Confini 83

Page 1

Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

LIBERTA’ DI ESPRESSIONE

Numero 83 Marzo 2020


www.confini.org

www.confini.info

Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 83 - Marzo 2020 Anno XXII

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Gianni Falcone Michele Falcone Roberta Forte Anna La Rocca Lino Lavorgna Sara Lodi Antonino Provenzano Angelo Romano Gianfredo Ruggiero Roberto Siconolfi Cristofaro Sola Andrea Torresi +

Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone e Sara Lodi

1


2

EDITORIALE

POTERE DI ESPRESSIONE La libertà di espressione è una chimera lasciata sopravvivere, a tratti, dalla benevolenza dei social media. Che ciascuno possa, quasi sempre, dire la sua nel solco del "politicamente corretto" è quasi un fatto. Già più difficile la vita di coloro che si esprimono "controcorrente" e senza curarsi del "mainstream" imperante e sempre pronto a scagliarsi contro gli "eretici" per mandarli al rogo sociale. Si veda in proposito il terremoto scatenato contro alcuni personaggi hollywoodiani da alcune non più signorine che, dopo una ventina d'anni, si sono ricordate di aver subito presunti attentati alla virtù perpetrati da personaggi di successo, all'epoca dei presunti fatti osannati e corteggiati a fini di carriera, e poi derubricati, dal "mainstream" al rango di orchi, solo perché estimatori dell'avvenenza e del sesso. Tuttavia, comunque la si pensi, il problema è di audience che, quasi sempre, non c'è. A volte neanche all'interno del cerchio familiare. Né, in una società fattasi altamente complessa, avrebbe senso uscire di casa muniti di megafono made in China e di piccolo podio, per arringare i passanti in strada o al parco, come una volta facevano gli inglesi ad Hyde Park. Le signorine dell'esempio di cui sopra hanno ottenuto audience da media pruriginosi, vessilliferi di un odioso quanto falso moralismo ed hanno, quindi, avuto partita vinta al primo round. Senza audience non vi sarebbe stato neppure il caso. E avere audience significa avere potere, potere di orientare, di condizionare, di persuadere. Già perché il mezzo è il messaggio e senza i mezzi (media) puoi strillare la verità che hai trovato ai quattro venti, ma quasi nessuno ci farà caso. Quindi più che di libertà di espressione occorrerebbe parlare di "potere di espressione". Chi lo detiene orienta, condiziona, comanda. La recente contesa per la nomination alla candidatura democratica alla Presidenza Usa è emblematica. Ben consapevole di come vanno le cose, il candidato Michael Bloomberg ha stanziato quasi mezzo miliardo di dollari per ottenere (comprare) la nomination a suon di spot. Certo di ottenere l'audience programmata in pochi mesi ne ha spesi oltre 250 in passaggi pubblicitari e quasi altrettanti per un elefantiaco staff di 2000 persone. Ma non gli è andata bene. Joe Biden, sostenuto dai grandi studi legali, dagli immobiliaristi e, soprattutto, dai media mainstream lo ha fregato: più audience persuasiva. Quindi Blomberg con le pive nel sacco si è ritirato decidendo di appoggiare Biden.


EDITORIALE

L'elefantiasi del meccanismo, le cifre e gli interessi in gioco, fanno ben capire quanto la "vox clamans in deserto" sia ineluttabilmente fuori gioco al di là del suo intrinseco valore. Sembra, quindi, patetico l'articolo 21 della Costituzione Italiana nel suo inizio: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto..." ma quei marpioni dei Costituenti hanno anche aggiunto: "e ogni altro mezzo di diffusione." A proposito di "marpioni". Un colpetto alla libertà di espressione, della quale il pluralismo è necessario corollario, i governanti a 5 stelle hanno provato a darlo, tentando di abolire il finanziamento pubblico e regolamentato delle testate minori, a partire da Radio Radicale. Nelle loro intenzioni c'era l'idea di sostituire alla regolamentazione la discrezionalità elargitiva. Pessima idea. Ma non è solo fenomeno italiano. Il caso della vera e propria persecuzione ordita nei confronti di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, grida vendetta. Il mainstream, ormai da anni, cerca con tutti i mezzi di screditare Assange, per non parlare di qualche governo che lo perseguita fisicamente, è difatti detenuto in un carcere di massima sicurezza inglese in attesa dell’estradizione negli Usa. La sua colpa? Ricercare e rendere pubblica la verità. La sua organizzazione, internazionale e senza scopo di lucro, riceve in modo anonimo, documenti coperti da segreto (di Stato, militare, industriale, bancario), ne verifica l'autenticità e li carica sul proprio sito web .I documenti pubblicati ed il lavoro di tutto lo staff e, soprattutto, dell'australiano Julian Assange ha avuto un grosso impatto ed ha dato l'avvio a diverse inchieste, tra cui ricordiamo aspetti nascosti della guerra in Afghanistan, rivelazioni sulla corruzione in Kenya, gestione del Campo di prigionia di Guantánamo, il caso della banca svizzera Julius Bär e tanto altro. Assange rappresenta il diritto all'informazione corretta, per questo va aiutato e va difeso il suo coraggio A proposito dell’Italia, Assange sostiene che “Il vero problema è che in Italia i grandi giornali non parlano delle storie di corruzione, soprattutto se riguardano le grandi compagnie.” Come dargli torto? Angelo Romano

3


4

SCENARI

LIBERTA’ DI ESPRESSIONE Sarà che a me Benigni piace, nonostante il suo 'genoma', ma sono ben disposta a perdonargli le 'marchette' espressive che qualche volta si trova a fare. Mi riferisco, ad esempio, al suo speech su I Dieci Comandamenti e a quello su La Costituzione Italiana, definita la più bella del mondo. Oh! Intendiamoci, non è che abbia detto puttanate: ha rappresentato, con l'arguzia e la loquela che gli appartengono, il sunto dei doveri morali dell'individuo dichiaratamente dettati da Dio e i capisaldi, bellissimi e pregnanti in effetti, che caratterizzano i rapporti, da un canto, tra le persone (noi) nella nostra società e, dall'altro, tra queste e la nostra espressione: lo Stato e le sue istituzioni. Ciò che ha ovviato di dire, ma è comprensibile, è che nel primo caso sono proprio gli intermediari tra Dio e i suoi figli a dimenticare, a volte, tali doveri mentre nel secondo è l'espressione della società, gli 'eletti' e lo Stato, a ignorare spesso le norme che dovrebbero contraddistinguere il loro comportamento verso la stessa società, loro mandante, nonché a omettere con pervicacia la realizzazione di istituti che renderebbero la collettività più partecipe e più solidale. Non voglio soffermarmi sui Comandamenti e sulla loro inosservanza perché ciò rientra nelle censure del Creatore da un lato e, dall'altro, del Magistrato mentre vorrei spendere giusto qualche parola in più sulla Costituzione a proposito della libertà di manifestazione del pensiero o di espressione, se si preferisce. È noto che la nostra Carta costituzionale prescriva il diritto di ognuno di esprimere liberamente il proprio pensiero1. Ed è un principio costituzionale che dovrebbe concernere tutti ma ha una sottolineatura giuridica al suo interno: quello di garanzia di tale diritto particolarmente per le 'opposizioni'. Mi riferisco, ovviamente, alla politica e alla sua attività di governo perché in tale ambito, è ovvio dedurre, che le 'espressioni' della maggioranza sono di per sé garantite. E questo è un principio che non ammette deroghe, eccezioni o limitazioni ad esclusione di quelle previste dal codice penale. È su tale principio, neanche a farlo apposta, che si incardina la democrazia e che distingue questa dalla dittatura. E non è che questo aspetto sia nato dalla pur brillante mente dei nostri Padri Costituenti: è stato mutuato ed arricchito da precedenti Carte a cominciare dalla quella 'principe' di oltre 800 anni fa che, con tutte le limitazioni del momento, incentrò comunque nuovi rapporti tra l'alto clero e i nobili e Giovanni Senza Terra, re d'Inghilterra. Si potrà obiettare che da tale diritto erano esclusi i servi che, all'epoca, erano la maggioranza della popolazione: sudditi ma vincolati alla dipendenza di nobili e clero, appunto.


SCENARI

Ma non si può ignorare che l'abolizione della sudditanza forzata e delle schiavitù è roba del XVIII secolo. A significare che il sancire a quei tempi la libertà di espressione di un sia pur ristretto numero di soggetti fu un fatto eclatante senza precedenti. Ma senza andare così lontano, basti osservare la situazione nell'Italia preunitaria. Nella 2 Repubblica Cisalpina, ad esempio, la relativa Carta prevedeva che "A niuno può essere impedito di dire, scrivere e stampare i suoi pensieri. Gli scritti non possono essere sottomessi ad alcuna censura prima della loro pubblicazione. Niuno può esser responsabile di quanto ha scritto o pubblicato se non nei casi preveduti dalla legge". Semmai, qualche limitazione si trova nello 'Statuto fondamentale del governo temporale degli Stati della Chiesa' dove, pur ammettendo che "Niun impedimento alla libertà personale può 3 essere posto se non nei casi e colle forme prescritte dalle leggi" si vincolava tale diritto alla professione della religione cattolica4. La Costituzione della Repubblica Romana, a personale parere, seppur nella sua brevità, non arricchisce il precedente Statuto sebbene Meuccio Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, nel suo discorso finale, il 22 dicembre 1947, osservò che quello era il primo momento in cui l'Italia riusciva a darsi una 'libera Costituzione', aggiungendo: "un bagliore soltanto vi fu, cento anni fa, nella Roma repubblicana di Mazzini". Eppure, nella Carta mazziniana l'unico passaggio degno di nota, indirettamente connesso alla 5 questione in esame, era che non si potesse andare in galera per debiti , un primato dei diritti della persona rispetto a quelli patrimoniali, oltre allo svincolo della fruizione di tali diritti dalla professione religiosa. Una maggiore apertura la si trova senz'altro nelle due Costituzioni varate nella prima metà del XIX secolo nel Regno delle Due Sicilie: la prima, del 1820, prevedeva che "Ogni nazionale del regno delle Due Sicilie ha libertà di scrivere, imprimere e pubblicare le sue idee senz'aver bisogno di licenza, revisione o approvazione anteriore, ma sotto la responsabilità che le leggi determineranno"6, mentre la seconda, quella del '48, addirittura varata sotto la pressione dei moti popolari, pur dichiarando la stampa libera ne limitava la libertà al rispetto di legge "per tutto ciò che può offendere la religione, la morale, l'ordine pubblico, il re, la famiglia, i sovrani esteri e le 7 loro famiglie, non che l'onore e l'interesse de' particolari" . Di contro, tanto per la cronaca, lo Statuto Albertino conteneva un elenco assai limitato di diritti dei cittadini8. Non parliamo, poi, nell'Italia post-unitaria, della Carta del Carnaro dove "Le libertà fondamentali di pensiero, di stampa, di riunione e di associazione sono dagli statuti guarentite a tutti i cittadini. Ogni culto 9 religioso è ammesso, è rispettato, e può edificare il suo tempio." . Quindi, per tornare ab ovo, la 'bellezza' della nostra Costituzione ha radici profonde e antiche dove la possibilità di esprimersi ha sempre costituito il diritto cardine. Eppure, in barba alla immane capacità che i Padri Costituenti hanno dimostrato nel mutuare dal passato e nell'evolvere nel presente, la nostra Carta ha sempre mostrato punti di mancata attuazione e di disattenzione da parte della maggioranza di turno, accomunando nel tempo la sedicente sinistra alla dichiarata destra, passando per il centro. Tuttavia, se quello è un aspetto di solito inavvertito seppur lesivo dei diritti dei componenti della

