 1862 e 1866 fu infatti realizzata la ferrovia Firenze-Arezzo, che migliorò notevolmente le comunicazioni, e nel 1872 nacque a San Giovanni la Società Italiana Per l’Industria del Ferro, che, sfruttando i giacimenti di lignite presenti nel territorio di Cavriglia, portò l’industria pesante nella valle dell’Arno. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale vennero raggiunti i massimi livelli di attività estrattiva. Il lavoro in miniera era particolarmente ambito in quel periodo perché assicurava l’esonero dalla chiamata alle armi. Finita la guerra, con l’arrivo del carbone dal Belgio a prezzo politico, il lavoro nel distretto minerario diminuì vertiginosamente, anche se l’attività estrattiva continuò ad essere fondamentale per alimentare la centrale termoelettrica di Santa Barbara fino al 1994. La memoria Durante la Seconda Guerra Mondiale l’area del Pratomagno occidentale fu oggetto della Guerra di Liberazione. Nel periodo che va dall’autunno del ‘43 alla primavera del ‘45, 17



a sinistra in alto Le donne a lavoro nella filanda di Loro Ciuffenna a sinistra in basso La cava di lignite a Castelnuovo dei Sabbioni e la Ferriera di San Giovanni Valdarno a destra Un comizio fascista in Piazza Umberto I, attuale Piazza Matteotti,a Loro Ciuffenna fonte: foto storiche da Nassini C., Martinelli M. (a cura di), Immagini dalle Vallate Aretine. Il Valdarno, Montepulciano (SI), Editrice Le Balze, 2003

si contarono circa 200 stragi in tutta la Toscana e la provincia di Arezzo fu tra le più colpite. Si formarono in quegli anni diverse brigate partigiane che combatterono sul fronte per liberare la montagna. Tra queste spiccarono la Brigata Mameli, guidata da Rodolfo Chiosi, formatasi nell’autunno del 1943 e l’8° Banda Autonoma, guidata da Raoul Ballocci. Molte borgate montane ospitarono partigiani e civili durante la rappresaglia nazista. Tra queste, il borgo di Roveraia, oggetto di questa tesi, fu base partigiana per molto tempo grazie alla sua posizione strategica immersa nel bosco. Qui i feriti venivano accolti e curati dal colonnello veterinario Ivo Droandi. Molti dei paesi di montagna, tra cui la stessa Roveraia, furono bombardati e furono teatro di fucilazione di civili da

parte dei tedeschi. Ancora oggi sono presenti sul territorio dei cippi commemorativi a testimonianza di questi avvenimenti. L’abbandono delle montagne Il fenomeno dello spopolamento della montagna e dell’abbandono delle attività ad essa legate ha iniziato a manifestarsi in Italia dal secondo dopoguerra ed è tuttora un problema in molte aree del nostro paese, dove i territori montani non sembrano offrire garanzie economiche, né consentire uno stile di vita consono agli standard imposti dalla società contemporanea. La causa principale dello spopolamento è da ricercare nel rapido processo di industrializzazione, che ha portato ad un progressivo indebolimento dell’attività agricola tradizionale. Non poten-

do competere con i sistemi economici dei centri urbani, la montagna ha subito negli anni una migrazione verso il fondovalle e le città. Nel dopoguerra il sistema agricolo montano non era all’avanguardia, soprattutto in relazione alla ricerca di policolture, che inevitabilmente non erano coltivabili in maniera efficiente a tutte le altitudini. In quegli anni era stata prospettata come possibile soluzione, rivelatasi poi fallimentare, quella della specializzazione dell’economia, ovvero dell’utilizzo di specifiche aree per specifiche colture e allevamenti. In questo modo la produzione agricola montana avrebbe potuto competere con alcuni dei prodotti dell’agricoltura di pianura, agricoltura questa improntata su un maggiore sfruttamento del suolo, coltiva19 zioni e allevamenti intensivi.


