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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

MISTIFICATORI

Numero 92 Febbraio 2021


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Confini Web-magazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 92 - Febbraio 2021 Anno XXIII

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Gianni Falcone Lorenzo Fontana Roberta Forte Lino Lavorgna Sara Lodi Emilio Petruzzi Antonino Provenzano Fausto Provenzano Angelo Romano Massimo Sergenti Cristofaro Sola Silvio Sposito

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Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

La transizione ecologica inizia dal riciclo

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EDITORIALE

MISTIFICARE E DEMISITIFICARE Mistificare: dal fr. mystifier, in origine "prendere in giro. 1. Modificare un evento o un concetto suscitandone un'interpretazione distorta, alterare, contraffare, distorcere, falsare, travisare. Manipolare. 2. Carpire la buona fede del prossimo, abbindolare, buggerare, fregare, gabbare, imbrogliare, infinocchiare, ingannare, minchionare, prendere in giro, raggirare, truffare. (dal Dizionario Treccani) La politica italiana (e non solo) da "arte reale", da "arte del possibile" è diventata sempre di più arte della mistificazione che, grazie al duo Conte / Casalino, ha toccato i suoi vertici. "Fisco", "Cura Italia", "Liquidità", "Rilancio", "Agosto", "Ristori" i principali provvedimenti del Governo Conte bis, provvedimenti che prevedevano la bellezza di 504 decreti attuativi largamente inattuati (359) o scaduti (ben 106 di cui ben 39 relativi addirittura alla Legge di Bilancio 2020 sui conti del 2019). E poi ci si meraviglia che il Paese soffre e che l'economia è in ginocchio. Eppure a sentire i partiti che sostenevano il Conte-bis (Pd, 5Stelle, Leu) si sarebbe trattata di una splendida stagione di governo, tanto splendida da volere un Conte-ter ad ogni costo. Mistificare per restare al potere. Come mistificazione pura è stato il quesito posto agli iscritti 5Stelle sulla piattaforma Rousseau a proposito del governo Draghi: "Sei d'accordo che il Movimento sostenga un governo tecnicopolitico: che preveda un super-Ministero della Transizione Ecologica e che difenda i principali risultati raggiunti dal Movimento, con le altre forze politiche indicate dal presidente incaricato Mario Draghi?". Ma come si può concepire che un Ministero e, quindi, un Ministro facciano i difensori dei presunti risultati raggiunti dal Movimento in luogo di svolgere le funzioni istituzionali assegnate? E non è sempre mistificatoria la costituzione di un Intergruppo parlamentare al Senato Pd,M5S, Leu per la difesa dei buoni risultati ottenuti dal governo precedente quando è chiaramente un patto di difesa e condizionamento rispetto a Draghi e alle nuove presenze in maggioranza? Forse è proprio la particolare attitudine a mistificare il vero collante dell'intesa crescente tra Pd e M5S. In una società normale l'informazione avrebbe il compito di demistificare, di svelare le verità nascoste, di aiutare la gente a capire come stanno davvero le cose in un sistema sempre più complesso, addirittura "bizantino".


EDITORIALE

Purtroppo, per ragioni di interesse, ideologiche, di asservimento al potere ed ai poteri, in Italia non si fa quasi mai informazione corretta, i mezzi di comunicazione di massa fanno da amplificatori della mistificazione. Il cittadino si trova così in un vero e proprio labirinto di menzogne, di propagande contrapposte, di opinioni contrabbandate come fatti certi, né può andare alla fonte principale: alla legge. Chiunque provi a leggere il testo di "milleproroghe" vorrebbe un ricovero immediato. La mistificazione è arrivata persino a penetrare le leggi: sempre più oscure, scritte per gli iniziati, per i burocrati, per la "casta" mai estinta, non per i cittadini affinché le comprendano. Si tratta quasi di una "deificazione" dell'"apparato" dove la burocrazia, come se si trattasse di una religione, si pone come un clero mediatore tra uomo e Dio ed interprete insindacabile della volontà di quest'ultimo. Emblematiche, a tale proposito, le circolari ministeriali o peggio quelle dell'Agenzia delle Entrate. Alla mistificazione, come fosse un virus invasivo, non sfuggono gli altri poteri dello Stato: Palamara docet. Non ci resta che sperare che il nuovo "timoniere" sia un demistificatore al servizio della verità. Angelo Romano

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SCENARI

MISTIFICATORI INCIPIT Mistificazione. La professione dei politici, la scienza dei medici, la sapienza dei recensori, la religione dei predicatori di successo: in una parola, il mondo. (Ambrose Bierce) PROLOGO "È necessario che tutti gli insegnanti abbiano una buona condotta e non professino in pubblico opinioni diverse da quelle intimamente osservate. In particolare, tali dovranno essere coloro che istruiscono i giovani e hanno il compito di interpretare le opere degli antichi, siano essi retori, grammatici e ancor più sofisti, poiché questi ultimi, più degli altri, intendono essere maestri non di sola eloquenza ma anche di morale, e sostengono che a loro spetta l'insegnamento della filosofia civile. [...] Io li lodo perché aspirano a elevati insegnamenti, ma li loderei di più se non si contraddicessero e non si condannassero da soli, pensando una cosa e insegnandone un'altra. Ma come? Per Omero, Esiodo, Demostene, Erodoto, Tucidide, Isocrate e Lisia, gli dei sono guida e norma dell'educazione: forse che costoro non si reputavano devoti, chi a Hermes, chi alle Muse? Trovo assurdo che coloro che spiegano i loro scritti disprezzino gli dei che quelli onoravano. Ma, anche se a me pare assurdo, non dico con questo che essi debbano dissimulare le loro opinioni di fronte ai giovani. Io li lascio liberi di non insegnare ciò che non credono buono ma, se invece vogliono insegnare, insegnino prima con l'esempio [...] Se i maestri cristiani considerano saggi coloro di cui sono interpreti e di cui si dicono, per così dire, profeti, cerchino prima di rivolgere la loro pietà verso gli dei. Se invece credono che questi autori si siano sbagliati circa le entità da venerare, vadano allora nelle chiese dei Galilei a spiegare Matteo e Luca. Voi affermate che bisogna rifiutare le offerte dei sacrifici? Bene, anch'io voglio che le vostre orecchie e la vostra parola, come dite voi, si purifichino astenendosi da tutto ciò a cui io ho sempre desiderato partecipare insieme con coloro che pensano e fanno quello che io amo". (Imperatore Flavio Claudio Giuliano, detto l'apostata. Postilla esplicativa dell'editto con il quale stabiliva l'incompatibilità tra la professione di fede cristiana e l'insegnamento nelle scuole pubbliche).


SCENARI

"La Verità e la Menzogna un giorno s'incontrarono. La Menzogna disse alla Verità: "Oggi è una giornata meravigliosa". La Verità guardò verso il cielo e sospirò, convenendo sulla bellezza della giornata, che indusse entrambe a concedersi una bella passeggiata. Giunte nei pressi di un pozzo, la Menzogna disse alla Verità: "Facciamo un bagno insieme, l'acqua è molto bella". La Verità, che era sempre un po' sospettosa, guardò nel pozzo per verificare, ma anche questa volta si trovò d'accordo con la Menzogna: l'acqua era davvero limpida e invitante. Senza indugio, pertanto, si spogliarono e si tuffarono nel pozzo. Improvvisamente, però, la Menzogna uscì dall'acqua e fuggì, indossando i vestiti della Verità, la quale, indignata più che mai, uscì d'impeto dal pozzo per riprendersi i vestiti, purtroppo senza riuscirvi perché la Menzogna era scomparsa alla vista. Tutto il Mondo, vedendola nuda, distolse lo sguardo e la trattò con rabbia e disprezzo. La povera Verità, doppiamente ferita, tornò al pozzo e scomparve per sempre, vergognandosi molto per ciò che le era accaduto. Da quel giorno la Menzogna gira vestita come la Verità, ben felice di assecondare i desideri del Mondo, che non ha alcuna voglia di incontrare la Verità nuda". (Descrizione del quadro "La Verità che esce dal pozzo", di Jean-Léon Gerôme, realizzato nel 1896 e conservato nel Musée Anne-de-Beaujeu di Moulins, stupenda cittadina quasi a metà strada tra Lione e Parigi). IN PRINCIPIO ERA IL VERBO. FORSE. Dio intimò ad Adamo di non toccare i frutti dell'albero della conoscenza, ma Satana, il padre della menzogna, indusse Eva a disobbedire facendole credere che sarebbe diventata come Dio. La storia dell'umanità, di fatto, sarebbe scaturita da questa carognata di Satana, che può essere cancellata solo ritenendo una menzogna l'intera storiella che costituisce il fulcro del famoso incipit "In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum" e tutto ciò che ne consegue. Forse è azzardato sostenere che tutti mentiamo, anche se per i dotti il dilemma non si pone, essendo per loro chiaro che la menzogna accompagni il genere umano sin dalla sua genesi. Quando essa si trasformi in mistificazione, poi, siamo in presenza di una precisa volontà di sovvertire la verità dei fatti per scopi subdoli e tale presupposto va distinto dal "dire il falso", che può essere anche conseguenza di un errore o di una decisione non necessariamente orientata al male: si può mentire dicendo inavvertitamente il vero, ritenendolo falso; si può dire il falso senza mentire, ritenendolo vero per errore; si può mentire per non ferire la sensibilità di qualcuno o per evitargli inutili sofferenze. La storia dell'uomo è piena di mistificazioni e alcune di esse sono così solide da resistere, almeno nell'immaginario collettivo, anche alle prove schiaccianti che consentono di smascherarle. Costantino, per esempio, viene sempre associato alla figura del grande imperatore, addirittura protetto da Dio!

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La croce che disse di aver visto in cielo prima della battaglia contro Massenzio gli conferì quell'aura mistica, soprannaturale, che per certi versi sopravvive ancora oggi, dopo diciassette secoli! Quanti sanno, invece, che per mantenersi al potere fece uccidere il suocero, la moglie Fausta, il figlio Crispo, il marito della sorella Costanza, il cognato e si comportò da abile "manovratore" giocando sia sul fronte pagano sia su quello cristiano, mettendosi tutti nel sacco? A pochi, e per lo più inascoltati, viene in mente di affermare che sarebbe davvero strano un Dio che decidesse di interferire nelle faccende terrene, favorendo l'uno anziché l'altro per mero "conflitto di interesse". Le mistificazioni, di fatto, hanno avuto un forte impatto sulla realtà, incidendo quasi sempre in modo negativo sugli eventi storici. La rivoluzione francese pullula di menzogne e falsificazioni, tutte tese a privilegiare la visione illuminista e ad oscurare la verità sul Terrore scatenato da Robespierre, mutuando la sua "ferocia" nella repressione delle insurrezioni antigiacobine in "capacità" di portare a termine con ogni mezzo la missione rivoluzionaria. Ancora oggi è impossibile quantificare con precisione il numero delle sue vittime, molte delle quali, tra l'altro, non avevano alcun ruolo nella controrivoluzione. Se anche fosse vero il numero più basso, 16.594, stabilito dallo storico Aurelio Musi nel saggio Le vie della modernità, sarebbero comunque tante. Chi scrive, tuttavia, protende per una cifra che raggiunge le settantamila esecuzioni! L'evento storico più importante del diciottesimo secolo, purtroppo, risente della corposa manipolazione orchestrata da tanti storici d'ispirazione marxista, che offrono una visione artatamente distorta della realtà. Dal marasma menzognero si salva un recente saggio di Beniamino di Martino, La Rivoluzione del 1789. La audacia temeraria igiene spirituale cerniera della modernità politica e sociale, Editore goWare, 2020, che smonta in modo chiaro e incontrovertibile tutti i luoghi comuni presenti in migliaia di opere. Tra le tante mistificazioni che favorirono l'avvento del nazismo è famoso il colossale falso storico rappresentato da I Protocolli dei Savi di Sion, che condizionò non poco il pensiero di Hitler, poi espresso nel Mein Kampf. NEI LIBRI LA VERITÀ. MA NON IN TUTTI. Sono davvero tanti i testi validi che, lasciando trasparire una visione onesta e veritiera della storia, di fatto contribuiscono a smascherare le troppe mistificazioni che l'inquinano. Bisogna fare molta attenzione nella scelta, tuttavia, perché sono molto più numerosi quelli concepiti ad arte per confondere le acque. Un recente saggio di Paolo Mieli, senza avere la pretesa di essere esaustivo, costituisce un buon punto di partenza per stimolare l'appetito e addentrarsi in più significativi approfondimenti: "Le verità nascoste. Trenta casi di manipolazione della storia", Rizzoli Editore, 2019. Ferma restando l'importanza di un articolato excursus in tutte le epoche storiche, chi volesse concentrarsi sul nostro tempo per comprenderne la reale essenza deve necessariamente partire almeno dal Risorgimento: in mancanza di una chiara assimilazione delle vere dinamiche che hanno caratterizzato gli eventi, dai moti rivoluzionari post Congresso di Vienna alla fine della


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Seconda Guerra Mondiale, non sarà mai possibile comprendere divisioni, gap culturali ed economici che perdurano ancora oggi. La conoscenza approfondita dei fatti storici, pertanto, deve essere supportata dalla "correzione" delle tante mistificazioni orchestrate ad arte per fornire una rappresentazione dei fatti rispondente agli interessi di chi, avendo molto da nascondere, sia riuscito comunque a entrare in orchestra, magari come suonatore di strumento primario. L'errore più grossolano che si commette, in chiave di studio, è la scelta di saggi che rispondano a logiche "ideologiche": in pratica si legge ciò che fa piacere leggere e che appaghi la propria visione del mondo, sempre tesa a chiedere conferme di ciò che si crede vero e mai a ricercare la verità, spesso amara. Premesso che l'obiettività analitica è quasi impossibile da ottenere, bisognerebbe quanto meno distinguere i saggi scritti in buona fede da quelli concepiti esclusivamente con finalità mistificatorie, tenendo presente che se si vogliono comprendere i fatti di casa propria è bene anche "sapere" come vengano visti dagli estranei, il che non vuol dire accettare tout court quanto da loro asserito. Lasciando a ciascuno, pertanto, l'arduo compito di scegliere i saggi per la formazione di base, di seguito se ne indicano alcuni che servono "esclusivamente" a smascherare gli imbrogli, in modo da cancellare quei concetti assimilati, anche in modo subliminale, sin dalle scuole elementari, essendo l'esercito dei mistificatori così ben organizzato da riuscire a coprire ogni ambito della conoscenza. Siccome a pensare male si fa peccato ma ci si azzecca quasi sempre, è lecito ritenere che in tanti possano chiedersi fino a che punto la lista risponda a criteri di onestà intellettuale e non scaturisca, invece, da una visione comunque partigiana e quindi intrisa degli stessi presupposti negativi che si imputano ad altri. Sospetto più che legittimo, al quale è possibile replicare solo con un riferimento generico alla storia personale, che dovrebbe fungere da garanzia, e a una semplice spiegazione metodologica, che dovrebbe fugare i residui dubbi, con buona pace di chi scrive e di chi legge se così non dovesse essere. La selezione è stata effettuata privilegiando esclusivamente alcuni testi che consentono di smascherare le falsità storiografiche, prescindendo dall'ambito ideologico nel quale si muove l'autore. Tra i saggi che riguardano l'unità d'Italia, per esempio, non è incluso quello, eccellente, di Giacinto de Sivo: essendo filo borbonico potrebbe essere accusato di partigianeria, proprio come gli storici di segno opposto, nonostante non manchino le critiche e le rampogne nei confronti degli "amici". Chiunque mi conosca sa bene che ho combattuto il comunismo, quando davvero faceva paura, nelle piazze di mezza Europa; nondimeno uno dei saggi più importanti citati nell'elenco, relativamente al periodo buio post 25 luglio 1943, è stato scritto proprio da un comunista. Risorgimento, Unità d'Italia e mancato sviluppo del Mezzogiorno. Giuseppe Buttà, "Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta", Arturio Berisio Editore. Di difficile reperimento la bellissima edizione del 1966, comunque disponibile in alcuni web store. Di facile reperimento, invece, e a prezzo modico, la versione edita da Trabant nel 2009.

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Cesare Bertoletti, "Il Risorgimento visto dall'altra sponda", Arturo Berisio Editore, 1967. Silvio Vitale, "Il principe di Canosa e l'epistola contro Pietro Colletta", Arturo Berisio Editore, 1969. Raffaele De Cesare, "La fine di un regno", Newton Compton Editori, 1975. Giacomo Mele, "Colonia mezzogiorno", Edizioni Europa, 1978. Gabriele Fergola, "Il Mezzogiorno problema nazionale", 1976. Prima Guerra Mondiale Valerio Gigante, Luca Kocci, Sergio Tanzarella, "La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno mai raccontato sulla prima guerra mondiale", Dissensi Editore, 2018. Lino Lavorgna, "Il Piave mormorava", saggio pubblicato a puntate su CONFINI, nel 2018, dal numero 60 al numero 69, disponibile anche, con versione estesa, nella raccolta "Articoli 2018": www.issuu.com/linolavorgna Dal crollo del fascismo alla fine della guerra I saggi validi sono davvero tanti e qui, pertanto, si segnalano solo quelli che risultano fondamentali per arare il terreno ed entrare con adeguata preparazione nell'Italia repubblicana, da leggere nell'ordine in cui sono indicati: Roberto Ciuni, "L'Italia di Badoglio", Rizzoli Editore, 1993; Paolo Monelli, "Roma 1943", Arnoldo Mondadori Editore, 1979; Ruggero Zangrandi, "L'Italia tradita", Mursia Editore, varie edizioni (la più recente è del 2015). Il primo saggio consente di assimilare, pennellate rapide ma ben strutturate e veritiere, il audacia temeraria igienecon spirituale convulso periodo che va dall'8 settembre 1943 al 5 giugno 1944 (liberazione di Roma); il secondo consente di approfondire in modo più esaustivo l'ignobile comportamento dei vertici militari e politici dalla caduta del fascismo alla liberazione di Roma; il terzo volume è ancora più interessante per la ricca messe di documenti e una bibliografia che non tralascia proprio nulla, tra l'altro corredata di importanti note esplicative. L'unica accortezza che bisogna avere - da qui la necessità di leggerlo per ultimo - è di non dare peso ad alcuni voli eccessivamente pindarici sui fatti non supportati da valida documentazione e alla difesa del generale Carboni, che l'autore intende "salvare" dal marasma di marciume che ben traspare in ogni pagina, sicuramente in virtù dei vincoli di amicizia. Carboni è responsabile quanto gli altri per le tragiche vicende della mancata difesa di Roma e, come ben traspare nel saggio di Monelli, il 9 settembre, mentre a Roma molti soldati italiani si immolavano cercando di contrastare i tedeschi, nel più completo sbandamento e senza ordini precisi o addirittura con ordini contrastanti, trovò il tempo di trattenersi "a lungo", in quel di Arsoli, nell'alloggio della bellissima attrice Mariella Lotti, che ivi stava girando il film La freccia nel fianco. Cosa sia accaduto in quelle sei ore non è possibile saperlo, ma non è difficile immaginarlo, a prescindere dalle successive dichiarazioni della Lotti, per lo più tese a smontare il sospetto di un quanto mai inopportuno bunga bunga, suggellate dalla famosa frase pronunciata al termine della visita, e quindi "dopo" le sei ore trascorse insieme: "Non si vergogna, generale, di essere qui a casa mia invece che fra i suoi soldati?".


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Ho glissato su Seconda Guerra Mondiale e fascismo perché sarebbe stato oltremodo difficile rispettare un presupposto di obiettività, considerata la mole impressionante di saggi disponibili, con tesi contrapposte e fatti irrisolti. MISTIFICAZIONE E FILOSOFIA Al di là dei fatti che traspaiono dalla storiografia, sincera o menzognera che fosse, è interessante approfondire la materia dal punto di vista filosofico, perché anche in questo campo non mancano le sorprese. I filosofi, si sa, più di tutti riescono a vedere le cose da una prospettiva capace di metterne in luce aspetti non facilmente percepibili e ciò determina, a volte, dei veri e propri sconvolgimenti concettuali. Nietzsche, per esempio, nel saggio "Verità e menzogna in Senso Extramorale", sostiene che le verità siano illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, e non più come monete. L'uomo si serve di concetti che sono "residui di metafore" e ha dimenticato di avere inventato lui stesso ciò che chiama verità. Se la verità è una pia illusione, quindi, la menzogna diviene regola e pertanto "nessuno dice bugie". Una visione che contrasta nettamente con quella offerta da Kant, per il quale la menzogna esiste ed è un vero flagello. L'argomento è ampiamente sviluppato nell'opera "La metafisica dei costumi", in un capitolo dedicato alla "dottrina della virtù". Per Kant, sostanzialmente, "il mentitore impedisce agli uomini di trarre alcun beneficio dal colloquio con l'altro, mina i fondamenti della comunicazione umana infrangendo l'equazione di pensiero e linguaggio ed è causa del fatto che alle dichiarazioni non si dia più credito in generale, per la qual cosa tutti i diritti basati su contratti sono destituiti di fondamento e perdono la loro forza: e questo è un torto commesso a tutta l'umanità". Paul Feyerabend sosteneva che "i filosofi sono grandi artisti nel trovare meravigliose ragioni per azioni crudeli" e l'asserzione calza a pennello per il "filosofo tedesco", come con evidente disprezzo lo definì Benjamin Constant, che acuisce il suo radicalismo in difesa della verità assoluta allorquando arriva a sostenere che sarebbe un delitto la menzogna riferita a un assassino che ci chiedesse se il nostro amico, da lui inseguito, non si sia rifugiato in casa nostra. Per Costant dire la verità è sì un dovere, ma solo nei confronti di coloro che hanno diritto alla verità. Asserzione senz'altro più accettabile ancorché anch'essa passibile di legittima confutazione in chiave etica. La querelle tra i due singolari personaggi, che duellarono a distanza utilizzando gli appellativi di "filosofo tedesco" e "filosofo francese", è molto interessante e trova ampia trattazione nel saggio "La verità e la menzogna. Dialogo sulla fondazione morale della politica", Bruno Mondadori Editore, la cui lettura è vivamente consigliata. La copia in mio possesso risale al 1998 e costava diciottomila lire. Ho verificato la disponibilità attuale all'atto della stesura di questo articolo, purtroppo con esito negativo, come spesso accade per tante opere di pregevole fattura che non vengono ristampate perché ritenute commercialmente non interessanti. Qualche copia è disponibile su "Amazon", al costo di cinquanta euro, ossia ben 41

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euro in più del prezzo stabilito dall'editore, evincibile nei web store ufficiali. Presumo di poter dire senza grosso rischio di essere smentito, tuttavia, che un saggio edito da Passigli nel 2008 ne ricalchi la struttura, almeno stando a quel che ho visto nella presentazione: s'intitola KantConstant il diritto di mentire e anch'esso riporta sia il citato capitolo di Kant sia il breve trattato dell'allora trentenne brillante parigino, "Delle reazioni politiche", con il quale confuta la tesi kantiana, trovandosi tra l'altro in buona ed eccelsa compagnia di predecessori e successori. Non sono pochi, infatti, i filosofi in dissenso con la prospettiva rigorista di Kant, tra i quali spicca Machiavelli, che nel Principe funge da vero apologo della menzogna, raccomandandola come strumento lecito e addirittura necessario per ben governare, in special modo quando possa servire a combattere la "fortuna avversa" che intralcia l'azione del principe. Subito dopo Machiavelli si sviluppò una letteratura favorevole alla menzogna, che vide tra i principali protagonisti Giuseppe Battista, Celio Calcagnini, Celio Malespini e Pio Rossi, autori di quattro trattatelli molto "istruttivi": un esame della reticenza, un'illustrazione apologetica dell'arte del falsario, una lezione sulla buona convenienza del mentire, una classificazione di termini concetti e comportamenti mendaci. L'editore Sellerio, nel 1990, ha pubblicato i quattro trattatelli in un volume intitolato "Elogio della menzogna", manco a dirlo, anch'esso oggi irreperibile, eccezion fatta per qualche copia disponibile presso la libreria "Tomi di Carta", a Rozzano, secondo quanto ho verificato in rete e che quindi potrebbe essere vero oggi e non domani. Allo stesso periodo, e senz'altro caratterizzati da maggiore successo, risalgono anche il Libro del Cortegiano di Baldesar Castiglione e il Galateo di Giovanni della Casa, che raccomandano di modulare con massima cura le menzogne, "acciocché sia guadagnata la benevolenza ma non persa la fiducia: perché i bugiardi a lungo andare non sono creduti, né ascoltati, come s'eglino non favillassero, ma soffiassero". Sorvolando su una miriade di filosofi e scrittori "minori", i cui lavori possono risultare interessanti esclusivamente in ambito accademico, facciamo un salto fino a Shopenhauer che, nel Fondamento della Morale, si spinge a considerare la menzogna una "legittima difesa contro una curiosità non autorizzata". Pochi anni dopo gli farà da eco Oscar Wilde che, nel più rilevante dei suoi dialoghi filosofici, La decadenza della menzogna, (Alleluia! Questo testo è facilmente reperibile, addirittura anche con titolo leggermente diverso: La decadenza del mentire), esprime una strenua difesa del diritto di mentire tramite l'illusione poetica, condensando l'aspirazione umana alla bellezza nella massima: "Primo dovere dell'uomo è quello di risultare il più artificiale possibile, il secondo nessuno l'ha ancora scoperto". Per l'istrionico ed eclettico saggista produrre arte vuol dire trasfigurare la realtà e deviarne i fini naturali, così aspri e veri da renderli insopportabili. Per rendersi "sapienti" occorre dedicarsi alla suprema arte della menzogna al fine di riprodurre un mondo artificiale che veda proprio nel mentire il più sublime esercizio del sapiente. Attraverso il confronto con le opere d'arte e con gli esiti della critica a lui contemporanea, Wilde mette alla prova le proprie teorie per giungere ad allontanare sempre più l'arte e la vita dalle catene della verità.


