Confini 82

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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

MATRIMONIO ALL’INGLESE

Numero 82 Febbraio 2020


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Confini Webmagazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 82 - Febbraio 2020 Anno XXII

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato: Gianni Falcone Roberta Forte Giuseppe Iacono Pierre Kadosh Lino Lavorgna Pietro Lignola Sara Lodi Gustavo Peri Antonino Provenzano Angelo Romano Gianfredo Ruggiero Cristofaro Sola +

Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone e Sara Lodi

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EDITORIALE

UEXIT Gli inglesi non mi sono mai stati simpatici. Per la tremenda spocchia. Per lo snobismo esagerato che li porta ancora a gloriarsi dell'impero perduto, per la cattiveria mostrata nel caso delle Malvine che sono Argentina, perché si ostinano a presidiare Gibilterra come se non fosse spagnola, per l'opportunismo che li ha contraddistinti nelle relazioni con l'Unione Europea, per il pesante sfruttamento e giogo imposto alle loro ex colonie. Per essere stati gli inventori dell'utilitarismo ed aver fatto assurgere l'egoismo a pilastro del mondo moderno. Per aver esaltato l'economia della scommessa e il dio mercato. Li ho detestati da quando una delle mie figlie mi portò a casa un suo boy-friend, fortunatamente molto passeggero, di pura razza inglese. Per poco non finimmo subito alle mani perché, pur di non ammettere una marchiana sconfitta al gioco delle bocce, cominciò ad inventarsi le regole del gioco. Salvando però Shakespeare, Keats, Eliot, Milton, Shelley, Blake, Bacone, Occam, B. Russel come logico-matematico, Whitehead, Bell che si naturalizzò negli Usa, Beckett e pochi altri. E poi quell'orribile lingua che ha preso il posto dell'esperanto e del dolce latino..... una lingua irrazionale come le loro misure fatte di pollici, libbre, yarde e pinte, irrazionale come la guida a sinistra. Per il solo fatto di averli sconfitti mi sono simpatici gli americani e gli indiani, anche se con la resistenza passiva. E pure Giovanna D'Arco. Chiariti i miei personali pregiudizi, possiamo cominciare a discettare sulla Brexit. Il fatto che abbiano sbattuto la porta in faccia alla UE non mi dispiace, spero lo facciano anche scozzesi e irlandesi nei loro confronti. Purtroppo il male delle guerre non sta solo nel farle, ma nelle loro conseguenze che si fanno sentire a lungo nel tempo. Usa, Russia, Inghilterra vinsero l'ultimo conflitto mondiale ai danni di un'Europa distrutta, accomunata solo dalla devastazione. Germania, Francia, Italia, Polonia, Paesi Bassi, Grecia e Balcani ridotti, chi più chi meno a cumuli di macerie. Occorreva farli sopravvivere i vinti, quanto meno affinché pagassero i danni di guerra. La Germania dovette pagare agli Alleati 20 miliardi di dollari, 35 dollari un oncia d'oro, che furono ottenuti monetizzando impianti industriali (trasferiti in Russia, Francia, Regno Unito, know-how e cervelli (per 10 miliardi di dollari verso Usa e Regno Unito) e lavoro coatto (4 milioni di tedeschi in Russia, Inghilterra, Francia, Belgio e nella stessa Germania sotto controllo americano). La Germania pagò anche 450 milioni di marchi a Israele e 3 miliardi al Congresso ebraico mondiale.


EDITORIALE

L'Italia pagò 360 milioni di dollari: 100 alla Russia, 125 alla Jugoslavia, 105 alla Grecia, 25 all'Etiopia e 5 all'Albania. La Finlandia pagò ai Russi 300 milioni di dollari, l'Ungheria 200 ai Russi e 100 ai Cecoslovacchi e Jugoslavi, la Bulgaria 50 milioni alla Grecia e 25 alla Jugoslavia. Il Giappone ben 1030 miliardi di yen. I pagamenti tedeschi, verso 70 Paesi, si sono protratti fino al 2010. Anche se, quegli ingordi di greci e polacchi hanno chiesto supplementi persino nel 2019. Fossero bastati i pagamenti per uscire dalla "tutela" dei vincitori sarebbero stati soldi ben spesi. Ma così non è stato e per questo l'Europa politica non è mai nata. Né sono aumentate le sue possibilità con l'uscita del Regno Unito, perché una Germania, resa più ancor più pesante ed egemone in seno alla UE per effetto della Brexit, mai dovrà ambire ad un ruolo politico, men che mai militare. E questo spiega anche perché un esercito europeo è solo un miraggio. E' la Nato che ha il compito di proteggere l'Europa, purché questa paghi per la sua difesa. E questo spiega anche perché nella UE non hanno di meglio da fare che ricevere le lobbyes ed occuparsi della giusta curvatura delle banane. Esiste una sola prospettiva, in chiave politica, per superare le conseguenze della guerra: allargare la UE fino agli Urali. Pierre Kadosh