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Rocca Ricciarda

Gorgiti 644 San Clemente in Valle 545 Modine 699

851

Trappola

736 La Casa

626

Poggio di Loro

657

Trevane 625 Casale

Villa

795

Chiassaia 787

Anciolina 933

330

5895

LORO CIUFFENNA

Pratovalle 381

566

Faeto 612 Casamona

Gropina

631

308

San Giustino Valdarno


Le frazioni montane nel Comune di Loro Ciuffenna

a sinistra La carta delle frazioni montane nel Comune di Loro Ciuffenna

Il comune di Loro Ciuffenna si trova nel versante valdarnese del Pratomagno. Conta circa 5900 abitanti, considerando le numerose frazioni che ne fanno parte. All’altezza del sentiero di crinale del Pratomagno, il comune confina con il Casentino, in particolare con i comuni di Talla (1100 abitanti circa), Castel Focognano (3200 abitanti circa), Ortignano Raggiolo (900 abitanti circa) e Castel San Niccolò (2700 abitanti circa). A valle confina invece con Castiglion Fibocchi (2200 abitanti circa), Terranuova Bracciolini (12300 abitanti circa) e Castelfranco Piandiscò (9800 abitanti circa). Se il paese di Loro si trova ad una quota di 330 m s.l.m., le frazioni si trovano a quote molto differenti tra loro, a causa della morfologia della montagna. Tra gli insediamenti più importanti possiamo ricordare Gropina, famosa per la Pieve romanica di San Pietro, Anciolina, dove furono trovati alcuni resti attribuibili all’era preistorica, Chiassaia, Poggio di Loro, uno tra i più abitati perché vicino al centro di Loro, San Clemente in Valle, Trappola,

Gorgiti, caratteristica per i tanti punti balneabili del torrente Ciuffenna, Modine, Rocca Ricciarda, antico castello in cui ancora oggi sono presenti le rovine, Pratovalle, Faeto e Casamona. Il numero di abitanti di questi insediamenti oscilla tra i 10 e i 50 circa. Con i suoi 1600 abitanti, fa eccezione San Giustino Valdarno, frazione che si trova sulla Setteponti, in direzione Arezzo. A San Giustino, a differenza delle altre frazioni, sono presenti sia un campo sportivo che una scuola elementare. Per gli altri servizi, come la scuola media, i servizi sanitari, la bibioteca e i centri culturali, viene fatto riferimento a Loro Ciuffenna. Gi insediamenti di montagna sono collegati a Loro tramite strade carrabili e numerosi sentieri. Sono attivi, anche se non frequenti, servizi di trasporto pubblici, per facilitare gli spostamenti verso la valle di persone anziane e studenti. Loro Ciuffenna Molte sono le prove della presenza degli etruschi nelle zone vicino a Loro

Ciuffenna, come recita Tito Livio in Ab Urbe condita, parlando esplicitamente degli Etruschi stanziati in queste zone: Regio erat in primis italiae fertilis, Etrusci campi, qui Faesulas inter Arretiumque iacent, frumenti ac pecoris et omnium copia rerum opulenti. (Tito Livio, Ab Urbe condita Libri, Liber XXII, Cap. III). Lo stesso nome Ciuffenna probabilmente deriva dall’etrusco cerfa, ovvero cerva, così come il nome Gropina, che trova origine nel termine etrusco krupina, che significa villaggio, centro abitato, inteso anche come insieme di persone. Se la presenza di insediamenti Etruschi, seppur documenta, non è oggi particolarmente evidente, i Romani hanno invece lasciato segni tangibili sul territorio. Basti citare l’antica Via Clodia, che, passando dal territorio di Loro Ciuffenna, collegava le lucumonie di Arezzo e Fiesole. Tale via, conosciuta anche come Cassia Vetus, corrisponde in parte all’at21 tuale strada Setteponti, che da



a sinistra Loro Ciuffenna e la torre, simbolo del paese a destra Mulino ad acqua di Rocca Ricciarda

Firenze attraversa il Valdarno per arrivare ad Arezzo. Nel 123 d.C. questa via, poiché abbastanza tortuosa, fu sostituita dalla Via Adrianea, collegamento più diretto e lineare con Roma. Questo cambiamento portò Loro Ciuffenna ad una prima emarginazione nei confronti dei territori che si trovavano nel fondovalle valdarnese. Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, Loro e le aree limitrofe passarono sotto il dominio longobardo e bizantino. Di queste dominazioni rimangono i luoghi sacri, come la Pieve romanica di San Pietro a Gropina, il cui pulpito è stato attribuito ai maestri longobardi per il linguaggio stilistico. Un documento del 1059 testimonia che Loro era passata nelle mani di Ugo, figlio di un certo Suppone, forse della famiglia degli Ubertini, ma che

non molto dopo il castello era entrato a far parte dei territori dei Conti Guidi, fondatori di Rocca Ricciarda. Il Castello di Loro però esisteva già attorno al 900. Sotto i Conti Guidi, a partire dalla seconda metà del XI secolo d.C., iniziò quel processo di incastellamento che avrebbe segnato il paesaggio e l’architettura dei paesi della zona (Manneschi, 1921). Infatti molti punti e insediamenti cruciali del territorio vennero protetti da cinte di mura e torri. Monastero, pieve e castello divennero le principali forme in cui si espresse il popolamento della valle - dove tuttavia non andò scomparendo la tradizione antica dell’insediamento aperto e disseminato che aveva caratterizzato il periodo altomedievale (Manneschi, 1921).

