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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

L’OCCIDENTE PERDUTO

Numero 99 Ottobre 2021


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Confini Web-magazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 99 - Ottobre 2021 Anno XXIV Edizione fuori commercio

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato:

Gianni Falcone Roberta Forte Lino Lavorgna Sara Lodi Stefania Melani Emilio Petruzzi Antonino Provenzano Angelo Romano Cristofaro Sola Silvio Sposito

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Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Sara Lodi e Gianni Falcone

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EDITORIALE

MEGLIO PERDERLO... Senza scomodare Spengler, questo Occidente, malato allo stadio terminale, è meglio perderlo. Non ha nulla delle civiltà degne di questo nome e, nel tempo, è diventato solo il mantello dell'americanismo più deleterio. Un mantello per coprire l'inanità della debole Europa, un mantello sotto cui nascondere le malefatte del capitalismo più bieco, dell'imperialismo più sfacciato, del mercantilismo più esasperato, dell'egoismo elevato a sistema. Anche il pietoso mantello per nascondere i madornali errori della politica statunitense: bomba atomica, guerra fredda, corsa agli armamenti ed equilibrio del terrore, conflitti inutili quanto disastrosi: Vietnam, Libia, Iraq, Afganistan, esportazione della democrazia e guerre commerciali, deleterie ingerenze nel Centro e Sudamerica e non solo, via libera alla Cina, nanismo europeo, ideologia gender e censura di libri, fumetti, fiabe e comportamenti... Eppure, mai come oggi - guardando ad Oriente un'Europa militarmente e politicamente forte sarebbe necessaria, come un Giappone non disarmato. Si salva qualche progresso tecnologico innescato grazie a due fattori principali: l'amore per l'innovazione, proprio degli americani, e la razzia dei cervelli e delle competenze dei tedeschi prima, alla fine dell'ultima guerra mondiale, e di ogni altro popolo poi, grazie al potere attrattivo del dollaro e del "sogno americano"... Il mondo così com'é e l'Occidente con esso, ci piaccia o meno, è stato plasmato in larga misura dagli Stati Uniti e dai suoi "cow-boy". I modelli culturali, quelli relazionali e di comunicazione, il sistema economico, le relazioni internazionali, la gerarchia dei valori ed il "politicamente corretto", Internet, il Gps ed i social media portano l'imprinting statunitense. Come pure la cattiva salute del pianeta provata da un consumismo esasperato, dall'"usa e getta" fattosi sistema di vita. Per poter scrivere la Storia ventura occorrerà essere vincitori e l'Europa, l'antico crogiolo di civiltà, è oggi perdente, marginale... Nuovi protagonisti si intravedono sullo scenario: Cina, India: forza dei numeri, dinamismo, sangue antico e raffinate abilità. Brama e Confucio si metteranno insieme, in barba alle tecnologie distruttive, per dettare le nuove regole, per determinare un nuovo Ordine e come dice una vecchia canzone: "Noi non ci saremo". Angelo Romano


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L’OCCIDENTE PERDUTO Be', certo è che la 'perdita', lì per lì, lascia un po' disorientati perché verrebbe facile, in un argomento dove c'è di mezzo l'Occidente, sostituire l'accezione col 'tramonto'. Già, il 'tramonto', questo fenomeno astrale ineluttabile, accompagnato da inconfondibili segni celesti e terrestri che lo rendono inequivocabile: la posizione del sole sulla linea dell'orizzonte, la notte che già incombe nel cielo ad oriente, la tiepida tonalità della luce. E, pensando al 'tramonto', è un passo dallo sconfinare mentalmente nella pregevole opera di Oswald Spengler, Il tramonto dell'Occidente, appunto, scritta dal filosofo tedesco allo scadere della Grande Guerra. Un'opera che, tra l'altro, sembra voler giudicare la situazione geopolitica, sociale ed economica postbellica di allora e preconizzare quella che una parte di mondo sta attualmente vivendo. Ebbene, (lo dico a me stessa) l'eventuale accostamento sarebbe improprio perché non era obiettivo di Spengler spacciare ai lettori di ogni tempo le sue riflessioni quali vaticini quanto lo era, invece, rappresentare la Storia del mondo in via puramente morfologica, considerando gli avvenimenti sul piano del Simbolo e il loro evolversi quale azione del Destino. Oddio, detta così, la 'cosa' appare un po' criptica, me ne rendo conto, ma proviamo ad affrontare l'argomento seguendo un ragionamento più articolato e, in parte, ricalcando le orme di Stefano Zecchi nella sua prefazione all'opera spengleriana. Nella Storia, arriva sempre il momento per l'Uomo di dover indossare un atteggiamento, quale che sia, di fronte agli eventi che lo toccano: l'irriducibilità, ad esempio, in difesa della propria tradizione culturale, a significare che tutto ciò che è accaduto non è stato vano, che il tormento, la gioia, l'odio, l'amore per affermare la concretezza di una passione, continua a vivere e ad avere un senso. Oppure, l'arrendevolezza, il cedimento di fronte al destino cinico e baro nella convinzione di appartenere ad una tradizione non più ripetibile e di aver esaurito il proprio tempo. Ed in quest'ultimo caso, ciò che resta è l'angoscia dello sradicamento, la desolazione e la solitudine vissute come incubo quotidiano. Ora, partendo dal presupposto che il Fato ha addirittura il potere di soppiantare le intenzioni e le azioni degli dei, può sembrare che Spengler, parlando di Destino, propenda per quest'ultimo atteggiamento, quello cedevole e remissivo. In realtà, ricorrendo al Simbolo, egli ci addita l'esistenza di una pluralità di punti di vista su quegli stessi eventi. Riflettiamo un attimo: l'interpretazione dei simboli è sempre stato motivo di divisione in quanto l'uomo vuole trovare ad ogni costo un significato ad un simbolo anche se questo non ne ha; e ciò in quanto il simbolo

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può evocare e focalizzare, riunire e concentrare, in modo analogicamente polivalente, una molteplicità di sensi che non si riducono a un unico significato. All'interno del medesimo simbolo, peraltro, vi sono evocazioni simboliche molteplici e gerarchicamente sovrapposte che non si escludono reciprocamente, ma sono anzi concordanti tra loro perché, in realtà, esprimono le applicazioni di uno stesso principio a ordini diversi ed in tal modo si completano e si corroborano, integrandosi nell'armonia della sintesi totale. Questo, del resto, è ciò che rende il simbolismo un linguaggio meno limitato del linguaggio comune e più adatto per l'espressione e la comunicazione di certe verità. Gli eventi, quindi, indotti alla fin fine dal Destino, sono Simboli la cui interpretazione è lasciata alle disquisizioni degli uomini. Altrimenti, quale rappresentazione morfologica sarebbe? Spengler, d'altro canto, ha poggiato le basi della sua opera su due 'pilastri' del secolo a lui precedente: Goethe e Nietzsche i quali, in via alternativa, forniscono macro-risposte a quegli stessi Simboli: il primo in un percorso di revisione naturale e di verità dove l'approdo finale viene ricondotto a Dio e l'altro, costatato lo sfacelo e la 'morte' di Dio, nell'appello all'Oltreuomo o, al Superuomo che dir si voglia. Perciò, come si vede, la dicotomia delle posizioni dei due eminenti filosofi rispecchia la pluralità di lettura dei Simboli stessi e sostiene l'armatura complessiva. Ma … al di là della piacevole analisi dell'opera spengleriana e delle giravolte siderali che può stimolare, a voler cogliere nelle posizioni dei due autorevoli pensatori possibili risposte all'odierno disfacimento dell'Occidente, va detto senza mezzi termini che le vie derivanti che si volessero intraprendere porterebbero immancabilmente davanti ad un muro: con tutto il rispetto, né Ghoete né tantomeno Nietzsche avrebbero potuto prevedere l'evoluzione delle umane vicende fino al punto odierno. In esito al primo, la modernità si è sviluppata seguendo una direzione completamente opposta alla prospettiva goethiana: si è affidata all'ideologia emancipativa e progressiva della Storia ed ha teorizzato la separazione dei saperi per ottenere con la settorialità dell'analisi il massimo della conoscenza, innalzando sopra ogni cosa la scienza e la tecnica. Dove la modernità costruisce gerarchie e divisioni, Goethe coglieva organicità, analogie, equivalenze. Per cui, dichiararsi 'goethiani' oggi significherebbe rifiutarsi di collocarsi in quegli estremi che hanno chiuso come in una morsa la filosofia, l'arte e la tecnica dell'Occidente: da un lato l'ideologia scientista dell'emancipazione e della crescita e, dall'altro la retorica del negativo, della crisi immane e insormontabile. In pratica, un'opposizione senza speranza alla 'cultura' insorta alla fine del Novecento. Allora si potrebbe pensare che a questo punto il caro, 'vecchio' Nietzsche possa fornire risposte indicative, attesa peraltro la scomparsa di ogni rinvio al trascendente e la dilagante crisi spirituale. Ma neppure lui è attrezzato per la bisogna perché nemmeno l'Uomo esiste più. Come non esiste più il 'cittadino' né, tantomeno, il 'popolo'. Oggi, imperano le categorie: per cui,


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figuriamoci se un utente, un piccolo proprietario, un produttore, un consumatore, un follower, un 'amico', un contribuente, ecc. ecc. abbia in sé la capacità di assurgere al ruolo di Superuomo, in una nuova futura epoca contrassegnata dal cosiddetto nichilismo attivo, predetta da Zarathustra. Una notazione al riguardo: in ogni costatazione deprimente c'è una nota (tristemente) umoristica: non c'è più una Scuola che insegni a diventare Uomo in una considerazione e in un'ottica complessiva ma, in compenso, una miriade di associazioni difendono le sue particolarità. Da non credere. Quindi, per tirare le prime conclusioni, non si può, come giustamente ha fatto il nostro direttore, ricorrere al termine 'tramonto' per sintetizzare la situazione dell'Occidente anche perché ciò implicherebbe una diagnosi e l'indicazione di una 'cura' dove l'accuratezza della prima dovrebbe indirizzare al meglio la scelta della seconda. In realtà, il paziente è già morto e tutti i consulti in merito si possono fare, semmai, davanti ad un tavolo settorio. Quindi, diciamolo: l'Occidente ha superato il suo essere semplice punto di riferimento geografico ed ha acquisito una pregnanza politica, civile, sociale ed economica praticamente per meno di mezzo secolo, in paragone quando non in contrapposizione ad un 'Oriente' diverso, se non antidemocratico, tirannico e illiberale. Ed in tale lasso di tempo ha espresso, fino all'esaurimento, tutto il suo significato intrinseco ed estrinseco. Una notazione, in aggiunta, va fatta: come ci ha ricordato qualche tempo fa il caro amico Antonino Provenzano, l'Occidente, al di là di riferimenti storici dei secoli passati concernenti ragioni puramente amministrative, ha basato il suo essere più recente su radici che sinteticamente potremmo definire greco-romane cristiane. Radici che l'opportunismo se non l'ottusità ha impedito fossero l'incipit della tentata Carta Costituzionale europea al tempo di Giscard d'Estaing quale presidente della Convenzione che l'ha varata. Ecco: quel rifiuto ha testimoniato vent'anni fa e lo attesta platealmente oggi che tali radici, già compromesse allora, non esistono più o, meglio, esse si sono stemperate fino a perdersi nel Melting pot culturalreligioso che alberga al suo interno e che spazia dalla linearità progressiva senza fine alla circolarità dell'eterno ritorno. Una situazione, questa, che al di là degli aspetti di fede, ha prodotto effetto intanto sulla filosofia amministrativa e sul diritto civile ma ha anche compromesso costumi e tradizioni, a cominciare dall'alimentare, che caratterizzavano un'appartenenza. In sostanza, L'Occidente ha iniziato a collassare quando si è 'aperto'. E dico questo non certamente come un giudizio negativo bensì come una costatazione di fatto. Del resto, siamo al tavolo settorio. Ma non è solo questa la causa della morte. Esso ha accelerato il trapasso nel momento in cui si è 'allargato'. Come sappiamo, sino ad una trentina d'anni fa, l'Occaso, per dirlo con Dante, sul piano simbolico inglobava praticamente gli USA e l'Europa e più che costumi e tradizioni esponeva uno stile di

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vita. Anche perché, sul piano delle sole tradizioni e dei costumi ci sarebbe stata più somiglianza tra l'Europa del Sud con l'America del Sud come, del resto, tali differenze sono riscontrabili tra il Nord e il Sud dell'Europa, tra il Nord ed il Sud degli USA e tra le due Americhe. Quindi, se proprio si fosse dovuta fare una differenziazione, allora quella più pertinente sarebbe stata tra il Nord e il Sud del Mondo. Ma a vantaggio dell'accento su Est ed Ovest, come altresì sappiamo, giocava un'esigenza politica che da un lato vedeva la libertà, la democrazia, i diritti individuali, l'economia di mercato mentre dall'altro, nell'impero del male, albergava l'interesse superiore dello Stato che soppiantava ogni libertà e ogni diritto nonché un'economia centralisticamente pianificata. Due visioni dei destini delle genti (rispettiamo la cancellazione dell'accezione 'popoli') che praticamente ha caratterizzato per poco meno di cinquant'anni le zone d'influenza di due Super Potenze, gli USA e l'URSS, con ampi risvolti sulle restanti parti del mondo. Una contrapposizione che inalberava un altro simbolo, Berlino, confine-emblema finanche al suo stesso interno non solo delle due concezioni di vita a livello planetario ma anche della sconfitta della paranoica tracotanza tedesca. E qui una sosta, succinta l'assicuro, mi sembra doverosa. Lasciamo stare il fatto che, sin dal 1917, all'affermazione politica, economica e militare dell'impero bolscevico, paradossalmente ma concretamente, concorse il grande capitale internazionale. E lasciamo anche stare l'ulteriore fatto che l'intransigenza di Woodrow Wilson, al tavolo di Versailles nel 1919, costituì l'humus sul quale germogliò la malapianta del nazismo che, audacia temeraria igiene spirituale dopo lo sconquasso economico e sociale prodotto dalla Grande Guerra, tese a rappresentare sé stesso in una travisata veste che arlecchinamente racchiudeva i colori di Goethe e di Nietzsche, esaltati dalla colonna sonora di Wagner al Bayreuth. E, già che ci siamo, accantoniamo pure il provvidenziale aiuto che i generosi USA diedero alla Russia stalinista così da contrastare fino a sconfiggere i portatori occidentali della notte che innaturalmente incombeva sull'origine della luce, l'Oriente. Tralasciamo tutto questo e attribuiamolo a ciò che la nostra mente soggettivamente ci suggerisce per soffermarci solo su un punto: la caduta del muro di Berlino, al di là della ritrovata unità tedesca, ha avviato la perdita di significato del binomio politico Occidente/Oriente perché quell'evento ha segnato la vittoria di un solo stile di vita, quello liberal capitalistico. Con la caduta della prima pietra del Muro è iniziato lo sgretolamento concettuale dell'Occidente simbolo. E più lo stile di vita occidentale si allargava ad Oriente e più parti di quell'impalcatura politicopsicologica crollavano senza rumore dopo tanto clamore nell'innalzarle. E così oggi osserviamo i segni inequivocabili del capitalismo fatto di acciai e cristalli proiettati in alto, auto fuoriserie e limousine, haute couture e haute cuisine, non solo in tutta l'Europa dell'Est compresa la grande Mamma Russia ma anche in tutta l'Asia, cominciando dalla Cina e finendo con l'India.