5


6

SCENARI

comunità nazionale circa la qualità della sua vita civile, sociale ed economica, un ben diverso peso comporta la lesione dei principi fondamentali democratici circa la libertà di espressione perché, dal momento che siamo una Repubblica caratterizzata dalla rappresentanza parlamentare, la limitazione strumentale di tale diritto ad un rappresentante politico lede inesorabilmente il rappresentato, il cittadino. So bene di evidenziare aspetti ovvi della questione ma la messa in atto di un tale atteggiamento ha impedito e impedisce praticamente al lampedusano di manifestare anche diversamente la sua solidarietà, al valligiano piemontese di dichiarare il suo punto di vista sulla TAV, agli uomini e alle donne di Campania e Calabria di manifestare la loro volontà di poter avere un lavoro piuttosto che una modesta elemosina, agli abitanti del quartiere tarantino di Tamburi di gridare l'ingiustizia del ricatto lavoro/salute, ai dipendenti di Alitalia ingiustamente condannati da dieci anni, di uscire dal Flegetonte, bersagliati da colpevoli centauri, e di evitare il Cocito. E questi sono solo alcuni tra gli eventi eclatanti sui quali è calato e permane un mirato attacco di procurata afonia; eventi ai quali ognuno può aggiungere di suo. Detto ciò, mi rendo conto da sola, nonostante la mia scarsa conoscenza del web, che in epoca di 'ragnatela globale' è difficile impedire la manifestazione del proprio pensiero; una 'ragnatela' che consente di dribblare compiacenti talk-show attraverso social forum con la capacità di rendere 'virale' (anche se non è l'accezione migliore, dato il momento) ogni espressione degna di nota: i 'Grillini' delle origini insegnano. Allora, è qui che scatta e si affianca ai soliti canali di 'espressione' la demonizzazione del pensiero altrui. E un tale fenomeno è una macula nella sola pelliccia della sinistra. Winston Churchill era solito dire che l'idea di alcune persone della libertà audacia temeraria igiene spirituale di parola è che sono liberi di dire quello che vogliono ma se qualcuno gli risponde lo considerano un oltraggio. Ed è proprio questo l'atteggiamento della sedicente sinistra: un oltraggio non a loro stessi bensì al genere umano. Non voglio dilungarmi in proposito visto che anche nel recente passato Confini ha trattato del 'pensiero unico dominante', ma resta il fatto che, quando sospinte bollature di razzismo, xenofobia, omofobia, egoismo, ottuso popolarismo fioccano, il tempo che si potrebbe impiegare nel trattare in maniera piana e ragionata un argomento da un'altra prospettiva si perde nella concitazione della difesa dalle accuse. Comunque, se quest'ultimo è un ulteriore aspetto della limitazione del diritto di parola, ce n'è un altro che attiene al suo uso eccessivo, distorto quando non irrazionale. A titolo di esempio, mi viene da citare l'articolo 'In nome di Dio, basta' del collega Pietro Angeleri che, nel febbraio del 2015, forniva, a personale parere, una valida e ponderata riflessione parlando di satira. Ma l'altro aspetto che caratterizza l'oggi sono le tanto deprecate fake news (l'affermare strumentalmente il falso) le quali, muovendo soprattutto dal web, in assenza di una riconosciuta autorevole fonte di verità, vengono riprese persino dalla carta stampata attraverso il 'si dice', senza le necessarie e opportune verifiche. Le smentite, poi, vanno nelle Lettere al Direttore con una nota di discolpa del cronista. È singolare che da due anni a questa parte sia pendente una proposta di legge al riguardo senza che questa,


SCENARI

però, riesca a trovare una calendarizzazione: eppure, è stata avanzata da un parlamentare PD. Quando si dice l'ingenuità e la lungimiranza. Inoltre, riguardo all'irrazionalità della parola, dell'espressione, potrei citare le comunicazioni schizofreniche che si sono susseguite da parte del governo dall'insorgenza dell'epidemia in atto fino ad imboccare, dopo oltre un mese, finalmente la strada della determinazione e della omogeneizzazione degli interventi nonostante la resistenza regionale. Così come potrei segnalare il verboso sensazionalismo martellante dei media che H24 colpisce l'ascoltatore con statistiche, incongruenti interviste a virologi, ricercatori, direttori di ospedali, di giornali, amministratori politici e soggetti partitici, medici, statistici, persone per la strada, automobilisti, ciclisti, titolari di esercizi pubblici, vigili urbani, esperti contraddittori di mascherine, uomini e donne con berretti a sonagli, col risultato di una dilagante, ignorante paura fobica e di una beata incoscienza. Così come, infine, alla luce di quanto sopra, potrei additare la contraddizione che si determina, soprattutto oggi, tra la carente libertà di esprimere la propria organica ed estetica opinione e la sfrenata libertà di pochi, a piacimento, di ignorarla, di emendarla, di contrastarla, di ridicolizzarla e perfino di stigmatizzarla. Nel senso che siamo liberi solo di 'fruire'. Potrei, ma mi astengo dal farlo. Non ritengo sia questo il tempo delle polemiche politiche: oggi, il Paese è in emergenza e credo fermamente che lo sforzo comune, coeso, debba riguardare tutti, a cominciare dalle forze politiche. Domani sarà un altro giorno, tanto per parafrasare Rossella O'Hara davanti ad un tramonto nella sua tenuta di Tara, dopo lo sfacelo della guerra di secessione. Un altro giorno. Senza Rhett Butler, consapevole della sua traumatica maturità dopo una vita capricciosa e vagheggina, con l'intento di riorganizzare responsabilmente l'intera sua esistenza. È un po' quello che credo debba fare questo Paese una volta conclusa l'emergenza: rivedere il proprio assetto anche sul piano dei rapporti istituzionali e delle relative competenze, le caratteristiche delle entrate e quelle delle uscite. E, non guasta, riguardare anche i rapporti con l'Unione non certo per interromperli ma per razionalizzarli e finalizzarli. Infatti, a quest'ultimo riguardo, se la libertà di espressione è un diritto, la Commissione esecutiva ha scelto di non esercitarlo, se non da ultimo e solo ed esclusivamente per comunicare che, vista l'emergenza, saranno tollerati sforamenti nel bilancio. Nemmeno il più lieve accenno ad un protocollo sanitario comune. In ogni caso, visti i frangenti, nemmeno il più lieve accenno da parte della 'Capa' della BCE se non, sempre da ultimo, per sollecitare gli Stati a 'fare qualcosa se vogliono evitare un altro 2008'. Fare qualcosa …. Da ridere se non fosse da piangere. Ambedue le istituzioni si sono adeguate al 'protocollo' che sembra contraddistinguere i reggitori comunitari: quello del silenzio se il problema non li tange direttamente. Oh! Bè. L'Unione non ha proferito verbo neppure di fronte al dramma dei profughi tra il confine greco e quello turco, bersagliati da pallottole di gomma alle spalle per farli uscire e di fronte per non farli entrare col risultato già di tre morti. Ehhh! Il tutto perché non c'è una Carola Rachete con loro. Altrimenti, la Capitana della Sea Watch avrebbe abbattuto gli steccati, sarebbe piombata sui militari e li avrebbe disarmati e avrebbe spiegato loro che con i gommini ci giocano i bambini dando loro una sonora sculacciata. Poi, avrebbe spazzato la strada dalle autoblindo e, postasi alla

7


8

SCENARI

guida di una marcia trionfante, li avrebbe condotti alla volta del Partenone. Il Parlamento greco, infine, l'avrebbe invitata ad una audizione, l'avrebbe lungamente applaudita e i suoi componenti avrebbero chinato il capo con vergogna ascoltando la severa e sonora reprimenda che la Comandante avrebbe rivolto loro. Ehhh! Quando si dice il diritto di libera espressione. Necessariamente, domani dovrà essere un altro giorno. Roberta Forte

Note: 1. Art. 21, comma 1 e art. 33, comma 1 2. Art. 354 3. Art. 6, comma 1, primo periodo 4. Art. 9 5. Art. 4, comma 3 6. Art. 358 7. Art.30, comma 1 audacia temeraria igiene spirituale 8. Vedi La libertà di espressione – Una prospettiva di diritto comparato – Italia – Servizio Ricerca PE - ottobre 2019 – p.5 9. Dei Fondamenti VII


TEMA DI COPERTINA

LIBERI DI ESPRIMERSI, SARA’ POI VERO? Recita l'articolo 21 della nostra Costituzione: "Tutti hanno diritto di MANIFESTARE LIBERAMENTE IL PROPRIO PENSIERO con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure." Parole chiare, ineccepibili e latrici pertanto di un "vero" dal carattere universale se non fosse, come spesso accade, per il dettaglio sfuggente ove va a nascondersi il dispettoso diavoletto. "TUTTI" significa infatti che nessun singolo componente di un determinato gruppo possa essere escluso, o almeno non preso in considerazione, nell'ambito di una determinata fattispecie. Ne conseguirebbe che, in teoria, ogni cittadino italiano, capace di intendere e di volere, nel rispetto delle leggi e dei diritti altrui, possa sempre e comunque far sentire la propria opinione (libertà di espressione per l'appunto). Ma in che modo ciò può verificarsi? Premetto che il tutto non farebbe una piega qualora si prendesse in considerazione soltanto il sistema di comunicazione "one to one", e cioè sia i sempiterni modi fisici (voce/orecchio) che i moderni sistemi digitali (diciamo, tanto per intenderci, dito /telefonino/occhio). Però riflettiamo: a che ampiezza numerica potrebbe essere di fatto ricondotta la cerchia di tali comunicatori in diretto, effettivo reciproco rapporto? Le decine, centinaia, migliaia o anche milioni di "followers" ovvero di più generici "like" naturalmente non contano dato che per essi non scatta, se non che raramente, quel diretto rapporto dialettico essenziale per una vera e propria comunicazione. Nella vita reale ci si trova infatti limitati a non più di qualche decina di persone di reciproca e diretta conoscenza. Pertanto, parafrasando il grande Churchill, si potrebbe dire che al giorno d'oggi: "TUTTI possono comunicare TUTTO, ma soltanto a molto POCHI ". Inoltre oggi disponiamo di un qualcosa che era ignoto negli anni 1946/47 al momento della stesura del predetto Art.21 : la TV e le correlate versione internet/digitali, oggi assolutamente prevalenti. Dette tecnologie massmediali inoltre (per quanto riguarda in particolare l'esternazione di opinioni con relativa diffusione sul piano nazionale) si servono di fonti di notizie del tutto sconosciute ed irraggiungibili per il comune cittadino. Gli sporadici interventi da parte del pubblico (oppure da parte dei pochi esponenti di una AUTENTICA opposizione) sono infatti come, ad esempio, nelle trasmissioni di un particolare "talk show" - soltanto episodiche concessioni calate dall'alto e non veri e propri confronti dialettici su un piano paritario in quanto