Nel 1293 il Castello di Loro passò nelle mani di Firenze e negli anni successivi fu teatro della lotta tra Guelfi e Ghibellini, fino a che nel 1306 diventò definitivamente territorio dei Fiorentini, governato da un podestà. I primi statuti ufficiali della comunità di Loro risalgono al 1462. Alla fine del ‘700 Loro non si presentava così diverso da due secoli prima. Il vecchio castello costituiva il nucleo originale, attorno al quale il paese si era espanso, estendendosi anche oltre il fiume Ciuffenna, valicato da un ponte ad una sola arcata. In quella stessa epoca anche Poggio di Loro aveva mantenuto le sue antiche fattezze, come del resto il Castello della Trappola e Rocca Ricciarda.

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L’ecomuseo



Territorio e identità

a sinistra Uno degli edifici in rovina di Borgata Roveraia, una delle due aree di progetto

Il termine Ecomuseo venne utilizzato per la prima volta in Francia all’inizio degli anni Settanta. Nasceva in quegli anni l’esigenza di valorizzare le risorse ambientali, storiche e culturali del territorio e dei suoi abitanti, al fine di tutelare le tracce delle società rurali in un momento in cui l’urbanizzazione, le nuove acquisizioni tecnologiche e i conseguenti cambiamenti sociali esponevano al rischio reale di un completo oblio un patrimonio culturale millenario. I musei dell’epoca non erano in grado di soddisfare queste nuove esigenze perché si limitavano a raccontare la storia passata tramite gli oggetti che vi erano conservati. Nella parola ecomuseo, infatti, il prefisso ‘eco’ deriva dal termine greco oikòs, che significa famiglia o casa, un qualcosa di caro del quale è necessario prendersi cura. Una delle definizioni più efficaci di ecomuseo è quella proposta nella primavera del 1971 da Hugues De Varine, allora Direttore dell’International Council Of Museums (ICOM), e da Georges Henry Rivière, allora ex Direttore e Consigliere permanente dell’ICOM, i

quali definirono le specificità e le differenze del museo e dell’ecomuseo: un museo tradizionale espone una collezione, un ecomuseo un patrimonio; un museo è sito in un immobile, un ecomuseo nel territorio; un museo si rivolge ad un pubblico, un ecomuseo ad una popolazione. L’obiettivo primario dell’ecomuseo, o museo diffuso, è far riscoprire al territorio la propria identità attraverso un distretto culturale, ovvero una rete di musei, esposizione e luoghi di interesse storico, artistico, paesaggistico, architettonico, sparsi per il territorio d’interesse. Diversamente da un normale museo, non è circondato da mura o limitato in altro modo, ma si propone come un’opportunità di scoprire e promuovere una zona di particolare interesse per mezzo di percorsi predisposti, di attività didattiche e di ricerca che si avvalgono del coinvolgimento in prima persona della popolazione, delle associazioni e delle istituzioni culturali. Esso tende a rafforzare i processi di riconoscimento del patrimonio presente sul territorio, individuando per-

corsi che uniscono ai luoghi più noti le preesistenze isolate e non valorizzate. L’ecomuseo interviene nel territorio di una comunità, nella sua trasformazione ed identità storica, proponendo come ‘oggetti del museo’ non solo gli oggetti della vita quotidiana ma anche i paesaggi, l’architettura, il saper fare e le testimonianze orali della tradizione. Esso non sottrae beni culturali ai luoghi dove sono stati creati, ma si propone come uno strumento attraverso il quale la comunità si riappropria del proprio territorio e se ne prende cura.

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Gli ecomusei in Italia

a sinistra Una cappellina nei pressi dell’area di progetto all’imbocco dei sentiero 39

Lo strumento dell’Ecomuseo è stato introdotto per la prima volta in Italia con la legge regionale n. 31 ‘Istituzione di ecomusei in Piemonte’ del 14 marzo 1995. A partire da questo anno, gli ecomusei si sono diffusi soprattutto nelle regioni centro-settentrionali. Ad oggi tuttavia essi non sono riconosciuti ufficialmente tra le istituzioni culturali nominate dal codice dei beni culturali e del paesaggio, se non in alcune regioni. Di seguito sono descritti brevemente alcuni esempi di ecomuseo nel territorio italiano. Ecomuseo del Casentino L’Ecomuseo del Casentino, in provincia di Arezzo, è nato alla fine degli anni Novanta su iniziativa della Comunità Montana. Esso comprende tredici comuni del comprensorio casentinese e si presenta come un sistema che, individuando alcune macro tematiche, connette parti del territorio dove si trovano poli museali e didattici. Le tematiche principali sono quella archeologica, quella riguardante la civiltà castellana, quella manifatturiera e quella ambien-