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Certo, il liberal-capitalismo ha vinto e l'Occidente si è sgretolato non trovando più una sua ragion d'essere; il che potrebbe non fregarcene più di tanto se non fosse per il fatto che, all'interno di quel mezzo secolo, il serrato confronto cultural-politico pseudo-geografico aveva indotto i contendenti ad assumere atteggiamenti umanitari: l'uno teso a dimostrare che non mangiava bambini e l'altro proteso a documentare quanto tenesse alla gente. Che il primo non abbia mai mangiato bambini ormai non frega più nulla ad alcuno mentre è palmare che il secondo non abbia più bisogno di manifestare il suo pseudo-altruismo: da vincitore, passa sulle miserie umane di Occidente e di Oriente con occhio distaccato, noncurante, infastidito. A voler essere cinica, potrei provare a sottolineare che le genti dell'Est erano più avvezze a trattamenti del genere, a subire sprezzanti portamenti dei potenti di turno, a manifestare umiltà di fronte ad arroganza, a sopravvivere col poco che la scaltrezza da un lato e l'intraprendenza dall'altro riuscivano a procurare. Ed in pratica, proseguendo col cinismo, potrei aggiungere che l'arrivo delle mirabilie egoistiche dell'Occidente non hanno prodotto modifiche sostanziali in quegli assetti sociali. Ma non sono cinica, l'umanità tutta mi interessa e soffro psicologicamente per le storture alle quali viene puntualmente assoggettata nell'indifferenza generale. Ciò non toglie, comunque, che il dramma sociale è stato tutto paradossalmente occidentale e, a voler essere più precisi, particolarmente europeo. Dobbiamo essere onesti fino in fondo ed ammettere che sull'Occidente politico l'impronta americana era (ed è) larga e pressante e che la dilagante occidentalizzazione è stata in pratica un'americanizzazione. Ora, non c'è dubbio, si perdoni il bisticcio, che in America l'americanizzazione funziona: le smisurate contee con la legge che fa quello che può, l'attrazione smisurata della frontiera e la voglia di raggiungerla su un cavallo e con la pistola al fianco. E non c'è tempo per diritti del lavoro, tutele sindacali, piani sanitari, assistenza pubblica. Non c'è tempo per le dotte disquisizioni sui massimi sistemi. Basti pensare all'Obamacare, alla fortissima ostruzione posta in atto anche all'interno dei democratici e ai consensi verso Trump per le picconate inflittele. Un concetto di vita ed un portamento che sono andati affermandosi sin dallo sbarco dal Mayflower dei Padri Pellegrini alla Roccia di Plymouth i quali intrattennero, è vero, idilliaci rapporti con i nativi Squanto e Wampanoag; rapporti che, tuttavia, come sappiamo, non fecero testo sui loro discendenti. Un concetto di vita ed un portamento che sotto l'egida di un forte spirito nazionale ha inglobato inglesi e irlandesi, latini, ispanici, afro e cinesi. Ha inglobato persino i nativi che, dopo le aberranti traversie alle quali sono stati sottoposti, almeno alla fine si ritrovano nelle riserve proprietari di casinò aperti al pubblico. Eh! Aveva ragione Smith. La lunga mano del mercato che tutto pareggia…. Comunque, il sarcasmo è un fuor d'opera perché l'Europa, quella occidentale (ora ci vuole) dopo

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la 'conquista', non ha certo ricevuto coperte tarmate, whisky adulterato e pane verminoso bensì soldi, tecnologia e prodotti massmediali a profusione che hanno via via introdotto un diverso stile di vita rispetto a tradizioni secolari e radicati impianti culturali i quali hanno continuato a sussistere e a 'prosperare' fintanto che l'alternativa è esistita: la dottrina socialcomunista che dal Cremlino si irradiava al punto da creare in Europa, in quella occidentale, fortissimi partiti nazionali comunisti. Ma una volta crollato il faro moscovita, la collisione con la realtà dei navigli con la stella rossa è stata inevitabile al punto da costringerli a riconvertirsi addirittura sotto bandiere 'liberiane' o 'panamensi'. L'attesa operosa del liberal-capitalismo era terminata. E, da quel momento, nel mentre nel 1990, a Potsdamer Platz, Roger Waters, co-fondatore dei Pink Floyd, invitato per l'occasione della riunificazione, intonava Another Brick in the Wall, un nuovo muro cominciava ad innalzarsi e ad inglobare; non più a Berlino vista l'ormai intervenuta inutilità della divisione bensì a Battery Place in New York, Wall Street; un 'muro' la cui ombra, dalla strada intitolata, si è estesa ormai sull'intero globo. E, qui, potrebbe concludersi la carrellata sul tema del mese. Quindi, 'perdita', certo. Definitiva, inappellabile, tombale. Un'accezione, questa, che di solito si accompagna a disappunto se non a dispiacere. Ma non è la 'perdita' della 'divisione' a indurmi verso tali stati d'animo quanto gli effetti sociali ed economici, culturali e spirituali di quella stessa 'perdita'; effetti che nella rinascimentale e civile Europa hanno fatto tabula rasa di secoli di pensiero umanistico e di impianti dottrinari, costruiti con immani sacrifici. audacia temeraria igiene spirituale Mi ripeto (anche per l'età): quì potrebbe concludersi il mio ragionamento se non fosse per le appendici di pensiero che indefettibilmente si affollano nella mente al termine di una sintetica esposizione di un quadro alquanto complesso. Sarebbero molte ma mi limiterò a due anche per non alimentare eventuali accuse di prolissità. E la prima riguarda proprio gli USA. Il 'tramonto' o 'perdita' dell'Occidente che sia ha incontrato da qualche tempo a questa parte, a dritto o a rovescio, alcuni commentatori che pur costatando il 'tramonto', appunto, se non la 'perdita' hanno cercato di accreditare il concetto di 'Occidente' sotto altre ottiche, sempre in unione ideale tra Europa (allargata) e gli USA. Ed una delle ottiche non poteva, immancabilmente, che essere la lotta al terrorismo. Sono quasi trent'anni che alle intelligences si sono affiancate le armi intercontinentali ma, spiace notarlo, la costanza americana lascia un po' a desiderare: la prima guerra in Iraq stoppata nel bel mezzo dell'azione, lasciando tra l'altro al potere il 'bieco' Saddam Hussein, colui che si industrierà di 'nascondere' armi di distruzione di massa talmente bene che la presenza militare di dodici anni dopo per spodestarlo, in otto anni di ricerche belliche sul campo non è riuscita a reperirle.

Tra l'altro, otto anni di guerra in quei luoghi per esportare una democrazia che, dopo dieci anni di abbandono dello scenario da parte degli USA e delle forze interalleate, ha prodotto solo questo


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mese forse le prime vere elezioni politiche. Una situazione analoga è accaduta in Afghanistan, una guerra durata vent'anni, nata per il rifiuto dei talebani di consegnare il bieco Osama; quei talebani che, contrari all'emancipazione della donna, nella precedente veste di mujahidin avevano ricevuto ingentissimi aiuti di ogni genere per combattere i biechi russi, portatori di riforme. Una guerra, anche quest'ultima, stoppata nel bel mezzo di non si sa cosa, dove gli unici dati certi sono le migliaia di miliardi di dollari spesi dagli USA e dai Paesi interalleati e il numero delle vittime. Oh! E il ripristino delle restrizioni alle donne, mentre la droga sgorga liberamente a fiumi dagli sterminati campi di papavero. Lo so, lo so. Non sono mica nata sotto il pero. Posso immaginare che la situazione sia molto più articolata di quella che semplicisticamente ho sintetizzato ma almeno la fantasia dei 'comunicatori' americani dovrebbe essere un po' più generosa e coerente. Altrimenti, potrei pensare (nell'indifferenza generale) che quei comunicatori ritengono le genti una banda di coglioni. Che poi, forse lo siano in buona fede, questo non toglie che 'l modo ancor m'offende. Resta il fatto che mai e poi mai si dovrebbe auspicare un'unione di amorosi sensi incentrata solo ed esclusivamente su uno sfondo militare. O, almeno, dico per dire, si cambiasse il nome alla NATO che col Nord Atlantico non c'azzezza più alcunché. E che diamine. Peraltro, costa un bel po' di soldi. In ogni caso, saremmo certi che, a volerci provare su un qualcosa di più ampio delle armi, vi sia corrispettivo da parte americana? Prima i dazi sui prodotti provenienti dalla Ue, poi l'abbandono della conferenza di Parigi sul clima, indi l'uscita unilaterale dall'Afghanistan e, infine, lo scippo a danno di Francia e Italia dei contratti sulla fornitura dei sommergibili all'Australia accompagnato da un presunto accordo anti Cina tra gli USA, la Gran Bretagna e la stessa Australia. Già, la Cina, il gigantesco spauracchio comunista turbo-capitalista che si agita ad ovest degli USA e che attenziona gli animi della politica e della finanza dopo avergli affidato 1/3 dell'intero debito pubblico e avergli aperto le porte del commercio internazionale caldeggiandone pressantemente l'ingresso nel WTO. Che stia nascendo un nuovo binomio geografico-politico a polarità invertite che incontra maggiore interesse da parte dell'industria e della finanza e, in coerenza, della politica statunitense? La seconda appendice riguarda l'Europa. Anche qui, tra i vari commentatori del tema, c'è chi ha proposto il solo nostro continente in rappresentanza dell'Occidente. Ovviamente, con l'esclusione della Russia. Ed in proposito, la domanda è una sola: d'accordo ma con quali caratteristiche? Anche perché, ad esser buona, a me sembra che la strada intrapresa ci porti ad essere la brutta copia degli USA senza lo spirito nazionale ma con gli stessi enormi gap sociali. Quindi, dovremmo porci come punto di riferimento per chi, considerato che non siamo riusciti a gestire neppure una pandemia? Eppure, ripetendo i concetti già espressi lo scorso febbraio circa

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'La guerra delle parole', l'Unione sente l'irrefrenabile bisogno di magnificare l'area sulla quale ha giurisdizione con appellativi come spazio di sicurezza, di giustizia e di libertà. Nei fatti, ciò che funziona alla grande è la libera circolazione delle merci e dei capitali. Nemmeno tanto quella delle persone. Con la costante attenzione, ovviamente, a non scontentare i mercati finanziari. Detto questo, quel che m'intristisce di più è che dal '94 ad oggi, al di là di qualche spicciolo trattato di apparenza, non si registra un salto in avanti, un colpo d'ala che schiodi l'Europa dalla morta gora nella quale si è cacciata: una sorta di malebolgia, invertita nel contrappasso, nella quale sono affossati i novelli Dante, per giunta pervasa dal pensiero debole per dirla con Gianni Vattimo. Sull'orizzonte europeo, del resto, non si stagliano più personaggi del livello di Mitterrand e di Kohl, sostituiti da sbiadite immagini che per dovere di facciata si atteggiano a quadri d'artista. Neppure la Germania, madre dolorosa europea, riesce più ad incarnare lo spirito comunitario e, prima con l'avvento della Merkel ed ora con la sua uscita di scena, a rappresentare meglio il declino. No. L'Occidente è perso. Comunque lo si voglia considerare. Ma, per dirla con Spengler, non credo nella fine della 'civiltà faustiana'. Forse non sarò io a vederne il riscatto ma spero ardentemente che i miei nipoti abbiano la capacità e la voglia di apprendere le bellezze di un mondo passato e la fermezza caratteriale per riconquistarle, nonostante i canti accattivanti delle Sirene su futuri eroici e gloriosi e sulla conoscenza di tutte le cose del mondo. Altrimenti, la via dei 'barbari' resterà aperta e l'unica valenza che all'occidente resterà sarà quella di incarnare, per la prima volta nella sua storia, l'ingresso dell'Aldilà dove le anime perse, traditrici dei fratelli, sono immerse nel ghiaccio per l'eternità. Roberta Forte


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L’OCCIDENTE NON E’ L’INFERNO INCIPIT "Restate fermi, restate fermi…Figli di Gondor, di Rohan, fratelli miei! Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore. Ci sarà un giorno in cui il coraggio degli uomini cederà, in cui abbandoneremo gli amici e spezzeremo ogni legame di fratellanza, ma non è questo il giorno! Ci sarà l'ora dei lupi e degli scudi frantumati quando l'era degli uomini arriverà al crollo, ma non è questo il giorno! Quest'oggi combattiamo… Per tutto ciò che ritenete caro su questa bella Terra vi invito a resistere! Uomini dell'OVEST!" (Discorso di Aragorn prima della battaglia all'esterno del nero cancello) PROLOGO Basta sfogliare i numeri arretrati di CONFINI per reperire decine di articoli, forse centinaia, nei quali le dinamiche del mondo occidentale sono state scandagliate con perizia da manuale, mettendone in luce soprattutto le tante distonie. Opera altamente meritoria, ovviamente, perché fare i conti con la propria storia, abiurando ogni forma di mistificazione autocelebrativa, è segno di maturità e profonda onestà intellettuale. Non si è mai mancato, inoltre, nel cesellare gli errori, le nefandezze, gli imbrogli, la pochezza e l'ipocrisia dei governanti, i grossolani limiti delle masse aduse a prendere lucciole per lanterne, il continuo decadimento della classe politica, la pericolosa ascesa di poteri forti con propensioni criminali, la degenerazione di sistemi economici già malati all'origine verso derive ancora più devastanti, di proporre delle soluzioni ai tanti problemi, per lo più espresse secondo una weltanschauung retaggio della sensibilità culturale dei vari autori, talvolta non scevre di carature utopiche, ma non per questo meno valide di altre apparentemente più realistiche. Numerosi anche gli articoli dedicati al confronto tra Occidente e Oriente e alle problematiche del cosiddetto "Terzo Mondo", anch'essi sviluppati in un'ottica molto seria e accurata, che non ha mai mancato di bilanciare, per esempio, il grave gap di civiltà che affligge il mondo islamico e gli atavici problemi del continente africano con le innumerevoli responsabilità degli occidentali, sia per quanto concerne la dominazione coloniale sia per il tentativo di "esportare la democrazia" con le armi, con i risultati che ben conosciamo. Nell'ambito di una visione globale, infine, si è provveduto anche, in molteplici occasioni, ad approfondire le problematiche che affliggono i singoli Paesi, dando per ovvi motivi molto spazio all'Italia, la cui storia, dalla fondazione di Roma ai giorni nostri, subisce continue rivisitazioni, soprattutto per smantellare le tante mistificazioni

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evincibili in una storiografia che, in massima parte, risponde ad esigenze politiche e non culturali. Tutto lecito. Tutto ben fatto. La voglia di auspicare il bene, però, lasciando emergere precipuamente il tanto male - alla pari, sia ben chiaro, di quanto fatto anche da autorevoli storici che non possono essere confusi con quelli "al servizio di" - ha fatto sì che dell'Occidente trasparisse una visione sostanzialmente deprimente, caduca, fallimentare, tra l'altro non adeguatamente bilanciata con analisi di pari peso riservate al resto del Pianeta, le cui componenti non sono certo giardini incantati e in alcune zone, addirittura, non sono dissimili da ciò che molto eloquentemente traspare nella stupenda trilogia tolkeniana, cui si fa riferimento nell'incipit. Un po' di sano equilibrio, pertanto, ogni tanto non guasta. I CONFINI DELL'OCCIDENTE Quando parliamo di Occidente, di cosa parliamo? Il nostro pianeta ha un emisfero settentrionale e uno meridionale, non un polo orientale e uno occidentale. Sul piano geografico l'Europa è ad "oriente" del continente americano, a sua volta ad "oriente" di Russia e Cina. La distinzione tra Occidente ed Oriente, pertanto, è meramente convenzionale e serve solo a stabilire dei confini geografici che, come giustamente osserva Carl Schmitt, per quanto concerne la contrapposizione, sono avulsi dal "tracciato storico, morale, culturale ed economico dell'odierno 1 Oriente e dell'odierno Occidente" . Ciò che vale per definire sotto un profilo storico e culturale le differenziazioni tra Oriente e Occidente vale anche, con pari intensità, a definire le differenziazioni tra le componenti delle zone che, geograficamente parlando, riconosciamo nell'una e nell'altra parte. Il processo analitico assume una connotazione dimensionale direttamente proporzionale alle aree oggetto di attenzione. Relativamente all'Occidente propriamente detto abbiamo un primo confronto tra Europa e America; i confronti interni tra i Paesi dei due continenti; i confronti tra le aree geografiche dei singoli Paesi, fino ai localismi più esasperati, che portano a sensibili differenziazioni anche nelle aree più ristrette. Di questi processi analitici, siano essi quelli macroscopici (il "male americano" rapportato all'Europa, senza perdere di vista quello che ha condizionato il resto del mondo), siano essi quelli progressivamente sempre più microscopici (dalle conflittualità regionali e municipali fino al Palio di Siena, tanto per essere chiari), per le ragioni sopra esposte è inutile ribadirne le peculiarità. L'OCCIDENTE NON È L'INFERNO L'espressione è forte, ma serve a "scuotere" da quel torpore che induce spesso Francis Fukuyama (al netto delle catastrofiche elucubrazioni concettuali che inducono soprattutto i superstiziosi a provvidenziali riti apotropaici) a rafforzare la diffusa propensione a ritenere la civiltà occidentale alle prese con un inarrestabile processo di declino, asserendo che "è stato il Novecento a rendere tutti pessimisti riguardo alla storia". L'asserzione, tutto sommato, un po' di "verità" la contiene, senza però trasformarsi in dogma, non fosse altro perché non è mai proficuo abbandonarsi in modo eccessivo al pessimismo e all'ottimismo, predisposizioni psicologiche


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che, se non adeguatamente supportate da un valido substrato culturale, come meglio vedremo in seguito, possono far perdere di vista la reale essenza e consistenza delle varie fenomenologie sociali. Non a caso Bernanos, senz'altro forzando un po' la mano com'era suo solito, sosteneva che "gli ottimisti sono degli imbecilli felici; i pessimisti sono degli imbecilli tristi". Il "tramonto dell'Occidente" è stato descritto in tutte le salse possibili e immaginabili sin da quando la Grande Guerra sconvolse l'umanità. La nefasta prognosi storica di Spengler, seguita da centinaia di studi che ne amplificano la portata in funzione di ciò che la storia mette nel piatto decennio dopo decennio, culmina, almeno per il momento, con la visione catastrofica di Alain Finkielkraut, per il quale l'Occidente oramai è definitivamente perduto e la nostra civiltà è destinata all'estinzione. Le radici ebraiche lo inducono a conferire la colpa principale della nostra estinzione alla crescente irruenza islamica; i solidi studi filosofici presso la prestigiosa École normale supérieure di Parigi, fucina di talenti adusi a collezionare premi Nobel e continui riconoscimenti internazionali, lo portano ad individuare anche altri aspetti complementari, tra i quali, ovviamente, non possono mancare i flussi migratori, il rimpiazzo demografico, il progressivo decadimento culturale, tutti temi cari anche ai paladini di un "Occidente" che è esistito solo nei loro sogni e forse nemmeno in quelli. Sia detto per inciso, a scanso di equivoci, che la stragrande maggioranza di quei testi risulta di fondamentale importanza per comprendere le dinamiche di "un mondo" comunque in dissoluzione e quindi guai a metterli in discussione. Andrebbero solo bilanciati con saggi di pari peso in grado di dimostrare che, tutto sommato, nel "mondo in dissoluzione", la "speranza" alberga in Occidente, o almeno in una parte di essa, valorizzando in modo più efficace e "coraggioso" quelle differenze con alcuni Paesi le cui radici (sub)culturali fanno rabbrividire, senza scadere però nella sterile contrapposizione strumentale tipica dei politici e di qualche intellettuale ben schierato come il succitato Finkielkraut. Il concetto di "speranza" ci riporta automaticamente nel campo dell'ottimismo e del pessimismo, perché di essi costituisce una variabile dipendente, sia quando la si perda sia quando la si coltivi. In Italia, purtroppo, è pochissimo conosciuto uno studioso inglese, Oliver Bennett, autore di pregevoli saggi sull'argomento, dei quali solo uno, almeno fino ad oggi, risulta disponibile in italiano: "Pessimismo culturale", edito dall'editore il Mulino nel 2003. Ad esso ha fatto seguito un importante articolo del 2011 sulle "culture dell'ottimismo", pubblicato nella rivista "Cultural Sociology" e disponibile solo in inglese. Lo studioso ha esaminato la crescita del pessimismo negli ultimi anni del ventesimo secolo, caratterizzandolo come fenomeno culturale con radici antiche, che si perpetua senza perdere la connotazione lamentosa, che oggi trova i massimi interpreti soprattutto negli intellettuali europei e americani. Ovviamente, siccome è più facile azzeccare un sei al superenalotto che imbattersi in analisi equilibrate, soppesate con la bilancia del farmacista, anche Bennett cade nella trappola dello "sbilanciamento", producendosi, insieme con osservazioni sicuramente "illuminanti", in quegli eccessi apologetici del mondo occidentale che tendono a cancellare senza riguardo la visione

