Toscana delle Culture 1993-2012 - 20 anni di manifesti

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MARIO PAPALINI | GIORGIO ZORCÙ QUADERNI 6

[ 20 ANNI DI MANIFESTI ]

Venti anni di storie e venti manifesti: una testimonianza dedicata ai giovani artisti, amministratori pubblici e operatori culturali, ai cittadini

[ 20 ANNI DI MANIFESTI ]

che sanno cogliere e interpretare le voci.

€ 10.00



MARIO PAPALINI | GIORGIO ZORCÙ

[ 20 ANNI DI MANIFESTI ]


Quaderni 6

Produzione C&P Adver Grafica Stefano Cherubini Foto di Lorenzo Filoni e Antonio Ruffaldi Santori Collaborazione Luigi Freni

ACCADEMIA MUTAMENTI Piazza Colonna 1 58033 Castel del Piano (Gr) www.accademiamutamenti.it

Via Circonvallazione Nord 4 58031 Arcidosso (Gr) www.cpadver-effigi.com


E se a qualcuno verrĂ in mente, un giorno, di fare la mappa di questo itinerario; di ripercorrere i luoghi, di esaminare le tracce, mi auguro che sarĂ solo per trovare un nuovo inizio. ANTONIO NEIWILLER Per un teatro clandestino


MANIFESTAZIONI di GIORGIO ZORCÙ

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are un festival è come creare un’opera. Mi ci dedico a lungo, studio le possibilità, i luoghi, i compagni di viaggio, e infine creo una composizione, con un inizio una fine e un corpo centrale. Il progetto si nutre di intuizioni e di occasioni improvvise, come di atti meditati a lungo. Come un’opera, appunto. Toscana delle Culture non è mai stata una “rassegna”. Ho trovato in Mario Papalini lo stesso atteggiamento, e l’intesa è stata immediata e duratura. Un manifesto ha come destinazione i muri di una città, ed è la sua prima forma di dialogo col mondo, la sua prima lingua. La prima azione manifesta della manifestazione. È parte costitutiva di quell’atto creativo, sostanza del produrre cultura. Pubbllca. Bene comune, come si usa dire oggi. È anch’esso un’opera. È una cosa rara che un festival sia stato fondato e diretto per venti anni dalla stessa persona, e cosa ancora più rara che l’autore dei manifesti sia sempre stato

lo stesso. Ci è sembrato così un atto dovuto darne testimonianza con questo catalogo: semplice, immediato, senza altre immagini se non quelle dei manifesti stessi. Abbiamo chiesto una presentazione a Giovanni Alessandri, chiedendo anche a lui il linguaggio immediato del ricordo e dell’emozione, sapendo che fin da quando, poco più che ragazzo, vide il primo manifesto sui muri di Sasso d’Ombrone, ha accompagnato il festival come amministratore in quasi tutte le sue edizioni, e sempre come spettatore. Per quanto mi riguarda non so ancora cosa ho scritto; il compito iniziale era di fare un breve racconto per ogni anno, poi sono stato sopraffatto dalla densità e dall’intreccio di tante storie, che la memoria amplifica, distorce o cancella: il progetto con gli artisti, le compatibilità economiche, i rapporti con le istituzioni, le rabbie e le soddisfazioni, le mille relazioni umane, la vita privata.


La sensazione, ora, è che la somma delle tante “operine” di ogni anno ha il respiro di un’opera più grande, che ha trasformato me, molte persone, l’immagine stessa di un territorio. E che questa opera ha i volti dei personaggi dei caratteri - che l’hanno creata: non solo io e non solo Mario, ma i volti degli artisti, degli operatori, dei funzionari e degli amministratori che rappresentano e hanno rappresentato le istituzioni pubbliche, e che ne hanno consentito la produzione, seguendo un loro ideale. Ed è per questo che voglio ringraziare di cuore tutti, ma sopratutto le istituzioni che hanno sempre accompagnato Toscana delle Culture: la Comunità Montana – ora Unione dei Comuni – dell’Amiata Grossetana, i Comuni che la compongono, la Provincia di Grosseto e la Regione Toscana. Sempre hanno fatto sentire la loro vicinanza e la loro voce, e reso vivace il nostro discorrere.


Vent’anni di manifesti per Toscana delle Culture di MARIO PAPALINI

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uasi non ci credo… ma a vederli così, distesi uno dietro l’altro, anno dopo anno, accade ciò che accade quando si mettono assieme cose del passato. Sembra impossibile, eppure eccoli in fila, venti manifesti, la sublimazione di un rapporto creativo, la mappa di un percorso di lavoro e amicizia, di intenti comuni e contrasti, di aspirazioni. Giorgio, animatore di Toscana delle Culture, ti devo ringraziare, io diffidente, mi hai aperto al teatro, suggerendomi che nell’agire artistico la differenza sta solo nel prodotto e non nei procedimenti, nei metodi. Quelli nascono secondo impulsi individuali macerati nell’essere e nella formazione propria: ogni azione è comunicazione del sé in rapporto con gli altri vicino, con un linguaggio capace di prendere il volo e diventare memorabile, patrimonio comune, di fatto, ricchezza. Non mi sembra nemmeno che siano miei tanto, nel mutamento, ritrovo diversi ed uguali quei segni partoriti da C&P Adver, sigla

improbabile ereditata da errori giovanili che, caparbiamente, ho perseguito come un piercing, come un tatuaggio di cui mai costringerei il mio corpo. Capacità di adattamento e istinto di sopravvivenza direi. Alterità. Quei segni li ascolto come un gioco e come l’enzima di una perseveranza che mi riconosco e la prova che quelle cose le ho fatte davvero, come se nel vortice dell’operare scompaia lo stile che non ho mai avuto, rigenerato nella mano anonima del mio gruppo creativo. Quei segni sono segni di un altro da me, dell’alterego operativo? Creativo? Dell’altro che abita e convive con il me che si alza ogni mattino. Si tratta di immagini, di corporazioni frattali che acquistano la loro consistenza morfologica nel procedere delle relazioni personali, una volta “trovate” si depositano come sedimenti, come oggetti portati dal mare, come ossi di seppia, sulla corteccia degli anni. Non sono più la medesima persona del primo manifesto spoerriano, ma in quella croce latina disposta nel tramonto all’orizzonte riconosco un’intuizione che


appartiene al mio essere piĂš profondo. La produzione creativa è anche questo, anima svelata, eccitazione, sudore e profumo del proprio corpo che si mescola col mondo. Non occorrono pennelli per fare arte, ma movimenti articolati delle mani rubati al razionale di non so quale parte del cervello. Le guardo, le immagini, i manifesti, uno dopo l’altra. E ne vado fiero.


Toscana delle Culture e i suoi manifesti di GIOVANNI ALESSANDRI

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asso con la macchina e scruto i manifesti attaccati sul muro. Non c’è quasi mai niente che mi colpisce. Anzi no, fammi vedere… c’è qualcosa di nuovo. Toscana delle Culture. Che bel manifesto, deve essere bravo questo studio grafico C&P Adver per fare una cosa così particolare, anche la manifestazione deve esserlo. Saranno di Firenze o di Roma, chissà. Sono di Arcidosso? Non ci credo. Se la locandina è bella forse anche la manifestazione lo è. Ci devo andare. Ci andrò. Ci vado e sono sorpreso. Da noi… questa roba… pazzesco. A Cinigiano non c’è mai stato niente di simile; se fossi assessore farei di tutto per portare Toscana delle Culture da noi. Mi chiamano: uno scherzo? Vuoi fare l’assessore? Io? Ma, che c’entro? Dai, ci vuole gente nuova. Ci penso, ci ripenso, sono intrigato. Alla fine dico sì. Assessore all’agricoltura, all’ambiente al territorio e si collabora con l’assessore alla cultura. Mi piace. Che esperienza stimolante fare l’amministratore e Toscana delle Culture, finalmente

a Cinigiano: troppo bello. Troppo difficile. Meglio la banda o i ballerini o una sfilata di miss. Costano meno si riempiono più serate d’estate. Ci sono tante frazioni. La gente non capisce certe cose. Ci vuole roba semplice, più popolare. Poi costa troppo. Lo devi fare tu. Io? Perché? Non c’è nessuno, sei giovane… Sarò in grado? Divento Presidente della Comunità Montana dell’Amiata Grossetana. Toscana delle Culture non si tocca. Per me è l’evento dell’Amiata. Un festival di area, esagerato. Ci credo. La promuovo. Mi ci dedico con l’assessore alla cultura. Ogni anno è una guerra. Ai sindaci, non piace, non lo vogliono più. Troppo difficile, costa troppo; basta con queste cose troppo originali. Con gli stessi soldi che si spendono, sai quante bande, fanfare cori e dj. Qualche comune, con i soldi di uno spettacolo di Toscana delle Culture, ci riempie tutte le sere d’estate: hai presente? Ma perché Alessandri difende a tutti i costi Toscana delle Culture? È amico di Zorcù, è per questo. Se si fa, questo è l’ultimo anno e con quei costi Zorcù deve fare


tutto quello che dicono i sindaci. Ma non ci piace uguale. Per quest’anno si fa, ma al prossimo si cerca un altro direttore artistico. E poi è meglio la musica classica: Santa Fiora in Musica; no, è meglio Amiata Piano Festival, non costa niente, lo pagano tutto i privati. Toscana delle Culture è un festival che ha fatto il suo tempo. È nel circuito provinciale? Allora anche gli altri festival ci devono essere. E poi sempre questi personaggi strani che nessuno conosce: Virgilio Sieni, Ascanio Celestini, Marco Paolini… basta. Finisce il mio secondo mandato di amministratore. Finalmente, torno al mio lavoro. Mi dispiace, però. Sono passati già Venti Anni e Toscana delle Culture c’è di nuovo. Ancora? Ma com’è possibile? Sto aspettando il manifesto, ecco lo vedo, lo riconosco, come sempre, sul muro del mio paese e allora mi fermo con la macchina, lo voglio vedere bene; sempre originale; scorro le date e poi… come sempre a qualche spettacolo ci vado, dovesse cadere il mondo… con qualcuno che apprezza. Ormai è una costante della mia estate. Anche della mia vita?


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19 93

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el 1993 avevo 41 anni, e la mia vita nel teatro era a un punto di svolta. I dieci anni appena trascorsi erano stati molto tumultuosi: avevo scoperto il teatro del mondo dagli osservatori del Festival di Santarcangelo, del CRT di Milano e del Festival di Volterra. Tutte esperienze concluse. Ero ricco di relazioni e di interessi, ma inquieto mi domandavo i perché più profondi del mio rapporto col teatro, e la mia collocazione. Grazie a Renato Palazzi avevo iniziato un nuovo percorso di insegnamento – e quindi di studio – con la Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, e mi decisi ad aprire un mio centro di lavoro artistico in Toscana, con la vicinanza di Antonio Neiwiller, l’artista a cui ero stato più vicino negli ultimi anni. Fondammo quindi sull’Amiata, che avevo riscoperto grazie a Thomas Fortmann, il nuovo festival-laboratorio Toscana delle Culture, con la vicinanza amichevole e rassicurante di Claudio Angelini, del nuovo amico Bruno Gaudieri, e di coetanei attori-autori come Claudio Morganti, Danio Manfredini e il danzatore e coreografo Virgilio Sieni, che avrebbe eletto l’Amiata a proprio cantiere di lavoro estivo per più di dieci anni. Fu Marco Baliani ad aprire la prima edizione con “Kohlhaas”, in una piazzetta di Monticello Amiata. Leo de Berardinis era il mio punto di riferimento artistico in quell’epoca, e lo

invitai insieme a Francesca Mazza a stare con noi in quei giorni, semplicemente, senza nessun impegno “spettacolare”. Negli ultimi giorni ci raggiunse anche Steve Lacy, protagonista di due memorabili concerti insieme agli inseparabili Steve Potts, Jean-Jacques Avenel e al Quartetto di Tirana. Lo scopo di Toscana delle Culture era quello di aprire un luogo di lavoro estivo, con poche ospitalità esemplari ma con tanti laboratori e nuovi incontri in scena, aperti alla musica e alle arti visive. Un festival di creazione. La formula era quella di un lungo periodo preparatorio che doveva sfociare in cinque giorni intensi ad Arcidosso, invadendo luoghi ed orari diversi. Gli artisti amici che si volevano unire erano invitati a portarsi nello zaino documenti da condividere, ed attrezzammo la stanza al primo piano della Sala dell’Oratorio con un impianto di riproduzione video sempre affollata di nuove visioni e discussioni. L’evento artisticamente più importante fu senza dubbio “L’altro sguardo” di Antonio Neiwiller, ma i ricordi belli di quei giorni sono legati alla vita quotidiana intensa fatta di colloqui fitti: con Neiwiller e Steve Lacy al Bar Centrale, le notti al Ristorante Zi’ Emilio, le passeggiate con Leo e Claudio Morganti, che apriva la prima fase di lavoro del film “Riccardo III”, che avremmo girato l’anno successivo. Ci concedemmo anche escursioni in altri luoghi della provincia: un evento a Capalbio, e un piccolo festival a Castiglione della Pescaia, alla fine di agosto. Tutto quel lavoro ci lasciò stremati, ma soddisfatti per l’incontro nuovo con le comunità locali, l’entusiasmo di tanti gio-

vani e meno giovani che scoprivano per la prima volta un altro teatro, l’adesione appassionata di tanti attori, il cui nucleo fondamentale era il gruppo formato da Leo a Bologna intorno alla sua nuova esperienza al Teatro Testoni. Roberto Bacci e il Centro di Pontedera mi donarono un furgone pieno di materiale tecnico per permettere quella prima edizione. Paola Capranica, l’allora assessore alla cultura della Provincia di Grosseto, fu la prima a credere nel progetto, concedendo i primi finanziamenti.

Il manifesto Con Mario Papalini fu il primo incontro, e mi meravigliai di come quello che avevo inseguito a Santarcangelo e a Milano, cioè la sintonia e l’affiatamento con un grafico che potesse comunicare all’esterno la mia idea di teatro, lo incontrai in questo posto ai confini del mondo. Non avrei fatto più nulla senza la sua vicinanza e il suo contributo artistico. Siccome una delle novità più sorprendenti del paesaggio amiatino era il Giardino di Daniel Spoerri, e l’artista era uno dei fondatori dell’Accademia Amiata, decidemmo di partire da lì. Dopo tanti tentativi non soddisfacenti Mario decise che doveva esserci solo l’ombra, il profilo di un’opera che si stagliava sul paesaggio. E così fu. Ripensando a come si svolge oggi il lavoro di composizione grafica e di stampa mi viene da ridere ripensando a quei giorni, quando il luogo più vicino per comporre le immagini e poter vedere i bozzetti era a Siena, e io e Mario facevamo avanti e indietro da Arcidosso a là.