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MISTIFICATORI DI OGGI Relativamente al periodo contemporaneo si può senz'altro fare riferimento alla ricca collezione di CONFINI, che offre un quadro d'insieme così ben strutturato da consentire una facile individuazione del poco grano nel pur vasto terreno invaso dal loglio. Nel numero 40 (gennaio 2016), per esempio, è ben spiegata la grande mistificazione orchestrata da Blair e Bush per attaccare l'Iraq nel 2003: le armi di distruzione di massa che nessuno ha poi trovato e della cui assenza il governo statunitense era a conoscenza grazie all'ottimo lavoro svolto dall'agente della CIA Valerie Plame. Come ben noto quella sciagurata guerra determinò la nascita dell'ISIS. Chi volesse individuare nelle dichiarazioni dei politici di oggi i sintomi riflessi di un'apologetica della mistificazione che viene da molto lontano, può senz'altro trovare nei saggi segnalati ottimi riferimenti a sostegno delle proprie tesi, senza mai dimenticare, tuttavia, ciò che diceva Charles Dickens: "Tutti gli imbroglioni della terra messi insieme sono nulla in confronto a coloro che ingannano sé stessi". Chiedo venia, pertanto, se per quanto concerne l'oggi mi fermo qui e non aggiungo altro. Sono figlio di genitori straordinari che prima mi hanno donato la vita e poi mi hanno insegnato a viverla in modo degno. Tra i tanti loro precetti ve n'è uno, molto significativo, che m'impone di fermarmi: "Non perdere mai tempo per criticare i piccoli uomini che dovessero conquistare importanti posizioni di potere, poi inevitabilmente difese con l'artificio della menzogna e della mistificazione. Non essendo responsabili delle loro malefatte, rampognarli vuol dire solo conferire loro immeritato onore e perdere di vista i veri colpevoli". Mi hanno anche insegnato il valore dell'umiltà, del rigore esistenziale, di un sano equilibrio nella valutazione di tutte le cose e che il rispetto del prossimo non può prescindere da quello verso sé stesso. In ossequio a questi precetti, quindi, e a quelle lontane radici che si perdono nella notte dei tempi, accomunandomi al fiero popolo che diede i natali ad Alboino e Adelchi, non mi è proprio possibile concludere un articolo nel quale compaiono nomi imponenti parlando di nani, zoccole e ballerini che si credono giganti, dame di corte e danzatori del Bolshoi. Non possumus, non volemus, non debemus. Lino Lavorgna

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TEMA DI COPERTINA

LA GUERRA DELLE PAROLE Il carissimo amico-direttore ha concluso la sua comunicazione circa l'argomento del mese con una notazione: la pervicacia del pensiero 'unico' è un male che arriva dall'Occidente. Ed è questo un aspetto che m'intriga particolarmente perché dovrà pur esserci stata una ragione perché la tradizionale liberalità occidentale o, meglio, europea sia stata cancellata dalla mistificazione più retriva volta ad imporre e a sostenere un assolutismo, pseudo-ideologico-cultural-politico, lontano mille anni luce dall'aggettivazione di 'illuminato' che pure lo ha contraddistinto nel tempo. È stato proprio il concetto di 'illuminato', infatti, a sostenere il pensiero di Tommaso Campanella, di Thomas Hobbes, di Tommaso Moro e di Niccolò Machiavelli nel loro cammino verso l'assolutismo; grandi pensatori che hanno tradotto nelle loro opere un'astrazione che, in determinate situazioni, può avere avuto una ragion d'essere: un contratto siglato tra individui, che decidono di loro spontanea volontà di privarsi dei poteri per conferirli a una sola persona. Il prodotto di questo contratto era, di solito, la figura del sovrano, grazie alla quale la moltitudine di individui poteva vedersi come un corpo politico unitario. Un precedente significativo, peraltro, lo ritroviamo nella figura del dictator romano dove il Senato, a fronte di situazioni estremamente scabrose, annullava i percorsi legislativi ed esecutivi per conferire in un arco temporale il potere complessivo ad un solo soggetto il quale, esaurita l'emergenza, restituiva il mandato. Anche in questo caso, comunque, era la moltitudine o i suoi rappresentanti a decidere liberamente un restringimento temporaneo degli spazi di 'democrazia', sia pur connotata dall'epoca. Oggi, invece, siamo ad un assolutismo dove, all'inverso, la volontà di pochi s'impone sulla libertà di molti e la sovrasta fino ad annullarla. E di un tale atteggiamento pseudopolitico, amorale, non c'è traccia nel passato se non in deprecate dittature dalle quali l'impianto attuale si differenzia solo perché intimamente legato ad un atteggiamento di vasta, nauseante, ipocrisia. Infatti, pur stigmatizzando nella maniera più categorica il fascismo, il nazismo e il socialismo realizzato, almeno quelle ideologie e gli Stati che le hanno praticate non nascondevano i loro comportamenti coercitivi, i pervasivi sistemi di governo, gli stringenti meccanismi per la formazione della volontà nazionale. Per avere un'idea, basta leggere i primi paragrafi della Carta del Lavoro di Bottai del 1927: "I. La Nazione italiana e un organismo avente fini, vita, mezzi di azione superiori, per potenza e durata, a quelli degli individui divisi o raggruppati che la compongono. È una unità morale, politica ed


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economica, che si realizza integralmente nello Stato Fascista. II. Il lavoro, sotto tutte le sue forme, …, è un dovere sociale. A questo titolo e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato. Il complesso della produzione è unitario dal punto di vista nazionale; i suoi obiettivi sono unitari e si riassumono nel benessere dei singoli e nello sviluppo della potenza nazionale. […] IV. Nel contratto collettivo di lavoro trova la sua espressione concreta la solidarietà fra i vari fattori della produzione, mediante la conciliazione degli opposti interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori e la loro subordinazione agli interessi superiori della produzione. […]." In sostanza, l'Italia, come la Germania, la Russia e gli Stati all'interno della Cortina di Ferro nonché per certi versi, il Portogallo con il suo Estado Novo venuto meno nel 1974 e la Spagna, franchista fino al 1975, li possiamo definire Stati etici dove il comportamento di ogni singolo cittadino era dettato dallo Stato, appunto, in omaggio ad una ideologia totalizzatrice di ogni e qualsivoglia istanza individuale. E ciò, senza infingimento alcuno. Per inciso, come la storia ci narra, questo non ha impedito alle nazioni civili e democratiche dell'epoca di intrattenere rapporti politici ed economici non solo con la Spagna ed il Portogallo nelle loro vesti dittatoriali ma anche e soprattutto con l'Italia fascista, la Germania nazista e la Russia comunista. Chiuso l'inciso, oggi l'ipocrisia più becera sostiene la ferrea imposizione di un fondamentalismo che definirlo 'ideologico' mi vien da vomitare, il quale, attraverso vere e proprie 'Vergini di Norimberga' dipinte con smaglianti quanto fatui colori, mistificati per 'democrazia', 'altruismo', 'bene comune', sta cancellando ogni spazio di libertà in nome di un adulterato 'politicamente corretto' che, in origine, avrebbe dovuto essere unicamente volto a privare ogni espressione, nella forma e nella sostanza, da ogni tipo di pregiudizio razziale, etnico, religioso, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativo a disabilità. Ne è passata di acqua sotto i ponti dagli anni trenta americani; da quando, cioè, la 'battaglia' per il politically correct era tipica degli ambienti di intellettuali statunitensi di sinistra d'ispirazione comunista. In verità, quell'impegno non ottenne grandi successi; poi, la ventata nazionalista del conflitto e il successivo maccartismo accantonò per alcuni decenni qualsiasi intento seppur velatamente rosato. Ci riprovarono negli anni '80 alcuni movimenti giovanili d'ispirazione liberal e radical il cui obiettivo era il multiculturalismo e la riduzione di alcune consuetudini linguistiche, giudicate discriminatorie nei confronti di minoranze. Le uniche vittorie che ottennero furono quelle di accreditare afro-americans al posto di niggers e gay invece di faggot. Ma gli anni '90 erano alle porte. Sicuramente sarà una mia errata convinzione ma credo fermamente che da quegli anni lo scenario del cosiddetto Occidente sia cambiato, in peggio, e si sia differenziato. Per fare un po' di fantapolitica, è come se, da allora, oligarchie finanziarie apolidi abbiano congiuntamente messo in atto una diversificata strategia: da una parte dell'Atlantico, già patria dello sfrenato liberismo capitalista, la cerca di occasioni d'intervento armato e l'acquisizione di debiti ai fini del controllo e, dall'altra parte, patria del rinascimento, del diritto, del welfare state, lo smantellamento di ogni ostacolo alla circolazione dei capitali nonché di ogni tutela a fini sociali che possa intralciarli.

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La passata debacle vietnamita e il derivante gravame psicologico allora ancora persistente tra le vecchie e le nuove generazioni, ha con ogni probabilità mosso l'America a rivedere le vesti del suo imperialismo varando il militarismo umanitario. Proprio in quegli anni, infatti, Papà Busch effettuò il primo intervento contro quel 'mostro' di Saddam Hussein, sospinto e sostenuto per anni nella guerra contro l'Iran scita divenuto feroce avversatore della bandiera a stelle e strisce dopo la rivoluzione komeinista; un intervento stranamente a metà, sospeso dopo la 'liberazione' del 'povero' Kuwait dall'invasore iracheno, lasciato poi libero di fare strame dei curdi. Dichiarati scopi umanitari legati al dramma della guerra etnica motivarono Clinton nell'ignorare il divieto ONU di bombardare l'ex Repubblica di Jugoslavia: i bombardamenti americani durarono ben settantotto giorni e scaricarono su quelle terre 2.700 tonnellate di esplosivo. Quella, peraltro, fu la prima volta che veniva stracciato brutalmente un accordo internazionale considerato uno dei pilastri dell'ordine postbellico: quello di Helsinki, secondo cui i confini degli stati continentali avrebbero dovuto essere intangibili. La violazione della Carta dell'Onu, inoltre, apparve ben più grave perché non ci fu nemmeno una sembianza di chiamata dall'interno: la popolazione serba, compresi tutti dissidenti, furono semplicemente orripilati dall''aggressione'. Non so se Michael Moore e il suo Fahrenheit 9/11 abbiano ragione ma è certo che le famigerate armi di 'distruzione di massa' irachene sono ad oggi ancora irreperibili; in ogni caso, l'attacco alle Torri e l'arsenale fantasma motivarono il secondo intervento in Iraq da parte di Busch figlio che, stavolta, eliminò lo scomodo ex-alleato al costo di circa 8.500 morti americani tra militari e contractors. Il prezzo dell'esportazione della democrazia che, tuttavia, a distanza di dieci anni dalla fine del conflitto, non riesce ancora ad insediarsi stabilmente. In ogni caso, la cessazione di quelle ostilità si può dire che abbia aperto un altro fronte ancora in corso: quello contro il terrorismo. Comunque, un simile lodevolissimo intento, sempre dello stesso autore, era già in essere da due anni all'altro capo del mondo: in Afghanistan dove da ben vent'anni la forza delle armi s'industria ancora di introdurre la democrazia. Certo, il motivo originario scatenante fu il rifiuto delle autorità talebane, tanto coccolate in precedenza, di accogliere le richieste USA circa la consegna alla giustizia americana di comprovati terroristi tra i quali il famigerato Osama Bin Laden. Ma, come noto, sono nove anni che il suo piè mortale non calca più la terra e che la sua organizzazione ha il fiato talmente corto che rasenta l'asfissia. Tacciamo, per carità di patria, sullo sbatacchiar di lame di trumpiana memoria verso la Corea del Nord e l'Iran. In pratica, ciò che voglio significare col mio ragionamento casareccio è che da quasi un trentennio, ad eccezione dell'Obamacare, la politica americana sembra massimamente rivolta all'esterno come se non vi siano motivi sufficientemente importanti d'impegno all'interno. Come se sul piano sociale, ambientale, di parità di genere, di tutela delle minoranze ed altro gli USA siano la Luce di riferimento. In realtà, l'unica Luce universalmente riconosciutagli è quella che emana la fiaccola della Signora Coronata su Liberty Island, antistante il porto di New York, a simbolo della Libertà. Ed è sull'articolata interpretazione del concetto di libertà che gli USA trovano il loro punto di forza: ' … Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità:


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che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; … […] recita il II capoverso della Dichiarazione d'Indipendenza. Una libertà che, come detto in altre occasioni, non si discosta dal saltare in groppa al cavallo e, pistola al fianco, dirigersi liberamente, con intraprendenza, verso la Frontiera, il mitico Far West. Per farlo, non necessitano vincoli, limiti, blocchi oltre l'umana decenza. E questo sembra che i Presidenti americani, soprattutto dagli anni '90, l'abbiano ben compreso. Comunque, resta il fatto che l'industria degli armamenti è tra i maggiori volani dell'economia statunitense: i contratti militari muovono, con quasi 800 miliardi di dollari all'anno, la ricerca nonché il settore siderurgico, metalmeccanico, chimico, elettronico ed ancora tante altre branche non escluse quelle dei contractors, gli eserciti privati. Alcuni aspetti vale la pena di sottolinearli. intanto, la crescita economica americana, possiamo ben dire, è fortemente 'stimolata' dall'intervento pubblico. Una crescita che, peraltro, non deve sottostare ad impianti contributivi sociali ed a vincoli ed obblighi contrattuali e normativi. Una situazione di 'libertà', quella, che ha consentito e consente alla Borsa americana, in piena pandemia, di realizzare delle incredibili performances e all'economia di osservare un tasso di disoccupazione poco oltre il fisiologico, addirittura in calo. Peraltro, è ironico il fatto che negli USA categorie di non vedenti, di diversamente abili, di non udenti, di non deambulanti sovente rifiutano tale dizione: solo di quella non sanno che farsene. Semmai, l'unico pericolo sull'orizzonte degli yankee è la Cina che da Paese dichiaratamente comunista è ben più 'libero' e disinvolto di loro, anche oltre l'umana decenza. Comunque, gli States sono così, senza infingimento alcuno dove l'unica manipolazione, se volessimo cercarla, potremmo trovarla nell'iter di formazione del consenso popolare, i governati, che è scontato quando 'sporchi' pellerossa scalpano dei miti coloni. Perciò, fanno indubbiamente parte del cosiddetto Occidente ma, ad oggi, c'è da chiedersi se, venuta meno la necessità di contrapposizione tra Est ed Ovest, al punto che la NATO è costretta continuamente a reinventarsi, l'Europa in generale e l'Italia in particolare appartengano allo stesso concetto geopolitico. E la mia sommessa risposta è NO. 1 C'è un bellissimo articolo di Marcello Veneziani al riguardo anche se il contenuto è in relazione al libro di Spengler 'Il tramonto dell'Occidente': comunque, sono significative le ragioni addotte dall'intellettuale a sostegno della diversità. Invece, per quanto più modestamente mi concerne, a fare la differenza dell'Europa è, come dicevo prima, una gocciolante ipocrisia che impiastriccia ogni suo atto; da un lato, una gioiosa peccatrice, sia pur con cipiglio attenta alla forma e al bon ton, dall'altro una suffragetta stizzosa, preda di pulsioni sessuali, che nel mentre si ostina a fustigare con furia i costumi degli astanti prova ad ingraziarsi la peccatrice per apprendere tecniche amatorie così da movimentare almeno i suoi sogni. Scherzi a parte, il suo è un atteggiamento da Precettore d'antan affetto improvvisamente da senilità precoce il quale, anziché continuare a forgiare giovani menti su ariosi concetti di vita in

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uno scenario globale, ha preso ad alternare rigidi insegnamenti su come rassettare la stanza e la branda a vuote rassicurazioni di utilità e di convenienza sociale. Sarà stata anche pervasa, originariamente, dallo spirito ordoliberalista, come dicevamo nei due numeri precedenti, ma il senso di responsabilità si è perso nei nefasti urlacci del sergente Hartman contro Palla di Lardo e la funzione ordinatrice non ha più incontrato soggetti autorevoli da pervadere. L'odierno assolutismo europeo, peraltro scrollato dalla pandemia, rispetto al passato non possiede basi dottrinarie né si avvale di significativi impianti culturalpolitici ma, esclusa la brutale repressione fisica, trova comunque la forza della costrizione su leve economiche e finanziarie, a svantaggio di interi popoli piuttosto che di singoli dissidenti. Peraltro, senza neppure il più vago accenno ad iniziative che abbiano un sapore ed un colore politico. Tuttavia, il suo agire in mano a ragionieri, è spacciato come il Verbo anche se si fonda unicamente su ferree normative tecniche e su specifici impieghi finanziari, dichiaratamente miranti nientepopodimeno che alla coesione comunitaria. Purtroppo, come abbiamo detto tante di quelle volte che a ripeterlo mi fa uggia, è ancora vero che la moneta unica non ha basi economiche comuni né s'intravede una politica confacente; eppure, Maastricht dal '94 detta condizioni stringenti sui bilanci nazionali. Che non c'è una volontà di uniformare i regimi fiscali creando, nei fatti, una illecita concorrenza tra Stati quando l'acquis communautaire condanna quella tra privati. Che i trattati non pongono le questioni sociali tra le materie d'interesse comunitario, neppure in via tendenziale, lasciando praticamente inalterati i gaps tra Stati e al loro interno tanto che le Regioni d'Europa beneficiarie del FESR sono le stesse da circa quarant'anni. Che non esiste una politica estera europea nonostante la presenza di un Alto Rappresentante per gli affari esterni il quale può solo riflettere tra sé, ammesso che lo faccia. Che non esiste un esercito europeo. Come non esiste nemmeno in tendenza una convergenza ordinamentale giudiziaria se non, indirettamente, per un piccolo pugno di reati. Neppure una politica comune sui vaccini riesce a fare. Eppure, l'Unione sente l'irrefrenabile bisogno di magnificare l'area sulla quale ha giurisdizione con appellativi come spazio di sicurezza, di giustizia e di libertà. Nei fatti, ciò che funziona alla grande è la libera circolazione delle merci e dei capitali. Nemmeno tanto quella delle persone. Con la costante attenzione, ovviamente, a non scontentare i mercati finanziari. Detto questo, quel che m'intristisce di più è che dal '94 ad oggi, al di là di qualche spicciolo trattato di apparenza, non si registra un salto in avanti, un colpo d'ala che schiodi l'Europa dalla morta gora nella quale si è cacciata: una sorta di malebolgia, invertita nel contrappasso, nella quale sono affossati i novelli Dante, per giunta pervasa dal pensiero debole per dirla con Gianni Vattimo. Sull'orizzonte europeo non si stagliano più personaggi del livello di Mitterrand e di Kohl, sostituiti da sbiadite immagini che per dovere di facciata si atteggiano a quadri d'artista. Come non ci sono più, per venire a noi, figure del livello di De Gasperi e di altri personaggi che, dal dopoguerra, nel giro di vent'anni hanno interamente convertito l'economia di questo Paese e lo hanno lanciato nei 7 Grandi. Certo, come dicevamo in altre occasioni, la storia degli anni '90 ha successivamente


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condannato la loro compromessa moralità ma questo nulla toglie al fatto che erano dei giganti rispetto al nanismo dei 'moralizzatori' successivi con i quali il debito ha preso a lievitare, la spesa sociale a contrarsi, la disoccupazione a crescere, la famiglia a disperdersi e la politica ad imboccare una scesa senza fondo fino ad arrivare ad un ottuso fondamentalismo, spacciato per illuminato. Un ottuso fondamentalismo becero che, per quegli strani giochi del destino, si è accompagnato a eredi del socialismo realizzato che per rincorrere la modernità hanno dissipato il patrimonio. Portatori di una fatua pseudopolitica i primi e i secondi in cerca di battaglie civili radical chic per motivare un'esistenza ma ambedue assertori di essere conclamati Corifei della Verità, colte Guide nella Via e sapienti Maestri nella Vita, pronti come novelle Erinni a fare strame di chi osi persino dubitare del loro agire. Ma, almeno per l'Italia, non vale la pena di continuare a parlare: finalmente, le bocce hanno ripreso a rotolare e vedremo dove e come si fermeranno. Un aspetto, tuttavia, vorrei sottolineare in conclusione: quello della mistificazione che, per un verso o per un altro, sembra oggi animare ogni agire politico. È vero da millenni che la cosiddetta Ragion di Stato, qualunque essa sia, ha sempre avuto necessità di essere esaltata, nobilitata, persino rovesciata pur di apparire necessaria agli occhi dei più. Ma mai, come in questi ultimi trent'anni, il ricorso alla mistificazione degli intenti, ad esser buoni ormai di livello misero, ha colpito indiscriminatamente e si è accompagnata ad una strenua, quasi maniacale opera di travisamento e di intolleranza nei confronti degli avversari. Se volessimo scherzarci su potremmo ricorrere a Freud secondo il quale la mistificazione può anche essere considerata come un meccanismo di difesa dell'uomo che nei disagiati psichici è più accentuata e ritenere che nel mondo un tale disturbo stia dilagando senza freno. In realtà, credo che un fenomeno degenerativo del genere si accompagni ad un altro fenomeno, il cosiddetto postmodernismo che legittimando il fatto che gruppi di persone possano utilizzare lo stesso linguaggio per indicare realtà molto diverse tra loro e soggettive, sta cancellando fonti di comunicazione e di senso realmente autentiche, stabili o anche semplicemente oggettive. In sostanza, siamo alla guerra delle parole dove una parte di minoranza la gestisce e l'altra parte di maggioranza la subisce, in mancanza di voglia e di tempo nella corsa forsennata della vita attuale per accertare la fondatezza. Proseguendo la fanta-ipotesi, che sia anche questa una strategia degli oligarchi apolidi della finanza? Detto questo, mi stavo avviando verso la conclusione cercando una qualche frase ad effetto quando, girandomi, gli occhi mi sono caduti su un'opera del custode della Tradizione, René Guénon, che nel '45, quasi con visione profetica, scriveva: ' […] La falsificazione di tutte le cose è, come abbiamo detto, uno dei tratti caratteristici della nostra epoca. Ciò che meglio la mette in evidenza è forse quella che possiamo chiamare la falsificazione del linguaggio, vale a dire l'impiego abusivo di alcuni termini distolti dal loro significato vero, impiego che è in qualche modo imposto attraverso una costante suggestione da parte di tutti coloro che, in un modo o nell'altro, esercitano un'influenza di qualche genere sulla mentalità pubblica. Né si tratta solamente di quella degenerazione a cui facemmo in precedenza

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allusione, in conseguenza della quale molte parole hanno finito col perdere il loro senso qualitativo che avevano in origine, per conservarne soltanto uno completamente quantitativo; è piuttosto un 'deviamento', in virtù del quale certe parole sono applicate a cose che non vi si addicono assolutamente, e che talvolta sono anzi opposte a quelle che tali parole normalmente significano. Si tratta innanzitutto di un sintomo evidente della confusione intellettuale che regna dappertutto nel mondo attuale… […]2. Che dire di più? Roberta Forte

Note: 1. http://www.marcelloveneziani.com/articoli/occidente-decadenza-o-novazione/ 2. René Guénon – Il regno della quantità e i Segni dei Tempi – Adelphi 1982 – p. 205


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L’ECLISSI DELLA VIRTU’ Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza (verso 119 canto XXVI) In una famosa terzina, il divin poeta ci riporta al tema del mese che la redazione, puntualmente, ha sottoposto alla nostra attenzione, auspicando una riflessione che con tutti i limiti che caratterizzano il sottoscritto, certamente, ha suscitato ampia curiosità, rinnovando argomentazioni già trattate in altre occasioni ancorché su tematiche differenti. Consapevole dell'importanza dell'argomento e come tanti altri, umile spettatore dell'operetta che i media ci propinano con i balletti e le piroette di molti personaggi in cerca d'autore, ho atteso il 12 febbraio 2021 per scrivere queste mie considerazioni su uno spettacolo che certamente, si pone in antitesi rispetto ai propositi danteschi. Il 2021 ha scatenato i media dalla saga amerikana alla caduta dei semidei nostrani. I media ci hanno davvero propinato l'impossibile tra l'idea del modello americano quando il divino Trump è inciampato nelle trappole del Biden sino al nostrano titolato (solo nel cognome) che dapprima cerca di cooptare improbabili "costruttori" attraverso i giannizzeri gieffini (meno male che non hanno usato il termine "architetti" per il parallelismo sul progetto politico sarebbe stato davvero evidente), ergendosi a coordinatore del NCSO (nuovo centro sinistra organizzato) si è tentato di fare scempio di quel brandello di volontà popolare che qualcuno si ostina a chiamare "VOTO". I media erano impegnati in una unica direzione: terrorizzare il popolo dei social sulle conseguenze del Corona Vaiurus (un nobile richiamo al ministro degli esteri), mentre, da mesi, si consumava una lotta intestina sulla spartizione del bottino del recovery fund da 209 miliardi di euro (sul numero scorso di Confini ho pubblicato un grafico eloquente sulla spesa) dove i depositari del sapere governativo, avevano indirizzato una buona fetta dei fondi verso i servizi "inclusivi" che si trovavano in due voci che da sole rappresentavano 1/3 della spesa complessiva, mentre turismo e cultura erano i fanalini di coda con buona pace dei propositi di sviluppo dei due settori strategici nazionali per far posto a servizi ed operatore di servizi che nulla producono se non emarginazione, ghettizzazione e spesa improduttiva. I media nazionali, nessuno escluso, erano tutti intenti a distrarre il popolino da quella possibilità; dobbiamo "ringraziare" il buon fiorentino (non mi riferisco al sommo poeta) se è sorta una crisi proprio su quella spartizione, in quanto, diversamente, ci saremmo tenuti, dopo gli stati generali di maggio (su cui abbiamo scritto), dopo il comitato tecnico scientifico (dove non ci sono

