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Aeromensile di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

Nuova serie - Numero 9 Febbraio 2013 - Anno XV

LA VIA DEL FARE : STA SOLO I V TER CON L’IN EPPE S GIU


www.confini.org

Confini Aeromensile di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 9 (nuova serie) - Febbraio 2013 - Anno XV

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettore: Massimo Sergenti +

Comitato promotore: Antonella Agizza - Mario Arrighi - Anna Caputo Marcello Caputo - Elia Ciardi - Gianluca Cortese - Sergio Danna - Danilo De Luca - Alfonso Di Fraia - Luigi Esposito - Giuseppe Farese - Enrico Flauto - Giancarlo Garzoni - Alfonso Gifuni - Andrea Iataresta - Pasquale Napolitano - Giacomo Pietropaolo - Angelo Romano Carmine Ruotolo - Filippo Sanna - Emanuele Savarese Massimo Sergenti +

Hanno collaborato a questo numero: Pietro Angeleri Francesco Diacceto Gianni Falcone Giuseppe Farese Roberta Forte Giny L’Infedele Enrico Oliari Pennanera Gustavo Peri Angelo Romano Gianfredo Ruggiero Massimo Sergenti +

Segreteria di redazione: confiniorg@gmail.com

+ Registrato presso il Tribunale di Napoli n. 4997 del 29/10/1998

confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone

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EDITORIALE

HORROR VACUI Non si tratta dell'horror vacui aristotelico, bensì del senso di angoscia, di scoramento, di avvilimento che ti prende nel constatare il totale vuoto politico che affligge l'Italia e la condanna alla devastante supplenza dei giudici, ad un declino che sembra inarrestabile. Sette punti e mezzo di Pil perduti in cinque anni, potere d'acquisto delle famiglie arretrato di un trentennio, oltre centomila imprese perdute nell'ultimo anno, disoccupazione galoppante, intere generazioni tagliate fuori e condannate alla povertà ed un inquietante ritorno del "tintinnio di manette" e dei "lanci di monetine". Persino il Papa, nonostante sia un sovrano assoluto, ha alzato le mani, forse stanco della irriformabilità della Curia romana, dei pasticci dello Ior, dei maggiordomi spioni. L'Italia sembra arrivata al punto di fusione, tutto comincia a liquefarsi, a perdere forma e nerbo. L'identità nazionale vacilla, gli interessi italiani non trovano tutela, si sfasciano le eccellenze del sistema produttivo: dalla più antica banca europea a Saipem, a Finmeccanica, a Eni, ad Alitalia, a Ilva, a Fiat che mette Pomigliano in cassa integrazione per un intero anno aggravando il conto già salatissimo di un miliardo di ore. Quelli che possono scappano, chi all'Est, chi in Carinzia, chi in Irlanda, chi addirittura in Svizzera o in Cina. Ed hanno mille ragioni per scappare da uno Stato inefficiente, spendaccione, ipertrofico, iniquo e oltremodo pesante e costoso. Uno Stato "liberale" che criminalizza il possesso: dal televisore al motorino, dall'auto alla casa, dalla barca ai titoli, non contento di lucrare oltre un quarto del valore di ogni transazione. Uno Stato fondato sul lavoro che spreme lavoratori e imprese fin oltre il cinquanta per cento mettendo in ginocchio gli uni e gli altri. Crono che divorava i figli non era niente a confronto, come niente erano le decime medievali. In questo caos cresce l'antipolitica quando ci sarebbe un disperato bisogno di politica. Si vaneggia di dimezzare i parlamentari, senza pensare che così invece della Casta avremmo una Supercasta. Eppure basterebbe solo contenere i costi piuttosto che la rappresentanza. Abbattere i privilegi, a partire dai rimborsi ai datori di lavoro di cui quasi nessuno parla (Zingaretti docet), piuttosto che creare dei super privilegiati. Ad ogni problema si propone una soluzione "schizzata" come quella di bloccare i prodotti dell'Ilva o di perdere commesse estere faticosamente acquisite, anche pagando profumate mediazioni che altrove sono la regola o di salvare banche e compagnie aeree con i soldi dei contribuenti.


EDITORIALE

E più imperversa la campagna elettorale più "schizzate" si fanno le soluzioni: restituzione dell'Imu, condoni tombali, nuove patrimoniali, nuove tasse su gioco e tabacchi, reddito di cittadinanza, sostegno agli esodati, assorbimento dei precari, riduzione dell'Irpef e dell'Irap, ponti sullo stretto, condoni e chi più ne ha più ne mette. Tutte cose forse auspicabili, tutte promesse più o meno allettanti. Ma con quali risorse? Sembra che il senso di realtà sia svanito, sembra che nessuno guardi cosa accade in Grecia per trarne lezioni, sembra che nessuno voglia vedere che un Paese in ginocchio è sempre meno in grado di tutelare i suoi interessi nazionali, tant'è che imprese tedesche hanno già iniziato a comprare il meglio dell'industria ellenica, a cominciare dalle fabbriche di yogurt. Lo stesso sta accadendo in Portogallo dove, su richesta dei creditori, lo stato sta privatizzando le aziende chiave del paese per ridurre il debito con gravi rischi per l’occupazione e la stessa indipendenza. Ma in fila non c'è solo la Germania. A quanti astuti avvoltoi d'oltreconfine o globalizzati farebbe gola di poter comprare a prezzi stracciati le residue grandi compagnie italiane, i prodotti tipici, il "made in Italy"? E' questa la vera posta in gioco. L'unica difesa é far dimagrire lo Stato in tutti i suoi apparati, a partire dal Quirinale che costa più della Casa Bianca, passando per le troppe inutili "authority", per le ancora più inutili partecipate degli Enti locali, fino ai comuni microscopici, alle comunità montane, alle province, alle sprecone regioni. Solo così potremmo liberare risorse per articolare una strategia di difesa dell'interesse nazionale efficace e che non costringa a strozzare ulteriormente i cittadini asfissiando l'economia. Paradossalmente è un jolly che altri non possono giocare perché nessun altro Paese europeo ha un sistema e degli apparati tanto pletorici e costosi. Per far questo occorre fidarsi di chi ha davvero a cuore l'interesse dell'Italia e degli italiani e di chi ha mostrato di avere il coraggio e la tempra necessari per riformare un Paese irriformabile. Angelo Romano

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SCENARI

UNICUIQUE SUUM

I raggruppamenti, i partiti, le liste civiche, i movimenti, fanno a gara per allettare gli elettori con le bancarelle più pittoresche e attraenti. Un mercato dal quale non rifugge neppure Monti. Tuttavia, ogni tanto, qualche mancanza si nota, come il caso del Mezzogiorno, recuperato in corsa. Stavolta, tocca alle banche che Grillo vorrebbe nazionalizzare. Neppure un cenno moralizzatore nei loro confronti e verso quello della finanza. Eppure, non mancano esempio negativi come l'MPS, dal vistoso "buco" nelle casse, dalle spericolate operazioni finanziarie, dall'intreccio tra il vertice e la politica locale. A proposito dell'MPS, siamo assordati dalla grancassa della propaganda elettorale, sia all'attacco che in difesa. Ma neppure una parola per rimediare, in futuro, al verificarsi di situazioni del genere. E il silenzio diviene assordante, interrotto solo da cahier de doléance, di fronte alla restrizione forsennata del credito, all'asfissia della piccola e media impresa, all'affanno dei titolari di mutuo di fronte alla crisi, nonostante la possibilità di dilazionarlo di un anno e di rinegoziarlo. Eppure, ogni cittadino sa del trasferimento al mondo bancario italiano, lo scorso anno, di miliardi di euro dalla BCE, al tasso agevolato dell'1% (almeno 3 punti percentuali meno dei tassi di mercato), investiti da quelle stesse banche in titoli pubblici nazionali al 7%. Al Monte dei Paschi, ad esempio, di quei miliardi ne sono andati dieci. Ciò che forse il cittadino ignora è che i prestiti agevolati della BCE al mondo bancario sono stati coperti da obbligazioni emesse dal Tesoro. Avviene, quindi, l'assurda, paradossale, situazione dove le disinvolte banche sono garantite dal Tesoro con i soldi dei contribuenti i quali vengono asfissiati dalle banche. Nel caso MPS, addirittura, la copertura è stata duplice con la recente emissione dei Monti-bond. Con l'aggravante che i contribuenti soddisfano anche l'arricchimento delle stesse banche: pagano le cedole degli interessi sui titoli pubblici che finiscono nelle casse delle banche, risanate dagli stessi contribuenti. E' un'ideale situazione kafkiana. Per questi aspetti, nessuno ha proferito verbo. Sono passati semplicemente sotto silenzio. Neppure uno tra i tanti strombazzatori ha sollevato il problema. Sento già le obiezioni. Per l'acquisto dei titoli pubblici siamo nel libero mercato e ciò che vige è la legge della domanda e dell'offerta. E, ancora. Lo Stato deve tutelare i risparmi dei cittadini, soprattutto nelle banche in difficoltà. E, inoltre, le banche sono il cardine della nostra economia. E, infine, La BCE funge solo da organo erogatore. Bene. Sono consapevole di tutto ciò. Però, dobbiamo metterci d'accordo. Perché deve intervenire lo Stato, emanando addirittura titoli pubblici, per sopperire alle difficoltà di un


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Istituto di credito che ha sperperato proprio i risparmi dei suoi clienti? Perché non garantire solo i risparmi degli stessi clienti lasciando alla banca di specie il compito di trarsi da sola fuori dalle panie nelle quali si è cacciata? Com'è possibile che dall'Unione siano giunti alle banche miliardi di euro, derivati dalle contribuzioni degli Stati, derivate a loro volta dalle tasse dei cittadini, senza alcun vincolo? Perché, se così fosse, da europeista convinto, credo che, parafrasando Amleto, ci sia del marcio nella traslata Danimarca. Perché delle due l'una: nel trattato di Maastricht (art. 2 par. 1) è scritto che la BCE sostiene le politiche economiche generali nella Comunità al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi della Comunità stessa, agendo in conformità del principio di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, per realizzare obiettivi principali che sono: uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche nell'insieme della Comunità; una crescita sostenibile, non inflazionistica, che rispetti l'ambiente; il raggiungimento e il mantenimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale; la coesione economica e sociale; la solidarietà tra stati membri. Nel qual caso dovremmo aspettarci un comportamento coerente che, tuttavia, non emerge. Oppure, non è vero. E se non lo è, valgono le norme che uno Stato si da a tutela dei propri interessi, che poi sono quelli dei suoi cittadini. Non amo citare ad esempio gli americani, perché ritengo che abbiano poco da insegnarci. Però, vivaddio, il presidente Obama mi sta procurando molta soddisfazione. Già nel 2010, la Goldman Sachs, una delle più grandi banche d'affari del mondo, è stata incriminata per frode dalla Security and Exchange Commission, l'ente governativo statunitense preposto alla vigilanza della Borsa valori. Una banca, la Goldman, che aveva già suscitato forti polemiche negli Stati Uniti e in Inghilterra per il fenomeno conosciuto come revolving doors (porte girevoli); cioè per il passaggio di determinate persone da responsabilità pubbliche a ruoli di vario genere all'interno della banca d'affari e viceversa, configurando così un potenziale conflitto d'interessi. E' dato il caso che, fra gli ex-dipendenti e gli ex consulenti più illustri, figurano i Segretari al Tesoro statunitensi Robert Rubin, dell'amministrazione Clinton, e Henry Paulson, dell'amministrazione Bush, il Governatore della Bank of Canada Mark Carney, il Governatore della Banca centrale europea Mario Draghi e il Presidente del Consiglio italiano Mario Monti. Non voglio fare polemiche gratuite né peccare di retorica ma mi chiedo: è un caso se buona parte dell'attuale governo tecnico deriva dal mondo bancario verso il quale ha dimostrato un'indiscutibile sensibilità? E, una volta concluso il mandato, tali soggetti dove torneranno? Le banche, inoltre, all'inseguimento del lucro sempre più alto, non hanno disdegnato di avventurarsi, con i soldi dei risparmiatori, nella cosiddetta finanza creativa, nel mondo dei titoli derivati di provenienza americana, dei quali esse sono sia intermediatrici, consigliandone cioè l'acquisto ai risparmiatori dei quali, paradosso nel paradosso, hanno utilizzato i soldi per comprare i titoli stessi, sia acquirenti finali. Per tali prodotti finanziari, peraltro, prima di essere emessi, vige l'obbligo di essere valutati da società di rating: Standard&Poor's, Moody's, Fitch.