19 94 Il 1993 finì con un lutto, la scomparsa improvvisa di Antonio Neiwiller per leucemia. Da sei anni ne condividevo il percorso artistico, e proprio grazie a lui nacque la decisione di fondare Toscana delle Culture. Con la sua compagna Loredana Putignani decidemmo di creare un’opera a lui dedicata: Il Castello dei Mutamenti. Il Castello Aldobrandesco, vuoto e disponibile, si prestava ad operazioni artistiche importanti, come nel futuro feci con il gruppo colombiano di Enrique Vargas e con il russo Jurij Alschitz. Ma fu da Antonio che nacque tutto. Insieme al Castello dei Mutamenti decidemmo di mettere in cantiere altre due opere impossibili: un lavoro di teatro e musica guidato dal tedesco Horst Lonius con alcuni giovani attori italiani poi diventati famosi: Bebbe Battiston, Sergio Romano e Massimiliano Speziani; e il film di Claudio Morganti “Riccardo III”, che chiamò a raccolta un nugolo di grandi attori, da Moni Ovadia a Marina Confalone, da Marco Baliani a Danio Manfredini. Decisi di giocarmi questa possibilità provando a fare un progetto europeo, sostenuto dal nuovo dirigente regionale Massimo Paganelli. Il 1994 cominciò con una bella notizia. Ero a Bergamo e mi presentarono Mario Raimondo, direttore della sede RAI di Milano. Appena lui sentì il mio nome mi fece

i complimenti per il bel progetto che avevo fatto, e scoprii che era il commissario italiano nella giuria di selezione dei progetti culturali europei, che allora si chiamava Caleidoscopio. Insomma appresi così, per caso, che avevo vinto il mio primo bando europeo, e che quel progetto impossibile si poteva ora realizzare. Il festival del 1994 fu fatto quindi di riprese cinematografiche nei boschi, di nottate di prove con attori e musicisti al Teatro degli Unanimi, di messa a punto dei tantissimi pezzi di teatro, di cinema, di installazioni artistiche al Castello Aldobrandesco, insieme ancora a Leo de Berardinis e Mario Martone, Remondi e Caporossi, Toni Servillo, Renato Carpentieri e una moltitudine di attori, poeti e artisti napoletani che avevano Antonio nel cuore. Mentre Danio Manfredini “occupava” lo spazio della Sala dell’Oratorio, inaugurato l’anno prima da Antonio, col suo “Tre studi per una crocifissione”.

Il manifesto Neiwiller amava disegnare e dipingere, del resto nasce scenografo, e aveva lasciato una grande quantità di disegni e pitture. La nostra attenzione fu colpita da una croce bianca su fondo bianco, e quella fu la partenza. Ricordo però le mille discussioni che ci furono in seguito tra i “puristi” della croce bianca, che ebbero la peggio, e gli “ornamentali” che condirono la croce con cornice e disegnetti.



19 95

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l segno artistico più forte del 1995 fu il colombiano Enrique Vargas. Quello che sarebbe rimasto più a lungo non solo nella memoria degli spettatori del festival ma anche in quella collettiva del luogo-Amiata, tutto partì da una telefonata di Maria Vignolo, mia ex allieva attrice alla Paolo Grassi: «Guarda che devi venire assolutamente a Parigi, alla Villette, a vedere “Il filo di Arianna”; lavoro con Enrique da qualche mese e fa un teatro sorprendente». E alla Villette, effettivamente, mi trovo davanti una sorpresa: un labirinto dove accede una persona alla volta e un percorso emotivo fortissimo nell’oscurità, accompagnato da voci, evocazioni, mani, sussurri. Con Enrique fu intesa immediata, e l’occasione per farlo venire fu un corso di specializzazione professionale per attori in cui lui e i suoi artisti più vicini erano le guide. Il Castello dei Mutamenti continuò quindi sotto il segno di Vargas, e per il teatro italiano fu una vera scoperta: già un anno più tardi molti se lo sarebbero conteso. E per il Castello Aldobrandesco nasceva una nuova vocazione: un “contenitore” vuoto che diventava sede di grandi eventi internazionali, sostenuto da finanziamenti europei; opportunità molto concreta che sarebbe continuata fino al 2004, quando si strutturò in Amiata Summer Theatre Academy con

partecipanti (paganti) da tutto il mondo, e vincitore di nuovi bandi europei. Insieme a Vargas, star di questa edizione, e alla “Conferenza di un danzatore ambulante” di Virgilio Sieni, arrivò Bustric e anche un nuovo progetto di arti visive nel paesaggio, con cui intendevo ridare senso e vita alla sezione arti visive del festival. Invitai Giuliano Mauri, l’artista italiano più rappresentativo di Arte nella Natura, conosciuto ai tempi di Santarcangelo quando realizzò allestimenti fantastici sul greto del fiume Marecchia per un’opera del Teatro Valdoca. Lo scoprii cultore e amante della storia di David Lazzaretti, e in suo onore si offrì di stare con noi dieci giorni e costruire al Parco Faunistico, con legni e arbusti, una nuova piccola Torre di David, con vista prospettica sull’originale, che chiamò “Camera vegetale di decompressione”. L’altra sorpresa del 1995 fu l’invito a realizzare una sezione del festival ad Orbetello, cui dedicammo molte energie, e che riuscimmo ad inaugurare con uno splendido Billy Cobham che ci deliziò con oltre tre ore di concerto, ma anche con l’arrivo di Marco Paolini e del suo “Racconto del Vajont”, di uno scatenato Virgilio Sieni che coreografava Eschilo nello spazio della Corte del Frontone, che ribattezzammo Teatro della Laguna, di Pippo Delbono e Pepe Robledo che portavano “La rabbia”, spettacolo che fu la premessa del loro successo internazionale, preceduto da un laboratorio dove conobbero attori e attrici che li avrebbero poi seguiti nella loro fortunata carriera.

Il manifesto Si trattava di porre di nuovo il Castello Aldobrandesco al centro dell’attenzione, e questa volta la scelta fu immediata e senza discussioni: ll lato del muro della torre che mostra misteriosi graffiti d’altre epoche, da cui far sorgere come spiritelli i simboli alchemici dei metalli, tra cui quello dell’oro, che ci avrebbe accompagnato per qualche anno, e che ancora oggi rivedo con gioia.



19 96

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el 1996 ci fu insieme l’apertura di una nuova possibilità, e insieme un rischio: le nuove regole della Regione imponevano di fare “progetti d’area”, e Toscana delle Culture fu uno dei progetti pilota. Il festival si allargava agli 8 paesi della Comunità Montana, e soprattutto cambiava la formula gestionale e amministrativa. Ci fu infatti il passaggio della “proprietà” dall’Accademia Amiata alla Comunità Montana, che da allora ne detiene la gestione a tutti gli effetti. Il festival quindi si allargava, ma perdeva il suo centro, fino ad allora ad Arcidosso, insieme alla formula dei laboratori e delle produzioni, per distendersi in un mese di programmazione. C’era l’acquisto di una forza istituzionale, e anche l’opportunità di rappresentare un territorio vasto, ma anche la perdita di un centro e delle possibilità produttive. Ripensando a quei momenti mi viene in mente un koan del buddismo zen che recita: “Dove va il pugno quando la mano s’allarga?”. Sono ancora qui che medito sulla risposta. Il festival cominciò di fatto a Lubiana e Bogotà: il festival Exodos e il festival Iberoamericano erano infatti i nostri partners per la produzione di “Oracoli”, il nuovo grande spettacolo di Enrique Vargas, sostenuta da un progetto europeo che insieme vincemmo. Dopo queste due prime tappe lo spettacolo sarebbe

approdato al Castello Aldobrandesco e da qui, ancora fino ad oggi, in tutti i più grandi festival del mondo. Quell’anno provai di nuovo, dopo gli anni di Santarcangelo, l’ebbrezza di essere al centro dell’attenzione dei teatri del mondo: lo scambio di biglietti da visita con Bernard Faivre d’Arcier, direttore artistico del Festival d’Avignon, dopo l’invito a recarsi là per un sopralluogo; i colloqui con Joe Melillo, executive director della prestigiosa BAM, la Brooklyn Academy of Music di New York che aveva appena ospitato il “Mahabarata” di Peter Brook, durante una gita in camionetta nelle fazende dei dintorni di Bogotà, insieme ad altri direttori di festival internazionali. Pagai molto cara questa vanità: oltre trenta attori per più di un mese, un allestimento ad hoc al Castello Aldobrandesco, le spese che andarono fuori controllo. Ci sarebbero voluti quindici anni per ripagare quei debiti, aggravati da un furto subito alla fine della sezione orbetellana del festival, due computer e tutta la cassa. Alla fine mi resi conto dell’impossibilità di gestire il mastodonte “Oracoli”, e chiesi al mio amico Pietro Valenti, direttore dell’ERT, il Teatro Stabile dell’Emilia Romagna, di prendersi a carico la produzione e la sua distribuzione. Il passaggio di consegne avvenne proprio ad Avignone, dove accompagnai Enrique per il sopralluogo. Per anni il progetto del Teatro de los Sentidos sarebbe continuato a Modena, dove continuò l’attrazione di nuovi attori italiani iniziata sull’Amiata. Ma “Oracoli” non fu il solo evento del festival; di quell’anno ricordo con particolare piacere l’ospitalità di dieci giorni data a Marco Paolini, che stava provando il suo “Milione” e aveva bisogno di un luogo appartato di concentrazione. Insieme a lui alcuni allievi attori della Paolo Grassi

di Milano, a cui passava la memoria del “Racconto del Vajont”. Le prime prove pubbliche del “Milione” avvennero nella piccola piazzetta di Porta di Maremma a Roccalbegna, in due serate diverse. Nella prima chiamai a raccolta, intorno a lui, molti narratori e attori locali, e fu una serata indimenticabile; fu lì che Giuliana Musso, una delle allieve attrici che erano con lui, ci fece sentire per la prima volta il “Racconto del Vajont” al femminile; molti anni dopo avrei ospitato nella stagione invernale gli spettacoli di Giuliana, diventata ormai attrice conosciuta e apprezzata. Subito dopo le prove del “Milione” a Roccalbegna Marco portò il suo “Racconto del Vajont” – l’originale - al Teatro degli Unanimi di Arcidosso. Nell’autunno successivo quello spettacolo avrebbe scosso le statistiche televisive dell’audience, e sarebbe diventato l’emblema della possibilità di fare una televisione diversa, lanciando Marco verso il successo popolare. Piccole chicche furono il corollario di questo pazzo 1996, portate da alcuni degli attori che gravitavano intorno a Leo a Bologna, da Marco Manchisi a Francesca Mazza, oppure dal folletto Paolo Ciarchi che girò l’Amiata con la sua “Microconferenza di musicologia applicata”.

Il manifesto Nel gruppone di artisti colombiani che accompagnavano Enrique spiccava la sagoma massiccia, barbuta e misteriosa di Dioscorides Peres, pittore, filosofo e sciamano originario delle foreste amazzoniche. Sua era una delle stanze di “Oracoli”, dove tatuava un segno sul polso di ogni visitatore, suoi i disegni dei tarocchi che accompagnavano il percorso, e suo il disegno del manifesto, che Mario subito approvò con entusiasmo, e i tanti disegni che accompagnarono il libretto con il programma.



19 97

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u l’anno nero. Eravamo sommersi da debiti enormi, ed arrivò la mazzata finale: il nuovo assessore alla cultura della Provincia di Grosseto, con una decisione senza precedenti e – scoprimmo più tardi – piuttosto “discrezionale”, azzerò totalmente i contributi al festival, accumulati dopo anni di riconoscimenti e successi. Quindi crollavano sia la possibilità di fare il festival che quella di iniziare un lento recupero delle economie. Oltretutto il festival era diventato “d’area”, ed avevamo l’impegno di programmare in 8 diversi Comuni. Ma come ogni tanto accade, è proprio dal fondo più nero della sconfitta che nascono le cose del domani. Quell’azione dell’assessore provinciale provocò prima di tutto una valanga di fax da tanto teatro italiano e internazionale; dalla segreteria della presidenza della Provincia un giorno mi arrivò una telefonata, tra lo scherzoso e l’allarmato: “Basta, digli di smetterla, non facciamo altro che ricevere fax per voi!”. Il Presidente quindi si rese conto dell’effetto e promise che avrebbe guardato con un altro occhio la manifestazione; non era possibile ormai in quell’anno stesso, ma quell’atteggiamento non sarebbe perdurato. Il secondo effetto fu che il gruppo dei giovani assessori dei Comuni dell’Amiata, coordinati da Angelo Bernardelli, che l’anno prima ave-

vano sostenuto la nascita del progetto d’area, si strinsero intorno alla manifestazione, vollero continuarla a tutti i costi, e si unirono a noi per chiedere un sostegno alla Regione. Da qui un altro effetto ancora: fummo inseriti nel progetto più generale della Via Francigena, che ci avrebbe portato verso il Giubileo del 2000, ed arrivarono alcuni spettacoli con cui riuscimmo non solo a fare il festival, ma ad avere ospitalità prestigiose come quella di Mimmo Cuticchio. Tra l’altro Mimmo, che era in transito per una tournée al nord, arrivò col camion carico dei suoi bellissimi – e preziosi - pupi siciliani, con cui allestimmo eventi speciali e – al Teatro di Arcidosso – un vero teatro dei pupi, con i drappi alle pareti. Ad accompagnarlo, oltre al figlioletto, c’era Marcello d’Agostino, tecnico luci straordinario che dieci anni dopo sarebbe diventato colui che firma le luci di tutti i nostri spettacoli. Ma ci sono anche due altri fatti importanti legati a quell’anno, uno molto personale e l’altro artistico. Il primo: siccome non c’erano soldi e non ci potevamo permettere personale, facemmo tutto da soli, io e Letizia Franceschelli che in quegli anni accompagnava l’Accademia Amiata con un lavoro prezioso di segreteria e amministrazione. Io quindi ero continuamente fuori, nei palchi, a dare assistenza tecnica alle compagnie; ma avevo mia figlia Nina, che all’epoca aveva sei anni, e la portavo sempre con me. Mi ricorderò per sempre le emozioni di quell’estate, fu il primo momento in cui mi resi conto che mia figlia poteva essere indipendente, con una propria personalità autonoma nel mondo. Mentre allestivamo lo spettacolo di Roccalbegna mi accorsi improvvisamente che non

era più accanto a me, e cominciai a cercarla. Dopo un po’ vidi da lontano una processione che arrivava, e in testa c’erano il prete e mia figlia che teneva uno stendardo! Chiesi spiegazioni e lui mi disse che era arrivata in chiesa mentre suonava le campane, aveva voluto provare anche lei, e da allora aveva seguito il prete in tutti i preparativi della processione. A Castel del Piano invece le attrici di Teatrombria mi chiesero il permesso di usarla durante lo spettacolo, e io acconsentii; me la vidi alla sera in giochi spericolati, accanto a teli con ombre che poi prendevano fuoco e lei che passava nei varchi… avevano provato insieme tutto il giorno ed era riuscita a fare cose incredibili! Il secondo fatto: visto che non c’erano più soldi, durante la primavera riunimmo più volte il nostro gruppo. Oltre a Claudio Angelini, Thomas Fortmann e Bruno Gaudieri si era allargato a Lucio Pari, Lorenzo Pallini e Michela Eremita. Arrivammo ad una conclusione: continuare. Ma come? Visto che non potevamo più permetterci di ospitare nessuno, e che dovevamo anche recuperare dei debiti, che perlomeno facessimo solo quello che veramente ci interessava. Se ci si doveva avvalere di artisti collaboratori, ciò doveva avvenire nell’esclusivo interesse dell’arte e del progetto e senza compenso. Lo chiamammo Laboratorio Utopia, e ci demmo appuntamento all’autunno successivo per scambiarci i progetti che ognuno promise di elaborare. Dalla libertà creativa che il Laboratorio Utopia aprì dentro ognuno di noi sarebbero nati i progetti importanti di musica e arti visive degli anni futuri: “Oltre il paesaggio” con Michela, il “Laborato-


rio internazionale di forgia” con Lucio e, con Lorenzo, “Odissea nelle bande”, “Pow wow”, “Bandando”, “Vox Populi”. E dentro di me fece risorgere un seme che in quegli anni tenevo sempre nascosto: quello di dedicarmi di nuovo al teatro attivo, riprendere in prima persona il percorso di regista che avevo interrotto. Nell’autunno decisi che avrei ripreso partendo dal teatro che più avevo sentito vicino in quegli anni, quello di Antonio Neiwiller, e chiamai a raccolta su quel progetto la sua attrice Vincenza Modica e Mimmo D’Iorio, che aveva collaborato tecnicamente alla realizzazione di “Titanic” ad Acerra.