tale, che comprende a sua volta le acque, il bosco e il sistema agro-pastorale del territorio. Attraverso questi temi è possibile ripercorrere la dinamica del rapporto uomo-ambiente nel tempo e nello spazio. Fanno parte dell’Ecomuseo del Casentino il Museo della Musica di Talla, il Museo della Castagna di Raggiolo, il Museo del Bosco e della Montagna di Stia e il Centro di Documentazione di Storia Locale di Poppi. Ecomuseo Adda Leonardo da Vinci L’Ecomuseo Adda di Leonardo da Vinci segue il corso del fiume Adda lungo un percorso interamente ciclo-pedonale di 21 Km all’interno del Parco Adda nord, tra le province di Lecco, Bergamo, Monza e Milano. Questo ecomuseo mira a valorizzare il patrimonio naturalistico, storico e ingegneristico locale, con particolare attenzione alle testimonianze del passaggio di Leonardo da Vinci, che in queste zone compì molti studi in campo idraulico. L’ecomuseo è diviso in 18 tappe, denominate ‘sale’, in analogia a quelle del museo tradizionale, ma all’aperto.

Ecomuseo del Biellese L’Ecomuseo del Biellese è nato da un progetto promosso dalla provincia di Biella, in Piemonte, nel 1996. È un sistema complesso di più cellule, che rispecchia la complessità del territorio di riferimento, e si avvale del coinvolgimento di istituzioni culturali e enti locali. Fa parte degli Ecomusei del Piemonte e ha come obiettivo quello di ricomporre e rendere percepibile il processo storico che ha condotto il territorio biellese da un’economia rurale e artigianale all’insediamento del distretto industriale tessile. Il recupero dei luoghi L’ecomuseo si pone anche l’obiettivo di recuperare i territori abbandonati, restituendo loro non soltanto un valore paesaggistico e architettonico, ma anche sociale. In questo senso è importante che l’integrazione di nuove aree sia sostenibile e duratura nel tempo, grazie al coinvolgimento in prima persona degli abitanti e all’incentivazione dei flussi turistici. È importante 29 riuscire ad integrare le preesi-



a sinistra in alto Borgo Biologico a Cairano, progetto di Verderosa Studio fonte: <www.verderosa.it/portfolio_page/ borgo-biologico/> a sinistra in basso Il progetto di recupero di Borgata Paraloup, a cura di D. Castellino, V. Cottino, G. Barberis e D. Regis fonte: <paraloup.it/storia-di-unarinascita/> a destra Uno dei mulini che si incontrano percorrendo la Via dei Mulini ad Acqua del Casentino fonte: <ecomuseo.casentino.toscana.it/>

stenze con il nuovo, creando un valore aggiunto soprattutto a livello funzionale e gestionale. Di seguito alcuni esempi di recupero di borgate in linea con i principi dell’ecomuseo. Borgo Biologico a Cairano Cairano è un borgo di 300 abitanti su una rupe di 800 m s.l.m., sulla dorsale appenninica al confine tra Campania e Lucania. È un luogo di forte memoria storica, teatro delle guerre dei Sanniti contro Roma, trasformato in rudere da un terremoto nel 1980. Nel progetto di recupero, al fine di relizzare un albergo diffuso, sono state previste delle tecnologie di adeguamento antisismico e risparmio energetico, e l’impiego di materiali locali nel rispetto delle tecniche costruttive tradizionali. Particolare importanza è stata data all’arte e alla

cultura con la realizzazione di un teatro all’aperto, una scuola-museo e delle cantine nelle grotte esistenti. Borgata Paraloup Borgata Paraloup si trova in Valle Stura in provincia di Cuneo. Questa borgata ha una doppia memoria: quella della guerra, in quanto tra l’autunno del 1943 e 1944 ospitò una delle prime brigate partigiane, e quella della vita contadina, che animava questi luoghi prima dell’abbandono delle montagne. Il progetto di recupero ha favorito non solo il restauro architettonico e fisico della borgata, ma anche il suo recupero sociale e produttivo, in quanto la borgata è stata resa nuovamente abitabile. I nuovi edifici sono stati realizzati grazie all’inserimento di tecnologie sostenibili all’interno del perimetro dei

vecchi, che si trovavano in un cattivo stato di conservazione dopo l’abbandono della montagna. Il sistema sostenibile che ne è scaturito si è diffuso anche al territorio limitrofo, che ospita non solo molteplici attività turistiche e culturali, ma anche attività agro-pastorali e artigianali.