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EDITORIALE

LA CONGIURA DEI POTERI Finché esiste un effettivo equilibrio tra poteri la democrazia è un sistema tollerabile, preferibile ad altri. Diventa intollerabile quando si rompe tale equilibrio e due o più poteri si coalizzano tra di loro a fini di lotta politica o peggio per azzannare alla gola un avversario. Intollerabile perché il caso non è previsto in dottrina e non c'è un arbitro con poteri sufficienti per fare ordine, posto che gli arbitri non si schierino anch'essi. Proprio questo paradosso rende un sistema presidenziale di gran lunga preferibile ad un sistema parlamentare. Un Presidente eletto, per il solo fatto di derivare il suo potere dal popolo e non dal Parlamento, ha il giusto peso per gestire, all'occorrenza, gli squilibri. Il via libera del Senato a consentire di processare il capo dell'opposizione rappresenta plasticamente lo squilibrio tra poteri. Degli appartenenti al potere giudiziario (Tribunale dei ministri di Catania) decidono, nonostante la Procura di Catania si fosse pronunciata per l'archiviazione, di indagare Salvini per sequestro di persona per il caso della nave Diciotti, ossia per aver fatto attendere i cosiddetti profughi "salvati" dalla nave ben 4 giorni, prima di consentirne lo sbarco in Italia. Pur avendo Salvini, all'epoca dei fatti Ministro dell'Interno, consentito da subito all'immediato sbarco di minori e malati. Va detto che durante i 4 fatidici giorni i "sequestrati" sono stati assistiti in ogni modo possibile e rifocillati e che il Governo italiano attendeva, dagli altri Paesi Ue, il consenso alla ricollocazione degli "ospiti". Va anche ricordato che i costanti sbarchi verso i Paesi europei e segnatamente verso l'Italia sono determinati, più che da fughe da guerre e persecuzioni, dalla ricerca di una diversa prospettiva di vita grazie al ricongiungimento con amici o parenti già insediatisi in un Paese europeo. Non importa se, per raggiungere il suo scopo, l'aspirante ospite, è pronto a forzare le leggi del Paese obiettivo imponendo una presenza non richiesta, anche a costo di spacciarsi per naufrago con un rischio calcolato, perché i "soccorritori" tengono sotto costante monitoraggio, anche aereo, le partenze. In proposito è bene notare e far notare che l'emigrazione italiana, per quanto copiosa nel passato, non si è mai sognata di forzare le leggi del Paese ospitante. Quindi il potere giudiziario ritiene, nonostante che dopo 4 giorni gli ospiti della nave siano tutti sbarcati in Italia, di formulare comunque l'ipotesi del reato di "sequestro di persona" nei confronti di Salvini.


EDITORIALE

Ossia contro un Ministro rappresentante del potere esecutivo oltre che esponente politico. Imparzialità? Non se ne coglie traccia. Nel frattempo il potere esecutivo ha assunto altro segno politico e ritiene, peggio che pilatescamente, di lavarsene le mani trincerandosi dietro un "noi non c'entriamo" "ha fatto tutto lui da Ministro dell'Interno". In sostanza il potere esecutivo si allea con quello giudiziario per fregare il temuto capo del partito con più consensi in Italia. Il potere legislativo, dando un'ennesima castrata alla supremazia della politica, si inchina alla richiesta del potere giudiziario, consentendo di mandare a processo il capo dell'opposizione, ben felice di cogliere l'opportunità di metterlo fuori gioco offerta dalla magistratura. E l'"arbitro" resta in assordante silenzio. Copione già sperimentato con la ventennale persecuzione giudiziaria di Berlusconi. Copione tentato anche negli Usa, da parte delle anime buone del Partito democratico d'oltreoceano, con il tentato impeachment a Trump. Appare evidente la "convergenza di interesse" tra i cosiddetti poteri democratici per liberarsi di un avversario ritenuto ideologicamente pericoloso. E purtroppo per la stessa democrazia, il risultato è un drastico calo di credibilità. Lo stesso vale per una politica che, nel caso specifico, ha mostrato il suo volto peggiore caratterizzato solo da cinico opportunismo. Angelo Romano