9


10

TEMA DI COPERTINA

l'ospite "parlante" può sempre essere tacitato dall'assertiva conduttrice, con la semplice minaccia di un: "… onorevole, Le tolgo l'audio ! …"). Analogo fenomeno caratterizza la carta stampata e le relative, del tutto marginali "Lettere al direttore" (in una fase peraltro di, ahimè, costante ed irreversibile declino di tutti i quotidiani) per cui il sostenere che … "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero etc. …" è, nell'odierno sistema mediatico, cosa a dir poco velleitaria. Infatti qualora non ci si possa accomodare al megafono di una qualche mezzo mediatico realmente indipendente (ma ne esistono?) tu, singolo sparuto, cittadino, non sarai mai messo in grado di esprimere COMPIUTAMENTE una tua opinione che abbia una qualche valenza di carattere pubblico (mogli, figli e sodali del bar naturalmente esclusi). Ciò spiega anche quell'evidente orgasmo verbale proprio del voler esternare un superconcentrato di "pensiero" vario in tempi brevissimi (… altrimenti, ecco : "Signor Tizio prego concluda …") da cui non è immune qualsiasi intrinseco "dilettante" (di politica, di governo o di giornale che sia) messo nelle condizioni di poter dire un qualcosa in TV. Il risultato? Un cacofonico cicaleccio di gente che si parla addosso alzando la voce in quel gioco dialettico del fare un'assertiva "faccia feroce" mentre nello stesso istante si cerca di stare in piedi sul fragile pavimento di uova fresche della propria strutturale incompetenza su argomenti, situazioni o scenari. Ed in tale contesto l'oratore del momento declama, con una aggressività degna di miglior causa, il proprio punto di vista all'orecchio dello smarrito cittadino a cui i "mas media" intenderebbero far credere di essere, in tal modo, destinatario di INFORMAZIONE(!). Non si tratta pertanto di un viaggio in cerca della "verità" quanto piuttosto di un' episodica e noiosa escursione nelle sinapsi mentali del parlatore di turno. Mi chiedo: "tali imbonitori dello "spettacolo" televisivo cosiddetto informativo hanno mai sentito parlare di un signore che una volta disse: "sia il vostro parlare: si, si, no,no; il più viene dal Maligno" (Matteo 5, 17-37) e di quanto sia giornalisticamente un fatto inverecondo che la domanda, generalmente lunghissima e molto articolata posta dal mezzobusto/a di turno all'ospite in studio sia composta per l'80% dalle assertive tesi dello stesso interrogante che si aspetta come risposta nulla più che una supina conferma di quanto da lui o lei declamato? E qualora ciò non dovesse verificarsi ecco, ancora una volta, l'arrogante mannaia del : "mio caro onorevole, professore o dottore che dir si voglia … se continua così Le tolgo l'audio!…"? Dove sono, ahimè, finiti gli Enzo Biagi, i Giovanni Minoli (e forse anche il miglior Craxi) il cui modo tecnico di interrogare gli intervistati in TV (o almeno di rispondere alle domande) sarebbe certamente piaciuto al divino Galileo? Chi scrive non è peraltro così fuori dal mondo dal non considerare cosa ovviamente impossibile quella che ad ogni singolo cittadino venga dato un microfono "ad hoc" per esternare in "prime time television" la propria visione sull'universo mondo. L'assistere però al fatto che su tutti i canali della nostra televisione, sia pubblica che privata (con relativi, intercambiabili quotidiani) si alterni oggi, in forma di blindati monologhi, soltanto qualche decina di inamovibili, ripetitive facce dei soliti noti che ci spiegano il come ed il perché


TEMA DI COPERTINA

del TUTTO, è cosa che si scontra veramente con un fisiologico, minimo rispetto per il concetto stesso di pluralità democratica. Il fenomeno porta in sostanza alla seguente conclusione: dato che soltanto un'infima percentuale di persone può godere del privilegio di esternare la propria opinione attraverso l'efficiente, anche se per molti versi subdolo, mezzo televisivo - che pervicacemente ci entra in casa ogni sera e ci ammannisce tutto ciò che, secondo i monopolisti dell'informazione sia "vero" o "non vero" - al supino telespettatore non resta altro da fare che il semplice ASCOLTARE. E questo naturalmente non è comunicazione, ma vera e propria propinazione "one way" di verbosità individuale e, per giunta, gratuitamente aprioristica. E così, in tale liturgia di supposta comunicazione, ci tocca di sentire, che so, la perla di una pimpante ministra di governo che, nelle prime fasi dell'attuale epidemia di coronavirus, asserisce che la soluzione al contagio non starebbe tanto nell'isolare le persone - in quanto, chioso io, soluzione questa politicamente scorretta(!) ed anche abbastanza autoritaria(!!) quanto il virus di per se stesso (naturalmente… con appositi posti di blocco a riconoscimento facciale per tale nefasta entità scappata dalla Cina). Scenario lunare quanto sopra? Ma no, mio caro lettore, rassicurati, non c'è pericolo! Il tutto infatti si staglia, sempre e comunque sull'onnipresente e consolatoria coscienza di essere in una perenne campagna elettorale, ma senza elezioni, che comunque fornirà, alla fine della fiera, al telespettatore italiano mollemente stravaccato sul divano, la rassicurante consapevolezza (peraltro di cristallina caratura costituzionale) che prima o poi il tutto si appianerà, ricomponendosi e ciò, nonostante le sublimi cavolate che attraverso l'etere possano penetrarti nell'orecchio. Chi potrebbe infatti mai mettere in dubbio il fatto che tu, cittadino della Repubblica, disponga in ultima analisi di quell'arma risolutiva tale da poter avere l'ultima parola con la definitiva affermazione del tuo pensiero con relativi effetti di caratura, in teoria, politicamente sconvolgenti ? A cosa mi riferisco ? … ma a quella asserita panacea democratica del TUO voto sovrano che si immagina costituire la LIBERA e DEFINITIVA manifestazione del tuo più intimo convincimento socio-politico e da cui deriverà poi, per la nostra vita pubblica, l'inevitabile conseguenza di un definitivo trionfo della "vera" verità! Per un eventuale, ulteriore chiarimento del mio pensiero in merito (e naturalmente per chi ne fosse minimamente curioso) mi permetto richiamare le mie considerazioni circa le caratteristiche assunte dal suffragio universale nella contemporanea, informe e sostanzialmente incolta civiltà di massa, che CONFINI ha voluto cortesemente pubblicarmi nel No. 79 dello scorso mese d'ottobre. Da ciò è scaturita la mia personale, sconsolata sensazione che il voto del cittadino sia di PER SE STESSO, a livello di singola individualità, del tutto irrilevante. Mi si dica infatti in tutta onestà: " chi è mai colui che contemplando la distesa del mare sotto il sole vermiglio di un tramonto prenda in considerazione le singole goccioline d'acqua che, a miliardi, la compongono? Nella sostanza ciò sarebbe concettualmente giusto e corretto, ma a quale concreta realtà esistenziale

11


12

TEMA DI COPERTINA

corrisponderebbe mai una tale chiave di lettura del fenomeno mare? Nell'ottica comune il mare è il mare e le relative molecole di idrogeno, ossigeno e sale che lo compongono e lo rendono visibile, essendo esse singolarmente impercettibili, diventano di fatto inesistenti. Nell'inanità generalizzata di una presunta facoltà di libera informazione (sia attiva che passiva) che dovrebbe essere a disposizione di ogni cittadino mi sento, tanto per restare in metafora, come quella goccia di acqua salata nella fossa delle Marianne a cui qualcuno abbia rivelato per iscritto di poter credere al fatto che essa, entità del tutto trascurabile, SIA il mare e che il mare, per converso, SIA essa medesima. Sono infatti convinto: 1) che oggi tutti noi si sia soltanto oggetti e non soggetti di alcunché, 2) che dal punto di vista politico la rilevanza del singolo individuo sia pressoché nulla, 3) che conti soltanto la MASSA e 4) che essa possa diventare soggetto politico "suo iure" soltanto nelle vituperate rivoluzioni. Nel proposto tema di copertina del presente numero di CONFINI, il nostro Direttore ha invitato a riflettere sulle censure, sulla asfissiante stigmatizzazione di chi non si allinea al pensiero unico o a quello politicamente corretto, ai "diktat" dei social media e compagnia cantante. Esatto, il sistema lo pretende e quindi per tale ragione nulla viene oggi rivelato che non sia filtrato dai "mass media" dominanti e, di conseguenza, ciò che tale filtro blocca non raggiungerà mai lo stato di ESISTENZA. I monopolistici "mass media" creano il FATTO e, volendo, gli stessi "mass media", lo annichiliscono. Cari Padri Fondatori del tempo che fu, cosa vi pare sia rimasto realmente al giorno d'oggi di quell'ideale principio secondo il quale ogni cittadino italiano godrebbe del diritto costituzionale di manifestare il proprio pensiero ANCHE attraverso gli odierni mezzi di diffusione mediatica alla cui esistenza peraltro egli stesso contribuisce finanziariamente in qualità di "tax payer"? La monopolistica gabbia massmediatica nazionale gli consentirebbe mai una qualche possibilità di accesso senza una preliminare, comprovata genuflessione all'altare del "politically correct ? Cari Padri Fondatori, credo che al riguardo possiate proprio mettervi l'animo in pace. Antonino Provenzano Roma, 27 febbraio 2020


POLITICA

DOOMSDAY CLOCK: E’ PASSATA LA MEZZANOTTE POTENTI E AMBIENTE: CHIACCHIERE SENZA COSTRUTTO L'orologio dell'apocalisse (doomsday clock) fu ideato nel 1947 dagli scienziati dell'università di Chicago, che ne iniziarono a parlare sul "Bulletin of the Atomic Scientists". Il proposito era quello di misurare (metaforicamente) il pericolo di una ipotetica fine del mondo in virtù del continuo depauperamento delle risorse naturali, cui si è aggiunto via via l'attacco sconsiderato dell'uomo all'ecosistema. Il 23 gennaio scorso l'orologio ha superato la mezzanotte, ora simbolica dell'apocalisse. L'evento non ha subito larga eco mediatica, nonostante il monito di Ban Kimoon, ex segretario generale delle Nazioni Unite, il quale ha dichiarato che questo evento, sia pure considerando il suo empirismo, deve rappresentare un campanello d'allarme per il mondo. La mancata attenzione non stupisce, alla luce dei tanti gridi di allarme rimasti inascoltati sin dal 1 lontano 1972, anno in cui fu pubblicato il famoso rapporto del MIT . Tutto, in effetti, è continuato come prima e l'emergenza planetaria causata dal coronavirus, assumendo valore prioritario, ha ridotto ancor più l'attenzione nei confronti degli atavici malanni di cui soffre il Pianeta. Si deve considerare, del resto, che se nel 1972 la società non era ancora matura per recepire in modo compiuto "i guasti ambientali", anche dopo l'istituzione del gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nel 1988, non è che le cose siano cambiate più di tanto: i potenti del mondo e larghi strati della "cosiddetta" società civile hanno ignorato gli allarmi, sputando fiele contro gli scienziati, che, a loro giudizio, minacciano la posizione privilegiata e gli enormi profitti aziendali ricavati anche, e forse soprattutto, da attività che contribuiscono sensibilmente al crescente inquinamento delle vitali risorse naturali. Si nega sfacciatamente l'evidenza, anche alla luce di dati inconfutabili. Nel 2019 la temperatura si è innalzata come non mai, soprattutto ai Poli e negli oceani. Le concentrazioni di gas serra nell'atmosfera hanno raggiunto nuovi picchi e i ghiacciai hanno continuato a sciogliersi in modo sempre più consistente. A proposito del gas serra è bene precisare che i valori sono destinati a "diminuire" sensibilmente nel corso del 2020 e ciò potrebbe indurre taluni a parlare di regressione del problema: in realtà ciò è dovuto precipuamente al blocco delle attività industriali, soprattutto in Cina, a causa del covid 19. Sempre nello scorso mese di gennaio, a Davos, in Svizzera, si è tenuto l'annuale Forum economico mondiale, che ha registrato l'ennesimo fallimento, come denunciato da tutti gli ambientalisti. Greenpeace ha giustamente accusato di ipocrisia (termine eufemistico, alla luce