Il manifesto Mario fece tutto da solo; sapeva dell’anno “nero” e mi restituì per l’appunto un manifesto in bianco e nero bellissimo, una sorpresa che mi lasciò stupito: era un collage di immagini, ognuna col proprio posto significativo all’interno del rettangolo, come un mandala in cui era ricreata la storia del festival. Ogni dettaglio aveva il suo senso e valore. Questa sua azione mi rivelò definitivamente non solo una sensibilità, che avevo imparato a conoscere, ma una sorta di chiaroveggenza.




19 98

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l festival riparte cercando di disegnare i nuovi percorsi che si erano aperti col Laboratorio Utopia, e comincia a fare i conti in maniera più consapevole col progetto d’area. Anzi, il progetto addirittura si allarga, perché riusciamo a vincere la gara d’appalto istituita dal Comune di Abbadia San Salvatore per prendere in mano le redini del decaduto Amiata Festival. La notizia mi arriva mentre muore mio babbo, e forse è per questo che penso così intensamente a lui quando sono in quelle strade, lungo le diritture di Quaranta. Ma è tardi per organizzare un vero festival ad Abbadia, e d’accordo con l’amministrazione decidiamo di fare pochi spettacoli nell’estate, per cui propongo la nuova location di un palco sullo sfondo del paesaggio minerario, e di investire nella creazione di una nuova manifestazione in inverno, nei giorni di Santa Barbara ai primi di dicembre. Ma al Cinema Roma di Abbadia tentammo comunque quell’estate un’operazione produttiva ambiziosa: detti credito ad Antonella Cirigliano, che aveva fondato un nuovo gruppo dopo l’esperienza con Vargas, e creò un suo percorso di teatro sensoriale che trasformò interamente quello spazio, con una risposta sorprendente del pubblico, e fon-

dò così il suo nuovo gruppo che ebbe un discreto successo negli anni a venire. Nel frattempo con i Comuni del versante grossetano raccogliamo i cocci e proviamo a ripartire. Con la Banda Osiris ad Arcidosso, con un bel lavoro su San Francesco di Mario Spallino a Roccalbegna, rifondando insieme a Lorenzo Pallini la sezione musicale del festival, a partire dalle radici tradizionali del canto locale incarnate dai Cardellini del Fontanino con “Vox Populi”; e con Michela Eremita, complice Niso Cini che mise a disposizione il Parco Faunistico, cominciarono ad arrivare grandi talenti delle arti visive, per il nuovo progetto “Oltre il paesaggio”. Finito il festival ci apprestiamo alla “coda” invernale ad Abbadia; chiamiamo la manifestazione proprio “Santa Barbara”. Lavoriamo col nostro stile, fatto di produzioni ed eventi speciali. Prima di tutto mi chiudo con Vincenza Modica e Mimmo D’Iorio per un mese nel minuscolo Teatro Servadio, dove creo il primo spettacolo della mia nuova vita artistica, “Rosso cinabro”. Poi, nel grande Teatro Amiata, una personale della compagnia di Pippo Delbono, non ancora così famosa, con “Barboni” e “Guerra”; infine, nalla piazza fratelli Cervi, una grande tettoia sotto la quale si sistemano una dozzina di fabbri maestri di forgia provenienti da tutta Europa, lavorando ad una stele dedicata alla montagna e al cinabro/mercurio. Un evento commovente fu “la corna” che risuona. Avevamo inserito nel programma questo vero e proprio accadimento per la vita del paese, organizzato dal nascente Museo Minerario. La corna era la sirena che suonava l’avvio e la fine del lavoro di mi-

niera, e quindi regolava la vita di tutti. Erano vent’anni che taceva. Tutto il paese si radunò al parco minerario alle 5 del pomeriggio. Non appena la corna risuonò cominciò a fioccare lenta la neve, insieme alle lacrime di tutti i presenti, anche le mie che non avevo mai sentito prima quel suono d’altri tempi. Questa sezione invernale del festival ebbe un successo inaspettato; grazie anche alla pubblicità con cui invademmo Firenze arrivò molta gente da fuori, soggiornando per tutta la durata della manifestazione. Ma l’amministrazione non ne volle sapere più nulla, ed insistette solo sulla ripresa del festival estivo.

Il manifesto Gli andirivieni, i saliscendi, le alterne fortune del festival ricordarono a me e Mario il Gioco dell’Oca. “Avanza”, “Stai fermo un giro”, “Arretra di due giri”… era così che ci sentivamo all’inizio di quell’anno. E Gioco dell’Oca fu. L’idea di Mario fu di riprenderne uno tale e quale in modo che, volendo, ci si potesse anche giocare coi dadi e le pedine. Fu il manifesto più colorato e gioioso di tutta la storia del festival, e sicuramente quello con più successo di pubblico. Ce lo chiedevano continuamente, e per non lasciare nessuno deluso ordinammo addirittura una ristampa. Ancora oggi capita che qualcuno chieda: “Ma quel manifesto, ce l’avete ancora?”.



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i inizia a progettare un unico festival che comprende 12 Comuni di due Province. Ma i due versanti non ci stanno ad unificare il nome, allora procediamo con nomi diversi, e con materiali promozionali diversi, ma con lo stesso stile, la stessa identità artistica, lo stesso staff organizzativo. Mi ero messo a lavoro di buona lena. Virgilio Sieni si stava dedicando alla fiaba, l’intuizione gli era venuta proprio l’anno prima in un bosco di Seggiano. Gli proposi di ambientare i suoi lavori in quello che per me era il luogo di eccellenza dove coesistevano sia la natura che il lavoro dell’uomo: il bosco di castagni, quando è ben curato. Scegliemmo il luogo incantato delle Piane di Arcidosso, dove Virgilio creò l’indimenticabile “L’entrare nella porta senza nome”, immortalato da un bellissimo video di Andreas Pichler. Il pubblico era portato, solo con la luce delle torce, ad addentrarsi nel bosco che si popolava via via di cappuccetti rossi e sensuali lupi cattivi, soldatini di piombo, conigliette e Hansel e Gretel. Fu un successo che varcò i confini dell’Amiata e fu richiesto e riproposto in tanti luoghi, ma in nessuno si ripeté la magia di quelle sere. Michela Eremita continuava con entusiasmo il suo lavoro su “Oltre

il paesaggio”, e con Pallini arrivarono, oltre a “Vox Populi”, un nuovo progetto sulla contaminazione di grandi artisti, provenienti soprattutto dal jazz, con le bande di paese. Da un suo viaggio in Macedonia era arrivato con la scoperta della Stip Bleh Orchestra, che, dopo mille peripezie per ottenere i visti, deliziò tanti paesi coi suoi concerti ricchi di ritmo e di vita. Ma soprattutto ci inventammo “Pow wow” a Castell’Azzara, un raduno notturno nello stile dei nativi d’America, presenti in carne ed ossa con una loro rappresentanza e con le loro danze, unendo tutti i musicisti e i teatranti del festival. Fu indimenticabile l’arrivo notturno della banda macedone nel piccolo spazio antistante al bar del Parco Piscina, un suono che stordiva e tutti che, secondo l’usanza macedone, infilavano fogli di mille lire nei cappelli o nel giacchetto dei musicisti, per farli continuare a suonare. Ma la vera rivelazione di quell’anno, e per me l’emozione più grande e duratura, fu l’arrivo di Ellen Stewart, la leggendaria MaMa del teatro off-off newyorchese. Ellen era un mio mito, avevo letto tutto su di lei; conservavo gelosamente il numero monografico di The Drama Review, la rivista di Schechner, che avevo trovato in una libreria di New York anni prima. Avevo saputo che aveva fondato un suo centro a Spoleto, e che là aveva una casa. Era da un po’ di tempo che chiedevo a Claudio Meldolesi, ma soprattutto a sua moglie Laura Mariani, spoletina di origine, di darmi un’occasione per incontrarla. Ero a Milano alla mia scrivania, verso le dieci di una sera di marzo, e mi arrivò una telefonata di Laura: “Guarda che ho appena parlato con Ellen Stewart, è a Spoleto in

questo momento, se la chiamo subito la trovi”. E mi dette il numero. Chiamai immediatamente, col mio inglese stentato, e lei mi disse che sì, era lì, e che sarebbe stata contenta di incontrarmi, ma che la mattina dopo alle 10 aveva un aereo a Fiumicino che l’avrebbe riportata a New York, e sarebbe tornata solo ad estate inoltrata. Trattenni il fiato un attimo e le dissi subito: “Bene, domattina ti accompagno io all’aeroporto, a che ora vuoi partire?”, “Verso le 7, massimo 7 e mezzo” rispose. Ci sarò. Controllai l’orario dei treni, il primo treno partiva per Firenze dopo una mezz’ora da Stazione Garibaldi, vicinissima a casa mia. Cercai sull’elenco del telefono le agenzie di noleggio auto di Firenze e ne trovai una che mi faceva trovare una macchina alle 4.30. Prenotai e partii. Tutto funzionò, e alle 6.30 ero a Santa Maria Maggiona, il centro di Ellen vicino a Spoleto, pronto per accompagnarla. Mi si presentò questa donnona nera coi capelli crespi tutti bianchi e un sorriso smagliante lustro di rossetto appena messo, gentilissima e concretissima, quasi rude. Mi fece visitare in dieci minuti quel luogo, dove sarei tornato tante volte, e a cui ancora oggi mi lega una collaborazione. Poi via verso l’aeroporto, e nel tragitto in macchina, e nell’attesa dopo il checkin, venne disegnandosi il nostro progetto. Lei avrebbe ospitato in Umbria, nel luglio successivo, tutta l’equipe artistica del mitico spettacolo “Frammenti di una trilogia greca” di Andrei Serban ed Elisabeth Swados, che doveva fare una tournée europea. Ma dovevano restare per una settimana là, inattivi, e soprattutto dovevano ricostruire in Europa le scenografie dello spettacolo, che non potevano essere trasportate


in aereo. Allora: avremmo ospitato noi il gruppo in quei giorni, e comprato i legnami che occorrevano per la scenografia, che avremmo ricostruito ad Abbadia col suo scenografo coreano. In cambio, una serata del loro spettacolo. Fissammo i termini di un sopralluogo estivo per scegliere il luogo. Dopo quel giorno pensai a tutti i luoghi possibili, e scelsi il Parco della Miniera. Il giorno del sopralluogo lo feci vedere ad Ellen, che accettò, ma storcendo il naso. Mentre tornavamo verso il paese sbirciò da un lato, passavamo vicino allo stadio, e mi chiese: “E quello cosa è?”. Gli dissi che era lo Stadio di calcio, e lo volle vedere. “Questo è il posto” sentenziò. Sarebbe stato il luogo di uno degli eventi più straordinari dell’intera storia del festival, e da quell’anno Ellen mi dette molte altre lezioni di vita e di teatro; avremmo lavorato insieme anche l’anno successivo, intrecciato relazioni con tutto il suo gruppo, e ancora oggi la ricordo con grande amore.

Il manifesto A quel tempo si stava riscoprendo l’arte dei Nasini, pittori-illustratori settecenteschi nativi di Castel del Piano, che lasciarono le tracce più importanti proprio ad Abbadia, negli affreschi dell’Abbazia. Nacque così l’idea; siccome gli amministratori vogliono due festival diversi con nomi diversi, facciamo pure due manifesti, ma in modo che se si mettono accanto ne formano uno unico. Venne fuori così un manifesto 140 x 100 che facemmo affiggere sia tutto intero, sia nelle due parti separate che rappresentavano i due “diversi” festival.



TOSCANA

DELLE

CULTURE

AMIATA FESTIVAL Laboratorio Internazionale di Teatro, Musica e Arti Visive D iretto da Giorgio Zorcù

MONTE AMIATA 22 LUGLIO 27 AGOSTO 2000

Regione Toscana, Province di Grosseto e di Siena, Comunità Montane Amiata Grossetana e Senese, A.P.T. Amiata Comuni di Abbadia San Salvatore, Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Castiglione d’Orcia, Cinigiano, Piancastagnaio, Radicofani, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano, Semproniano Informazioni: Accademia Amiata, 58031 Arcidosso (GR), tel. 0564 968205, fax 0564 968206, www.accademiaamiata.it • info@accademiaamiata.it Informazioni turistiche: A.P. T. Amiata, Via Adua, 25, 53021 Abbadia San Salvatore (SI), tel. 0577 775811, fax 0577 775877 • info@amiata.turismo.toscana.it

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C&P Adver • Stampa Alsaba Grafiche • Fotografia di Dominique Papi

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l festival del Giubileo fu la vetta mai più raggiunta da tanti punti di vista: del prestigio artistico internazionale, dell’estensione territoriale, delle economie. Non lo fu purtroppo localmente, anzi determinò una serie di litigi ed insoddisfazioni. La parte dolce della memoria è sintetizzata da un pomeriggio di sole, mentre tornavo in auto da un sopralluogo a Siena – dove avremmo fatto una serata – e ascoltavo Hollywood Party su Rai3; mi avevano intervistato qualche giorno addietro, ma tutta la prima parte di quel servizio mi stupì: dicevano che quel progetto sull’Amiata aveva raccolto lo spirito migliore delle origini della Biennale di Venezia, con un programma di produzioni, ospitalità e ardite sperimentazioni del meglio del teatro e del cinema mondiale, e con un programma musicale di tutto rispetto. Oddio!! In effetti avevo voluto che – sempre continuando con le idee del Laboratorio Utopia – le sezioni musica e arti visive continuassero una loro strada autonoma e fortemente creativa, sotto le direzioni di Lorenzo Pallini e Michela Eremita, e avevo aggiunto una sezione Cinema affidata a Rossella Ragazzi, che a suo tempo aveva magistralmente ripreso l’ultimo spettacolo di Antonio Neiwiller ad Arcidosso e che nel ’94 aveva realizzato per il festival lo splendido laboratorio su