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decadente di chi lo veda sull'orlo del baratro. L'articolo del 2011, invece, pone in evidenza l'importanza dell'ottimismo come strumento che "aiuta" a fronteggiare la complessità della vita, soprattutto nelle tortuose e complesse dinamiche occidentali. Dopo aver affrontato, in un secondo articolo sempre del 2011, la tematica della speranza in rapporto all'ottimismo, ha utilizzato il materiale delle sue ricerche in un saggio pubblicato nel 2015: "The istitutional promotion of Hope", dall'autore di questo articolo tradotto in italiano, senza peraltro riuscire a reperire uno straccio di editore disponibile a pubblicarlo. La lettura di questo saggio, invece, che spazia dalla psicologia sociale alla propagazione istituzionale dell'ottimismo, è molto utile per contrastare proprio quel malsano e deprimente pessimismo intellettuale, che fiacca gli individui rendendoli inattivi e incapaci di reagire alle avversità, troppo spesso accettate come fenomeno ineludibile della vita. Gli individui che "coltivano" la speranza non sono solo dei sognatori, ma il seme dal quale germoglierà quel nuovo ordine mondiale sul cui avvento è "necessario" credere, più che in "qualsiasi altra cosa". "Siamo ancora qui", quindi, e almeno per il momento possiamo relegare nella fantasia letteraria e nella finzione cinematografica l'ora dei lupi e degli scudi frantumati, che sanciranno il definitivo crollo del mondo occidentale. Siamo ancora qui e ci resteremo a lungo, con i nostri tanti difetti, certo, ma anche con quei pregi che ci consentono di guardare il resto del mondo da una posizione privilegiata, non importa se in continuo sgretolamento. La "speranza", infatti, c'induce a pensare che lo sgretolamento si fermerà se impareremo a considerare l'Occidente come un frutto con buccia rude e polpa progressivamente più gustosa verso il centro. La "polpa" dell'Occidente si chiama "Europa": liberandoci della buccia rude e degli strati amari, tutto sarà più dolce. Che l'Europa, poi, debba trovare la strada maestra dell'unione politica e mettere al bando i burocrati di Bruxelles, lo abbiamo ribadito veramente come se fosse un mantra. Continueremo a farlo, tuttavia, perché per questo concetto non esiste la prescrizione ma solo la vittoria in un processo finale che porta un nome magico: "STATI UNITI d'EUROPA". Lino Lavorgna

NOTE 1) Ernst Jünger - Carl Schmitt, "Il nodo di Gordio", il Mulino, 1987.


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LA CRISI DELL’OCCIDENTE "Fintanto che non avremo capito la vera natura del nostro declino,sprecheremo soltanto il nostro tempo, applicando finti rimedi a quelli che sono semplici sintomi" (Niall Ferguson)

La causa di fondo della crisi sistemica della Civiltà occidentale ha soltanto un nome: FEMMINA. Perche? Perché la donna contemporanea si è FORMALMENTE impossessata della società dell'occidente "uccidendo" il Padre e, esautorandolo dalla sua primigenia funzione ed a questi di fatto sostituendosi, ha così interrotto quel patto di "tra-dizione" generazionale per via maschile, rivolta al futuro, su cui la nostra Civiltà si è basata nel corso degli ultimi venticinque secoli. E come ha correttamente fatto osservare Antonella Tarpino (Corriere della Sera, 9 giugno 2016), con la fine della tradizione ci ritroviamo in una sorta di "memoria senza storia, in un dispotismo del presente" e quindi in uno stato di perenne "presentismo" che produce un'irreversibile cesura col nostro passato nella sua più ampia accezione di tra-dizione politica, sociale, economica e culturale. La società in cui noi europei (e di conseguenza tutti gli odierni "occidentalizzati") viviamo discende infatti in linea diretta da quella geniale intuizione che illuminò la mente greca a partire dal quinto secolo avanti Cristo e che ha prodotto una visione del tutto originale del destino umano che, senza soluzione di continuità, consente oggi a me, cittadino della cosi detta libera e democratica società capitalistico / tecnologica / post industriale, di sedere a questo computer nella mia confortevole abitazione, ben nutrito, in buona salute fisica ed in totale sicurezza personale - a buttar giù le riflessioni che seguono. L'idea primigenia che ha portato a spezzare la naturale circolarità del tempo sostituendola con una artificiale, ma non per questo meno affascinante, presunta "linearità" dello stesso (costituita dal rapporto tra passato / memoria, presente / azione e futuro / progetto) è stata l'asse portante di ciò che chiamiamo progresso dell'Occidente e che (frutto principe di tale genialità greca) ha costituito, almeno fino alla metà dello scorso ventesimo secolo, la radice

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stessa del nostro modo europeo prima e, successivamente, più o meno globalizzato di abitare il mondo. Oggi la visione del tempo nella cultura occidentale tende sostanzialmente a ritornare come di fatto esso si mostra effettivamente in natura - circolare. Oggi infatti da noi non si riesce più ad immaginare un lontano futuro se non che come una riedizione tecnologica del remoto passato. I bambini si interessano ai dinosauri (per giocarvi in modo fantascientifico), le "guerre stellari" sono riedizioni, in salsa iper-tecnologica, di ambienti oscuri dell' alto medioevo e, "si parva licet", anche le case automobilistiche - almeno quelle italiane - non riescono più a concepire per le loro ultime autovetture nomi nuovi che non siano quelli già in uso sessant'anni fa! I greci dunque elaborano una visione della vita assolutamente concettuale, ma, al contempo, affascinante, praticabile ed utilitaristica, per cui il destino dell'uomo sarebbe stato, da quel momento in poi, quello di dare forma concreta ad idee iperuraniche forgiando il creato secondo le proprie visioni individuali. La prospettiva concepita dai greci appariva comunque così affascinante, stimolante, variegata e duttile (da sembrare infatti del tutto naturale) che, per la mente di questo nostro MASCHIO umano, essa diventò ben presto un insostituibile modo di rapportarsi con la realtà. Questi fu allora libero di trastullarsi con l'intero creato, immaginare scenari strategici, dargli forma e vita e competere con gli dei (peraltro sempre gelosi e guardinghi nei suoi confronti) nel forgiare quel mondo "che attendeva soltanto la di lui opera" e nel quale gli era si era ritrovato, involontariamente e per puro caso, a dover vivere. Ulteriore caratteristica della meravigliosa fascinazione della "visione" greca è quella del suo apparire (benché, come già detto, del tutto soggettivistica e artificiale) come perfettamente naturale al punto che l'uomo occidentale si è immerso in essa con l'abbandono proprio del pesce nel mare in cui questi si muove senza rendersi conto in cosa effettivamente consista tale suo liquido mondo e di come esso sia soltanto un qualcosa di relativo e non un assoluto, come invece l'animale è portato a percepire. Per 2.500 anni l'uomo dell'Occidente si è quindi sviluppato nella convinzione che la sua visione idealizzata, di matrice platonica, fosse la vera ed unica e che altro destino non gli fosse stato riservato in questo mondo se non che quello di procedere entro quei parametri mentali, certamente affascinanti anche se del tutto artificiali, ma non per questo operativamente meno coercitivi. Appare comunque indubbio che le caratteristiche fondanti della nostra civiltà siano intimamente correlate - naturalmente, ripeto, per scelte culturalmente indotte anche se sostanzialmente inconsapevoli - ai sottili meccanismi psichici propri di una mente MASCHILE. Altri scenari esistenziali del tutto diversi, se non addirittura opposti, sarebbero stati naturalmente possibili, ma così non fu e noi siamo diventati il nostro presente: E' stato un bene? è stato un male? Lo dirà il tempo e soltanto quando tale nostra civiltà potrà essere letta in futuro alla luce di condivisi parametri storici. Vi furono infatti nel pianeta altre visioni dell'esistenza del tutto differenti, se non opposte, a quella greca: ricordiamo, ad esempio, i caratteri "statici" propri del contemporaneo buddismo (Buddha e Socrate infatti sono entrambi del V secolo a. C.) al tempo peraltro del tutto sconosciuto in occidente. Ed infine va ricordato che anche Confucio


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visse ed operò nella lontana Cina proprio a cavallo tra il VI ed il V secolo a. C.. Entro il primo millennio dunque (dal 500 a.C. circa, al 500 d.C. circa) i Greci di Atene (da Atena, dea della Sapienza, nata dalla mente, cioè dal Pensiero stesso di Giove) "concepiscono" e "narrano", i Romani "strutturano" e "codificano" e la Chiesa cattolica "spiritualizza" e "fideizza" dando vita a quella nostra civiltà, la greco-romana-cristiana appunto, sulle cui caratteristiche non credo sia il caso di dilungarsi essendo noi contemporanei ben coscienti di essere ancora corpo vivo di tale processo storico anche se purtroppo in modi sempre più affievoliti e sempre meno consapevoli delle sue delicate ed insopprimibili esigenze di mera sopravvivenza. La definitiva ed irreversibile "morte" del Padre soffoca infatti quella sua essenziale linfa vitale, data dal maschile patto generazionale che implica necessariamente una "visione" di futuro concreta e gestibile: in buona sostanza il Padre alleva il figlio nell'ottica che, successivamente ed entro consolidate linee guida, il figlio provveda a sua volta alle esigenze di continuità della società di appartenenza pur sviluppandosi naturalmente in modo autonomo. Tendendo invece la donna / madre a riferirsi piuttosto all'immediato episodico, ella si cura dei bisogni contingenti del figlio con limitati orizzonti temporali poco propensa a forme di privazione nel presente mirate al "risparmio" ed all'"investimento" (nel senso più ampio del termine) in vista di attesi vantaggi futuri. In tal modo ella impedisce al giovane di ereditare quella struttura mentale "futuristica" propria, dell'ormai moribondo, platonico genitore. Con il subentro della "genitrice" al "genitore" si indeboliscono e decompongono altresì le pubbliche istituzioni sociali ed economiche che sono in sostanza tutte figlie di quel modo platonico/euclideo di guardare alla - e gestire la - realtà circostante in cui l'umanità si è trovata a vivere negli ultimi due millenni e mezzo. Progettarne e costruirne una nuova è l'ineludibile, sofferta e, al momento, contraddittoria sfida globale della contemporaneità con le relative incertezze esistenziali, dubbi, confusioni e paure. Ci si riuscirà? Sarà capace l'Occidente, ormai immerso nel tramonto di quel suo modo di essere con il quale più di 125 generazioni si sono fino ad oggi rapportate, di trasmettere ad un qualcosa sostanzialmente "altro" - in un, aimè!, non lontano futuro - una testimonianza di se sufficientemente feconda da poter costituire la base per un nuovo patto di convivenza umana che sia degna delle esigenze di sviluppo di una superiore creatura pensante? Lo spero ardentemente, purchè tale metamorfosi non resti limitata a sterili forme materialistiche e strettamente utilitaristiche di crescita esponenziale di fredde ipertecnologie auto fecondanti. Ma torniamo al nostro ragionamento: La primigenia società greca era di natura assolutamente maschilista sublimata, nel mito, attraverso lo schema: LOTTA - EROISMO - GLORIA. Il sapere filosofico, culturale, sociale e persino sessuale si trasmetteva soltanto per via maschile (dal maestro, chiunque egli fosse, al discepolo). La donna era relegata al nobile, ma semplice ruolo ancillare di "fattrice". I romani, pur allargando i perimetri concettuali della visione greca, soprattutto nell'ottica del ruolo e della posizione giuridico/sociale della donna nella società, non si discostarono poi tanto da quella impostazione mentale continuando sostanzialmente a mantenere le loro compagne, anche se in modi meno marcati, nella analoga posizione di "non

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protagoniste", della ufficiale dialettica politica, economica, sociale e culturale della società. In questa prima fase del mio discorso accenno appena al noto, rigido maschilismo storico della Chiesa cattolica sia nei suoi più puri aspetti di fede e dottrina che in quelli prettamente organizzativi e gestionali del suo rapportarsi al secolo. A tale riguardo, e per inciso, va tenuto presente che i Padri conciliari concessero alla donna la "titolarità" di un'anima spirituale SOLTANTO nel 589 d.C., nel concilio di Magonza, ed addirittura con voto a maggioranza. Tali caratteristiche sono ancora del tutto palesi, nonostante qualche recente turbolenza in chiave femminista manifestatasi in settori, peraltro ancora minoritari, della gerarchia cattolica. Ma su questo vitale argomento tornerò più avanti. Ritengo tuttavia necessario PRECISARE molto chiaramente che, in questa mia disamina, il non protagonismo "storico" della donna nel corso della parabola della civiltà greco - romano cristiana viene vista SOLTANTO nella dimensione della vita "pubblica" della società per quanto concerne i suoi momenti di elaborazione del pensiero politico istituzionalmente manifesto, nonché delle scelte strategiche di tipo sociale, economico e culturale fondanti la vita stessa delle nazioni. Il mio discorso evita volutamente di entrare nel merito dei rapporti privati e personali tra uomo e donna limitati, per secoli, all'ambito della vita prettamente familiare dove non vi è peraltro dubbio che l'influenza femminile abbia spesso svolto ruoli determinanti nel condizionare le successive manifestazioni extradomestiche dell'individuo maschio; ciò, sia in episodi strettamente interpersonali (valga per tutti il sintomatico mito primordiale del rapporto tra Eva ed Adamo) che in quelli, storicizzati, di valenza pubblica. Fatta la premessa di cui sopra, bisogna compiere adesso un lungo salto all'indietro, dal momento stesso dell'apparire dell'Homo "Sapiens" sulla Terra al termine dell'era preistorica. Immaginiamo una mattina qualsiasi della notte dei tempi: sorge il sole e nella caverna ci si sveglia. Il maschio elabora nella mente l'immagine ideale di una grossa preda, diciamo, di un bisonte; bisogna andare a cacciarlo per procurare un bene essenziale alla sopravvivenza fisica di se stesso e del suo gruppo. E' un'impresa complessa, incerta e pericolosa, richiede intelligenza, coraggio, determinazione, grande forza fisica e coesione sociale tra i compagni cacciatori. Quella mattina egli non ha ancora visto alcun bisonte in carne ed ossa, eppure parte inseguendo un'"idea": la cattura dell'animale. Egli si indirizza quindi verso un "fantasma"; nei pressi della caverna infatti del quadrupede non c'è traccia, bisogna andare a cercarlo altrove; inoltre l'uomo non è per nulla sicuro di poterlo incontrare ed ancor meno catturare, ma egli lo "vede" con gli occhi della sua mente e verso tale visione ideale egli si protende con determinazione. Contemporaneamente la sua compagna si affaccia alla soglia della stessa grotta: in quei tempi feroci ella è strutturalmente "andicappata"; in quel contesto duro e violento ella è dotata di minore forza fisica ed è appesantita da misteriose ma costanti gravidanze di cui non comprende la causa. Ci sono infatti voluti millenni, se non qualche milione di anni, perché si mettesse in relazione l'atto sessuale con una nascita che si sarebbe verificata ben nove mesi dopo; e ciò in un'epoca in cui un solo giorno di dura esistenza doveva corrispondere ad una eternità (a sostegno di tale affermazione circa la generale ignoranza umana dei meccanismi di


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concepimento e nascita, ritengo utile ricordare che la prova scientifica dell'esistenza dell'ovaio femminile data da meno di due secoli, appena la prima metà del XIX secolo). Il suo stato fisico non può quindi permetterle di volere un qualcosa che derivi soltanto da una sua astratta visione, ma deve accontentarsi di ciò che realmente "vi sia" di raggiungibile, là di fuori. Ella può soltanto uscire, allontanarsi di non molto dal rifugio e spigolare tra ciò che la natura spontaneamente le offre. In sostanza, il maschio concepisce un'idea astratta ed è in grado, possedendo i necessari ed adeguati mezzi fisici, di perseguirla; la femmina invece è obbligata dalle limitazioni del suo stesso corpo, ed anche contro una sua possibile aspirazione, ad essere dipendente da quanto ella riesce a scorgere intorno a se e si trovi in grado di poter effettivamente raggiungere. Le è impedito di acquisire da se stessa cose che ella forse potrebbe astrattamente desiderare, ma che purtroppo non si trovino ubicate entro le sue dirette percezioni sensoriali e possibilità fisico/motorie. Il maschio ha però cominciato ben presto ad intuire che tale minore efficienza fisica NON CORRISPONDEVA AFFATTO AD UNA INFERIORITA' SOSTANZIALE, anzi tutt'altro, ed ha deciso (per ragioni egoistiche collegate tra l'altro, a quell'istinto animale di repulsione di potersi trovare inconsapevolmente ad allevare figli "altrui") di porre la donna in uno stato di crudele coercizione; ciò in tutte le epoche e latitudini a riprova del noto detto secondo cui: "soltanto un dittatore consapevole della propria debolezza / inadeguatezza, esercita il potere con la spietatezza con cui l'uomo lo ha esercitato nei confronti della donna negli ultimi diecimila anni". Dagli albori della storia e fino al termine della seconda guerra mondiale (certamente nel nostro emisfero, e naturalmente con tutte le gradazioni e differenziazioni per quanto concerne tempi e luoghi del fenomeno) la donna ha subito un costante stato di storica sottomissione al maschio (dalla bruta discriminazione prettamente fisico / coercitiva a quella soltanto socio / economica / culturale). Ricerche del secolo scorso potrebbero peraltro indurre a confermare la non infondatezza di tali intuizioni, e relative paure, prescientifiche dei nostri antenati maschi dal momento che appare ormai evidente che il dato secondo cui la femmina sia il frutto dell'incontro di due cromosomi XX mentre il maschio di quello tra una X ed una Y, potrebbe ben essere letto sotto una luce del tutto differente: si potrebbe infatti considerare più realisticamente detta Y come null'altro che una X menomata a cui manchi un pezzetto; ciò legittimando il dubbio - come il maschio ha forse sempre percepito con inconsapevole angoscia sin dalla notte dei tempi - che egli, dopotutto, null'altro sia che una femmina mancata. Resta comunque incontrovertibile il fatto di come il maschio, attraverso la sua visione onirico / fantastica, abbia "creato" il tempo della Storia nel quale egli poi si è totalmente "immerso", mentre la femmina, attraverso la sua partecipazione forzatamente passiva e/o indiretta, si sia trovata soltanto a poter influenzare - ed unicamente per vie mediate - quelle forme di "presente" sociale, culturale ed economico apparecchiatole, di volta in volta, dal suo compagno. Premesso quanto sopra, ritorniamo nuovamente a FOCALIZZARCI sull'interrotto discorso iniziale. La tradizione greca si inserisce dunque in modo robusto e per nulla contraddittorio nel generalizzato e consolidato filone maschilista sicuramente di ambito storico e, impossessatasi