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Eppure, nonostante la certificazione di qualità, nel 2008 il mondo dei derivati è esploso, fino ad attribuire ai relativi titoli l'appellativo di "tossici"; un'esplosione che è alla base dell'attuale crisi e della recessione, prima negli USA e poi in Europa. Un numero rilevante di tali titoli è stato trovato nelle casse dell'MPS ma anche le altre banche non ne sono indenni. Obama, quindi, si è spinto più avanti. Si appresta a fare causa a Standard&Poor's, il colosso del rating, al quale chiede un risarcimento di cinque miliardi di dollari, accusandolo, insieme alla sua controllante McGraw Hill, di aver deliberatamente "gonfiato" i giudizi sui loro prodotti finanziari connessi al settore immobiliare, emessi poco prima del collasso del "mattone" negli USA; un'azione che avrebbe contribuito notevolmente alla bolla che nel 2008 ha scatenato la crisi mondiale. In verità, a questo proposito, abbiamo dei precedenti. La procura di Trani, su denuncia di Adusbef e Federconsumatori, ha indagato sulle attività di Moody's, Fitch e Standard and Poor's, per un danno finanziario, che sarebbe conseguente alla loro azione nel nostro Paese, valutato in oltre 120 miliardi di euro. Terminate recentemente le indagini, ha chiesto il rinvio a giudizio di alcuni manager di Fitch e di Standard and Poor's, con l'accusa di aver manipolato il mercato azionario e delle merci con giudizi falsati; con l'aggravante, per Fitch, di avere un rapporto contrattuale con l'Italia. In Australia, inoltre, la Corte Federale di Sidney ha condannato Standard and Poor's, a pagare oltre 30 milioni di dollari a tredici municipalità della provincia australiana del New South Wales, che avevano perso il 93% del loro investimento di 16,6 milioni di dollari nei titoli, noti come Rembrandt Notes, emessi da ABN Amro e certificati da Standard and Poor's come AAA, in altre temeraria igiene spirituale parole di audacia assoluta affidabilità.mCon Standard and Poor's, la Corte ha anche condannato, per "condotta fuorviante e ingannevole", ABN Amro, una delle maggiori banche olandesi, nazionalizzata nel 2008 a seguito della crisi finanziaria, e la società di consulenza finanziaria Local Government Financial Services Ltd., che nel 2006 aveva intermediato la vendita ai comuni. Il legale delle municipalità australiane ha, poi, dichiarato di pensare ad ulteriori azioni nel Regno Unito, in Olanda e in Nuova Zelanda, a tutela dei danni subiti dagli enti pubblici loro clienti: in particolare per un finanziamento di due miliardi di euro in Constant Proportion Debt Obligation (CPDO), un tipo di derivato che ABN Amro ha venduto sempre grazie all'alto rating garantito da Standard and Poor's. E' curioso il fatto che la linea di difesa della società di rating si era basata sul sostenere che "il sistema di rating è un'arte e non una scienza". In sostanza, per diretta affermazione dell'agenzia, il destino di Stati e di popoli sarebbe nelle mani di "artisti" che, senza alcun riconoscimento internazionale (non è previsto), emettono soggettive valutazioni che hanno un'enorme, drammatica, influenza. Ma ciò che sconcerta è la composizione azionaria delle società di rating che apertamente confligge con il ruolo di "terza parte" che dovrebbe assumere l'agenzia stessa rispetto al fornitore del prodotto o servizio, da un lato, e all'acquirente, dall'altro; un conflitto, peraltro, ulteriormente collidente con il vantaggio delle agenzie rappresentato dall'impossibilità di introdurre sulla piazza un prodotto finanziario non valutato.


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La stragrande maggioranza degli azionisti di queste agenzie è, infatti, costituita da giganti specializzati negli investimenti finanziari e nell'assets management, del livello di Capital World Investors, The Vanguard Group Inc., BlackRock Fund Advisors, State Street Global Advisors, ecc. In pratica, dai principali giocatori del mercato obbligazionario e valutario. Le loro fortune finanziarie dipendono, indifferentemente, dalle evoluzioni, al rialzo e al ribasso, della situazione dei mercati finanziari. E a nessuno sfugge il ruolo centrale in queste vicende dei Titoli di Stato, per i quali sono stati costituiti degli appositi derivati, uno dei quali, ad esempio, scommette sul default dello Stato emittente. Alla luce di tutto quanto sopra, che fare? Innanzi tutto, tramite azioni internazionali, modificare il ruolo del Fondo monetario internazionale, nella sua veste di controllore. L'Inghilterra, da ultimo, ha sospeso l'erogazione di trenta miliardi di euro, la sua quota di finanziamento, per riflettere! L'Italia, invece, ne ha immediatamente pagati oltre ventitré. Analogamente, tramite un'azione comunitaria, richiamare la BCE a uno dei precipui aspetti della sua istituzione: quello previsto dal trattato di Maastricht e, nel contempo, richiamare la neonata (2011) EBA, l'Autorità bancaria europea, peraltro guidata da un italiano, a una più stretta osservanza del suo principale compito: la sorveglianza. In tema di sorveglianza, poi, un'analoga azione di richiamo va fatta alla Banca d'Italia la quale è vero che non è "la polizia", come ha teso a sottolineare il Governatore Visco dinanzi al caso MPS, ma è anche vero che gli è rimasto un unico compito: la sorveglianza delle banche italiane. Occorre, inoltre, modificare lo stato giuridico delle fondazioni, soprattutto quelle bancarie, perché, a fronte delle agevolazioni che ricevono, possano essere obbligate a svolgere, sostenere, affiancare iniziative dello Stato a vantaggio sociale, non escluso l'acquisto di titoli pubblici, a tassi differenziati rispetto al mercato. Inoltre, necessita aggiornare i due Testi Unici ('93/'98) sulle leggi bancarie ai fini della trasparenza inglobando e, se del caso, ampliando le direttive comunitarie sulla materia. Ulteriormente, dopo l'esempio della Procura di Trani, sono da valutare eventuali responsabilità delle società di rating negli enormi, ingiustificati differenziali (spread) tra i titoli italiani e quelli tedeschi dello scorso anno. Infine, è opportuno riformare la Consob, la Commissione di controllo sulle attività borsistiche, perché faccia meglio, molto meglio, il suo lavoro. Credo che tali iniziative siano ritagliate su Casini, data la sua, nota apprensione verso la famiglia, i disagiati, gli oppressi, e per la sua sensibilità verso il pensiero sociale della Chiesa. Mitigherebbe, così, le caratteristiche dei suoi compagni di viaggio e, al tempo stesso, terrebbe fede a una delle due dizioni che l'Osservatore Romano inalbera sulla testata: unicuique suum, a ciascuno (dare solo) il suo, per giustizia. Diversamente, potrebbe trovarsi a fare i conti con la seconda dizione: non prevalebunt, non prevarranno, non vinceranno. Pietro Angeleri

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POLITICA/L’INTERVISTA

GIUSEPPE CONSOLO La legislatura che ci lasciamo alle spalle sarà ricordata per la drammatica crisi economica che ne ha contrassegnato il cammino: le tensioni sullo spread dei titoli pubblici, la chiusura di tante aziende con la conseguente perdita di posti di lavoro e le inevitabili lacerazioni sociali hanno segnato il Paese nel profondo. Di fronte a tutto ciò una classe politica travolta, ad ogni livello, da scandali di vario tipo che ne hanno minato profondamente la credibilità al cospetto dei cittadini. Il tutto, si badi bene, in una cornice di mancate riforme che ha impedito l'ammodernamento del Paese e lasciato a lobby e consorterie il potere di veto su ogni processo riformista. Così nello scorcio finale di legislatura l'avvento dei tecnici al governo ha consentito di porre rimedio ad una situazione divenuta critica, rimettendo ordine nei conti pubblici e restituendo all'Italia dignità e peso a livello internazionale. Ora, però, è tempo di campagna elettorale all'interno della quale sarà necessario lanciare programmi e idee per la ricostruzione del Paese delineando, in tal modo, una prossima legislatura costituente e foriera di riforme. Professore associato di istituzioni di diritto pubblico presso la facoltàigiene di giurisprudenza audacia temeraria spiritualedell'università Luiss Guido Carli, l'avvocato Giuseppe Consolo è parlamentare uscente di Futuro e Libertà e presidente del consiglio di giurisdizione della Camera dei Deputati. Candidato al Senato nella circoscrizione Campania per la lista "Scelta Civica con Monti" affronta, in questa conversazione con "Confini", alcuni dei temi che entreranno a far parte dell'agenda politica ed economica della prossima legislatura. Professor Consolo, il rush finale della campagna elettorale è, come di consueto, segnato da veleni e scambi di accuse tra i poli. Rischiano di rimanere fuori dal dibattito i temi che interessano davvero i cittadini. Partiamo dal Sud: in che modo si può favorire lo sviluppo economico e sociale del meridione d'Italia liberandolo, al contempo, dall'influenza della malavita organizzata? Con serietà e impegnandoci a difendere valori e obiettivi, definiti dal programma che abbiamo scelto di realizzare per il buon funzionamento della Legalità e della Giustizia. Le ricette magiche, lo abbiamo visto, non esistono, ma esistono le idee innovative, le proposte che sottendono alle riforme democratiche, necessarie al Paese, da Sud a Nord, per farlo crescere e per garantire alle piccole e medie realtà economiche di andare avanti, assicurando fondi agli Enti locali per farne nascere di nuove e ancora più innovatrici. Tutto questo controllando i flussi economici e respingendo qualsiasi tipo di influenza negativa proveniente dalla criminalità organizzata con


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maggiori controlli. Penso ad esempio al problema emergenziale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti che i cittadini di Napoli e della Campania soffrono da anni sulla propria pelle. La buona Politica, per dirsi tale, non può estromettere dalla propria agenda il diritto alla salute di ciascuno. Gli standard europei della Green Economy ci richiamano a favorire riciclaggio e riutilizzo dei rifiuti. Bisogna sicuramente appoggiare le imprese oneste con incentivi e programmi di sviluppo, eliminando i lacci della burocrazia, non dandola più vinta alla criminalità che sfrutta pericolosamente i vuoti organizzativi e statali davvero sulla pelle dei Cittadini. Lo sviluppo necessita di riforme progressiste che diano luce al merito e la levino alla corruzione e al malaffare, cardini di una tradizione culturale deformante. La piaga della disoccupazione giovanile sfocia, ogni giorno di più, in un dramma sociale. Un primo passo per restituire una prospettiva futura ai nostri giovani può arrivare dalle nuove norme sull'apprendistato. Quali altri interventi si devono realizzare per incentivare le aziende ad assumere? Le nuove generazioni stanno vivendo, come tutti, un periodo che dirsi infelice sembra non bastare. L'apprendistato, i cosiddetti stage di formazione e i praticantati di varia natura, purché a regola, possono di certo aiutare a creare nuove classi di lavoratori esperti e specializzati da inserire in settori economici ben avviati. Penso all'artigianato, da sempre motore del nostro made in Italy, rispettato in tutto il mondo, ma anche alle nuove, sempre più interconnesse e globalizzate, attività, spesso con base culturale, che valorizzano i beni locali nel mondo. Ecco, aiutare queste realtà, con fondi dedicati, aumenterebbe la stima nei confronti di ciò che ci circonda. Il nuovo welfare chiede valorizzazione e riqualificazione di ciò che abbiamo. I giovani diventino i portavoce di questo percorso. Il problema, però, è che tante aziende continuano a chiudere a causa della crisi economica. Una rilevazione dell'Istat calcola che in Italia chiudono in media mille aziende al giorno. In che modo si può invertire la tendenza? Come già dichiarato in Aula, i sistemi bancari devono contribuire alla crescita e allo sviluppo concedendo prestiti attraverso il microcredito a imprese virtuose e aiuti alle nuove, soprattutto a quelle che, come dicevo, favoriscono con il proprio core business il locale nelle sue molteplici forme. Il governo entrante troverà di fronte a sé la montagna del debito pubblico ed una tassazione, sulle imprese e sui lavoratori, molto elevata. Quali le misure per portare il primo entro limiti sostenibili e ridurre gradualmente le tasse? Per parlare di misure necessarie a rendere il debito pubblico sostenibile, e quindi procedere ad

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una graduale, e per questo continuativa, decurtazione delle tasse, è necessario non dimenticare il nostro passato recente: la paura che abbiamo provato di ritrovarci in quella situazione, disastrosa e dinamitarda, che ha costretto grandi nazioni come la Grecia ad inginocchiarsi. Ricordiamoci di aver temuto il crollo annunciato. E che senza la salita al Governo di Mario Monti quel disastro sarebbe diventato, molto presto, effettivo. Grazie alle proposte avanzate da Monti, invece, alla riabilitazione della nostra credibilità a livello europeo, alla serietà messa in campo per far fronte all'emergenza, gran parte di ciò di cui aveva bisogno un Paese sofferente come il nostro è stato fatto, in tempi record. Ma per andare avanti e incentivare crescita e sviluppo è fondamentale non concludere quel percorso. Il patto che, con spirito di responsabilità, i cittadini hanno dimostrato di mantenere, con i grandi sacrifici compiuti, non può vanificarsi proprio quando si intravede la luce lungo il tunnel. Ora che siamo stabili, che abbiamo cioè un equilibrio, possiamo procedere verso la salita. Senza questa prospettiva, senza il saper fare, il voler condividere, senza il potere delle riforme, del cambiamento reale, è difficile guardare lontano; e ancor di più, senza il ricordo di quella paura, del contagio, della sfiducia collettiva, si fingerà di cambiare per lasciare tutto così com'è. Da più parti si auspica, per la prossima legislatura, una fase costituente. Quali sono, a Suo giudizio, le riforme necessarie per ammodernare il Paese e la struttura costituzionale? Una riforma della Giustizia, come quella intrapresa con coraggio dal Ministro uscente Severino, su anti-corruzione e sistema carcerario, è dimostrazione di uno Stato di diritto e, insieme, di una Società civile. La nostra Costituzione è la bandiera nazionale in lettere. Non un vademecum qualsiasi. Riforme necessarie riguardano di certo la cittadinanza ai nuovi nati in territorio italiano, figli di immigrati che nascono, crescono e lavorano in questa società, ma che non godono ancora dei diritti fondamentali. Da proponente e primo firmatario della legge italiana contro le mutilazioni genitali femminili, legge che reca il mio nome, posso dire che molto spesso ci si dimentica di quanto sia importante far valere i diritti di questa gente, delle donne e dei minori, in particolar modo. In Italia ogni cittadino deve rispettare la legge italiana, in linea con quanto espresso dagli accordi internazionali, e non tradizioni spietate e primitive, dettate dal patriarcato o da una presunta superiorità di genere. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a scandali politici, a tutti i livelli, caratterizzati dal prevalere dell'interesse personale su quello generale. Che cosa c'è, secondo lei, alla base della perdita del senso etico? Come giudica le nuove norme sull'incandidabilità previste dal governo Monti? I cosiddetti ruba galline, come fatti di cronaca recente dimostrano, si scoprono al primo canto del gallo. La politica vera, onesta e legalitaria è la difesa di quel senso etico di cui parlava. Futuro e Libertà, già con l'operazione "Liste pulite", ha dimostrato che calcolo politico e convenienza sono nostri nemici e, soprattutto, nemici delle idee innovative e dell'azione riformatrice che, in tempi