Jean-Luc Godard “Fino al punto che si può raggiungere” (che anni dopo avrei ripreso come titolo del primo spettacolo fatto con Sara). E Lorenzo, Michela e Rossella avevano risposto egregiamente all’appello. Lorenzo continuando a tessere i suoi rapporti tra musica colta e musica popolare con i progetti Vox Populi e Odissea nelle Bande. Michela con due azioni: ampliando il progetto Oltre al Paesaggio sia al Parco Faunistico che al Parco Minerario di Abbadia, chiamando artisti come Bernardo Giorgi, Eva Marisaldi e Dominique Papi; poi istituendo il nuovo progetto “Oltre i confini: Kurdistan” con cui si esportavano clandestinamente cortometraggi di cineasti kurdi e si assegnava loro un premio (era la prima volta che si vedevano in Occidente quelle immagini). Rossella costruendo due progetti con la residenza di due grandissimi cineasti: l’armeno Artavazd Peleshjan ad Abbadia, con i suoi splendidi film proiettati in strade e piazze, e il georgiano Otar Ioseliani nelle campagne di Cinigiano, con proiezioni a Castel Porrona e con la ricostruzione, a Colle Massari per la festa di Santa Marta, del cast del suo “Un piccolo monastero in Toscana” con i Cardellini del Fontanino e i monaci di Sant’Antimo col loro canto gregoriano. La costruzione del budget fu molto lunga e faticosa, ma anche appassionante. Prima di tutto dal progetto Porto Franco: ero nel gruppo di programmazione regionale, e quell’anno fu deciso di fare una serie di Campus tematici in varie parti della Toscana; tutti i gruppi dei vari Campus sarebbero poi confluiti nella festa finale “Zibaldone di Porto Franco” proprio sull’Amiata, dove sarebbero stati accolti da una serie di spettacoli

internazionali e da una cerimonia finale a Merigar. Poi dalla nostra inclusione nel progetto nazionale di Mario Martone “Per antiche vie”, finanziato e gestito dall’Ente Teatrale Italiano e dal Teatro di Roma, con varie collaborazioni lungo tutta la Via Francigena. Complessivamente, unendo questi finanziamenti straordinari a quelli istituzionali, riuscimmo a raggiungere una cifra complessiva di circa 500 milioni di lire, per progettare l’intero festival. Ma se il progetto fu bellissimo, e la risonanza fuori dell’Amiata molto forte, non si può dire altrettanto dell’esito sul territorio. Feci infatti un errore fondamentale: invece di gestire quei fondi straordinari in modo autonomo, come progetto speciale della direzione artistica, misi quei fondi a disposizione dei Comuni. L’obiettivo di quella decisione era quello di consolidare l’area vasta che si era creata, e si partì con un tavolo di concertazione alla presenza delle due Province di Grosseto e di Siena, delle due Comunità Montane e di tutti i Comuni. Era il nuovo “tavolo politico” che avrebbe dovuto dare le gambe istituzionali al futuro del festival dell’Amiata e delle politiche culturali di tutta l’area; a partire da lì si sarebbe costruito un grande accordo di programma, in linea con i nuovi regolamenti regionali che favorivano quel tipo di concertazione territoriale. In ballo c’era il fatto di diventare uno dei nuovi Centri Regionali per lo Spettacolo, istituiti dalla nuova legge, e uno dei dieci festival che sarebbero stati riconosciuti e finanziati. Ma tutte le migliori intenzioni naufragano davanti all’impon-


derabile; i Comuni cominciarono a litigare tra loro per le quote di rispettiva spettanza, fino ad arrivare ad una sorta di “manuale Cencelli” proporzionalistico che impediva qualsiasi progettazione; la Regione, nella primavera successiva, avrebbe sconfessato se stessa approvando il finanziamento ad una miriade di situazioni; lo sforzo di due amministrazioni provinciali, due Comunità montane e 12 Comuni di arrivare ad un accordo di programma pluriennale fu addirittura penalizzato, riducendo i finanziamenti storici. Paradossalmente, quindi, mi trovai in una pessima condizione per progettare, ma continuai imperterrito, preso dall’ideale e molto meno dal buon senso, costruendo una distribuzione degli eventi sul territorio che mi avrebbe dato molti problemi. Ad Arcidosso a grande richiesta si realizzò per il secondo anno consecutivo “L’entrare nella porta senza nome” di Virglio Sieni nel bosco di castagni delle Piane. Ma soprattutto, grazie a Porto Franco, si riuscì a portare Ellen Stewart e una decina di attori e musicisti newyorkesi per un laboratorio con i giovani del paese e la produzione sul posto dell’opera “Il monaco e la figlia del boia”. Il gruppo soggiornò per un mese, creando incontri e scambi che resteranno impressi nella memoria dei singoli e della comunità. Lo spettacolo andò in scena nel grande giardino di una villa nei pressi del paese, di pomeriggio. Ma Ellen aveva portato con sé anche altri artisti dalla sua amata Corea, il gruppo di balli tradizionali che si esibì allo stadio di Abbadia; sempre ad Abbadia, in un parco pubblico, ebbe un cla-

moroso successo il piccolissimo circo dei francesi Petite Theatre Baraque con il loro bellissimo “Coude a coude”.

Il manifesto Finalmente un manifesto unico per i due versanti dell’Amiata. Ci fu un compromesso sul titolo: vennero mantenuti tutti e due, con più rilevanza grafica ad Amiata Festival. Michela Eremita aveva chiamato la fotografa-artista Dominique Papi a sostare sull’Amiata per creare le sue opere; il tema principale sarebbe stato il cinabro/ mercurio. Dominique, maestra nell’arte di unire più fotogrammi creando immagini di assoluta poesia, restituì una serie di opere, tra cui quella raffigurata nel manifesto di quell’anno: la veduta “classica” del Monte Amiata, quella da Pienza, contaminata dal rosso del cinabro. Quest’anno arrivò al suo massimo l’impresa editoriale che ogni anno affiancavamo al festival, e cioè la pubblicazione di un libretto-catalogo. Decidemmo di farlo diventare un’espressione non solo del nostro festival, ma di tutto quello che il territorio offriva di importante, dal punto di vista artistico e paesaggistico. Tutto tradotto in inglese. Fu uno sforzo enorme e un risultato bellissimo, ma purtroppo pochissimi se ne accorsero.




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a linea dell’unione strutturale dei due versanti dell’Amita sul festival e sulla politica teatrale era ormai stata distrutta. I malumori dell’anno precedente, e la sconfitta dell’accordo di programma, aveva ormai dato voce ai detrattori del festival in ogni giunta e consiglio comunale. Nel 2001 si continuò quindi più per inerzia che per convinzione; sarebbe stato comunque l’ultimo anno di un grande festival in comune, già lo si sapeva. Paradossalmente, proprio per questo, nessuno si oppose quando proposi come unico titolo Toscana delle Culture. Per ironia della sorte – sempre buffo, il mondo – mentre se ne andava quel lembo estremo della provincia di Siena, ci chiamò per un nuovo progetto teatrale proprio la città di Siena. Insieme al sindaco Piccinni e all’assessore Marina Romiti nacque SienaTeatri, con la mia direzione, e i primi appuntamenti ebbero luogo tra maggio e giugno tra il Teatro dei Rozzi, l’Università e la Corte dei Miracoli. L’estate amiatina fu comunque piena di eventi. Continuavano i progetti sul Paesaggio e sul Kurdistan di Michela Eremita, e quelli sulle bande e sulla voce popolare di Lorenzo Pallini; come ricca era

l’offerta di personaggi del teatro italiano, da Marco Paolini a Paolo Rossi fino al comico Gabriele Cirilli, quell’anno sulla cresta dell’onda. Ma si respirava un’aria di fine, di conclusione di una fase, e le antenne erano già per l’aria a capire da dove poteva arrivare il nuovo, con finanziamenti molto ridotti. Il nuovo arrivava dalle origini. Sempre, in ogni momento di crisi, è stato il pensiero delle origini a ridare vita al progetto del festival. L’essere un luogo di incontro e di laboratorio creativo, prima di tutto per gli artisti, e da qui per tutto il resto del pubblico, sia quello locale, che quello giovanile, che quello degli addetti ai lavori più smaliziati. Nel mutare dei tempi, delle persone e delle relazioni vitali, quella era la cifra identitaria profonda, la forza a cui tornare. In fondo anche “l’antidoto alla vanità”, che sempre ti prende e ti acceca quando hai un qualche successo. In effetti emotivamente quell’anno è legato all’arrivo di Jurij Alschitz, a quello di Thomas Richards e Mario Biagini col loro Workcenter di Jerzy Grotowski, alle bellissime esperienze artistiche che Virgilio Sieni continuava a regalare ogni estate all’Amiata. Con Jurij Alschitz ci conoscevamo da ormai dieci anni, quando nel 1990 arrivò a VolterraTeatro al seguito di Anatolij Vasilev. Poi l’avevo invitato alla Scuola Paolo Grassi di Milano e insieme avevamo creato a Pavia il primo Methodika, un incontro internazionale sui metodi teatrali. Mi chiese di diventare partner del progetto europeo “The face of XX century woman”, sull’identità femminile attraverso personaggi teatrali del

secolo scorso, con un gruppo di attrici provenienti da tutta Europa. Vincemmo, e come promesso Jurij arrivò con tutto il gruppo dei suoi assistenti e delle attrici e occupò il Castello Aldobrandesco di Arcidosso – che tornava a rivivere con un progetto internazionale per due settimane. In mezzo alla concitazione organizzativa di un festival la presenza di quel lavoro, delle lezioni e delle dimostrazioni, i colloqui coi maestri, mi davano il senso vero di appartenenza al teatro, che mi sfuggiva altrove. Poi avvenne anche l’incontro che avrebbe cambiato la mia vita, perché tra quelle attrici c’era Sara. Un ritmo di lavoro comune anche all’altra importante presenza laboratoriale, quella del Workcenter, che da tempo inseguivo. Avevo assistito diverse volte alle conferenze di Grotowski, visti i video dei suoi vecchi spettacoli teatrali, letto libri e articoli. Dal suo libro “Per un teatro povero”, come per tanti della mia generazione, era partita la mia vocazione teatrale. Una volta mi era capitata la ventura di dividere con lui una serata; dovevo infatti accompagnarlo nottetempo da Santarcangelo e Pontedera: mangiammo in un ristorante cinese e via per le strade di notte, parlottando ogni tanto con l’aiuto di Carla Pollastrelli, che traduceva. Poi, dopo la sua morte, ero stato invitato ad assistere ad “Action”, e ne ero rimasto molto colpito. Avevo avuto un rapporto di simpatia immediata con Mario Biagini, e fu con lui che cominciai a parlare della possibilità di una loro presenza sull’Amiata. Loro cercavano un luogo dove continuare un’attività appena iniziata a Roma, e cioè l’incontro con un gruppo di giovani intellettuali, studiosi e critici. Ci mettemmo d’accordo e quell’in-


contro si fece per tre giorni al Convento dei Cappuccini di San Lorenzo, col titolo “L’arte come veicolo: la ricerca attiva e i testimoni”. Infine Sieni: gli sarò sempre grato per la generosità con cui ha affrontato le sfide che ogni anno gli lanciavo dall’Amiata, con economie quasi inesistenti; era diventato per lui un appuntamento di fine stagione, in cui rinfrancarsi e sperimentare in libertà prima della pausa estiva, e per noi fonte continua di meraviglie. Ricorderò sempre, di quell’anno, la grazia con cui seppe coinvolgere l’intero paese di Piancastagnaio, a partire dalla ricerca di Apetti con guidatore che dovevano essere il tessuto coreografico dell’azione “Pinocchius Novus – Una Festa”, con cui invase la piazza centrale del paese. E la sapienza lieve dei suoi danzatori, saltellanti dai cassoni degli Apetti alle varie postazioni disseminate un po’ ovunque, e quella del suo assolo sul palco principale: piccoli movimenti del volto che raccontavano in modo struggente la trasformazione di Pinocchio. La bellissima serata, anche questo un evento che si andava ad incuneare nella memoria collettiva di quel paese, faceva parte del più vasto progetto “Tiepidarium dell’abbandono”, che invadeva luoghi diversi del paese, dentro e fuori le mura.

Il manifesto Ancora un manifesto unico, il festival ormai è diventato uno solo, anche se per l’ultima volta. Era da tanto tempo che pensavamo a come usare la bella immagine del pavimento del Teatro Servadio di Abbadia per l’allestimento del mio spettacolo “Rosso cinabro”: l’albero della vita di Atanasius Kircher, che scoprivo e portavo alla luce durante l’azione scenica come attore. Questa era l’occasione, dato che poteva rappresentare i due versanti; e lo facemmo diventare il manifesto del festival. A partire da quest’anno si sarebbe purtroppo interrotta la bella tradizione dei libretti-catalogo che ogni anno accompagnavano il festival, troppo pesante lo sforzo editoriale, e troppo limitate le risorse per quel piccolo mastodonte di festival per 12 comuni.



L a b o ra t o r i o

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SOTTO IL VULCANO: RADICI E FUTURO DELLA CIVILTÀ CONTADINA

Sogno di David Magma Magma Popoli e FiabePopoli e Fiabe memoria deldelvino La memoria vino memoria della casa La memoria della casa miniera amiata miniera amiata 10 anni 10 ANNI equilibri impossibili EQUILIBRI IMPOSSIBILI VOX POPULI VOX POPULI ODISSEA NELLE BANDE BANDE Il Sogno di David Bruscello Storico di Castelnuovo Berardenga

Accademia Amiata Teatro

David lazzaretti

Sogni e Visioni - ‘48, ‘68

Arcidosso, Piazza Cavallotti 7 luglio ore 21.30

Roccalbegna, Porta di Maremma 12>14 luglio ore 21.30 *

Teatri, Musiche e Poesie dell’Amiata Castell’Azzara, Centro Storico 28 luglio dalle ore 21.30

Compagnia Virgilio Sieni Danza

Virgilio Sieni: presentazione del libro

Ascanio Celestini

Messaggero Muto

Anatomia della Fiaba

I racconti di Cecafumo

Arcidosso, Piazza Cavallotti 3 - 4 agosto ore 21.30 *

Arcidosso, Piazza Cavallotti 4 agosto ore 18

Arcidosso, Giardino Biblioteca Comunale 14 agosto ore 21.30

Banda Funk-Off

e Filarmonica “R. Francisci” di Cinigiano Cinigiano, 10 agosto dalle ore 21.30

Ascanio Celestini

Rasenna e Coro dei bambini di Monticello

Vita Morte e Miracoli

La Memoria della Casa

Monticello Amiata, Piazza della Chiesa 12 agosto ore 21.30 *

Monticello Amiata, Centro Storico 13 agosto ore 18

Ascanio Celestini

Miniera Amiata - Il tempo del lavoro

Santa Fiora, Piazza del Borgo 16 agosto ore 21.30 *

di Toscana delle Culture Arcidosso, Castello Aldobrandesco 15 agosto dalle ore 21.30

Giorgio Rossi e Sandro Berti

Casi

Giardino di Daniel Spoerri 18 agosto dalle ore 20 **

Amiata in Mostra

Storie, canti e musiche in strada Castel del Piano 21>25 agosto

Bandando

Fiatorkestra

Fantomatik Orchestra Acustic Band

Stazione Monte Amiata 27 luglio dalle ore 19

Seggiano, Centro Storico 6 agosto ore 18

Cellena, Centro Storico 25 agosto dalle ore 21

* Ingresso € 5, si consiglia la prenotazione - ** Ingresso € 15 (buffet e spettacolo), prenotazione obbligatoria

Informazioni e prenotazioni: Accademia Amiata - 58031 Arcidosso (GR) Tel. 0564 968205 - www.accademiaamiata.it