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della sua essenza, lo mitizza e lo fa proprio strutturandolo in forme razionali. Nasce in tal modo quella visione esistenziale che andrà poi a permeare di se tutto l'Occidente attraverso le successive codificazione giuridica romana e sublimazione religiosa del cristianesimo. A questo punto mi sento di poter fare la seguente affermazione: sono convinto che dall'età di Pericle all'ultimo secondo dopoguerra, i rapporti di forza tra uomo e donna, nel contesto culturale della società dell'Occidente siano rimasti sostanzialmente immutati. E ciò, pur nelle evidenti gradazioni proprie, nei tempi, delle varie regioni della terra; ma queste, seppur diversificate, non contraddicono l'assunto della costante sostanziale subordinazione socioeconomica della donna occidentale al suo uomo. Chi scrive, data la ventura di avere un'età che si avvicina alla "veneranda", può dare testimonianza diretta di come, ad esempio ancora negli anni '40 del secolo scorso, nelle campagne interne del feudo siciliano si vivesse per economia, socialità e cultura in modi non dissimili dal medioevo agricolo e ritengo che tale caratteristica, "mutatis mutandis", trovi analoghi riscontri in larga parte del mondo rurale europeo. Le città fornivano sostanzialmente gli stessi modelli esistenziali anche se paludati da più gradevoli aspetti esteriori, talvolta fuorvianti per la forma, ma certamente non dissimili nella sostanza. Lo stesso metaforico messaggio evangelico di Gesù Cristo, dal carattere agro pastorale proprio della società palestinese del tempo romano, era perfettamente comprensibile, in sostanza ed in rito, alle popolazioni occidentali cristiane in quanto, per molti versi, esso risultava ancora del tutto attuale nelle realtà esistenziali di gran parte del mondo moderno; ciò almeno fino alla prima metà del secolo scorso. - A partire dagli anni '50 e '60 del ventesimo secolo tutto muta e si stravolge per sempre. Come nel mito, Prometeo, rubando il FUOCO agli dei addormentati e donandolo all'uomo, da vita alla CIVILTA', così in quei primi anni del secondo dopoguerra la donna ruba all'uomo (frastornato e confuso nel suo "io" dall'immane disastro bellico appena conclusosi) la TECNOLOGIA, ponendo le premesse di quella RIVINCITA da lei attesa da millenni. La trentennale, feroce guerra civile europea 1914/1945 aveva infatti, come tutti i conflitti della Storia, prodotto non soltanto lutti e distruzioni ma, nella fattispecie, annichilito in modo irreversibile l'uomo europeo travolto dai due tragici prodotti della sua mente: le due conflittuali e drammaticamente contrapposte ideologie di fascismo e comunismo (non dimentichiamo infatti che l'ideologia null'altro è se non che la terminale, mortale neoplasia dell'"idea"). Al contempo tuttavia aveva consentito inimmaginabili accelerazioni scientifiche in tutti i campi. Le tecnologie BIOLOGICHE, da un lato, e MECCANICO/DIGITALI, dall'altro, saranno infatti per le femmine del dopoguerra occidentale ciò che il mitico fuoco di Prometeo fu per l'uomo primitivo: una irreversibile svolta epocale. Attraverso semplici metodi anticoncezionali la donna ha finalmente trovato la piena disponibilità ed il totale controllo del proprio corpo e della relativa maternità; con l'ausilio delle macchine (meccaniche ed elettroniche che siano) ella ha annullato qualsiasi divario di carenze fisico/muscolare nei confronti del maschio, neutralizzando così del tutto i due "handicap" ancestrali che l'avevano condizionata per milioni di anni permettendole in tal modo di raggiungere una iniziale, piena PARITA' col suo compagno.


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Ma ATTENZIONE!! Come il maschio ha sempre, visceralmente, ben intuito, NON PUO' MANTENERSI uno statico equilibrio di PARITA' tra uomo e donna in quanto, una volta raggiunta tale parità, essa si sarebbe subito sbilanciata a favore della evidente superiorità femminile, anche e soprattutto, nelle ormai esplicite manifestazioni quotidiane della vita pubblica. In fin dei conti ed in buona sostanza, bisogna che il maschio finalmente riconosca, e soprattutto metabolizzi una volta per tutte, il fatto che la donna gli sia sempre stata superiore in quanto ella da la vita fisica: egli può, in modo dialetticamente paritario e come eventuale forma di "rivalsa", dare purtroppo soltanto la morte, psichica e/o fisica quale essa sia (e come di fatto egli sta già iniziando a fare su larga scala con gli umilianti stupri di gruppo ovvero, peggio ancora, con i sempre più numerosi femminicidi ed infanticidi). La donna peraltro è stata per generazioni, sia pur inconsapevolmente, in costante attesa di un qualche riscatto, osservando il mondo in modo defilato e non osando mai sperare che il suo momento, un giorno, sarebbe finalmente arrivato: ed invece, si! Eccolo, esso è qui! In soli settant'anni, è avvenuto l'inimmaginabile: la donna è libera, indipendente ed ha vinto; il maschio giace sconfitto irreversibilmente (ed in forme esplicite), ai suoi piedi. Al riguardo consentitemi un piccolo, ma per la mia generazione, significativo dettaglio: dice, ad esempio, nulla in merito a tale annichilimento del maschio l'aspetto, a suo tempo culturalmente molto indicativo delle "rivoluzionarie" canzoni (almeno per l'Italia) di Lucio Battisti dei primi anni '70? Invero nella musica "pop" non si erano mai uditi, prima di allora, i lamenti di un uomo debole e disperato UMILIARSI (ad esempio nel brano: "Fiori rosa, fiori di pesco") in tal modo davanti alla sua donna! Ed inoltre: i testi di gran parte delle attuali, insignificanti canzonette nelle quali il giovane uomo si rivolge alla sua donna, non sembrano forse contenere l'essenza di quel disperato verso d'"amore" che l'irrilevante "maschio" (direi, piuttosto, fuco) della mantide religiosa potrebbe a buona ragione rivolgere alla sua vorace amante prima del tragico amplesso? Questa, piaccia o meno, è ormai la realtà. Come la mettiamo allora con la civiltà greco / romano / cristiana nella quale, anche se ormai verso il tramonto (e sulla evidente causa di tale decadimento tornerò più avanti) stiamo ancora tutti quanti vivendo? Potrà una struttura culturale, religiosa, politica, sociale ed anche economica progettata e costruita su un inconfondibile asse portante di tipo prettamente "maschile" sopravvivere ad un tale capovolgimento copernicano di "femminilizzazione"? Possono i "valori", o se volete anche i "disvalori", del maschio che, nel bene o nel male, hanno reso ciò che la società occidentale è diventata nel tempo (da Atene ad almeno la prima metà del secolo scorso) sopravvivere tranquillamente alla improvvisa sostituzione del loro primigenio custode ed auriga con un'altro subentrante di tipo del tutto differente che se ne ponga alla guida limitandosi soltanto ad afferrarne le redini per continuare ad andare? Nessuno al momento può saperlo; come suole dirsi: "chi vivrà vedrà". Tuttavia una cosa è certa: il PADRE, costruttore culturale ed ultra bi-millenario gestore della vita sociale dell'Occidente, è morto e non verrà sostituito; da ciò potrà soltanto nascere un qualcosa di totalmente diverso: sarà esso migliore? peggiore? non so. Ma quale sia la prova inconfutabile

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dell'estinzione del maschio occidentale è presto detto: la sua secolare, consolidata, visione della realtà è diventata ormai del tutto "POLITICAMENTE SCORRETTA". DIALOGO tra: UOMO POLITICO (o meglio, per il rispetto dovuto al nobile termine di "POLITICA", sarebbe meglio dire: UOMO POLITICANTE): "sono assolutamente a favore delle quote rosa; ci vorrebbero molte più donne in Parlamento!" e MODESTO INTERLOCUTORE: "mi scusi, mi chiarisca: può cortesemente precisarmi se, secondo Lei, vi sia in Parlamento una carenza di donne ovvero soltanto di femmine?" UOMO POLITICO: "non capisco cosa Lei intenda dire" MODESTO INTERLOCUTORE: "mi spiego: voglio dire che qualora Lei intenda affermare che nel Parlamento vi sia una evidente carenza di femmine rispetto ai maschi e che quindi il numero, diciamo, dei "pantaloni" sovrasti di gran lunga quello delle "gonne", io condividerei in pieno" UOMO POLITICO: "ed allora?" MODESTO INTERLOCUTORE: "ma se Lei ritenesse invece che in Parlamento vi sia una grande carenza di donne, allora non sono affatto d'accordo" UOMO POLITICO: "non capisco proprio cosa Lei stia dicendo" MODESTO INTERLOCUTORE: "mi segua: dato che in quell'augusta arena è lecito conclamare soltanto, pena assoluto anatema ed ostracismo, gli ormai indiscussi valori di: 1) Solidarietà, 2) Assistenza, 3) Pace, Pacifismo assoluto e quindi Disarmo 4) Ripudio della guerra, 5) Uguaglianza a prescindere, 6) Sicurezza e Benessere, 7) Difesa del più debole, 8) Pari opportunità, 9) Diritti e non Doveri, 10) Non discriminazione etc., sono questi tutti valori tipici della Madre (e quindi della Donna), oppure no? E ciò potrebbe anche andar bene; ma sono altresì convinto che qualora nel medesimo parlamento qualcuno si azzardasse a fare un qualche riferimento agli specifici valori così detti "maschili", o del "Padre", in vigore in tutto l'occidente, almeno dai tempi della Grecia classica a non più di mezzo secolo fa, tipo: 1) Volontà di potenza e quindi Nemico e Competizione 2) Avventura e Lotta, 3) Eguaglianza sulla linea di partenza (ma non su quella di arrivo), 4) Selezione naturale dei migliori 5) Preferenze (paterne, ma non materne: come è noto, per la madre i figli sono tutti eguali), 6) Rischio e non assistenzialismo, 7) Doveri e non Diritti, 8) Difesa del suolo patrio e, udite udite, persino: 9) Guerra(!) ritiene Lei che tali eventuali affermazioni verrebbero, non dico condivise, ma almeno rispettate, senza essere platealmente subissate da fischi e contumelie? Credo proprio che la seconda alternativa sia la più verosimile. Ecco perche ritengo che non siano necessari, nei palazzi del Potere, ulteriori, aggiuntivi, irrilevanti "sessi femminili", essendo ormai il Parlamento, nelle sua maggioranza (sia astrattamente culturale che politicamente deliberante) del tutto Donna, Madre e quindi soltanto "femmina", indipendentemente dalle caratteristiche MORFOLOGICHE di genere dei suoi singoli componenti. Essendo dunque il Potere non più mascolino, ma del tutto "femminilizzato" nei suoi valori a manifestazioni, anche il popolo (o meglio la cosiddetta gente) si sente ormai autorizzato a


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comportarsi come tale ed ecco allora lo straripante diluvio, soprattutto televisivo (nulla di cui meravigliarsi: la società "è" ormai la tele-visione e soltanto in essa - e tramite essa - il consorzio umano può, oggi, realizzarsi di fatto e compiutamente manifestarsi) di buonismi di ogni fatta con prorompenti effluvi di lacrime, sia reali che metaforiche, in ogni occasione buona per potersi, finalmente e liberamente, mostrare emotivi. Ma c'è di più. Se i Parlamenti occidentali sono la visibile manifestazione politica dell'ormai consolidato governo "al femminile" del mondo occidentale, prego il cortese lettore di seguirmi nell'altro luogo pubblico deputato a celebrare in modo quasi didascalico il trionfo socioeconomico della donna sull'uomo del terzo millennio. Va infatti sottolineato come ogni civiltà, preminente in un determinato momento storico e che abbia voluto enfatizzare i propri aspetti valoriali, abbia creato dei "luoghi" ove tali valori fossero, quasi plasticamente, raffigurati e proiettati nel tempo: per Atene diciamo, ad esempio, la scuola filosofica e l'acropoli, per Roma il foro ed il senato, per il Cristianesimo le cattedrali gotiche e barocche, ma per la società occidentale contemporanea qual sarebbe il luogo di sua suprema sintesi "plastica"? Ma naturalmente il CENTRO COMMERCIALE con ampio parcheggio(!) ove la totale disfatta dell'essenza del maschio cacciatore e il relativo trionfo della femmina spigolatrice vengono atrocemente cristallizzati in una chiave di lettura inequivocabilmente chiara. Fino ad appena qualche anno fa, la famiglia, di domenica, si recava a Messa per celebrare insieme il rito dell'esplicito omaggio al Padre ed alla Sua divina, MASCHILE discendenza, oggi la famiglia si reca unita allo "shopping center" a seppellire definitivamente la figura del maschio/padre e sacrificare votivi doni di valore economico (ieri l'agnello, oggi le carte di credito, entrambi comunque frutto di faticoso lavoro) sull'altare della vincente dea femmina/spigolatrice. Tale visione potrebbe anche far sorridere se non fosse intimamente dirompente in termini di sopravvivenza della nostra civiltà e del relativo patto sociale coesivo della stessa. Colui che, fino a non molto tempo fa, era stato un maschio "guerriero" e/o "cacciatore" dedito ad inseguire un'"IDEA" e che potrebbe ancora oggi continuare benissimo a farlo, se non altro almeno dal punto di vista psico-fisico (non dimentichiamo infatti che l'uomo di oggi, sotto gli aspetti fisiologici, è praticamente ancora identico ai suoi antenati di 10.000 anni fa), si trascina stancamente nel corpo ed affranto dalla noia, carico delle gerle piene dell'opera della spigolatrice la quale, arrivata a detto centro commerciale con soltanto qualche vaga idea di ciò di cui avrebbe potuto aver bisogno, ha obbedito al richiamo possessorio di tutto quanto offerto dalla "natura" circostante scoprendo improvvisamente la presenza di insopprimibili esigenze di raccolta e di possesso poco prima neanche lontanamente immaginate. Mi domando per inciso: è mai stato fatto un qualche studio sullo stress psicologico dell'ex predatore in visita ad un centro commerciale costretto a svolgere mansioni di assistente spigolatrice? E ci si è mai interrogati perché con l'attuale incremento esponenziale della società dei meri consumi "al presente" si registrino costanti aumenti di violenza contro le donne con gli annessi, efferati femminicidi ed infanticidi, evidenti cartine di tornasole di un inconscio e disperato grido maschile di frustrato

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dolore esistenziale scaturente da una mortale perdita di MILLENARIA IDENTITA' di ruolo e di vitale PROGETTUALITA' FUTURISTICA di qualsivoglia natura? Massacrando la donna (e spesso anche il di lei figlio) l'uomo elimina in un sol colpo, per vendetta esistenziale, sia presente che futuro. Inoltre la predetta epifania consumistica che a prima vista potrebbe anche suscitare un sorriso di accondiscendenza, sta invece alla base della tragedia planetaria della contemporaneità. L'apparente innocenza di tale spigolatura in centri commerciali ripetuta per milioni di volte in tutti i paesi di cultura capitalistica occidentale (non importa se ricchi o poveri) richiede globalizzazione di produzione e di trasporti, depauperamento di risorse naturali ed inquinamento, nonchè sfruttamento esponenziale del lavoro subordinato. Da parco contadino siciliano quale io sono, non posso capacitarmi di come un bipede umano, mio fratello, possa oggi onestamente riconoscersi nell'esigenza di dover scegliere, nei supermercati, tra settanta differenti tipi di shampoo o tra migliaia di magliette colorate buone soltanto per una stagione estiva; il prossimo anno dovranno assolutamente essere tutte sostituite in quanto la moda sarà già stata cambiata. Altri luoghi emblematici dell'irreversibile cancellazione del maschio classico sono i luoghi della cosiddetta "movida" serale/notturna e delle correlate discoteche. Osserviamo infatti la giovanissima coppia di una "lei e di un "lui" in uno qualsiasi dei predetti luoghi di ritrovo: la "lei" è perfetta nel suo ruolo, del tutto a proprio agio tra le amiche e completamente autosufficiente. Tuttavia l'ancora presente strascico storico dell'archetipo della coppia classica la costringe purtroppo per lei - a doversi ancora accompagnare ad un qualche amorfo maschietto di cui è evidente l'assoluta percezione di inutilità che ella palesemente gli attribuisce. Ma, "sfortunatamente", l'uomo al momento continuerà ad esserle comunque - ma forse ancora per poco - di qualche marginale utilità (restringendosi questa, peraltro e sempre più, al mero ambito erotico/sessuale). Il predetto maschietto mostra invece i segni irreversibili della sua incombente trasformazione in semplice "fuco POTENZIALMENTE riproduttivo" in attesa che, al massimo tra due generazioni, la sua attuale compagna potrà benissimo fare del tutto a meno di tale impiccio, ormai di residuale natura soltanto socio/ economica, in quanto - a parte il fatto che ella sembra ormai non volere più fare figli - le donne del futuro saranno in grado (grazie di cuore biotecnologie cellulari!) di poter finalmente fecondarsi da sole. ************ Dove lo scenario complessivo fin'ora delineato assume però caratteri di vera e propria tragicità riguarda la sopravvivenza stessa della FEDE CATTOLICA, sia nella sua essenza teologico/spirituale che nelle sue conseguenti manifestazioni ecclesiastico/ temporali. La connessione del cristianesimo con la concezione paternalistico / maschilista della visione classica è strutturale e del tutto immodificabile. Le scritture infatti sono immortalate in testi costitutivi le cui possibilità interpretative sono minime e da i margini di manovra ristrettissimi; dopotutto esse esprimono "il Verbo". Il massimo di interpretazione soggettiva che esse possono concedere al lettore non è maggiore di quella del poter guardare dentro una stanza chiusa