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non sospetti, abbiamo proposto, e in cui ancora oggi, nonostante accorrano da più parti i politologi dell'ultima ora, crediamo. Lei è candidato al Senato per "Scelta Civica". Quale è l'elemento di novità, a suo giudizio, del progetto politico di Mario Monti? Non si può parlare di uno specifico elemento di novità, perché l'intero progetto voluto insieme con Mario Monti, quello che fu proposto da Gianfranco Fini, e ora rappresentato da altri grandi leaders, come Pier Ferdinando Casini e Luca Cordero di Montezemolo, è l'unica novità, l'unica prospettiva percorribile nello scenario politico contemporaneo. Migliaia di militanti e giovani volontari hanno reso quelle proposte, le nostre idee, la realtà: legalità, giustizia e merito. Ecco perché continuiamo a sostenere Mario Monti. Il suo programma è la volontà di un intero Paese che vuole farcela scongiurando lo spettro del disastro. Concorda con la decisione di creare una lista unica al Senato e mantenere la specificità dei singoli partiti alla Camera? Di certo. In ambito democratico le proposte passano sotto il vaglio degli aventi diritto. La maggioranza vince, come si suol dire. Per questo, se la opinione dei più prevale sul resto, è importante far passare il messaggio vincente... Nel nuovo rassemblement che si richiama a Monti è possibile intravedere il seme di un progetto che porti, anche in Italia, alla nascita di una forza di centro-destra liberale, moderna ed europea? La coalizione che fa capo a Mario Monti è l'Europa legalitaria e meritocratica, liberale e riformista. La sua modernità, che richiama il nostro futurismo, si avvale di una disambiguazione di termini ormai saturi e delegittimati. Destra e sinistra appartengono a un immaginario collettivo lontano dai tempi che viviamo, dal progresso cui dobbiamo guardare. E' senza dubbio, per il bene di tutti i popoli europei, e in linea con l'evolversi delle società, sempre più globalizzate, superare stanche dicotomie. Qualcuno paventa il rischio che la società civile, come già accaduto in passato, sia condannata a giocare un ruolo di secondo piano rispetto alla componente politica. E' d'accordo con la decisione di Monti di presentare, all'interno delle liste, esponenti della società civile? Alla Camera, come è noto, la Scelta Civica con Monti per l'Italia prefigura uno schieramento fatto da persone che hanno condiviso idee e proposte che nascono nella società civile per una nuova Repubblica, una Repubblica fondata su Giustizia, Merito, Solidarietà e Legalità. La buona Politica ha avuto il suo tempo per dimostrare ciò di cui è capace, e chi ha fatto qualcosa di buono, con le

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leggi, con l'onesta e la fiducia, lo dimostra con il consenso e la sua presenza qui e oggi. Il resto, quello che ha dimostrato di essere solo un ottimo mangime per la più becera anti-politica, può essere sostituito da gente capace e meritevole di stima e, ancor più, di fiducia politica. Il presidente Fini ha confermato che nasceranno, all'interno del rassemblement montiano, gruppi unici alla Camera e al Senato. Quali sono le prospettive di Futuro e Libertà in vista della nuova legislatura? Le prospettive di Futuro e Libertà sono le stesse che presero avvio quando l'intuizione e il coraggio, espressi da Gianfranco Fini, quel famoso 22 aprile di tre anni fa, si mostrarono a tutti nella loro ferma decisione di difendere i principi di legalità, merito e giustizia. Questi tre elementi, legati alla solidarietà sociale e al dialogo, erano, sono e saranno la prospettiva vincente di Futuro e Libertà, in qualsiasi modo vorrà chiamarsi la coalizione che sostiene, incentiva e promulga l'azione riformatrice che chiede l'Italia intera. Giuseppe Farese

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CHE FARE?

Non se ne può più. La sfilza delle bancarelle politiche offre dalle balle più colossali ai tecnicismi più assurdi. Se un povero Cristo avesse la pazienza certosina di ascoltare e memorizzare tutte le proposte, alla fine si ritroverebbe alle prese con il quesito leniniano: che fare? E non avrebbe per nulla chiara nella sua mente la risposta alla domanda retorica di Lenin, titolo di una delle sue più importanti opere, che in omaggio richiamava il celebre romanzo omonimo di Nikolaj Gavrilovic Cernyševskij. Che bei tempi quelli, almeno in termini di chiarezza. Un russo dichiaratamente rivoluzionario, esule in Germania, tracciava in modo sistematico, tra l'autunno del 1901 e il febbraio 1902 a Stoccarda, la sua teoria dell'organizzazione e la strategia del partito rivoluzionario del proletariato. Mancavano ancora diciassette anni alla rivoluzione bolscevica contro il governo provvisorio della Repubblica Russa guidato dal menscevico Kerenskij, consentita strategicamente proprio dall'argent del capitalismo tedesco per far venir meno il fronte bellico orientale. Oggi, il proletariato è scomparso (come termine); si consideri che secondo la riforma di Servio Tullio, più di cinquecento anni prima di Cristo, era proletario chi possedeva meno di 11.000 assi, organizzati in una sola centuria, detta immunis militia. Non doveva pagare tasse e non era soggetto al servizio militare. Poteva dare alla città di Roma solo i figli. Poi, attraverso i secoli, con la civiltà e il progresso che avanzava, e con il sistema capitalistico sempre più esteso, fu definito proletario l'appartenente alla classe sociale di lavoratori dipendenti, privi della proprietà e del controllo dei mezzi di produzione e possessori di una sola merce da vendere: la loro forza-lavoro. Lenin si rivolgeva a loro. Già. Non poteva più essere proletario chi possedeva un appezzamento di terreno, (bene primario che contemplava l'esistenza di una casa) bensì solo chi era dotato unicamente delle proprie braccia. A pensarci bene, infatti, la riforma concettuale del termine fu giusta perché, nella delineazione delle "classi" sociali, coloro che nel XIX secolo erano alla base della piramide, e che non possedevano alcunché, erano i prestatori d'opera, i più esposti alle variazioni dei mercati e alle domande di lavoro, alle angherie degli esosi padroni, alle calamità naturali e inermi davanti alle aggressioni patologiche. Erano loro, quindi, che, privi di ogni tutela, avevano necessità di essere difesi. Si badi bene, però. Non erano poveri. Erano semplicemente proletari perché era inconciliabile la coesistenza pratica dei due concetti.

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Al giorno d'oggi, invece, con le mirabilie della scienza, con le fantasmagorie della tecnica, con il capitalismo imperante, con i virtuosismi della comunicazione dabbene, è stato conciliato l'inconciliabile: si può lavorare ed essere poveri. In compenso, è scomparso il termine proletario. In quest'ipocrita società dell'immagine, infatti, ricorrere al termine "proletario" significherebbe, in sostanza, ammettere l'esigenza di un partito comunista che il comportamento di alcuni uomini e il volere di altri hanno condannato all'oblio. Si è preferito, invece, ricorrere a un altro concetto, ancor più vecchio, la povertà, per inglobarvi assurdamente chi, pur lavorando, non trova corrispettivo alla sua prestazione adeguato a garantire a sé e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Così, non si discute di giustizia sociale, di politica distributiva, di diritti del lavoro e si passa sotto silenzio la sconfessione pratica della nostra Costituzione, a cominciare dai Principi Fondamentali negli artt. 1,2,3 e 4. Paradossalmente, si discute, invece, di come considerare la povertà, se assoluta o relativa, se geografica, se variabile secondo la composizione familiare, se per aree metropolitane, per comuni, per piccoli centri, ecc.; ovviamente, stabilendo una ridicola soglia per ogni considerazione, addirittura munita di virgole. Tutto questo, facendo finta di dimenticare che, ad esempio, al Sud non si è fuori dalla povertà se si ha un euro in più di 580,67 euro mensili nelle aree metropolitane, di 560,60 euro nei grandi comuni, di 525,65 euro nei piccoli comuni; e così dicasi per il Centro e per il Nord che salgono di poco nella considerazione quantistica dei tecnicismi strumentali. O non si è meno poveri in una famiglia, senza figli, dove i due coniugi percepiscono complessivamente 1.050 euro, rispetto ai 1.000 della soglia. O in una famiglia con due figli ove i coniugi guadagnano 1.650 euro al mese rispetto ai 1.600 fissati. Il fatto vero è che la povertà è un concetto assoluto legato non alla qualità della vita bensì alla perdita di libertà e di dignità dell'esistenza per ogni componente familiare. Facciamo un esempio? Come può una famiglia, con due figli, il cui introito complessivo è di 1.650 euro (50 euro in più della cd. soglia) pensare di poter pagare, per la fascia di reddito di appartenenza, 840 euro l'anno tra tasse universitarie e tassa regionale? In sostanza, più dello stipendio di un mese di uno dei coniugi. Si badi che se il reddito complessivo fosse 1.550 (quindi, indiscutibilmente poveri) la tassa sarebbe la stessa. Ma c'è di più. Ammesso che le famiglie vendano il loro sangue per pagare le tasse universitarie, quante probabilità ha il giovane laureato di trovare un'occupazione quando fa titolo di preferenza una laurea conseguita presso un'università privata i cui costi annuali sono molto superiori? Alcuni pennivendoli e anchorman hanno di recente rilevato che nelle università cala drammaticamente il numero delle presenze e, anziché attribuire tale fenomeno alle vere cause (indisponibilità delle famiglie aggravata dalla crisi, scomparsa di valori tra i quali quello del lavoro, affermazione suprema dell'economicismo, scadimento conseguente delle ambizioni naturali, rassegnazione quasi abulica dilagante con l'unico scopo quello della sopravvivenza), l'hanno imputato alle minori iscrizioni di perdigiorno, di fuoricorso cronici. Quasi un fenomeno positivo, tutto sommato; la concretizzazione del vecchio slogan "pochi ma buoni".


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Però, ammesso per assurdo che così fosse, si dimenticano di aggiungere che, ai sempre meno laureati italiani nelle università pubbliche, le vie prevalentemente riservate loro sono la disoccupazione (oltre il 35% quella giovanile) o l'espatrio, causato anche dai tagli per la ricerca e la scuola di 6 miliardi (12.000 miliardi delle vecchie lire): così il Paese viene depauperato, di una generazione e di speranze di futuro comune. Lo so. Ci vorrebbe una rivoluzione ma le idee rivoluzionarie non mi appartengono. Comunque, non mi sembra il caso di pensarci perché non è fine; è in contrasto con il moderatismo, molto trendy; verrebbe subito aborrita dalla Chiesa e bollata come diabolica al punto da promuovere una rediviva crociata contro gli Albigesi, adattandovi persino il grido di Deus vult. Inoltre, la rinnovata Santa Alleanza della UE, divisa su tutto ma unita nel caso di specie, la sopprimerebbe ancor prima di iniziare e, tra l'altro, il capitalismo, ormai planetario, non ha più bisogno di promuovere rivoluzioni per aprire fronti diversificatori: basta la (pseudo) politica a fungere da guardia bianca. Comunque, ciò che veramente manca dalle bancarelle della politica è una rinascita culturale nazionale (speriamo, un domani, comunitaria) per ripristinare il più ampio concetto di progresso e non solo di crescita economica, di riconoscimento di dignità del lavoro e non solo della qualifica di "merce", di strutturazione del sistema-Paese e non solo di soddisfazione dei mercati, di strumenti di equa distribuzione del reddito nazionale prodotto (poco o tanto che sia) e non solo di acquisizione di utili. Poi, possono anche intervenire le politiche di sostegno al reddito, di assistenza per categorie disagiate, le riforme del sistema fiscale, le politiche industriali e di supporto alle PMI, i piani per il terziario e per il turismo, la semplificazione amministrativa, la riforma della pubblica amministrazione e quella della magistratura, la riforma del welfare e della legge bancaria, la revisione dei poteri di Bankitalia, una maggiore e più pregnante presenza a Bruxelles, ecc.ecc.ecc. Perché qualunque raggruppamento si voti, l'importante è tornare a pensare e ad agire come persone; là, c'è la differenza con le bestie per le quali, si pensi, paradossalmente ma fortunatamente, un lungimirante legislatore ha previsto una normativa di tutela. Massimo Sergenti