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Un ecomuseo per il Pratomagno


Panoramica 00 Anciolina

39

Roveraia

49

Pratovalle La Baita Faeto

Casamona

Setteponti


Le aree di intervento

a sinistra Inquadramento delle aree di progetto Legenda Strada carrabile Sentiero Strada non praticabile Sentiero non praticabile

Il Pratomagno è un luogo ricco di testimonianze e valore paesaggistico. La creazione di un ecomuseo su questo territorio potrebbe rafforzare il legame tra i diversi elementi che lo caratterizzano: i borghi montani e le borgate isolate, i sentieri di crinale e quelli secondari di bosco, le tradizioni tramandate e quelle ormai abbandonate. Potrebbe inoltre dare nuovo impulso alla vita della comunità residente. In linea con questa idea, sono state individuate due aree critiche del Pratomagno, vicine tra loro, che potrebbero fungere da collettore di percorsi e punto di riferimento nell’ambito di un progetto più vasto di ecomuseo. Il progetto ecomuseale infatti ha l’obiettivo di essere traslato su tutto il territorio circostante. La Baita La prima area, denominata La Baita, si trova lungo la strada panoramica che collega Loro Ciuffenna alle frazioni di Chiassaia, Anciolina e San Giustino, ad una quota di circa 700 m s.l.m. Dall’area, al confine con il comune di Talla,

si diramano due sentieri: lo 00, che da sentiero di crinale si trasforma in questo nodo in ippovia, e il 39, di collegamento con i borghi di Pratovalle, Faeto e Casamona. Oggi l’area è occupata da un edificio abbandonato in pessimo stato di conservazione, che in passato fungeva da punto di ristoro e sosta lungo la Panoramica, strada di collegamento tra la Setteponti e il Pratomagno, che scorre parallela al crinale e dalla quale si ha la vista sulla valle sottostante. L’idea di progetto è quella di rafforzare il valore dell’area tramite la sostituzione dell’edificio esistente con un centro visitatori e di riqualificare i percorsi che da essa si snodano. Roveraia Percorrendo il sentiero 39 da La Baita in direzione Pratovalle, a circa 30 minuti di distanza si trova la seconda area. Essa si identifica come una borgata abbandonata, denominata Roveraia probabilmente per la forte presenza di piante di roverella, che, insieme a quelle di salice ed acero campestre, caratterizzano il bosco in cui è immerso

questo borgo di poche case. La borgata si presenta come un complesso di cinque edifici disposti su un dislivello di circa 20 m. Già presente nel Catasto Leopoldino al 1765, Roveraria fu teatro della Guerra di Liberazione del Pratomagno durante la Seconda Guerra Mondiale. La maggior parte degli edifici infatti oggi è in stato di rudere, a causa dei bombardamenti avvenuti in quel periodo da parte dei tedeschi. Si possono però ancora riconoscere la casa padronale, il primo fabbricato in buono stato di conservazione che si incontra non appena si arriva a Roveraia, i quattro annessi per le funzioni agricole che si trovano nel terreno con forte dislivello, che sono in stato di rudere, e un altro fabbricato in cattivo stato di conservazione che si trova nell’area ad una quota più alta. Il progetto mira a recuperare non soltanto il valore paesaggistico dell’area, ma anche la memoria storica del luogo e gli accadimenti passati. La borgata è ripensata come un luogo di sosta di non breve durata: sono dispo35 nibili alloggi e servizi per poter



a sinistra in alto La Baita allo stato attuale vista dalla strada a sinistra in basso La casa padronale della borgata a destra Vista al basso della borgata e dei suoi ruderi

vivere il territorio per più giorni e per partecipare ad attività organizzate nei laboratori presenti della struttura. Il percorso In un luogo immerso nel bosco il percorso è fondamentale. Esso indica il cammino da seguire. Nella casualità del terreno e degli insediamenti soltanto la strada è chiara. In entrambe le aree di progetto quello del percorso è un tema preponderante: un percorso sinuoso, che si muove tra la vegetazione e che solo alla fine lascia scorgere la meta. In questo gioco di pause a continua ripresa, la vista più interessante è quella che si ha di Roveraia poco prima

di raggiungerla. Arrivando dal sentiero 39 in direzione Pratovalle si intravede da lontano la casa padronale. Nessun altro frammento di architettura è visibile da quel punto, come se quella fosse l’unica testimonianza di resilienza del luogo. La pietra Elemento tradizionale degli insediamenti di montagna è la pietra. Essa sale con continuità dalle pavimentazioni agli edifici. La ritroviamo anche nei muri a secco, caratteristici della zona. Il progetto rispetta la tradizione. I muri a secco sono in continuità con la matericità delle preesistenze, mentre una

pietra più calda riveste gli edifici. Questa è l’arenaria, dal taglio più regolare, che richiama la roccia del luogo. I terrazzamenti sono tagliati da delle scale in pietra, delle fessure, che permettono un collegamento verticale tra i vari livelli. In alcuni punti le pedate dei gradini si dilatano, lasciando più respiro a quello che risulta un movimento continuo e ritmato.