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SCENARI

MATRIMONIO ALL’INGLESE Beh! Finalmente è finita. Perché, diciamolo, la vicenda dell'Inghilterra stava diventando noiosa e lunga come la camicia di Meo. A proposito, mi sono sempre chiesta da dove derivasse una simile espressione e solo recentemente ho avuto modo di soddisfare tale curiosità. E, l'aspetto più interessante, è che l'origine dell'espressione stessa ha notevoli attinenze con l'iter della vicenda inglese. Ebbene, atteso che 'Meo' sembra essere il diminutivo di Bartolomeo (Colleoni, quello con tre palle nello stemma), lo scanzonato spirito popolare del XV secolo affermava che la sua camicia doveva essere sufficientemente lunga per coprire appariscenti attributi ma scarsamente efficaci. Va a sapere, poi, la verità. In ogni caso, abbiamo vissuto questi ultimi quattro anni prima con un qualche interesse e, dopo, via via, con una monotonia che ha rasentato lo stantio umorismo di un comico di provincia, nonostante il sensazionalismo con il quale i mass-media hanno cercato puntualmente di infarcire la comunicazione. Era il 2016 quando Cameron, l'ex premier britannico, per guadagnare i voti deiaudacia separatisti, promise lo svolgimento di un referendum per interrogare la volontà temeraria igiene spirituale popolare se rimanere o uscire dall'Unione. Si da il caso che vinse e da subito fu logico supporre non solo che il referendum si sarebbe tenuto ma anche che avrebbero vinto la parte verso la quale il Governo si sarebbe schierato. Così lo stratega inglese pensò di avanzare richieste alla UE per accrescere la sua posizione ibrida all'interno del sodalizio comunitario pensando che la soddisfazione delle sue richieste avrebbe indotto gli indecisi inglesi a votare per 'restare' e avrebbe dato al Governo un motivo per appoggiare quest'ultima scelta. Ora, nihil quaestio che ognuno decida di giocarsi la partita come meglio crede ma resta da vedere se gli altri contendenti accettino le regole proposte o se invece non consiglino al proponente di andare ad effettuare una corposa deiezione. Resta il fatto che tra i sostenitori dell'accoglimento delle richieste inglesi trovammo schierata in prima fila la Cancelleria tedesca, la sostenitrice integerrima delle regole comunitarie, l'indefessa guardiana dei conti pubblici, l'instancabile custode dei crismi della lotta all'inflazione. Eppure, le richieste non erano da poco. Già l'Inghilterra, peraltro, all'atto del varo del trattato di Maastricht aveva utilizzato la formula dell'opting-out per rimanere fuori dell'euro trascinandosi dietro la Danimarca e la Svezia. Le nuove richieste, quindi, se accolte, avrebbero accresciuto la posizione ibrida della Gran Bretagna dandole perfino la possibilità di scegliere le norme da adottare e quelle da rifiutare. Da non credere. Infatti, tra le richieste c'era la cancellazione dell'attribuzione alla Gran Bretagna