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immunologi ma molti manager e sociologi), dopo il divin Arcuri che con le mascherine fantasma o stile panno antipolvere, i banchi a rotelle, gli spot televisivi (gli Hub delle primule da 400mila euro cadauno) e tanto altro, ha fatto ridere mezzo mondo (l'altra metà stava seriamente affrontando i problemi pandemici); ci è stato sottoposto un bel minestrone dal quale, effettivamente, sono emerse le contraddizioni di questi arruffapopoli che con estrema disinvoltura, passavano da un argomento all'altro, dimenticando, che il debito a contrarre da 209 miliardi inciderà, per i prossimi 30 anni, sulle generazioni future,,,, ma non su tutte, solo sui lavoratori, sugli autonomi e su coloro che in questo paese vogliono fare impresa seriamente. In realtà, vi è stato un bieco tentativo (in parte riuscito) di snervare le ultime sacche di resistenza ancora attive in una Italia dove il pensiero unico diviene ogni giorno più evidente tanto da concretizzarti in un governo che racchiude l'intero arco costituzionale ad eccezione, formalmente, di un partito il quale parrebbe solo marcare una diversità attraverso l'astensione che non è null'altro che condivisione (il mio maestro, illustre cattedatrico, ordinario di procedura penale presso l'università degli studi di Bari, con riferimento ad alcuni clienti del suo studio professionale, diceva "una mano devi usarla per stringere la loro (perché è il tuo mestiere) con l'altra devi allontanarli (per evitare di condividere le loro scelte). Ebbene che differenza c'è tra chi si astiene e chi condivide in politica? ...nessuna se non una mera operazione di facciata, Ascoltare autorevolissimi esponenti di LEU censurare la presenza della Lega per poi condividerne il percorso è ancor peggio della astensione proclamata dai Fratelli d'Italia che hanno rinunciato alla indicazione di soggetti da collocare sulle poltrone, oppure ascoltare le parole di Zingaretti che con il suo sorrisino da esponente della onnipresente maggioranza, a prescindere dai risultati elettorali, ci dice che Salvini si è spostato sulle sue visioni europeiste ed atlantiste (nuovo vocabolo coniato) farebbe accapponare la pelle a Berlinguer nonostante la sua proverbiale mitezza e ponderatezza. Credo occorra una seria presa di coscienza da parte del popolo di quanto sia insulso il comportamento di chi, apparentemente, lo rappresenta in dispregio delle più elementari regole del diritto costituzionale; la riflessione dovrebbe passare attraverso una chiamata in responsabilità …che non è un argomento ostico da comprendere ma di disarmante ragionevolezza; una democrazia compiuta si esprime attraverso il voto e nel rapporto tra l'elettore e l'eletto. Se si continuano ad eleggere perfetti sconosciuti che risiedono a mille chilometri di distanza (cito, ad esempio, la Ronzulli e la Santanché, elette nel proporzionale nel collegio Bari Sud, dove, probabilmente, non hanno mai messo piede) ovvero, se si consente la candidatura in più collegi per attribuire un paracadute ai più accorsati, quale risultato mai possiamo avere?, ….i responsabili o i costruttori! Cosi ribattezzati dai pennivendoli di regime che in altra occasione, li definivano voltagabbana, traditori o venduti coniando termini come "scilipotismo" …gli stessi che hanno tentato di nobilitare sinanche il tentativo di Mastella di porre a capo dei responsabili al servizio del Prof. Avv. Giuseppe Conte, la Sig.ra Lonardo (con profondo rispetto sottolineo che la censura è politica e non di certo sulla morale delle persone che va tenuta indenne), responsabili


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di cui facevano parte anche l'ex presidente della regione Lazio ed una fedelissima del Cavaliere soprannominata dai maligni, la "badante" in sintesi una badante responsabile!. Basterebbe legare la candidatura alla effettiva residenza nell'ambito del collegio da almeno cinque anni, in un collegio uninominale secco senza quota proporzionale, ed impedire la candidatura in più collegi con una soglia di sbarramento al 2% (il 2% rappresenta quasi un milione di elettori in Italia….. se si pensa che Speranza governa con meno consenso). Credo sia di disarmante semplicità…. argomento troppo ostico da comprendere specie dopo l'avvento della marea grillina che del proporzionale ne fa bandiera, fra una piroetta ed un'altra…….. da mai con il partito di Bibbiano a mai più con la Lega per poi stare tutti insieme appassionatamente nell'interesse dell'Italia! Mai visto nulla di simile. Se pur vero che solo gli stolti non cambiano idea…. ma qui si esagera davvero! Ne è stufo lo stesso Di Battista che, coerentemente, si è fatto da parte anche se, per lo spirto battagliero che lo contraddistingue, dovrebbe combattere come faceva ai tempi delle litigate con Speranza nel 2016 (millenni fa ormai), in primis, i giocolieri e comici del movimento e non astenersi . Ormai il pensiero unico non è un rischio ma una triste realtà, plasticamente rappresentata in Italia da un governo che ne è la rappresentazione effettiva; occorre una presa di posizione cosciente e determinata che del rispetto, delle regole democratiche e del reale confronto dovrebbe essere bandiera da non ammainare mai. Emilio Petruzzi

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IPOCRISIA "L'omaggio che il Vizio rende alla Virtù" (François de La Rochefoucauld)

Così come è assodato che il 2020 sia stato un "annus horribilis", è altrettanto certo che per il 2021 tutti noi si auspichi una ripresa che possa essere, nel tempo e per molti versi, una sorta di rinascita per il nostro paese. Milioni di brave, italiche persone lo meritano ampiamente, sia per la qualità del loro intrinseco modo di essere che per le sofferenze patite (e da doversi, ahimè, ancora sopportare) a causa dello stramaledetto Covid. Ogni capodanno è dunque un momento di buoni propositi che dovrebbero tuttavia essere basati anche su un'onesta valutazione (diciamo serio esame di coscienza) del passato, delle sue reali caratteristiche, degli errori compiuti e delle relative, deleterie, compiacenti ipocrisie. Se non si trova, una volta per tutte, il coraggio di guardare in faccia la realtà sarà molto difficile sperare che gli anni a venire possano portare in dote una qualche sorta di favorevole futuro. Se non si metabolizza inoltre la consapevolezza del dover accettare chi realmente si sia, da quali trascorsi si provenga e che tipo di scelte siano state fatte nel corso di un intera Storia, non si sarà in grado di tracciare un alcunché di "futuribile". Qualora infine non venga identificata la genesi e vivisezionata la composizione di tutta una serie di realtà, anche se molte di esse ormai del tutto archiviate, non ci sarà consentito di procedere verso scenari di sviluppo economico e conseguente, pacifica convivenza civile. Possibili colpi di fortuna possono sempre capitare, e sicuramente aiutano, ma non risolvono: piuttosto illudono. Un esempio?: lo sviluppo economico e sociale dell'Italia nel primo decennio del secondo dopoguerra. Esso ha costituito, come è noto, un irripetibile slancio propulsivo che ha poi consentito al paese di utilizzarne l'abbrivio/inerzia per barcamenarsi durante fasi di sopravvivenza in soffocanti spire debitorie. L'Italia nel dopoguerra è, senza dubbio, rifiorita in modo imprevedibile, ma ricordiamoci di non essere stati gli unici: se tutto il mondo contemporaneo è ormai irriconoscibile rispetto a ciò che il secondo conflitto mondiale aveva lasciato in eredità in quell'estate del 1945, ciò sta a significare che non si trattò di una semplice pagina di storia quella che, settantacinque anni fa, andava a concludersi, ma piuttosto della definitiva fine di una ben determinata "era" della vicenda umana. Sul carro del divenire dei tempi era pertanto giocoforza l'accomodarsi, seppur in forme talvolta caotiche e disordinate come spesso verificatosi in tanti altri paesi del mondo. Per la nostra amata Italia certamente un qualcosa di storico, ma senza che per questo possano attribuirsi particolari


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meriti alle variegate compagini governative nazionali che si sono via via succedute, con l'esclusione forse di quella che gestì il paese nel dopoguerra degli anni '40. Niente di eccezionale dunque dato che, come detto, analogo sviluppo nelle generali condizioni di vita si verificò quasi ovunque durante la seconda metà del ventesimo secolo. Ed allora? E' presto detto: se, a partire da questo 2021 ed una volta auspicalmente archiviata la crisi Covid, l'Italia volesse sperare in un futuro socio-economico degno della sua ottima gente, bisogna che essa faccia i conti con un veleno esistenziale - ormai, ahimè, interiorizzato e che ne ha inquinato il percorso storico almeno dal 1860 ad oggi - e si sbarazzi, una volta per tutte, di una malattia nazionale nella cui genesi è purtroppo presente, da almeno quindici secoli, anche un abbondante dose di sub-cultura cattolica: l'IPOCRISIA. (Utile, preliminare florilegio di definizioni su tale termine effettuato, qua e là, su Internet noto, funzionale pozzo senza fondo): 1) "L' ipocrisia è l'audacia di predicare l'integrità da un covo di corruzione" (Wes Fesler); 2) "Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti" (Luigi Pirandello); 3) "Gli specchi sono di solito utilizzati per verificare se la maschera è ancora in ordine" (Jacques Wirion); 4) "L'umile sente che sbaglia e lo ammette, l'ipocrita sente che sbaglia e lo nasconde …. L'ipocrita non sbaglia mai!" (anonimo); 5) "Peggio dei cattivi ci sono i finti buoni" (Mafalda); e, soprattutto : 6) "Cercasi coerenza tra parole e fatti" (anonimo). Pertanto, se l'urlo di verità emesso da colui che affoga in un mare di ipocrisia è soprattutto un:" Cercasi coerenza tra le parole (e, aggiungo io, le rappresentazioni) ed i fatti" egli deve purtroppo accorgersi a proprie spese, che è appunto l'incoerenza tra le PAROLE ed i FATTI che costituisce ormai l'essenza stessa della democrazia rappresentativa italiana, la sua caratteristica peculiare, il suo intrinseco "sale" identitario. Che è proprio vero che i vari patti sociali (falsi!) che hanno, nel tempo, legato tra loro i componenti di una nazione (vera!) come la nostra non sono autentici, reali e dunque solidi. La Storia della nostra patria, dalla sua unità (1860) ad oggi, mostra infatti un quadro di insieme minato da un ricorrente tarlo di falsità, di distonia tra maschera e volto, di un'apparente "uniformità estetica" che dissimula una convivenza civile avvelenata da politica spesso fasulla, "sostanzialità" non vere, artefatte e quindi inconsistenti. Ci si ritrova indeboliti da una peculiare caratteristica nostrana secondo cui ogni confronto dialettico (sommo o infimo, non importa) non si svolga mai tra avversari, ma soltanto tra nemici. Di conseguenza l'auspicata conclusione della partita non può essere una franca stretta di mano, ma soltanto il sostanziale annientamento dell'altro. E siccome oggi le circostanze sociali non consentono più un annichilimento di tipo fisico (dopo tutto siamo delle persone civili, nevvero?), non resta che il rifugiarsi nella più becera delle contraddizioni, nella più raffinata, appunto, delle ipocrisie. Esagero? Prego di non dimenticare, tanto per citare un esempio significativo, il più crudele dei

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conflitti, la guerra civile del 1943-1945, mai realmente conclusasi nelle sue forze dinamiche, anche se ormai gli odierni eredi di quei combattenti si confrontano soltanto "in punta di linguaggio". Ma tale tragico biennio è solo uno dei quadri, un momento, un episodio, seppur dal perdurante strascico, di quel grande affresco di ipocrisie (nel citato senso di incoerenza tra parole e fatti) che comprende molti dei momenti fondativi della nostra storia unitaria. Prima però di tediare il cortese lettore con un florilegio di episodi, desidero citare una frase di Indro Montanelli a loro propedeutica chiave di lettura: "In Italia non esistono segreti, esistono soltanto misteri " ed è proprio il mistero, il non detto, il poco chiaro, il bivalente che costituiscono, secondo i casi, l'insostituibile brodo di coltura di svariate forme di "ipocrisia sostenibile", cioè di intrinseca contrapposizione tra maschera e volto. E cominciamo: - L'epopea garibaldina: Maschera: Favorire il sacrosanto sollevamento dei popoli del meridione d'Italia contro il regime assolutistico dell'odiato Borbone; Volto: Porre le premesse per un attacco predatorio da parte dello sfasolato Regno di Piemonte (dalle dissanguate casse statali a causa anche delle spese sostenute per lo strumentale intervento nella guerra di Crimea voluta da Napoleone III° ai forzieri bancari ed ai territori del moderno regno dei Borboni; e ciò attraverso i servigi di un pittoresco avventuriero e gli ingenti finanziamenti occulti della massoneria britannica. La riprova? Il misterioso (misterioso appunto!) affondamento, in una notte di calma piatta, della nave che riportava in Italia dalla Sicilia (caduta nelle mani di Garibaldi nell'estate del 1860) il "contabile" della spedizione dei Mille, lo scrittore Ippolito Nievo ed i relativi registri in cui erano diligentemente annotate esplicita prova dell'utilizzo del finanziamento massonico d'oltremanica - le spese per comprare il tradimento degli alti comandi dell'esercito di Francesco II°; fatto questo che aveva consentito l'incredibile vittoria di qualche migliaio di improbabili avventurieri-sognatori contro uno dei più forti e meglio equipaggiati eserciti d' Europa. - Il plebiscito delle provincie siciliane del 1860: Maschera: Chiedere il libero parere del popolo dell'isola alla fusione della Sicilia con il costituendo Regno d'Italia. Volto: Non voglio dilungarmi al riguardo e quindi mi rivolgo a qualche lettore dai capelli bianchi e dalla memoria lunga: "Ti ricordi, caro amico, l'immortale dialogo - sia nel libro di Tomasi di Lampedusa (eccelso) che nel film di Luchino Visconti (ottimo) - tra il "Gattopardo", Principe di Salina, ed il suo fedele guardiacaccia, don Ciccio Tumeo, sull'esito di detto plebiscito nella piccola Donnafugata ed in cui i "no" alla fusione erano risultati pari a zero sebbene il borbonico don Ciccio, contrario all'annessione, avesse votato decisamente "no"? "Risultato: Plebiscito falsato in modo capzioso e quindi forzatura della volontà dell'isola di diventare "Italia". Ma tant'è; la maschera proclama: vince il "si", entusiasmo popolare alle stelle!". - La lotta al brigantaggio post-unitario nel Mezzogiorno italiano: Maschera: Sedare e neutralizzare, per il supremo bene della nuova patria unitaria, l'attacco di ignobili banditi all'autorità, ai beni ed alla sovranità del nuovo Regno.


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Volto: Sacrosanta ribellione del popolo di un regno sovrano, il cui monarca peraltro apparteneva al ristretto cerchio delle più alte teste coronate d'Europa, illegalmente attaccato (senza neanche una formale dichiarazione di guerra) e proditoriamente invaso a puro scopo di saccheggio ed occupazione coloniale, che tenta di opporsi all'occupante - che impone tassa sul macinato e leva militare obbligatoria - con una disperata guerriglia a difesa di un proprio consolidato contesto economico e sociale. - Tradimento della Triplice Alleanza: Maschera: Legittimo voltafaccia, in ottica di "real politique", per cui l'Italia, rivendicando il carattere prettamente difensivo dell'alleanza, poteva decidere, allo scoppio della Prima guerra mondiale, di non intervenire a fianco di Austria-Ungheria e Germania in quanto erano state loro a scatenare il conflitto. Volto: Pur essendo indubbio che nella politica estera i famosi "giri di Valzer" siano fatto acclarato e spesso ineludibile, non ci si sarebbe dovuti legare in formale intesa, tramite apposito Trattato, con una potenza straniera, l'Impero austro-ungarico, con cui i motivi di contrasto erano endemici, palesi e, trattandosi inoltre di questione di confine (le cosiddette terre irredente), di per se stessi irrisolvibili se non che tramite una guerra. Pur essendo stato il tutto, forse, "tecnicamente" accettabile, non è, diciamo, almeno "elegante" (seppur la politica sia null'altro che la più becera arte del possibile) dichiarare guerra, nel giro di qualche mese, ad un paese che poco tempo prima era stato un proprio formale alleato. Questa, purtroppo, è una della tante medaglie "al disvalore" appuntate sul petto della nostra patria ….. - Mussolini: audacia temeraria igiene spirituale Maschera (1922/1936): Dalla "Marcia su Roma" dell'ottobre del 1922 fino alla "Proclamazione dell'Impero" del maggio 1936, gli va riconosciuto che, nella sua progressione trionfale di presa del potere e di "forgiatura" dell'Italia a sua immagine e somiglianza, Benito Mussolini non aveva sbagliato una mossa: in politica interna ed estera egli aveva infatti costruito e consolidato una messe di consenso popolare e simpatie internazionali (si, anche quando aveva invaso l'Etiopia!) che ne avevano fatto l'indiscusso duce della politica italiana nonché il più interessante fenomeno d'immagine nel contesto globale della sua epoca. Volto (1936/1945): Così come è vero quanto sopra ricordato, è altrettanto incontrovertibile il fatto che, dal maggio 1936 all'aprile 1945, il duce invece non ne abbia più indovinata una, che sia proprio una (cito a caso: intervento in Spagna, leggi razziali, Patto d'Acciaio, entrata in guerra a fianco di Hitler, invasione della Grecia, campagna di Russia, costituzione della RSI, tentativo di fuga in Svizzera e via di seguito). Il tutto, ahimè, propedeutico alla disastrosa sconfitta militare, invasione straniera e distruzione del tessuto socio-economico del paese che hanno poi, bisogna ammetterlo, "legittimamente legittimata" quella damnatio memoriae dell'intero ventennio (tutto incluso e niente escluso) su cui continua a prosperare, sia a proposito che a sproposito, ogni verità e/o vulgata antifascista. E che ha inoltre indotto il mondo intero a rinfacciarci, con perfida ironia, quanto affermato da Churchill, secondo cui gli italiani sarebbero stati veramente eccezionali essendo essi riusciti, nel 1945, "a vincere con gli inglesi la guerra che avevano

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contemporaneamente perso con i tedeschi". Ancora un'altra delle medaglie "al disvalore" che purtroppo ci adornano. Un'ultima riflessione: come ogni teatrante degno di tal nome (e Lui lo fu, eccelso!) conosce fin troppo bene, c'è un solo peccato mortale che deve essere evitato in qualsiasi rappresentazione: sbagliare l'ultimo quadro dell'ultimo atto. I fischi in uscita cancellano tutto quanto di buono si sia offerto al pubblico nelle parti precedenti legittimando la critica a distruggere - passo dopo passo per un indefinibile futuro - l'intero spettacolo, farsa o tragedia che esso possa essere stato. - Partigiani: Maschera: Se l'Italia può oggi fregiarsi della denominazione di "Repubblica democratica fondata sul lavoro" ciò è appannaggio e merito della Resistenza. Tutta l'Italia antifascista e resistente ha consentito lo scoccare di quel fatidico 25 aprile di liberazione in cui un intero popolo diede stura al più autentico dei sentimenti antifascisti. Depositaria di tale ideale di libertà e democrazia è la nostra Costituzione democratica a sovranità popolare per via parlamentare: la più bella del mondo. Imperituri chierici (naturalmente dopo il P.C.I. & derivati) ne sono i membri dell'immortale A.N.P.I. che, a 75 anni dalla fine della guerra, conta ancora ben 120.000 iscritti disseminati in 19 sedi regionali a perenne memento di come si possa, benché ormai quasi centenari, continuare a fornire vibrante testimonianza di quando, scarponi ai piedi e mitra alla mano, ci si avviò su per i monti per cacciare l'invasore tedesco (Armando Diaz ce lo perdonerà…) "che risaliva ormai in disordine e senza speranza le valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza" Volto: I veri, autentici partigiani, peraltro tutti ormai defunti da tempo, furono quelle poche migliaia che calzati veri scarponi ed imbracciato un vero mitragliatore presero la via delle montagne per combattere tedeschi ed italici fascisti pagandone un reale tributo di sangue. Gli altri 44.300.000 partigiani del 25 aprile 1945 (cifra risultante, conti alla mano, da 45.000.000 di abitanti dell'italica penisola diminuiti di quei 700.000 cittadini che, da elettori, avrebbero poi, nel 1948, sostenuto il Movimento Sociale Italiano venendo di conseguenza esclusi a vita dal cosiddetto Arco Costituzionale) costituiscono una delle "vulgate" più fasulle della storia della nostra vita "repubblicana". E Patton, Alexander, Freyberg e relative truppe, chi mai furono costoro, cosa fecero, che ruolo svolsero nella cacciata dei tedeschi e la fine del fascismo? Silenzio assoluto. Inoltre, dei circa 50.000 veri partigiani sopra ricordati non va sottaciuto il fatto che più della metà imbracciarono le armi non per cancellare il fascismo e riportare l'Italia alle condizioni costituzionali di pre-1922, ma per ben altre oscure finalità. A servizio dell'ideologia proletaria, comunista, e soprattutto internazionalista, essi erano una quinta colonna di un disegno che vedeva il nostro paese asservito a satellite dell'Unione Sovietica sotto forma di Repubblica Socialista d'Italia. E lo si deve soltanto al concerto delle potenze alleate ed alle relative assise nel corso della guerra, se tale obiettivo - auspicato da quei nostri connazionali, che appunto "parteggiavano" si, ma per l'URSS - non poté poi essere raggiunto. - Il Referendum istituzionale del 2 giugno 1946: Maschera: Il popolo (che non era ancora "sovrano" ma che lo sarebbe diventato presto proprio


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per le conseguenze costituzionali di detto referendum) si è pronunciato: il re, e con lui con l'intera casa Savoia, deve essere rimosso: Sua, la responsabilità dell'avvento del fascismo; Sua, la vergogna di aver promulgato le leggi razziali; Sua, la non opposizione ad una disastrosa entrata in guerra al fianco del dittatore tedesco; Sua, la vergognosa fuga da Roma tra le braccia degli exnemici; Sua la responsabilità oggettiva di essersi trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato (sul trono, al collasso del regime fascista laddove invece aveva avuto la fortuna di trovarsi, il 4 novembre 1918, sempre su quel trono, ma nel momento giusto). Tutto corretto, etico, regolare, consequenziale!: W La REPUBBLICA! Volto: Ci fu in esso un poderoso imbroglio nella conta delle schede votate a favore della repubblica sotto l'occhio vigile dell'allora Ministro Romita? Non lo sapremo mai con certezza: ma …. "la calunnia è un venticello …...". Immaginate ora cosa sarebbe mai potuto succedere altrove: QUALORA sussurri di falsità e/o brogli avessero appena aleggiato - ma dico appena, appena - su granitici "monumenti" storici fondanti successive "identità politiche e relativi, conseguenti patti sociali di convivenza nazionale"; tipo, chessò, (e fatte naturalmente tutte le debite proporzioni), l'assalto alla Bastiglia (ordita disastrosamente da Luigi XVI) ovvero la presa del Palazzo d'Inverno (dietro cui vi fosse stato un suicidiario disegno dello zarismo), nonché tanti altri eventi storici forieri di successivi, lunghi ed articolati sviluppi politici, sociali ed economici per i paesi ed i popoli che vi fossero stati coinvolti ….. E SE, per almeno un successivo SETTANTENNIO da quegli avvenimenti, non ci si fosse mai accordati sulla loro intrinseca genesi, lasciando invece in perenne sospensione un'eventuale, concorde lettura storica dei fatti al solo scopo di indurre i passivi sudditi ad accomodarsi in una supina, confortevole, seppur sgradevole, accettazione di quanto capziosamente asserito e non invece di quanto realmente accaduto ….. Di quale sorta di storiografia si potrebbe mai parlare oggi? Dio solo potrebbe dirlo. - Prima, seconda o terza Repubblica, che sia: Maschera: Un settantennio di pace, progresso economico e sviluppo sociale con attenzione, all'interno, alle fasce più deboli e vulnerabili della popolazione e con barra ferma, in politica estera, sull'appartenenza all'Occidente ed all'Europa; pieno rispetto del gioco democratico in tutte le sue forme in un'aura di correttezza politica, rispetto per le minoranze, accoglienza per gli stranieri, piena disponibilità alla spesa pubblica; il tutto immerso in una dialettica politica sempre mantenuta nel ferreo alveo di una Costituzione, che è, si, diciamolo ancora una volta, " la più bella del mondo !" Volto: Vogliamo chiederci in tutta onestà quale miracoloso, benevolo stellone abbia mai costantemente vegliato sulla nostra amata penisola consentendole di riuscire a sopravvivere, per quattordici lustri di vita repubblicana, nonostante l'ingoio (e cito del tutto a casaccio, dato che una lista completa sarebbe davvero interminabile) di tante incredibili mostruosità, nel senso latino di "monstrum", cioè di veri e propri "prodigi/portento"? Tenetevi forte: - Un glorificato (in vita naturalmente) uomo politico che, dopo ben settant'anni di ininterrotto