DIREZIONE ARTISTICA GIORGIO ZORCÙ


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i nuovo una ripartenza, senza più l’Amiata senese, che da allora si avviterà in una serie di progetti estivi diversi senza direzione precisa, che le faranno perdere nel tempo il prestigio che aveva acquistato lo storico Amiata Festival e il nostro successivo Toscana delle Culture. Nel frattempo avevo iniziato insieme ad Anita Fornaciari un progetto triennale su David Lazzaretti, “Il Santo della montagna”, e realizzato in gennaio il primo spettacolo “Sogni e Visioni”. Ricordo sempre la felicità in platea di Turpino Chiappini, ottavo ed ultimo Sommo Sacerdote giurisdavidico, e i suoi abbracci a fine serata. Continuava SienaTeatri, con cui creai lo spettacolo “Ribelli” insieme agli altri cinque registi toscani con cui avevamo appena fondato Toscana dei Teatri; uno degli episodi più importanti della mia vita teatrale fu il bellissimo incontro finale di una settimana delle sei compagnie alla Corte dei Miracoli. Lo spettacolo sarebbe stato ripreso nell’estate a Firenze, e nell’autunno nell’enorme teatro Baltiskij Dom di San Pietroburgo. Quindi quella perdita di una “fetta” di Amiata e dei relativi finanziamenti, avveniva di pari passo ad un maggiore riconoscimento artistico delle nostre produzioni,

che avrebbero acquistato sempre più importanza all’interno del festival, come cifra distintiva. Inoltre - sempre per vedere il bicchiere mezzo pieno - in questa dimensione ridotta ci guadagnavamo in tranquillità, rispetto alla macchina organizzativa che era diventato il festival negli ultimi tre anni. E con la tranquillità ci rimettemmo a riflettere sul futuro, e lanciammo la proposta: cerchiamo di definire dei progetti-base del festival, e di portarli avanti negli anni. Le scelte artistiche sarebbero avvenute all’interno di questo quadro di riferimento, dedicandoci meno alla spettacolarità immediata e più ad un’attività che poteva espandersi anche in altri momenti dell’anno. Nacquero così, accanto agli ormai storici “Vox populi” e “Odissea nelle bande”, i nuovi progetti “Miniera Amiata”, “Il sogno di David”, “Popoli e fiabe”, e a Castell’Azzara, sull’onda dei bei ricordi di “Pow wow” del 1999, il progetto “Magma”, uno dei successi più popolari della storia del festival. E sarà proprio con una edizione speciale di Magma che si inaugurerà la ventesima edizione. Invitai quindi Ascanio Celestini per una Residenza artistica di dieci giorni, chiedendogli di scavare – come lui sapeva fare, attraverso interviste e personali reinterpretazioni – nella memoria della miniera, facendo centro su Santa Fiora. Lo accompagnai sempre in quelle interviste, e fui io stesso sorpreso di come riuscì a restituire quel lungo lavoro in una magica sera di spettacolo nella piazzetta del ghetto di Santa Fiora, stracolma di gente. Per il progetto su David, insieme a “Sogni e Visioni” in un allesti-

mento speciale a Porta di Maremma a Roccalbegna, invitammo lo spettacolo di popolo che avevano fatto a Castelnuovo Berardenga, con la tradizione rinnovata del Bruscello ideata da Luca Bonechi con l’aiuto di Matteo Marsan e Pippo Scuto. Ma è la genesi e poi il successo di “Magma”, l’evento che più rimane nel cuore di quell’anno. Sinibaldo Ruffaldi, pastore e grande poeta, aveva partecipato due anni prima alla notte del Pow wow facendo il fuoco. Ricordo la mia sorpresa per la maestria con cui prima sistemò la buca in terra, poi le pietre intorno, poi la legna e infine il fuoco. Io mi avvicinai, e gli chiesi di fare la buca un po’ più grande, perché volevo un fuoco più grande. Lui mi rispose molto semplicemente: “No, questa è la sua dimensione”. Punto. Quel fuoco ebbe bisogno di pochissima cura e arse tutta la notte, e fu il vero centro di tutta la festa. Volevamo di nuovo un incontro del genere e venne l’idea: dedicare ogni anno l’ultimo sabato di luglio ad un incontro tra artisti professionisti e artisti popolari, chiedendo ad ognuno dei frammenti del loro lavoro, dei work-in-progress, anche brevi, da ripetere nell’arco della serata. Alla fine, una cena per tutti gli artisti preparata dalla Compagnia del Topone. Di stabilirsi ogni anno in un luogo diverso, alternandosi tra Castell’Azzara e Selvena. La folla riempì le strade di Castell’Azzara per la prima edizione, piena di sorpresa e di emozione per le tante suggestioni diverse. Il nostro obiettivo era raggiunto, e si può sintetizzare ancora nelle parole di Sinibaldo: “Il colto guarda l’incolto, e l’incolto guarda il colto”. Era questo l’incontro che volevamo.


Il manifesto In un anno poverissimo si decise di creare un manifesto usando solo due colori, il blu e il nero, e lavorare ad una sorta di giornale da muro. Fu un risultato sorprendente quella mappa di titoli e parole blu, che senza bisogno di nessuna immagine disegnavano perfettamente l’intento che - tra mille contraddizioni - avrebbe guidato gli anni futuri: quello di dedicarsi a diversi progetti con una loro precisa identità .

Compagnia Virgilio Sieni Danza

Virg

Messaggero Muto

An

Arcidosso, Piazza Cavallotti 3 - 4 agosto ore 21.30 *

Arci 4 ag

mem memode La memoria m e Fil

Ascanio Celestini

Vita Morte e Miracoli

Monticello Amiata, Piazza della Chiesa 12 agosto ore 21.30 *

Miniera Amiata - Il tempo Santa Fiora 16 a

10 ANNI di Toscana delle Culture Arcidosso, Castello Aldobrandesco 15 agosto dalle ore 21.30

equili EQU V


irgilio Sieni: presentazione del libro

Anatomia della Fiaba

Ascanio Celestini

I racconti di Cecafum

moria deldelvin La memoria vin della ca oria ella casa miniera amiat miniera amiat 10 an ibri impossibi IMPOSSIBIL UILIBRI VOX POPUL rcidosso, Piazza Cavallotti agosto ore 18

Arcidosso, Giardino Biblioteca Co 14 agosto ore 21.30

Banda Funk-Off

Filarmonica “R. Francisci� di Cinigiano Cinigiano, 10 agosto dalle ore 21.30

Rasenna e Coro dei bambini di Monticello

La Memoria della Casa Monticello Amiata, Centro Storico 13 agosto ore 18

Ascanio Celestini

po del lavoro

ra, Piazza del Borgo 6 agosto ore 21.30 *


XI edizione

2003

Toscana delle Culture 2 6 l u g l i o > 2 4 a gos to Amiata Summer Academy L’Accademia estiva di Teatro e Musica 15 luglio > 3 agosto

Teatro, Musica e Festa popolare Comuni di:

Magma 26 luglio Musiche in cantina 10 agosto La festa del villaggio 13 agosto Musiche in strada 22 - 24 agosto Canti e sonate di trasmissione orale 24 agosto

Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Cinigiano, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano, Semproniano

Paesaggi teatrali

REGIONE TOSCANA

Nascosto 3 - 4 agosto La casa di Bernarda Alba 14 agosto

Teatro, Musica e Memoria Rapsodia per Monte Labbro 18 - 19 - 20 agosto 125° della morte di David Lazzaretti

Fare Teatro a Scuola Idee a fuoco 8 agosto

Musiche d’ascolto

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I n t e r n a z i o n a l e d i Te a t ro , Mu s ic ae Ar

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Concerto d’arpe 1 agosto Concerto di pianoforte 2 agosto Saxophone Colours 9 - 11 agosto

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Vox Populi

C&P Adver Tel. 0564 967139

I Cardellini del Fontanino: un volo lungo 50 anni 23 - 24 agosto

Dedicato a

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Life support for civilian war victims Associazione umanitaria italiana per la cura e la riabilitazione delle vittime delle guerre e delle mine antiuomo

Accademia Amiata tel. 0564 968205 fax 0564 968206 info@accademiaamiata.it www.accademiaamiata.it

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Informazioni e prenotazioni:

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20 03

I

l 2002 aveva tracciato le linee artistiche; i bilanci si erano ormai consolidati al punto più basso: circa 50.000 euro (al netto dell’iva) sarebbe stata la cifra che da allora il festival avrebbe avuto a disposizione. Eravamo lontani dai 500 milioni di lire del 2000, ma erano pur sempre una sicurezza, e siccome viviamo in un territorio povero dovevamo solo ringraziare e non disprezzare. Continuammo con Magma in una seconda edizione a Poggio La Vecchia di Selvena, con la partecipazione sorprendente di una scatenata Pro Loco che rese quella serata magica e indimenticabile; sorsero nuove scalette e sentieri per girare per il borgo e nei campi intorno, una cucina sempre accesa sotto un albero che sfornava continuamente dei succulenti gnocchi di patate, e le musiche, i suoni diffusi dei vari gruppi di artisti, le piccole pièce teatrali, i canti sapienti di Leoncarlo Settimelli. Ad Arcidosso stavamo in quei giorni facendo un laboratorio di arpa, curato da Lisetta Rossi, che accettò con noi di vivere l’avventura, trasportare tutte le arpe in una terrazza sul terreno ai confini di Poggio La Vecchia, lassù in alto. Era davvero spassoso sostare lì, e vedere le facce degli ignari spettatori che arrivavano, pensando che il percorso fosse finito, e invece venivano presi dalla visione stra-

ordinaria – e dalla musica - di otto arpiste ai limiti del bosco! Il risultato di un’azione artistica vera si deposita in una “memoria dinamica” del singolo e della collettività, che sta lì sopita ed esce di nuovo quando meno te lo aspetti, e magari fa scattare un’illuminazione e mette in connessione improvvisamente cose tra loro diverse. Questo è quello che io chiamo fare cultura, e questo è uno dei risultati massimi che mi aspetto quando creo i miei spettacoli o quando curo un progetto. Perché la “memoria dinamica” si mette in moto solo quando si tocca qualcosa di molto profondo, e ci vuole molto lavoro e molta sapienza, e anche un po’ di fortuna, per arrivare a quel risultato. Ma c’è anche una forma più concreta in cui misuro l’efficacia di un lavoro culturale, ed è quando restituisci alle persone un altro sguardo sul luogo in cui vivono, o quando addirittura, come capitò a Roccalbegna quell’anno, grazie all’arte riesci a far rivivere un luogo della memoria antica di quella comunità. Il vecchio mulino di Roccalbegna era un luogo bello, misterioso e irraggiungibile. Ne parlammo col sindaco, e mi assicurò che se ci avessimo fatto qualcosa avrebbe trovato il modo di farci arrivare il pubblico. Ci portai allora Virgilio Sieni per un sopralluogo, e fu un colpo di fulmine: gli antichi muri diroccati, massi enormi in cui scorreva un torrente limpidissimo e tempestoso. Un luogo mitico, insomma. Decidemmo di ricavare un’arena nell’unico spiazzo pianeggiante esistente, e di fare uno spettacolo su più sere per permettere l’afflusso di un numero sufficiente di spettatori. Da lì partì un’avventura senza uguali,

che vide fianco a fianco gli artisti, gli operai del comune, il sindaco e gli organizzatori del festival. Alla fine, oltre ad aver ricavato tra le rocce e gli arbusti un sentiero per l’ultima parte del cammino, la più difficoltosa, il lungo stradone di arrivo poteva godere di una nuovissima illuminazione pubblica fatta di lampadine su alti pali di legno. Continuava nel frattempo la mia esplorazione dell’universo davidiano con “Rapsodia per Monte Labbro”, un tessuto di parole e musica presentato nel bellissimo giardino dei Corsini a Castel del Piano. Al Castello di Arcidosso invece tentammo di riprendere le idee sorte nel 2001 con Jurij Alschitz e realizzare insieme il primo esperimento di Summer Academy teatrale. Fu un bel successo di partecipazione, e ci incoraggiò a continuare e a progettare per l’anno futuro la prima vera Amiata Summer Theatre Academy, ben strutturata.

Il manifesto Per onorare la nuova scoperta del mulino di Roccalbegna gli si volle dedicare il manifesto e, insieme a Mario e mia figlia Nina, si partì per un sopralluogo, muniti di macchina fotografica, cercando un’idea. Dopo aver viaggiato meravigliati tra quelle rovine, ci colpì una grande macina da mulino in pietra, ancora appoggiata ad una parete, possente ed elegante. Così, semplicemente, diventò quello il simbolo del festival.


I concerti sono programmati in collaborazione con Toscana Jazz

5-6-7 agosto, fino al punto che si può raggiungere di Sara Donzelli e Giorgio Zorcù, teatro (prenotazione obbligatoria) • • 20 agosto, Fantomatik Orchestra e Filarmonica Puccini concerto itinerante •

Castel del Piano

24 luglio, Magma, opera popolare di strada • • • •

27 luglio, Italiani Cìncali, di Mario Perrotta, teatro • • 28 luglio, Vladimir Denissenkov, concerto di fisarmonica • •

Santa Fiora

8 agosto, Offerta immaginaria, sonorità visive su Andrei Tarkovskij • •

Roccalbegna

10 agosto, East & West - Cartoonjazz - Filarmonica Francisci concerti per Calici di Stelle • 12 agosto - Monticello Amiata, Italiani Cincali di Mario Perrotta, teatro • •

Cinigiano

Castell’Azzara

12 luglio>1 agosto, Amiata Summer Theatre Academy, Istituto europeo di alta formazione per il teatro, diretto da Jurij Alschitz 29 luglio, Mirko Mariottini - Stefano Battaglia - Paolino Dalla Porta jazz e non solo • • 9 agosto, Irio de Paula, concerto di chitarra • • 11 agosto, Ciao signor G! Tributo a Giorgio Gaber, teatro e musica • • 19 agosto, Carte Bianche di Teresa Delogu, teatro • •

Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Cinigiano, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano, Semproniano

Comuni di:

delle CULTURE

Arcidosso

Laboratorio Internazionale di Teatro, M u s i c a e Arti Visidedicato a Steve Lacy

XII EDIZIONE 12 luglio > 22 agosto 2004

• Ingresso libero

• • • • Ingresso € 1,00

Informazioni e prenotazioni:

• • • Ingresso € 15,00

Accademia Amiata tel. 0564 968205 fax 0564 968206 info@accademiaamiata.it www.accademiaamiata.it

• • Ingresso € 6,00

L’orario di inizio di tutti gli spettacoli è alle 21.30

22 agosto - Cellena, Ramodoro Ensemble, concerto •

Semproniano

3 agosto - Giardino Daniel Spoerri, ore 20 buffet, ore 21.30 performance Nel bosco di Virgilio Sieni (prenotazione obbligatoria) • • • 18 agosto, Mina Tribute, concerto •

Seggiano

REGIONE TOSCANA

R o c c a l b e g n a , d i s e g n o d i A n d r e i Ta r k o v s k i j

C&P Adver + Mario Papalini

TOSCAN

AGENZIA PER IL TURISMO AMIATA


20 04

R

occalbegna si confermava uno dei centri profondi e vitali del nuovo festival. Dopo il vecchio mulino fu la volta del podere di Andrej Tarkovskij. Scoprimmo che il grande regista russo passò gli ultimi tre anni della sua vita quasi sempre a Roccalbegna, cercando di ristrutturare un podere dei dintorni. In omaggio a quella scoperta chiamai il figlio e gli proposi di dedicare una serata al padre. Mi immaginavo questa serata come un raduno di pochi spettatori smaliziati; invece per “Offerta immaginaria”, serata di musica e immagini dai grandi film di Tarkovskij, arrivò un pubblico inaspettato, spuntato da ogni dove al richiamo della poesia. Sorpresa e grande soddisfazione.

può raggiungere”, che avrebbe debuttato nella sua forma definitiva al CRT di Milano nel febbraio 2005. Un bellissimo risultato arrivò dall’Amiata Summer Theatre Academy; era frutto di un lungo lavoro comune, e Jurij aveva composto un programma didattico molto complesso: corsi per attori professionisti, per giovani attori, per registi e per pedagoghi, tenuti da maestri internazionali riconosciuti, soprattutto di scuola russa, insieme ad attori e pedagoghi italiani. Arrivarono 24 persone da tutto il mondo, dall’Islanda agli Stati Uniti, pagando ognuno quote di partecipazione dai 700 ai 900 euro, oltre a farsi carico del viaggio e del soggiorno. Era la dimostrazione che si poteva compiere un’azione culturale anche in piena autonomia, chiedendo alle istituzioni solo quell’appoggio logistico che per noi era il Castello, ma restituendo la permanenza per tre settimane nel territorio di tutte quelle persone, tra allievi, maestri e amici.