SCENARI

della qualifica di Super Stato, cioè l'Inghilterra si sarebbe dovuta considerare al pari, che so, dei Paesi dell'Est nelle contribuzioni comunitarie ordinarie e straordinarie. Inoltre, si sarebbe dovuta introdurre la facoltà per uno Stato di disattendere l'applicazione delle direttive comunitarie qualora il 55% del proprio Parlamento fosse contrario. Si sarebbe, poi, dovuta introdurre analoga facoltà se un certo numero di Stati (da determinare) fosse contrario alle norme varate. Infine, si sarebbe dovuto consentire alla Gran Bretagna di sospendere dai benefici sociali per quattro anni quei soggetti residenti ma non dotati di cittadinanza. Se si aggiunge a tanto l'impudenza manifestata nel corso degli anni dai parlamentari conservatori inglesi giunta persino a farli platealmente abbandonare il PPE perché ritenuto troppo sensibile alle rigidità tedesche e, comunque, troppo rispettoso delle normative dell'Unione, avremmo potuto ritenere che la misura fosse colma. Ed invece, ecco la Merkel a sostenere le richieste di Cameron prima ad Amburgo in occasione del Matthiae-Mahlzeit, il più antico banchetto del mondo e alla presenza dello stesso Cameron, poi nel Bundestag, dichiarandole 'giustificate e comprensibili' e aggiungendo che "noi europei abbiamo il compito di dare il nostro meglio affinché il governo britannico possa promuovere con argomenti convincenti una permanenza della Gran Bretagna nella Ue". Incredibile. L'unica giustificazione che la Merkel ebbe in quelle occasioni fu il perseguire l'interesse esclusivo della Germania. Certo, se l'Inghilterra fosse uscita dalla Unione, tutta la costruzione europea (criticabile, del resto) ne sarebbe stata fortemente indebolita, ma resta il fatto che la preoccupazione della Cancelliera fu motivata principalmente dalle ripercussioni sulla Germania: nel 2016, la Gran Bretagna era il terzo più importante acquirente di prodotti made in Germany al mondo dietro Francia e Stati Uniti, con un attivo nell'interscambio commerciale di più di 41,8 miliardi di euro. Un sondaggio, diffuso in quell'anno dalla Fondazione Bertelsmann, rivelò che, fermo restando il timore diffuso tra gli imprenditori sia inglesi che tedeschi su occupazione, fatturato e investimenti, il 76% degli intervistati britannici si era detto favorevole a una permanenza di Londra nella UE; una percentuale che, a dimostrazione dell'interesse della Germania, saliva all'83% tra i colleghi tedeschi. A personale avviso è interessante lo spaccato del 2016 perché se da un lato dimostra l'opportunismo tedesco, ancor più evidente se si pensa alle bacchettate di Wolfgang Schäuble sui dubbiosi e sui riottosi, dall'altro attesta lo smaccato opportunismo britannico che ha sempre caratterizzato la sua presenza nei momenti assembleari dell'Unione. Del resto, questo è sempre stato un atteggiamento che ha caratterizzato l'agire inglese sin dalle origini. Come sappiamo, quel Paese non fece parte del gruppo dei fondatori della CEE nel '57; a quel tempo, era impegnato a costruire l'AELS, l'area europea di libero scambio e non demorse neppure quando, dopo il Trattato di Roma, la Comunità divenne un'espressione reale: c'è chi afferma che sperasse addirittura di assorbirla. Ritornò sui suoi passi quando, alla fine degli anni '50, attraversò una pesante crisi economica con un PIL tra i più bassi del continente e un tasso di disoccupazione tra i più alti. Allora, e solo allora, pensò di tentare la via europea. Ma incontrò, nel '61, la ferma opposizione del generale Charles de Gaulle, presidente della Repubblica francese, in carica dal