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soltanto attraverso due o tre finestrelle (oltre, naturalmente, la spalancata porta principale d'ingresso) disposte su pareti differenti: in tal modo si può leggermente modificare l'angolo di visuale della composizione interna dell'ambiente, ma il suo contenuto e la relativa disposizione dei vari elementi sono immobili ed irraggiungibili. Ci si deve accontentare di poter guardare sempre le medesime cose, soltanto da qualche modesta, differente angolatura. Cosa voglio dire? Ritengo che, per la Chiesa cattolica, la visione centrale della Rivelazione cristiana strutturata nella trinità Padre, Figlio e Spirito Santo sia unica ed eterna e quindi statica attraverso il fluire dei secoli, pena la sua stessa sopravvivenza. Inoltre il linguaggio metaforico, soprattutto quello del nuovo Testamento, è stato, per insopprimibili esigenze comunicative nel semplice ed incolto contesto agro-pastorale della ruralità palestinese del tempo di Cristo, cristallizzato, e quindi dottrinalmente ritualizzato, dal Magistero della Chiesa cattolica nel corso degli ultimi venti secoli. Di conseguenza i valori socio economici di quel tempo arcaico e le loro rappresentazioni, quand'anche simboliche e/o metaforiche, sono entrate a far parte integrante della Fede stessa e dei suoi sostanziali simbolismi e sono giunte praticamente inalterate fino ai nostri giorni. Ma tale fenomeno religioso (non entro naturalmente nell'ambito della fede individuale - e del conseguente credo personale nell'intervento dello Spirito nella Storia - a cui va il mio più grande RISPETTO) è stato reso possibile sia dalla sostanziale staticità del pensiero cattolico europeo pre-ideologico (fino alla prima metà del XX secolo) sia dal fatto che depositari e "sacerdoti" di tale tradizione siano stati uomini, peraltro chiamati anche "padri": le donne, anche se eccelse per fede e pietà, sono state ritenute sempre degne di massima venerazione, ma altresì costantemente tenute fuori dallaigiene effettivaspirituale amministrazione del Verbo nel secolo. E, per un paio audacia temeraria di millenni, alla maschilista società occidentale tale stato di cose è andato più che bene! Ma adesso le donne, soppiantato l'uomo, hanno preso nelle loro mani, anche se ancora in parte sotto traccia, il reale potere di "motore culturale, sociale ed economico" di detta società e la secolare cinghia di trasmissione tra fede, prete e comunità credente inizia a mostrare sempre più segni di sfilacciamento per quanto riguarda sia gli aspetti prettamente spirituali, soprannaturali e teologici che quelli "narrativi" della rivelazione cattolica. Si vira infatti sempre più verso crescenti momenti di tipo prettamente solidaristico/consolatorio (femminili?) a favore degli "smarriti" e dei "bisognosi" della terra, primo, secondo, terzo o quarto mondo che sia. Ciò può anche mietere consensi ed adesioni di massa nel mondo contemporaneo dal carattere ormai "absit iniuria verbis" - prettamente "materialista" e secolare; ma non era forse stato scritto: "Il mio regno NON è di questo mondo (Giovanni 18,33-37)"? Certamente, ma ciò quando la società aveva, almeno formalmente, comportamenti ideali da "maschio"; invece il regno di Eva è sostanzialmente di "questo mondo" e, come si sa, la madre tende principalmente a curarsi del corpo, forse un poco anche della psiche, ma per quanto riguarda l'"anima" non siamo purtroppo messi molto bene! E questo la Chiesa cattolica lo ha sempre ben saputo. Peraltro tale modifica strutturale della civiltà occidentale non preoccupa affatto la politica (oggi sostanzialmente solo becera e, come detto, "politicante"), abilissima ad adeguarsi subito ai tempi - con i sondaggi, nel così detto "tempo reale" - e, del tutto tetragona a qualsiasi tipo di vergogna logica e/o morale,

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scivola serenamente su improvvise modifiche e spudorate contraddizioni: il maschio ormai non si comporta più da Padre, ma da Madre ed ai politicanti ciò risulta di fatto del tutto indifferente, purché si riscuota, sempre e comunque, facile consenso. Ma per la Chiesa cattolica non è, né può affatto essere così. Adeguarsi "teologicamente" (non dico "temporalmente", intendendo ciò come momento afferente all'"esilio" dell'umanità su questa terra, in quanto i Vangeli, offrono robusti appigli dottrinari al riguardo ed alle relative esigenze materiali proprie della vicenda dell'uomo nel tempo) a questa improvvisa ed inaspettata rivoluzione è impresa da "far tremar le vene ed i polsi" e proprio per tale motivo il Vaticano ha avviato di recente un percorso operativo per tentare una "ri - evangelizzazione" dell'Occidente. Ri-evangelizzazione, che non può non intendersi, a mio modo di vedere, se non che nel senso di una auspicata rinascita cristiana di tipo prettamente SPIRITUALE, in quanto, non può negarsi che ormai il nostro mondo trabocchi invece di vistosi esempi di volontariato per l'assistenza materiale e la cura di poveri ed emarginati (insomma dell'umanità "esiliata" sulla terra) in forme e numeri tali da non trovare riscontro, per qualità e partecipazione individuale, in nessun altro momento della storia dell'Europa (dopotutto, non abbiamo appena finito di dire come la civiltà occidentale sia diventata del tutto "mamma"?). Pertanto il problema sta altrove. E' evidente il fatto che qui da noi si va sempre più affievolendo il senso del sacro, del soprannaturale e dell'ultima finalità esistenziale, insomma della Fede nel Dio della Rivelazione: infatti le chiese si svuotano, i mercati si affollano. La Chiesa cattolica sente pertanto la necessità che l'Occidente cristiano vada ri-evangelizzato in quanto ormai indubbiamente "NEO PAGANO" (e come potrebbe non essere così dal momento che il predicare nuovamente il Vangelo non può avere per destinatari che persone " non credenti "?). Trattasi certamente di una sorta di paganesimo nuovo, agnostico, vacuo, relativista e per niente antropomorfo, forse soltanto feticista e narcisista, ma non vi è dubbio di come la Chiesa abbia compreso che ad ovest ci si muova ormai in una sorta di "terra degli infedeli". Ma la domanda di fondo è: CHI SAREBBERO questi infedeli d'occidente da ri-evangelizzare o forse, sarebbe meglio dire, evangelizzare veramente e profondamente per la prima volta? Come va definito tale Occidente neo-pagano? Nel senso forse di un'umanità di nome collettivo che comprenda congiuntamente il maschio e la femmina come coppia "atomica" della società stessa, o piuttosto da doversi questa scomporre, a sua volta, nelle relative due distinte componenti (psichicamente molto diverse tra loro) di UOMINI e di DONNE? Alla luce delle considerazioni fin'ora svolte, sarebbe per me un errore accomunare, al riguardo maschi e femmine. Da evangelizzare profondamente in termini TEOLOGICI vi sarebbe, secondo la mia modesta opinione, SOLTANTO il trionfante universo femminile da pochi decenni al potere culturale, sociologico, emotivo, valoriale, formale e, attenzione(!), persino LESSICALE dell'Occidente ed ora scalpitante per poter accedere anche all'amministrazione religiosa delle Chiese cristiane del secolo. Una volta convertite veramente le femmine, può darsi che i maschi, come l'intendenza, seguiranno! Gioco peraltro facile e quasi scontato questo, se, ribadisco, si


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dovesse predicare nuovamente il Verbo soltanto secondo le opere di misericordia corporale (di tipo solidaristico/assistenziale) ormai universalmente condivise. Come già detto infatti il terreno in occidente è ampiamente arato, le chiese sono al riguardo efficienti ed esemplari e Papa Francesco coadiuva in tal senso in modo eccellente con la sua missione pastorale di parroco del mondo. Ma come mettiamo tutto ciò in relazione al contesto spirituale delle verità evangeliche di tipo teologico scritte nel Libro e quindi immodificabili? Il messia storico è trascendente, maschio e protagonista; le donne, sublimi, ma in posizione subordinata e di obbediente accettazione. Mi domando con sincera umiltà: può tale modello di riferimento essere ancora capito, per non dire RECEPITO, dalle GIOVANI FEMMINE di oggi? Nel pieno del loro trionfo "egalitario", può, ad esempio, la figura del Buon Pastore essere ancora considerata "politicamente" e soprattutto "democraticamente" corretta? Con quale linguaggio ci si può oggi rivolgere a tali giovani donne nella speranza di far breccia in una corazza di superbia paritaria (tale parità è ancora recente, fresca e pertanto molto eccitante, aggressiva e presuntuosa), ma che verrà quanto prima sostituita da una REALE supremazia totale ed arrogante? Come potranno essere utilizzate nei loro confronti le arcaiche metafore evangeliche di natura prettamente agro pastorale e soprattutto PATRIARCALE? Ed il pane? dove collochiamo ciò che per millenni è stato simbolo di un nutrimento base della vita - sia in senso fisiologico che metaforico ed infine, col Cristianesimo, anche spirituale e sacro - quando al giorno d'oggi, nell'occidente ipernutrito, il cibo in genere non è più visto come fonte di vita ma piuttosto come "satanico" veicolo di malattia e morte e lo stesso pane è ormai aborrito perché…. ingrassa? Per parlare all'immutata sensibilità riproduttiva della donna, dovrà la teologia contemporanea adeguarsi a considerare il Natale, e non più la Pasqua, come evento fondante della rivelazione salvifica? Non dimentichiamo infatti che, secondo la visione platonica, informante di fatto la nostra civiltà, l'uomo "dal cielo" tende a scendere sulla terra, mentre la donna può ascendere "al cielo" soltanto partendo dalla terra. Potremmo allora ritrovarci per forza di cose, con una visione cristologica, tendenzialmente blasfema, dell'uomo, metro di tutto, che sale verso Dio, piuttosto che quella, rivelata, di un Dio che si fa uomo? Può la femmina "mondana", soprattutto contemporanea, astrarsi a tale livello di pura concettualità? Può la religione cattolica trasformarsi da latrice di eterno massaggio spirituale di tipo prettamente salvifico in applaudito gestore di semplici TECNICHE CONSOLATORIE temporali? Possono i preti maschi amministrare tutto ciò senza trasformazioni di tipo femministico forzando, se non violentando, la rivelazione che fissa formalmente ed indelebilmente il percorso di fede sulla linea Padre, FIGLIO MASCHIO e Spirito Santo? Ovviamente le donne prete sarebbero a questo punto la resa incondizionata della dottrina alla mera convenienza, con relativa morte della dottrina stessa. E che dire infine dell'escatologico, fondamentale RITORNO alla salvifica "casa del Padre"? Come potrà essere recepita, in un non lontano futuro, tale fondamentale metafora fideistica da parte della sterminata schiera di giovani figli e figlie di divorziati, di madri singole o addirittura di due madri (per non parlare di due padri) a cui sarà mancata del tutto, o quasi, la figura stessa del PADRE e

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che, una volta cresciuti, verranno, forse ed in sovrappiù, ad apprendere che anche la loro stessa venuta al mondo non fu affatto frutto di un naturale amplesso - questo, se non altro, latore di una qualche emozionalità - ma piuttosto di un freddo concepimento tecnologico dentro una asettica provetta di laboratorio? Non posso in alcun modo azzardarmi a fare previsioni! E può anche darsi che l'evolversi del tempo e della storia vada comunque in quella direzione e che la futura SOCIETA' AL FEMMINILE laico/tecnologica faccia, FORSE, del pianeta una terra felice in una nuova età dell'oro; non posso saperlo e potrei forse augurarmelo per le future generazioni. Ma una cosa è certa: chi ha oggi la mia età (72 anni) serba ancora (custodendoli in se, volente o nolente, fino alla propria morte) gli ultimi scampoli di vissuta memoria dei valori socio-culturali della Civiltà greco - romana cristiana come essa sostanzialmente è stata, dalle origini alla seconda metà del secolo scorso e cioè, come già detto, fino a quando l'effetto perverso del trasformarsi della fertile e costruttiva "idea" platonico-iperuranica in distruttiva e cancerogena "ideologia" politica ha posto le premesse, dopo tre decenni di guerra fratricida europea, di quella rivoluzione tecnologica postbellica che ha portato di fatto e forse involontariamente, all'equiparazione dei due sessi, minando in tal modo - e per sempre - l'essenza stessa della ultra bi-millenaria forma dello "stare insieme" dei popoli dell'Occidente. Dopo la scomparsa dell'attuale generazione di anziani, tale capitolo si chiuderà definitivamente e naturalmente se ne riaprirà un'altro, del tutto nuovo, forse "meraviglioso(!)", ma assolutamente differente ed, al momento, sconosciuto ed inimmaginabile. Ma comunque vi prego: non si parli più di generica crisi dei nostri "valori" e della relativa necessità di riscoprirli. I valori portanti (o, se volete, anche i "disvalori") della nostra attuale civiltà stanno precipitando irreversibilmente nell'oblio e non ci resta che augurare loro di poter riposare colà, in pace, PER SEMPRE. Bisogna esserne tristi? Lieti? Né l'una cosa né l'altra. Ogni fenomeno sotto il sole nasce, si sviluppa e muore; ciò è naturale, è la vita stessa che vuole così. Gli uomini tuttavia hanno sempre sentito il bisogno di catalogare e schematizzare la Storia al fine di una sua auspicata chiarezza di lettura e semplicità di interpretazione. Consentite quindi anche a me, modestamente, di fare altrettanto: ritengo che, in tale ottica, si potrà forse un giorno collocare la parabola dell'Occidente tra due personaggi SIMBOLICAMENTE SIGNIFICATIVI, uno "di inizio" ed uno "di fine", un ALFA ed un OMEGA, colui che si è rivolto verso le stelle e quello che invece ha guardato alla terra: i rispettivi padre e necroforo dell' IDEA stessa: 1) PLATONE (Atene, Grecia, 428 a.C.), 2) ARMSTRONG (Ohio, U.S.A., 1930 d.C.). Del primo abbiamo già detto; al secondo (uomo simbolo della conquista della Luna) bisogna invece attribuire quel "piccolo passo" a seguito del quale fu possibile lo scatto della fotografia (UNICO risultato di autentico valore CULTURALE dell'intera missione "Apollo 11" e di tutte le successive) che ha rivoluzionato irreversibilmente la visione della Terra, nostra ineludibile patria. Tale fotografia ci ha mostrato, per la prima volta e brutalmente, il ristretto perimetro entro cui il nostro pianeta ci ha sempre costretto, a nostra plurimillenaria insaputa, a vivere. Ci è stata


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mostrata infatti una meravigliosa sfera blu sospesa in un immenso vuoto nero: bellissima, fragile, isolata e sconsolatamente… sola! Quello scatto fu la fine della concezione maschile del nostro mondo come serie di sconfinate praterie con lontane frontiere da raggiungere, esplorare, conquistare e sottomettere per trasformare, con un semplice colpo d'occhio, il nostro pianeta in una piccola, unica, affollata, quasi claustrofobica, modesta abitazione, dallo spazio e dalle risorse limitate e da doversi pertanto amministrare saggiamente e tenere pulita ed ordinata. Poco più di una piccola "casetta" dunque, da affidarsi opportunamente alla pratica e fattuale concretezza femminile piuttosto che a qualsiasi obsoleto, ed ormai ingombrante, residuo di velleitarismo onirico/idealistico di matrice maschile che, invece, si vorrebbe vedere ormai bandito - questo sì, subito ed una volta per sempre - dalla Terra. Gentili Signore e Signorine, prego dunque: accomodatevi! Il "Padre" non c'è più e così è finalmente terminato PER VOI anche il RELATIVO obbligo di metabolizzare la teologia cristiana. Il campo è completamente libero, la "casetta" è DEL TUTTO a vostra disposizione. Sinceramente mi auguro che ne facciate buon uso. A questo punto posso, forse, permettermi di avanzare umilmente la seguente, ULTIMA considerazione: mi sembra diventi ora ben comprensibile la rappresentazione di un mondo islamico contraddittorio - ma soltanto in apparenza - in quanto, da un lato, si mostra palesemente attratto da tutte le forme del più becero consumismo occidentale mentre, dall'altro, rifiuta con tutte le proprie forze, inclusa la violenza più estrema, il frutto principe del pensiero filosofico-politico della civiltà europea: la democrazia. Gli islamici hanno infatti ben compreso che il concetto secondo cui ciascun individuo varrebbe un singolo voto comporterebbe nei loro paesi la perfetta PARIFICAZIONE uomo-donna con l'ineludibile, conseguente prevalere di quest'ultima, secondo le considerazioni da me sopra esposte. A questo punto ne deriverebbe l'immancabile "morte" del Padre, con conseguente estinzione di Allah, di Maometto, del Corano e del relativo patto di tipo socio/costituzionale a questo strettamente collegato. Antonino Provenzano Estate 2016 Post Scriptum: Auspico che un lettore intelligente - cioè che "intelligga" in onestà di mente e di cuore, dal pensiero elaborato AUTONOMAMENTE sulla base di sue DIRETTE esperienze esistenziali, ma che, al contempo, non assolutizzi tale proprio particolare vissuto e che, soprattutto, NON SIA un "dottore di memoria" cioè qualcuno che, recepite riflessioni ALTRUI, pensi di conseguenza "per sentito dire" - abbia voglia di confutare ed annichilire punto per punto, con argomentazioni originali, sostenibili, lineari e non contraddittorie, tutto il mio ragionamento di cui sopra. Spero proprio che ciò possa accadere: ne sarei veramente felice!