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VOTA ANTONIO

Non mi piace granché Monti, le sue arie altezzose e le sue politiche da lanciatore di coltelli tailandese Kikoiokoio. Berlusconi mi fa gemere di apprensione. Con Bersani mi vien voglia di un panino al salame e di un bicchiere di gutturnio in un'osteria della bassa. Grillo mi sembra un folle esagitato che sbraita a Hyde Park. Ingroia non credo abbia capito che l'agone politico non è una Procura. Giannino lo raffiguro più come uno Joker. E gli altri sono di così largo contorno che non vale la pena di parlarne. Il problema, poi, s'ingigantisce se penso alle regionali della Lombardia e del Lazio. Nella prima, Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, assassinato nel 1979, appoggiato dal centrosinistra, sembra un bravo ragazzo senza, tuttavia, la benché minima esperienza. A sentirlo, si nota che parla per slogan. In compenso, Albertini, uomo navigato, ex sindaco di Milano per il centrodestra, gareggia oggi sotto l'egida montiana, minacciando sfracelli rivelatori verso Formigoni che si era permesso di criticarlo. Stavolta, in Lombardia, l'appoggio del centrodestra va a Maroni, leghista, che sta facendo la campagna elettorale sotto il grido: le tasse del Nord per il 75% devono restare al Nord, manco stesse a Sherwood, si chiamasse Robin Hood e lottasse contro lo sceriffo di Nottingham. Da nessuno, però, sento parlare di politiche regionali specifiche. Analogamente dicasi per il Lazio. Nicola Zingaretti, un signor nessuno, segretario della sinistra giovanile nei lontani anni 1991/1995, ex parlamentare europeo, presidente della provincia di Roma, candidato a governatore sotto l'egida di una lista civica che ha sollevato non poche polemiche nel PD che lo appoggia, deve l'opportunità all'opera di due radicali, Giuseppe Rossodivita e Rocco Berardo, che hanno scoperchiato il vaso di Pandora dei "rimborsi" ai gruppi regionali. Eppure, negli iniziali abboccamenti con i radicali, ha chiesto a quel partito di non candidare Rossodivita e Bernardo, in caso di apparentamento, per l'appartenenza al passato consiglio. La candidatura ai due radicali l'ha offerta scenograficamente Storace, uomo navigato e adattabile a tutte le bandiere. Prima MSI, duro e puro. Poi, alleanzino della prim'ora. Ora, berlusconiano dop (denominazione d'origine protetta). Un candidato che nel 2005, alla ricandidatura dopo cinque anni da governatore, è stato sconfitto da Marrazzo non solo come numero di voti alla coalizione ma anche come voti personali. Infatti, Marrazzo ha ottenuto il 9% di voti personali (contro il 4,1 di Storace) significando questo che una parte di elettori che hanno votato una delle liste della Casa delle libertà ha deciso di non


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votare Storace come presidente, ricorrendo così al voto disgiunto, permesso dalla legge. Una sconfessione, quindi, della sua precedente opera come presidente di regione, che tuttavia è stata subito ripagata dalla nomina a ministro della sanità. Bah! Misteri della (pseudo) politica. Ora ci riprova. La candidata della Lista Monti è Giulia Bongiorno, uno stimato parlamentare, uno stimatissimo legale, con la pecca di gareggiare sotto lo stemma montiano. Mi viene voglia di non votare alcuno tra quelli nominati. Ma non sono il tipo da scheda bianca. Perciò, qualcuno di questi si dovrà pur votare. La fantasia italica ha trovato un escamotage: il voto disgiunto, non solo alle regionali, ma anche nelle consultazioni politiche. Così, in Lombardia, ci sarà chi voterà il Popolo delle Libertà come coalizione e Ambrosoli come presidente. Ugualmente accadrà per il Lazio: il voto al Popolo delle Libertà con Zingaretti presidente. Alla Camera, però, si voterà il Movimento 5 Stelle, che opera a contatto con la gente, e al Senato la Lista Monti. C'è una farraginosa logica in tutto questo. Alla Regione si vota la lista del cuore, ma per il Presidente si compie una scelta di speranza: si vota chi non è stato coinvolto in precedenza. Alla Camera, invece, si preferisce dare forza ad un movimento dirompente, sempre presente sulle piazze, mentre, in nome della stabilità e della affidabilità, si vota Monti al Senato. Questo è l'atteggiamento di numerosissime persone, incontrate recentemente, dove le uniche, rare variabili riguardano la Bongiorno, alla regione Lazio, o Ingroia e Giannino, nelle politiche, al posto di Grillo. Con questo non voglio dire che Grillo arriverà ad avere i numeri per governare. Assolutamente no. Però, pensate a una forza nella Camera che conta tra i 108 e i 125 parlamentari: l'M5S. Pensata a un'altra forza che, con ogni probabilità, riuscirà a guadagnarne oltre trenta: Rivoluzione civile di Ingroia. Non saprei dire di Fermare Il Declino di Giannino che, difficilmente, supererà la soglia d'ingrasso. Ne uscirà, comunque, un guazzabuglio della peggior specie. Qualunque governo (sia PD, liste collegate con accordo successivo con Lista Monti e apparentati evento probabile -, sia PDL e liste collegate), sarà sottoposto a una pressione incredibile sia interna che esterna. Le politiche che varerà saranno il frutto di siderali compromessi e dovrà precettare i deputati a ogni piè sospinto per non andare sotto. Non è un bel futuro, da qualunque parte si stia. Con il rischio che tra un anno si torni nuovamente a votare. Dopo le premesse di quest'articolo, non mi sento di dare consigli di voto. Una speranza, tuttavia, mi sento di esternarla sul che fare dopo il voto. Una speranza che si sostiene col risultato di un recente sondaggio su cosa servirà agli italiani nel prossimo futuro. Il 37% indica rigore e serietà. Va meglio articolata, perciò, la spending review e va allargata. Vanno controllati i centri di spesa ministeriali e va riscontrato il risultato della loro opera. Vanno abolite le provincie e, nonostante Maroni, vanno create le macro-regioni, riducendo il numero dei consiglieri. Va, altresì, rivisto l'impianto dei poteri regionali, modificato inopinatamente nel 2001. Vanno create le città metropolitane. Vanno fusi i Comuni sotto i 500 abitanti.

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Vanno oltremodo ridotti i "rimborsi" elettorali ai partiti e quelli ai gruppi regionali, provinciali e comunali. I bilanci dei fruitori vanno, comunque, certificati. Va ridotto il numero dei parlamentari, il loro stipendio e le loro indennità. Vanno rivisti i loro privilegi. Sono da vietare, per legge, i "salvataggi" di imprese in crisi, a meno che, per tabulas, non si dimostri in Parlamento che l'impresa stessa ha un numero di dipendenti tale che l'entità della cassa integrazione e della mobilità sia superiore all'entità del finanziamento di salvataggio. E, comunque, che il salvataggio abbia garanzie di durabilità. Mai più un'Alitalia o una MPS. I beni pubblici vanno esitati all'insegna del rigore e della trasparenza. Vanno intensificati e capillarizzati i controlli da parte delle Authority, soprattutto verso gli erogatori di servizi pubblici e di utenze. Il 30% richiede giustizia. I colpevoli vanno puniti. Vanno riformati magistratura e ordinamento giudiziario. Vanno abbreviati i processi e reso più snello il rito. Va rivisto l'ordinamento previdenziale, con i connessi istituti del welfare, e reso finalmente efficace e coerente con i suoi compiti. Va riformato il diritto del lavoro e lo Statuto dei lavoratori per tra-sformarlo in Statuto dei Lavori al fine di tutelare tutte le nuove forme di lavoro non esistenti quarantatré anni fa. Va riformato il sistema fiscale eliminando tutti gli interventi spot, che negli anni si sono accumulati, per realizzare un'equità armonica di prelievo. Va rivista (o applicata) la Carta dei diritti del Malato e, analogamente, quella del Passeggero. Va ripotenziata la ricerca e la pubblica Università, rendendo le tasse universitarie più coerenti con le fasce di reddito. Va riformata, insieme all'Italia, l'Europa perché non vi siano più figli e figliastri, perché sia effettivamente una casa comune e uno spazio di libertà e di giustizia, perché una congerie di burocrati non continui a soppiantare la politica. Per il 12% servirà pazienza. L'attesa dei primi risultati dei provve-dimenti sopra indicati. Per il 7% occorrerà fortuna. Certamente. Tenendo, però, presente che secondo il grande Erasmo da Rotterdam la fortuna ama le persone non troppo sensate. In sostanza, bisogna osare. Per il 5% servirà allegria e ottimismo. Due stati d'animo che, se presi fine a se stessi, in solitudine e nella situazione attuale, rappresentano uno stato di demenza. Se, invece, caratterizzano un cammino comune, sono un inno alla speranza, quasi completamente scomparsa. Chissà se qualcuno dei contendenti ha letto il sondaggio, peraltro esibito in prima serata da RaiTre. Speriamo…. Se no, cari elettori e elettrauti, come direbbe Benigni, non resterà che continuare ad ascoltare il VOTA ANTONIO di Totò, megafonato dal cesso verso il cortile. Un VOTA ANTONIO ripetuto più volte, e poi seguito da VOTA ANTONIO LA TRIPPA. Al sugo, rispondeva un signore da una finestra. Quella era una satira verso la politica, un ritorno alla commedia dell'arte del grande attore partenopeo. A voler continuare sulla strada fino ad oggi percorsa, di quella commedia noi non saremmo gli attori mascherati ma solo le maschere. Francesco Diacceto


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UNA SPERIAMO CHE L’ECCLESIASTE NON ABBIA RAGIONE Sono stato molto tentato di non scrivere a proposito delle dimissioni di Papa Benedetto XVI. Tuttavia, data l'importanza dell'evento, alcune considerazioni mi sento di farle, innanzi tutto, sul ripetuto parallelo con le dimissioni di Celestino V, al secolo Pietro Angeleri. Certo, quel Papa si dimise. E' questo, intanto, un primo equivalente aspetto. L'altro è la complessità della situazione interna, nazionale e internazionale, allora come ora, nella quale si muoveva e si muove la chiesa. I punti di somiglianza, a mio avviso, terminano qui. Perché profondamente diversi sono i personaggi e altrettanto differenti i ruoli. Celestino V giunge al soglio dove, dalla morte di Clemente IV, nei ventidue anni prima, ben otto papi si erano alternati al soglio. Non solo. Il tempo impiegato dai vari conclave per eleggerli arriva complessivamente a ridosso degli otto anni. Per eleggere Gregorio X, ad esempio, i porporati impiegarono millesei giorni. Per la scelta di Pietro Angeleri, che non era neppure un porporato, ben ventisette mesi. Infatti, già dalla prima votazione, si manifestò un'ostinata discordia per motivi diversi: da quelli di natura personale e familiare fra gli Orsini e i Colonna, a quelli religiosi fra i domenicani, i francescani e i benedettini, per finire a quelli politici tra le casate degli Angioini e degli Aragonesi. Nelle more, era sopravvenuta un'epidemia di peste che aveva indotto il Conclave allo scioglimento. Dovrà passare più di un anno, prima di riunire nuovamente il Conclave; questa volta nella città di Perugia. La storia narra che Carlo d'Angiò, interessato all'avallo papale sul suo accordo con Giacomo II d'Aragona circa la Sicilia, si recò personalmente in quella città per sollecitare i componenti del Sacro Collegio ma venne brutalmente scacciato. Così, sulla strada di ritorno per Napoli, si fermò a Sulmona per un colloquio con Pietro Angeleri, per sua scelta eremita sul Morrone, nonostante fosse il capo della Congregazione dei Fratelli penitenti dello Spirito Santo o Celestini. Che Fra Pietro del Morrone non fosse un sempliciotto lo dimostra il fatto che, vent'anni prima, si era recato a Lione dove si teneva il Concilio voluto da Papa Gregorio X, per perorare la sopravvivenza della sua Congregazione, che già a quel tempo si articolava tra novantuno abbazie e conventi in Italia e venticinque in Francia. Gregorio X, infatti, avrebbe voluto sopprimere tutti gli ordini religiosi nati dopo il concilio lateranense del 1215 e i Celestini erano nati nel 1263. Eppure, Pietro riuscì nell'intento e Gregorio X salvò la sua Congregazione, pur se all'interno del composito ordine benedettino, estendendo la valenza della bolla Religiosam vitam, emanata da Onorio III nel 1216.