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1959 al 1969. Opposizione che venne ripetuta, appunto, nel '67. Solo nel '73, sotto la presidenza del conservatore Edward Heat, il Regno Unito riuscì ad entrare nella Cee. Una breve pausa. È curioso il fatto che i più tenaci avversatori dell'Unione siano stati i laburisti. Ed infatti, proprio nel '73, fu il Partito laburista a chiedere prima di ridiscutere le condizioni d'ingresso e poi di indire un referendum che desse la possibilità di sottoporre la permanenza nella Comunità economica a un voto popolare. Un inciso umoristico: nemmeno all'interno della comune casa socialista gli inglesi hanno mai fatto gioco di squadra con i colleghi europei. Comunque, poco dopo l'adesione Edward Heath venne sconfitto alle elezioni e il nuovo premier, nonché leader del partito laburista, Harold Wilson, indisse il referendum per decidere sulla permanenza del Regno Unito nella famiglia comunitaria. Benché tra fratture all'interno dei due maggiori partiti, vinse il 'remain' con una maggioranza del 62%. In quell'occasione, Margaret Thatcher, neo leader dell'opposizione, fece campagna per restare nella Cee. Ma una volta divenuta premier smise la maglia filoeuropea e, nell'84, al vertice europeo di Fontainebleau batté i pugni sul tavolo e riuscì a strappare uno sconto speciale per una dichiarata penalizzazione subita da Londra per la politica agricola comune. In sostanza, affermò (ed ottenne soddisfazione) che i soldi inglesi versati nelle casse comunitarie servivano a sovvenzionare l'agricoltura europea. Del resto, zucchine, fagiolini e insalate inglesi non sono famose. Ebbene, in barba ai nobili principi comunitari e alle norme che regolano la contribuzione, Londra ottenne un cospicuo sconto nei versamenti; uno sconto che, per inciso, mantenne anche nel 2003 alla vigilia dell'allargamento e che Cameron difese strenuamente nel consiglio europeo approvò il bilancio audaciache temeraria igiene2014-2020. spirituale Beh! Sul piano casareccio, sarebbe come se un astemio, ad una tavolata d'amici, chiedesse la revisione del conto per lo scorporo della mancata bevuta. O, in maniera più stringente, sarebbe come dire, ad esempio e con tutto il rispetto, che siccome i sistemi di approvvigionamento finanziario interno (dogane, tassazione, ecc.) della Grecia e di buona parte dei Paesi dell'Est non sono ancora perfetti nonostante il tempo trascorso, l'Italia, che su quegli aspetti sta un po' meglio, non se la sente di contribuire nell'erogazione dei fondi per lo sviluppo di quei Paesi. Chissà se riuscirebbe a trovare dei sostenitori. Ovviamente, scherzo. E, per tornare ab ovo, rimane storico lo scontro tra la Thatcher e Delors a causa delle politiche comunitarie spinte addirittura a cavalcare la federalizzazione. Eppure, la Thatcher apparteneva ai conservatori che, per quei paradossi della storia e della politica, erano i più sensibili alle problematiche comunitarie. Infatti, fu proprio il forte scetticismo della Lady di Ferro a determinarne la caduta a favore di John Major, il più europeista tra i Tories ed è a quest'ultimo che toccò pilotare l'Inghilterra nell'iter del trattato di Maastricht che trasformava la vecchia CEE nell'Unione Europea. Ne uscì adottando, come cennato in precedenza, la formula dell'opting out per consentire alla Gran Bretagna di restare fuori dall'euro, dalla convenzione di Schengen e dal Socialchapter: un membro non membro, soggetto ad una contribuzione scontata e con una inconcepibile capacità di accrescere la sua posizione ibrida come i fatti di Cameron hanno dimostrato.


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Sebbene accolto come un eroe per i successi ottenuti, Major non resistette a lungo e le elezioni del '97 determinarono, paradosso nel paradosso, la vittoria del più europeista nel new Labour: Tony Blair che, tuttavia, non spostò più di tanto la posizione inglese rispetto all'Europa mentre dimostrò una particolare sensibilità verso una visione atlantica. Del resto, basta osservare la partecipazione alla guerra in Iraq dove, addirittura ha ricoperto la veste di portavoce degli USA in Europa. Successivi fatti interni, poi, ne decretarono la sconfitta a favore di un altro laburista, Gordon Brown, stavolta palesemente euroscettico: un atteggiamento che manifestò platealmente alla firma del trattato di Lisbona giungendo in ritardo: era finita la breve stagione di pseudo entusiasmo del Labour. Il resto è storia nota dell'ultimo capitolo del travagliato matrimonio. Il processo di uscita a seguito di ben due referendum, che peraltro hanno sancito e confermato la volontà inglese in tal senso, è stato quanto di più laborioso si possa immaginare: la premier May, dopo ben quattro tentativi falliti di far ratificare dal Parlamento l'accordo raggiunto con l'Unione per ridurre i traumi del distacco, è stata alla fine costretta a dimettersi. Il suo successore, Boris Johnson, ha rischiato di seguirne le orme: dopo la minaccia di uscire senza accordo e quella di 'chiudere' il Parlamento per far passare il suo punto di vista (anche se all'Alta Corte un tale gesto è sembrato un po' troppo), alla fine è giunto in porto. Bene. Sul dopo uscita e sul derivante problematico scenario britannico economico e sociale ho già espresso il mio pensiero nell'ottobre dello scorso anno nel pezzo dal titolo 'Se non fosse per il particolare…'. Comunque, non essendo ferrata in economia, non so se i futuri eventi confermeranno quell'analisi o se fattori nuovi interverranno per lenirla anche se, al momento, nella mia pochezza, non ne vedo. Tuttavia, due interrogativi sorgono spontanei: a parziale eccezione della gestione Thatcher, vista la generale riottosità inglese a far parte della famiglia europea, perché tale questione ha caratterizzato massimamente la politica dei vari leaders fino al punto di farli cadere, a differenza di altre tematiche che, con ogni evidenza, avrebbero avuto necessità di maggiore attenzione? Onestamente, non so rispondere se non con una battuta: forse l'avversione e l'amore riguardo all'Europa sono due sentimenti di risulta da due originari sentimenti: l'avversione e l'amore per gli USA. Forse, alberga ancora un sentimento verso le 'colonie' che crea degli irriducibili che si confrontano con chi ha metabolizzato da tempo il distacco. Forse, quest'ultimi hanno ben compreso che i rapporti di forza in Atlantico, e comunque sui mari, hanno iniziato a mutare dal 1919 con la presa di posizione a Versailles del presidente americano Woodrow Wilson; si sono affossati nel'29 quando la Gran Bretagna, per fatti interni, abbandonò la gold standard trascinandosi dietro ben ventidue Paesi che smisero di acquistare USA dando così un enorme colpo alla già compromessa economia americana; si sono completamente invertiti dalla II guerra mondiale, stante il risolutivo e salvifico intervento americano. O, forse, altra battuta, è convenuto, per un certo periodo, alla finanza internazionale avere due basi operative, una a New York e l'altra a Londra. E, ora non conviene più. Beh! Sempre scherzando, stante l'uscita della Gran Bretagna, forse riprenderà vigore la tassazione sulle