13


14

POLITICA

della realtà dei fatti) le ventiquattro banche che sponsorizzano il Forum, essendo le stesse che hanno finanziato il settore degli idrocarburi con la bella cifra di 1400 miliardi di dollari, in barba agli accordi siglati a Parigi nel 2015 sulla riduzione delle emissioni2. Di fatto si vende fumo e Davos rappresenta solo una splendida vacanza annuale per i potenti della Terra, pagata dai loro veri padroni, più potenti di loro, ossia i burattinai della finanza e dell'economia. Anche Greta Thunberg, la novella Giovanna d'Arco dell'ambientalismo, ha invitato i governi e le multinazionali a bloccare l'esplorazione e l'estrazione dei combustibili fossili, ponendo fine ai sussidi ad essi destinati. "Nel caso non l'aveste notato, il mondo è attualmente in fiamme", ha tuonato con quanto fiato avesse in gola, ovviamente invano. Un silenzio sconcertante ha fatto seguito al suo grido di dolore, smosso solo da qualcosa ancora più grave del silenzio: vuote parole di circostanza, promesse che nessuno intende rispettare (è così ogni anno) e gli inevitabili sberleffi di chi, come Steven Mnuchin, Segretario al Tesoro degli USA, consapevole di essere al servizio di padroni che non possono essere delusi, si è superato per dimostrare la propria fedeltà al sistema, offendendo pesantemente la giovanissima attivista con atteggiamento sprezzante e l'invito a studiare "economia". 3 Egli è soprattutto un uomo di banca e il fatto che il sistema climatico obbedisca alle leggi della fisica e non a quelle dell'economia è per lui un aspetto secondario: l'importante è tutelare gli interessi economici dei suoi amici; il Pianeta che muore non è un problema che lo riguardi. IL FALSO MITO DELLA SOCIETÀ DEMOCRATICA L'umanità ha raggiunto il limite dell'abisso climatico perché la "democrazia", questo principio considerato valore assoluto, indiscutibile e indissolubile, si è trasformato in uno spot pubblicitario, per giunta noioso, ripetitivo e menzognero, come quelli di alcune lamette che, da cinquanta anni, si rinnovano "promettendo" tagli di barba sempre più efficaci, o quelli di alcuni detersivi che lavano sempre più bianco che più bianco non si può. Il falso mito di una democrazia funzionale agli interessi di tutti, di fatto, serve solo a coprire la degenerazione di un sistema che nasce già malato: il capitalismo globale. Ora siamo nella fase terminale di questo sistema distruttivo, che Noam Chomsky aveva ben 4 definito in un celebre saggio : "Personalmente, sono a favore della democrazia, il che significa che le istituzioni centrali della società devono essere sotto il controllo popolare. Ora, sotto il capitalismo, non possiamo avere la democrazia per definizione. Il capitalismo è un sistema in cui le istituzioni centrali della società sono in linea di principio sotto il controllo autocratico". Il famoso linguista statunitense, che analizzando le fenomenologie sociali da "sinistra" giunge a conclusioni non dissimili da quelle che pervadono il pensiero di Alain de Benoist (il quale, pur rifiutando da tempo di definirsi "di destra", della "Nouvelle Droite" è stato il precursore e tuttora funge da fondamentale punto di riferimento per tutti coloro che abbiano una visione "chiara" di come dovrebbe essere una vera destra), nel 2014, ospite a Roma del "Festival delle Scienze, calcò pesantemente la mano sulla crisi della democrazia, sostenendo che "le democrazie europee sono al collasso totale, indipendentemente dal colore politico dei governi che si succedono al


POLITICA

potere, perché sono decise da burocrati e dirigenti non eletti che stanno seduti a Bruxelles". Il concetto può sembrare banale e scontato per i lettori di CONFINI, dal momento che in queste pagine viene ribadito come se fosse un mantra, ma così non è, soprattutto se il ribadimento riguarda un personaggio che, a prescindere dalla "collocazione politica" (sempre impropria e approssimativa per gli uomini di alto ingegno culturale) e dalle indigeribili "sviste" sui misfatti di alcuni regimi comunisti, almeno fino a quando le chiare evidenze non gli abbiano consentito di ricredersi5, è universalmente considerato una fonte inesauribile di sapere e uno dei più autorevoli critici della globalizzazione e del liberismo. PROSPETTIVE FUTURE Ora le priorità sono altre. È ben chiaro, tuttavia, che quando le nubi si saranno diradate e il sole tornerà a splendere - speriamo presto - non si potrà più tergiversare e occorrerà davvero cambiare registro, in modo totale e irreversibile, perché questa emergenza planetaria sta scoperchiando il vaso di Pandora nel quale erano celate tutte le mistificazioni poste in essere dai burattinai che controllano il mondo, a cominciare dal grande bluff rappresentato dall'Europa dei mercanti, la cui matrice devastante oramai non può sfuggire nemmeno ai più ottusi., Nell'articolo intitolato "Povera Europa" (numero 75 di CONFINI - giugno 2019), dopo aver scandagliato le distonie emerse dalle elezioni europee, che avevano visto i cittadini poter scegliere solo tra partiti che tutto hanno a cuore fuorché uno spirito realmente "europeista", esprimevo le perplessità per i papabili alle alte cariche istituzionali dell'Unione, concludendo l'articolo con la frase: "Comunque vada a finire, per l'Europa si apprestano giorni cupi". Si scrivono certe cose sperando di essere smentiti dai fatti, che invece, purtroppo, sempre confermano le previsioni. L'inadeguatezza di Christine Lagarde alla guida della BCE è emersa drammaticamente lo scorso 12 marzo, quando, asserendo che "non è compito della BCE ridurre lo spread perché ci sono altri strumenti e altri attori per affrontare questi problemi", ha generato un panico nei mercati foriero della peggiore perdita nella storia della borsa italiana: meno 17%, con lo spread schizzato verso i 270 punti! Dichiarando di non avere intenzione di sostenere i paesi più esposti - in questo momento l'Italia acquistando i titoli di stato, come aveva fatto Draghi nel 2012, ha indotto i risparmiatori a puntare sulla Germania, percepita più sicura. Gaffe o atto voluto? Autorevoli commentatori parlano di "gaffe", la qual cosa, a dirla tutta, è ancora più grave della mala fede. Analogo discorso vale per Ursula Von Der Leyen, presidente della Commissione Europea, della quale, sin dal momento della sua nomina, chi scrive ha messo in evidenza limiti e inadeguatezza al ruolo, criticando aspramente lo scellerato sostegno assicuratele dagli europarlamentari del M5S, risultati determinanti: nello stesso giorno in cui la sua amica della BCE affossava le borse europee ha diffuso un pistolotto retorico sostenendo che non siamo soli e che "in Europa siamo tutti italiani, vi sosterremo". Con che cosa? Con le chiacchiere? Il ruolo nefasto dell'Unione è apparso evidente sin dai primi momenti della crisi in atto: per reperire una manciata di (insufficienti) miliardi abbiamo dovuto

15


16

POLITICA

far ricorso ai mercati, facendo lievitare il debito pubblico. Nessun aiuto, quindi, ma solo l'autorizzazione a fare altri debiti. E qui casca l'asino, o spira fortissimo il vento che fuoriesce dal vaso di Pandora, travolgendo tutti i principi che ci sono stati venduti dai mercanti padroni dell'Europa e del mondo come "ineludibili": la comunistissima, terribile, dittatoriale Cina, ha tirato un fendente mortale alla turbofinanza globalista, autorizzando l'amministrazione autonoma di Hong Kong a stampare in proprio del denaro, in modo da sostenere i cittadini economicamente danneggiati dalla crisi. Non soldi reperiti dai mercati, quindi, producendo debito, ma creati "dal nulla" per fronteggiare una emergenza! Se a ciò aggiungiamo che, a differenza dell'Unione Europea e dei paesi "amici" che ci hanno sbattuto la porta in faccia, la Cina aiuta l'Italia donando centomila mascherine avanzate, ventimila tute protettive, cinquantamila tamponi, inviando anche mille medici e vendendoci mille respiratori e due milioni di mascherine normali, è ben chiaro che a crisi cessata lo scenario comunitario dovrà mutare drasticamente, a prescindere dalle facili illazioni circa la "ratio" che avrebbe spinto i cinesi a darci una mano: recuperare credibilità a livello di immagine e consolidare le relazioni. E se anche così fosse? Non è certo un reato e alla fine sono i fatti che contano e non le chiacchiere dei burocrati di Bruxelles. Tutti dovranno rendersi conto che è "pura follia" lasciare i destini del mondo nelle mani di un paio di centinaia di famiglie che controllano la quasi totalità delle banche centrali, nonché le principali lobby finanziarie. Sperano forse, costoro, di gestire i prestiti miliardari che serviranno per la ripresa economica, portandoci in un vortice di continuo default e renderci loro schiavi più di quanto non lo fossimo ora? Certo che lo sperano! Ma se noi dovessimo permetterlo, beh, allora vorrebbe dire davvero che non vi è alternativa alla fine del mondo. Indipendentemente dagli scenari globali, tuttavia, e alla luce di ciò che sta emergendo grazie alla crisi, è ben evidente che in primis occorre fare da subito i conti anche in ambito nazionale, possibilmente accantonando toni accesi e accettando serenamente che non è più possibile tergiversare. Lo si chiede soprattutto ai responsabili dello sfascio nazionale: si facciano da parte senza creare problemi e magari inizino a lavorare veramente per il bene comune. Proprio mentre scrivo questo articolo (13 marzo) mi è giunto un video su WhatsApp estrapolato da un programma televisivo andato in onda ieri, 12 marzo, su La7. Nel video si vede l'arcigno e autorevole primario del reparto malattie infettive del Policlinico di Pavia, dottor Raffaele Bruno, prendere letteralmente a pesci in faccia il politico babbeo di turno, di area renziana, che cercava di "scaricare" sui medici le responsabilità dello sfacelo nel settore sanitario. Senza tanti giri di parole il dottor Bruno ha replicato, con un tono che deve aver fatto più male di un pugno in faccia, che non ha tempo da perdere, invitando i politici a "stare zitti" e magari a recarsi negli ospedali a dare una mano. Ripetiamo, pertanto, quanto già più volte scritto Il decentramento regionale si è dimostrato fallimentare sotto tutti i punti di vista, essendo servito precipuamente per scopi clientelari, con uno sperpero pazzesco di denaro pubblico. Sanità, trasporti, comunicazioni, autostrade, servizio elettrico nazionale, devono ritornare,


POLITICA

indipendentemente da ogni possibile riforma dell'assetto costituzionale, a una gestione centralizzata, da effettuarsi, però, con uno spirito ben diverso da quello che li caratterizzava quando fungevano anch'essi da "carrozzoni" al servizio dei partiti. Lo stesso dicasi per Poste e Ferrovie, che con la privatizzazione hanno penalizzato fortemente gli "utenti", trasformati in "clienti", e vessato i dipendenti, costretti a veri lavori forzati, eccezion fatta per i soliti "raccomandati" e "super raccomandati", i primi pagati per non fare nulla e i secondi strapagati in ruoli creati ad hoc per mero clientelismo politico. La chiusura di centinaia di ospedali ci sta costando parecchio e bisogna fare di tutto per riaprirli. Parimenti deve sparire - ma in senso letterale - ogni forma di baronia nelle università, lasciando emergere le eccellenze prima che i capelli diventino bianchi, anche perché tanti giovani non sono più disponibili a siffatte lunghe attese e vanno a rafforzare le strutture estere. I giovani in gamba devono restare in Italia. I baroni-tromboni, adusi a camminare nelle corsie con codazzo infinito, che truccano i concorsi per favorire i loro lecca sedere e le allieve sessualmente disponibili, per non dir di peggio, possono anche andarsene a quel paese e restarci fino alla fine dei loro giorni. Per tristi vicende familiari ho avuto modo di frequentare l'ospedale neurochirurgico di Lione, uno dei più importanti al mondo. Un giorno vidi un signore camminare in bicicletta nei viali dell'ospedale, con le classiche molle ai pantaloni e una busta di plastica appesa al manubrio, che conteneva dei panini e qualche bibita. Vedendo degli astanti che lo guardavano con palese ammirazione, incuriosito, chiesi chi fosse: si trattava del professor Claude Lapras, pioniere della neurochirurgia pediatrica, all'epoca uno dei tre più grandi neurochirurghi al mondo! In bicicletta! Uno dei suoi allievi prediletti, il dottor Carmine Mottolese, napoletano, "scappato" in Francia dopo la laurea, è a sua volta divenuto uno dei più grandi neurochirurghi al mondo e forse il primo in assoluto per quanto concerne la neurochirurgia infantile. Dopo pochi anni al fianco di Lapras, Mottolese è diventato responsabile dell'unità di neurochirurgia pediatrica, poi capo del Dipartimento e addirittura presidente della società francese di neurochirurgia! Sempre a Lione ho avuto modo di conoscere un'altra "eccellenza italiana", la neuroscienziata sarda Angela Sirigu, da oltre venti anni direttrice dell'Istituto di Scienze Cognitive del Cnrs (il Centro nazionale di ricerche francese!) La lista degli italiani eccellenti che operano all'estero, comunque, come a tutti noto, è davvero lunga. Quando personaggi di siffatta portata non dovranno più scappare all'estero per vedersi riconosciuto il proprio talento, e soprattutto quando anche in Italia saremo capaci di abiurare lo squallido provincialismo, riconoscendo i meriti altrui, senza condizionamenti, allora potremo dire di essere davvero un paese "maturo". Per ora restiamo ancora "la serva Italia di dolore ostello, nave sanza nocchiero in gran tempesta" e vi è solo da augurarsi che questa terribile contingenza serva davvero a farci cambiare rotta, creando le premesse per un reale sbocco nella "seconda repubblica" (siamo sempre nella "prima", al di là delle distorsioni giornalistiche e dei politici ignoranti), con un presidente eletto dal popolo capo dell'esecutivo, un parlamento monocamerale e un razionale riassetto degli enti locali, che contempli l'abolizione delle regioni e