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potere apicale ai vertici di istituzioni nazionali, esplicita, papale papale, la cifra della sua "etica politica" (tramandandola di fatto ai posteri come testamento "spirituale") secondo cui nella vita pubblica "è meglio tirare a campare che tirare le cuoia". E' già evidente, però, che la traccia che egli lascerà "nella Storia" del paese sarà inversamente proporzionale alla durata della sua presenza "nella Politica" dello stesso. - Un abile imprenditore che, dopo più di un lustro di governo del paese sostenuto da solida maggioranza parlamentare, si sarebbe conquistato un posticino nella storia dell'Italia (questo certamente autentico ed imperituro) unicamente a causa di quel quarto d'ora di tempo intercorso tra le ore 15.00 e le ore 15.15 di lunedì 28 marzo 1994, quando cioè i primi "exit poll" lasciarono sbalordito il paese alle preliminari risultanze secondo cui la sua neonata coalizione politica, di appena due mesi di vita, stava clamorosamente annientando la strapotente e collaudata "gioiosa macchina da guerra" della sinistra italiana appena uscita indenne dal disastro nazionale di "mani pulite". Poi soltanto miopia, egoismi ed infine… il buio. - Un lineare, consequenziale ed assolutamente non contraddittorio (si fa per dire) uomo politico di apicale levatura nazionale (che da buon compagno, pacifista, internazionalista, firma tra l'altro e tanto per farsi mancar niente, il primo bombardamento italiano di un popolo europeo preceduto unicamente, e manco a dirlo, da S.E. il Cavaliere Benito Mussolini) il quale, abbeveratosi sin da giovanissimo al verbo del più ortodosso e granitico degli stalinisti nostrani - il cui mentore, tra l'altro, aveva, come è risaputo, una particolare avversione per la piccola proprietà contadina che, secondo lui, "sarebbe stato necessario spezzare con una lotta aperta e privarla delle fonti economiche della sua esistenza e del suo sviluppo" - si ripropone oggi, come se nulla fosse, come una sorta di redivivo Kulaki nostrano, felicemente orgoglioso del suo piccolo podere e del relativo buon vino per consumatori (proletariamente parlando, "of course ") molto VIP ! - Un supremo magistrato della Repubblica (anch'egli buon compagno, ma migliorista, pacifista e soprattutto internazionalista, con la coerente conseguenza, per dirla con Leopardi, "che invero dell'Italia poco gli cale"). Ma soprattutto favoloso nel percorso mentale della sua immarcescibile fede politica. Dalle granitiche certezze circa "le magnifiche sorti e progressive" (arridaglie con Leopardi!) della dittatura comunista dell'Unione Sovietica e relativa benedizione di carri armati stritolanti legittime aspirazioni ad un qualche respiro politico da parte di un piccolo, orgoglioso ed oppresso popolo, egli plana soavemente, con raffinato "aplomb" simil-regale, sulla difesa del più becero dei capitali. E per esso intendo non quella sorta di accumulo tanto "caro" al vecchio Marx, tipo "padrone delle ferriere" che comunque, e seppur nel totale sfruttamento del proletariato, un qualche beneficio economico in termini di produttività lo offriva comunque alla società; no, no, no, intendo proprio quello più malsano, sterile e dannoso in quanto prettamente fine a se stesso: il capitale finanziario; il totem, diciamo, dei cosiddetti gnomi del Lussemburgo, quelli che in modo prettamente autoreferenziale usano la carta (moneta) di cui dispongono per comprare altra carta al fine di generare, soltanto ed unicamente, ….ancora più carta. E così, quando la patria è in ambasce, cosa mi combina l'ottimo vetero marxista-leninista-comunista


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d'antan? Chi chiama in soccorso del paese? Nelle mani di chi affida la sua sorte se non più ai carri armati di Mosca, ormai estinti? Ma è semplice: al più collaudato, affidabile, presentabile e spendibile dei globalisti nostrani del momento! Prego il gentile lettore di indicarmene egli stesso il nome ….. - Un Rodomonte (accompagnato da relativa silvestre Doralice) ai cui sfaceli verbali seguono disastrose "debacle" politiche che tutto distruggono tranne quella sua lingua che ha coscienza soltanto del proprio stesso suono e senza quella consapevolezza che dovrebbe invece indurlo a riflettere, parafrasando il Poeta, sul fatto che il suo: "parlar alle piaghe mortali (d'Italia) sia indarno"…. . Un po' tipo Mina: "parole, parole, non son altro che parole" ….. in libertà! - Un'ultima riflessione: quale, dunque, la cutuliata finale del gioco d'artificio, la Piedigrotta della nostrana ipocrisia? Mi appendo ad un noto ritornello pubblicitario: "Le stelle sono tante, milioni di milioni, le stelle dei grillini son tutte ilarità", ma certo, non dimentichiamo che esse sono figlie di un COMICO. Le più fulgide tra esse? Cito a casaccio: Niente alleanze, Limite dei due mandati, Reddito di cittadinanza a 9 milioni di persone, Fermare la TAV, Fermare la TAP, No all'immunità parlamentare, Il premier deve essere scelto dal popolo, Chi è indagato deve dimettersi subito (senza se e senza ma), No ai vaccini, No al MES, ….. e mi fermo qui soltanto perché tante altre, al momento, non mi vengono in mente. Tutto negativo dunque? Ma no! Un qualcosa di utile l'ineffabile firmamento pentastellato l'ha dato alla cultura politica italiana e di cui forse c'è da essergli grati: per mezzo dei suoi cosiddetti "portavoce politici" esso ha infatti redatto il più sublime "de profundis" per il già traballante concetto di sovranità popolare attraverso una rappresentanza parlamentare che abbia inoltre la particolare velleità di propinare cervellotiche proposte politiche le cui deleterie conseguenze sono ormai sotto gli occhi di tutti. Comunque: "Buon Anno e che Dio ci aiuti!” Antonino Provenzano Roma, 29 dicembre 2020

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MARIO DRAGHI E LA VARIANTE DI LÜNENBURG Piaccia o no, di una cosa si può essere certi: il livello medio qualitativo della squadra di Governo messa in campo da Mario Draghi è alto. Non si misura soltanto la robustezza curriculare dei ministri (non di tutti), ma il grado di compromesso raggiunto tra istanza di autonomia decisionale della compagine ministeriale e bisogni ancestrali della partitocrazia: superiore nel caso del Conte bis, minore in quello dell'ex Governatore della Banca centrale europea. Non è questione numerica del mix tra "tecnici" e "politici", nonostante il rapporto di 8 (i primi) a 15 (i secondi) possa indurre a una valutazione errata su chi manovri le leve del potere. Lo spettacolo indecente da ultimi "giorni di Pompei" offerto dal Conte bis ha cancellato la possibilità che il sistema dei partiti potesse comandare il gioco, almeno in questa legislatura. La soluzione Draghi, nella sostanza, è un commissariamento della politica. Riguardo allo schema tattico del "Draghi 1" ha ragione Giuseppe Pennisi che, dalle colonne di Formiche. net, ne offre una lettura condivisibile citando Bertolt Brecht: un Governo e il suo doppio. Cioè, un Esecutivo a due anime, e prevedibilmente a due velocità, a cui corrispondono missioni differenziate. Ai "tecnici" la polpa delle grandi di riforme e la redazione dello scivoloso Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a cui è demandato il compito di portare in Italia il malloppo da 209 miliardi di euro del Next Generation Eu; ai "politici" le rogne delle tante crisi, congiunturali o endemiche, che costellano la nebulosa socio-economica italiana. C'è della logica in tale scelta. Non sono forse i partiti ad attribuirsi una speciale attitudine a interpretare la realtà? E allora che se la sbrighino loro a togliere le castagne dal fuoco della quotidianità, che a pensare in grande, sub specie aeternitatis, ci sono quelli che, ciascuno nel proprio campo d'interesse, hanno dimostrato di essere grandi, a prescindere. Finiti i giorni dell'Osanna, ai politici tocca gestire le conseguenze di un brusco risveglio dopo un'ingiustificata sbornia autoconsolatoria. Alcuni, a sinistra, si erano trastullati con la fantasia che Draghi, chiamato d'urgenza dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, al capezzale del malato Italia, potesse essere lo strumento per il prolungamento della guerra, intestina al defunto Conte bis, con altri mezzi. Che stratosferica cantonata! Il nuovo premier ha mostrato subito di che pasta sia fatto il suo pragmatismo, che non è la stessa di cui sono fatti i sogni. In due passaggi Mario Draghi è andato giù dritto, come un fuso: nel non cadere nella trappola grillina del super ministero della Transizione ecologica e nel non dare ascolto alla disperazione di Nicola Zingaretti e compagni che volevano la Lega fuori del perimetro del nuovo governo.


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È affiorata in superficie l'anima del banchiere per il quale i mezzi disponibili (suona più familiare whatever it takes?) siano subordinati all'obiettivo che s'intenda colpire, e non il contrario. L'ex capo della Bce ha fiutato la trappola che Beppe Grillo e soci pentastellati gli avevano preparato: un super ministero dell'Ambiente che, se avesse messo cappello su quello dello Sviluppo economico, avrebbe consentito la prosecuzione della politica d'interdizione al rilancio dell'apparato produttivo industriale, che è stata l'impronta grillina impressa sulla versione double-face dei Governi Conte. Se vi fosse ancora qualche dubbio circa la bastonata rifilata da Mario Draghi ai Cinque Stelle fanno testo le parole infuocate della senatrice grillina Barbara Lezzi con le quali scaraventa una pietra tombale sulle prospettive (velleitarie) del Movimento pentastellato. In una lettera indirizzata al reggente Vito Crimi e al Garante Beppe Grillo per chiedere una nuova votazione sulla piattaforma Rousseau, la "pasionaria del Salento" scrive: "La previsione del quesito posta nella consultazione dell'11 febbraio 2021 non ha trovato riscontro nella formazione del nuovo governo. Non c'è il super-ministero che avrebbe dovuto prevedere la fusione tra il ministero dello Sviluppo economico e il ministero dell'Ambiente oggetto del quesito". E "per fortuna!" aggiungiamo noi, facendoci interpreti del sentimento di tanti piccoli e medi imprenditori italiani terrorizzati dall'affermarsi, per mano grillina, di un pericoloso radicalismo ambientalista, mortale nemico dei ceti produttivi tradizionali. A gestire l'impostazione della fase della transizione ecologica, che sta a cuore ai vertici di Bruxelles e ai partner più influenti all'interno dell'Unione europea, è stato chiamato Roberto Cingolani. Uno scienziato che viene dagli studi di Fisica ma che è transitato, grazie alle sue alte competenze, per i Consigli di amministrazione di grandi complessi industriali, tra cui il Gruppo Leonardo, l'italianissima azienda partecipata dallo Stato che si occupa di aerospazio, difesa e sicurezza. È lecito attendersi da lui un approccio equilibrato al tema dello sviluppo sostenibile che tuttavia muova dall'esigenza di potenziare la capacità produttiva del nostro apparato industriale migliorandolo, sotto il profilo della compatibilità ambientale, grazie alle nuove tecnologie e ai risultati della ricerca scientifica, non invece fomentando atteggiamenti "luddisti" per dare fiato e speranza alla follia della decrescita felice. Il secondo colpo piazzato da Draghi, che ha mandato al tappeto la sinistra, ha riguardato l'ingresso in maggioranza della Lega. Perché lo ha voluto? Sarà mica un leghista "coperto", come si direbbe in linguaggio massonico, "all'orecchio" del segretario federale Matteo Salvini, dopo essere stato classificato da Beppe Grillo un grillino in nuce? Neanche per idea. Il premier ha guardato in faccia la realtà e ha capito che non sarebbe andato da nessuna parte se non avesse avuto dalla sua la forza politica che, dati alla mano, rappresenta il blocco sociale del Nord produttivo, oltre ad avere il controllo di 14 governi regionali su 20, di cui 6 su 8 nell'area settentrionale del Paese. Non è un caso che Draghi abbia affidato a due leghisti, Giancarlo Giorgetti e Massimo Garavaglia, rispettivamente i ministeri del Turismo (con prossimo portafoglio) e dello Sviluppo economico, a presidio di settori che sono l'epicentro della crisi del sistema economico nazionale.

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Garavaglia avrà risorse finanziarie con le quali dare risposte immediate a un comparto che nel 2018 ha cubato il 13,2 per cento del Pil nazionale, pari a un valore economico di 232,2 miliardi di euro, con il 14,9 per cento dell'occupazione totale, per 3,5 milioni di occupati (fonte Ufficio studi Enit-Osservatorio nazionale del turismo). Questo universo produttivo è stato raso al suolo dalla pandemia e bisognerà rimetterlo in piedi al più presto e a qualsiasi prezzo. Un'opera di tale portata Draghi l'avrebbe potuta affidare al moralismo pauperista di un grillino o all'ottuso burocratismo di un mezze-maniche "dem"? Peggio ancora per lo Sviluppo economico. Per onestà intellettuale, quel ministero dovrebbe chiamarsi: delle crisi industriali, viste le centinaia di vertenze aperte e lasciate marcire dai più recenti predecessori del neo-nominato Giorgetti, che neanche a dirlo sono stati due grillini. Nell'ordine, Luigi Di Maio e Stefano Patuanelli. Se il buongiorno si vede dal mattino, da oggi il vice-segretario della Lega dovrà dimostrare di essere non solo un burbero "Richelieu", ma anche un efficace risolutore. Gli toccherà cominciare dai nodi spinosi dell'ex-Ilva di Taranto e dell'Alitalia che questa mattina gli saranno stati serviti con il cappuccino e il maritozzo, non appena messo piede negli uffici del ministero al civico capitolino 33 di via Veneto. Benché non sia laica costumanza santificare chicchessia, la buona creanza impone un sentito ringraziamento al signor Draghi per alcune decisioni molto apprezzate. In primo luogo, aver liquidato quel bizzarro caso di "mezza cartuccia" affetta da sindrome giustizialista che risponde al nome di Alfonso Bonafede ed averlo sostituito nel delicatissimo ruolo di ministro della Giustizia con una personalità competentissima e degnissima, qual è la professoressa Marta Cartabia. In secondo luogo, per aver riportato lo stile sobrio nella prassi comunicativa del Consiglio dei ministri. Dopo anni di volgarità dell'agire politico e di faziosità demagogica azionata con metodologia da "Grande Fratello" (Mediaset) attraverso i social e la comunicazione-spazzatura, che tornino il ragionamento e la riflessione pacata anche tra i protagonisti della politica? Troppa grazia. Fatta la squadra, tocca al programma che verrà illustrato dal premier al Parlamento per la fiducia, a partire da dopodomani al Senato. Al momento, non si può dire che la navigazione d'altura sia cominciata. Nondimeno, per tenerci in linea con i successi che "Luna rossa" sta raccogliendo nella finale sfidanti dell'America's Cup dall'altra parte del mondo, auguriamo ugualmente "Buon vento"! Cristofaro Sola


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MANCA UN BENITO JUAREZ Alé. Almeno una cosa di buono, alla fine, il Matteo toscano l'ha fatta: liberarci da una banda frammista di fondamentalisti ottusi e di ritardati apprendisti magiciens che in poco più di un anno e mezzo, sfortunatamente quasi coincidente con l'insorgenza e il dilagare della pandemia, di danni ne han fatti a iosa. C'è stato persino chi ha avuto l'illuminazione di paragonarli alla passata opera del prof. Monti ragionando su chi abbia arrecato maggiori tormenti a questo disgraziato Paese e la conclusione è stata che la stessa moneta, lanciata vorticosamente in aria, ha ritenuto di rimanere sospesa non sapendo con quale faccia presentarsi. Paragonati a scimmie alla guida da giornalisti di Repubblica, si noti di Repubblica, hanno sostanzialmente portato avanti una sorta di politica pseudo-assistenzialistica, definita di sostegno, che l'unico vero effetto che ha prodotto è stato quello di vuotare inutilmente le casse dell'erario mentre le testate giornalistiche facevano a gara nell'elencare parenti di boss del crimine organizzato, consanguinei ed acquisiti, parenti stretti di politici, nullatenenti che abitano in case da sogno e guidano fuoriserie, tutti beneficiari di qualche bonus (TV, Internet, vacanze, monopattino, bicicletta, trasporti, ecc.) nonché del cosiddetto 'reddito' di una dichiarata cittadinanza che per primi hanno disonorato. Ammesso che sappiano chi sono, Hobbes, Locke, Constant de Rebecque e persino l'impropriamente usato ed abusato Rousseau si rivolterebbero nella tomba. Squadre nutritissime di consulenti, peraltro dotate di amplissime referenze, sono scomparse nella nebbia dell'indeterminazione e dei pedestri tentativi di affabulazione, intanto che la macchina amministrativa, sanitaria e scolastico-universitaria collassava sotto il babau del contagio, tra turni cervellotici, eroi dimenticati, antieroi osannati, l'eccessiva fragilità di banchi scolastici anatomici con rotelle e le baruffe chiozzotte tra istituzioni. E mentre la festa di Piedigrotta, tra botti e luminarie, tra lo sfrecciare de' guagliune su monopattini e biciclette col logo green, dispiegava nel quotidiano tutto il suo bagaglio dell'effimero e del cervellotico co' pazzariello in testa, l'economia si ripiegava sotto la botta dei lockdown, tra uniformemente grigi e multicolori, in attesa di mostrare tutti i segni della sofferenza, insieme alle dimensioni del disagio sociale, quando la raffazzonata cosmesi dei DPCM verrà meno. Sembrava non ci fossero più speranze di riuscire a riveder le stelle, confinati nella profonda notte infernale tra miliardi buttati nei balletti delle mascherine, interi ospedali onerosamente occupati manu militari aspettando i feriti del tanto atteso scontro con i Tartari mentre frotte di ammalati vagano ai margini; tra ipotesi di nuove milionarie strutture ipertecnologiche per vaccinare

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aspettando un vaccino che sembra indeciso sul suo grado di copertura e sulla posologia della sua somministrazione nonché a quale variante dare i resti. Un tutto, così pervicacemente intricato e di una fatuità talmente egoista da far passare nel dimenticatoio persino le imminenti scadenze europee circa i progetti e le modalità d'impiego di quel cospicuo aiuto che non tanto la bravura dei contraenti quanto lo spauracchio del default e delle sue disastrose riverberazioni ha sfilato ad una sonnolenta e stizzosa istituzione; too big to fail, direbbero le persone istruite, 'troppo grande per fallire', in riferimento all'Italia e ai riflessi della sua economia su quella dell'intera comunità. Comunque, resta un cospicuo aiuto quello proveniente dal cosiddetto Recovery Fund che, in ogni caso, si lega intimamente ad un vecchio significativo adagio popolare 'Aiutati che (un) Dio ti aiuta'; nel senso che anche le deità, alla fine, sarebbero costrette a desistere se il soggetto restasse abulico, inoperoso, incapace, al punto da rischiare di far balzare alla generale costatazione il significato più impietoso di quel brocardo latino 'Ad impossibilia nemo tenetur' che dall'ambito giuridico dei vecchi padri ha saputo tradursi nell'agire ordinario. La prima stesura del cosiddetto Recovery Plan nostrano, dall'ampolloso nome di 'Piano Nazionale di Ripresa e resilienza', gira su Internet ed è un dispiacere per gli occhi, la mente e il cuore leggerla. Insomma, sembrava davvero che al vento di tempesta non ci fosse fine e che lo squassato vascello senza validi nocchieri dovesse rimanere sine die in balia degli eventi quando, all'improvviso, un personaggio tra i più improbabili, il Matteo toscano, fa dimettere i suoi ministri dal governo e convoca una conferenza stampa: la crisi (finalmente) è aperta. Ho ascoltato in streaming quella conferenza e, in assoluta onestà, devo dire che le motivazioni addotte da Renzi, illustrate con dovizia in quella sede, sono a mio giudizio totalmente, assolutamente, condivisibili. Un'impietosa disamina della leggerezza e dell'imperizia governativa il cui risultato, per senso di responsabilità, lo ha dichiaratamente indotto a staccare la spina. Se non lo conoscessi, mi iscriverei al suo partito. In ogni modo, sempre in onestà, mai mi sarei aspettato uno smarcamento del genere dal leader di Italia Viva: una neoformazione, divenuta ago della bilancia, che tuttavia i sondaggi dell'anno appena trascorso davano in costante calo, prossima alla scomparsa dall'orizzonte degli elettori; quindi, viva fintanto che fosse rimasto vivo il Parlamento della XVIII legislatura. Eppure, proprio da un soggetto del genere, i cui trascorsi in veste di presidente del consiglio hanno lasciato a desiderare, è giunto un segnale di speranza per l'intero Paese. Ciò che stupisce di più, comunque, è il fatale rischio al quale quella scelta l'ha esposto: se il Capo dello Stato avesse deciso, sia pur obtorto collo, di procedere per lo scioglimento delle Camere, la sua formazione nonché quelle degli attuali reggitori della Cosa Pubblica starebbero già sparendo, con sollievo, dalla vista. Del resto, recentemente il Portogallo è andato al voto e, ancor più recentemente, è toccato alla Catalogna senza che qualcuno, pandemia imperante, optasse per un melius re perpensa. In Italia, invece, come nei migliori film del grande Hitchcock che un qualche parente alla lontana nostro concittadino lo avrà sicuramente avuto, ecco la suspense, quel particolare sentimento di


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incertezza e ansietà con cui si segue l'evolversi di situazioni ricche di drammaticità e dall'esito incerto: la ritenuta opportunità di una prima e di una seconda consultazione circa l'esistenza di una diversa possibile maggioranza. Devo dire che anche quei momenti, apparsi di primo acchito pressoché inutili, una qualche utilità alla fine l'hanno trovata: l'esposizione di quanto di peggio il mestiere del politicante possa esprimere. Improbabili sedicenti Responsabili in ordine sparso che convergevano verso sedicenti Europeisti dell'ultim'ora, il gruppo misto che sembrava un organetto, un'incerta congerie della sinistra (?) mentre l'ormai sbiancata immagine di un Tabacci riusciva persino a diventare punto di riferimento. Un mercato di macilente vacche, nel senso più nobile del termine, fino a ieri spacciate quali signore del latte. In realtà, una vera e propria offesa alla sacralità delle istituzioni democratiche repubblicane che tali restano nonostante i tentativi, neppure consapevoli, di cambio della destituzione d'uso. Da quelle due consultazioni, in ogni caso, è emersa una sostanziale parità tra favorevoli e contrari accettando la quale il Paese sarebbe stato poi paralizzato da una sequela infinita di verifiche parlamentari dando così ragione, alla fine, alla pasquinata secentesca 'Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini': l'annullamento di quel minimo di motilità operativa che gli è rimasta. Ed è a quel momento che, in campo lungo, sull'orizzonte del tempo si è stagliata con fulgido bagliore una figura eroica, in cimiero e lorica, il Magnifico Emerito, mentre le nubi attorno a lui rotolavano e si dileguavano ed il sole appariva ad indicare il cammino verso la spiaggia dell'Antipurgatorio. Con tutto il rispetto nei confronti del prof. Draghi, devo confessare che l'iter che ha portato alla sua 'scesa in campo' non dico lo sia ma quanto meno penso abbia un che di copione cinematografico. Tempo addietro, in pieno carosello dell'assurdo, un caro amico alla domanda di come sarebbe andata a finire mi rispose: con un governo di unità nazionale. Lì per lì, rimasi un po' perplesso non concependo quali leve si potessero adoperare per raggiungere lo scopo e chi lo potesse guidare. Men che meno, avrei detto Draghi. Il suo nome, invero, aveva preso a girare già da circa un anno con i giornali che di tanto in tanto ipotizzavano addirittura i componenti delle cordate di sostegno a lui o al presunto altro competitor, Vittorio Colao. Ma l'ipotesi non sembrava sostenersi non foss'altro che per i trascorsi del personaggio. Specializzatosi al Massachusetts Institute of Technology, già professore universitario, durante gli anni novanta è divenuto direttore generale del Ministero del tesoro. Dopo un breve passaggio in Goldman Sachs, nel 2005 è stato nominato Governatore della Banca d'Italia, divenendo così membro del Consiglio per la stabilità finanziaria, del Consiglio Direttivo e del Consiglio Generale della Banca centrale europea nonché membro del Consiglio di amministrazione della Banca dei regolamenti internazionali. Ha ricoperto, inoltre, l'incarico di Presidente del Consiglio per la stabilità finanziaria. È stato Direttore esecutivo per l'Italia della Banca Mondiale e nella Banca Asiatica di Sviluppo nonché membro senior del cosiddetto Gruppo dei Trenta, organizzazione internazionale di finanzieri e accademici. Dal 2011 al 2019 ha ricoperto la carica di Presidente della Banca centrale europea durante la crisi del debito sovrano europeo, ambito in cui è