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intermediazioni finanziarie affossata proprio da Cameron quattro anni fa. O, forse, ancora, ultima scherzosa ipotesi, ricorrendo a Freud, siamo in presenza di una conversione nell'opposto: da colonizzatori a pacifici, fedeli, coloni. Di contro, mi chiedo: considerati gli sforzi immani ai quali la CEE prima e l'Unione poi si sono sottoposte pur di mantenere la Gran Bretagna all'interno del sodalizio comunitario, quali benefici questa presenza ha prodotto, accantonando l'accrescimento del numero dei partecipanti? In ogni caso e a prescindere da come potrà determinarsi, in futuro, il quadro inglese e quali riverberi potrà comportare nel continente, ritengo quell'uscita un elemento di chiarezza nella già sufficientemente confusa architettura comunitaria. Certo, restano la Danimarca e la Svezia ma questi sono due Paesi che hanno presente il significato di temperanza e di coerenza. Sicuramente, con il cuore più leggero dopo le tante apprensioni suscitate dalla stampa e dalle emittenti televisive e radiofoniche al punto da farne una sorta di thriller degno della penna di Agatha Christie, ho finalmente appreso quale è stato il ruolo del sempiterno maggiordomo nella vicenda e posso così dormire sonni tranquilli. Ed è qui che scatta la mia grande umanità facendomi prorompere in maniera liberatoria in abbraccio internazionale di adagi popolari: all'alleato che fugge, ponti d'oro e se è un re, ebbene Viva il Re. Roberta Forte