17


18

POLITICA

delle amministrazioni provinciali. Mi fermo qui, ben consapevole di essermi dilungato con ragionamenti e proclami in un momento in cui bisognerebbe soprattutto ricordarsi il monito di Albert Camus, tratto da "La peste": "Al principio dei flagelli e quando sono terminati, si fa sempre un po' di retorica. Nel primo caso l'abitudine non è ancora perduta e nel secondo è ormai tornata. Soltanto nel momento della sventura ci si abitua alla verità, ossia al silenzio". Lino Lavorgna

NOTE 1. Vedere "CONFINI" Nr. 72 - marzo 2019, pag. 5 2. Alla conferenza sul clima di Parigi (COP21) del dicembre 2015, 195 paesi hanno adottato il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale. L'accordo definisce un piano d'azione globale, inteso a rimettere il mondo sulla buona strada per evitare cambiamenti climatici pericolosi, limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC, stabilendo i seguenti propositi: mantenere l'aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine; puntare a limitare l'aumento a 1,5°C, dato che ciò ridurrebbe in misura significativa i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici; fare in modo che le emissioni globali raggiungano il livello massimo al più presto possibile, pur riconoscendo che per i paesi in via di sviluppo occorrerà più tempo; procedere successivamente a rapide riduzioni in conformità con le soluzioni scientifiche più avanzate disponibili. Prima e durante la conferenza di Parigi, i paesi hanno presentato piani nazionali di azione per il clima. Anche se non ancora sufficienti per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 2ºC, l'accordo aveva tracciato la strada verso il raggiungimento di questo obiettivo, ma gli sviluppi successivi hanno dimostrato che si predica bene e si razzola male. 3. Figlio di un banchiere della Goldman Sachs, dopo la laura in economia entra anche lui in banca, dove raggiunge l'alto livello di direttore informatico, ruolo che implica la responsabilità della funzione aziendale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, subalterno solo a quello dell'amministratore delegato. Dimessosi nel 2002 avvia numerose attività finanziarie autonome, alcune delle quali in società con George Soros. La Goldman Sachs è famosa soprattutto per la grande frode dei titoli tossici venduti ai risparmiatori, all'origine della grande recessione iniziata nel 2008. 4. Noam Chomsky, "Democrazia e istruzione. Non c'è libertà senza l'educazione" - Editore EdUP, 2005. (Saggio preziosissimo letteralmente sparito dalla circolazione) 5. Nel 1979 sostenne che il genocidio cambogiano ad opera di Pol Pot fosse una pia invenzione. Parimenti fece con Mao Tse-Tung, allorquando tentò di alleggerire le sue responsabilità per la morte di oltre quindici milioni di cinesi tra il 1959 e il 1962, in virtù della dissennata politica economica, tributando a sfortunate cause naturali la terribile carestia.


POLITICA

E’ ARRIVATO IL GIUSTO TEMPO Molti sono i pericoli potenzialmente mortali, visibili o invisibili, che l'essere umano più o meno consapevolmente affronta da sempre nel corso dell'esistenza, alcuni sono presenti in natura favorendo con il loro ordine naturale il ciclo della vita, altri, diversamente presenti per volontà dell'uomo, possono divenire mezzi di terrore e distruzione o magari uno strumento politicamente utile in mano a chi intenda sapientemente utilizzarli per raggiungere un tal fine. Quanto sotteso spero non appaia come farneticazione di chi scrive ma solo come legittimo dubbio sullo stato delle cose ancorché corroborato non solo dalla natura umana, ma anche da un documento del settembre del 2000 dal titolo Rebuilding America's Defenses - Strategy, Forces and Resources For a New Century, pubblicato a cura di un Istituto di ricerca con sede a Washington dal nome Project for the New American Century tra i cui fondatori spiccano conservatori statunitensi di primo piano quali Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Il documento alla pagina sessanta recita "I sistemi di informazione diventeranno un importante centro di attacco, in particolare per i nemici degli Stati Uniti che cercano di mettere in corto circuito le sofisticate forze americane. E le forme avanzate di guerra biologica che possono "colpire" genotipi specifici possono trasformare la guerra biologica dal regno del terrore in uno strumento politicamente utile." Qual è quindi il fulcro su cui questa forza può facilmente agire e produrre i sui effetti? Direi proprio la paura della morte. Scriveva Seneca, che sul tema molto ha riflettuto, che "Sbaglia chi ritiene che soltanto in mare è minima la distanza che separa la vita dalla morte: è ugualmente breve in ogni posto. La morte non si mostra dovunque tanto vicina: ma dovunque è tanto vicina". Ed ancora nella medesima epistola "La nostra vita è un attimo, anzi, meno di un attimo; ma la natura ci ha schernito dando un'apparenza di durata a questo spazio di tempo minimo: di una parte ne ha fatto l'infanzia, di un'altra la fanciullezza, poi l'adolescenza, il declino dall'adolescenza alla vecchiaia e la vecchiaia stessa". Il perché di questa premessa apparentemente lugubre cercherò di motivarla appresso. Mi trovo a scrivere queste righe quando già da qualche giorno la vita quotidiana di tutti noi è profondamente cambiata, è un periodo di certo determinato ma di cui non c'è certezza alcuna della esatta durata che se pur brutalmente ed obbligatoriamente ci trova confinati nelle nostre case, d'altra parte offre a tutti, avendo bruscamente arrestato i ritmi frenetici cui siamo sottoposti, il tempo per riflettere. Bene, ma riflettere su cosa? È evidente che molteplici sono gli stati d'animo e le prospettive con

19


20

POLITICA

cui si può vivere quanto sta accadendo, ad esempio avendo un genitore moribondo in una struttura sanitaria, COVID 19 a parte, si è impossibilitati a fargli visita per trascorrere insieme gli ultimi istanti della sua vita, o magari chi avendo perso un amato si trova nella impossibilità di dargli nei giusti tempi una degna sepoltura, od ancora chi ridotto in piena povertà ed impossibilitato al lavoro immediato, è privo dei mezzi per far fronte alle primarie necessità proprie ed ancor peggio familiari. Orbene costoro avvertiranno inevitabilmente una compressione inaccettabile della libertà individuale in quanto se pur disposti ad affrontare il pericolo, vuoi per esigenza o per sopravvivenza, sono di fatto impossibilitati a far ciò che devono; parimenti, chi non ha questi od altri problemi avvertirà come primaria necessità quella di tutelare la propria vita e quella dei propri cari accettando di buon grado gli arresti domiciliari a cui di fatto siamo sottoposti, anche perché si riconosce nel prossimo un untore potenzialmente mortale. Qualunque sia il punto di osservazione abbiamo comunque la possibilità di ragionare sul mondo che abbiamo contribuito a costruire e nel quale quotidianamente viviamo. In questi giorni molti coniugi chiusi in casa saranno felici di ritrovarsi più vicini del consueto, altri d'inverso sentiranno le pareti domestiche come sbarre di una prigione; alcuni genitori si troveranno a vivere la prole come un fardello a cui non sono abituati perché molto hanno fatto per allontanarli da se impegnandoli in molteplici attività, altri proveranno felicità a non dover correre tutto il giorno e tutti i giorni riuscendo così maggiormente ad apprezzare i figli e riconoscendo in loro la gioia di essere seguiti con amore e tolleranza; altri ancora si sentiranno annoiati ed inutili perché sono stati privati della possibilità di lavorare, unica fonte di soddisfazione per la loro esistenza. Tutto questo per dire cosa? E' del tutto evidente che la ricchezza del genere umano risieda nelle diversità, di genere, di intenti, di visioni sociali, di identità e di molteplici vie da percorrere per giungere poi alla medesima meta. E' quindi difficile vivere nelle contraddizioni che scaturiscono da pensieri, da esigenze diverse e spesso contrapposte; a questo ruolo sarebbe deputata la politica che è chiamata all'arte del compromesso se non fosse invece intervenuto il cancro del bene del singolo contrapposto a quello della comunità. Se avessimo la predilezione di rimanere umidi nel dubbio piuttosto che asciutti nelle certezze, potremmo ipotizzare che la configurazione dell'attuale unione europea costituisca il nostro male peggiore e che l'austerità richiesta dalle politiche comunitarie sia concepita al solo fine di impoverirci rendendoci schiavi della finanza avendoci essa dapprima scippato la sovranità monetaria e poi la dignità di esseri umani avendoci ridotto a schiavi e consumatori. Era stato detto che questa era cosa buona e giusta, fonte di salvezza, perché la politica doveva rimanere terza alla finanza ed in nome di questa visione è sorta l'austerità in virtù della quale sono stati chiusi in Italia decine e decine di aziende ospedaliere, come ormai da tempo le nominiamo e che guarda caso adesso ci renderebbero non pochi servigi, perché non essendo aziende, anche se in perdita, devono servire la salute dei cittadini. Se non ci ponessimo sotto una bandiera ma fossimo liberi di ragionare, potremmo vedere i nostri politici come pavidi di fronte alle responsabilità cui la morale li vorrebbe sottomessi, invece di essere noi sottomessi ai loro interessi.