Il manifesto Mentre a Castell’Azzara con una stanca edizione di Magma si esauriva quel progetto, nella piazza di Arcidosso il grande chitarrista brasiliano Irio De Paula incantò gli appassionati di musica. Sieni si cimentò di nuovo con spazi vasti, allestendo al Giardino di Spoerri uno spettacolo itinerante fatto di “campi lunghi” e di grandi suggestioni. Al Teatro Amiatino di Castel del Piano nasceva e prendeva corpo la nostra nuova formazione artistica: con Sara allestimmo uno studio scenico del nostro primo spettacolo, “fino al punto che si

Tra le carte del figlio di Tarkovskij spuntò un disegno a tratto sul paesaggio di Roccalbegna, schizzato su un foglio. Adagiato su una foglia d’oro e contornato di rosso divenne quello il nostro manifesto.


TOSCANA CULTURE TOSCANAdelleCULTURE Laboratorio Internazionale di Teatro Musica e Arti Visive Diretto da Giorgio Zorcù

XIII edizione

22 luglio 20 agosto 2005

Re, Regine, Maghi e Fanti Il gioco dei destini incrociati

Omaggio a Italo Calvino La favola della donna avvelena Arcidosso 22 luglio, Castel Por ta rona 23, Castell’Azzara 24, Santa Fiora 29, Castel del Piano 30, Roccalbegn a 31 Con Sara Donzelli, Federico Bertozzi, Carlo Gambaro, Barba ra Masi, Andrea Omezzolli, Claudia Pastor Drammaturgia Federico Bertozzi ini Regia Giorgio Zorcù

Comunità Montana Amiata Grossetano

Il treno rampante Seggiano 8 agosto, Arcidosso 9, Montenero 10 Con Ferruccio Filippazzi

Racconti fantastici Rocchette di Fazio 14 agosto, Seggiano 20 Con Giorgio Zorcù

Comuni di: Arcidosso Castel del Piano Castell’Azzara Cinigiano Roccalbegna Santa Fiora S egg iano S emp roniano

Info Accademia Amiata tel 0564 968205 fax 0564 968206 info@accademiaamiata .it www.accademiaamiata.it

Fiabe italiane Arcidosso 17 agosto, Semproniano 18, Seggiano 19 Con Sara Donzelli

Bustric:

un’autobiografia teatrale Pierino e il lupo Santa Fiora 5 agosto Escamot o La meravigliosa arte dell’ing anno Arcidosso 6 agosto Nuvolo Arcidosso 12 agosto I Re Maghi Galà Magico di vera Magia Castel del Piano 13 agosto Con Bustric, Mirco Menegatti

e i Van Denon

Conferenza, mostra fotograf ica, ciclo di film, spettacoli di stra da Arcidosso, Castell’Azzara, Roc calbegna 6-13 agosto

Direzione artistica Giorgio Zorcù Consulenza progettuale e organizzativa Emilio Vita (Associazione Argante) Direzione organizzativa Associazione Argante Organizzazione e promozione Francesca Simonetti

Ingresso 7 Euro Il treno rampante, Racconti fantastici, Fiabe italiane 5 Euro Spettacoli di strada ingresso gratuito Santa Fiora in Musica ha collaborato per Pierino e il lupo La Città del Teatro di Cascina ha collaborato per La favola della donna avvelenata La Compagnia Bustric ha collaborato per l’Autobiografia


20 05

D

edicammo quell’inverno molto tempo a progettare la seconda edizione dell’Amiata Summer Theatre Academy, dopo il successo della prima; eravamo pieni di spirito vitale, perché una Università americana ci aveva chiesto di fare una sessione nel mese di aprile, e ci sembrava una buona possibilità di lavoro e un’opportunità per il paese. Con l’idea della Summer vincemmo un bando europeo. Ma all’improvviso arrivò la doccia fredda: il Comune ci negò l’uso del Castello. Di nuovo spiravano venti di crisi, evidentemente questa volta una crisi tutta interna alla vecchia Accademia Amiata, e ai rapporti col Comune di Arcidosso. La cosa più preziosa che sentivo di avere in quel momento erano gli spettacoli che stavano nascendo dal sodalizio artistico con Sara, e decisi di far nascere una nuova formazione, la compagnia Accademia Amiata Mutamenti, per preservare quel patrimonio: continuare a produrre il nostro teatro, e a distribuirlo sul territorio nazionale, in piena indipendenza. Chiedemmo al Comune di Castel del Piano, l’uso del Teatro Amiatino come sala prove e sede dei nostri laboratori, e quindi nuovo luogo della nostra Residenza artistica, un concet-

to che si sarebbe molto sviluppato negli anni a venire. Il Comune ce lo concesse. Cambiavano insomma nuovamente gli assetti, su più fronti. Per quello che riguardava il festival eravamo di nuovo di fronte alla necessità di ridisegnare i suoi orizzonti e il suo futuro. Mi sentivo stremato e senza più idee, e chiesi aiuto: chiamai una vecchia conoscenza, Emilio Vita, grande organizzatore teatrale diventato l’anima del Ravenna Festival, e lui rispose all’appello. Misi Emilio, senza infingimenti, davanti alla nuova situazione in tutta la sua complessità, e insieme a lui ritornò l’energia di progettare, avendo a cuore la nuova vocazione produttiva della compagnia appena nata. Decidemmo innanzitutto di fare un festival con un tema e un titolo intorno a cui progettare. Quell’anno ricorrevano i venti anni dalla morte di Calvino, avvenuta vicino a noi, a Castiglione della Pescaia. Da sempre avevo amato il suo lavoro, fino alle ultime “Lezioni americane”, ma mai avevo approfondito a sufficienza. Mi aveva sempre attratto il suo romanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, e proposi a Federico Bertozzi, mio ex allievo attore alla Paolo Grassi diventato un giovane drammaturgo di successo, di fare insieme una trasposizione teatrale, che avremmo messo in scena durante l’estate con un gruppo di attori in una sorta di creazione-laboratorio, secondo lo stile del festival riportato alle esigenze della nuova compagnia. Su consiglio di Emilio chiedemmo una coproduzione a Sandro Garzella e Sipario Aperto di Cascina. Ne discutemmo a lungo con Sandro in un viaggio a Barcellona

per vedere il nuovo spettacolo di Vargas, nella sua nuova sede del Polvorin sulla montagna del Tibitabo. Era una vera coincidenza, e un felice reincontro con Enrique, che lui avrebbe ospitato nell’autunno successivo. Ne nacque “Favola della donna avvelenata”, che dopo il debutto a Castel del Piano girò in tutte le piazze del festival. Fu una genesi – e una gestione - piuttosto faticosa, ma l’esito fu per noi felice, e soprattutto cementò l’amicizia artistica con Federico, insieme a cui l’anno successivo sarebbe nato uno dei nostri spettacoli più fortunati, “La Regina dei banditi”. Intorno a quella produzione principale un’altra costellazione di piccole opere nuove, sempre dedicate a Calvino “Fiabe italiane”, che avrebbe poi girato per anni in tutta Italia, e “Racconti fantastici”, che invece si fermò lì. Fui preso per un lungo tempo dalla trasposizione teatrale delle “Lezioni americane”, compreso un colloquio con Alberto Asor Rosa, ma poi il tentativo si arenò. A quella nostra sezione si dette come titolo “Il gioco dei destini incrociati”. Ma dall’immaginario calviniano emerse anche un titolo per l’intero festival: “Re, Regine, Maghi e Fanti”, e l’idea per l’altra parte, che doveva essere più popolare e legata ad un artista famoso. Mi ricordai di un progetto che facevamo a Santarcangelo, “Autobiografie teatrali”, chiamando ogni anno un artista a portare non solo i suoi spettacoli, ma anche le sue vicinanze artistiche, i materiali da cui traeva ispirazione, insomma il proprio mondo. Chiedemmo a Bustric di essere della partita, e lui accettò con grande entusiasmo e generosità. “Bustric: un’autobiografia teatrale” era diventata l’altra parte del festival, e


arrivarono gli spettacoli “Escamot o la meravigliosa arte dell’inganno” e il nuovissimo “Nuvolo”, la serata di magie “I Re Maghi” nella piazza del Comune a Castel del Piano, con prestigiatori e giocolieri, ma anche teatro di strada, una mostra, una conferenza con Stefano de Matteis e una rassegna dei film di formazione di Sergio Bini “Bustric”: i cortometraggi fantastici del pioniere del cinema Meliés e il meraviglioso “Les enfants du paradis” di Carné, che vide il tutto esaurito nella sala della Biblioteca di Arcidosso. Un nuovo ciclo era cominciato.

Il manifesto Si cambia ancora prospettiva: il festival si dà un titolo e un tema, che la compagnia residente e gli artisti invitati svilupperanno con le loro opere. Come anni prima le giravolte del destino erano state rappresentate dal Gioco dell’Oca, quest’anno ci sembrò adatto il Gioco delle Carte, anche perché il titolo “Re, Regine, Maghi e Fanti” ben si addiceva alla Donna di cuori che campeggiava nel manifesto, sopra a un Re di quadri e a un Fante di fiori.



L’O d ore de l l’I n d i a prima parte

28 Lugli o 14 Agosto 2006 XI V ED IZ I O N E

To s can a delle

cu l t u re L a b o r at o r i o I n t e r n a z i o n a l e d i T e at r o , M u s i c a e A r t i V i s i v e

C&P Adver

diretto da Giorgio Zorcù

Comuni di Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Cinigiano, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano, Semproniano Provincia di Grosseto, Regione Toscana


20 06

E

ravamo immersi nell’India. Da mesi, insieme a Federico Bertozzi, lavoravamo intorno alla vita leggendaria di Phoolan Devi, “La Regina dei banditi”, e questo stava diventando il nostro nuovo spettacolo. Il tema del festival non poteva essere altro: “L’odore dell’India” fu il suo titolo. Del resto Arcidosso si stava popolando di indianini del Bangla Desh, e l’intercultura era uno dei temi di fondo su cui stavamo lavorando tutto l’anno sul territorio. Debuttammo con un’anteprima dello spettacolo “La Regina dei banditi” al festival di Bassano del Grappa, e si programmarono repliche a Castel del Piano e Santa Fiora. L’emozione più bella avvenne a Castel del Piano: all’uscita del teatro dopo lo spettacolo Sara fu accolta da uno stormo di donne indiane vestite di bianco: erano le suore che accudivano gli anziani all’ospizio di Arcidosso, e tutte erano accorse al richiamo di Phoolan Devi, un vero mito in terra d’India.

sta. Da allora, ogni tanto, cullo l’idea di ospitare in questa terra, ogni anno, una delle grandi culture teatrali del mondo in tutte le loro espressioni, da quelle più popolari a quelle più raffinate. Come non soccombere alla meraviglia delle danze Kathakali, riproposte nella loro vera essenza dagli attori del Teatro Tascabile di Bergamo, guidati dal grande maestro Kalamandalam K. M. John? La cerimonia, perché di questo si tratta, ebbe luogo al Giardino di Daniel Spoerri, e iniziò col trucco degli attori, che prendeva oltre un’ora, tanta era la raffinatezza di quell’arte antica. Oppure alla Peschiera di Santa Fiora con le magiche danze Orissi nella struggente interpretazione di Luigia Calcaterra? Michele Nanni, che in quegli anni programmava una sua rassegna di cinema d’essai spesso integrata al festival, ci regalò le proiezioni dei film del più grande cineasta indiano, Satyajit Ray, e noi completammo questo ciclo orientale portando negli angoli più nascosti di diversi paesi il nostro spettacolo per bambini “Il segreto di Shahrazàd”, che aveva appena debuttato a Siena: racconti tratti da “Le mille e una notte”, che proprio in India aveva le sue origini.

Il manifesto Ma insieme al nostro spettacolo “L’odore dell’India” pervase tutta l’Amiata con concerti, racconti e danze sorprendenti. Molti amministratori, un po’ stupiti di quella proposta, si chiesero il perché, e “cosa aveva a che fare col territorio”, ma se fossero stati presenti agli spettacoli quella domanda avrebbe avuto immediata rispo-

Feci vedere a Mario il massiccio portale indiano che usavamo come elemento scenico per “La Regina dei banditi”, e ne restò affascinato. Quella sarebbe stata l’immagine. L’imprevisto accadde al Teatro di Castel del Piano, durante il servizio fotografico che Mario stesso fece. Cerca-

vamo varie posizioni e sfondi su cui ritrarre il portale, e io cambiavo continuamente le stoffe che dovevano dare lo sfondo. Mario fece uno scatto mentre sbattevo un telo nero dietro al portale, e il risultato nella camera digitale fu – senza nessun accorgimento né modifica tecnica – una fiamma al centro.