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diventata celebre la sua frase 'whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough.' (Costi quel che costi per preservare l'euro. E, credetemi, sarà abbastanza). Chi doveva intendere, ha inteso. Infatti, ogni volta che si elencavano quelle 'medaglie' puntualmente si concludeva che era da ritenersi assurdo che un uomo, giunto alla rispettabile età di 73 anni, con quei trascorsi potesse pensare di immiserirsi co e' guagliune pentastellati, con personaggi oscillanti tra il radical e l'Alzheimer, con fiacchi e sparuti sostenitori della Nazionale calcistica, con gli amanti dei tombini di ghisa nordisti e con gli appartenenti ad un sodalizio dove l'unica fratellanza è quella di latte della vecchia balia. Ed invece, inaspettatamente (???), ecco che il prof. Draghi accetta 'con riserva' l'incarico offerto dal Capo dello Stato e, dopo un ampio giro di consultazioni, toglie la riserva e presenta il nuovo Esecutivo. Tra l'altro, Il Matteo toscano è salvo e gli spuntano pure le ali. Al presente, non ha ancora avuto il consenso delle Camere ma si crede fermamente che questo non mancherà. Comincia l'era Draghi il cui primo effetto benefico, al solo annuncio dell'incarico, è stato così immediato da far precipitare lo spread a livelli di Paese da Tripla A. La quarta non c'è. E qui, tra lo scroscio degli applausi di una platea entusiasta, comincia tutta una serie di quesiti che animeranno i talk-show per i giorni a venire. Il primo a circolare tra i grandi politologi e i tattici casarecci è se la scelta di Draghi non sia da intendere come una sconfessione della politica. Di quale politica? Quella degli ultimi due anni e mezzo portata avanti a dritta e a rovescio da maggioranza e opposizione? Quella dell'ultimo anno che ha dimostrato urbi et orbi la nostra capacità? E cosa si sarebbe dovuto dire, allora, del prof. Monti dall'opera del quale, mi si dice (ma io non ci credo) è stato tratto dalle Università americane valido insegnamento sulle cose da non fare con un Paese in crisi? Dov'erano allora i grandi politologi e i tattici casarecci? Alcuni ad accodarsi al carro del presunto vincitore il quale, tuttavia, all'atto pratico non si è neppure spostato. E qui puntualmente si presenta il caso della Meloni che ha deciso di non aderire al grande rassemblement, riservandosi di votare i provvedimenti futuri secondo scienza e coscienza. E giù ragionamenti sull'opportunità o meno di una simile condotta. Il fatto è che i cosiddetti Fratelli d'Italia è un partito in crescita di consensi: piace soprattutto il modo di ragionare, concreto e fermo del suo leader. E, soprattutto nell'ultim'anno, la crescita registrata ha compensato, all'interno del centro-destra, la flessione della Lega e di Forza Italia. Sarebbe stato opportuno correre il rischio di tagliare un così evidente cordone emozionale per una poltrona derivante da un'ammucchiata? Non c'è dubbio che il problema si sarebbe posto diversamente se la maggioranza non fosse stata così vasta o se, senza di lei, non vi sarebbe stata. Ma con i 'se' e con i 'ma' si va poco lontano. Altri si chiedono come faranno partiti fino a ieri avversari a governare insieme. A tal proposito, mi viene in mente il Conclave di Perugia che portò all'elezione a Papa di Celestino V, al secolo Pietro Angeleri, nel 1294. Dopo ben ventisette mesi di inutili tentativi, di scontri tra gli Orsini e i Colonna, tra i seguaci degli Aragonesi e quelli dei D'Angiò, tra i simpatizzanti degli Spirituali e i Vaticanisti,


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improvvisamente il punto di convergenza dei cardinali si formò sul nome di fra' Pietro Angeleri, neppure appartenente al conclave: era semplicemente noto per la sua spiritualità e per il fatto che il suo Ordine dei Celestini contava a quel tempo oltre cento strutture in abbazie e parrocchie. All'atto pratico, in poco più di tre mesi (tanto durò il suo mandato prima delle dimissioni), Celestino concluse le vicende più importanti demandate al sacro soglio non ultimo il trattato sulla Sicilia tra Aragonesi e Angioini, in annosa attesa della ratifica papale. Un Papa di transizione, quindi, sulla cui scelta si pensa abbiano concorso persino i Templari, in quanto ricadenti unicamente sotto la giurisdizione papale. Una transizione che avrebbe dovuto aprire la strada ad un Papa più duraturo ma che, per viltade del prescelto nel successivo conclave, non si compì. Ma quella è un'altra storia. Ora, non voglio certo paragonare il prof. Draghi a Pietro Angeleri ma non mi sento neppure di ipotizzare che nelle intenzioni del primo rientrino delle mire politiche future. Intanto, gli effetti che doveva suscitare con immediatezza li ha prodotti: lo spread sotto le suole e i mercati rassicurati. Nomen omen avrebbero detto i vecchi padri. Poi, le incombenze più urgenti che attendono: insieme al Recovery Plan, i piani di una ripresa seria, (finalmente) includenti in modo significativo il turismo, un'attenzione doverosa alla cosiddetta 'Quarta rivoluzione industriale', un'attenta occhiata ammodernatrice all'Amministrazione pubblica in generale e, (si spera) in particolare al mondo della giustizia. Certo, ci sono anche altri importanti settori che, in esito alla composizione dell'equipe di governo, non sembrano affidati nelle migliori mani. Ma è da credere che un uomo del livello, dell'immagine, dei trascorsi nel prof. Draghi rischi di adombrare tutto il suo splendente bagaglio senza essersi sufficientemente parato in questa ragionata avventura? A mio modesto parere, è da escludere. Al che, ecco i politologi con l'ultima domanda: è da pensare che alla scadenza del settennato presidenziale del prossimo anno, il prof. Draghi possa concorrere per la suprema carica? E perché no se dovessero sussistere le condizioni di convergenza necessaria? Ma, sempre modestamente, non credo che quello sia il primo dei futuri problemi del Paese. Oltre ai citati, gli effetti politici che il prof. Draghi ha prodotto non sono da poco: un'ulteriore frattura tra i Pentastellati, l'allontanamento di una parte del loro mondo da quel connubio (strano) col Fatto Quotidiano, una nuova vivificazione dell'Italia renziana e delle vistose incrinature nel centro-destra già ammalato. Le palle sono tornate a scorrere sul panno della Storia. Beh! Non esageriamo. Comunque, atteso che il prof. Draghi non è Zorro nonostante i plausi di liberazione e di ringraziamento che gli giungono da ogni categoria e da ogni ceto sociale e che non compete a lui combattere le ingiustizie sociali, venuta meno la raffazzonata gestione di Massimiliano I non vedo in attesa dietro le quinte un Benito Juarez. E nessuno sembra accorgersene. Quello, secondo me, è il vero enorme problema, ad oggi semplicemente rinviato. Massimo Sergenti

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LA VISIONE STRATEGICA DELLA LEGA Gli eventi dell'ultimo anno hanno incisivamente cambiato il quadro politico sia a livello nazionale che a livello europeo e mondiale, e a oggi è ancora difficile capire come evolveranno gli scenari. Ma alcuni dei fatti accaduti meritano un serio approfondimento. Per quanto riguarda l'Unione europea, un punto a mio giudizio dirimente è il netto cambiamento di rotta e la discontinuità con le politiche di austerità e rigorismo che hanno profondamente segnato le economie di alcuni Stati, e in particolare il nostro, fino allo scorso anno. Conscia di aver mancato di leadership e probabilmente di lucidità durante la crisi finanziaria del 2008 soprattutto per quanto concerne le azioni a salvaguardia dei cittadini, l'Unione, che nella crisi finanziaria, avvitandosi nel rigorismo improduttivo e nell'austerità, aveva generato una spirale di povertà, ha completamente cambiato strategia. Il "whatever it takes" di Draghi è proseguito, cosa assolutamente non scontata, assegnando alla Banca centrale europea un ruolo (ancora imperfetto) di prestatore di ultima istanza, in modo così da eliminare, almeno per il momento, i problemi di spread e gli attacchi degli speculatori finanziari contro gli Stati. Discontinuo durante l'attuale crisi è stato anche il rigorismo rispetto all'applicazione del Patto di stabilità e al famoso rapporto deficit-PIL al 3%. Altra misura che dall'entrata in vigore ha avuto effetti devastanti, non solo a livello nazionale ma anche e soprattutto per gli enti locali, determinando una contrazione e un peggioramento dei servizi per i cittadini. Soprattutto nella sanità, settore in cui i tagli richiesti sono stati importanti, spesso senza vagliare la relazione costibenefici e la qualità dei servizi offerti, ovvero tagliando settori di eccellenza e permettendo sacche di sprechi. Penso alla riorganizzazione della rete ospedaliera, che ha portato al taglio di centinaia di presidi ospedalieri territoriali (presidi che la Germania ha evidentemente potuto salvaguardare) e che durante la pandemia è stata una delle ragioni che hanno portato alle difficoltà degli ospedali nelle grandi città. Mai come in questo momento sappiamo quanto sia importante strategicamente il settore della sanità, in particolare per una popolazione anziana come la nostra. Ebbene, non dobbiamo dimenticare che la genesi dei tagli è nata proprio dal Patto di stabilità. Un patto che abbiamo scoperto, finalmente, non essere un dogma scolpito nella pietra. Un punto che la Lega ha sempre sostenuto ma che sembrava impossibile da affrontare. La paura del contagio e la constatazione che i virus attraversano le frontiere molto velocemente hanno portato al crollo di un altro dei dogmi europei, usato a più riprese per bacchettare e richiamare all'ordine il nostro paese: il trattato di Schengen. Un trattato che, a dire il vero, era già


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stato disatteso a più riprese dalla Francia durante la massiccia immigrazione degli ultimi anni e in seguito agli attentati terroristici tristemente noti. La libera circolazione delle persone ha trovato nella pandemia e nel rischio di contagio il suo più grosso ostacolo. Regole fino a ieri inviolabili, ovviamente in special modo per l'Italia, si sono d'incanto sciolte come neve al sole. Ovviamente noi accogliamo con estremo favore questa inversione di tendenza dell'establishment europeo, questo mostrarsi più flessibile nell'emergenza e pronto a rimettere in discussione, come dalla Lega più volte richiesto, regole che vanno adeguate alle situazioni, ai tempi, alle differenze. Il timore, oggi, è che la flessibilità dimostrata non sia in realtà frutto di una vera analisi autocritica ma solo una contingenziale risposta all'emergenza. Da qui il sospetto che alcuni contributi che paiono essere generose elargizioni europee un giorno si trasformino, finita l'emergenza, in un modo per ricattare ancora una volta il nostro paese. Ora, se l'Unione europea dovesse proseguire verso questa revisione, nei fatti massiccia, della propria politica, questo non potrebbe che incontrare il favore del nostro movimento politico, che da tempo poneva l'attenzione sull'urgenza di un cambiamento; ma i segnali da Bruxelles sono ancora molto confusi, sicuramente a causa dell'incertezza che regna in tutti gli Stati. L'altro elemento fondamentale nella visione della Lega rispetto alla prospettiva europea è il rispetto e la tutela delle culture, identità e particolarità, quello che definisco l'elemento identitario. L'Unione europea che ha fatto suo il motto "Uniti nella diversità" ha finito per diluire proprio la diversità in una omologazione normativa che mira a uniformare i settori dalla Finlandia alla Sicilia a beneficio esclusivo del mercato e dei suoi grandi attori. Tralasciando, dimenticando o cercando addirittura di cancellare un patrimonio di culture, comunità, tradizioni, modi di fare e religioni completamente eterogenei. Penso all'ipertrofia normativa nel settore alimentare o dei prodotti artigianali che ha finito, in alcuni casi estremi, per vietare prodotti dell'eccellenza italiana. Un'Unione che in alcuni casi diventa strumento di concorrenza sleale essa stessa proprio attraverso l'arma della conformità, uniformando sotto la stessa norma fattispecie completamente eterogenee. Non si può prescindere da questo elemento. Il rischio concreto che vediamo e che in molti casi è già un malessere percepito è che quello che viene chiamato "il sogno europeo", nel momento in cui si crea una struttura burocratica che governa su tutti imponendo un'uguaglianza che nella realtà dei fatti non c'è, si tramuti in un'ideologia totalitaria e da sogno diventi incubo. Un incubo dittatoriale che non prende il nome di Unione europea, che ne rappresenta solo un tassello, ma di globalismo, e non è causato da una sovrastruttura burocratico statale, ma in cui giocano un ruolo centrale le grandi e potenti lobby economiche che possono veicolare un pensiero unico. Proprio sulla falsariga di quanto è accaduto con le grandi ideologie del Novecento, le quali sembravano, per alcuni versi, dei sogni di uguaglianza, e invece si sono rivelate delle dittature ferocissime e sanguinarie. Sotto gli occhi di tutti è quello che sta accadendo con i social network, che sono certo uno strumento utilissimo per tenersi in contatto e mantenere legami con persone ovunque nel mondo. Strumenti detenuti da privati ma di uso pubblico, che sono stati esaltati a più riprese come veicolo di libertà e usati in alcune situazioni per organizzare resistenze a regimi dispotici, ad

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esempio durante le primavere arabe, anche se i risvolti in quei casi sono stati abbastanza funesti. Dei veicoli importanti, gestiti oggi in situazione di quasi assoluto monopolio al di fuori di regole predeterminate e che facilmente, la storia insegna, possono trasformarsi in strumenti di dittatura. Nel momento in cui un social network decide di oscurare una persona da un dibattito pubblico sulla base delle sue idee politiche, ebbene allora inizia a intravedersi all'orizzonte una possibilità per colpire i nemici politici, oppure i nemici religiosi, o magari un giorno colpire delle persone che cercano di difendere determinati diritti. Questo punto, che merita un'attenta riflessione priva di schemi ideologici, mi porta a toccare un aspetto prospettico per me centrale: il delinearsi di una profonda dicotomia tra un'élite "globalizzata", dai grandi mezzi economici e perlopiù concentrata nei centri delle grandi metropoli e le persone meno agiate nelle periferie. L'huntingtoniano scontro di civiltà si attualizza oggi in un confronto/scontro politico-ideologico che vede da un lato élite globalizzate e globalismo e dall'altro quelli che chiameremo gli identitari, cioè coloro che fanno della difesa della differenza un valore aggiunto. Una dicotomia oggi presente non solo in Italia e in Europa, ma in tutto il mondo. Gli identitari oggi incarnano non solo le persone legate per varie ragioni alla propria identità, tradizione e cultura, ma anche coloro che magari avevano un certo agio sociale fino a trenta-quaranta anni fa e che poi, proprio in seguito alla globalizzazione, dalla caduta del muro di Berlino in poi diremo, hanno visto via via peggiorare la propria condizione economica fino alla fine della prima decade degli anni Duemila, con la crisi economica che ha in parte distrutto questa categoria dandole il colpo di grazia. Il cosiddetto ceto medio, il ceto che ha fatto la ricchezza dell'Italia e non solo e che ha anche permesso a un certo mondo "capitalistico" di poter essere tale e di prosperare. In questo scenario, osserviamo una progressiva e allarmante concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi affiancata, alle nostre latitudini, a un più o meno velato tentativo di distruzione di quella che è la piccola, media e piccolissima impresa. Un esempio, attualizzato al tempo della pandemia, è quello delle piattaforme online che, mentre gran parte delle attività restavano chiuse, hanno continuato a prosperare moltiplicando utili e dividendi e continuando a sfruttare, impunemente, a proprio favore tutti i vantaggi offerti dal contesto asimmetrico di differenti sistemi e autorità fiscali nazionali, per pagare meno tasse possibile. Ai giganti del web si aggiungano le grandi multinazionali, che in assenza di una normativa specifica sovranazionale fanno dumping salariale delocalizzando le produzioni e sfruttando la permeabilità dei confini dell'epoca globale per fissare le sedi all'estero e pagare meno tasse nel nostro paese. La domanda che ci si pone allora è la seguente: qui non vale il concetto di uguaglianza? Perché un artigiano deve destinare in tasse una proporzione importante dei ricavi e invece una grande piattaforma online, con la sede legale in un altro Stato, a volte addirittura europeo, non deve pagare le stesse aliquote? Questa è una evidente distorsione sociale, fiscale e competitiva, materia che proprio per le sue dimensioni extranazionali l'Europa aveva avocato a sé fin dagli inizi. E, a questo punto, c'è da chiedersi a che scopo. Quei miliardi elusi sono una riserva che andrebbe indirizzata a sostegno delle imprese e dei cittadini. La lotta e il contrasto all'elusione


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delle multinazionali dovrebbero essere una prerogativa esercitata con forza a livello europeo. Una mancanza grave che oggi più di prima lascia aperti grandi interrogativi sull'effettivo ruolo che, pur potendo, l'Europa sceglie di non giocare. Inoltre a uno sviluppo ordoliberista che porta a una concentrazione della ricchezza e del potere in poche mani, noi opponiamo una visione distributista, ossia la partecipazione alla proprietà privata del maggior numero di persone e famiglie per rilanciare il ceto medio, unico garante della ricchezza e della libertà di ogni società. Quelle piattaforme, peraltro, sono le stesse che oltre ad avere una posizione dominante di quasi monopolio possono anche decidere di oscurare, censurare una persona in base al gradimento delle idee politiche, sociali o del credo religioso. Il pericolo che vediamo, come Lega, è il delinearsi di una nuova forma di dittatura, una dittatura omologante, di matrice giacobina, una dittatura che vorrebbe creare un mondo assolutamente globalizzato e individualista, in cui l'unico pensiero degli uomini debba essere quello di soddisfare i propri bisogni immediati senza porsi alcun problema riguardo al passato o al futuro, anzi talvolta ignorando completamente l'uno (o volendolo cancellare, vedasi l'abbattimento delle statue in alcuni paesi occidentali) e non potendosi occupare del secondo vista la condizione di perenne precarietà lavorativa, sociale e familiare. Un uomo individualista, solo, senza legami sociali, senza famiglia, senza comunità. Solo e precario. Precario deve essere l'uomo, per restare concentrato esclusivamente sul presente, senza neanche poter pianificare quella che è la struttura sociale che noi vediamo alla base della società: la famiglia. Ma che valore ha, oggi, per la società e le istituzioni, la famiglia? Un'istituzione naturale che, storicamente, è sempre stata invisa alle dittature in quanto elemento educativo e argine naturale dell'ideologia. La famiglia sostiene e alimenta almeno tre aree di welfare che creano crescita, ricchezza e diminuiscono i costi dello Stato assistenziale, tre aree che di fatto sono date in outsourcing alla famiglia e dovrebbero essere compensate con un riconoscimento esplicito anche di natura fiscale. La famiglia nella nostra visione riveste il ruolo di attore economico e produttore di ricchezza, è allo stesso tempo investitore in capitale umano, risparmiatore e redistributore di reddito al suo interno. Questo ruolo dovrebbe essere incentivato con criteri meritocratici e invece la famiglia è ignorata se non persino derisa e de-valorizzata. Perché la famiglia come collante generazionale, elemento per tramandare conoscenza e tradizioni, è il più potente argine alle dittature e alle omologazioni. Il valore economico della crescita e decrescita della popolazione purtroppo non è ancora tenuto nella dovuta considerazione, anche se la Federal Reserve si è spinta a quantificare la compressione sul PIL cau-sata dalla denatalità nei paesi OCSE indicando un tasso dell'1,25%, a partire dagli anni Ottanta. Il crollo della popolazione interrompe il ciclo di crescita del PIL. Una interruzione della crescita per contrastare la quale sono state purtroppo proposte soluzioni errate come l'aumento dei consumi individuali, confondendo di fatto cause ed effetti della crescita o decrescita economica. Questa scelta ha inoltre determinato infausti meccanismi a spirale che sono alla base del collasso delle economie occidentali, la trasformazione del risparmio in consumi, con il conseguente

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crollo della base monetaria per le banche. E per spingere a consumare sempre di più si è dovuto, di conseguenza, aumentare il potere di acquisto, e non potendo alzare i salari si è cercato di diminuire i prezzi dei prodotti acquistati, perciò i costi di produzione e per farlo si sono trasferite le produzioni in paesi dove costa poco produrre (delocalizzazioni). La conseguenza è che non si investe più nel paese che si deindustrializza, trasformandolo de facto in un'economia di consumatori/ex-produttori. Il lavoro diminuisce e la disoccupazione aumenta. Una delle cause della caduta di una delle più grandi civiltà della storia è stata il calo demografico. Secondo lo storico francese Michel De Jaeghere nel suo "Gli ultimi giorni dell'Impero romano" a decretare la fine dell'impero romano, 1500 anni fa "fu un mix letale di denatalità, immigrazione fuori controllo, tassazione abnorme, corruzione endemica. La penetrazione massiccia nel tessuto imperiale di popolazioni barbariche comportò un boom della schiavitù. Parallelamente, la denatalità fece passare Roma da un milione di abitanti a ventimila nel V secolo, generando, a spirale, una infinita serie di problemi: la crisi dell'amministrazione, del sistema stradale, dell'erogazione di acqua sulle lunghe distanze, l'aumento delle malattie". Una civiltà senza figli è destinata a morire, perché non pensa più a pianificare un futuro o, quanto meno, non si aspetta di avere un futuro roseo. I figli, anche dal punto di vista culturale, creano nei genitori (con le dovute eccezioni) un sentimento di cui oggi si sente una terribile mancanza: il senso di responsabilità. Certo, è molto più facile aprire i confini e compensare il calo della natalità con un ingente afflusso di popolazione straniera, come oggi teorizzano certi progressisti. Ma bisogna essere consapevoli che so-stituire le culle con gli immigrati vuol dire al contempo decretare la fine di un popolo, una storia, un paese e spegnerne le prospettive di crescita. "Nessuna civiltà - scriveva René Grousset nel suo "Bilancio della storia" - viene distrutta da fuori senza essersi prima rovinata da sola, nessun impero viene conquistato dall'esterno, senza che precedentemente fosse già suicida. E una società, una civiltà si distruggono con le proprie mani solo quando hanno smesso di comprendere la loro ragion d'essere, solo quando il pensiero dominante attorno cui erano poco prima organizzati è come divenuto straniero a loro stesse. Tale fu il caso del mondo antico". Nella narrazione contemporanea il globalismo inquadra gli uomini come ingranaggi o numeri utili o meno in base al profitto o all'interesse. Per completare il circuito globalista e portarlo al suo compimento massimo, nel 2001 è stato sancito l'ingresso della Cina nel WTO senza valutare in anticipo le possibili conseguenze sul mercato dell'introduzione di un regime che usa manodopera a basso costo, senza Stato sociale e tutele sindacali. Una concorrenza che ha generato in successione disoccupazione e povertà nei nostri territori, originato flussi migratori necessari ad alimentare un sistema economico basato su un lucroso scambio tra manodopera a basso costo e perdita di diritti. Impoverite le tutele per i lavoratori, il sistema tara al ribasso l'asticella del lavoro, generando precarietà e nuove schiavitù, una realtà ormai sotto gli occhi di tutti. Con le categorie di Kevin Bales, i migranti figurano oggi come nuovi schiavi e come merce umana nell'economia globale. L'immigrazione è quindi un prodotto della globalizzazione che risponde a interessi di parte e non al bene comune, ed è infatti "il capitale industriale a richiedere


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sempre più immigrazione" come disse nel 2011 Bauman, generando così squilibri nelle società, sradicamento dei soggetti e nuove povertà. L'abbassamento dei salari è stato quindi realizzato anche attraverso l'immigrazione massiccia di manodopera. Spacciata talvolta per accoglienza umanitaria, è invece servita a un disegno ideologico-strategico: considerare l'uomo un mezzo economico, senza tener conto di tutti i problemi sociali legati all'immigrazione. Inoltre, è noto che un massiccio afflusso di immigrati diluisce inevitabilmente l'identità di un popolo, predisponendolo più facilmente alla plasmabilità rispetto a eventuali imposizioni. Anche qui registriamo che alcune cose stanno cambiando; la Lega osserva con molta attenzione quello che sta avvenendo in Francia, dove una certa politica anti-identitaria, che considerava l'integrazione un dogma inviolabile, sta cambiando approccio, soprattutto in ragione del dato che molte comunità faticano a integrarsi nella realtà francese. Il presidente Macron ha recentemente iniziato a introdurre il concetto di assimilazione da contrapporre alla "separazione" messa in atto quando cittadini di origine straniera non accettano le leggi della Repubblica. Un passaggio chiaramente ispirato anche dagli ultimi attentati di matrice islamista, ma che ha comunque determinato un'inversione di tendenza: dal paradigma dell'integrazione all'assimilazione, con la richiesta che i cittadini debbano sentirsi prima di tutto francesi per poter restare in Francia. Questo è un dato molto significativo perché mostra come il presidente Macron abbia, come noi, compreso che se una potenza vuole essere tale deve avere una certa omogeneità culturale sul proprio territorio. In ultima analisi osserviamo anche cosa è accaduto negli Stati Uniti. Trump è stato sicuramente sostenuto dalla nostra forza politica, io ho avuto il piacere di essere negli Stati Uniti quando c'è stata la sua vittoria alle elezioni politiche, vittoria nella quale nessun analista europeo credeva. Premetto che gli ultimi avvenimenti lasciano sicuramente basiti, e che il ricorso alla violenza va sempre condannato in ogni sua forma, ma bisogna riflettere su un elemento nuovo che è emerso. Raramente si è vista una ribellione che ha avuto come attori gli esponenti di quello che probabilmente è o era il ceto medio americano. Abbiamo assistito a rivolte delle minoranze etniche negli Stati Uniti o dei gruppi che rivendicavano il riconoscimento di determinati diritti, e di frange politiche estreme. Ma il 6 gennaio a Capitol Hill è accaduto qualcosa di diverso, che probabilmente avrà un impatto negativo per i Repubblicani, ma dal quale il partito repubblicano, così come credo tutti i movimenti identitari mondiali, non possono più prescindere, ovvero che vi è una frangia - e non credo così esigua - di persone che soffrono terribilmente l'impoverimento del ceto medio e il pensiero unico globalista. Se non si riesce a comprendere che questo sentimento di disagio esiste e ha radici molto profonde, che si stanno riducendo sempre di più gli spazi di libertà individuale, che non si è più liberi di esprimere un pensiero dissonante senza essere coperti di ridicolo, infamia e calunnia, temo che Capitol Hill non rimarrà un evento isolato. Per quanto riguarda l'Italia, il paese dovrebbe articolare un progetto di sviluppo più legato alle differenze territoriali, e su questo le idee di Miglio e di Bossi sul federalismo restano attuali. È inutile negare che il Nord Italia abbia una vocazione manifatturiera vicina a quella di certe regioni della Germania e della Francia, e che il Sud Italia avrebbe potenzialità enormi nello sfruttare in