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in alto Due degli annessi agricoli in rovina della borgata a destra Progetto del collegamento tra le due aree

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Centro visitatori La Baita

a sinistra Vista del nuovo centro visitatori dal sentiero 39 a destra Concept di progetto del centro visitatori

Percorso

Filtro

Bivio

Il centro visitatori ha uno sviluppo prevalentemente longitudinale che segue l’andamento del sentiero esistente. Il volume si presenta aperto da superfici trasparenti sul lato del sentiero, al limitare del bosco, a sottolineare l’integrazione tra natura e spazio. Su questo stesso lato l’edificio presenta al suo interno ambienti ampi e liberi, pronti ad accogliere il visitatore durante il suo cammino e a modificarsi in base alle esigenze del momento. Sul lato della strada invece il centro visitatori appare più chiuso e ospita la fascia dei servizi. La superficie continua qui è mossa soltanto delle aperture irregolari, che si intensificano in corrispondenza dell’angolo più vicino alla strada carrabile. A valorizzare il sentiero, lungo il fianco dell’edificio, è stato pensato un portico, che fa da filtro tra l’elemento

antropico e quello naturale. Camminando lungo il percorso si ha una percezione dello spazio interno che viene chiarita man mano che si percorre il portico. Dall’interno dell’edificio le schermature del portico permettono un dialogo frammentato e mutevole con il paesaggio circostante. Altro elemento importante è la copertura continua: essa si abbassa progressivamente man mano che ci si allontana dalla strada carrabile. La linearità dell’edificio ad un certo punto si rompe: la parte finale del volume si dirama e si apre uno spazio intermedio. Si viene a creare un braccio che guarda l’edificio principale attraverso delle grandi vetrate. Gli spazi, seppur divisi, dialogano affacciandosi su una piazza interna.

Il volume principale ospita il cuore del centro visitatori: il centro accoglienza con la zona espositiva riguardante il tema del territorio e due sale multimediali che raccontano i percorsi e le attività della tradizione legate al Pratomagno. Tale volume termina con una stecca che presenta ambienti in serie: le stalle per i cavalli. Trovandosi infatti vicino ad un’ippovia, l’edificio non è soltanto il nodo dei percorsi esistenti, ma è anche un punto dove si può lasciare un mezzo di trasporto per adottarne un altro e sostare: lasciando la macchina si può continuare a piedi, arrivando a cavallo ci si può fermare. Il secondo volume ospita un punto di ristoro, necessario per una zona di passaggio come questa. Esso si avvale anche dell’utilizzo dello 41 spazio esterno antistante.


3

1 2 4


a sinistra Planimetria di progetto del centro visitatori Legenda 1. Centro visitatori 2. Sala multimediale 3. Zona ristoro 4. Stalle in alto a destra Fotografia aerea dell’area in basso a destra Schema funzionale del centro visitatori

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Borgata Roveraia

a sinistra Vista di progetto dell’ingresso al centro didattico a destra Concept di progetto della borgata

Rovine

Terrazzamenti

Case sparse

La Borgata si presenta come un complesso costituito da case sparse. Nell’area ci sono cinque edifici principali preesistenti disposti su un dislivello di più di 20 m. Il progetto prevede un ampliamento, in parte ipogeo, che segue lo stesso schema della configurazione originaria delle architetture: edifici a due falde come quelli agricoli preesistenti, integrati nella borgata seguendo una disposizione apparentemente casuale. Là dove possibile, i fabbricati vengono recuperati, come nel caso della casa padronale. Dove

invece le architetture si presentano come ruderi, vengono inseriti all’interno di questi nuovi volumi che ricalcano, seppur in chiave moderna, l’edificio originale. Vengono poi aggiunti anche dei volumi interamente nuovi per completare il disegno della borgata. Come tipico dei borghi montani, per controllare il forte dislivello vengono inseriti dei terrazzamenti che collegano gli edifici esistenti e i nuovi, così che complessivamente l’insediamento presenti una struttura compatta. I terrazzamenti poi sono tagliati da delle

scale che creano delle fessure adiacenti ai volumi aggiunti. Elemento caratteristico è la torre panoramica, costruita sul perimetro interno della vecchia vasca di raccolta della borgata, la quale si trova ad un livello leggermente più alto rispetto alla casa padronale e al sentiero principale. La torre è a cielo aperto e presenta delle aperture sui due lati che si affacciano sulla borgata, così da avere delle finestre panoramiche sulla vallata sottostante.