POLITICA

Abbiamo bisogno di pensare e di riflettere su tutto ciò che ci circonda, su quanto siamo diventati egoisti, su quanto le comodità e lo scientismo, entrambe nella varie declinazioni, hanno contribuito a rammollirci, su quanto queste comodità ci rendano schiavi nelle mani di chi le controlla e le gestisce. Mi domando quanti oggi sarebbero disposti a perdere la vita per l'amore della libertà altrui e per il diritto ad eleggere i rappresentanti. Quanti, presenti all'appello, hanno applaudito medici, infermieri ed operatori sanitari esposti in prima linea perché intimamente non sono disposti a fare ciò che loro fanno quotidianamente e per libera scelta. Concludo questa riflessione continuando a far parlare Seneca: "Che devo fare? La morte mi incalza, la vita fugge. Insegnami come affrontare questa situazione; fa' che io non fugga la morte, che la vita non fugga me. Incoraggiami contro le difficoltà, contro i mali inevitabili; prolunga il poco tempo che ho. Insegnami che il valore della vita non consiste nella sua durata, ma nell'uso che se ne fa; che può accadere, anzi accade spessissimo, che chi è vissuto a lungo è vissuto poco." Andrea Torresi

21


22

POLITICA

IL NUOVO TOTALITARISMO ED IL CONTROLLO DELLE MENTI Oggi viviamo all'interno di un sistema totalitario di nuovo tipo. Il potere politico non ha più bisogno di apparati di forza visibili, militari e polizieschi: è il controllo delle menti a fornire il dominio sulla realtà e sull'individuo! Altro dato del quale tenere conto è la forte dequalificazione dell'idea che sta alla base di questo "nuovo totalitarismo", rispetto a quelli novecenteschi. Opinabili o meno, nel bene e nel male, fascismo e comunismo mettevano al centro del loro sistema delle grandi tensioni morali e ideali (es. il rilancio dell'Europa moderna alla luce del suo spirito e delle sue tradizioni; la lotta per società eque, guidate da un principio di giustizia). Invece, il totalitarismo attuale si riduce ad una caricatura dello stesso pensiero liberale, di cui si fa portatore, e del quale prende in prestito alcuni postulati, assolutizzandoli e dispiegandoli in maniera totalitaria (es. l'individuo sciolto da ogni vincolo comunitario; la cancellazione delle sovranità politiche, nazionali e identitarie a vantaggio dell'economia totale; la chiusura con ogni possibilità valoriale spirituale, in nome della fluidità e della leggerezza del potere dell'Io). Strumento di questo sistema di nuova forma è il "politicamente corretto". Il politicamente corretto è ben più dell'educato rispetto nei confronti di una minoranza portatrice di diritti. E' una forma mentis, un meccanismo di divieti intellettuali, di censura interiore di questo o quel pensiero, questo o quell'atteggiamento che diverga dai canoni del più generale calderone ideologico detto "pensiero unico". Ecco che sulla questione immigrazione non si può avere un'idea differente dall'accoglienza a oltranza. Non si può vedere la storia, e proprio quella del novecento, in maniera diversa dalla vulgata ufficiale. Non si può avere una concezione del mondo che esca dall'impostazione progressista e positivista. Non si può concepire la relazione tra sessi non in base al modello egualitaristico uomo/donna (es. la complementarità). Ma il politicamente corretto, e il suo sistema di divieti e censura della pubblica espressione, ha anche uno speciale gendarme: lo psicopoliziotto! Una figura che viene fuori dal romanzo di Geroge Orwell 1984, e che coglie a pieno le sfumature del nuovo congegno di repressione adottato dalla "struttura di potere" da me brevemente descritta. Egli è il sanzionatore massimo di tutto ciò che esce fuori dal recinto! Ed è perlopiù l'uomo comune, quello della strada, un individuo nel quale i livelli di "penetrazione coscienziale" dei postulati del pensiero unico è molto alta. Di conseguenza, per un gioco di reazioni psicologiche


POLITICA

più o meno inconsapevoli, in lui scatta la reazione immediata verso coloro che non ne sono presi. Tipico dello psicopoliziotto, è l'attacco a mezzo internet contro il bersaglio del suo maledire psico-ideologico, e tipico è anche prendersela con il suo prossimo (parente, amico, conoscente). Quest'ultimo è una specie di obbiettivo facile, qualcuno contro cui sicuro ci si può sfogare, proprio per via della conoscenza e dell'assenza dell'opportuna reazione. Nei casi rilevanti di censura "politicamente corretta", dal punto di vista storico-politico, vi è l'accanimento oltre modo verso tutte quelle idee, personaggi, informazioni, manifestazioni politiche e di pensiero giudicate "non conformi". Casi che partono dai nostrani attacchi ad alcune case editrici (Altaforte al Salone del libro di Torino lo scorso maggio), fino a situazioni sconcertanti di livello mondiale e più di tipo politico (la prigionia del giornalista Julian Assange che ha fornito importanti chiavi d'accesso ai segreti del potere democratico americano e del Deep State). Campo importante dove si gioca la battaglia della libertà d'espressione è il mondo "pseudo culturale" e accademico progressista, nazionale e non. Una vera "truppa armata" dell'ideologia dominante. Nel gennaio 2018 la solita cricca di accademici detentori del sapere si era opposta a un convegno, alla Sorbona di Parigi, che vedeva la presenza del filosofo Diego Fusaro e del sociologo Michel Maffesoli. Altro caso, nel febbraio 2018, alla Feltrinelli, quando viene inizialmente impedito un dibattito sul significato di "destra" e "sinistra", che vedeva la presenza di Alain de Benoist. L'iniziativa, era stata "scomunicata" da una petizione rivolta a Spartaco Puttini, coordinatore dell'Osservatorio sulla democrazia della Fondazione Feltrinelli. A firmare la lettera un gruppo di ricercatori dal dubbio curriculum professionale, ideologico e politico. Questi come risposta proponevano, aspetto interessante, un bel convegno sulla Militant Democracy, una dottrina tedesca degli anni '30. La Militant Democracy, termine coniato da Karl Lowenstein nel 1937, affermava che una democrazia dovesse proteggere sé stessa limitando i diritti di coloro che la contestano, pure le decisioni della maggioranza popolare, anche se non necessariamente con mezzi violenti. Una teoria, come l'antifascismo, presa in prestito dalle attuali élite e da quel ceto di privilegiati e radical chic dei salotti bene e dell'intellettualismo metropolitano, ai quali la struttura di potere concede i benefici di una vita agiata in cambio della cortigianeria. Collante ideologico-politico di questo blocco di potere è la "nuova socialdemocrazia totalitaria". Questa - in virtù di determinate diramazioni del marxismo scorporate dell'aspetto "rivoluzionario" (es. scuola di Francoforte e trotzkysmo), di certe tendenze liberal o "pseudo libertarie" (edonismo di massa), e di tutta una strategia di inserimento nelle vita pubblica fatta di raccomandazioni, clientele e attività di lobbying - censura e amministra sia in senso politico, che ideologico e culturale la libera espressione di idee e informazioni "divergenti", e le manifestazioni di correnti di potere di nuovo tipo (es sovranismo e populismo). Roberto Siconolfi

23


24

GEOPOLITICA

LO SPORT PREFERITO DAI DEM USA: FARSI MALE DA SOLI Joe Biden ha dichiarato che, in caso di vittoria alle primarie del partito democratico, sceglierà una donna come possibile vice-presidente. Il suo rivale interno, Bernie Sanders, ha subito replicato che anche lui potrebbe optare per tale soluzione. Ora, a prescindere dal fatto che la sfida tra i due vegliardi appare semplicemente patetica, dal momento che Trump sarà rieletto alla grande senza nemmeno sforzarsi più di tanto, analizzare le fenomenologie comportamentali dei democratici risulta molto interessante dal punto di vista sociologico: la loro propensione all'autolesionismo, infatti, assume caratterizzazioni paradossali. Sembra quasi che la lezione del 2016 non abbia insegnato nulla: Trump vinse "anche" perché aveva una donna come rivale e gli Stati Uniti non sono ancora pronti a vedere una donna alla Casa Bianca, sia pure nell'insignificante ruolo di vice-presidente. Il regista Rod Luire lo ha spiegato egregiamente nel film "The contender", attualissimo nonostante siano trascorsi venti anni dalla sua uscita: morto il vicepresidente, il presidente in carica sceglie una senatrice per la sua sostituzione, scatenando un putiferio e una forte campagna destabilizzatrice, pregna di colpi bassi, da parte di un establishment che di donne al potere proprio non vuole sentirne parlare. Nel film tutto finisce a tarallucci e vino: i cattivi vengono puniti e la senatrice, dopo aver subito un vero e imbarazzante processo perché accusata di aver praticato una fellatio a un collega ai tempi dell'università (non era vero, ma se anche lo fosse stato?), assurge al ruolo. Chiunque dei due sfiderà Trump, tuttavia, perderebbe le elezioni anche senza questo nobilissimo proposito, reso infausto dal livello della società statunitense, le cui mediocri peculiarità sono state più volte trattate in questo magazine. (In particolare vedere l'articolo a pagina 28 del numero 48, ottobre 2016: "Bye Bye american dream"). Il partito democratico, infatti, per quegli arcani misteri che regolano le leggi della politica - vincere è importante ma solo se non vince qualcuno che intenda realmente operare per il bene comune - ha fatto a meno da tempo dell'unico uomo che potrebbe seriamente contendere la "leadership" di Trump (si fa per dire: è davvero caduta in basso, la leadership, negli ultimi tempi, un po' dappertutto), ossia Al Gore, che - è bene ricordarlo - è ancora relativamente giovane, almeno rispetto ai due contendenti (è nato nel 1948); è stato membro del Congresso per venti anni, vicepresidente degli USA per otto anni e nel 2000 sarebbe diventato presidente senza gli imbrogli elettorali perpetrati in Florida dal governatore Bush, fratello del famigerato George, candidato alla presidenza. In pratica il presidente perfetto per gli USA e anche per il resto del mondo: colto, raffinato, con pregnante esperienza politica, attento alle esigenze di chi non sappia correre a trecento all'ora, contrario


GEOPOLITICA

all'uso indiscriminato delle armi, ambientalista convinto e fautore di una sana igiene alimentare, tutte caratteristiche, però, che lo rendono inviso alle lobby e ai potentati economici e ciò chiude ogni discorso. T.I.A, si dice nell'upper west side di N.Y. (This is America). Un'America alle prese con il coronavirus, sottovalutato per molto tempo, e con un sistema sanitario che fa acqua da tutte le parti, impossibilitato a fronteggiare un'emergenza che dovesse coinvolgere gran parte della popolazione. Di fatto negli USA non esiste un sistema sanitario pubblico: ci aveva provato Obama a realizzarlo e per poco non lo linciavano. La tutela della salute è una prerogativa dei ricchi, essendo predominante negli USA il principio della "selezione naturale" sancita dal dio denaro e chi non possa permettersi le costose cure sanitarie non è un "degno" cittadino americano e quindi può anche sloggiare o morire: nessuno sentirà la sua mancanza. Stando a quanto si apprende da fonti autorevoli, negli USA servirebbero almeno tre milioni di posti letto per la terapia intensiva, ma ne sono disponibili solo 45mila. Un tampone per appurare l'eventuale infezione da covid 19 può costare dai mille ai quattromila dollari, cifra che non tutti possono permettersi. Se si calcola che ben trenta milioni di statunitensi sono privi di assicurazione sanitaria, si può ben immaginare la portata del vulcano che potrebbe esplodere da un momento all'latro, in mancanza di drastici e immediati correttivi. Il 30% dei lavoratori statunitensi non beneficia di retribuzione in caso di malattia e ciò fa lievitare sensibilmente i problemi nei momenti difficili, come quello attuale. Solo a partire dal 16 marzo le scuole sono state chiuse a New York e 1.200mila studenti resteranno a casa fino al 20 aprile. Mentre scrivo questo articolo non è dato sapere se analoghi provvedimenti saranno adottati anche altrove, ma è lecito presumere sì e ciò saràigiene fonte di spirituale ulteriori problemi, dal momento che la maggior parte audacia di temeraria dei genitori che lavorano non può permettersi l'assistenza all'infanzia. È stata proprio questa ragione, del resto, che ha indotto le autorità a ritardare il provvedimento: per molti bambini l'unico pasto quotidiano è quello possibile a scuola. Che ne sarà di loro, ora? Chi si prenderà cura di loro mentre i genitori sono al lavoro? Cosa e come mangeranno? La società americana è una società malata perché intrisa di tutti i nefasti miti del più becero capitalismo, nato male e poi degenerato verso le squallide formule praticate nei dorati palazzi della finanza, dove le leggi di una sana economia non sono sistematicamente violentate, determinando la triste condizione stancamente e inutilmente dibattuta in ogni convegno sul mondialismo: ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Ogni ciclo, tuttavia, è destinato a esaurirsi e qualche cosa, prima o poi, dovrà accadere anche negli USA. Speriamo presto, perché i problemi interni degli USA riguardano il mondo intero. Lino Lavorgna