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SALVINI E IL CALUMET DELLA PACE Matteo Salvini chiede a Mario Draghi di guidare un processo di pacificazione della politica. Sembrerebbe una proposta di buonsenso. Nella realtà è una boutade. Spiace per Salvini, ma la sua iniziativa è quanto meno ingenua. Non esistono i presupposti perché in Italia si ricomponga un dialogo civile tra la sinistra e la destra. Il problema è culturale, storico e antropologico. Esiste un mondo di sinistra che odia quelli di destra. Sentimento talvolta ricambiato. La proposta, orrenda ma sincera, di Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Partito Democratico, di mettere fuori dalle istituzioni repubblicane Giorgia Meloni e il suo partito è nutrita da un'ostilità che ha radici profonde. In passato, il Partito Comunista italiano aveva tentato di bandire il Movimento Sociale italiano dalla vita democratica. Non vi riuscì grazie all'opposizione della Democrazia Cristiana. Tuttavia, l'avversione viscerale della sinistra verso il nemico di destra è covata come fuoco sotto la cenere, nonostante la stagione berlingueriana ne avesse mitigato i toni più aspri. Per inciso, una correzione è dovuta a un'asserzione del direttore de "Il Riformista", Piero Sansonetti il quale, in un'intervista a "Il Giornale", ha sostenuto che:" Il terribile e feroce Pci non ha mai chiesto di mettere fuori legge l'Msi che certamente era molto più legato al fascismo di FdI". In realtà, il Pci provò a mettere fuori gioco il nemico nel 1961 (III Legislatura), con il disegno di legge d'iniziativa del senatore Ferruccio Parri per lo Scioglimento del Movimento sociale italiano in applicazione della norma contenuta nel primo comma della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Nel corso del dibattito parlamentare la relazione di minoranza la svolse il senatore Pietro Secchia, esponente dell'ala "leninista" del Pci dalla fine degli anni Quaranta fino alla sua uscita di scena dalla politica in netto dissenso con la svolta rinnovatrice imposta al partito da Palmiro Togliatti. Non a caso citiamo Secchia. Al suo ideale insurrezionalista, secondo cui il lavoro cominciato in Italia dai comunisti con la Guerra civile del 1943 per l'instaurazione della dittatura del proletariato dovesse essere portato a termine, si sono ispirati il brigatismo e in generale la galassia extraparlamentare rossa degli anni Settanta-Ottanta dello scorso secolo. Ed è in quel tragico tornante della storia nazionale che va ricercata la causa ostativa di una pur auspicabile pacificazione. La guerra totale allo Stato borghese, di rimando alla struttura sociale tradizionale che ne costituiva la spina dorsale e alle forze partitiche che la rappresentavano, è stato il totem della "Contestazione" che dal Sessantotto, con altri mezzi e altri soggetti, è sfociata negli "Anni di piombo".


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I protagonisti di quella fase sanguinosa furono sconfitti dalla reazione dello Stato, supportata dal Partito Comunista di Enrico Berlinguer che sbarrò la strada al terrorismo rosso. A destra si produsse specularmente un analogo scenario: il Movimento Sociale italiano di Giorgio Almirante contrastò senza tentennamenti i gruppuscoli che nuotavano nello stagno dell'eversione nera. L'impegno speso su entrambi i fronti per difendere lo Stato dalla minaccia terrorista, che fosse di destra o di sinistra, condusse, se non a un reciproco riconoscimento, a un rispetto maggiore tra due parti che non cessavano di percepirsi nemiche. Il momento che simbolicamente suggella l'embrione di un cambio di clima è l'episodio, poco raccontato dalla vulgata mediatica, della notte in cui Giorgio Almirante si presentò a Botteghe Oscure, la storica sede del Pci dove era allestita la Camera ardente per il defunto Enrico Berlinguer e, nell'incredulità delle centinaia di militanti comunisti presenti, rese omaggio alla salma del nemico. Era il 13 giugno 1984. Il gesto non restò isolato. Quattro anni dopo (24 maggio 1988) ai funerali del "fascista" Giorgio Almirante si presentò il "comunista" Giancarlo Pajetta a rendergli omaggio. Azzardiamo un'ipotesi: se non ci fosse stato il crollo traumatico del comunismo alla fine degli anni Ottanta, che portò alla crisi del Pci, probabilmente quel lento processo di reciproco riconoscimento, avviato da due uomini politici di grandissimo valore quali Berlinguer e Almirante e che ebbe un'eco, il 10 maggio 1996, nel discorso d'insediamento di Luciano Violante alla presidenza della Camera dei deputati, avrebbe portato nel tempo a rimarginare le ferite lasciate aperte dalla Guerra civile combattuta in Italia tra il 1943 e il 1945. La fine del Pci, negli anni successivi alla "caduta del muro di Berlino", ha liberato gli "spiriti animali" del ribellismo contestatario dei decenni precedenti. Il Sessantottismo non era stato debellato dalle coscienze dei suoi protagonisti ma si era soltanto sopito. L'idea di abbattere la società tradizionale, e le sue sovrastrutture, non avrebbe ripreso quota fin quando il campo della sinistra fosse stato occupato dal pragmatismo meta-ideologico del Pci. Perciò, la resa dei conti tra compagni appartenuti allo stesso album di famiglia (la definizione è di Rossana Rossanda, citata in un corsivo su Il Mainifesto il 28 marzo 1978 a proposito degli autori del sequestro Moro) era solo rimandata. Con la "svolta della Bolognina" il 3 febbraio 1991, che sancì lo scioglimento del Pci e la sua sostituzione con il Partito Democratico della Sinistra (Pds), e con il "golpe bianco" di Tangentopoli, il mondo sommerso del Sessantottismo, popolato da una borghesia intellettuale progressista nel frattempo accasatasi ai "piani alti" della società, è riemerso occupando gli spazi lasciati vuoti dalla struttura partitica. Così i giovani contestatori di un tempo si sono ritrovati nei punti nevralgici del sistema: in magistratura, nelle università, nelle redazioni dei giornali, nelle istituzioni scientifiche e culturali del Paese. E financo negli assetti manageriali delle grandi imprese. Dalle posizioni occupate hanno potuto dare corpo alla loro infatuazione rivoluzionaria: abbattere il vecchio mondo e sostituirlo con un nuovo sistema sociale, rovesciato nei contenuti, nelle priorità politiche e nelle scale valoriali. A riprova, basterà verificare i curricula di tutti coloro che dal 1994 in poi si sono dedicati al "linciaggio" sistematico del nemico di turno, sospettato di spostare a destra l'asse egemonico del

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Paese. Si scoprirà che gli odierni datori di lezioni morali hanno una giovinezza trascorsa nelle sedi delle conventicole settarie della sinistra extraparlamentare. Quanti opinionisti, che oggi dalle colonne dei "giornaloni" vomitano fango e veleno su Giorgia Meloni e Matteo Salvini non meno di quanto ne sputassero ieri su Silvio Berlusconi, hanno fatto la gavetta a "Lotta Continua" e "Potere operaio"? Potranno mai essere costoro, cresciuti nel mito di Mao Zedong e nell'illusione dell'immanenza del Sol dell'Avvenire portato dal carro alato del terzomondismo, i protagonisti di una pacificazione con la parte liberale, conservatrice e tradizionalista della società? Certo che no. Solo il tempo potrà sanare ciò che oggi resta insanabile. Bisognerà attendere che la generazione approdata al potere per effetto di accadimenti storici, indipendenti dalla sua capacità di determinarli, tramonti. Quando i contemporanei riusciranno a discutere di Resistenza e antifascismo con la medesima serenità di giudizio con la quale oggi gli storiografi valutano gli eventi che portarono, nel 1855, il Regno di Sardegna a partecipare alla Guerra di Crimea, la frattura che lacera il confronto politico potrà considerarsi superata. Fino ad allora ci sarà sempre un "loro" e un "noi". Con buona pace di Matteo Salvini. Cristofaro Sola


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LEGA: EFFETTO NOTTE Cosa accade alla Lega? Qualcuno li chiama scricchiolii, per altri è l'inizio di una frana. Alla Camera dei deputati, 51 parlamentari leghisti (oltre ai 12 assenti giustificati) non si sono presentati in Aula a votare la fiducia al Governo Draghi, posta sul secondo Decreto Green Pass. A marcare visita è stato il gruppo dei fedelissimi salviniani, contrari all'estensione illimitata della certificazione sanitaria Covid free. Ma non è l'unico segnale del parossismo che anticipa la deflagrazione. L'eurodeputata Francesca Donato ha lasciato il partito, denunciandone l'appiattimento sulle decisioni di Mario Draghi in materia di contrasto alla pandemia. Nell'occasione, ha lanciato un'accusa velenosissima all'indirizzo del "Capitano": nella Lega non è Matteo Salvini a comandare, ma Giancarlo Giorgetti. L'agosto scorso c'è stato il "caso Durigon", il sottosegretario leghista all'Economia che aveva proposto di intitolare i giardinetti pubblici di Latina ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. In quella circostanza non è stata soltanto la sinistra a chiederne la testa. L'ala nordista, guidata da Giorgetti, ha preteso che il "burino" Claudio Durigon si facesse da parte. E così è stato. Tali "contrattempi" potrebbero essere giudicati ininfluenti rispetto alla tenuta complessiva del partito; si potrebbe perfino pensare che siano fisiologici per una comunità politica articolata in una pluralità di anime e sensibilità diverse. Argomentazione consolatoria che tuttavia non rispecchia ciò che invece si sta muovendo nella coscienza profonda del movimento leghista. Il punto politico lo ha centrato, sebbene in malo modo, l'eurodeputata Francesca Donato. Dire, infatti, che oggi a comandarla sia Giorgetti e non Salvini è gossip. Cionondimeno, è in atto nella Lega un'ampia manovra di riposizionamento strategico il cui principale ispiratore è Giancarlo Giorgetti. Ora, ci sta che una forza partitica presente attivamente nel Paese possa correggere in itinere alcune scelte programmatiche assunte in passato. Non è disdicevole adeguare la propria offerta politica alle istanze emergenti dal tessuto sociale, ma il percorso imboccato dalla dirigenza leghista è qualcosa di più di una correzione di rotta. La strada intrapresa allontana la Lega da quel progetto sovranista sul quale Matteo Salvini ha fondato la sua ascesa nel consenso degli italiani. Ciò che sta accadendo in casa leghista è qualcosa di già visto con i Cinque Stelle. Con quali risultati? La perdita di credibilità e, con essa, il disperdersi del capitale elettorale conquistato alle politiche del 2018. Perché a Salvini e ai suoi non dovrebbe toccare la medesima sorte che ha colpito Luigi Di Maio e compagni? Il grande merito del "Capitano", che solo un'opposizione incattivita ha sprezzantemente ridotto a un

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successo comunicativo, è stato quello di ricomporre sotto l'ombrello della Lega un blocco sociale. La proposta "sovranista", superando i conflitti di classe e la divisione Nord-Sud alimentata da un'idea antica di sviluppo dell'economia del Paese a due velocità, ha avuto il pregio di raggiungere trasversalmente la società. Il denominatore comune su cui è stato costruito il paradigma salviniano ha puntato al riscatto nazionale, declinato nei termini di riappropriazione identitaria di una storia e di un destino comunitari. Le parole d'ordine vincenti lanciate dal segretario leghista hanno restituito un ordito unitario e coerente di visione della società. Da "prima gli italiani" a "padroni in casa nostra"; da "locale è bello" alla lotta senza quartiere alla mondializzazione; dalla battaglia per il rilancio della manifattura italiana alla guerra alla finanziarizzazione dell'economia; dal no al saccheggio industriale alla contestazione ai burocrati di Bruxelles. Condivisibili o no, su queste parole d'ordine la Lega ha ampliato il suo consenso fino a essere nelle urne delle Europee del 2019 il primo partito italiano. Il territorialismo bottegaio che aveva caratterizzato il movimento padano della prima ora - quello di Umberto Bossi e di "Roma ladrona" - è stato spazzato via dallo spirito organicistico della weltanschauung salviniana. La sintesi sovranista ha consentito alla Lega di assorbire le contrapposizioni di classe tra padroni, piccoli e grandi, e lavoratori, stabili e precari, disoccupati e pensionati, giovani e vecchi, per ricomporne le istanze all'interno della medesima comunità partitica. Un'impresa riuscita in passato soltanto alla Democrazia Cristiana. Oggi la spinta propulsiva si è esaurita e la Lega sta tornando a privilegiare la rappresentanza di gruppi sociali e territori dagli interessi fortemente parcellizzati. Può essere che Giorgetti abbia ragione nel sostenere in toto l'azione di governo di Mario Draghi, ma su questa china la Lega torna a essere il movimento asfittico che vince in alcune regioni del Nord ma che su scala nazionale rimedia uno striminzito 6-8 per cento, giacché non potrà più contare sul voto dei tanti quelli che il professore Giulio Sapelli chiama il "popolo degli abissi" - che non si sentono ascoltati e debitamente sostenuti dal "sistema". Salvini aveva conquistato la fiducia del mondo dell'impresa; Giorgetti si pone come "l'uomo di Confindustria" all'interno del Governo. Che non è di per sé una bestemmia, ma è sicuramente un passo indietro dal punto di vista della rappresentanza degli interessi diffusi. La spaccatura sul Green pass è stata il prologo della guerra che sta per scatenarsi nella Lega, l'epilogo si avrà con il Decreto sulle delocalizzazioni. Negli anni, il più convinto sostenitore di una pesante azione sanzionatoria contro le imprese in fuga dall'Italia è stato il "Capitano". Ricordiamo le sue intemerate contro il saccheggio industriale a cui è sottoposto il nostro sistema produttivo e le sue devastanti ricadute sui livelli occupazionali. Oggi le cronache raccontano che sul Decreto anti-delocalizzazioni messo a punto, tra l'altro con contenuti sanzionatori annacquati, dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, con la collaborazione della viceministra (contiana) allo Sviluppo economico, Alessandra Todde, il ministro Giancarlo Giorgetti si sia messo di traverso per ostacolarne l'approvazione. Ora, non stiamo a discutere dell'utilità del


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provvedimento, ma la virata pro-multinazionali è la sconfessione in radice della costruzione ideologica impostata da Salvini, oltre che un insperato regalo alla sinistra demo-contiana che si riappropria di un tema di forte impatto presso l'opinione pubblica. Nessuna sorpresa, quindi, se alle prossime tornate elettorali il consenso alla Lega dovesse ritornare sotto le due cifre, con un colpo mortale alle aspirazioni della coalizione di centrodestra di raggiungere la maggioranza nella prossima legislatura. Liberissima la nomenclatura leghista di cambiare rotta rispetto al recente passato. Tutto è legittimo, tutto è possibile a patto che i protagonisti di questa vicenda siano pienamente consapevoli delle conseguenze. Come evitare il peggio? Non serve a Salvini postare sui social le foto che lo ritraggono in atteggiamenti affettuosi con gli ispiratori del riposizionamento strategico della Lega. Serve un confronto a viso aperto e il luogo naturale per mettere in chiaro le cose in un partito c'è: si chiama congresso. Il "Capitano" farebbe bene a pensarci. C.S.