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a sinistra Stato di progetto della borgata a destra Stato attuale della borgata Legenda 1. Casa padronale 2. Annessi agricoli 3. Edifici secondari 4. Vasca di raccolta delle acque

2 4 3

2

1

3

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a sinistra Assonometria di progetto della borgata in alto a destra Distribuzione delle funzioni all’interno della borgata e schema funzionale del recupero della casa padronale

Sala multimediale

Legenda Centro didattico Alloggi Zone espositive Torre panoramica

Allestimento permanente La memoria

in basso a destra Piante e concept di progetto di un alloggio tipo

Allestimento temporaneo

Primo piano

Piano terra

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a sinistra Sezione longitudinale della borgata a destra Schema funzionale del centro didattico

Le zone espositive Gli edifici esistenti in buono stato di conservazione ospitano le zone espositive, con particolare attenzione al tema della memoria e alla possibilità di esporre in maniera temporanea i prodotti finali realizzati nei laboratori didattici. In particolare la casa padronale, che è l’edificio che presenta il miglior stato di conservazione, ospita la zona espositiva temporanea a piano terra, una sala permanente al primo piano e una sala multimediale al secondo. Se nella casa padronale vengono fatti interventi di ricostruzione anche della copertura, il progetto vuole mantenere come museo a cielo aperto il rudere che si trova vicino alla torre panoramica, come a voler sottolineare ancor di più il rapporto tra la borgata di oggi

e il suo passato, testimonianza di un periodo storico drammatico che ha lasciato i suoi segni anche sul territorio. Gli alloggi Sulle altre rovine si innestano dei nuovi edifici che richiamano la forma e l’altezza delle preesistenze. Anche qui la pietra utilizzata in rivestimento vuole riprendere la tecnica di costruzione tipica dei borghi di montagna, pur incontrandosi con il linguaggio più moderno delle aperture. Esse, anche nella nuova costruzione, rispettano quelle ancora presenti nel rudere, ma diventano più piccole e si infittiscono nella tessitura della pietra man mano che il volume si erge dalla rovina per definirsi volume nuovo, contemporaneo. La nuova destinazione d’uso

di questi vecchi annessi agricoli, quali stalle, rimesse e fienili, di scarso valore paesaggistico, è quella di alloggi, in particolare appartamenti bilocali o trilocali con ingresso indipendente. Il centro didattico Il centro didattico si sviluppa nell’ampliamento della borgata, in parte anche ipogeo e collegato nei vari livelli dai terrazzamenti. Gli ingressi sono segnati da grandi vetrate, mentre i volumi sono scavati da aperture di dimensioni diverse. Entrando dall’ingresso principale si trova l’auditorium, che fuori si trasforma in teatro all’aperto, e che sotto ospita il refettorio. Le case sparse invece sono tematizzate in laboratori.

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a sinistra Vista dell’auditorium del centro didattico e di uno dei laboratori adibito a sala lettura a destra Sezione prospettica del laboratorio didattico