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FOCUS

Non si conosce la natura dei colloqui tra Carlo d'Angiò e Pietro ma, poco tempo dopo, quest'ultimo indirizzò una lettera ai porporati del conclave per rimproverarli dell'annoso ritardo che lasciava senza pastore la Chiesa. All'improvviso, i porporati del conclave non solo superarono le controversie e i dissapori ma elessero Papa, il 29 agosto 1294, l'apparentemente ignaro Pietro Angeleri. A oltre un mese dall'elezione, avvenne la consacrazione a L'Aquila, nella basilica di Santa Maria di Collemaggio, che lui stesso aveva fondato nel 1287. Assunse il nome di Celestino V e non volle mettere piede a Roma. Si trasferì, invece, a Napoli, nel Maschio Angioino dove, dopo neppure quattro mesi di pontificato, disciplinò le dimissioni di un Pontefice e, contestualmente, le rilasciò. Tanto per la precisione, non fu il primo Papa a dimettersi. Prima di lui ben cinque Pontefici, sia pur per differenti motivi, rinunciarono al soglio, e un altro Papa vi ha rinunciato dopo di lui. Fu, invece, il primo a regolamentare la rinuncia. Questo, in estrema sintesi. E, per rimanere a Celestino V, emerge, a mio avviso, per questo Papa un ruolo consapevolmente transitorio. Ben diversa è la figura di Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger. Nel '69, professore ordinario di teologia dogmatica e storia dei dogmi all'Università di Ratisbona; nel '77 arcivescovo di Monaco e Frisinga e, tre mesi dopo, cardinale su nomina di Paolo VI, col titolo presbiterale di Santa Maria Consolatrice al Tiburtino. Dal 1981, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale, su nomina di papa Giovanni Paolo II. E, dall'86 al '92, Presidente della Commissione per la preparazione del Catechismo per la Chiesa universale. Nel 1993, elevato alla dignità di cardinale vescovo con l'affidamento della sede suburbicaria di Velletri-Segni, e dal 2003, Presidente della Commissione cardinalizia per la preparazione del Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica. Sia pur nella sinteticità, emerge un uomo di elevatissimo livello intellettuale e di analogo livello spirituale che, neppure a pensarci, avrebbe potuto concepire un ruolo transitorio nell'assurgere al soglio pontificio. Anzi, dai trascorsi del cardinale Ratzinger, si delinea invece la volontà, almeno iniziale, di innovare profondamente la Chiesa. Non si può dire, però, che il suo pontificato sia stato fortunato. Dalla fuga di notizie a causa del suo maggiordomo, allo scandalo dei preti pedofili, alle traversie dello Ior, alle problematicità dei rapporti con i gruppi scismatici. Eppure, io sono convinto che Papa Ratzinger abbia tentato di realizzare i suoi intenti, sia pur contro notevoli resistenze. Ad esempio, ne fa testo la sua critica, espressa nel suo libro "La mia vita", verso la riforma liturgica emersa dal Concilio Vaticano II, per l'inaudita rottura con la tradizione millenaria. E, da ultimo, ne fa testo il suo discorso recente al clero romano circa i risultati di quel Concilio. "Un Concilio dei media, un Concilio quasi per sé. E tramite i media è arrivato al popolo non quello dei padri, che era il Concilio della fede che cerca la parola di Dio, ma quello dei giornalisti che non si è realizzato nel-la fede ma nelle categorie dei media fuori della fede, con al centro l'ermeneutica politica".


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E da quel fraintendimento, ha proseguito il Papa, sono venute "tante calamità: miserie, seminari e conventi chiusi, liturgia banalizzata". Insomma "il Concilio virtuale - ha spiegato - era più forte di quello reale". Si potrà essere o non essere d'accordo sull'analisi di Benedetto XVI circa gli effetti di quel concilio, anche perché, dopo Giovanni XXIII che l'ha indetto e Paolo VI che l'ha concluso, la Chiesa si è avvalsa dell'opera di un Papa altamente carismatico, Giovanni Paolo II il quale ha riempito d'entusiasmo le piazze di tutto il mondo. Ma, per utilizzare una battuta che circolava nell'aprile del 2005, se Papa Wojtyla, aveva riempito le piazze, occorreva che il successore riempisse le chiese, sottintendendo la crisi sempre più evidente della Chiesa. Forse, il Papa ha ecceduto nell'attribuire le responsabilità dei travisamenti delle conclusioni di quel Concilio, e dei problemi derivati, solamente al mondo dell'informazione e non anche agli abusi messi in atto da preti e da vescovi, allo snaturamento della dottrina da parte di teologi cattolici, spesso docenti di Università ecclesiastiche, all'atteggiamento politico, pressoché laico, che sta prevalendo nel comportamento di alti prelati. E se nel 1200 ciò che faceva sopportare al popolo i, diciamo, disinvolti atteggiamenti ecclesiastici era il semplice timor di Dio, il terzo millennio, con lo scadimento totale di valori, con la banalizzazione di ideali, con l'incombenza della precarietà e della povertà, ha bisogno di ben altro per ritrovare il conforto nella fede. Credo che Papa Ratzinger tutto questo lo sappia, insieme al fatto che la risposta della Chiesa ai problemi della società debba essere più tempestiva. Sebbene la Chiesa si ponga di fronte all'eternità per misurare il tempo, non è possibile, nel suo stesso interesse e in quello dei fedeli, attendere decenni prima di conoscere la sua risposta globale, esaustiva alle domande che un fenomeno sociale di vasta portata pone. Già nel XIX secolo, prima di fornire una risposta al montare di quel fenomeno sociale che culminava nel 1848 con la costituzione dell'Internazionale socialista e con la redazione del suo Manifesto da parte di Marx, da un lato e, dall'altro, con lo spadroneggiare del capitale, la Chiesa attese il 1891 quando Leone XIII emanò la sua mirabile enciclica Questione Operaia, meglio nota come Rerum Novarum. Tuttavia, sebbene il pensiero di Papa Leone fosse organico e incisivo, il radicamento della lotta di classe era già avvenuto. Oggi, con la comunicazione in tempo reale, con Twitter che su cento tweet alla postazione del Santo Padre, ancor prima delle dimissioni, quarantotto erano di insulti, la necessità di una risposta globale emerge inderogabile e urgente, anche alla luce degli eventi nazionali e internazionali. Le coppie di fatto, i gay, i divorziati, la contraccezione, la donna e il suo ruolo nella Chiesa, la globalizzazione e l'omologazione, la scarsa rappresentanza di forti comunità cattoliche africane e asiatiche, i rapporti con le altre religioni, a cominciare da quelle del Libro, l'islamica e l'ebrea: questi e altri i problemi che la Chiesa ha oggi di fronte e ai quali occorre una risposta decisa e convincente.

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Un convincimento che, tra l'altro, deve servire da baluardo alle comunità cristiane recentemente sotto aggressione. Così come occorre una figura più incisiva, meno pretenziosa, più disponibile del prete. Forse, nella mente di Papa Ratzinger c'era l'indizione di un nuovo concilio per rispondere ai tanti odierni interrogativi. Visti, tra l'altro, i cinquant'anni trascorsi dal precedente. A un concilio, tuttavia, si arriva con un fronte sufficientemente organico e forte, come a un congresso. Forse, la constatazione di non poter raggiungere una valida forza e organicità, e non la debolezza dell'età, ha indotto il Papa alle dimissioni. Se così fosse, il suo gesto sarebbe una nobilissima espressione di elegante dissenso che, per amore della Chiesa, lascia ad altri l'arduo compito. Come a dire: vi dimostro che si può cambiare dimettendomi. Prima di andare, però, almeno il Presidente dello Ior lo scelgo io: Ernest Von Freyberg. Speriamo che il successore sia più forte e tempestivo di Benedetto XVI. Altrimenti, per un verso o per l'altro, avrebbe ragione l'Ecclesiaste (1,9) quando afferma che, purtroppo aggiungo io, "nihil sub sole novi". L'Infedele

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CHI CONTROLLA IL MONDO? James B. Glattfelder è un fisico che si occupa di economia presso il Department of Management, Technology and Economics (D-MTEC) dell’Istituto di Tecnologia di Zurigo. E’ l’autore, insieme ad altri due ricercatori, del primo studio che ha applicato la scienza dei sistemi complessi all’economia. Tale scienza studia i comportamenti di sistemi che sfuggono, per la loro spiegazione, all’applicazione di un modello matematico di descrizione della realtà basato sulle tradizionali equazioni. Tali sistemi sono, ad esempio, il cervello, un branco di pesci, uno stormo di uccelli, un formicaio, un sistema economico. Essi sono definiti da un altissimo numero di elementi interconnessi ed interagenti tra di loro. Tali interazioni di base determinano il comportamento del sistema, tuttavia tali sistemi hanno una caratteristica definita “emergenza straordinaria”. Ciò significa che il sistema, improvvisamente, mostra un comportamento che non può essere previsto osservando i componenti del sistema. La conseguenza è che il tutto è davvero maggiore della somma delle sue parti. Occorre quindi concentrarsi, più che sulle singole parti del sistema, sulle regole di interazione. Le reti sono rappresentazioni ideali di un sistema complesso, dove i nodi rappresentano i componenti del sistema e le connessioni costituiscono le interazioni. Tale modello è stato applicato con successo in fisica, biologia, informatica, scienze sociali, ma per quanto concerne l’economia vi era una sorprendente lacuna, colmata in parte dallo studio: “Global Corporate Networc Control” di Glatterfelder. In tale studio i nodi sono gli attori economici ed i legami sono le relazioni tra gli azionisti, il suo scopo era dare risposta alle seguenti domande: “Chi sono i protagonisti?”, “Come sono organizzati?”, “Quali relazioni hanno?”, “Qual’è la distribuzione globale del potere?”, “Qual’è la vulnerabilità del sistema in presenza di alti gradi di connessione ed i rischi per la sua stabilità, atteso che lo stress può diffondersi come un’epidemia?”. E i dati che ne sono scaturiti sono impressionanti. Sono stati analizzati 13 milioni di rapporti di proprietà per poi concentrare l’attenzione sulle multinazionali che sono risultate 43.000 e sulla loro rete di relazioni fatta di 600.000 nodi ed un milione di link. Ne è emerso che centro e periferia, per fare un esempio urbanistico, contengono il 75% degli attori, nel centro vi è un piccolo nucleo dominante che rappresenta il 36% del totale e che macina il 95% dei ricavi complessivi. Si è poi passati ad analizzare i meccanismi di controllo che passa attraverso la griglia delle proprietà e si accumula nei nodi. Ne è emerso che 737 azionisti hanno il controllo dell’80% del giro d’affari delle multinazionali. In termini percentuali lo

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0,1% dei 600.000 nodi ha il controllo del totale. Si tratta per lo più di istituzioni finanziarie Statunitensi ed Inglesi. Di questi 737 il cuore è rappresentato da 146 soggetti che controllano da soli il 40% del giro d’affari. Se ne conclude che il grado di controllo è elevatissimo come anche quello di interconnessione e ciò può rappresentare un serio rischio per l’economia globale. Tale risultato è probabilmente frutto di auto - organizzazione e non di una cospirazione globale come alcuni affermano. Glattfelder ha aperto una strada nuova per la miglior comprensione dell’economia, della politica e della società basata sulle evidenze scientifiche piuttosto che sulle personali interpretazioni. Una strada che è appena all’inizio, ma che potrebbe portare alla rimozione dei blocchi pregiudiziali che oggi impediscono una migliore collaborazione globale. Gustavo Peri La top 50 di chi comanda il mondo 1 BARCLAYS PLC 2 CAPITAL GROUP COMPANIES INC 3 FMR CORP 4 AXA 5 STATE STREET CORPORATION 6 JP MORGAN CHASE & CO. 7 LEGAL & GENERAL GROUP PLC 8 VANGUARD GROUP, INC. 9 UBS AG 10 MERRILL LYNCH & CO., INC. 11 WELLINGTON MANAGEMENT CO. L.L.P 12 DEUTSCHE BANK AG 13 FRANKLIN RESOURCES, INC. 14 CREDIT SUISSE GROUP 15 WALTON ENTERPRISES LLC 16 BANK OF NEW YORK MELLON CORP 17 NATIXIS 18 GOLDMAN SACHS GROUP, INC 19 T. ROWE PRICE GROUP, INC. 20 LEGG MASON, INC. 21 MORGAN STANLEY 22 MITSUBISHI UFJ 23 NORTHERN TRUST CORPORATION 24 SOCIÉTÉ GÉNÉRALE 25 BANK OF AMERICA CORPORATION

GB US US FR US US GB US CH US US DE US CH US US FR US US US US JP US FR US

26 LLOYDS TSB GROUP PLC 27 INVESCO PLC 28 ALLIANZ SE 29 TIAA 30 OLD MUTUAL PUBLIC LTD 31 AVIVA PLC 32 SCHRODERS PLC 33 DODGE & COX 34 LEHMAN BROTHERS HOLDINGS, INC 35 SUN LIFE FINANCIAL, INC. 36 STANDARD LIFE PLC 37 CNCE 38 NOMURA HOLDINGS, INC. 39 THE DEPOSITORY TRUST COMPANY 40 MASSACHUSETTS MUTUAL LIFE INS. 41 ING GROEP N.V. 42 BRANDES INVESTMENT PARTNERS, L.P. 43 UNICREDITO ITALIANO SPA 44 DEPOSIT INSURANCE CORPORATION OF JP 45 VERENIGING AEGON 46 BNP PARIBAS 47 AFFILIATED MANAGERS GROUP, INC. 48 RESONA HOLDINGS, INC 49 CAPITAL GROUP INTERNATIONAL, INC. 50 CHINA PETROCHEMICAL GROUP CO

GB GB DE US GB GB GB US US CA GB FR JP US US NL US IT JP NL FR US JP US US


E-COSTUME

LE BELLEZZE DI UN’EPOCA Ognuno di noi, penso, ha ricevuto dagli amici sulla propria email qualche PPS (Power Point Slide) dagli argomenti più disparati. Recentemente, ne ho ricevuta una che mi sembra piuttosto significativa circa lo splendore dei tempi che viviamo, paragonati a quelli di quarantaquattro anni fa. Ebbene, ve la giro con qualche aggiunta. Latte, burro e uova 1969: Vai a prendere il latte dal lattaio, che ti saluta, con in mano il bidone in alluminio; prendi il burro fatto con latte di mucca, tagliato a panetti. Poi chiedi una dozzina di uova che sono messe in un vaso di vetro. Paghi con il sorriso ed esci sotto il sole splendente. Il tutto ha richiesto 10 minuti di tempo. 2013: Prendi un carrello del cavolo, che ha una ruota bloccata e lo fa andare in tutti i sensi salvo in quello che tu vorresti, passi per la porta che dovrebbe girare, ma che è bloccata perché un cretino l'ha spinta; cerchi il temeraria settore latticini, dove spirituale normalmente ti ghiacci e cerchi di scegliere fra dodici audacia igiene marche di burro, che dovrebbe essere fatto a base di latte comunitario. E controlli la data di scadenza.... Per il latte: devi scegliere fra vitaminico, intero, scremato, nutriente, per bambini, per malati, scremato o parzialmente scremato, ad alta digeribilità o magari in promozione. Per le uova: cerchi la data di deposizione, se sono deposti a terra o in gabbia, il nome della ditta e soprattutto verifichi che nessun uovo sia incrinato o rotto. Fai la coda alla cassa, ma quella davanti a te ha preso un articolo in promozione che non ha il codice... allora aspetti e aspetti... Poi, sempre col carrello rotto, esci per prendere la tua auto sotto la pioggia, ma non la trovi perché hai dimenticato il numero della corsia... Dopo aver caricato l'auto, bisogna riportare l'arnese rotto e solo in quel momento ti accorgi che è impossibile recuperare la moneta... Torni alla tua auto sotto la pioggia che è raddoppiata nel frattempo... E' più di un'ora che sei uscito. Fare un viaggio in aereo 1969: Viaggi con Alitalia, ti danno da mangiare e t'invitano a bere quello che vuoi, il tutto servito da bellissime hostess: il tuo sedile è talmente largo che ci si può stare in due. 2013: Entri in aereo continuando a impigliarti con la tua cintura, che ti hanno fatto togliere in dogana per passare il controllo.