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OPIUM DES VOLKES L'argomento merita, senza alcun dubbio, una inevitabile citazione del Sig. Karl Marx: "Il fondamento della critica irreligiosa è: l'uomo fa la religione, e non la religione l'uomo. Infatti, la religione è coscienza di sé e il sentimento di sé dell'uomo che non ha ancora conquistato o ha già di nuovo perduto se stesso. Ma l'uomo non è un'entità astratta posta fuori dal mondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, lo Stato, la società. Questo Stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un mondo capovolto. La religione è la teoria generale di questo mondo, il suo compendio enciclopedico, la sua logica in forma popolare, il suo point d'honneur spiritualistico, il suo entusiasmo, la sua sanzione morale, il suo solenne completamento, il suo universale fondamento di consolazione e giustificazione. Essa è la realizzazione fantastica dell'essenza umana, poiché l'essenza umana non possiede una realtà vera. La lotta contro la religione è dunque, mediatamente, la lotta contro quel mondo, del quale la religione è l'aroma spirituale. La miseria religiosa è insieme l'espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l'oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione, dunque, è in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l'aureola." La vicenda Afgana che si trascina da 40 anni, dapprima con l'occupante russo e poi con l'occupante americano ed i paesi vassalli, ha un dato storico ed evidente…la sconfitta di due superpotenze mondiali. L'ultima, certamente più scottante in quanto coinvolge anche vassalli, valvassori e valvassini in nome della sudditanza atlantica (soggetto anacronistico visto il dissolvimento del patto di Varsavia cui si frapponeva, ma ormai secolarizzato e per questo, inossidabile come d'uso delle pseudo-democrazie occidentali). Agosto 2021 ha rappresentato l'apoteosi di un fallimento di proporzioni bibliche in quanto è venuto a galla il patto scellerato tra gli amerikani ed i Talebani (ultimamente, a differenza di quanto succedeva in passato, i servi di regime hanno sottolineato la differenza tra talebani e discepoli Isis). Tutti si meravigliano di quanto è successo a Kabul l'ultima decade di agosto, quando gli stati vassalli e valvassori (ivi compreso il valvassino), si sono trovati dinanzi all'accordo amerikano-talebano benchè, forse, qualcuno dimentica dei talebani (le prime immagini


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trasmesse, per sbaglio in Tv e poi eliminate) a bordo di schiere di veicoli militari americane (lunghe autocolonne) dove avanzavano senza colpo ferire (mi chiedo se fossero forniture regolari dell'esercito Usa). Gli invasori amerikani dopo aver convenuto il ritiro perché non erano in grado di vincere una guerra ventennale, in totale solitudine, hanno trovato un accordo per il ritiro. Ovviamente non conosceremo mai i termini dell'ccordo ma di sicuro la resa amerikana è stata clamorosa oltreché penosa. Venendo al tema immagino che gli amerikani che volevano esportare il loro modello di democrazia (lo stesso esportato in Europa), hanno raggiunto un unico obbiettivo con la destabilizzazione di un'area dove, ci hanno sempre detto, venivano ospitati i responsabili degli attentati alle torri gemelle di cui mister Bidet, in questi giorni, farà conoscere al mondo i particolari desecretando i documenti relativi (non sappiamo fino a che punto), documenti elaborati dagli annalisti della C.I.A. L'obbiettivo è economico certamente e ci sarebbero un trilione di ragioni ed in particolare il parco minerario più grande al mondo (i cinesi saranno primi partner del nuovo Afghanistan) a cui gli americani ambivano visto che il litio rappresenta il minerale del futuro (ricorderemo la carenza di litio durante il periodo pandemico che ha dato origine al blocco della produzione di automobili anche in Italia e più in generale a tutta la meccanica ed alla elettronica posto che il 90% della produzione mondiale dipende dalla elettronica). Le indagini geologiche in Afghanistan, hanno rivelato che il sottosuolo del Paese può contenere fino a 60 milioni di tonnellate di rame, 2,2 miliardi di tonnellate di ferro cui si aggiungono 1,4 milioni di tonnellate di un'altra tipologia di minerali, definiti Rare Earth Elements (REE), come il lantanio, cerio, neodimio. Secondo quanto riferito da funzionari statunitensi, citati dalla testata USA The Diplomat, la fase iniziale di ricerca è stata condotta in una località afghana nella provincia Orientale di Ghazni. Dall'analisi è emerso che il potenziale dei giacimenti di litio sarebbe analogo a quello delle riserve presenti in Bolivia, Paese che dispone delle più grandi vene di litio al mondo. L'USGS ha stimato che i depositi di Khanneshin, situati nella provincia Meridionale di Helmand, possono arrivare a produrre fino a 1,4 milioni di tonnellate di REE. Citando altri rapporti, analisti di The Diplomat hanno sottolineato che le risorse REE dell'Afghanistan possono essere tra le più grandi al mondo; i REE svolgono un ruolo essenziale nello sviluppo delle ultime tecnologie. Sono utilizzati per i telefoni cellulari, per i televisori, per i motori ibridi, ma anche per la tecnologia a laser e le batterie. Oltre a ciò, gli REE rappresentano una risorsa chiave anche nella produzione di apparecchiature militari, quali sistemi di navigazione per carri armati, sistemi di guida missilistica, nonché componenti per la difesa missilistica, satelliti e sistemi di comunicazione militari. Ora se la vera economia è quella sulle fonti alternative e per utilizzare le fonti alternative è necessario avere la disponibilità di materie prime che consentano lo sviluppo della c.d. mobilità sostenibile e delle comunicazioni e che il petrolio è divenuto desueto…. cosa consente di poter utilizzare l'energia che ha costo pari a zero fatta eccezione per la distribuzione il cui costo, comunque, è risibile? ....come posso accumulare energia senza creare gli accumulatori ed i chip che lo gestiscono senza il Litio? La domanda sorge spontanea come declamava un compianto

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giornalista partenopeo! Altro che via della seta….. qualcuno dovrebbe spiegare a Gigino che le sciocchezze sono l'oppio dei popoli, le sciocchezze del Web, le sciocchezze della stampa di regime, le sciocchezze dei mezzi di distrazione di massa. Le ragioni afgane sono ben altre e sono di natura economica. L'Afghanistan, nei prossimi decenni, sarà una risorsa come le aride terre degli emirati arabi sono state per gli amerikani che hanno sfruttato il loro petrolio (in Italia un signore tentò di fare qualcosa e ci ha rimesso la vita a seguito degli accordi iraniani cosi come i tempi della Libia 30 anni prima quando un altro signore ci rimise le penne); questo i cinesi lo hanno capito da tempo ma, a differenza degli amerikani che amano le prove muscolari, loro producono servizi ed utilità senza imporre nulla, emuli dei primi europei che si presentavano nelle indie con le perline abbindolando gli indigeni. Faranno strade, illuminazioni pubbliche, stadi e palestre a differenza degli americani che distruggono line di comunicazioni e devastano i territori e non per mera cattiveria come d'istinto verrebbe da pensare ma solo perché il loro core business è rappresentato dall'industria bellica per la quale il mercato occorre sia vitale….. l'oppio che ci verrà detto servirà a finanziare l'Isis o i gruppi terroristici, al massimo, servirà a soddisfare qualche desiderio alternativo di qualche a.d. amerikano in cerca di avventure con la escort di turno (non quella di Friedmann ovviamente il cui buon gusto è sotto la suola delle mie scarpe). Cogliamo questa opportunità per una riflessione senza farci abbindolare dalle sintesi che di certo, non giovano all'analisi. Parafrasando Marx: “Eliminare le democrazie illusorie in quanto fonti di illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L'esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l'esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della finta democrazia, dunque, è in germe, la critica della valle di lacrime, di cui la democrazia illusoria è l'aureola." Emilio Petruzzi


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IL BLA BLA BLA DEGLI SCIACALLI INCIPIT 1 Risultati elettorali di "Forza Nuova" dalla fondazione alle ultime elezioni europee. Elezioni politiche (Percentuali e voti alla Camera e Senato). 2001: 0,04 (13.6229); 0,12 (39.545); 2006 (nella lista Alternativa Sociale): 0,67 (255.354); 0,63 (214.526); 2008: 0,30 (108.837); 0,26 (85.630); 2013: 0,26 (90.047); 0,26 (81.578); 2018 (nella lista Italia agli italiani, con Movimento Sociale Fiamma Tricolore): 0,39 (126.543; 0,50 (149.907) Elezioni Europee. 2004: 1,23 (399.073) con la lista Alternativa sociale, che consentì a Fiore di diventare europarlamentare nel 2008 a causa delle dimissioni di Alessandra Mussolini); 2009: 0,47 (146.619); 2014 (lista non ammessa); 2019: 0,15 (40.781). Chi parla di pericolo fascista in Italia o è un cretino o è in mala fede. E ovviamente non mancano i cretini in mala fede. INCIPIT 2 A proposito dei milioni di persone che si stanno sgolando per chiedere lo scioglimento di quei quattro gatti di Foza Nuova: 928 North Randolph Street, Arlington, Virginia, U.S. Questo è l'indirizzo della SEDE LEGALE DEL PARTITO NAZISTA negli USA: nessuno li prende in considerazione per le loro farneticazioni, senza però nemmeno "sognarsi" di impedire loro di pronunciarle. Se alle farneticazioni dovessero seguire atti concreti contrari alla legge, si interverrebbe nel rispetto di ciò che le leggi prevedono per i singoli reati. Tutto qui, senza bla bla bla. PROLOGO A scanso di equivoci ribadisco, sia pure sinteticamente, concetti triti e ritriti in decine di articoli, di volta in volta arricchiti con fatti contingenti che li rendevano più sostanziosi e inconfutabili: il cosiddetto centro-destra, i cui esponenti ed elettori utilizzano impropriamente il termine "destra", è un'armata brancaleone che costituisce qualcosa che si avvicina molto a quanto di peggio abbia espresso la politica italiana dalla caduta di Romolo Augustolo ai giorni nostri; i profondi cambiamenti nei "costumi", scaturiti dalla indubbia capacità di un uomo come Berlusconi nel condizionare le masse, hanno fatto perdere di vista i valori essenziali che dovrebbero costituire il patrimonio comune di ogni essere umano a vantaggio di mode destrutturanti, non facilmente sradicabili soprattutto in ambito giovanile. Non esiste nessuno che, potendo degnamente definirsi a pieno titolo di "destra", si riconosca

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nell'attuale centro-destra. Queste persone, tantissime, alimentano quel fronte dell'astensionismo che oramai ha raggiunto il 50% degli aventi diritto al voto e purtroppo si appresta a superarlo a causa del continuo decadimento della classe politica, in qualsivoglia schieramento, come tra l'altro è risultato abbastanza evidente anche in occasione dei recenti ballottaggi per le elezioni amministrative, che hanno visto il 56% degli elettori astenersi dal voto! Sgombrato il campo, quindi, da ogni possibile strumentalizzazione, cerchiamo di inquadrare nella giusta ottica le vicende alla ribalta della cronaca in questo periodo. INCHIESTA FANPAGE - ASSALTO ALLA BASTIGLIA CGIL E ALTRE DISTRAZIONI DI MASSA Sta facendo molto scalpore l'inchiesta di Fanpage sulla galassia neofascista nel nostro Paese, che si prefigge - sono parole del direttore della testata - di dimostrarne non tanto l'esistenza e la consistenza, cosa sempre utile ed opportuna se fatta con onestà intellettuale e senza fini reconditi, quanto il tentativo di incunearsi proprio nei partiti di centro-destra con intenti che vanno be oltre la diffusa pratica di procurarsi finanziamenti illeciti. Diciamolo a chiare lettere per l'ennesima volta: nell'Italia delle tante incertezze l'unica cosa certa è che non vi è nemmeno la più remota possibilità che il nostalgismo nazifascista possa costituire un reale e grave pericolo sia sotto il profilo "quantitativo" sia sotto quello "qualitativo". I soggetti che compongono la composita "galassia nera", siano essi le teste rasate dei gruppuscoli extraparlamentari o i buffi esponenti dei partiti, basta metterli davanti a un microfono (come spesso avvenuto) e porre loro tre domande per far emergere l'inconsistenza culturale, etica, morale e tutte le altre distonie esistenziali di cui sono depositari. Le scempiaggini profferite sconclusionatamente, come quelle che stiamo ascoltando a profusione dai "no vax", non fanno testo; per gli atti di razzismo, di antisemitismo, di violazione delle norme costituzionali e per qualsiasi altro crimine commesso, basta perseguirli "seriamente", processandoli e condannandoli nel rispetto delle leggi vigenti. Cerchiamo di essere seri, quindi. Siamo un Paese di oltre sessanta milioni di persone e non è proprio possibile prendere in seria considerazione due o trecentomila giovinastri che, generalmente, di generazione in generazione, dopo aver giocato a fare i rivoluzionari dai quindici ai 25-30 anni, prendono altre strade, a volte più o meno normali, a volte nella malavita, ma comunque lontane mille miglia da quei furori giovanili, magari rimembrati esclusivamente in goliardiche serate enogastronomiche, tanto per dare un senso illusorio a un'esistenza quasi sempre grama. Parimenti non è possibile prendere in seria considerazione vecchietti oramai ultrasettantenni che, in virtù di evidenti limiti culturali, si rifugiano in un patetico nostalgismo, i cui prodromi risalgono per lo più a quando il fascismo era già nella fase finale o nei primi anni post bellici e in continuo assottigliamento numerico per ovvi motivi. L'inchiesta di Fanpage, pertanto, con tanto di ribalta televisiva nel programma "Piazzapulita" e ampio risalto mediatico addirittura oltre i confini nazionali, perde di consistenza proprio in virtù dell'attenzione riservatale, spropositata e non di poco rispetto alla reale consistenza dei fatti narrati. Nella puntata di "Piazzapulita" del 7 ottobre, per esempio, sia il conduttore Formigli sia


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gli ospiti hanno effettuato una vera e propria opera di "distrazione di massa" dell'opinione pubblica dai veri problemi, che scaturiscono da chi il potere effettivamente gestisca e non da coloro che lo bramano sognando trame impossibili. Non a caso Sallusti, replicando alla dura ed esasperata gogna tributata a Giorgia Meloni, ha chiesto perché mai Bersani, primo ospite della serata, non fosse stato invitato a ripudiare pubblicamente il comunismo, ovviamente da considerare "male assoluto" quanto meno alla pari del nazismo e del fascismo. Apriti cielo! Per poco Formigli e i suoi ospiti sinistrorsi non lo linciavano! "Ma come si fa a chiedere a uno che viene da un partito che si chiama PCI di ripudiare il comunismo", hanno esclamato in coro, come se l'osservazione fosse una baggianata! Una donna nata nel 1977, invece, che ha iniziato a fare politica addirittura quasi mezzo secolo dopo la fine del fascismo, deve essere triturata come se fosse la reale responsabile delle devianze mentali di un po' di fuori di testa che, almeno in Italia, non fanno paura a nessuno: è appena il caso di ricordare, infatti, che in Germania la galassia nazifascista è sicuramente preoccupante e il principale partito di riferimento ha ottenuto quasi CINQUE milioni di voti alle recenti elezioni federali, conquistando ben 83 seggi! Quello della Meloni, invece, è un partito che risulta attrattivo precipuamente per quella media-borghesia italiana, capace di resistere alle sirene sinistrorse ma non sufficientemente preparata per "andare oltre", anche per assenza di punti di riferimento solidi, ossia una vera destra che fosse in grado di far emergere in modo più eloquente la differenza tra grano e loglio. Da qui a considerare il partito e chi lo voti un pericolo per la democrazia, tuttavia, ce ne corre! L'unico rimprovero che si può fare a Giorgia Meloni, caso mai, è di appropriazione indebita del termine "destra", che proprio non si addice né a lei né ai suoi adepti, tanto più perché alleata di Berlusconi, che di una destra moderna, europea, sociale, colta, raffinata, con le carte in regola per governare, rappresenta l'esatta antitesi. SMETTIAMO DI GUARDARE IL DITO MENTRE SI INDICA LA LUNA Non vi sono rischi di rigurgiti fascisti in Italia e, per fortuna, anche coloro che ancora si definiscono "comunisti" non fanno più paura a nessuno. Sono ben altre, infatti, le persone pericolose. Sempre nella puntata di "Piazzapulita" andata in onda il 7 ottobre, era presente lo spocchioso Carlo Calenda, la cui nervosa saccenteria è emersa più che in altre circostanze grazie all'elegante lezione di "buone maniere" impartitagli da Jasmine Cristallo, portavoce delle "Sardine", che lo ha fatto letteralmente uscire dai gangheri, soprattutto quando lo ha invitato a scendere dalla "torre eburnea". È stato davvero utile ascoltare le sue masturbazioni mentali che, sommate alle dichiarazioni rese negli ultimi mesi e alla storia personale di trasformista aduso ad accusare gli altri di "trasformismo", ne caratterizzano in modo inequivocabile la struttura mentale. Il personaggio è l'emblema di una stratificazione sociale priva di connotazioni ideali o, per meglio dire, espressione di quel liberalismo assimilabile alle polveri sottili, che fanno danni immani ma

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risultano invisibili ad occhio nudo e possono essere esaminate solo dagli esperti. Sul fecciume liberale esiste una corposa saggistica e qui mi fa piacere ricordare sia quanto scritto nel numero 81 di CONFINI, uscito nel mese di dicembre 2019, sia la stupenda conferenza tenuta da Alain de Benoist a Pietrasanta nell'ottobre 2019, il cui resoconto è reperibile proprio nel numero di Confini citato. Su come debba configurarsi una "vera destra", poi, questo magazine offre continui spunti di riflessione, l'ultimo dei quali pubblicato nel numero 97, uscito lo scorso mese di luglio. UN LEZIONE DI DIRITTO AI MISTIFICATORI I mistificatori, che tanto spazio stanno trovando nei media in questo periodo, sono stati ben "cucinati" nel numero 92 di CONFINI, uscito nel mese di febbraio 2021. Con loro, però, non bisogna mai abbassare la guardia perché sono tanti e non perdono occasione per confondere le idee. L'occasione questa volta è stata offerta dai fuori di testa che hanno assaltato la sede della CGIL, dopo aver insulsamente invaso le strade di Roma per rendere edotto il mondo intero della confusione mentale che alberga nelle loro teste: possono protestare contro il "green pass" e contro il vaccino proprio perché in maggioranza ci siamo vaccinati, consentendo un repentino regresso della pandemia (che è ben lungi dall'essere stata sconfitta) e l'abolizione delle rigide restrizioni imposte dal lockdown. Ricordiamo quindi, ai tanti mistificatori adusi a parlare di pancia e non di testa, che chi entri in proprietà altrui, devastandole, va individuato, processato e condannato secondo il Codice penale e quanto previsto dall'articolo 27 della Costituzione, che imputa alle singole persone la responsabilità penale. Per quanto concerne il fascismo, in Italia ne è vietata la "ricostituzione" e quindi può essere sciolto qualsiasi partito che si prefigga di riproporlo secondo le note modalità del regime mussoliniano. Nessuno nega, ovviamente, le simpatie fasciste dei militanti di Forza Nuova e di altri gruppuscoli della galassia nera, ma per legittimare lo scioglimento non basta accusarli delle loro "simpatie" e delle strampalate visioni del mondo che traspaiono dai loro organi informativi: bisogna "attendere" che si trasformino in una vera minaccia per le Istituzioni, con azioni tese a sostituirsi ad esse, proprio come fece Mussolini prima con la marcia su Roma e poi con lo scioglimento del Parlamento. Che si possa realizzare qualcosa del genere, però, con i numeri effettivi che caratterizzano l'intera galassia nera, i contrasti e le contraddizioni interne che ne minano l'unità d'intenti e la capacità di difesa assicurata dalle forze dell'ordine e dall'esercito, più che difficile appare semplicemente impossibile e risulta patetico, oltre che ridicolo, il solo pensarlo. Chiunque, pertanto, dovesse promuovere o attuare un provvedimento che cozza con i principi basilari della nostra Costituzione, oltre che con il buon senso, a pieno titolo potrebbe essere egli stesso definito "fascista". E sarebbe anche il caso di aggiungere: "della peggiore specie". Lino Lavorgna