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1 2

Planimetria a quota 0.00m 1. Refettorio 2. Alloggio


1

4

2

3

Planimetria a quota 4.00m 1. Laboratorio 2. Auditorium

3. Sala lettura 4. Alloggio

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4

1

2

3

Planimetria a quota 7.00m 1. Laboratorio 2. Sala polivalente

3. Teatro all’aperto 4. Alloggio


Sezione trasverale della borgata

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Postfazione

a sinistra Modello di progetto di Borgata Roveraia

La lettura del paesaggio nelle sue componenti morfologiche, antropiche e culturali, così come lo studio delle dinamiche insediative e d’uso del territorio, hanno permesso di definire i principi compositivi della progettazione dell’Ecomuseo del Pratomagno, nonché la proposta di un programma per una fruizione sostenibile e consapevole del patrimonio ambientale. L’area La Baita, che ospita il nuovo centro visitatori, trae dal suo essere snodo strategico per la confluenza di strade carrabili e sentieri naturalistici la ragione della sua volumetria, che non solo lambisce il percorso principale col fronte porticato, ma grazie al suo modellarsi organico, si inserisce delicatamente nel contesto, anzi mira a diventarne parte, un pezzo di paesaggio, un frammento d’albero, forse un ramo. Da qui, attraverso il recupero di alcuni sentieri, si procede a piedi o a cavallo verso la borgata abbandonata della Roveraia dove vengono recuperate le preesistenze, quelle meglio conservate e quelle ridotte a ruderi o segni sul terreno, ma anche realizzate nuove volumetrie. L’intervento sul sopravvissuto, rispettoso della memoria e del tragico passato, preserva la lettura delle tracce costruendo le nuove volumetrie internamente e in adiacenza ai vecchi muri perimetrali senza affaticarli. La pietra, ancora locale ma di cromia leggermente differente, conferma la volontà di mantenere leggibili le stratificazioni del tempo e, girando in copertura, contribuisce alla definizione dei volumi. Il carattere, reinterpretato in chiave contemporanea, si riferisce alla matericità, alla stereometria e alla misura dell’architettura minore toscana, dove la massa prevale sulla superficie, il pieno sul vuoto, la sobrietà sull’eccesso. Recuperate le volumetrie della borgata esistente queste orientano per giacitura, misura e linguaggio le nuove realizzazioni e la nuova sistemazione orografica. L’importante pendenza del terreno, risolta con una serie di terrazzamenti che accolgono le nuove costruzioni, ha suggerito l’opportunità di un impianto parzialmente ipogeo per recuperare quelle superfici necessarie allo svolgimento delle attività previste senza compromettere la figuratività della borgata. Il sistema di scalinate che risolve le differenze di quota contribuisce alla composizione definendo sia le volumetrie dei terrazzamenti sia quelle delle costruzioni. L’Ecomuseo del Pratomagno si configura così come un paesaggio a più livelli dove le presenze del passato suggeriscono il disegno del nuovo in un continuo dialogo fra misure, volumi, materiali, fra spazio costruito e natura.

Arch. Daniele Aurilio Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze

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Bibliografia

a sinistra Modello di progetto di Borgata Roveraia

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Indice

a sinistra Modello di progetto di Borgata Roveraia

Presentazione Prof. Fabrizio Rossi Prodi

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Il Pratomagno Il territorio La vita in montagna Le frazioni montane nel Comune di Loro Ciuffenna

11 13 17 21

L’ecomuseo Territorio e identità Gli ecomusei in Italia

25 27 29

Un ecomuseo per il Pratomagno Le aree di intervento Centro visitatori La Baita Borgata Roveraia

33 35 41 45

Postfazione Arch. Daniele Aurilio

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Finito di stampare per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Luglio 2021



Il fenomeno dello spopolamento della montagna, iniziato in Italia dal secondo dopoguerra, interessa tuttora molte aree del nostro Paese e si accompagna al processo di abbandono delle campagne e delle attività ad esse legate. Gli ecomusei, o musei diffusi, attraverso la costituzione di una rete che unisce poli espositivi, poli didattici e luo-ghi di rilevanza storica, artistica e paesaggistica sparsi sul territorio d’interesse, costituiscono uno strumento importante per restituire memoria e identità a questi luoghi. La ‘costruzione’ di un museo dif-fuso si avvale del coinvolgimento della popolazione, delle associazio-ni e delle istituzioni, con l’intento di tutelare il territorio e farlo cono-scere. Oggetto di questa tesi è lo studio di un ecomuseo nel sistema montuoso appenninico del Pratomagno, in Toscana. Il progetto pre-vede il recupero di un’area denominata La Baita, a una quota di circa 700 m s.l.m., dalla quale si diramano diversi sentieri montani, e della poco distante borgata abbandonata di Roveraia, raggiungibile attra-verso un percorso boschivo. Roveraia, che deve il suo nome alla forte presenza di piante di roverella, fu teatro della Guerra di Liberazione del Pratomagno durante la Seconda Guerra Mondiale. Il progetto, at-traverso la realizzazione di alloggi e laboratori, mira a recuperare non soltanto il valore paesaggistico e architettonico della borgata, ma anche la sua memoria storica. Se La Baita, trasformata in un centro visitatori, è un luogo di passaggio, Borgata Roveraia è un luogo dove fermarsi a riflettere. Emma Amidei. Arezzo, 1994, architetta. Si forma presso la Scuola di Architettu-ra dell’Università degli Studi di Firenze, laureandosi nel 2019 con Fabrizio Rossi Prodi. La presente pubblicazione è il risultato del lavoro di tesi, riguardante un luogo di interesse a lei caro fin dall’infanzia e di forte valore paesaggistico.

ISBN 978-88-3338-146-6

ISBN 978-88-3338-146-6

9 788833 381466


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