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Cerchi di sistemare il bagaglio a mano sulla cappelliera ma lo spazio è occupato dai bagagli di quelli passati prima di te che, per non tirarseli dietro, li depositano nelle prime cappelliere vicino l'ingresso. Mentre cerchi lo spazio per il tuo bagaglio, le persone dietro di te con toni acidi t'ingiungono di farti da parte. Arriva l'hostess e con modi bruschi ti chiede di lasciare il passo. Tu, esasperato, altrettanto bruscamente, gli rispondi che se controllassero meglio ognuno avrebbe i suoi spazi. L'hostess t'invita a scendere dall'aereo perché disturbi. Ti rifiuti e aggiungi che da i numeri. Arriva il caposcalo che ti ingiunge di scendere per disturbo e offesa alla hostess. Devi arrivare a Milano in tempo dove hai un appuntamento. Allora diventi mite, con il fegato a pezzi. Finalmente, con il bagaglio al posto dei piedi, ti siedi sul tuo sedile e se respiri un po' forte, dai una botta con il gomito allo schienale del vicino. Se hai sete, lo stewart ti porta la lista e i prezzi sono stratosferici. Arriva l'ora della partenza e l'aereo non si muove. Passano dieci minuti ed è ancora lì. Ai venti minuti di ritardo, il capitano annuncia di essere in attesa della slot. Finalmente, dopo altri dieci minuti, l'aereo si stacca dal terminal e comincia a rullare. Procede per un tratto. Poi, si ferma. Davanti a sé ha altri 10 aerei. Finalmente, dopo altri 20 minuti, l'aereo decolla. Ma l'appuntamento è saltato. Michele vuole andare nel bosco all'uscita da scuola. Mostra il suo coltellino a Giovanni, col quale pensano di fabbricarsi unaigiene fionda. spirituale audacia temeraria 1969: Il preside vede il suo coltello e gli domanda dove l'ha comprato, per andarsene a comprare uno uguale. 2013: Il preside chiama la polizia che porta Michele in commissariato e la scuola chiude. Il TG1 presenta il caso durante il telegiornale in diretta dalla porta della scuola. Studio Aperto fa un servizio sui Centri Sociali. Disciplina scolastica 1969: Fai il bullo in classe. Il professore ti molla una sberla. Quando arrivi a casa, tuo padre te ne molla un'altra. 2013: Fai il bullo in classe. Il professore ti domanda scusa. Tuo padre ti compra una moto e va a spaccare la faccia al prof. che ha fatto la spia. Forse dovrai andare dallo psicologo. Franco e Marco litigano. Si danno qualche pugno dopo la scuola. 1969: Gli altri seguono lo scontro. Franco vince. I due si stringono la mano e anni dopo, ne riparleranno ridendo con mogli e figli. 2013: La scuola chiude. Il TG1 denuncia la violenza scolastica. Il Corriere della Sera mette la notizia in prima pagina su 5 colonne.


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Enrico rompe il parabrezza di un auto nel quartiere. Suo padre si sfila la cintura e gli fa capire come va la vita. 1969: Enrico farà più attenzione la prossima volta. Diventa grande normalmente, finisce gli studi, va all'università e diventa una bravo professionista. 2013: La polizia arresta il padre di Enrico per maltrattamenti sui minori. Enrico si unisce a una banda di delinquenti. Lo psicologo arriva a convincere sua sorella che il padre abusava di lei e lo fa mettere in prigione. Giovanni cade nell'intervallo durante una corsa con i compagni. Si ferisce il ginocchio e piange. La maestra lo raggiunge, lo prende in braccio per confortarlo. 1969: In due minuti Giovanni sta meglio e continua la corsa. 2013: La maestra è accusata di perversione su minori e si ritrova disoccupata, si becca 3 anni di prigione con la condizionale. Giovanni va in terapia per 5 anni. I suoi genitori chiedono i danni e gli interessi alla scuola ed al Ministero per negligenza nella sorveglianza, e alla maestra per trauma emotivo. Vincono tutti i processi. La maestra disoccupata e interdetta, si suicida gettandosi da un palazzo. Più tardi Giovanni morirà per overdose in una casa occupata. Arriva l'ora legale 1969: Non succede nulla. 2013: le persone soffrono d'insonnia e di depressione. audacia temeraria igiene spirituale La fine delle vacanze 1969: Dopo aver passato 15 giorni di vacanza con la famiglia, nella roulotte trainata da una Fiat 125, le vacanze terminano. Il giorno dopo si ritorna al lavoro freschi e riposati. 2013: Dopo 2 settimane alle Seychelles, ottenute grazie ai Last Minute, rientri stanco ed esasperato a causa di 8 ore di attesa all'aeroporto, seguite da 12 ore di volo. I bagagli devi andarteli a riprendere la settimana dopo. Al lavoro ti ci vogliono 4 giorni per riprenderti dal fuso orario. La famiglia 1969: dopo aver lavorato per un'intera giornata, il padre torna a casa. La madre mette in tavola una pastasciutta, una frittata, del formaggio: c'è da rifare le scarpe ai figli. I figli si lanciano sul cibo. La madre li riprende: aspettate che si serva vostro padre. Dopo cena, tutti davanti al televisore. Alla fine della trasmissione, il figlio diciottenne fa al padre: Domenica sera ci troviamo con amici e vorremmo andare a mangiare la pizza e a ballare. Dovremmo fare un po' tardi. Posso andare? 2013: dopo aver lavorato un'intera giornata, il padre torna a casa. La madre non c'è. Lavora e fa il turno serale. Dei figli neppure l'ombra.

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Prova a chiamare il diciottenne sul cellulare: è staccato. Prova a chiamare il piccolo sul cellulare: è staccato. E' preoccupato perché il grande è in giro con la motoretta e se ne sentono tante. Apre il frigo e vede i resti della frittata della sera precedente e un pezzo di formaggio. Li tira fuori e sconsolato si siede. E' angosciato dalla scadenza del mutuo. Il suo stipendio e quello della moglie non bastano, avendo dovuto pagare, con il prestitempo bancario, l'abbonamento per quattro cellulari, l'assicurazione per la sua 500L e per la motoretta del figlio, il carburante, i jeans griffati che il figlio grande ha preteso, pena un complesso d'inferiorità, il computer per il grande e il tablet per il piccolo, le sneakers per il grande e per il piccolo. Tra l'altro, ripensa, ancora più angosciato, alla ventilata notizia di una ristrutturazione dell'azienda dove lavora. Che fare? Aspettare la moglie e i figli seduto sulla sgangherata poltrona del salotto o andare a letto e provare a dormire? Non c'è dubbio. L'epoca che stiamo vivendo è davvero grande. Roberta Forte

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DRONI: CIVILI UCCISI. IL SENATO USA TORCHIA BRENNAN Non piace al Congresso americano l'impiego dei droni, gli ormai celebri aerei senza pilota, al di fuori delle zone di guerra fatto da John Brennan, consigliere di Obama per la Sicurezza nazionale ed al vertice dell'Antiterrorismo, che alla prossima audizione della Commissione Intelligence del Senato verrà ufficialmente nominato alla direzione della Cia. A Brennan, che ha alle spalle 25 anni di servizio a Langley, gli ultimi quattro col rango di vicedirettore dell'Agenzia, viene anche rimproverato un uso eccessivo di discutibili tecniche per gli interrogatori, un eufemismo per non dire 'torture'; lui non ci sta e difende con forza i raid dei droni, "importanti per mantenere la sicurezza nazionale", operati secondo "standard rigorosi" in azioni mirate contro i terroristi: a Capitol Hill, messo per tre ore sotto torchio dal panel presieduto dalla democratica Dianne Feinstein, Brennan ribadisce con fermezza che il ricorso ai droni armati è "l'ultima opzione per salvare vite quando non c'è nessuna altra alternativa", nonostante il loro impiego in Africa (Somalia e Mali) ed in Medio Oriente (Yemen, Afghanistan, Pakistan ed Iraq) sia ormai una prassi consolidata, anche se lui afferma che i droni "non sono utilizzati per punire trasgressioni passate ma per prevenirne di nuove". Purtroppo, oltre agli 'obiettivi', spesso cadono sotto i colpi dei terribili aerei senza pilota anche vittime civili, come è successo addirittura in occasione di un banchetto nuziale. Nell'interrogatorio operato da deputati e senatori, il repubblicano Saxby Chambliss gli chiede se per la Cia sia meglio far fuori un terrorista che tenerlo in detenzione e Brennan gli controbatte di non aver mai preferito l'uccisione. Al contrario, la detenzione dei terroristi e gli interrogatori, afferma, hanno permesso di raccogliere "informazioni valide" per prevenire altri attacchi. Scopre così il fianco ai volponi grigi della politica americana che, questa volta, mettono lui sotto torchio, cosa avvenuta anche in passato quando, numero due della Cia, era stato accusato del suo presunto coinvolgimento diretto nel 'detention interrogation program' dell'Agenzia e si era parlato di pratiche brutali ed umiliazioni personali nei confronti degli interrogati. Lui ammette, "ne ero a conoscenza e non ho mai cercato di fermarle perché erano sotto l'autorità di altre persone (…), ma già allora nutrivo preoccupazioni e obiezioni personali, per cui non saranno mai utilizzate sotto la mia direzione". L'intensificarsi delle domande della commissione di conferma della nomina a direttore della Cia, come mai era capitato in precedenza, è dovuto alla diffusione di un memo confidenziale del Dipartimento di Giustizia Usa dove si forniscono nuovi dettagli sulla ratio giuridica che giustificherebbe anche l'uccisione di un cittadino americano qualora ritenuto un "dirigente

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operativo di al-Qaeda". Brennan ha affermato di "non ritenere appropriata la diffusione di informazioni classificate" ed ha garantito ai senatori che - se sarà confermato alla direzione della Cia - "vi sarà maggiore trasparenza". Detta così la cosa non significa nulla, da qui la richiesta di maggiori chiarimenti, anche se lui ha affermato di voler "tenere adeguatamente informata questa Commissione non solo perché richiesto dalla legge, ma anche perché al buio non potrebbe ne' esercitare la sua funzione di controllo ne' appoggiare le missioni della Cia. (…) Un deficit di fiducia tra questa Commissione e la Cia sotto la mia direzione sarebbe inaccettabile". Tornando ai droni ed ai civili erroneamente colpiti, Brennan precisa che si tratta di eventualità "estremamente rare, molto più di quello che si può supporre, in quanto le nuove armi tecnologiche vengono usate attentamente e responsabilmente ed oggi stiamo lavorando per definire e rafforzare ulteriormente i nostri standard". Secondo dati riportati da Micah Zenko, analista del Council on Foreign Relations (Cfr) e autore di uno "Special report", i qaedisti uccisi dai droni sarebbero, dalla loro entrata in azione nel 2004, oltre 2.500, mentre i civili sarebbero 150. Su questo e su altri capitoli delicati della politica estera e di sicurezza dell'amministrazione Obama l''esame' di Brenner non è ancora finito: “la Commissione Intelligence del Senato - ha annunciato Feinstein - terrà un'altra audizione la prossima settimana, questa volta a porte chiuse, sulle materie cosiddette 'classificate”. Enrico Oliari

Libertiamo è un’associazione senza scopo di lucro, che intende concorrere alla costruzione di una piattaforma ideale, politica e di governo ancorata agli ideali e ai principi della libertà civile ed economica. Si propone lo scopo di promuovere la diffusione della cultura della libertà in tutte le sue diverse espressioni, attraverso attività di studio, manifestazioni pubbliche e iniziative di promozione culturale, anche di carattere editoriale.