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maniera strategica la posizione geografica. L'Italia è nel mezzo del Mediterraneo, dal Mediterraneo passano tantissime merci che per trovare un porto che le accolga devono spesso arrivare nel Nord Europa. Ecco, trovo folle che non sia stata fatta una politica incentrata sul rilancio delle infrastrutture portuali che abbia consentito a queste merci di passare rapidamente dall'Italia per essere smistate nel resto d'Europa. La vocazione marittima dell'Italia è uno degli assetti strategici da sfruttare. Inoltre, esercitare una leadership nel Mediterraneo è fondamentale. Anche perché si tratta dei nostri confini. È una questione commerciale e insieme di sicurezza nazionale. Non possiamo permetterci di vedere la Turchia che si rafforza, senza battere ciglio, in Libia, in Albania e in generale in tutta l'area. Dall'altro lato, nell'Unione europea, la Brexit ci dà l'opportunità di riacquistare un ruolo storico che ci apparteneva, di punto di incontro fra Germania e Francia, sempre che questa posizione si sia in grado di sfruttarla. Purtroppo, al momento sembra che il compromesso con Francia e Germania sia quello di permettere alla Francia di fare liberamente shopping delle nostre aziende aumentando la sua influenza e alla Germania di consolidare la sua leadership a livello globale usando come volano le istituzioni, mentre rafforza il suo peso geopolitico ed economico nel Nord-Est continentale e, per quanto ci riguarda da vicino, nel Nord del paese. Occorre considerare l'Europa per ciò che è: un luogo in cui chiudere accordi, regolare le controversie attraverso le norme e dove diventa fondamentale saper difendere gli interessi nazionali e sempre più importante rendersi il più possibile indipendenti dal punto di vista strategico da Francia e Germania per fare l'ago della bilancia nelle istituzioni europee e contemporaneamente ampliare la nostra sfera di influenza nel Mediterraneo. Lorenzo Fontana deputato, è vicesegretario Federale della Lega


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SAN GENNARO, PENSACI TU Sta diventando una consuetudine: ogni anno, sotto le Feste, sembra quasi che, improvvisamente, arrivi a rendermi conto di situazioni che vanno dallo sconcertante al paradossale; e non è che queste si manifestino in tale periodo: sono là, da tempo ma, con ogni probabilità, gli impegni giornalieri che distolgono e la fretta che acceca le 'nasconde' all'attenzione. Il periodo cosiddetto natalizio, invece, induce alla serenità, alla mitezza cosicché l'occhio e l'orecchio arrivano a captare le storture. Il primo impulso, almeno quello di tempo addietro, fu di cercare il responsabile, rinfacciargli le brutture commesse e, per punizione esemplare, schiaffeggiarlo sonoramente e poi spedirlo all'angolo, in ginocchio sui ceci. Ma dovetti ricredermi subito: mi avrebbero preso per matta e, con ogni probabilità, sarei incappata nei rigori della legge. In ogni caso, però, sentii l'irrefrenabile desiderio di condividere il mio stato d'animo e, almeno, di additare al pubblico ludibrio i contrasti più evidenti nei quali avevo avuto la sfortuna d'imbattermi. Una specie di seduta dallo strizzacervelli. Così nacque la mia abitudine. E meno male, perché le cosiddette Feste ultime sarebbero state ben più tristi senza neppure avere la possibilità di un foglio bianco da riempire con la mia amarezza che tra la fine dell'anno passato e gli inizi di quello presente è stata ed è alquanto pungente, senza neppure avere il piacere di motteggiare una serata attorno ad una tavola chiassosa e di celebrare prosaicamente la nascita del Bambino con una bottiglia che sbotta e l'arraffa arraffa scherzoso del panettone. Non parliamo del Capodanno. Un mio vicino anziano, con consorte al fianco, forse colto da un attacco claustrofobico nel passato Natale che lo ha indotto ad attestare la loro presenza nel mondo, ha sparato nell'area condominiale un'intera batteria di fuochi d'artificio, in quantità e qualità tali da suscitare l'invidia della Festa Nazionale monegasca. Due soggetti che, dopo aver innescato la miccia, sono rimasti silenziosi e immobili a guardare quel tripudio di colori che si spargevano sul nero schermo celeste, insensibili ai tremendi botti che rimbalzavano tra le case. E, al termine, come in una specie di surrealismo felliniano, mentre le ultime volute di fumo si disperdevano nell'aria, si sono girati e se ne sono andati, perdendosi tra le ombre della notte. Il tutto sotto lo sguardo silente e compreso dei condomini, affacciati alle finestre perché richiamati dal vicinissimo, assordante frastuono. L'impeto di pena che ho provato per quell'aleatoria e costosa attestazione di esistenza mi ha ricordato, per la legge del contrappasso, la foto di un bambino del Biafra; immobile sull'orizzonte

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deserto, con la pancia gonfia dalla fame, simbolo di sogni infranti e di speranze perdute, la cui attestazione di esistenza è derivata solo dall'emozione suscitata in un fotografo. Questo soltanto per dire che la stupidità non fa sconti, è una specie di livella di decurtisiana memoria: si manifesta in ogni dove alberghi ottusità e arriva a colpire tutti, abbienti o meno, cancellando brutalmente aspettative di vita. Eh! Sì, sono state delle ben tristi Feste, preoccupata, tra l'altro, per il nostro agente pandemico. Infatti, visto l'inutile fiume di denaro destinato ai sussidi, mi correggo, ai ristori che, quando dovesse arrivare ai disidratati, aggravati dalle lunghe corse in monopattino e in bici, si tradurrebbe in poco più di un sorso d'acqua a testa, mi chiedo quanto sia costato, in aggiunta, alle casse dell'Erario educare il virus. Non deve essere stato facile: può colpire un convivio da sette persone in su, non prima delle 18 nei ristoranti e nei bar, nei mezzi pubblici solo se vede superare il 50% della capienza; nei centri commerciali, poi, non può attecchire nei giorni feriali. In ogni caso, ha mano libera dalle 22 alle 5 del mattino verso gli incauti pedoni e automobilisti; l'avrebbe anche nelle piscine, nelle palestre, nei cinema e nelle stazioni sciistiche ma l'accorta mano del governante le ha chiuse. Oh! Dimenticavo: gli è fatto divieto di contagiare atleti e calciatori durante le manifestazioni nonché H24 i frequentatori di farmacie, di supermercati, di barbieri e di parrucchieri. Povero Covid. Gli sarà venuto l'esaurimento nervoso alle prese poi con le direttive regionali dove ha dovuto adattarsi all'uso della mascherina: solo in alcuni luoghi chiusi, in tutti i luoghi chiusi, all'aperto in vicinanza di altri, all'aperto tout court. Ha provato a spiegare che la sua carica virale ben difficilmente si sarebbe adattata alle fumisterie umane ma, che dire, alla fine ha dovuto cedere visto il rimbalzare dei dati che da un lato lo danno perdente e, dall'altro, vincente. Ma le roboanti accuse, comunque, non lo gratificano perché non corrispondono al suo essere, alle sue potenzialità, agli effetti che gli vengono attribuiti. Si sente come un pugile scarso che vince l'incontro per intrallazzi tra i managers. Credo sia demoralizzato. In suo nome, negli ospedali, 32 milioni (sottolineo 32 milioni) di visite mediche non sono state effettuate e oltre 600.000 (sottolineo 600.000) interventi chirurgici sono stati rinviati sine die. Chissà come si sarà sentito, poverino, quando l'ISTAT ci ha detto che nel 2020 sono morte oltre 23.000 persone in più rispetto all'anno precedente per patologie non attribuibili alla pandemia. Meno male che quest'inverno l'influenza ordinaria sembra aver deciso di latitare perché, diversamente, i decessi in eccesso per cause extra Covid sarebbero saliti a oltre 80.000 visto il numero dei trapassi annuali attribuiti in via ordinaria a quella banale affezione. E, questo mentre un bollettino quotidiano gli conferisce migliaia di contagi giornalieri e centinaia di morti. Eppure, per dichiarazioni ufficiali, le terapie intensive sono occupate al 20% circa mentre nei reparti ordinari non risulta un letto disponibile. Con tutto il rispetto per i defunti, dev'essere ben dura manifestare una così vasta schiera di patologie da saturare ogni reparto in ogni dove geografico e poi crepare all'improvviso, senza che il corso degli eventi si acutizzi, al punto da non passare per la rianimazione. Chissà come si sarà sentito il nostro virus quando mercé la suddivisione dell'Italia per colori ha


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dovuto ulteriormente adattarsi, barcamenandosi tra i 21 punti di valutazione fissati dal competente Ministero, la solerzia dei centri di riscontro centrale, l'operosità dei centri di rilevazione regionale, la cabina di regia per l'interpretazione dei glifi, i pronunciamenti dell'allievo del Mago di Arcella e le previsioni metereologiche di lungo periodo: da perderci il capo, povera anima innocente. Non sto, infine, a dire i singhiozzi di aperture e chiusure nel periodo festivo che l'hanno definitivamente stressata. La speranza è stata che il Ministro della nostra Salute si rendesse conto delle sue condizioni che sono ormai alla frutta e, nella sua riconosciuta ed apprezzata perspicacia, gli lasciasse tirare in santa pace l'ultimo respiro. Insomma, una pena, al punto da arrivare ad essere prostrata. Ma, per fortuna, non sono mancate occasioni di rivitalizzazione che hanno trasformato l'abbattimento in vivificanti ed esaltanti incazzature. E tra queste, il terrificante percorso della Via Tiburtina a Roma nel quale mi sono imbattuta in occasione del rituale scambio degli auguri con i miei consanguinei, appena prima del lockdown festivo. Un percorso rispetto al quale quello sulla via Pontina dello scorso anno è stata una passeggiata di salute. Sono rimasta talmente colpita che, una volta tornata a ma maison, ho spulciato sul web per avere contezza della situazione e, immediatamente, migliaia di pagine si sono affollate sullo schermo, buona parte delle quali co-dedicate alla Sindaca Raggi che, con sorriso inquietante, guarda l'obiettivo. "I cantieri ripartono, dureranno un anno. Entro maggio 2019 il raddoppio della Tiburtina sarà concluso". Era il 13 aprile 2018 quando, davanti alla stampa riunita, la sindaca di Roma, Virginia Raggi, insieme all'allora assessora ai Lavori Pubblici, Margherita Gatta, poi sparita rapidamente dagli schermi radar, annunciò trionfante che le 'magnifiche sorti e progressive' della nota strada consolare erano cosa fatta e che, "grazie all'accordo sottoscritto" veniva "finalmente messa la parola fine su un contenzioso che durava da anni, con il prossimo riavvio dei lavori". Infatti, l'onirico intento di raddoppiare la carreggiata sembra essere partito nel 2008, tra la fine della gestione Veltroni e l'inizio di quella di Alemanno. Le cose, però, con tutta evidenza ma senza nota ragione, non sono andate per il giusto verso. Tanto che oggi la Tiburtina, per almeno sei chilometri, si presenta come una strada infernale, divorata dall'usura del tempo, tra devastanti buche e avvallamenti pieni d'acqua, gravata da un gigantesco cantiere fantasma che si snoda tra gincane di corsie ristrette da alti new jersey intervallati dai festoni arancioni delle reti traforate, senza neppure un operaio a lavorare. Percorsa da un traffico ininterrotto, tra Tir che a passo d'uomo cercano di districarsi e le colonne di auto al seguito, l'aria rasenta l'irrespirabile. Alcuni ingenui cittadini hanno attaccato in giro cartelli con la scritta 'Basta inquinamento'; cartelli che, con ogni evidenza, nessuno considera. Come del resto, nessuno valuta che la Tiburtina è oggi sede del più importante distretto industriale della Capitale che tra le ripercussioni sulla logistica, i disagi della pandemia e la contingenza economica rischia di essere definitivamente compromesso. C'è anche da dire che il Codacons, sin dal 2019, ha presentato un esposto alla Procura di Roma del quale, ad oggi, sicuramente a causa delle ripercussioni della pandemia sugli iter procedurali, non si ha alcuna successiva notizia.

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Mi hanno recentemente detto che la parola 'vergogna' è stata depennata dai dizionari. Eppure, la sua esemplificazione era di una chiarezza esemplare. 'Sentimento più o meno profondo di turbamento e di disagio suscitato dalla coscienza o dal timore della riprovazione e della condanna (morale o sociale) di altri per un'azione, un comportamento o una situazione, che siano o possano essere oggetto di un giudizio sfavorevole, di disprezzo o di discredito.'. La ventilata novità deve avere un fondamento se qualcuno, disinvoltamente, dimentica di essere il primo cittadino della capitale d'Italia: incomprensibili, annose chiusure di numerose stazioni centrali della metrò con gravissimi disagi alla cittadinanza e ai turisti, innumerevoli strade dissestate e sporche buona parte delle quali intervallate dagli orpelli di cantieri fatiscenti, alberi abbattuti dal vento lungamente esposti alla vista prima di essere rimossi, traffico schizofrenico, un verde pubblico da giungla e vie invase dalla vegetazione che arriva ad intralciare la carreggiata e a coprire i segnali stradali per mancata potatura. Roma, una città che appare allo sbando. Ciò nonostante, una piattaforma dall'immeritato nome di Rousseau, afferma impudentemente che quel qualcuno, su volere di cittadini del web, ha numeri per ricandidarsi. Da non credere. Forse, (sto giocando) il richiamo a Rousseau deriva dall'opera del filosofo 'Il contratto sociale' a significare un sentito legame con la società del web, con quella società civile (informatizzata) che Rousseau analizza significativamente. Con ogni evidenza, tuttavia, il creatore della piattaforma non ha letto il Discorso sull'origine e il fondamento dell'ineguaglianza tra gli uomini di quello stesso filosofo che nella Parte VII spiega, praticamente, come nella stessa società civile (informatizzata) si possa manifestare la dabbenaggine. Dev'essere, comunque, un fatto di categoria se compagni (Colleghi? Amici? Co-viandanti?) della stessa formazione (Partito? Movimento?) affermano che quella piattaforma li ha legittimati e li legittima a guidare le sorti di un Paese. E, analogamente, dev'essere convinzione tra loro comune credere che nessuno abbia letto quella seconda opera del filosofo. Altrimenti, come sperare di rimanere in sella dopo una serie di … azioni che non trovano riscontro nei governi della cosa pubblica in alcuna parte del mondo? Neppure nelle sbrigative Repubbliche di Bananas. Abbiamo scritto più volte a proposito di quelle … azioni, alcune perpetrate prima della pandemia ed altre durante; per cui non vale la pena di tornarci. Soprattutto ora che la candida Rosa Mistica ha delegato a San Gennaro il riordino dei posti e dei compiti nella schiera dei Beati. Comunque, basti sapere che recenti sondaggi danno a quella formazione di disattenti seguaci rousseauiani, la perdita di circa il 70% dei consensi, nel migliore dei casi, alle prossime consultazioni elettorali. Aveva ragione Abraham Lincoln nel suo celebre discorso a Clinton (Mississippi) nel 1858 quando affermò che "… Potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre …". Così, aspettando tempi migliori, non ci resta per ora altro che confidare in San Gennaro, che in ogni caso è un gran Santo, nella speranza che l'opera delle sue benefiche mani possa agire anche su quel 30% residuo. Per il loro e per il nostro bene. Roberta Forte


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IRRESPONSABILITA’? Una doverosa premessa: considero la consequenzialità logica di matrice cartesiana prerequisito e "conditio sine qua non" di ogni ragionamento tra esseri umani. Di una qualsiasi fattispecie riconducibile a specifica fattualità, la relativa interpretazione non può saltabeccare tra differenti premesse concettuali di tipo aprioristico, se non addirittura contraddittorio, al solo fine di asservire l'argomento in esame ad una tesi preconcetta. Di conseguenza chi fa violenza al mio venerato Cartesio mi induce ad un immediato cambio di canale TV, laddove la conduzione del relativo programma giornalistico di commenti a fatti di cronaca plani su una lettura, diciamo, preconfezionata di quanto in esso venga narrato: e cioè che si tenda a far si che il "fatto" si accomodi dentro la tesi e non - come invece sarebbe giusto che sia la "tesi" a doversi eventualmente piegare, seppure "obtorto collo", alla caparbia ineluttabilità del fatto. Laddove quest'ultimo venisse invece violentato allo scopo di sostenere "tout court" una indimostrata premessa ideologica, il dialogo tra umani scadrebbe al livello di quella che io intrattengo con il mio adorato gatto "Lulu" di cui sono certo che se da un lato il suo monocorde ed inintelligibile miagolio sia senza dubbio frutto di una stringente consequenzialità di cause ed effetti all'interno del suo piccolo cranio, non potrei, dall'altro, non notare come (ahimè per lui!) tale sua "logica" giunga al mio orecchio veicolata da inintelligibile suono che soltanto l'amore che gli porto mi consente di poter, in parte, decifrare. Tra umani ciò non dovrebbe accadere: si è verificato un fatto? Lo si analizzi e si giunga ad una conclusione che, seppur eventualmente non condivisa, sia comunque frutto di un imprescindibile successione logico-conseguenziale e non invece di unilaterale assertività. E cominciamo il ragionamento da un …. traliccio. Si, proprio un traliccio per fili elettrici: Svariati decenni fa, in una proprietà di famiglia, la società distributrice dell'energia elettrica piazza alcuni tralicci metallici per il passaggio delle linee aeree di alta tensione. Per un fanciulletto di tipo "arboreo" quale ero io all'età di sette anni (che adorava accomodarsi sull'albero d'arancio o di fico e guardare il mondo da "un po' più in su") quel nero scheletro aereo che toccava il cielo aveva un grande fascino unito ad una sincera invidia per gli uccelli che potevano starsene posati su quei fili per me irraggiungibili. Come sarebbe stato bello potersi arrampicare fino in cima! Purtroppo c'era un grosso "ma": a qualche metro da terra era piazzata una minacciosa targhetta metallica con scrittura in traforato ove, sotto l'immagine di un teschio e due tibie incrociate, campeggiava la scritta: "Attenzione chi tocca i fili muore". Benché imberbe, l'eventuale scenario evolutivo della situazione mi era del tutto chiaro: qualora mi fossi

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arrampicato sul traliccio e ne fossi, per pura fortuna, ridisceso illeso, delle due prefigurabili conseguenze, una sarebbe stata certa, l'altra del tutto inverosimile. La prima, garantita, una tirata d'orecchie da parte di mio padre condita dalla frase: "ma che stupidaggine stai facendo, non vedi che è pericoloso e potresti farti molto male!" La seconda, e naturalmente del tutto improbabile data cultura e mentalità del mio augusto genitore, sarebbe invece stata del tipo: "Stai tranquillo, mio piccolo caro, la farò vedere io a quel bruttaccio dell' ENEL. Ma come si permette questi di attentare all'incolumità, del mio adorato pargolo? " Del tutto inimmaginabile. Dal traliccio dell'alta tensione, scivoliamo ora sulla terra ed accomodiamoci nel salotto di casa davanti all'ineludibile televisore ove, causa forzata reclusione da pandemia, ci si abbevera a variegati programmi di attualità che commentano fatti di cronaca dal forte impatto mediatico che mi inducono a parallelismi, riflessioni e commenti, tutti accomunati comunque dalla mia, forse patologica, ricerca di sottesa onestà intellettuale di tipo logico. Ciò premesso, passiamo ad un fatto di cronaca dal forte impatto mediatico avvenuto di recente a Milano. Protagoniste due giovani donne che hanno incontrato sul loro cammino un rampante imprenditore in uno splendido attico di centro città. Incontro che ha poi dato stura ad un'indagine delle Forze dell'Ordine per reati ascrivibili all'articolo 609 bis e seguenti del Codice Penale (stupro). Di conseguenza, qualora in ultima istanza di giudizio, la persona accusate dovesse essere riconosciuta colpevole del reato imputatogli (come suole dirsi, aldilà di ogni ragionevole dubbio) la impeccabile lettura "cartesiana" delle fattispecie, nella sua lineare semplicità ed al netto di qualsiasi commento, sarebbe soltanto la seguente: 1) il fatto, di per se stesso irreversibile, sarebbe effettivamente avvenuto (lo stupro), 2) l'autore materiale del reato sarebbe stato ben identificato, 3) lo Stato di diritto avrebbe applicato le relative norme del codice penale. Il cerchio si sarebbe in tal modo chiuso e la concatenazione logico-fattuale dell'evento sarebbe stata rispettata: l'eventuale delitto avrebbe trovato la sua punizione, Cartesio non avrebbe alcunché da eccepire e lo Stato avrebbe svolto il suo compito sanzionatorio a protezione del cittadino. Dove l'auspicato approccio cartesiano alla fattispecie comincia a mostrare invece qualche crepa è nella lettura mediatica del fatto inquinata, a mio modo di vedere, da un preconcetto di tipo ideologico secondo cui, nell'odierno e purtroppo brutale confronto tra maschi e femmine, la ragione sembra doversi trovare sempre e comunque dalla parte delle donne e la colpa invece, ed in maniera altrettanto netta, soltanto dalla parte dell'uomo. Premetto a scanso di equivoci che, nella fattispecie delle due ragazze milanesi, queste siano senza dubbio parte offesa e che quindi sia giusto che vada ad esse una sorta di aprioristica solidarietà da parte della giudicante, e copiosamente lacrimante, platea televisiva. Assodato quanto sopra, un leggero ronzio di logica cartesiana disturba tuttavia il mio orecchio e mi induce a riflettere in ossequio ad una certa onestà intellettuale. Ricordate il "warning" di elettrica memoria : "Attenzione, chi tocca i fili muore"? Bene. Allora usciamo dalla metafora e cerchiamo di impostare un ragionamento, mi auguro, sostenibile e tale da potersi contrapporre


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ad una preconcetta narrazione mediatica che - con un livello pari a zero di riflessioni circa un'eventuale carenza di, diciamo, "responsabilità di contesto" da parte delle interessate - tende invece a vedere nelle due malcapitate ragazze le vittime "tout court". Ed intendo ciò nel senso di quanto esse stesse possano essere state "in re ipsa" - seppure in modo del tutto non consenziente, ma per questo non meno propedeutico ai suoi prevedibili sviluppi - parte costituente la successiva concretizzazione del reato. Come già accennato, qualora il reato di stupro venisse definitivamente accertato dall'autorità giudiziaria esso verrà giustamente punito a norma di legge dal vigente Stato di diritto. Ma cerchiamo di essere intellettualmente onesti e poniamoci una domanda: se scalato il traliccio dell'ENEL, nonostante la targhetta di preavviso (elemento questo fondamentale) io fossi rimasto gravemente "danneggiato" dall'elettricità, sarebbe logico e soprattutto giusto declinare in tutte le possibili salse la mia totale "innocenza/estraneità " in una fattispecie asserita come essere del tutto avulsa da una mia qualsiasi responsabilità, concetto questo che il dizionario peraltro definisce come: "la possibilità di prevedere le conseguenze del proprio comportamento e correggere lo stesso sulla base di tale previsione"? Che dire dunque di giovani ragazze, comunque maggiorenni e pertanto nella piena capacità d'intendere e di volere, che si trovino in un situazione da esse stesse descritta come festino alimentato da vassoi di droga e da cui avrebbero potuto tirarsi fuori non appena constatato che l'ambiente era chiaramente allusivo a potenziali, pericolose degenerazioni? Perché le giovani si sono comunque trattenute nella casa? Certo, nulla, assolutamente nulla può mai consentire a chicchessia di usar loro violenza (e chi la compie deve pagare) ma come si fa, mie benedette figliole, a non voler vedere che si erano già del tutto appalesate le condizioni preliminari a che la cosa, per voi, potesse andare a finire male? Che la "targhetta" di preavviso del potenziale pericolo era ben visibile proprio davanti ai vostri occhi? No, mi dispiace, ma la vulgata televisiva (in particolare de "La7" nel programma "Non è l'Arena" condotto dal pur bravo Massimo Giletti) non può non tenere conto di tali indiscutibili considerazioni. Lo stupro, comunque imperdonabile, non è dunque avvenuto in un imprevedibile e del tutto improbabile contesto ambientale tipo festa, a biscottini e Coca Cola, tra ragazzine coriste della parrocchia, ma in una casa esplicitamente deputata a contesti di tipo erotizzante conditi da abbondante e libera droga dove si sarebbe dovuto percepire che gli ammiccanti modi con cui si cominciava il festino avrebbero ben potuto trasformarsi presto in quelli truci con cui poi il tutto si sarebbe concluso. Prudenza, preveggenza, senso di responsabilità, autocontrollo, qualche briciola, se non altro, di una maturità esistenziale in persone comunque maggiorenni? Non ne scorgo, ahimè, traccia. Soltanto imprudente edonismo che ottunde ogni istinto animale di conservazione per far poi versare lacrime di autocommiserazione e, mi auguro, di un qualche pentimento per la stupidaggine compiuta e l'inevitabile "vulnus" subito. Ma ciò che soprattutto scorgo nella vicenda milanese è l'assenza nelle due giovani donne di quel qualcosa che ho già provato a definire come "responsabilità di contesto". Cosa era infatti del tutto latitante nelle due episodiche ospiti di "terrazza sentimento"?