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CONFLITTUALITA’ 4.0 Onestamente non avrei mai creduto che ciò potesse accadere nel corso della mia vita di italiano quasi ottantenne, testimone vivente, quale io sono, di questa seconda bella époque dell'occidente che, iniziata nell'ultimo dopoguerra, si è trascinata fino agli attuali giorni di questo ventunesimo secolo, gratificando, quanti abbiano avuto la ventura di viverla, con un ineguagliato periodo di pace, libertà, prosperità , sviluppo economico, diffusione culturale, invenzione di stupefacenti tecnologie a servizio dell'essere umano in tutti i suoi fondanti aspetti di creatura pensante. Il tutto in un planetario brodo di generale creatività proiettato verso un immaginifico futuro fatto di salute fisica ed opportunità esistenziali senza pari rispetto ad ogni altra epoca della storia dell'uomo. Così credevo, almeno fino ad un paio d'anni fa, quando la maledetta - si proprio maledetta pandemia da COVID-19 ( in qualsivoglia modo essa sia stata generata, causata, propinata all'umanità, sia per caso, o volontariamente, o per qualsiasi buona o cattiva fede possa mai esserne stata la genesi) mi ha costretto a costatare ciò che mai avrei potuto immaginare: il fatto che essa sarebbe riuscita a produrre una incredibile, nuova frattura tra esseri umani con una dolorosa e crudele cesura inter-individuale. Sono ben consapevole che l'Italia sia da secoli un paese diviso e divisivo, nonché della facilità con cui letture discordanti del reale si trasformino qui da noi in prese di posizione tra loro inconciliabili, gestite con quella conflittuale acrimonia che è propria dei nemici e non degli avversari, il cui confronto dialettico mai mira ad una ricerca di veritiera sintesi. No, da noi ci si divide su tutto, come se il riconoscere all'interlocutore una qualche ragione dovesse apparire imperdonabile segno di debolezza da parte di chi si azzardasse a dare un po' di spago all'opponente. E ciò in una costante ottica di testarda affermazione di un proprio "io" che non può permettersi di uscire in alcun modo perdente dal confronto, pena un insanabile "vulnus" esistenziale. Tale divisione peraltro si è sempre manifestata, almeno fino al giorno d'oggi, attraverso contrapposte bande, fazioni, gruppi, consorterie, conventicole, partiti politici e chi più ne ha più ne metta, ma mai, dico mai, in una dimensione sociale di tipo strettamente individuale, in un contesto, direi, "one to one" e soprattutto in merito ad un argomento che più personale e privato non potrebbe essere : "sic et simpliciter", la salute fisica individuale. Per decenni (e per quanto riguarda almeno la mia personale esperienza) io mi sono confrontato con i - e contrapposto ai - miei concittadini sui più svariati temi: dalla politica, alla perdurante guerra civile italica, dal calcio, al futuro del paese, dalla religione, alla filosofia, dalla cultura, alla storia;

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persino sull'acqua minerale ("liscia o gassata?" e mai, purtroppo, su una sintetica "ferrarelle") e via di questo passo. Che prima di accingermi a salutare definitivamente questo mondo io avrei dovuto però assistere, ed ahimè partecipare, ad una dura, proterva, quasi fideistica "confrontation" interpersonale in pura salsa di italica contrapposizione del tipo: " dimmi: sei o non sei vaccinato?", no, questo non avrei proprio potuto immaginarlo. Eppure sì! Per dirla con l'eccelso Domenico Modugno: "credetemi è accaduto, un Covid, vestito da passante mi sussurrò dicendomi così : …. meraviglioso". Ciò che sta accadendo con la pandemia ha proprio un che di indefinibile, direi appunto, di … tragicamente "meraviglioso", nel senso che, appunto, desta meraviglia. Una politica farisaica, un'informazione capziosa, dilettantesca, confusionaria, contraddittoria e sovente irresponsabile, su un tema sensibile come la salute dei cittadini, è riuscita - in incredibile modalità soft - a dividere amicizie consolidate da decenni, far venire a galla intimi ed inconfessabili giudizi sull'amico di una vita, sul caro ed affettuoso parente, sull'ottimo collega con cui credevi di aver istaurato un comune sentire, una complice visione dell'esistenza, una lettura affine della vita pubblica, dello scenario politico, del futuribile della nostra società. Basta, finito, nulla più di tutto ciò. In ciascuno dei due schieramenti strisciano sottotraccia sottili veleni e si additano, a vicenda, i rispettivi cretini . Il "vaccinato" (o sì vax) ed il "non vaccinato" (o no vax) si confrontano ormai come una sorta di alieni schieramenti socio-culturali, attribuendosi l'un l'altro, nella migliore delle ipotesi, una totale incapacità di giudizio autonomo o, nella peggiore ed a seconda dei casi, definendosi beota vittima di contrapposte ed inconciliabili letture della realtà oppure supino gregge di capziose narrazioni propagandistiche se non che addirittura inconsapevole terminale di oscuri complottismi. Entrambi, forse, depositari di una qualche dose di verità, o almeno di verisimiglianza, ma altresì prodromi di un fenomeno assolutamente inedito nella vita sociale italiana: una ulteriore contrapposizione di squisita natura politica, ma questa volta non su una fede, un'ideologia, un credo (per quanto modesto esso possa essere: Milan/Inter o Roma/Lazio), ma su un microscopico virus, sulla sua misteriosa natura e sue potenziali o effettive conseguenze sanitarie nei confronti di una popolazione che sta ormai scrivendo un'ulteriore capitolo della bi-millenaria storia della nostra divisività nazionale (questa sì, cronica ed endogena). Ultima testimonianza del fatto che in Italia non si riesce proprio a non litigare su ogni singolo aspetto del nostro sofferto e tormentato stare insieme. "Mala tempora currunt" per il nostro povero paese! Soluzioni? E chi lo sa! Forse che tutti noi si implori, finalmente ed all'unisono: "Santa Ivermectina per favore, … pensaci tu!" Antonino Provenzano Roma, 26 settembre 2021


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ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA PANDEMIA DA SARS-COV2 Qualcuno forse ricorderà quanto da me scritto lo scorso anno riguardo ai numeri della pandemia e gli argomenti che mi portavano a concludere che i dati dei decessi direttamente riconducibili al virus erano sostanzialmente sovrastimati (almeno in Italia). Il sospetto iniziale mi era insorto nel mese di luglio 2020 notando una strana discrepanza tra i decessi di quei giorni e i contagi dello stesso periodo, essendo questi ultimi estremamente ridotti in proporzione ai decessi rispetto al picco della prima fase epidemica. E questo anche considerando il ritardo temporale tra contagi e decessi. Dopo un anno e poco più, agli argomenti allora proposti a spiegazione della sproporzione decessi/contagi si può aggiungere un ulteriore importante elemento. E' emerso infatti - confermato da numerosi ricercatori e avallato dalla OMS - che il test PCR finora usato per la diagnosi di infezione (non malattia) da Sars-Cov2 è poco specifico e - a seconda di come viene usato - troppo sensibile. E' poco specifico in quanto distingue solo in parte il nostro virus dagli altri coronavirus e addirittura da alcuni virus influenzali. E' troppo sensibile, in particolare se si usano 40/45 cicli di amplificazione (come sappiamo accadere in molti laboratori) invece dei consigliati 25/30 (come da norme internazionali). Il risultato pratico di tutto ciò si traduce nella produzione di un numero consistente di FALSI POSITIVI, il che vuol dire che i dati che vengono sciorinati giornalmente su contagi e decessi sono sovrastimati in eccesso (e forse in largo eccesso). Per i contagi la cosa è ovvia e intuitiva; per i decessi occorre considerare come molti pazienti anziani (o anche non troppo anziani) sono affetti da gravi patologie spesso multiple e possono risultare positivi al test PCR per il virus magari senza presentare un quadro clinico conclamato di polmonite bilaterale "atipica". Dopo il decesso tali pazienti vengono classificati - pressoché invariabilmente - come deceduti a causa del virus. A parte il fatto che ciò non sempre è vero, può anche accadere che il test per eccesso di sensibilità (come detto sopra) configuri in realtà il rilevamento di un FALSO POSITIVO. Avremo dunque un certo numero di decessi avvenuti in realtà per altre patologie ma attribuiti erroneamente al virus. QUANTI? Non lo sappiamo, ma possiamo supporre che non siano pochi. Questa sistematica sovrastima può spiegare il dato sconcertante per il quale l'Italia occupa i primi posti al mondo (terzo?) per numero di decessi in proporzione alla popolazione totale! E questo non solo all'inizio dell'epidemia ma anche ora! La cosa poteva essere verosimile tra febbraio e inizio marzo ma certamente non in seguito visto che - pur tra errori, ritardi e altre strane vicende (di cui potremo parlare in altra occasione) e a parte i giorni tragici di Bergamo e Brescia 2020 - il nostro SSN è capillarmente diffuso e si avvale di

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valide professionalità medico-infermieristiche. Qualcosa di importante dunque non quadrava e non quadra. Di pochi giorni fa è la notizia che il prof. Crisanti (ormai universalmente - almeno per l'Italia televisiva - noto) si è accorto - davvero perspicace - che vi è una discrepanza (di nuovo) tra contagi e decessi. Egli osserva che in questi ultimi giorni i decessi oscillano intorno ai 30/dì e i contagi (test positivi) navigano sui 3000/dì. Secondo una formula empirica i contagi dovrebbero essere: 30 diviso 2 = 15 x 1000 = 15.000; quindi, arguisce l'arguto professore i contagi sono sottostimati e non di poco! Mi permetto di proporre una spiegazione opposta e osservo che non è credibile una differenza così forte nella stima dei contagi (3000 vs 15000). Se noi invece assumiamo - come prima osservato - che il test PCR per la sua scarsa specificità ed eccessiva sensibilità determini un numero rilevante di falsi positivi (come sottolineato anche dalla OMS), allora sia i contagi che i decessi ne risulteranno sovrastimati. Se i veri decessi per Sars-Cov2 fossero ad esempio 4/5 al dì, usando la stessa formuletta avremmo: 5 diviso 2 = 2.5 x 1000 = 2500 contagi al dì (anche questi dunque ridotti). Assolutamente verosimile. Si può intendere meglio l'importanza di queste semplici considerazioni se riflettiamo su quanta importanza abbia assunto fin dall'inizio di questa brutta storia la PAURA, ovviamente paura della morte, essendo stata accuratamente inculcata nella mente di ogni cittadino (e telespettatore) l'idea che ognuno di noi, dai più piccini, ai giovani sani e robusti, agli individui di mezza età, agli anziani e ai malati, corresse il rischio, non solo di infettarsi ma anche di ammalarsi, e non solo di ammalarsi ma di ammalarsi gravemente, e non solo di ammalarsi gravemente ma di morire e di morire orribilmente, intubati, isolati dai propri cari e poi cremati e privati persino della dignità di un funerale! Una prospettiva terrorizzante. Ma è vera? Le cifre dicono di no. Il rischio di morire è enormemente differente (esponenzialmente differente) tra bambini e giovanissimi da una parte e anziani con multiple patologie e molteplici fattori di rischio. Ma l'idea che è stata trasmessa è quella sopra descritta. La potente arma della paura è stata agitata in modo irresponsabile, incuranti delle gravissime conseguenze economiche e psicologiche. Tralasciando le gravi ricadute economiche dei vari blocchi e chiusure più o meno totali, emergono sempre più le pesantissime ricadute psicologiche in particolare su bimbi, adolescenti, persone già turbate e anziani fragili anche psicologicamente. Le conseguenze economiche hanno poi colpito anche l'equilibrio psichico di imprenditori e lavoratori, soprattutto in proprio. Si poteva fare meglio? Alcuni (pochi) stati esteri - come la Svezia - ci dicono di sì. Gli illustri epidemiologi firmatari della Great Barrington Declaration avevano proposto, fin dall'ottobre 2020 - una diversa strategia: mettere in rigorosa protezione le fasce di popolazione ad alto rischio di malattia grave e decesso (anche con la vaccinazione non appena disponibile) e limitare al massimo i blocchi proteggendo la popolazione più giovane a basso o bassissimo rischio di malattia con le consuete misure igieniche e - eventualmente - con terapie precoci anche domiciliari grazie all'attivazione della medicina territoriale. Quasi ovunque si è scelto invece di ricorrere a blocchi più o meno totali e prolungati


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emarginando la medicina territoriale per scaricare tutto il peso dell'emergenza su ospedali e terapie intensive le quali - venuto meno il filtro territoriale - non potevano che collassare al momento del picco dei contagi (anche per il ricorso eccessivo alle strutture ospedaliere da parte di cittadini con forme lievi o moderate ma in preda al panico suscitato dai media, cittadini che potevano e dovevano essere tranquillamente trattati a domicilio). Credo sia ora evidente a tutti (forse) che si sia trattato di errori strategici molto gravi che purtroppo si sono ripercossi pesantemente sugli esiti clinici. In una prossima occasione potremo eventualmente parlare di quanto avvenuto più recentemente dopo l'introduzione dei vaccini cosiddetti "genici" e con la ripetizione di un grave errore di fondo: invece di usare tutte le armi disponibili, puntare tutto su una sola arma considerata a priori l'unica efficace. Silvio Sposito specialista in Endocrinologia e malattie metaboliche e in Medicina Nucleare, già responsabile di una Unità di Diabetologia ed Endocrinologia della ASL RM-H.

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GIOVANNI BOLDINI Giovanni BOLDINI 1842 - 1931. Un grande pittore italiano che anche in vita ebbe fama internazionale. Nasce a Ferrara, ottavo di tredici figli e qui inizia il suo percorso artistico ma ben presto il clima della città gli sta stretto e prosegue il suo cammino di vita e di arte altrove. Figlio di un discreto pittore restauratore respira arte in famiglia, con gli insegnamenti paterni il suo talento matura in fretta così che a diciotto anni è già abbastanza famoso come ritrattista. Si forma a Firenze, a fianco dei Macchiaioli, frequenta qui il caffè Michelangelo dove conosce Telemaco Signorini, Giovanni Fattori ed altri ma pur capendo l'importanza del movimento non vi aderì mai anche perché essi erano antiborghesi e rivoluzionari mentre Boldini preferiva gli ambienti confortevoli della ricca borghesia italiana e straniera. Era amico degli inglesi Falconer ai quali decoro' poi un ambiente nella loro Villa di Pistoia, che io ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare perché giovanissima amica della moglie del pittore MARIA EMILIA CARDONA. Con i Falconer intraprende il primo viaggio a Parigi nel 1867, fu poi a Londra dove non passò inosservato per il suo talento. Con queste sue molteplici esperienze Boldini comprende che doveva giocare a Parigi il suo percorso artistico e qui prese lo studio in Avenue Frochot, dove però rimase per poco tempo prima di trasferirsi a Place Pigalle. Amico di pittori famosi come Degas, Renoir ed il grande Manet frequenta l'alta borghesia e, contrariamente a molti suoi colleghi, era ricco e ricercato già in vita. Il suo modo innovativo di intendere il ritratto è un modo quasi pervaso di antica magia…le donne sono bellissime, abbracciate da intense pennellate filamentose e ritratte non in posa, come fino all'ora veniva solitamente fatto, ma in ambienti familiari, caldi, accoglienti. Anche per questo è richiesto dalle donne più importanti del bel mondo parigino, che si contendono un ritratto del maestro, egli non si nega, anzi si concede in ogni senso. Boldini è considerato un grande erede della genialità pittorica italiana. Sull'opera: ritratto di Elisabeth Drexel Lehr. 1905 - Olio su tela Grazia infinita in questa bellissima donna, magistralmente vestita...ed oltre all'abito che indossa come una regina, direi anche magistralmente vestita del suo sorriso, un sorriso dolcissimo, accennato con la bocca e con gli occhi ...che le mani del maestro hanno saputo rendere vivo qui nell'opera. E vivo resterà per sempre.


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Con le sue lunghe pennellate, ricche di intensi filamenti di colore e di improvvisi bagliori di luce dipinge donne bellissime, una ritrattistica molto richiesta. Potenza dell'arte che sconvolgi il nostro senso della banalità con la bellezza, che ci riempi di gioia e di doni. Grande Boldini, ci hai dipinte bellissime...ogni donna fra le tue mani, grande artista, si è arricchita di qualcosa...non fosse altro che della tua magia! Maestro ho visto i tuoi lavori, li ho potuti osservare su quel muro dove tu li avevi dipinti molti anni prima....mi è sembrato quasi che tu fossi lì...ed io con te scambiassi emozioni dell'anima!! Al primo piano della Villa La Falconiera, così vicina alla mia casa della adolescenza, dove sono entrata numerose volte, tutte preziosamente custodite nei miei ricordi. Incantata Maestro! Grazie! Un felice cammino di Arte a tutti voi amici carissimi. Stefania Melani

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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