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LE INTESE TRA NAZISTI ED EBREI E L’IPOCRISIA DELLE DEMOCRAZIE

La Germania nazionalsocialista considerava pregiudizialmente gli ebrei come un elemento estraneo alla nazione. Durante la sfortunata Repubblica di Weimar (1919-33), quando la popolazione tedesca subì la più grande crisi economica e sociale della sua storia (a causa soprattutto degli enormi debiti di guerra imposti dalle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale), molti ebrei, nonostante rappresentassero meno dell'1% della popolazione, raggiunsero nel settore economico-finanziario posizioni di alto livello e di considerevole benessere tali da essere additati, a causa della loro presunta cupidigia, come responsabili della stato di crisi in cui versava la Germania. A ciò si aggiungeva l'atavico antiebraismo cristiano, il nazionalismo esasperato e il mito della purezza ariana dell'ideologia hitleriana. L'origine ebraica di Karl Marx, il teorico del comunismo, e di parte della dirigenza socialista tedesca, contribuì a rafforzare tale convincimento su cui basò la sua azione Adolf Hitler che fin da subito adottò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per spingerli a lasciare la Germania (judenfrei), anche attraverso il sostegno all'emigrazione. Quest'ultimo aspetto rispecchiava l'ideale della patria ebraica preconizzata da Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista il quale, per quanto possa sembrare paradossale, concordava con i nazisti sul fatto che ebrei e tedeschi erano nazionalità distinte e tali dovevano restare. Come risultato, il Governo di Hitler sostenne con vigore il Sionismo e l'emigrazione ebraica in Palestina dal 1933 fino al 1940-41 (1). L'incoraggiamento all'emigrazione degli ebrei trovò però forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento della conferenza di Evian del 1938, convocata da Roosevelt, dove i trentadue due stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni. L'unica nazione che si propose di accogliere rifugiati fu la Repubblica Dominicana che ne accettò circa 700, tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili, rifiutarono ogni forma di accoglienza (L'Italia fascista, invece, pur non avendo partecipato alla conferenza, da anni attuava una politica di ospitalità nei confronti degli ebrei). L'atteggiamento ipocrita delle nazioni democratiche riguardo l'accoglienza degli ebrei è stato condensato in una frase di Goebbels che nel marzo 1943 poteva rilevare sarcasticamente: " Quale sarà la soluzione del problema ebraico? Si creerà un giorno uno stato ebraico in qualche parte del mondo? Lo si saprà a suo tempo. Ma è interessante notare che i paesi la cui opinione pubblica si agita in favore degli Ebrei, rifiutano costantemente di accoglierli. Dicono che sono i

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pionieri della civiltà, che sono i geni della filosofia e della creazione artistica, ma quando si chiede loro di accettare questi geni, chiudono loro le frontiere e dicono che non sanno che farsene. E' un caso unico nella storia questo rifiuto di accogliere in casa propria dei geni "(2). Un episodio che testimonia il rifiuto dell'America ad accogliere gli ebrei riguarda la vicenda della nave St.Louis. Partita da Amburgo il 13 maggio 1939 con 937 profughi Ebrei, la nave era diretta a Cuba dove i migranti erano convinti di ottenere il visto per gli Stati Uniti. Sia Cuba sia gli Stati Uniti rifiuteranno però il permesso d'accesso ai rifugiati, obbligando così la nave a tornare in Europa. Anche l'ipotesi di creare, prima nell'Isola di Madagascar e poi in Palestina, uno stato ebraico fallì per la forte opposizione di Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Fallirono anche le trattative condotte Ministro degli Affari Esteri germanico Helmut Wohltat nell'aprile 1939 con il governo inglese per un insediamento ebraico in Rhodesia e nella Guinea britannica (3). Nonostante la sostanziale indisponibilità, che rasentava il boicottaggio, delle nazioni democratiche la politica emigratoria del governo nazista proseguì con l'istituzione dell'"Ufficio per l'Emigrazione Ebraica" con sedi a Berlino, Vienna e Praga che aveva il compito di agevolare il trasferimento degli ebrei e dei loro beni in Palestina. Furono anche organizzati dei campi di addestramento in Germania dove i giovani ebrei potevano essere iniziati ai lavori agricoli prima di essere introdotti più o meno clandestinamente in Palestina (all'epoca la Palestina era un protettorato inglese che si opponeva con forza alla colonizzazione ebraica, nonostante nel 1917 si impegnò formalmente, con la dichiarazione di Balfour del 2 novembre, a costituire il focolare ebraico in Palestina). Fatto singolare é che nei circa 40 campi e centri agricoli della Germania hitleriana gestiti direttamente dal Mossad in cui i futuri coloni venivano addestrati alla vita nei kibbutz, sventolava per la prima volta quella bandiera blu e bianca che un giorno diventerà il vessillo ufficiale dello Stato di Israele (4). Per liberarsi della presenza ebraica favorendo l'emigrazione in Palestina, il governo tedesco stipulò con le organizzazioni sioniste il cosiddetto "Accordo di Trasferimento" noto anche come Haavara, in virtù del quale gli ebrei emigranti depositavano il denaro ricavato dalla vendita dei loro beni in un conto speciale destinato all'acquisto di attrezzi per l'agricoltura prodotti in Germania ed esportati in Palestina dalla compagnia ebraica Haavara di Tel Aviv.

Certificato di trasferimento di capitali ebraici dalla Germania alla Palestina


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L'accordo di Trasferimento è stato sottoscritto il 10 agosto 1933 dal Ministro dell'economia del Reich, Kurt Schmitt e dal rappresentante del Movimento Sionista in Palestina, Haim Arlosoroff che agiva per conto del Mapaï, il partito Sionista antenato del partito Laburista israeliano. A questa iniziativa politico-commerciale parteciparono personaggi divenuti in seguito molto noti come i futuri Primi Ministri David Ben-Gurion e Golda Meir (che collaborava da New York)(5). Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, grazie all' Haavara e ad altri accordi tedesco-sionisti, dei circa 522 mila ebrei presenti in Germania più della metà, 304 mila, poterono lasciare il paese con i loro beni superando il rigido embargo inglese. Alcuni di loro trasferirono in Palestina considerevoli fortune personali. L'importo complessivo di danaro trasferito per mezzo dell'Haavara fra l'agosto del 1933 e la fine del 1939, fu di circa 139 milioni di marchi (equivalenti a oltre 40 milioni di dollari). A cui si aggiungono ulteriori 70 milioni di dollari attraverso accordi commerciali collaterali. Grazie a questi trasferimenti e ai prelievi obbligatori imposti dal Movimento Sionista sulle transazioni, furono costruite le infrastrutture del futuro stato ebraico in Palestina. Lo storico ebreo Edwin Black sottolinea che i fondi ebraici provenienti dalla Germania ebbero un significativo impatto in un paese sottosviluppato com'era la Palestina degli anni '30. Con i capitali provenienti dalla Germania furono costruite varie importanti imprese industriali, compresi l'acquedotto Mekoroth e l'industria tessile Lodzia. "attraverso questo patto, il Terzo Reich di Hitler fece più di ogni altro governo negli anni '30 per sostenere lo sviluppo ebraico in Palestina" (6) conclude Edwin Black . Questa intesa portò successivamente ad un accordo commerciale tra Governo tedesco ed organizzazioni ebraiche con il quale arance e altri prodotti coltivati in Palestina venivano scambiati con macchinario agricolo tedesco(7). Una immagine singolare che sintetizza meglio di altre la collaborazione tra nazisti tedeschi ed ebrei sionisti è la medaglia commemorativa coniata allo scopo dal Governo tedesco che reca su una faccia la svastica e sull'altra la stella di David.

Medaglia commemorativa della collaborazione tra autorità tedesche e associazioni ebraiche sioniste durante gli anni trenta

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Altra vicenda poco nota riguarda la nave passeggeri partita nel 1935 dal porto tedesco di Bremerhaven con un carico di ebrei diretti ad Haifa, in Palestina. Questa nave, recava sul fianco il suo nome, Tel Aviv, scritto in caratteri ebraici, e sull'albero sventolava la bandiera nazista con la croce uncinata. La nave di proprietà ebraica era comandata da un membro del Partito Nazionalsocialista(8). Altro esempio della stretta collaborazione tra regime hitleriano e sionismo tedesco riguarda i gruppi giovanili ebraici come il "Bétar" ed ai boy scouts sionisti cui fu permesso di indossare uniformi proprie e di sventolare bandiere con simbolo dello Stato Sionista (cosa negata ad esempio ai gruppi giovanili cattolici, nonostante il Concordato).

Manifestazione del gruppo giovanile ebraico tedesco Betar nel 1934

Intanto il governo britannico, da sempre ostile agli insediamenti ebraici in Palestina, impose delle restrizioni ancora più drastiche. In risposta a ciò, il servizio segreto delle SS concluse una alleanza con il gruppo sionista clandestino Mossad le-Aliya Bet per portare illegalmente gli ebrei in Palestina. Come risultato di questa intensa collaborazione, vari convogli marittimi riuscirono a raggiungere la Palestina superando le navi da guerra britanniche pronte a colpire le imbarcazioni ebraiche. Nell'ottobre del 1939 era programmata la partenza di altri 10.000 ebrei, ma lo scoppio della guerra a settembre fece fallire il tentativo. Le autorità tedesche continuarono lo stesso a promuovere indirettamente l'emigrazione ebraica in Palestina negli anni successivi fino al 1941.


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Una stima, seppur approssimativa, fissa in circa 800 mila gli ebrei che lasciarono i territori sotto il controllo germanico fino al 1941. Con l'avvicinarsi della guerra ci fu la svolta e la posizione degli Ebrei cambiò in modo radicale. Il 5 settembre 1939, Chaim Weitzmann, futuro primo presidente dello stato di Israele, a nome dell'ebraismo mondiale si dichiarò parte belligerante contro i tedeschi e a fianco di Gran Bretagna e Francia (Jewish Chronicle, 8 settembre 1939). Questa vera e propria dichiarazione di guerra, che precedette l'identico atto del marzo '33, causò un inasprimento delle misure repressive contro gli ebrei e conferì ai nazisti una motivazione legale per la loro reclusione

IL GUSTO DI LEGGERE La prima pagina del quotidiano londinese Daily Expressi del 24 Marzo 1933: "L'Ebraismo dichiara guerra alla Germania, Ebrei di tutto il mondo unitevi". "Il popolo israelita del mondo intero dichiara guerra economica e finanziaria alla Germania. La comparsa della svastica come il simbolo della nuova Germania fa rivivere il vecchio simbolo di guerra degli Ebrei. Quattordici milioni di ebrei sono uniti come un solo corpo per dichiarare guerra alla Germania. Il commerciante ebreo lasci il suo commercio, il banchiere la sua banca, il negoziante il suo negozio, il mendicante il suo miserabile cappello allo scopo di unire le forze nella guerra santa contro il popolo di Hitler".

Il diritto internazionale, infatti, prevede la possibilità di internare i cittadini di origine straniera per evitare possibili azioni di spionaggio a favore dei paesi di origine (art. 5 della convenzione di Ginevra), cosa che fece l'America con i cittadini di origine giapponese: dopo averli spogliati di tutti i beni confiscandogli casa, attività e conti bancari, furono rinchiusi in campi di

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concentramento in condizioni disumane. Verso la fine della guerra nel campo di prigionia di Hereford, nella ricca America, i soldati italiani che rifiutarono di collaborare con gli alleati venivano volutamente sottoalimentati e lasciati morire di tubercolosi, senza cure, sotto l'acqua o il sole cocente, in mezzo agli abusi dei carcerieri che non esitavano ad uccidere al primo cenno di insofferenza. Prima di loro gli inglesi avevano internato, durante la guerra contro i Boeri, oltre 100 mila donne e bambini nei campi di concentramento in sud Africa, di questi 27 mila morirono di stenti, malattie e malnutrizione (crimini passati sotto silenzio). Lo scoppio del conflitto pose fine alla politica tedesca di incoraggiamento al trasferimento degli (9) ebrei verso la Palestina (nel 1942 restava in attività nella Germania un solo Kibbutz a Neuend . Tuttavia, nei primi anni di guerra, i rapporti tra nazisti e organizzazioni ebraiche non furono del tutto interrotti, ma si spostarono sul piano prettamente militare in funzione anti inglese, anche se l'influenza che ebbero sugli avvenimenti bellici fu praticamente nulla. Agli inizi di gennaio del 1941 una piccola, ma importante organizzazione sionista, Lehi o Banda Stern (il cui leader Avraham Stern fu assassinato dalla polizia britannica l'anno successivo), fece ai diplomatici nazisti a Beirut una proposta formale di alleanza per lottare contro gli inglesi: la cosa che più colpisce è che uno di essi era Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di Israele. Con il proseguimento della guerra che richiedeva sempre più soldati al fronte e operai nelle fabbriche il governo tedesco abbozzò l'idea di utilizzare massicciamente gli ebrei nell'industria bellica. Dopo l'attacco alla Russia l'idea del lavoro forzato prese corpo e fu perfezionata nel corso della conferenza di Wannsee del 20 gennaio del 1942 con il definitivo abbandono della politica di emigrazione e l'adozione della cosiddetta "soluzione finale territoriale" (eine territoriale Endlösung) che sostituiva la politica del trasferimento con quella della deportazione di tutti gli ebrei nei campi di lavoro dell'est. "Adesso, nell'ambito della soluzione finale, gli ebrei dovrebbero essere utilizzati in impieghi lavorativi a est, nei modi più opportuni e con una direzione adeguata. In grandi squadre di lavoro, con separazione dei sessi, gli ebrei in grado di lavorare verranno portati in questi territori per la costruzione di strade, e non vi è dubbio che una gran parte verrà a mancare per decremento naturale. Quanto all'eventuale residuo che alla fine dovesse ancora rimanere, bisognerà provvedere in maniera adeguata, dal momento che esso, costituendo una selezione naturale, è da considerare, in caso di rilascio, come la cellula germinale di una rinascita ebraica" (Dal protocollo di Wannsee del 20 gennaio 1942). Gli studiosi dell'Olocausto hanno sempre sostenuto che il piano generale dell'ebreicidio nazista venne ideato nella riunione di Wannsee, ma Norbert Kampe direttore del Centro Commemorativo della Conferenza di Berlino, contesta questa tesi. Egli afferma che la conferenza riguardò solo "questioni operative" e non fu in alcun modo una piattaforma di "processi decisionali", confermato dal fatto che alla conferenza di Wannsee Hitler e i suoi ministri non erano presenti. Dove erano situati grandi insediamenti industriali furono istituiti campi di lavoro, come per