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BYE, BYE PERFIDA ALBIONE PROLOGO Prima di qualsivoglia considerazione sulla Brexit, è doveroso, per chiunque brami un'Europa unita sotto un'unica bandiera, dedicare un affettuoso pensiero a tutti i cittadini del Regno Unito che abbiano il cuore lacerato. Un caldo abbraccio giunga agli scozzesi e agli irlandesi del Nord, nel commosso ricordo delle tante vittime che si sono sacrificate inseguendo il sogno di "A Nation Once Again". Analogo abbraccio giunga ai cittadini del Galles e dell'Inghilterra che si sono battuti duramente per il "remain". Devono sapere che non sono soli e in tutta Europa hanno tanti amici che non li dimenticheranno mai e che li aspettano. Dovranno lavorare sodo per sopprimere l'imperante sub-cultura dell'arroganza e soppiantarla con la cultura dell'amore tra i popoli, "uniti nella diversità". Battaglia difficile, ma ineludibile. Gli "Stati Uniti d'Europa", la meta che ogni cittadino d'Europa dovrebbe considerare obiettivo primario della propria esistenza, non possono e non devono fare a meno di loro. Ci si scontri anche aspramente sulle diverse "visioni del mondo", ma preserviamo l'unità continentale come bene supremo. LA FARSA DIVENUTA TRAGEDIA Per alcuni è stato un giorno di lutto; per altri, un giorno di festa. Dopo circa quattro anni dal referendum che vide una piccola maggioranza del popolo britannico decidere di lasciare l'Unione Europea, la Brexit è una realtà. Fino al prossimo 31 dicembre vi sarà un periodo di transizione e poi il definitivo salto nel buio. Con l'uscita del Regno Unito, l'Europa, almeno quella pasticciona e litigiosa che si ritrova nell'UE, non perde solo 68milioni di cittadini (13% della popolazione), ma dice addio anche al 5% della superficie, a un quarto delle acque territoriali, al 15% del PIL, a colossi industriali come Rolls Royce e Vodafone, a dieci miliardi di euro annui sotto forma di contributi, al più grande centro finanziario, a forze armate di prim'ordine (230mila effettivi tra Brtish Army, Royal Navy, Royal Marines e Royal Air Force), a prestigiose università. Volendo soffermarsi a riflettere su come trasformare un evento negativo in un'opportunità, tuttavia, si può anche ritenere che non tutti i mali vengano per nuocere. Il discorso deve essere necessariamente inquadrato in un'ottica che inglobi tutti i paesi dell'Unione, che dovranno riflettere su come gestire al meglio questo evento, ma ci riguarda precipuamente in virtù dei tanti connazionali che vivono nel Regno Unito, tra i quali molti "cervelli eccellenti": se questi ultimi dovessero avere vita dura, creare per loro delle condizioni ottimali di rientro dovrebbe costituire

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un "dovere etico" da assolvere facendo salti di gioia. La loro assenza pesa molto, in tutti i settori, soprattutto scientifici. Di fatto, stando a quanto traspare dalle disposizioni emanate, nulla dovrebbe cambiare per i cittadini dell'Unione ivi residenti: possono continuare a vivere, a lavorare (compresi i dipendenti distaccati) e a studiare, come hanno fatto finora. Lo stesso vale per coloro che si trasferiranno entro la fine del 2020. Restano garantiti i diritti in termini di salute, prestazioni sociali, accesso al lavoro e all'istruzione. Almeno per ora. Prevenire, però, è meglio che curare. Al fine di far valere i propri diritti, infatti, i cittadini dell'Unione devono registrarsi per richiedere lo "status consolidato", il che alimenta qualche preoccupazione e ha creato notevoli disagi esistenziali soprattutto a coloro che vivono nel Regno Unito da molti decenni: per loro era normale sentirsi parte integrante del paese e il fatto di doverlo ribadire con un provvedimento speciale non è stato facile da digerire. In effetti nessuno è in grado di prevedere cosa realmente accadrà in futuro e ciò che si evince dalla realtà contingente fa nascere il sospetto che si navighi a vista, il che non è certo positivo. Loro sognano un rafforzamento del già solido legame con gli USA, soprattutto in campo commerciale, ma forse si sono fatti male i conti alla luce di ciò che traspare dagli USA, in questo campo. Johnson ha ripetuto fino alla nausea che intende divergere dalle regole dell'UE. Si accomodi! Ma in che modo sarà possibile? Sull'Iran era più in linea con Parigi e Berlino che con Washington; sulla tassazione dei giganti di Internet sta preparando una tassa paragonabile a quella prevista a Bruxelles; sulle reti Huawei e 5G ha optato per l'Europa come accesso limitato; il ministro delle finanze Sajid Javid, sugli accordi commerciali, ha dichiarato di volersi concentrare prioritariamente sulle discussioni con Bruxelles. Se questo si chiama "divergere", forse dovremo aggiungere un lemma al termine. Molto più realisticamente, quindi, si può ritenere che il Regno Unito tenterà di rimanere legato alle norme dell'UE quando ciò potrà tramutarsi in un vantaggio per i suoi interessi, per allontanarsene solo se rappresentassero una minaccia. Il gioco, però, potrebbe funzionare solo in caso di "cecità" (o complicità) degli altri paesi dell'Unione, cosa possibile e non auspicabile e, allo stato, non fosse altro per scaramanzia, da ritenere improbabile. NON È CHE UN ARRIVEDERCI Ogni essere umano ha il diritto di pensarla come vuole e di avere le proprie preferenze in ogni campo, purché rispetti le regole della civile convivenza. La storia dell'Inghilterra non ha certo bisogno di essere qui ribadita e ben note sono anche certe "asprezze caratteriali" degli inglesi, considerate molto diffuse, anche se è sempre sbagliato generalizzare. Degli inglesi si dice, e non da ora, che sono spigolosi, presuntuosi, permalosi, pervasi da un complesso di superiorità fastidioso e inaccettabile. Sarà anche vero in linea di massima, ma è sempre ingiusto catalogare negativamente un intero popolo, anche perché ognuno ha le proprie rogne. Un po' di amaro in bocca per la loro uscita dall'Europa, quindi, è normale che vi sia e sicuramente