META MeTA MORFO

MO R Fe LABORATORIO INTERNAZIONALE DI TEATRO, MUSICA E ARTI VISIVE diretto da Giorgio Zorcù

2 0 - 2 9 LU GLIO CANTIERI TEATRALI KOREJA

2007

15

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E DIZION E

SI

TOSCA NA DE L L E C U L T U RE

C A S T E L DE L P I A N O , P I A ZZA B E L L A V I S T A V E N E R DÌ 2 0 dal l e 1 9 . 3 0 al l e 2 1 . 3 0 I L P A S T O D ELLA T ARANT O LA

C&P Adver

degust azione t eat r al izzat a di pr odot t i t ipici sal ent ini 2 1 . 3 0 S U ’ D’ E S T Suoni e r isuoni popol ar i dal Sal ent o - c o n c e rto

S A B A T O 2 1 C A N A , P I A ZZA DE L L A C I S T E R N A 2 1 . 3 0 V I A ! t eat r o

MUTAMENTI COMPAGNIA LAB ORATORIO

TENUTA CORTEVECCHIA (SEMPRONIANO) DO M E N I C A 2 2 2 1 . 3 0 L A R E GI N A DE I B A N DI T I te a tro L U N E DÌ 2 3 2 1 . 3 0 C O N C E R T O A N GE L O C O M I S S O p i a n o s o lo - c o n c e rto M A R T E DÌ 2 4 2 1 . 3 0 S E R A T A B A R B A B L Ù t eat r o

PONTEDERA TEATRO

C A S T E L DE L P I A N O , P I A ZZA DE L C O M U N E M E R C O L E DÌ 2 5 2 1 . 3 0 I DO N ’ T K N O W 6 danza GI O V E DÌ 2 6 2 1 . 3 0 E L S I N O R A R E S TA VO LA Z Z I − S T E F AN O ON ORAT I c o n c e rto VENERDÌ 27 PIAZZA BELLAVISTA e TEATRO AMIATINO 2 1 . 3 0 U N A V I A DI S C A M P O t eat r o 2 2 . 3 0 R A C C O N T O t eat r o SABATO 28 PALAZZO NERUCCI 1 7. 0 0 T E A T R O , C U L T U R A E C O M U N I T À t avol a ro to n d a c o n Ro b e rto B a c c i

LA MAREMMA DEI FESTIVAL SISTEMA REGIONALE DELLO SPETTACOLO

ACCADEMIA AMIATA MUTAMENTI COMPAGNIA LABORATORIO

REGIONE TOSCANA PROVINCIA DI GROSSETO COMUNITÀ MONTANA AMIATA GROSSETANO

SI RIN G R A Z IA N O PE R L A C OL L A B O R A ZI O N E :

COMUNI DI: ARCIDOSSO, CASTEL DEL PIANO CASTELL’AZZARA, CINIGIANO ROCCALBEGNA, SANTA FIORA SEGGIANO, SEMPRONIANO APT AMIATA

B A N DÃ O R O C C A L B E GN A , C E N T R O S T O R I C O E P I A ZZA G ARIBALD I S A B A T O 2 8 2 1 . 3 0 F E S T A - C O N C E R T O : 30 per cu s s i o n i s ti p e r le v i e d e l p a e s e

F ON D A Z ION E PON T E D E R A T E ATR O

F ON D A Z ION E F A B B R IC A E U R O P A F I R E N ZE A SSOC IA Z ION E A RG A N T E R A V E N N A

P A O L O H E N DE L GI A R DI N O DI DA N I E L S P O E R R I ( S E GGI A N O ) DO M E N I C A 2 9 2 1 . 3 0 I L B I P E DE B A R C O L L A N T E te a tro BI G L I E TTI P OS TO UNI CO: 3 E UR O. 20 E 28 L UG L I O I NG R E S S O L I BE R O. 29 L UG L I O: 1 0 E URO. P ER I RESI D EN TI N ELLA C OMU N I TÀ M ONTANA DE L L ’ AM I ATA G R OS S E TANO ( DIET RO P RES EN T AZION E DOC U M EN T O D’IDEN T IT À ) : I NGRESSO GRA TU I TO, 29 LU GLI O: 3 EU RO

I NF O UF F I CI O F E S TI VAL ACCADE M I A AM I ATA / M UTAM E NTI CAS TE L DE L P I ANO, VI A MA RC ON I 9b (A F I A N C O D EL C OMU N E) TE L . 0 5 64 973 5 3 6 – CE L L . 3 92 1 0 21 0 0 0 – I NF O@ ACCADE M I AAM I ATA.I T – W W W . A C C A D EMI A A MI A TA . I T


20 07

O

gni tanto mi chiedo se sono davvero pazzo a sollecitare sempre tutti questi cambiamenti. O forse sta qui la formula della longevità di questo festival. Sta di fatto che – fin dalla sua nascita – la formula del progetto d’area aveva causato problemi e incomprensioni, ed è così ancora oggi: ogni anno cerco di forzare le cose per cercare di rispondere sia alle esigenze dell’arte che a quelle del pubblico. Ma quello che stava venendo a mancare era il tratto distintivo ed originale del nostro festival, che era quello per cui era riconosciuto, apprezzato e finanziato: la produzione originale. Un’altra questione frustrante era il periodo scelto: quando si andavano a determinare le date del festival in ogni paese le trovavamo già occupate dalle manifestazioni più disparate, che i Comuni si affrettavano a programmare anzitempo. La sensazione, insomma, era che ormai il festival era di tutti e di nessuno, e che ogni Comune – come del resto stava avvenendo anche su altri fronti – si preoccupava più del proprio particolare che dell’interesse generale di un territorio più vasto. Cioè, in sintesi: quelle che erano state le premesse, culturali e politiche, del progetto d’area, non esistevano più. Per ridare vigore ad una progettualità che contemplasse di nuo-

vo al suo interno la produzione feci la proposta di alternare: ogni anno solo 4 degli 8 Comuni avrebbero avuto il festival, e gli altri 4 nell’anno successivo. Ma ognuno doveva dare annualmente il proprio contributo. Ottenevamo così un piccolo incremento di budget e il dimezzamento dei luoghi su cui lavorare, e questo avrebbe consentito di creare 4 “eventi” con una loro maggiore forza. Le idee che esposi convinsero gli amministratori: un evento al Castello di Triana per Roccalbegna, uno alla Tenuta di Cortevecchia per Semproniano, uno al Giardino di Spoerri per Seggiano ed infine il centro storico per Castel del Piano. Altro dato caratterizzante di quell’anno sarebbe stato il drastico spostamento di date: il momento scelto fu il solstizio d’estate, intorno al 21 giugno. La sfida che il festival si accollava era quella di attrarre un pubblico in un momento tradizionalmente spento, facendosi forza dei 4 eventi. Naturalmente tutto avveniva con livelli di finanziamento assolutamente insignificanti, rispetto a tutte le altre manifestazioni del genere, ma era sempre stato così, e la sfida ormai era partita. L’imprevisto arrivò però con una impuntatura polemica dell’allora assessore alla cultura della Comunità Montana, che sosteneva che gli eventi dovevano essere 5 e non 4. Di fronte a quello che consideravo un abuso non mi restava che una strada: le dimissioni. Sembra che nessuno ci credette per davvero, tant’è che dopo un lungo silenzio mi fu chiesto a che punto era il nuovo programma. Si chiarirono le cose ma fui costretto a rivedere totalmente il progetto, e collocarlo di nuovo nelle sue date classiche: dalla fine di luglio alla prima settimana di agosto. Insieme al vecchio progetto del

festival se ne andò polemicamente anche lo staff organizzativo degli ultimi due anni, che si era ritagliato solo lo spazio di tempo del solstizio estivo e non poteva più occuparsene con le nuove date. Chiesi aiuto a Luca Dini di Pontedera Teatro, e lì avvenne l’incontro fortunato che avrebbe accompagnato tutte le successive edizioni, fino ad oggi, quello con Massimo Carotti. Il nuovo festival cambiò anche sede organizzativa, che da quell’anno fu a Castel del Piano. I nuovi quattro eventi avevano ognuno un protagonista: Pontedera Teatro fece un suo programma per Castel del Piano, fitto di incontri, studi scenici, concerti e spettacoli; un’altra parte la fece il Teatro Koreja di Lecce, diviso tra Castel del Piano e Cana; al Giardino di Spoerri si mantenne l’idea di un’ospitalità eccellente, quella del comico Paolo Hendel, che concluse quell’edizione in una serata stracolma di pubblico. Il quarto evento fu alla Tenuta Cortevecchia di Semproniano, curato dalla nostra compagnia, e a quello sono legati i ricordi più intensi di quell’anno. Lo decidemmo insieme al proprietario Vittorio Montanari, illustre imprenditore e collezionista d’arte: ricordo il primo sopralluogo insieme a lui, quando ci aprì il caveau della tenuta e rimasi abbagliato da quei tesori: piccole teste in vetro di Picasso, opere di Manzù e Max Ernst, assolutamente improbabili in quella campagna. Sull’onda di quelle suggestioni facemmo diventare la vecchia stalla, ora sala ristorante, un vero e proprio “teatrino off” aperto ai contadini dei dintorni e agli ospiti venuti da lontano. Questo fu il pubblico caloroso che accolse entusiasta le nostre proposte: la riedi-


OR

zione di “La Regina dei banditi”, un concerto di Angelo Comisso, talentuoso pianista friulano che da quell’anno ci avrebbe sempre accompagnato, il primo studio scenico del nostro nuovo spettacolo “La camera di sangue”, che avrebbe completato il suo percorso nell’inverno successivo al PiM di Milano e nella primavera 2008 al Teatro degli Industri di Grosseto. Nel frattempo, purtroppo, il vecchio Montanari se n’era andato e non poté assistere a quelle serate magiche; il più bel riconoscimento ci venne dalla vedova, che a conclusione della prima serata, felice, fece portare su per noi e per l’esterrefatto pubblico molte bottiglie di prosecco ben freddo con cui brindare.

Il manifesto

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Durante l’inverno di questa ennesima trasformazione del festival lessi le “Metamorfosi” di Ovidio, cercando spunti e materiale per i futuri spettacoli della compagnia. Da quel punto di vista non nacque molto, ma la parola Metamorfosi continuava a ronzarmi in testa di fronte alla nuova impresa del festival. Il resto lo fece Mario, dall’idea di sottolineare a grandi lettere il titolo a quella dell’inclusione delle due faccette nelle “O”: due immagini classiche, una statua greca e un volto di Francis Bacon.

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20 08

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utti gli eventi del 2008 ruotarono intorno all’anniversario dell’uccisione di David Lazzaretti, avvenuta 130 anni prima alle porte di Arcidosso. E proprio in questo paese si svolsero la gran parte delle manifestazioni; “Sogni e Visioni” fu il titolo del festival. Al centro una serata in cui gli artisti che avevano creato opere teatrali sul Profeta dell’Amiata si riunirono per offrire un omaggio fatto da frammenti di opere e canti. Ideammo la serata insieme a Leoncarlo Settimelli, autore del grande spettacolo in musica del Canzoniere Internazionale “Vita profezie e morte di David Lazzaretti detto il nuovo Messia” con cui si celebrò il centenario trent’anni prima; Leoncarlo conduceva, e cantò col suo magnetismo inconfondibile alcune arie delle musiche da lui composte all’epoca; poi Luca Bonechi e Matteo Marsan, che a Castelnuovo Berardenga avevano creato un Bruscello su David; poi frammenti dei nostri lavori e, come intermezzo, le belle stornellate di Mauro Chechi. In una serata successiva creammo invece, insieme a Sara Donzelli e al pianista Angelo Comisso, il nostro “Paradiso XXXIII”, concerto in parole e musica sull’ultimo canto della Divina Commedia, ancora oggi nel nostro repertorio. A Santa Fiora invece si produsse un altro evento, insieme alla Banda Improvvisa di Orio Odo-

ri, Giampiero e Arlo Bigazzi: “La terra del tramonto”, sempre dedicata a David riprendendo però l’opera ultima di Ernesto Balducci e i testi di tanti “nuovi profeti” del mondo d’oggi. Una serata alla Peschiera che rimase nel cuore di molti, con la voce di Sara Donzelli in mezzo ai 50 musicanti e alla musica possente della Banda Improvvisa. A Monticello Amiata invece riuscii finalmente a invitare per una Residenza artistica di diversi giorni il gruppo amico del Teatro Tascabile di Bergamo, che invase il piccolo paese con la poesia dei suoi spettacoli di strada, dallo storico “Albatri”, a frammenti di “Valse” a operine composte appositamente per l’occasione sfruttando finestre e piazzette: una meraviglia data soprattutto dall’antica maestria degli attori.

Il manifesto Siccome tutto il festival era dedicato a Lazzaretti con nuove creazioni, decidemmo che anche per il manifesto avremmo usato una nuova creazione, da commissionare a un pittore o illustratore, riprendendo l’esperienza del 1996 con Dioscorides Peres. La scelta cadde su Giancarlo Zucconelli di Castell’Azzara, ora residente a Verona, buon amico di Mario; conoscevo i suoi dipinti e le illustrazioni per la frequentazione della casa di Sinibaldo Ruffaldi. Zuc, questo il suo nome d’arte, accettò e ci restituì il volto sereno che campeggia sul manifesto di quell’anno.


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20 09

B

asta anche con la formula del 4+4, con mio enorme dispiacere, perché lo ritenevo un compromesso giusto e fortunato; ma i Comuni non ci stavano più, le righe si stavano rompendo, Roccalbegna abbandonava il campo, e allora decisero di tornare all’antico, programmando una serata in ogni luogo. Cominciai a cullare l’idea di ripristinare il festival delle origini in un solo paese, stanco di questi andirivieni e di dover fare i conti con troppi interlocutori tutti insieme. Per le nostre forze era stremante dedicarsi a creare tanti allestimenti in posti così distanti. Nell’esperienza degli eventi, inoltre, avevamo riassaporato quanto è produttivo creare e proporre più opere in uno stesso posto, allargando sempre più il cerchio del pubblico, giorno dopo giorno, anche col semplice passavoce, e ristabilire la tradizione di un punto di incontro di fine serata tra artisti, organizzatori e pubblico. Non è solo un vezzo, perché lì nascono le nuove idee e nuove relazioni. Ma ben presto l’ipotesi si rivelò impraticabile. Tornai allora sui miei passi e ricominciai a progettare per tanti Comuni, cercando come sempre di creare il meglio dalla situazione data. L’idea fissa di quell’anno era il coinvolgimento dei giovani, che ancora è al centro dei nostri pensieri. Dedicai a loro il progetto, e

alla rabbia: “Angry Years”. Lo divisi a metà: da una parte l’invito a nuovi gruppi emergenti, dall’altra nuove produzioni nostre o di artisti vicini. Invitai come ospiti gli Omini ad Arcidosso, la compagnia Astorri Tintinelli con il loro folle spettacolo “Amurdur” a Cinigiano, Babilonia Teatri col duro “Made in Italy” a Castel del Piano. A quest’ultimo spettacolo sono legate le polemiche pubbliche che si scatenarono, per il linguaggio forte e per la presunta offesa nei confronti degli extracomunitari; del resto l’intento della compagnia, che aveva raccolto quel testo da discorsi uditi nei bar notturni di Verona, era proprio di restituire “chi siamo” attraverso quella volgarità. Ma le condizioni in cui spesso si è costretti a presentare gli spettacoli non facilitano la comprensione e la comunicazione, prima tra tutte la terribile decisione – presa pochi anni addietro dalle amministrazioni – di non far pagare il biglietto, gettando così le opere nelle piazze in pasto anche ai passanti occasionali che ne ascoltano solo pochi frammenti, impedendo spesso l’ascolto ai veri interessati. La prima delle tre produzioni previste fu “Luz”, con cui il disegnatore di luci Marcello d’Agostino e la danzatrice Serena Gatti invitavano il pubblico ad un poetico cammino nelle strade di Seggiano, ridisegnate e surreali. Poi l’investimento più grande, nel nuovo spazio del Parco Pubblico di Semproniano che ci reinventammo, con la sorpresa di tutti gli abitanti. Quell’anno sia noi che la compagnia Astorri Tintinelli ci eravamo dedicati allo studio di alcune pièce di Beckett; loro avevano lavorato su “Aspettando Godot”, noi su “Passi” e “Non io”. Decisi quindi di unire le forze, invitando

anche altri artisti come il pianista Comisso, il clown Dadde Visconti e il marionettista Francesco Trecci, per creare un unico grande evento spettacolare dedicato al grande drammaturgo irlandese: “Notte Beckett”. La lavorazione e la presentazione di quest’opera fu la più grande emozione di quell’anno, e ancora oggi quel ricordo lega in un vincolo di stima e di affetto tutti gli artisti che parteciparono. L’evento finale del festival fu un’idea del poeta – e grande uomo di teatro - Giuliano Scabia: una salita verso la vetta dell’Amiata, di notte, preceduti dal suono di trombe e corni, con diverse soste in cui ci si scambiavano poesie nell’oscurità, illuminati dalle torce. Un manipolo di trenta uomini e donne si incamminò per quel viaggio così breve e così inusitato, e ne tornò trasformato.

Il manifesto Avevo assistito quell’anno ad una bellissima mostra su Burri alla Triennale di Milano, e mi era rimasta impressa nella mente. Avevo comprato il catalogo, e continuamente lo sfogliavo, tanto quelle immagini mi avevano colpito. Avevo conosciuto qualcosa della sua opera, avevo visitato il bianco cretto di Gibellina, ma vedermelo così, tutto insieme, aveva dello straordinario. Ma Burri era un vecchio amore anche per Mario, e così da una delle opere in lamina d’oro su nero riprendemmo il segno che diede origine al manifesto, in cui decidemmo di inserire, per la prima volta, tutti gli spettacoli con una loro immagine.