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esempio la fabbrica di caucciù sintetico a Bergen-Belsen, la I.G. Farben ad Auschwitz, la Siemens a Ravensbrück, la fabbrica sotterranea delle V-2 di Mittelbau-Dora collegata al campo di Buchenwald. Il compito di utilizzare al meglio i campi di concentramento come centri di produzione industriale fu affidato all'Ufficio Centrale di Amministrazione Economica delle S.S. diretto da Oswald Pohl. Il lavoro coatto fu utilizzato anche dalla società di costruzioni Todt per il ripristino delle linee di comunicazione (strade, ponti ferrovie,) che venivano costantemente distrutte dai bombardamenti alleati. questi lavori, che richiedevano un'enorme massa di operai (più di 1.500.000 nel 1944), furono svolti in buona parte ebrei e prigionieri di guerra(10). Un aspetto inquietante e poco dibattuto riguarda le linee ferroviarie da cui transitavano i convogli carichi di ebrei. Gli alleati sapevano fin dagli inizi del 1942 dell'esistenza dei campi di concentramento eppure, nonostante i massicci bombardamenti alleati che ridussero in macerie la Germania, le linee ferroviarie utilizzate dai tedeschi per trasferire gli ebrei nei campi di lavoro non furono mai attaccate, se non come effetto collaterale (come avvenne il 24 agosto del 1944 con il bombardamento della fabbrica di armamenti di Mittelbau-Dora che coinvolse il vicino campo di Buchenwald dove morì, per effetto delle bombe alleate, Mafalda di Savoia). Come mai, mi domando, questi fatti sono sottaciuti se non del tutto ignorati anche dagli storici più autorevoli? Forse per non mettere in imbarazzo i cosiddetti "paladini della libertà"? Nel "Giorno della Memoria" esprimiamo la nostra piena solidarietà al popolo ebraico per la persecuzione subita e la ferma condanna ad ogni forma di discriminazione razziale. Questo però non deve indurci a sorvolare sulle pesanti responsabilità, condite di cinismo e ipocrisia, delle democrazie occidentali che vedevano, sapevano e volgevano lo sguardo altrove, rendendosi, perlomeno sotto il profilo politico e morale, complici degli esecrabili carnefici. Gianfredo Ruggiero Note 1) Il giornale ufficiale della SS, "Das Schwarze Korps", dichiarò il proprio sostegno al Sionismo in un editoriale di prima pagina del maggio del 1935: " Può non essere troppo lontano il momento in cui la Palestina sarà di nuovo in grado di ricevere i propri figli che ha perduto per più di mille anni. A loro vanno i nostri migliori auguri ". Gli ebrei sionisti a loro volta, nel settembre del 1935 dopo la promulgazione della legislazione razziale tedesca (leggi di Norimberga) che sancivano la netta separazione della comunità ebraica dal resto della nazione tedesca ponendo il divieto di matrimoni misti e altre pesanti limitazioni che andavano in tale direzione, dichiararono, attraverso un editoriale del più diffuso settimanale sionista tedesco, il "Die Judische Rundschau": " la Germania viene incontro alle richieste del Congresso Mondiale Sionista quando dichiara gli ebrei che oggi vivono in Germania una minoranza nazionale… Le nuove leggi danno alla minoranza ebraica in Germania la propria vita culturale, la propria vita nazionale. In breve, essa può creare il proprio futuro ". 2) Bernd Nellessen: "Der Prozesi von Jerusalem", Düsseldorf/Wien, 1964, p. 201. 3) Theodor Herzl, nella sua prima opera "Der Judische Staat" (Lo stato ebraico) aveva individuato, nell'isola di Madagascar il luogo ideale dove fondare lo stato di Israele. Questa ipotesi fu presa in seria considerazione dai nazionalsocialisti in quanto l'insediamento in Palestina, la patria ideale degli ebrei, avrebbe inevitabilmente portato ad un scontro con gli arabo-palestinesi (cosa che effettivamente avvenne a partire dal 1948). Tuttavia anche questa ipotesi fu in seguito accantonata a causa del netto rifiuto delle democrazie occidentali. La patata bollente ritornò, di conseguenza, nelle mani dei tedeschi che riprese l'opzione Palestina. 4) Manvell e Fankl: "SS und Gestapo". 5) L'accordo di Trasferimento autorizzava i Sionisti a creare due camere di compensazione, la prima sotto la supervisione della Federazione Sionista Tedesca di Berlino, l'altra sotto la supervisione dell'Anglo Palestine Trust in Palestina. L'ufficio di Tel Aviv è stato chiamato Haavara Transfert Office Ltd. Si trattò di un vero e proprio accordo commerciale che, fra l'altro, contribuì a rompere il boicottaggio mondiale anti-nazista organizzato contro la Germania. Le compagnie erano due: la Haavara, ebraica a Tel Aviv, e la Paltreu, tedesca a Berlino. Il deposito minimo era di 1.000 sterline inglesi presso la Banca Wasserman di Berlino oppure presso la Banca Warburg di Amburgo. Tom Segev in "Le septieme million", ed. Liana Levi, 1993.

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6) Edwin Black: "The Transfert Agreement", 1984; F. Nicosia: "Third Reich"; W. Feilchenfeld: "Haavara-Transfer"; Encyclopaedia Judaica: "Haavara", Vol. 7. 7) Questa sorta di baratto esteso a tutte le esportazioni/importazioni, cardine della politica economica nazista che contribuì alla ripresa della Germania dopo i disastri della Repubblica di Weimar, fu fortemente osteggiato dalle organizzazioni ebraiche non sioniste che, al contrario, sostenevano l'embargo dei prodotti Made in Germany. 8) W. Martini: "Hebräisch unterm Hakenkreuz", Die Welt , 10 gennaio 1975. 9) Y. Arad: "Documents On the Holocaust", 1981, p. 155. 10) Creata da Fritz Todt, l'organizzazione operò in stretta sinergia con gli alti comandi militari durante tutta la Seconda guerra mondiale. Il principale ruolo dell'impresa era la costruzione di strade, ponti e altre opere di comunicazione, vitali per le armate tedesche e per le linee di approvvigionamento, così come della costruzione di opere difensive: la Linea Sigfrido, il Vallo Atlantico e - in Italia - la Linea Gustav e la Linea Gotica.

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MILLE

L’ITALIA

Quotidiano online diretto da Enrico Ciccarelli

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RUBRICHE/ARTE

SP ARTE 2013

SP-Arte, annuncia la sua nona edizione, che si terrà 3-7 aprile 2013, presso la Biennale di San Paolo nel Padiglione Parco Ibirapuera (Pavilhão Ciccillo Matarazzo 2222, Parque do Ibirapuera, Portão 3, Sao Paulo, Brasile - VIP / Press preview: Mercoledì, Aprile 3, 2 -10 pm - Ore Fiera: Giovedi-Venerdì, aprile 4 - 5, 2 - 10:00 - Sabato - Domenica, 06 - 07 Aprile, ore 08:00). La fiera vanta oltre 120 gallerie: 82 gallerie brasiliane, e 41 internazionali. Durante SP-Arte, la città di Sãn Paolo ha organizzato una serie di eventi speciali per accogliere la fiera ed i suoi ospiti. Quest'anno, per l'occasione, riaprirà i battenti la famosa Casa de Vidro, l'ex residenza e sede storica dell'architetto brasiliano Lina Bo Bardi, dal 4 aprile ospiterà la mostra "Gli interni sono al di fuori", a cura di Hans Ulrich Obrist. Altri eventi programmati, tra gli altri, sono: la mostra O Ar Mais Próximo e Outras Materias, una grande mostra di lavori dell'artista Waltercio Caldas, così come Recuo, un'installazione di Iran do Espirito Santo nella Capela do Morumbi. Eventi collaterali: "La fiera è più forte che mai", dal 4 al 6 aprile, SP-Arte presenta Dialoghi, conversazioni svoltesi tra Adriano Pedrosa e curatori, artisti e collezionisti, "Curatorial Lab", un progetto sviluppato da Adriano Pedrosa, entrerà alla sua seconda edizione, quattro giovani curatori sono stati selezionati per laboratori di sviluppo professionale, i risultati di questi incontri saranno presentati a mostre individuali a SP-Arte, "Cluster editoriale" continua ad ampliare il punto di vista del pubblico sul ruolo dei libri d'artista. Il cluster presenta una mostra basata sul blog Bacanas Cerca per l'artista Fabio Morais. Elenco degli Espositori internazionali: El Museo, Bogota / Elba Benitez, Madrid / Elvira González, Madrid / Feldbuschwiesner, Berlin / Fernando Pradilla, Madrid / Franco Noero, Torino / Gagosian, New York / Gregor Podnar, Berlin / Hauser & Wirth, Londra / Kaikai Kiki, Tokyo / Klaus Steinmetz, San José / La Caja Negra, Madrid / La Casona, Havana / Lemos de Sá, Nova Lima / Lia Rumma, Milano / Lisson, Londra / Max Wigram, London / Neugerriemschneider, Berlin / Pace, Londra / Parra & Romero, Madrid / Darzé Paulo, Salvador / Peter Kilchmann, Zurigo / Polígrafa, Barcellona / Sprovieri, London / Sprüth Magers, Berlino / Sur, Montevideo / svedese Fotografia, Berlin / Thaddaeus Ropac, Salisburgo / Senza titolo, New York / Van de Weghe, New York / Vera Cortes, Lisbona / White Cube, Londra / Xippas, Parigi / Ybakatu, Curitiba / Yvon Lambert, Parigi. Giny

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RUBRICHE/L’INTRONASAPORI

CUCINA FUTURISTA Pastiera napoletana Ingredienti per una pastiera da 30cm di diamentro Per il ripieno: 600g di ricotta di pecora, 600g zucchero, 500ml latte intero, 550g di grano cotto (1 barattolo), 7 uova, 40g burro, cannella in polvere, vaniglia (i semi di una bacca o vanilina), 1 fialetta di aroma ai fiori di arancio, 70g cedro candito, buccia di 1 arancio, sale Per la pasta frolla: 500g farina, 200g burro, 200g zucchero, 4 uova (3 intere e 1 tuorlo), la buccia di 1 limone grattata, (1 cicchiaino di lievito per dolci se piace la frolla morbida) Preparazione: mettere in un tegame con il fondo spesso il latte, il grano, un pizzico di sale, il burro e la buccia dell'arancia tagliata intera come una mela, cuocere il tutto a fuoco moderato 30-40 minuti circa, mescolando ogni tanto. Lasciar riposare per 12 ore fuori dal frigo. A parte mescolare la ricotta con lo zucchero e passarla al setaccio, metterla in un panno bianco di cotone e avvolgerla, conservare in frigo 12 ore. Trascorse le 12 ore togliere dal panno la ricotta, unire a questa i tuorli delle uova (conservando solo 5 degli albumi!), rimescolare un poco il composto con il grano, togliere la buccia dell'arancia e tagliarla a striscioline, unire il grano alla ricotta con i tuorli e a questo unire tutti gli aromi (cannella, la buccia dell'arancia tagliata, il cedro candito e la vaniglia), montare i 5 albumi che c'eravamo conservati a neve molto ferma e unire al composto mescolando dal basso verso l'alto. Fare la frolla mescolando velocemente tutti gli ingredienti, stendere sulla carta forno, foderare lo stampo e versare il composto al'interno, coprire con delle strisce larghe come una crostata e infornare a 190° per circa 1 ora e mezza (superficie abbrunita). Sfornare e far riposare per almeno 24 ore fuori dal frigo.

IL GUSTO DI LEGGERE Antonio Parlato Sua Maestà il Baccalà - Ovvero Il pesce in salato che ci vien d'oltremari Colonnese Editore, Napoli, pp. 128, cm 14,5x21 - ISBN 9788887501780 - Prezzo € 14,00 Articolato volume che spazia dall’origine del nome a quella geografica del più venduto, e acquistato, rappresentante della fauna marina. Accanto alle descrizioni “tecniche” della riproduzione, cattura, lavorazione, richiami al “baccalà letterario”, ossia alla sua presenza nel mondo del libro, passando anche per la musica ( ad esempio, Paolo Conte, col suo: “Pesce veloce del Baltico”). In appendice, gustose (non solo gastronomicamente) ricette legate, oltre che ai luoghi, come di consueto, a personaggi, mestieri e interi popoli che le hanno ideate.

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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