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Risponderei: la tragica mancanza di percezione di quell'atmosfera, di quei segnali, di quel contesto che sembra aver appunto ottenebrato due giovani menti con relative, traumatiche conseguenze. Sono anziano, lo so bene e quindi tutto quanto da me emani è obsoleto, ormai fuori tempo, in una parola, autoreferenziale e quindi inutile; pur tuttavia, come è mai possibile che nei giovani di oggi sembra essersi edulcorato, se non addirittura scomparso, quell'istinto di autoconservazione che definirei di tipo "animale", quel non so che capace di attivare un senso di circospetta prudenza, di preveggenza ed infine di fuga e che induca a ragionare, valutare, tornare sui propri passi, allontanarsi qualora il contesto circostante trasmetta espliciti messaggi di pericolo? Quale sorta di vitale retro pensiero deputato alla personale protezione è venuto a mancare nel momento in cui voi, sfortunate ragazze comunque indifese, vi siete trovate in mezzo ad un famelico branco di maschi allupati che, con la droga, si procuravano altresì il modo di neutralizzare ogni vostra possibile difesa mentale? Nessuno risposta ed il mistero resterà insondabile. Ma su un aspetto che riguarda più in generale tutta la gioventù di oggi voglio interrogarmi: esiste un qualcosa di più alto, ampio, superiore al proprio ego, all'edonismo del momento, alla semplice gestione dell'attimo corrente che possa condizionare in modo costruttivo quella che oggi sembra essere soltanto una mera e cieca gestione dello "here and now"? Non lo so, ma credo che in di tale deprimente scenario un vuoto si percepisca, una carenza colpisca. Potrei azzardare: forse l'assenza di una figura paterna referente e controllante? In una Civiltà (la nostra, la greco-romano-cristiana) che ormai da oltre mezzo secolo ha annientato ogni concetto di Padre (con relativa dissoluzione della famiglia ridotta ad un' amorale istituzione di reciproca assistenza materiale) a chi dunque il compito di istradare, guidare, consigliare, correggere, redarguire ed anche punire, in una parola: a fare crescere? Non certo ad una madre in solitario, né alla parrocchia né , men che meno, alla scuola, agli amici o, Dio ne scampi, alla società stessa ormai asservita del tutto alle logiche di mercato. Cosa rappresenta allora lo sconcertante orco di Milano se non che l'ultimo chiodo piantato sulla bara della famiglia umano/sociale che - e lo ribadirò fino alla nausea - non dovrebbe vedere che nel Padre, e soltanto in lui, il custode del gruppo, il protettore della specie, il difensore dei propri cuccioli, maschi o femmine che siano, di fronte al lupo cattivo? "O tempora o mores!" è una frase che è stata ripetuta in ogni tempo e luogo e continuerà ad esserlo per tutte quante le generazione a venire, dunque mi scuso per tale banale citazione: ma cosa posso farci? Oggi tocca a me pronunciarla, ma per quanto trita possa suonare all'orecchio, essa scaturisce dal profondo di colui che qui si firma come Antonino Provenzano Roma 28 gennaio 2021


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DIVAGAZIONI CALCISTICHE DI UNA VECCHIA SCHIAPPA Il calcio, si sa, è lo sport più amato e seguito nel nostro Paese. Il 99% delle persone che guardano le partite sono tifosi e per loro non esiste alcun problema: provano godimento indipendentemente dalla qualità del gioco. Il rito della partita viene consumato con profonda partecipazione emotiva, seguito dalle lunghe elucubrazioni critiche, positive o negative, sulle scelte degli allenatori o sulla forma di determinati giocatori, magari sviscerati nei tanti programmi televisivi e radiofonici nei quali la materia calcistica viene scandagliata con attenzione certosina e strumenti tecnologici che non hanno nulla da invidiare a quelli utilizzati dalla NASA per preparare i viaggi spaziali. I problemi, invece, riguardano il restante 1%, che se ne frega di chi vinca o perda e vorrebbe solo godersi una bella partita, con tanti gol e bel gioco. Cosa che diventa sempre più difficile perché il calcio moderno tende soprattutto a impedire il gioco altrui e non a vincere giocando meglio. Questa propensione, purtroppo, va a discapito della "bellezza" e infastidisce molto i veri sportivi. I tifosi, come già detto pensano solo al risultato e per loro le partite sono brutte solo se la squadra del cuore perda. Sono molti i fattori che rendono sgradevole una partita, a cominciare dalle sistematiche proteste per le decisioni dell'arbitro, anche quando assegna una rimessa laterale. Giocatori che sgambettano platealmente un avversario, lo trattengono per la maglia, gli tirano una gomitata che farà la gioia del dentista, al fischio dell'arbitro allargano le braccia con espressione sorpresa e negano l'evidenza, magari accusando l'altro: "Non sono io che gli ho messo lo sgambetto, è stata la sua gamba che mi è capitata tra i piedi. E pazienza se gliel'ho spezzata". Parimenti insopportabili, poi, gli urli degli allenatori, che stanno in piedi quasi sulla linea di gioco, con ghigno feroce, agitandosi per novanta minuti, anche se stanno vincendo cinque a zero! (Ogni riferimento a Conte e Allegri è puramente … voluto). Una volta gli allenatori restavano seduti sulla panchina, silenziosi, intervenendo sporadicamente solo per impartire qualche disposizione tattica; oggi vorrebbero suggerire dove indirizzare la palla a ogni tocco e questo appalesa solo distonie psicotiche che andrebbero valutate da un bravo psicologo. Anche a livello di gioco si registrano azioni che lasciano sgomenti. Possibile che dei professionisti non si rendano conto di cose che ai miei tempi si apprendevano dai docenti di educazione fisica durante le partitelle tra studenti? Quei tiri di collo piede a poca distanza dalla porta, inevitabilmente destinati a raggiungere le stelle perché la parabola si perfeziona solo dopo molti metri, fanno venire i crampi allo stomaco! Lo stesso dicasi per i calci di rigore! Come si fa a

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sbagliare un calcio di rigore? Se vi è una cosa "impossibile" è proprio sbagliare un calcio di rigore! Quando andavo a scuola gli studenti che si dilettavano col pallone si dividevano tra i bravissimi, i bravi, i mediocri e gli scarsi. Chi scrive apparteneva alla categoria degli scarsi: poca visione di gioco, palleggio inconsistente, scarsa velocità e tante altre deficienze qui omesse per amor di sintesi. Nondimeno, quando mi veniva concesso di tirare un calcio di rigore, non lo sbagliavo mai. Mira precisa all'angolo destro e saetta di punta con pallone colpito al centro. Il portiere non aveva bisogno di intuire il tiro; sapeva benissimo che avrei tirato proprio lì, ma non poteva fare nulla per una semplice legge fisica: il tempo impiegato dal pallone per percorrere undici metri è sempre inferiore a quello necessario al portiere per raggiungere il palo della porta, a 3 metri e 66 centimetri dal punto di partenza. Ovviamente ciò solo nel caso di un preciso e potente tiro. Ogni altra opzione, infatti, serve solo a favorire l'intervento del portiere e magari a fargli parare il rigore. Pur sapendo che quanto mi accingo a scrivere serve solo come puro divetissement giornalistico, pertanto, indico alcune soluzioni per rendere il gioco del calcio veramente gradevole. Le due linee laterali. Una delle principali cause di interruzione del gioco scaturisce dal massiccio utilizzo delle fasce laterali, sommato alla necessità di contrastare in ogni caso l'avversario, con ogni mezzo. Ne consegue una continua interruzione del gioco per effettuare le rimesse dalle linee laterali. Si potrebbe ovviare collocando sulle due linee un cordolo di gomma alto una quindicina di centimetri, duro abbastanza da consentire al pallone di rimbalzarvi nella stragrande maggioranza dei casi, ma non tanto da rappresentare un pericolo per i giocatori che dovessero cadervi sopra. La sensibile riduzione delle rimesse laterali renderebbe le azioni più lunghe a tutto vantaggio del bel gioco e magari consentirebbe anche di aumentare il numero dei gol. Falli. Il sistematico ricorso al fallo di ostruzione, al gioco cattivo, a trattenere per la maglia l'attaccante lanciato verso la porta, costituisce un sicuro elemento di disturbo, a prescindere dalla pericolosità di alcuni interventi che, purtroppo, a volte determinano gravi infortuni. Questa propensione andrebbe stroncata drasticamente innanzitutto con una maggiore severità di giudizio da parte degli arbitri e di sicuro lo sarebbe con un semplice provvedimento: ogni quattro falli commessi, indipendentemente dalla loro natura, la quarta punizione concessa agli avversari si trasformi in un calcio di rigore. Con questa bella spada di Damocle sul groppone si avrebbe una riduzione dei falli e anche gli infortuni calerebbero sensibilmente, la qual cosa non è di poco conto. Sostituzioni Andrebbero rimodulate in modo da non risultare fastidiose. Far entrare dei giocatori a due minuti dalla fine della partita è un vero abominio, che diventa attentato al sistema nervoso quando ad agire siano entrambe le squadre, con tre o quattro interruzioni di gioco nel giro di pochi minuti. Si consenta di sostituire anche otto, nove o addirittura dieci giocatori, in modo da garantire un efficace turn-over, considerato sia il grande numero di partite da disputare per i


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tanti tornei, alcuni dei quali inutili, sia l'assurdo regolamento di una "Serie A" con venti squadre anziché sedici, come un tempo, rispettando però le seguenti limitazioni: non più di due interruzioni durante le fasi di gioco per sostituire uno o più giocatori; divieto di effettuare sostituzioni negli ultimi dieci minuti; sostituzione sempre possibile in caso di infortunio grave. In pratica sarebbe possibile sfruttare l'intervallo per effettuare tutte le sostituzioni ritenute opportune, in modo da non avere più di quattro interruzioni (due per squadra) durante le fasi di gioco, eccezion fatta in caso di infortunio. Proteste. Siano vietate in assoluto. Qualsiasi cosa accada e qualsiasi decisione assuma l'arbitro, nessuno deve fiatare, anche se si dovesse avere la certezza (che comunque è sempre una "presunzione") di un errore. Quei capannelli animosi, che mai determinano un cambio di decisione, sono solo fastidiosi e denotano un'assoluta mancanza di professionalità. Con tutti i collaboratori di cui dispone l'arbitro per valutare ogni singola azione proprio non vi è bisogno di "pressioni" interessate. È vero che il motto o temora o mores è sempre valido, nondimeno è lecito ricordare i campioni di una volta, che insieme con la bravura facevano emergere un esemplare stile comportamentale. In caso di protesta, quindi, scatti subito l'ammonizione. Passerà la voglia. Fuori gioco Bella regola, certo. Però vedere un gol annullato per fuori gioco nell'aerea piccola, magari per mezzo millimetro, fa venire il mal di pancia. Nell'area piccola niente fuori gioco. Tutte le partite sarebbero bellissime, con queste regole. E quanti gol in più! Lino Lavorgna

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UN RACCONTO I due vecchi compagni di scuola passeggiavano, uno con le mani in tasca e l'altro, il più problematico, con le mani dietro la schiena. Ma c'era un motivo per il comportamento del secondo: egli, infatti, era docente di filosofia e si atteggiava a pensatore, mentre il primo, un architetto, teneva molto a comparire scanzonato e libero. In realtà la cosa era diversa al punto da poter invertire i giudizi ora espressi e attribuire il primo al secondo e viceversa. Vallo a capire. Ma non era questo l'argomento della loro pacata conversazione. essi erano reduci da una cena, una riunione conviviale tra tutti i compagni di scuola indetta da volenterosi e sfaccendati pensionati che s'erano fatti carico di una infinità di telefonate e prenotazioni al ristorante con successive disdette e ulteriori tardive conferme. Occasione della rimpatriata era il festeggiamento dei 50 anni dalla maturità classica, appuntamento che segnava una tappa importante, a conclusione degli studi, prima di iniziare l'università e poi la professione. Bisogna anticipare che questo cursus honorum era quasi obbligato perché le famiglie di provenienza, tutte saldamente borghesi, non potevano neppure immaginare percorsi più eterogenei o creativi. La loro vita era, in quei fatidici 50 anni trascorsi, radicalmente cambiata perché da un percorso obbligato su solidi binari, avevano, con la maturità, raggiunto la stazione di testa nel deserto, oltre la quale si estendeva all'infinito il periglioso mare delle scelte, ergo delle rinunce, a cominciare dalla scelta della facoltà da frequentare, che offriva non poche alternative e paura nello scegliere. Essi comunque ora festeggiavano, o avevano da poco finito di festeggiare, quell'avvenimento così importante, seduti attorno ad un grande tavolo quadrato che una immensa tovaglia bianca dissimulava quasi fosse un tavolo intero e non una accozzaglia di tavoli e tavole di ogni specie e dimensione, ma questo non importa se non a quanti possano scorgervi una scivolosa metafora della diversità celata sotto quel telo bianco, metafora che chi scrive avrebbe fatto meglio a non esplicitare, concedendole la fragranza della scoperta multipla e convergente. Al primo incontro si erano guardati di soppiatto, investigandosi l'un l'altro sul biancore dei capelli, le geografie delle rughe, il decadimento inevitabile. Nel corso della serata l'atmosfera si era però sciolta e quasi tutti dismisero quella faccia perplessa che avevano all'inizio del pranzo che segnalava il timore di doversi sottomettere ad un esasperante amarcord, con imitazione dei professori, quelli più idonei ad essere presi per i fondelli, a ripercorrere le battute e gli


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avvenimenti allora memorabili legati a gite scolastiche, tutto un armamentario di cosa che in quei 5 decenni si erano scolorite e avevano perso del tutto la freschezza dei tempi in cui vennero create e godute. Con uno scampanellare di coltello sul bordo del bicchiere uno degli organizzatori, che già pareva aver ricevuto una apposita investitura di primus inter pares, porse i saluti, ringraziò i presenti, fece voti affinché fossero lasciati fuori dal ristorante i cattivi pensieri, i brutti ricordi e ordinò al caposala che si aprissero le danze consistenti in un invitante timballo di riso. Seguì un altro scampanellio del servente, il capo cerimoniere, quello che aveva avuto la bella iniziativa, con il quale consentiva di cominciare a mangiare perché, essendo in venti commensali il piatto si sarebbe certamente raffreddato prima che tutti fossero stati serviti. Incoraggiati da cotanta saggezza i primi si avventarono sul loro timballo e, a guardare bene, senza alcun ripensamento, mentre invece per quelli in giacca e cravatta, più propensi ad aspettarsi una serata tra vecchi gentiluomini, l'avvio della cena sembrò più sofferto. La serata trascorse senza traumi, cominciò con l'elencare i nomi dei compagni assenti, chiedendosi come mai avessero declinato l'invito, proseguì con fugaci ricordi dei quattro assenti per motivi legati al non sempre perenne battito del cuore, evitando schieramenti e contrapposizioni su temi scottanti di attualità e men che meno politici tout cour. Con l'immancabile sincero impegno di ripetere altre volte un incontro così ben riuscito, intorno alla mezzanotte, la comitiva si sciolse, con grande strepito di auto in manovra, di sportelli che sbattevano di ripetute offerte di dare un passaggio, fino a quando il cameriere, dismesso l'abito professionale, con un soprabito a scacchi rossi, accostò il cancello quasi sfiorando l'ultima auto che usciva. I nostri due compagni uscirono appiedati e in coppia si diressero alle rispettive abitazioni non lontane dal ristorante, passeggiando lentamente, nelle posture già descritte, continuando una conversazione garbata ma ferma da parte di ciascuno che era iniziata quando ancora avevano i tovaglioli sulle ginocchia, seduti al tavolo. Argomento: la mafia. Uno, probabilmente l'architetto, ne tratteggiava i caratteri solamente criminali, l'altro, invece ne estendeva il fondamento nel contesto socio economico. Le due posizioni non erano di per se contrapposte, quanto piuttosto ambedue profondamente vere e integrantesi a vicenda e questo era un motivo in più perché, cammin facendo, i toni della contrapposizione divenissero via via sempre più decisi, l'eloquio sempre più veloce e tagliente, le prove a suffragio delle due tesi sempre più estreme, finendo col confondersi, avvilupparsi in se stesse, invertirsi addirittura, al punto che l'uno sposava le tesi dell'altro che gli venivano offerte per assurdo e l'altro si rabboniva con lo stratagemma "ma tu stesso hai detto poco fa". La strada era semibuia, come si confà a quelle della loro città. Anche al centro, vaste zone di buio totale erano generate dall'essere i lampioni del tutto affogati tra le fronde dei ficus mai potati. In questo gioco di alternanza di luce e buio, che tanto pareva essere la scena delle contrapposte tesi, apparve la figura di un uomo che procedeva verso di loro.

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L'età, la maniera particolare di camminare, la capigliatura nera corvina malgrado l'età, una certa aria scanzonata che sprigionava quando avvicinatosi appariva in piena luce, lo fece ravvisare come uno dei compagni assenti alla cena. Si stupirono che si dirigesse a quell'ora verso il ristorante, ma fattosi ancora più vicino, i due lo riconobbero senza alcun dubbio: era proprio lui: Filippo Il compagno di ginnasio e di liceo che già allora manifestava una qualche tendenza ad estranearsi rispetto alla vita degli studi a favore delle partite a calcio che disputava con violenza e indifferenza alle regole, della caccia con cui giustificava ripetute assenze, del parlare grossolano, anche se pieno di sottigliezze e astuzie nel sostenere i suoi principi. Col tempo Filippo sarebbe passato alle cronache per essere il capo mandamento di uno dei quartieri più violenti della citta, e non passava anno senza che la magistratura non si occupasse con zelo della sua posizione criminale di capo. Incrociandosi a pochi metri FILIPPO fu il primo a salutare, ma in assoluto silenzio, agitando la mano e poi l'intero braccio senza guardarli in viso, come a non volerli coinvolgere e al tempo stesso non volendo sembrare indifferente all'incontro che si stava svolgendo dopo 50 anni con compagni cui era molto legato per via di episodi giovanili che li avevano coinvolti con reciproca fiducia e divertimento. I due, intimiditi da quel saluto, risposero con eccessivo imbarazzo, al punto da non farsi neanche vedere dal loro solitario compagno e così, rispondendo quasi privatamente al suo saluto, ripiombarono nel buio dei lampioni sepolti tra i rami. Fausto Provenzano


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CONSIDERAZIONI SULLA PANDEMIA DA SARS COV-2 Come medico e cittadino italiano mi sento in dovere di far presenti alcuni fatti che ritengo non essere stati sufficientemente messi in rilievo, almeno finora, riguardo alle problematiche connesse, direttamente o indirettamente alla epidemia da Sars-Cov2 (impropriamente detto Covid-19, sigla che si riferisce non al virus in quanto tale ma alla sindrome clinica da esso determinata). Premetto che ritengo fondamentale affrontare questo drammatico problema con il necessario distacco, non per cinismo, ma per evitare eccessivi coinvolgimenti di tipo emotivo e non razionali. La verità scientifica - per quanto sia a noi possibile avvicinarvisi - deve guidarci sempre e comunque. Per questo motivo, e avendo anche lavorato in gioventù in reparto di medicina interna con letti di malattie infettive, ho seguito con interesse l'evento fin dal suo esordio. Devo dire, a questo proposito, che fui tra i primi a sospettare la gravità di quanto si sapeva avvenire in Cina (gennaio 2020) e il rischio che correva tutto il mondo. Per mio personale interesse avevo seguito recenti ricerche sul virus della famigerata "spagnola" del 1918-20, così che quando venni a sapere che: a) l'epidemia cinese era dovuta ad un virus a diffusione aerea b) sembrava essere più contagioso dell'influenza c) era in grado di provocare, in alcuni casi, una polmonite virale primitiva di tipo interstiziale, mi preoccupai non poco. Ciò configurava infatti, molto chiaramente, una possibile minaccia globale, tipo "spagnola", e sarebbe stato necessario proteggersi con una rigorosa quarantena verso chiunque - cinese o meno - entrasse in Italia provenendo dalla zona epidemica. Come ben sappiamo nulla di tutto questo fu fatto, anzi la (mancata) quarantena fu definita "razzista" mentre si correva ad abbracciare i cinesi italici (quasi tutti sicuramente innocenti, tranne quelli, non sappiamo quanti, nel frattempo rientrati dalla Cina, per non parlare dei turisti). Errore molto grave e pagato a caro prezzo, anche perché ideologico. Vedete, si può sbagliare per tanti motivi, e nessun umano può dirsi a prova di errore: per ignoranza, superficialità o presunzione; ma sbagliare per ideologia è davvero particolarmente grave. Dunque una grave e colpevole sottovalutazione iniziale. Ricordiamo solo alcune cose dette (l'elenco sarebbe molto lungo): "è solo una brutta influenza" "due casi di coronavirus, pensiamo all'influenza" "dobbiamo fermare il virus non le persone" "Milano non si ferma" e così via cantando e dicendo sciocchezze pericolose. Poi, improvvisamente, il brusco ritorno alla realtà, il rapido precipitare degli eventi e la corsa ai ripari con chiusura totale di tutto il paese.

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Poi si capì che: a) il virus circolava già in Italia, allegramente e liberamente, almeno fin da fine dicembre 2019/inizio gennaio 2020, e ha continuato a farlo fino al 9 marzo senza nessuna misura di protezione nonostante fosse stato proclamato lo "Stato di Emergenza Nazionale per rischio pandemico" fin dal 1° febbraio b) al Sud si sarebbero potute prendere misure più graduali e regionalizzate (come fatto giustamente ad inizio autunno) vista la diffusione molto minore del virus per motivi oggetto di studio - clima eccezionalmente mite e soprattutto secco? Ciò avrebbe limitato assai i danni di tipo economico al Sud. Il 4 maggio si riapre e subito un grande allarme: un analista di dati (non medico) e un'agenzia straniera (Imperial College di Londra) prevedono per giugno una "seconda ondata" devastante con decine di migliaia di morti; anche un componente il CTS si unisce al corteo degli allarmisti! Il Napoli vince una coppa e i napoletani invadono la città; diverse manifestazioni in varie città. La catastrofe è annunciata, ma non succede proprio niente, anzi i contagi crollano e tutti i parametri virano verso lo zero. Effetto del blocco totale? Certamente in buona parte, ma non solo. L'infelice analista di dati o la celebre agenzia inglese di cui sopra, o l'illustre collega del CTS non avevano considerato un convitato di pietra decisamente di peso: non il "caldo" ma il CLIMA. Tutti i virus respiratori, nessuno escluso, sono fortemente influenzati da fattori climatici, non ancora del tutto compresi: temperatura, umidità, pressione atmosferica, lunghezza del giorno, nuvolosità e limpidità dell'aria e, di conseguenza, quantità di radiazione UV al suolo. Ciò determina una forte STAGIONALITA' ovviamente maggiore laddove più evidenti sono le stagioni, ovvero alle latitudini medio-alte di entrambi gli emisferi. Non vi sarà mai un'epidemia influenzale al di fuori del pieno inverno! Altri virus hanno un picco più primaverile e/o autunnale. Il miglioramento estivo (ora evidente ad esempio nell'emisfero australe) era quindi dovuto alla sommatoria delle azioni umane di controllo (chiusura, distanziamento, mascherine) e della protezione climatica. Ciò è stato recentemente confermato da importanti studi anche di climatologi e geologi (noi medici, tutti, dovremmo essere più umili e valutare con rispetto e attenzione le idee dei cultori di altre discipline). Eppure si continua a non tenere sufficientemente conto del fattore climatico. Ciò potrebbe comportare ulteriori gravi errori, oltre a quello di cui detto sulle previsioni post-riapertura primaverile. La migliorata situazione consente un'estate più serena con allentamento di molte, forse troppe, precauzioni. Riaprono molte discoteche estive (all'aperto). La curva dei contagi riprende a salire, anche se lentamente. In realtà - come evidenziato dal prof. Battiston, eminente scienziato e analista di dati - il cosiddetto Rt a settembre non risale, ma continua a scendere per iniziare a risalire decisamente solo a inizio ottobre con la riapertura scolastica. Ciò fa pensare che la maggiore responsabilità della ripresa autunnale vada, più che alle follie estive (comunque all'aperto e che comunque sarebbe stato meglio evitare) al sovraccarico dei trasporti (bus, metro, treni regionali dei pendolari e degli studenti) con notevole e rischioso assembramento delle persone, anche se (parzialmente) protette dalla mascherina (non FFP3). Il tutto mentre vengono rapidamente meno i fattori climatici protettivi (vita all'aperto, radiazione UV solare, vitamina D e altri ancora) sostituiti da altri sfavorevoli (umidità, ridotta esposizione a UV, vita al chiuso, inquinamento, nebbia). Arrivano nuove restrizioni in previsione di una traversata nel


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deserto in attesa dei vaccini o degli anticorpi monoclonali. Tralascio ciò che si poteva fare in estate (oltre non aprire le discoteche): potenziare la medicina sul territorio per fare da filtro agli ospedali, potenziare le terapie intensive e gli organici medici e infermieristici (anche completare rapidamente l'assegnazione dei posti agli specializzandi) potenziare i trasporti locali, sia cittadini che regionali (bus, metro e treni regionali) in vista della riapertura delle scuole e della ripresa lavorativa. Tutte cose non fatte o fatte parzialmente e male a favore di altri provvedimenti, del tutto inutili se non risibili, di cui non intendo neppure parlare.. Ma ora vorrei puntualizzare alcuni punti specifici di particolare rilievo. Della Stagionalià'del virus abbiamo parlato. Molto altro ci sarebbe, ma basti dire che chi non ci credeva ha dovuto ricredersi. Sars-Cov2 e influenza si continua a dire che occorre vaccinarsi per l'influenza per non confondere i due quadri clinici e non sovraccaricare ancor più gli ospedali (non si sa poi cosa possa risultare da una sovrapposizione delle due infezioni). Giusto, giustissimo vaccinare le categorie a rischio (bimbi piccolini, anziani e sanitari). Impreciso dire che i quadri clinici sono sovrapponibili. La sindrome Covid è molto caratteristica e facilmente differenziabile con una semplice anamnesi ben condotta circa i sintomi e la loro tempistica di comparsa. Ricordiamo che i test non possono avere una specificità del 100% per i falsi negativi o positivi sempre presenti. Sintomi Covid di esordio: tosse secca, febbre anche elevata, profonda astenia spesso per ipotensione marcata a rischio di lipotimia; più rari: diarrea, faringodinia, ageusia, anosmia, dolori articolari, congiuntivite, eruzione cutanea polimorfa. Influenza: febbre, rinite secretiva spesso violenta, faringodinia talora forte, tosse di vario tipo, dolori osteoarticolari diffusi (ossa rotte), astenia lieve senza ipotensione marcata. Le differenze sono notevoli e spicca l'assenza del raffreddore, molto importante anche per altri motivi che vedremo. In realtà un raffreddore, di solito modesto e fuggevole (un giorno) può manifestarsi nella seconda fase di malattia (dopo diversi giorni). Solitamente precede la guarigione, tuttavia, se si prolunga ed aggrava può precedere la polmonite! In sintesi la diagnosi differenziale clinica è piuttosto agevole. Modalità di contagio e di prevenzione del contagio Il coronavirus Sars-Cov2 è un virus a prevalente diffusione respiratoria. Il suo più stretto parente è il Sars-Cov1 responsabile dell'epidemia di Sars del 2003-4 nella quale non fu possibile dimostrare una via di diffusione diversa da quella aerea (Epidemie - Giovanni Rezza - 2a edizione 2020). Si è comunque ipotizzato che, come i virus del raffreddore (4 dei circa 81 virus noti sono coronavirus) e quelli influenzali, una quota dei contagi possa derivare dal contatto (delle mucose non della pelle) con oggetti contaminati di recente dal virus. Sappiamo che ciò avviene spesso per raffreddore e influenza, ma perché? Perché la rinite secretoria, con sternuti o il soffiarsi il naso, fa sì che le mani contaminate trasmettano il virus a: maniglie, pulsanti, telefonini, bicchieri e così via; il contatto delle mani di altre persone, finché il virus è ancora vitale, e il successivo contatto delle proprie mani contaminate con la mucosa orale, nasale o la congiuntiva, trasmette