25


26

SOCIETA’

I GIOVANI IDIOTI Nei giorni precedenti al decreto governativo che ha trasformato l'Italia in zona rossa, per l'emergenza del covid 19, le scellerate immagini dei giovani intenti a celebrare i soliti riti orgiastici della movida, l'uno addosso all'altro, hanno generato non poco sconcerto. Non sono mancate le trasgressioni nemmeno a decreto pubblicato, nonostante le pesanti sanzioni. Al netto di quella minoranza che, al di sotto dei trenta anni, è capace di cambiare il mondo, eccelle in campo scientifico, culturale, artistico, sportivo, i giovani di oggi, in massima parte, hanno perso l'occasione per guadagnarsi rispetto, dimostrando tutta la loro fragilità, inconsistenza, ignoranza, stupidità. Elementi, del resto, che ben traspaiono, e non da poco tempo, dai tanti social sui quali riversano le loro sconclusionate visioni del mondo. Si dice che i confronti generazionali siano inopportuni perché occorre contestualizzare le varie epoche, ciascuna con le proprie peculiarità, non comparabili alle altre. È senz'altro vero, ma la grave contingenza che stiamo vivendo consente senz'altro un'eccezione, anche se per conferire degna pregnanza sociologica all'analisi si dovrebbe in primis porre in risalto le fenomenologie sociali alla base dei comportamenti registrati nelle varie epoche, la qual cosa attiene più a un saggio che a un articolo. Limitiamoci, pertanto, a registrare esclusivamente il sostanziale mutamento comportamentale avvenuto nell'ultimo trentennio, senza andare troppo indietro nel tempo per evocare gli eventi legati al Risorgimento e alle due guerre mondiali, sicuramente ignorati dalla stragrande maggioranza di quei giovani per i quali l'unica cosa importante è sballarsi nei locali, anche in tempo di guerra, perché quella che stiamo combattendo è una guerra. I giovani nati negli anni quaranta, cinquanta e per buona parte anche negli anni sessanta, indipendentemente dalle idee politiche praticate, maturavano in fretta (ovviamente fatte le debite eccezioni, perché non si deve mai generalizzare in un senso o nell'altro) e riuscivano ad armonizzare in modo equilibrato studio, impegno sociale e divertimento. In tanti, a 18-20 anni, con mansioni direttive nei vari movimenti politici in forte contrapposizione, erano responsabili della "vita" di migliaia di coetanei. Quello che è accaduto e in parte sta ancora accadendo fa venire il voltastomaco. Genitori affranti hanno raccontato di furiosi litigi con figli che non ne volevano sapere di restare a casa, come ampiamente dimostrato, del resto, dai servizi televisivi e dalle tante foto reperibili nei socialmedia. Il famoso stilista Renato Balestra, intervistato in TV, ha dichiarato che a Fregene, durante il week end 7-8 marzo, vi erano migliaia di giovani, manco fossimo stati in piena estate e in tempi tranquilli.


SOCIETA’

Non serve, come spesso accade, dare la colpa ai genitori per le manchevolezze dei figli. L'eccessivo permissivismo sicuramente è da condannare, ma alla fine ciascuno è responsabile delle proprie azioni e coloro che non sono stati capaci di imporsi autonomamente dei limiti possono solo essere definiti "irresponsabili" e anche peggio. Basta frequentare alcuni "gruppi" settoriali su Facebook, in particolare quelli legati alla movida e alle crociere, per visionare i deliranti commenti che si leggono, solo di poco ridottisi negli ultimi giorni: la vacanza e il divertimento sono al primo posto nei pensieri dei più! Egregi giovani, avete perso l'occasione che la caducità della vita vi ha offerto per guadagnarvi rispetto. Dovrete lavorare non poco, nei decenni a venire, per farvi perdonare. E non è detto che ci riusciate. Intanto provate almeno a vergognarvi. Lino Lavorgna

27


28

CULTURA

UNA RIFLESSIONE SUI VALORI PERENNI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS A proposito della crisi valoriale nella quale la civiltà occidentale è precipitata come in un pozzo senza fondo, quante volte ci siamo chiesti: "ma quand'è che tutto è cominciato?". La risposta immediata sarebbe: "leggi Oswald Spengler e tutto ti sarà chiaro". Tuttavia, il senso di perdita di un orizzonte entro il quale sentivamo di potere coltivare non soltanto dubbi ma anche certezze ci ha progressivamente travolto. Abbiamo smarrito le coordinate di rotta che avevamo pensato, a torto o a ragione, ci avrebbero condotti indenni al traguardo del percorso esistenziale. Come difendersi? Cercando la chiave perduta. Non un'esotica immersione nel mistero ma una convinta presa di coscienza delle verità indicateci dalla esperienza sapienziale, diversa e non sovrapponibile a quella intellettuale. Bisogno di connotazioni alternative? Niente affatto. Soltanto sana resilienza alla estraniazione dalla Tradizione a cui la cultura dominante del progressismo prova a costringerci nostro malgrado. Già, nostro malgrado. Perché, sebbene il mainstream del politicamente corretto lo abbia giudicato eretico, irrazionale, blasfemo, reazionario, siamo convinti invece che uno spazio di pensiero divergente, ideato per nutrirsi della Conoscenza ispirata dagli antichi valori, quelli perenni che discendono in linea diretta dagli archetipi sui quali è fondata la nostra ultramillenaria civiltà, sia ancora possibile. Esiste un diritto innato nell'uomo superiore a perseguire la strada eroica della verticalità spirituale, che non piacerà agli adoratori dell'iconoclastia consumistica. E che come ogni percorso stretto, e in salita, non consente affollamenti. Bisogna fare selezione. Accettare il fatto che la massa, impegnata a galleggiare nel flusso della società liquida, non potrà mai accedervi e che a causa di tale inemendabile condizione sarà sempre pronta a denigrare coloro che, al contrario, quel percorso lo cercheranno e lo affronteranno. Elite? La si potrebbe definire così se non fosse che la categoria concettuale, di recente, è molto inflazionata. Meglio sarebbe se ci limitassimo a definirla minoranza combattente nel metafisico, con uno spiccato senso dell'appartenenza; con un'identità autonoma che custodisce la combinazione per decrittare i codici del reale e del divino. Ecco allora che la domanda posta in incipit trova diritto di quartiere nelle pagine di questa rivista di cultura. Essa contiene la risposta a un'istanza incognita di Conoscenza, di critica a un divenire "contra deum" della Storia, di ricerca del perché di una degradazione della sostanza spirituale dell'Uomo a beneficio del materialismo vorace di un'arrembante indistinta umanità, bramosa di


CULTURA

imprecisate pretese di rivalsa. L'auspicio è che il lettore la colga, senza pregiudizi. E con animo sereno. ***** Qualche tempo fa, quando si era all'inizio della diffusione del Coronavirus, un'amica con la quale intrattengo un rapporto epistolare mi scrisse a proposito di una considerazione che le era venuta di fare sul declino spengleriano dell'Occidente. In chiusura sollecitava una mia risposta. Che non si è fatta attendere, visto che ho trovato la sua riflessione estremamente stimolante. Dopo lo scambio epistolare, la mia amica ed io abbiamo convenuto di rendere pubblico il carteggio per un motivo intuibile: immaginando il dialogo avviato come la testa di un treno, abbiamo pensato che altri vagoni si potessero aggiungere, strada facendo, al nostro input. Perché è così che una via tradizionale tiene accesa la fiamma che la illumina: passando di mano in mano, di testa in testa, di cuore in cuore. Di parola in parola. Da questo punto pensieri, inizialmente privati, non appartengono più a chi per primo li ha squadernati ma vengono offerti a chiunque abbia voglia e passione per riprenderli e arricchirli. ***** Carissimo C., Tantissimi anni fa, parlando sulla metro B (di Roma) in rifacimento con ...omissis..., un collega sociologo scomparso prematuramente in un incidente di moto, ebbi modo di dire che il decadimento della nostra società era cominciato con la declassazione del latino a "lingua morta". Da lì, con cadenza lenta ma costante, siamo passati ad osservare con occhi insofferenti, quando non cattivi, il naturale incanutimento umano, il declino della fisicità tonica nei maschi, il deterioramento della bellezza femminile, il degradamento cognitivo e via discorrendo. Niente pietas, figuriamoci… Fino ad allora, al declassamento del latino, l'anziano in casa (e chi non ne aveva uno?) era considerato più un monumento che un ingombro, uno che dispensava saggezza, che aveva attraversato indenne la vita e che ora la filtrava alla luce dell'esperienza personale: aveva un suo perché fino a ottant'anni e oltre e non era permesso ai giovani il dileggio, giacché l'età di mezzo avrebbe stroncato sul nascere, con le buone o con le cattive, il minimo tentativo. Magari anche allora non piaceva invecchiare, però un ruolo nella società, nella famiglia, non te lo toglieva nessuno. Che ne pensi? ***** Carissima A., Se fosse toccato a me comporre, in uno di questi giorni bui, il titolo d'apertura del giornale per cui scrivo, l'avrei fatto così: "Coronavirus. Trovato il paziente zero: è l'Inps". Già, perché dalla macabra contabilità delle morti, sulle quali si sono avventati improbabili "esperti" azzeccagarbugli che hanno cavillato sul "morto con..." o "morto di...", il dato che balza agli occhi

29


30

CULTURA

è quello del risparmio per l'Istituto di previdenza nel dover pagare meno pensioni grazie al Coronavirus. Disgusterà, ma è questa la narrazione strisciante che si sposa con lo Zeitgeist, lo "Spirito del tempo". Nella società che corre, che brucia sul momento sentimenti, passioni, conoscenze, la categoria anagrafica dei vecchi non trova collocazione. Per andare veloci non si possono trascinare zavorre e gli over 70 lo sono, almeno nel percepito dalle generazioni che hanno raggiunto un approdo alla stabilità economica e un sicuro status sociale-relazionale. Che poi sono i componenti dei cosiddetti ceti medi garantiti. La medesima cinica pulsione, invece, non appartiene a quegli ampi segmenti di ceti produttivi tradizionali e popolari, i vinti dalla globalizzazione, per i quali i vecchi assicurano sostegno finanziario al welfare familiare. In soldoni, sono i "nonni" e le "nonne" che si offrono con le loro scarne pensioni e la loro efficienza organizzativa ad attenuare l'impoverimento al quale quei ceti, emarginati dai processi produttivi ordinati dalle nuove frontiere delle "smart technologies" e dalla robotica, sono stati condannati. Per la qual cosa, l'evento della morte dell'anziano parente, in determinati contesti familiari, si traduce in un dramma non solo affettivo ma anche economico. Tuttavia, nell'idem sentire della post-modernità, la vecchiaia resta un peso, una pietra d'inciampo, un costo per gli attivi al lavoro. Basta ascoltare il refrain dei soliti economisti che un giorno sì e l'altro pure vanno in televisione a spiegarci quanto non sia più sostenibile il sistema pensionistico. C'è un non detto nelle parole di costoro che tradisce il riaffiorare di una forma essa sì virulenta di razzismo che è il darwinismo sociale. Il concetto nella sua intrinseca brutalità è fin troppo semplice: se una comunità non ha risorse sufficienti per assicurare a tutti i suoi membri un adeguato benessere è opportuno che gli anelli più deboli della catena tolgano il disturbo. Dal momento ché nella nostra ultramillenaria cultura di radice giudaico-cristiana sopravvive il tabù della selezione procurata della specie, si fa il tifo neanche troppo celato perché la natura trovi da sé i mezzi per riequilibrare l'ecosistema. E per raggiungere lo scopo una pandemia è lo strumento principe, alla luce della minorata capacità della specie umana di autoselezionarsi per il tramite delle guerre. Nessuno stupore, dunque, nell'ascoltare dai media commenti del tipo: "sono morti, ma erano ultrasettantenni e ultraottantenni". Come se su ogni individuo un qualche Dio del Progresso avesse apposto una data di scadenza. Come su un vasetto di yogurt. Ma se è orribile vedere troncata un'esistenza ancora in tenera età, perché dovrebbe essere diverso per quella di un vecchio? Non lo sarebbe se non fossero veri e concretizzati i presupposti di un fattore ideologico del tipo di quelli che ho prima rappresentato. Ci sono responsabili per una tale condizione del nostro presente? Certamente sì. I primi indiziati sono i fautori del progressismo nel divenire della Storia. Lo sviluppo lineare della condizione umana, professato dagli adepti di un pensiero tanto velenoso, si proietta all'infinito. Ma per progredire deve liberarsi del passato. Che siano cose, modi di essere, comportamenti, storie individuali o collettive, persone, istituti comunitari, gerarchie familiari e sociali poco importa: ciò che è stato deve essere sepolto nella memoria remota dalla quale nulla deve riemergere che possa recare danni o intralci alla