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Comuni di: Arcidosso Castel del Piano Castell’Azzara Santa Fiora Seggiano Semproniano

6 AGO SEMPRONIANO ARMAMAXA ORLANDO 7 AGO SEGGIANO LAMINARIE STORIA SENZA NOME Fiaba per il Giardino di Daniel Spoerri

INFO Accademia Amiata Mutamenti Piazza Colonna 1, 58033 Castel del Piano (Gr) T. 0564 973017 www.accademiaamiata.it

INGRESSO GRATUITO


20 10

U

na delle più belle esperienza artistiche dei tempi del Festival di Santarcangelo la feci con Wojcieck Krukovski e il suo gruppo Akademia Ruchu. Polacchi di Varsavia, sono per me i più importanti artisti che lavorano sullo spazio urbano, i più innovativi e poetici. Prima osteggiati dal regime, dopo la primavera polacca Wojcieck fu nominato direttore della Galleria Nazionale d’Arte Contemporanea di Varsavia, e lo è rimasto fino al 2009, continuando contemporaneamente a lavorare col gruppo teatrale. Nel 1994 avevo già chiesto a Wojciek un progetto per la piazza del Teatro ad Arcidosso. Ne parlammo a lungo, e l’idea era bellissima. Era legata al cinema, tutta la piazza diventava bianca, sul castello e i palazzi grandi teli bianchi. Sul pavimento carta bianca, incollata a terra. Da diversi proiettori 35 mm immagini di film che riempivano gli schermi verticali, il pubblico sotto, tutto intorno, su gradinate, e al centro l’azione degli attori. Alla fine il pavimento brucia con una lieve fiamma. Ma troppo era il rischio di non farcela quell’anno, il progetto legato a un finanziamento europeo che non sapevamo se sarebbe arrivato e il gruppo che doveva decidere molto anzitempo il calendario. Rimandammo. Sarebbero passati 16 anni, ma quella promessa l’avevo sempre nel cuore. Seppi che l’anno pre-

cedente Akademia Ruchu aveva realizzato un’azione alle cave di marmo di Carrara. Scoprii poi che la committente era stata Teresa Telara, un’attrice amica, e che il direttore organizzativo era stato addirittura Massimo Carotti, con cui stavo lavorando, e che si era innamorato anche lui dei “ragazzi” polacchi. Il passo fu breve; sostenuto da Massimo mi sentii più forte dal punto di vista organizzativo, perché con Wojcieck bisogna essere sempre molto preparati, e partì l’invito per un’azione da farsi nel centro di Castel del Piano. Lo accolsi emozionato al primo sopralluogo, alla fine di maggio; il nostro ultimo incontro era stato nel 1985, a Santarcangelo, erano passati 25 anni! Come al solito Wojcieck sconvolse i miei piani e mi propose – ma con lui è meglio usare la parola “obbligò” – a fare un’azione itinerante, che partisse da Piazza Garibaldi, facesse una sosta a Piazza Madonna e si concludesse a Piazza del Comune. A nulla valsero le mie proteste, preoccupato per la grande massa di pubblico che l’azione si sarebbe portata dietro, col rischio della visibilità. Accettammo il rischio e si cominciò a progettare quello che sarebbe stato l’evento centrale di quell’anno: “Succhi diversi e il segreto della conoscenza”. Straordinario. Lavorare con loro mi riconnetteva alla pura poesia. Divisero il pubblico in due: chi lo rifiutò perché “non si capiva” e chi non si è più dimenticato la forza di quelle immagini. Il gruppo stette in paese per una settimana, per realizzare quella serata. Il resto del festival di quell’anno trascorse in relativa tranquillità, con belle serate affidate a bravissimi attori: dalla nostra Sara con

cui allestimmo una soirée dantesca alla Peschiera di Santa Fiora, con l’inseparabile pianoforte di Angelo Comisso al pianoforte, al Testori portato in scena dalla milanese Arianna Scommegna fino alla sorprendente bravura dell’attore pugliese Enrico Messina, che ammaliò il pubblico di Semproniano con un bellissimo “Orlando”. Il festival si concluse in nome del pubblico bambino, con un percorso artistico studiato per loro dal gruppo bolognese Laminarie al Giardino di Daniel Spoerri.

Il manifesto Quell’anno avevo rinunciato ad un titolo, e non avevo nessuna idea sulla grafica, non sapevo neppure minimamente cosa suggerire. Allora, siccome era nata una bella fiducia con Stefano Cherubini, giovane collaboratore di Mario, decisi di lasciare a lui l’intero campo d’azione. Sono molto felice di quella decisione, perché Stefano restituì un manifesto di rara bellezza, e così anche per il pieghevole. L’unica mia intromissione fu una tartarughina; ne ricercavo un’immagine perché avevo una mancanza, ne avevo trovata una sulla porta di casa, la volevo tenere per Sara – che le adora – ma me la feci sfuggire. Quella tartarughina, che occhieggia nel manifesto e si prende un bellissimo spazio nel pieghevole, ancora oggi appare e scompare dalle nostre immagini, e una vera tartarughina d’acqua è comparsa nel nostro ufficio.


2011

3 AGOSTO Arcidosso Piazza Cavallotti Violini di Santa Vittoria, RICCARDO TESI e CLAUDIO CARBONI L’OSTERIA DEL FOJONCO Concerto Comuni di: Arcidosso Castel del Piano Castell’Azzara Cinigiano Santa Fiora Seggiano Semproniano

5 AGOSTO

4 AGOSTO

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Parco Peschiera Armamaxa ORLANDO Teatro

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Castell’Azzara Sala Comunale Teatro delle Ariette MATRIMONIO D’INVERNO Teatro

Castel Porrona ENZA PAGLIARA, Voce solista del Festival La notte della Taranta FRUNTE DE LUNA Concerto

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Prenotazione obbligatoria

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STORIe D’ITALIA TOSCANA DELLE CULTURE

Laboratorio Internazionale di Teatro, Musica e Arti Visive Diretto da GIORGIO ZORCÙ


20 11

U

na volta avevo sentito dire a Giuseppe Di Leva, drammaturgo e librettista, fondatore del Corso di Drammaturgia alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, che gli anniversari sono occasioni commerciali per “saltare” sopra un’opportunità. Ma anche, se presi con la dovuta serietà, un’occasione di approfondimento di un tema o di un autore, ad anni di distanza. Così, quando partirono le trombe per annunciare i progetti sul 150° dell’Unità d’Italia, io e Sara cominciammo a pensare a cosa fare, e cominciammo ad immergerci in film, libri e documenti vari sul nostro ottocento. Mai occasione fu più fertile; più andavamo avanti e più prendevamo passione nella riscoperta delle origini della nostra realtà contemporanea, nei conflitti ancora vivi che avevano origine in quell’epoca, nelle forme artistiche affascinanti che allora ebbero il loro splendore, prima tra tutte il melodramma. Fu così che ci venne in mente una storia che ci aveva narrato il nostro amico reggiano Andrea Bonacini, quella dei violinisti braccianti di Santa Vittoria, il paesino della bassa dove nacquero contemporaneamente il ballo liscio e le prime cooperative di braccianti. Decidemmo di metterci all’opera e farlo diventare uno spettacolo, chiedendo di unirsi a noi proprio a Giuseppe

Di Leva, col compito di scrivere il testo di partenza. Sapevamo che ci doveva essere anche la musica in scena, e anche il ballo, ma non sapevamo ancora come. Ma cominciammo a spargere la voce che quello sarebbe stato il nostro prossimo lavoro. L’idea piacque molto a Mario Martone, direttore artistico del Teatro Stabile di Torino, e allo storico Giovanni De Luna, che stavano preparando la rassegna “Fare gli italiani”, che sarebbe durata per tutto il 2011 facendo centro soprattutto alla Cavallerizza Reale. Ci invitarono a partecipare. Insieme ci fu l’offerta della Corte Ospitale di Rubiera, luogo prestigioso di Residenze artistiche nel reggiano, a soggiornare presso di loro per preparare lo spettacolo. Così, mentre andavamo accumulando materiali, relazioni artistiche e nuove conoscenze, proponemmo di dedicare il festival 2011 all’Unità e di intitolarlo “Storie d’Italia”, proponendo frammenti di teatri e di musiche dalle nostre culture. La proposta fu accolta da tutti con entusiasmo. Le Storie d’Italia si aprirono con un allestimento speciale del nostro “Socialismo a passo di Valzer”, fresco di debutto a Torino, a Castel del Piano. Intorno a questo perno centrale si dipanarono altre proposte che avevano a che fare col liscio: ad Arcidosso il concerto dei Violini di Santa Vittoria, insieme al grande organettista Riccardo Tesi e al sax di Luca Carboni, a Seggiano la divertente disfida in musica tra liscio italiano e polacco. E mentre la conclusione fu dedicata sempre al ballo, festeggiando il rientro di Cinigiano con la scatenata – e bravissima – cantante Enza Pagliara, star della Notte della Taranta del Sa-

lento, a Castell’Azzara sostarono per qualche giorno gli amici del Teatro delle Ariette, che portavano gli spettatori intorno a una tavola che via via si imbandiva raccontando storie quotidiane, ma sempre fantastiche, di vita di campagna.

Il manifesto Stefanino si riscatena sull’Unità d’Italia. Ogni tanto porto a lui e a Mario degli opuscoli che mi colpiscono per l’audacia grafica, quasi sempre francesi. Quell’anno portai a Stefano una cartolina che sapevo l’avrebbe colpito, era dell’Onda – l’agenzia nazionale dello spettacolo in Francia – e non c’era nessun’altra cosa se non dei cerchi di varia grandezza, in rosa brillante sovrastampato su un rosa più pallido. Quello fu lo stimolo da cui Stefano partì, per restituire un’altra sua bellissima opera di un’Italia fatta di cerchi e cerchietti tricolori.



20 12

È

stato un parto piuttosto lungo il progetto del festival del ventennale. Alimentato all’inizio dalla speranza di qualche soldino in più per l’occasione, svanita piuttosto alla svelta. La prima dedica che mi sono sentito di fare è quella ai nostri morti: i grandi artisti e intellettuali che, chi in maniera più sfuggente chi più lungamente, sono stati con noi al festival, e che se ne sono andati. Questa dedica è servita prima di tutto a me, per ritrovare il calore e la sapienza che alcuni di quei maestri mi hanno trasmesso, primi tra tutti Leo de Berardinis, Ellen Stewart, Claudio Meldolesi, Antonio Neiwiller e Steve Lacy. A tutti loro devo molto. Ma sin dall’inizio ho pensato che il modo migliore di celebrare quel passato era rinnovare la sfida per il futuro, per i giovani di domani, dopo che – ne sono convinto – la nascita di Toscana delle Culture ha fatto così tanto per i giovani di ieri e di oggi, con tutto quello che si è portato appresso. Ho coniugato così l’idea di festival ad un’idea più generale che da una paio di anni stavo covando, quella dell’allargamento della compagnia come strategia di rinnovamento e di superamento in avanti della crisi. Approfondire la propria posizione artistica e nello stesso tempo aprirsi, offrendosi per quello che si è: niente di più

e niente di meno. Aprirsi ai giovani artisti come opportunità di apprendimento e di lavoro comune; aprirsi agli altri edifici teatrali della provincia per uscire tutti insieme dall’isolamento in cui ci stanno stringendo e mostrarsi come opportunità piuttosto che come debolezza; aprirsi all’Europa e al mondo con nuove relazioni.

(anzi, padule). Ma non credo, perché finora la vitalità non è ancora mancata, anche solo quella di strattonarsi dalle prese più nefaste. E i nostri mille mutamenti forse sono il risultato di un vecchio insegnamento di Roberto Bacci: “Per rimanere se stessi, bisogna cambiare!”.

A tutto questo abbiamo dato il nome di Factory, una parola un po’ abusata ma non ne ho trovata una migliore, per descrivere l’atmosfera creativa e la relazione tra artisti diversi che si vogliono suscitare; inoltre, anche se in inglese vuol dire Fabbrica, assomiglia molto a Fattoria, ed ha a che vedere con la nostra cultura agricola. Per questo abbiamo adottato il logo storico del nostro progetto di Residenza artistica, che è stato elaborato a partire dall’immagine delle pompe Vivarelli.

Il manifesto

Factory per fare cosa? Per fare diverse cose: rinnovare progetti creativi importanti come Magma, invitando soprattutto i più giovani a partecipare; rinnovare l’idea di un festival come luogo di produzione, e tutte le serate meno una sono nuove produzioni; far vedere agli artisti più giovani che “si può fare”: tanto ai talentuosi musicisti che si sono riuniti intorno a Mirco Mariottini che ai giovani attori del Teatro di Malaffare. Ma anche ai due giovani, Marco e AnnaMaria, che insieme ad Alessandro, Erio e Nicola hanno allargato la nostra compagnia nell’ultimo anno. I risultati si sapranno, perché al momento di scrivere il festival non è ancora “andato in scena”. E tra qualche anno si saprà se la sfida lanciata venti anni fa ha saputo rinnovarsi, o se si è impantanata in qualche secca o palude

Da qualche anno Francesca Bizzarri segue la nostra Scuola di Teatro, e dall’anno scorso ha cominciato, oltre a fare l’attrice, a disegnare le maschere e le scene di alcuni spettacoli. Così ho cominciato a seguire volentieri le sue attività, e mi hanno colpito i suoi lavori con i bambini. Mentre Sara le chiedeva di accompagnarla in alcuni dei laboratori teatrali invernali – a Sasso d’Ombrone e Vallerona – io le ho chiesto di poter usare quelle immagini per il manifesto, siccome “Immaginando i prossimi venti anni” era il sottotitolo che avevo scelto per il festival e mi piaceva pensare che fossero proprio quei volti fantastici di bimbi i futuri spettatori e i futuri attori. Ho messo a disposizione di Mario e Stefano quelle immagini, scegliendo la principale, e da qui, non senza una certa fatica e molti tentativi, è nata infine un’immagine felice.


Toscana delle Culture 1993 - 2012

Dedicato a chi è stato con noi in questi vent’anni, e ora ci guarda da lassù: SILVIO BERNARDINI LEO DE BERARDINIS IVAN DELLA MEA FRANCO DI FRANCESCANTONIO NICO GARRONE MARIELLA GENNAI STEVE LACY GIULIANO MAURI CLAUDIO MELDOLESI ANTONIO NEIWILLER RAUL RUIZ LEONCARLO SETTIMELLI ELLEN STEWART


Toscana delle Culture STAFF 2012

Direzione artistica GIORGIO ZORCÙ Consulenza SARA DONZELLI Direzione organizzativa MASSIMO CAROTTI Organizzazione GIADA BRUSCHI, MARCO CASTAGNOLI Promozione LUIGI FRENI Collaborazione organizzazione INES DE BLASI Aiuto promozione GIULIA QUAGLIARELLA Tecniche MARCO FACCENDA, LUANA SEGRETO Fonica MATTEO SARDI Design STEFANO CHERUBINI Studio Grafico C&P Adver > MARIO PAPALINI


Finito di stampare nel mese di luglio 2012 per conto di



MARIO PAPALINI | GIORGIO ZORCÙ QUADERNI 6

[ 20 ANNI DI MANIFESTI ]

Venti anni di storie e venti manifesti: una testimonianza dedicata ai giovani artisti, amministratori pubblici e operatori culturali, ai cittadini

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