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il virus. Da qui le misure che sappiamo e le cosiddette sanificazioni. Tuttavia, un crescente numero di studi mostra che la trasmissione per questa via - come d'altronde avveniva per il SarsCov1 del 2003 - è marginale e poco significativa dal punto di vista clinico. E per un motivo molto semplice: nella sindrome Covid-19, come detto prima, la rinite acuta all'esordio non è presente al contrario di raffreddore e influenza e, nei casi di comparsa tardiva, il paziente sarà a casa o in ospedale; solo in caso di compresenza di vero raffreddore e infezione da Sars-Cov2 potrebbe verificarsi tale evenienza, la cui incidenza deve quindi ritenersi molto più rara e difficile nella sindrome Covid-19 rispetto a raffreddore o influenza. Alcuni colleghi, anche in TV, si sono affannati a negare che la rinite sia assente smentiti però dai documenti ufficiali anche della OMS. Come detto la rinite non è del tutto assente, ma la sua (rara) comparsa avviene nella seconda fase di malattia, quando molto difficilmente il malato va in giro a contaminare altre persone, ma più facilmente sarà a casa o in ospedale. Alcuni studiosi, in base a queste recenti evidenze di trasmissione in larghissima prevalenza aerea si sono rivolti alla OMS chiedendo di modificare le raccomandazioni profilattiche a questo riguardo. Per ora senza esito. Per finire, ricordiamo che tutti gli studi che ci informano sulla permanenza del virus sulle varie superfici sono studi di laboratorio che, oltre ai secondi, minuti e ore di sopravvivenza non ci dicono se, in condizioni naturali, esista un reale rischio di contagio. Alcuni recenti studi sul rischio di contagio nelle industrie di alimenti surgelati lo hanno ulteriormente escluso (lunga persistenza del virus sulla superficie delle confezioni ma contagi tra il personale nulli). Da queste considerazioni si evince che le misure preventive andrebbero accentuate verso la trasmissione aerea e allentate verso quella per contatto. Quindi in primis DISTANZIAMENTO che è la misura più importante; il virus infatti si trasmette per droplets o goccioline, ad elevata carica virale, il cui percorso in aria può variare anche sensibilmente a seconda dello stato fisico atmosferico (umidità, insolazione, temperatura, pressione atmosferica) oppure per aerosol, particelle molto più piccole e a minor carica virale, ma che possono persistere in aria molto a lungo. Molti studi hanno dimostrato che l'aerosol, all'aperto, non è contagioso grazie alla dispersione e diluizione in una cubatura praticamente "infinita" e, in estate, alla protezione "climatica"; solo in alcune particolari condizioni invernali (nebbia, inquinamento atmosferico) e in presenza di assembramento esso potrebbe divenire contagioso; l'aerosol potrebbe divenire contagioso anche in estate, in ambienti chiusi di piccola cubatura e con insufficiente ricambio d'aria. Ne consegue che le MASCHERINE (seconda misura protettiva dietro il distanziamento, non prima come molti ritengono erroneamente) sono fondamentali al chiuso purché si rispetti comunque il distanziamento. La protezione offerta dalle comuni mascherine è infatti parziale e in un bus affollato, ad esempio, il virus può trasmettersi ugualmente (e infatti si è trasmesso). Tutta la esasperante discussione mascherina sì/no ha ingenerato la convinzione che esse siano la prima misura protettiva, cosa che, come spiegato, così non è. All'aperto la mascherina è fortemente raccomandabile nelle condizioni sfavorevoli prima accennate (nebbia, elevato inquinamento, forte umidità) e in presenza di rilevante assembramento, nonché nelle fasi di forte ripresa del contagio (aumento "esponenziale"); in estate, in assenza di assembramento e


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nelle fasi di forte rallentamento del contagio sono più fastidiose che utili, basta rispettare un sufficiente distanziamento. Questo dice la scienza, se poi bisogna "mandare un segnale" è un altro discorso; ma il segnale che si manda può essere fuorviante: è che il virus galleggia indefinitamente in aria come il virus del vaiolo (che faceva esattamente così). Ma così non è. Riteniamo infine essenziale ribadire l'importanza, al chiuso, dell'areazione dei locali, cosa che consente una rapida dispersione dell'aerosol quasi come all'esterno. Le SANIFICAZIONI. Alcuni epidemiologi, considerando la molto dubbia trasmissione per contatto, ritengono che sanificazioni regolari ad opera di ditte specializzate vadano riservate a: ospedali, cliniche, RSA, ambulatori medici e dentistici; per tutti gli altri ambienti basta un'accurata pulizia e igiene; a livello personale: lavaggio delle mani con acqua e sapone di preferenza rispetto ai gel (il sapone pulisce anche le mani, il gel no). Il lavaggio delle mani è comunque utile anche (e forse soprattutto) per prevenire raffreddori e influenze, in ogni caso meglio il sapone. Osservo poi che, in estate, la migliore e più economica sanificazione viene dal cielo: la radiazione UV solare disattiva il virus in pochi secondi! Cosa ultra dimostrata ma colpevolmente ignorata, sminuita o addirittura negata!. Lettini da mare, ad esempio, si sanificano perfettamente tenendoli semplicemente esposti al sole senza inutili (e contaminanti) prodotti chimici. La Toshiba insieme ad altra azienda americana sta studiando lampade a raggi UVC (di diversa lunghezza d'onda rispetto agli UVA e UVB) e tale da non produrre danno alle persone; sarebbero molto utili in vari ambienti chiusi producendo una sterilizzazione rapida ed efficace. Infine un argomento di grandissima rilevanza. I Numeri della Pandemia. Possiamo dire che vengono dati i numeri, letteralmente. Partiamo dai contagi, anche se il problema maggiore riguarda i decessi. Un ministro della Repubblica per evidenziare la gravità della situazione (che io non intendo affatto negare, né sminuire) ha sbandierato in TV un grafico che mostrava l'andamento dei contagi ASSOLUTI da febbraio ad oggi; si osserva un impressionante ed evidente aumento "esponenziale" rispetto alla scorsa primavera, tale da far pensare (agli sprovveduti) che la "seconda ondata" sia molto peggiore della prima. Peccato che tale curva sia del tutto fuorviante visto che non tiene conto del numero dei tamponi fatti, estremamente più alto oggi rispetto a marzo/aprile; la curva dei contagi/tamponi è del tutto diversa. Io reputo questo fatto grave da parte di un ministro che non può non sapere di aver fatto opera di grave disinformazione (estremi per procurato allarme? Io non sono avvocato, ma credo ci siano). I contagi vanno SEMPRE considerati in rapporto al n° di tamponi fatti. Ricordiamo sempre che "positivo al tampone" non vuol dire ammalato, visto che la gran parte saranno asintomatici o pauci-sintomatici. Ricordiamo che dal 15 al 25 % dei contagi sono secondi o terzi controlli e, soprattutto, che un numero imprecisato (andrebbe invece sempre precisato) sono "debolmente positivi", il che vuol dire a bassa o bassissima carica virale, che solo una PCR potenziata (la sensibilissima tecnica biomolecolare che dosa l'RNA virale) può evidenziare; e ricordiamo che i cosiddetti "debolmente positivi" secondo uno studio italiano son

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contagiosi nel 3% dei casi (praticamente non contagiano) e quindi non dovrebbero essere presi in considerazione se non per scopi di ricerca. Una piccola nota finale: non si sono osservati ultimamente veri aumenti "esponenziali" dei contagi. La curva "vera" ha un andamento assolutamente lineare. Una funzione (matematica) esponenziale è ben altra cosa. Ma veniamo al punto dolente. I numeri dei decessi. Si parla di LETALITA'(deceduti/contagiati) non di mortalità (deceduti/popolazione). Bene (male), siamo nelle posizioni di testa, primi in Europa e tra i primi al mondo. Perché? E' chiaro che un paese più "giovane" avrà una letalità minore per motivi puramente demografici. Ma perché la Germania (o la Svezia o la Svizzera) hanno una letalità di gran lunga inferiore (la Germania di 4/5 volte)? Un illustre collega che lavora in Germania imputa ciò al piano pandemico tedesco (pronto e prontamente attivato) con migliore uso della medicina territoriale (per prevenire il sovraccarico ospedaliero) e un maggior numero di terapie intensive. Tutto vero, soprattutto per marzo/aprile quando molte terapie intensive lombarde sono andate in saturazione. Ora però non è così: si è solo superata, in alcune regioni, la soglia critica del 30%. Bastano dunque questi fattori a spiegare una differenza così eclatante? Il collega accenna appena ad un altro possibile fattore: la classificazione e codificazione dei decessi, ma non ritiene che eventuali errori dei medici codificanti siano rilevanti. Il fatto è che i nostri colleghi non sbagliano poco o molto: non sbagliano affatto! Semplicemente applicano alla lettera le disposizioni in materia. Ora, la OMS ha redatto un documento, molto chiaro, con i criteri che ritiene i migliori per classificare i decessi in Covid-correlati e non-Covid. Esso termina con la raccomandazione, rivolta a tutti i paesi, di utilizzare criteri il più possibile omogenei a questo riguardo anche per consentire un corretto confronto dei dati. Criteri troppo diversi infatti potrebbero dar luogo a numeri molto diversi. E così infatti avviene. In primis sarebbe necessario capire se anche i decessi "sospetti" e i "probabili" Covid siano inseriti nelle statistiche. Per caso "probabile" s'intende un caso con quadro clinico compatibile e "positività" dubbia o a test poco specifici; caso "sospetto" è quello con quadro clinico compatibile ma test "negativo". Ma il punto davvero critico è la valutazione dei pazienti (generalmente anziani) con patologie multiple associate cui il virus si sovrappone. Una recente importante rassegna pubblicata su Nature (una delle più importanti riviste scientifiche al mondo) analizza in profondità i molteplici fattori che possono influenzare i tassi di letalità e mortalità per malattie infettive; relativamente al discorso che ci interessa viene sottolineata l'importanza di valutare correttamente le patologie preesistenti e concomitanti che possono essere aggravate dal virus fino a portare al decesso, al prezzo di importanti alterazioni dei dati. OMS afferma chiaramente che, in assenza di polmonite e di chiaro interessamento respiratorio acuto (in quel caso l'eventuale decesso è chiaramente riferibile al virus) le patologie che possono considerarsi aggravate dall'infezione in modo tale da poter DETERMINARE la morte sono: 1) patologie respiratorie croniche (bronchite cronica, enfisema, asma grave) 2) patologie cardiovascolari ischemiche cardiache e/o cerebrali (coronaropatie, ipertensione mal


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controllata, cerebrovasculopatie, malattie embolizzanti) 3) disturbi della immunità (AIDS, altri deficit immunologici, terapie immunosoppressive, disabilità croniche che compromettono le difese immunitarie) 4) malattie metaboliche scompensate (diabete mellito scompensato, obesità grave). Tutto molto giusto. Infatti, se per le prime (respiratorie croniche) e per le patologie immunitarie il motivo è palese, per le altre (cardiovascolari e metaboliche scompensate) si ipotizza la presenza di uno stato infiammatorio cronico generalizzato e di una esagerata risposta infiammatoria al virus, causa precipitante della polmonite interstiziale potenzialmente fatale, anche per una "vasculite", una flogosi dell'endotelio vasale con attivazione della cascata coagulativa e comparsa di microemboli o veri e propri emboli intravascolari con esito in infarto miocardico e/o ictus cerebrale. Ma in Italia sembra che TUTTE le principali patologie siano possibile motivo di aggravamento della prognosi e del rischio di morte. In pratica tutte le persone che purtroppo decedono a motivo della loro grave malattia, ma che risultino "positive" al test, pur in assenza di polmonite interstiziale e/o di un chiaro ed evidente quadro clinico respiratorio acuto, sono da noi classificati come deceduti "per" il virus. Addirittura siamo a conoscenza (per riferimento diretto da parte dei parenti) di un paziente deceduto per grave malattia, sempre negativo a molteplici tamponi eseguiti nel corso di vari brevi ricoveri; ancora negativo all'ultimo tampone eseguito in ospedale per l'aggravarsi delle condizioni, eppure, dopo il decesso, classificato tra i Covid perché - a detta della Direzione Sanitaria - non si era fatto in tempo ad eseguire un secondo tampone!! Ritengo che il caso in questione sia stato classificato come "sospetto", ovvero quadro clinico compatibile pur con test negativo; trattasi però di forzatura in quanto la eventuale dispnea (affanno) è dovuta in questi casi alla grave anemia cronica secondaria alla insufficienza renale. Sembra paradossale, ma se si legge attentamente il nostro italico documento (reperibile in rete come quello OMS e quelli tedeschi e altri) si evince che viene rovesciato - per così dire in termini legali - l'onere della prova: non si deve dimostrare che il virus è causa determinante il decesso (direttamente o indirettamente per l'aggravamento di patologie preesistenti) ma l'inverso, ovvero che un'altra causa è motivo evidente di un decesso non dovuto al virus!! E' palese come in questo modo venga a configurarsi, non un ERRORE ACCIDENTALE (che sarebbe certamente trascurabile attorno circa al 5%) ma un ERRORE SISTEMATICO e tale da produrre un'alterazione dei numeri che potrebbe essere molto rilevante (tra il 30 e il 40%). Una cosa è che i "veri" morti per virus siano 450 invece che 500, cosa ben diversa se siano 250. I 70.000 morti per cui siamo tristemente noti al mondo (unica notizia sull'Italia data dai TG francesi l'altro giorno, immaginiamo solo per un istante con quali conseguenze sull'immagine internazionale del nostro paese, già non brillante) potrebbero in realtà essere 35.000/40.000, o giù di lì. Questa questione, davvero grave, è stata accennata da un eminente clinico in una recente trasmissione TV, non negata dal Presidente dell'ISTAT (che ben conoscerà i dati e come si trattano!) e posta all'attenzione dell'ISS dal un collega del Policlinico Gemelli di Roma, incaricato di vagliare i dati pandemici, il quale ha notato l'anomalia e la ha correttamente fatta presente. Eppure questi gravi fatti non sono ancora a conoscenza del grande pubblico. Anzi, le poche

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notizie sui giornali sono, come minimo, fuorvianti. Solo un recente articolo su "Il Giornale" parlava della cosa accennando, tra altre ipotesi, alla errata classificazione. Per dare ancora un'idea di quello cui assistiamo, con stupore e preoccupazione, a livello comunicativo, ricordo come non molto tempo fa nel corso di una trasmissione TV è stata rivolto ad un collega giustappunto il quesito circa l'abnorme numero di decessi; ebbene il collega ha risposto che tutti i deceduti, classificati come "per" Covid erano stati affetti da polmonite virale. Questa affermazione non è verosimile. Sappiamo bene che molti pazienti deceduti non presentano un quadro clinico e/o radiologico di polmonite virale e che non tutti i pazienti deceduti provengono dalle terapie intensive. Eppure si fanno tranquillamente simili affermazioni in TV con granitica sicurezza! Io credo invece che sia necessaria estrema chiarezza, non per negare o ridurre alcunché (io ritengo che occorre ancora molta prudenza e responsabilità fino all'arrivo della primavera inoltrata e finché non sarà iniziata l'indispensabile vaccinazione di massa) ma perché agli italiani va detta la VERITA' e non vanno trattati in modo paternalistico e autoritario come bambini un po' mascalzoncelli, ma vanno invece informati in modo corretto e scientificamente valido e messi di fronte alle proprie responsabilità. Qualcuno invece sembra pensare che questi italiani un po' bricconcelli devono essere spaventati a morte, diciamo pure terrorizzati, in modo da ottenere il risultato sperato. Non si considera abbastanza che ciò può indurre (e lo vediamo) soprattutto nei giovani - ma forse non solo - una reazione di rigetto e rifiuto e, quindi, risultare alla fine controproducente, oltre ad indurre seri effetti collaterali di natura psichica (dirò meglio in seguito) e aggravare oltre il giusto le inevitabili ripercussioni economiche negative. Questo mi dà l'occasione di toccare un ultimo, e fondamentale, argomento: la PAURA. Cos'è la paura? Un sentimento? Non proprio, si tratta di un istinto fondamentale, un istinto di sopravvivenza evolutosi nel mondo animale per salvaguardare la vita dell'individuo e la sopravvivenza della specie. Dunque un istinto fortissimo, localizzato in profondità nelle nostre strutture cerebrali, nel cosiddetto "cervello rettiliano". La paura è utile? Sì, certamente, può salvare la vita. Può essere inutile o dannosa? Sì, certamente, se non è proporzionata al pericolo in corso. Vediamo: se un giovane neopatentato non teme i pericoli della strada, corre come un pazzo e non rispetta il codice stradale, oltre a incorrere in multe salate, metterà a rischio la propria vita e quella degli altri; in questo caso si tratta di troppo poca paura di un pericolo reale e molto serio. Se, invece, di fronte ad un analogo pericolo la paura è sproporzionata in eccesso, si avranno lo stesso "effetti collaterali" negativi e tali a volte da pareggiare o perfino superare il pericolo che si vuole evitare. Nel nostro caso ho la fondata impressione che si sia superato - non so dire quanto scientemente - il giusto limite con l'idea (come già accennato) che fare un po' di paura, magari anche un po' eccessiva, sia utile ad imporre i giusti comportamenti ad una marea di scavezzacollo. I più maliziosi pensano che agitare lo spettro della morte per virus torni utile a qualcuno anche per inconfessabili motivi di opportunità politica (cosa cui non voglio pensare e che sarebbe molto grave). Ma tant'è, le motivazioni potrebbero davvero essere queste e forse altre cui non abbiamo pensato. Intanto, come già accennato in precedenza, l'oltrepassare certi


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limiti potrebbe comportare una reazione di rifiuto e rigetto e risultare così controproducente. Ma poi dobbiamo considerare attentamente gli "effetti collaterali" di una paura sproporzionata in eccesso: essi sono fondamentalmente di due tipi; il primo tipo: danni psichici molto seri su 3 categorie di soggetti ovvero 1) i bimbi piccoli, molto sensibili e in grado di assorbire come spugne l'atmosfera di paura che li circonda; ma anche gli adolescenti colpiti pesantemente nella loro nascente vita di relazione. Esiste il rischio concreto di sviluppare varie forme di nevrosi di tipo ansioso od ossessivo con il rischio che perdurino e si "cristallizzino" in età adulta (caso classico quello del famoso miliardario americano Howard Hughes - the Aviator di Leonardo di Caprio che sviluppò una grave forma di nevrosi/psicosi ossessiva dopo che la madre lo aveva ossessionato, in tenera età, con il timore della "spagnola" e del colera) 2) persone già affette da patologie psicologiche e/o psichiatriche 3) persone anziane "fragili" non solo fisicamente ma anche psicologicamente. I colleghi psicologi e psichiatri sono ben consapevoli di un'epidemia silenziosa e parallela anch'essa in atto e di cui non si parla abbastanza: un'epidemia psicopatologica. Il secondo tipo di "effetto collaterale" consiste nel danno economico generalizzato e sproporzionato, molto più grave del danno che si sarebbe comunque verificato. In conclusione, la paura è un istinto molto potente; essa va maneggiata con cura e, per essere sommamente efficace e non dannosa deve sempre essere proporzionata al pericolo che la ingenera. Quindi, se l'asticella della paura si trova oggi molto al di sopra del giusto livello, è doveroso tentare di riportarla in equilibrio, né al di sotto né al di sopra, senza per questo negare il grave pericolo tuttora in corso (saremmo negazionisti, e non lo siamo) e senza pretendere di portare l'asticella al di sotto del giusto livello (saremmo riduzionisti, e non lo siamo). Dobbiamo tendere, per quanto sia difficile, alla Verità; questa Idea Platonica che a volte ci appare come un miraggio fuggevole e mai raggiunto. Per questa difficile impresa possiamo avvalerci della ragione e del sapere scientifico, combinati con quella pacifica virtù che ha nome semplice buonsenso (che tanto spesso sembra mancare a molti oggigiorno) e infine ricorrere all'esercizio del dubbio e alla critica costruttiva, elementi indispensabili alla conoscenza scientifica ("La logica della scoperta scientifica" - Karl Popper). Al tempo stesso dobbiamo provare a sfuggire - e questo è ancora più difficile - alla trappola della partigianeria preconcetta e schierata che - come insegna il Maestro di cui ci apprestiamo a ricordare la venuta al mondo - ci farà sempre scorgere la pagliuzza nell'occhio dell'avversario senza accorgerci della trave nel nostro. Silvio Sposito Roma 24 Dicembre 2020 Specialista in endocrinologia e malattie metaboliche e in medicina nucleare, diplomato in medicina sociale, già direttore di una unità operativa di diabetologia e metabolismo presso la ASL RM-H.

Addendum Essendo partita intanto la campagna vaccinale mi sembra opportuno aggiungere alcune considerazioni. Premesso che i vaccini sono l'arma più efficace per metterci del tutto al riparo da questo pericolo,

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occorre però sapere che l'autorizzazione concessa dalle Autorità regolatrici internazionali è CONDIZIONATA, ovvero è stata rilasciata provvisoriamente in considerazione della situazione di emergenza epidemica, con la condizione appunto di presentare nel corso dei prossimi due anni dati più completi ed esaurienti sia per l'efficacia di ciascun vaccino che per le loro caratteristiche di sicurezza. Sicuramente queste condizioni saranno ottemperate, capite bene comunque come, di fatto, ci troviamo tutti in una situazione di tipo sperimentale. Ciò vale in particolare per i due vaccini di tipo "genetico" a base di mRNA (Rna cosiddetto messaggero) delle aziende Pfizer e Moderna. La loro progettazione è oltremodo interessante e scientificamente valida e, oltretutto, ne consente il facile e rapido adattamento alla comparsa di nuove "varianti" del virus a motivo di mutazioni in grado di alterare il profilo antigenico del virus e quindi la risposta immunitaria dell'ospite umano. Ciò non esime tuttavia dalla necessità di una adeguata sperimentazione e dall'attento controllo verso effetti collaterali magari non immediati o non previsti, e per quanto attiene a questi due ultimi punti la situazione non può dirsi purtroppo del tutto soddisfacente. Aggiungiamo anche il fatto che il vaccino Pfizer non è stato studiato in soggetti di età<16 anni e il Moderna di 18 (perché?). Ciò comporta un più tardivo raggiungimento della immunità di gregge della popolazione a meno che non si intervenga rapidamente con un altro vaccino che non abbia tali limiti (Astra Zeneca). In pratica, viste anche le difficoltà concrete che debbono affrontare i piani vaccinali ovunque nel mondo - conservazione del vaccino Pfizer a -80°C, insufficiente produzione, tempo di osservazione di almeno 15' per eventuali (anche se eccezionali) reazioni allergiche gravi con possibile necessità di intervento medico immediato (cortisone e/o adrenalina) - sarebbe auspicabile una contemporanea accelerazione sul fronte terapeutico. Infatti, mentre all'inizio le opzioni terapeutiche erano limitate, si è vista in seguito l'utilità di usare cortisonici e/o anticoagulanti nei casi più gravi. Più recentemente assistiamo all'arrivo in commercio di vari tipi di anticorpi monoclonali in grado di arrestare la progressione della malattia verso i quadri clinici più gravi, e - notizia di questi ultimi giorni - l'avvio della sperimentazione di nano-anticorpi monoclonali (ovvero molecole anticorpali molto più piccole dei normali anticorpi) e di sieri immuni policlonali. I nano-anticorpi, in particolare, potrebbero risultare ugualmente efficaci anche in presenza di "varianti" virali. Non dimentichiamo poi che con l'arrivo della bella stagione - come già nel 2020 - la situazione dei contagi è destinata a migliorare rapidamente. Un recente studio ha dimostrato che al raggiungimento di una T ambientale di 28°C l'attività virale subisce un calo significativo. Ciò, insieme alla minore umidità atmosferica relativa e alla maggiore insolazione (radiazione UV) spiega il crollo nella capacità contagiante del Sars-Cov2. Dunque, tra avanzamento delle vaccinazioni, maggiore efficacia delle terapie e l'arrivo di condizioni climatiche più favorevoli, si prospetta - io credo - una stagione estiva più serena, anche se non potremo essere del tutto fuori finché non sia stata raggiunta una sufficiente immunizzazione della popolazione. Roma 22 gennaio 2021


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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

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