CULTURA

ancestrale aspirazione dell'individuo o della società alla quale egli appartiene a dominare il Creato in una escatologia laicista dei destini ultimi dell'umanità. L'opportuna osservazione che hai esposto sulla declassificazione del latino a lingua morta è uno dei sintomi di ciò che personalmente giudico il male dell'Uomo del nostro tempo. Più in generale, si tratta della negazione perseguita con metodi distruttivi di precisione scientifica, dell'annullamento del peso della Tradizione nella vita quotidiana. Non è questione dell'oggi. Il processo di confutazione degli archetipi che hanno cementato le fondamenta delle comunità umane evolute comincia dall'età dei Lumi e dalla Rivoluzione francese. La demolizione dei modelli sociali tracciati sulle concatenazioni gerarchiche discendenti, dall'alto verso il basso in una sorta di piramide simbolica nella quale ogni individuo poteva trovare la giusta collocazione in ragione della propria condizione sociale e delle proprie qualità, ha portato gradualmente a una riconfigurazione organizzativa delle comunità umane su un piano orizzontale, apparentemente paritario dove la verticalità del potere è stata surrogata dallo sviluppo lenticolare di poteri diffusi ma scarsamente o per niente visibili dai punti d'osservazione posti sul medesimo piano fisico. La figura dell'anziano nel suo ruolo di capofamiglia, depositario della sacralità delle gerarchie claniche salvaguardate nella successione delle generazioni, che tu evochi, è crollata quando si è portato a compimento l'attacco ai valori perenni sui quali è stata incardinata la civiltà occidentale dalle origini. Su questo fronte, molto ha fatto il Sessantotto. La famiglia tradizionale, con le sue dinamiche pedagogiche di potere e di controllo, è stata la prima vittima illustre di quella stagione rivoluzionaria, ma non l'unica. La scuola, la religione, l'identità separata di genere, la Morale, la scienza, sono state terremotate e ricostruite seguendo un paradigma fallacemente laico, libertario ed egualitario. Ma come sovente accade agli umani, anche le correnti di pensiero più impegnate nella costruzione di una Weltanschauung progressista finiscono con il fare i conti senza l'oste. E, come direbbe Pier Luigi Bersani in una delle sue fantastiche iperboli, la mucca nel corridoio che ha ostruito la via dell'egemonia culturale assoluta ai progressisti è stata l'avvento della globalizzazione economica che, nel volgere di un tempo brevissimo, ha accentuato, modificandone la mappatura genetica, la mutazione della società da solida in liquida. La definizione non è mia, ma di Zigmunth Bauman. La presa di potere del consumismo ha fatto il resto. La cifra di questo tempo storico è la contrazione dei cicli di vita, prima degli oggetti, poi degli insiemi umani, e oggi dei singoli individui. È di tutta evidenza che se uno smartphone ha una vita di qualche anno il termine della quale è scandito dalla comparsa sul mercato di un apparecchio in tutto simile al precedente ma con maggiori funzioni; se una normale lavastoviglie non dura quanto i modelli in voga trenta anni orsono; se un'azienda trattiene la sua produzione su un territorio per un tempo limitato, al contrario delle imprese dei secoli scorsi che patrimonializzavano come componente immateriale del profitto il radicamento presso le comunità locali nelle quali sorgevano gli impianti produttivi; se la finanziarizzazione dei mercati grazie alle nuove tecnologie consente transazioni senza limiti di spazio in tempo reale, come promette di fare la struttura digitale del blockchain; se le catene distributive, estese a tutto il globo, sono in grado di rigenerarsi senza soluzione di continuità, finisce con l'essere quasi

31


32

CULTURA

scontato che anche i tempi di vita degli esseri umani debbano conciliarsi con la durata dei loro cicli produttivi. Alla luce delle considerazioni che ho esposto è legittimo chiedersi se sia possibile fermare la ruota panoramica e tornare indietro. Non credo che ciò possa avvenire. In compenso, da uomo della Tradizione devoto alla visione circolare, meglio dire ellittica, della metastoria di una parte (superiore per diritto di natura) dell'umanità faccio conto sulla limitatezza di questa oscura Età del Ferro in cui siamo sprofondati. Seguendo le orme del venerato maestro Julius Evola, osservo i segnali che indicano un'accelerazione del tempo con l'avvicinarsi del Kali Yuga, l'evento catastrofico finale che non darà luogo a una consolatoria "metafisica dei vinti" ma a una palingenesi spirituale, a una nuova partenza da un diverso Eden. Ci sarò? Ci saremo? Non è questo che deve preoccuparci. La sostanza materiale di noi certamente non vedrà quei tempi eroici. Ma li vedranno i nostri spiriti immortali. Si tornerà a parlare latino. I vecchi riprenderanno posto sugli scranni della saggezza. E si faranno beffe dell'Inps. E questi nostri giorni bastardi saranno ricordati per ciò che sono: notte dello spirito, buia, senza aurora. Anna La Rocca - Cristofaro Sola


CULTURA

PILLOLE DI STORIA: IL SUPERCAPITALISMO 1

Nel suo saggio sulla "glebalizzazione" Diego Fusaro si chiede se la dittatura del mercato non sia diventata schiavitù di pensiero, quale sia la lotta di classe al tempo del populismo e se esso riuscirà a riaccendere la lotta contro il capitale. Con una sorprendente lucidità di pensiero l'autore ci offre una disanima completa dei momenti più interessanti dell'attuale società, inducendomi a rivedere aspetti della storia, indicativi e interessanti per quello che fu definito il "supercapitalismo". Già nel 1933 erano state previste le follie del capitalismo finanziario e del consumismo, anticipando i temi di cui dibattiamo oggi: il mondialismo; la globalizzazione che omologa modi di vivere, di vestirsi, di pensare, di agire. Tutto standardizzato, tutto uguale, le diversità e le specificità nazionali negate. La globalfinanza era definita "super capitalismo", così definito da Benito Mussolini: "Il supercapitalismo trae la sua ispirazione e la sua giustificazione da questa utopia: l'utopia dei consumi illimitati. L'ideale del supercapitalismo sarebbe la standardizzazione del genere umano dalla culla alla bara. Il supercapitalismo vorrebbe che tutti gli uomini nascessero della stessa lunghezza, in modo che si potessero fare delle culle standardizzate; vorrebbe che i bambini desiderassero gli stessi giocattoli, che gli uomini andassero vestiti della stessa divisa, che leggessero tutti lo stesso libro, che fossero tutti degli stessi gusti al 2 cinematografo, che tutti infine desiderassero una cosiddetta macchina utilitaria" . La omologazione mondialista, bisogna dirlo, a Mussolini sembrava un progetto monopolista globale e mostruoso, frutto dell'avidità della borghesia. Nel 1938 di fronte all'egoismo e alle infamie della borghesia si sfogò con il genero Galeazzo Ciano con queste parole: "Se quando ero socialista avessi avuto della borghesia italiana una conoscenza non puramente teorica quale dettata dalla lettura di Karl Marx, ma una vera nozione fisica quale ho adesso, avrei fatto una rivoluzione così spietata che quella del camerata Lenin sarebbe stata al confronto uno scherzo innocente". Il socialista riformista Luigi Salvatorelli, che del fascismo dava una lettura contrastante con quella tradizionale della sinistra, scriveva che: "[…] un trionfo del nazionalfascismo non si può concepire se non come una rovina della civiltà capitalistica, alla quale noi non crediamo". Per il marxismo, il capitalismo rappresenta una fase di sviluppo e trasformazione della società. Per i fascisti rappresentava invece un modello economico e sociale che andava respinto e bloccato nel suo sviluppo. Come? Controllando la Banca Centrale e i maggiori istituti di credito e quindi avendo il potere di decidere sulla emissione della moneta; dando spazio al credito cooperativo

33


34

CULTURA

legato alla piccola e media industria, favorendo il ruralismo con politiche di sostegno all'impresa contadina e la lotta al latifondo; nazionalizzando banche e industrie strategiche, facendo crescere le garanzie dello stato sociale. Nel 1945 lo Stato controllava metà dell'economia nazionale. Il miracolo economico degli anni cinquanta nacque anche da quell'assetto produttivo e bancario. Tanto è vero che, con l'irrompere dell'antifascismo istituzionale, il Paese nei decenni successivi smontò pezzo per pezzo tutto l'edificio economico costruito negli anni trenta. Va anche detto che il ruralismo del regime fascista puntava all'auto sufficienza alimentare (autarchia) come uno dei cardini dell'indipendenza del Paese, unitamente alla nascente industria chimica e alla difesa del lavoro italiano. Qui non si tratta di nostalgismo o di tentare impossibili recuperi. Si tratta di capire che i guasti del capitalismo finanziario, dell'iperconsumismo e dell'avidità di una borghesia senza valori, erano già stati previsti poco meno di un secolo fa e che dalla crisi dei nostri giorni si può uscire soltanto con il controllo della moneta da parte dello Stato e dall'intervento di quest'ultimo nell'economia. Roosevelt, e Mussolini prima di lui, avevano intuito quale fosse la via di uscita dalla crisi. Sono i nostri governanti ad essere fuori da ogni logica di mercato, che dovrebbe avere nuove regole e sgomberato dalla speculazione parassitaria. Michele Falcone

NOTE 1. Diego Fusaro; Glebalizzazione - La lotta di classe al tempo del populismo - Rizzoli Editore, 2019 2. Benito Mussolini - Estratto del discorso all'assemblea del Consiglio Nazionale delle Corporazioni - 14 novembre 1933.


CULTURA

UN FIORE ANCHE PER LORO Tra i fascisti catturati dai partigiani, erano le donne a suscitare i peggiori istinti. Per la sola colpa di essere mogli, figlie, sorelle o fidanzate di combattenti fascisti, o di aver vestito la camicia nera, erano spesso violentate e uccise da queste belve assetate di sangue e accecate dall'odio ideologico e certe dell'impunità. I sovietici pagarono un altissimo contributo di sangue per la sconfitta tedesca nel corso della seconda guerra mondiale, ma questo non li assolve per gli stupri di massa contro le donne tedesche. Donne di qualunque età erano sistematicamente violentate e spesso uccise dai soldati sovietici o si tolsero la vita per la vergogna. Il compito di superare le difese tedesche, che nel Lazio ostacolavano l'avanzata alleata, fu affidato alla soldataglia marocchina inquadrata nell'esercito francese. Il premio fu la libertà di stupro. Neppure le bambine si salvarono da quella che passò alla storia come "marocchinate". Gli americani, sfruttando lo stato di estrema povertà della popolazione italiana stremata dalla guerra, pagavano con una tavoletta di cioccolata il corpo di una donna costretta a vendersi per sfamarsi. L'8 marzo è la festa delle donne, anche loro meritano un fiore. Gianfredo Ruggiero

35


36

DA LEGGERE


DA LEGGERE

37


38

EUROPA

Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.