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sbaglia chi se ne compiaccia in virtù dei sentimenti di antipatia nutriti nei confronti della "perfida Albione". Sbaglia perché in tal modo colpisce anche coloro che, per comportamento e carattere, costituiscono una eccezione. E non sono certo pochi. Amaro in bocca anche pensando che tutto ciò si sarebbe potuto evitare sol che in passato non si fosse commesso il grossolano errore di anteporre l'unione monetaria a quella politica. L'Europa dei mercanti, con la sua politica dissennata e mortificante, ha una buona fetta di responsabilità per questo disastro; forse una responsabilità anche maggiore di quella imputabile al popolo inglese. Se si votasse di nuovo per il referendum, infatti, il remain vincerebbe senz'altro perché ora è ben chiaro a tanti di aver preso un abbaglio nel 2016. Coloro che non lo hanno ancora compreso lo capiranno presto, a cominciare dai parlamentari europei che hanno intonato "Auld Lang Syne" in segno di giubilo per l'uscita dall'Europa. Questo canto (noto in Italia come "valzer delle candele") si intona in occasione degli addii e, nella notte del 31 dicembre, accompagna il passaggio dall'anno vecchio all'anno nuovo. In segno augurale, per un futuro che possa cancellare questa brutta pagina di storia, è preferibile ascoltarla nella versione francese: "Ce n'est qu'un au revoir" (Non è che un arrivederci), magari in una nuova Europa, capace di marciare all'unisono e riconquistare il posto che la storia le ha assegnato da sempre: essere il faro del mondo. Lino Lavorgna

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BREXIT: COSA CAMBIERA’ Dopo 47 anni di appartenenza all'Unione europea, tre anni dopo che gli inglesi hanno approvato l'uscita in un referendum, Bruxelles ha approvato la procedura di uscita del Regno Unito. Aveva cominciato Margaret Thatcher, la "lady di ferro", a dare i primi segnali di insofferenza verso Bruxelles. Famoso il suo "Rivoglio i miei soldi". Antifederalista convinta, propendeva per "una cooperazione volontaria attiva tra Stati sovrani indipendenti". Gli inglesi volevano un mercato allargato e null'altro, ma si sono trovati invischiati, loro malgrado, in una dinamica politica. Tutto qui il problema dei "brexiters". Senza il Regno Unito a controbilanciare l'asse franco-tedesco si profilano all'orizzonte ulteriori problemi di tenuta della UE. Anche se la recente dichiarazione di Macron sulla necessità di un diverso rapporto con la Russia per spiazzare la Nato andrà attentamente interpretata. Comunque la UE perde la seconda economia continentale e la terza nazione più popolosa. Oltre che potenza nucleare e ben armata. Resta un vuoto da colmare. Politico ed in tema di liberalizzazioni, difatti il Regno Unito e, segnatamente, proprio la "lady di ferro" identificò e fece abolire ben 300 barriere commerciali. Va anche ricordato che l'Inghilterra è stato il Paese che più ha spinto per l'allargamento della UE, forse non solo per allargare i mercati. Ma cosa cambierà per i cittadini europei? Fino al primo gennaio del 2021 ben poco. Continueranno ad essere validi i documenti nazionali per passare il confine, gli studenti potranno continuare a studiare ed i residenti a risiedere, telefonare con roaming immutato, guidare con la patente nazionale e godere della copertura sanitaria. Gli assetti posteriori dipenderanno dai negoziati in corso che avranno termine il 31 dicembre 2020. Una volta terminato il periodo di transizione, qualsiasi cittadino della comunità che desidera continuare a vivere nel paese dovrà seguire una procedura denominata EU Settlment Scheme. Il Ministero dell'Interno britannico ha previsto due status, a seconda della temporalità del permesso: un permesso di soggiorno permanente, che può essere riconosciuto a coloro che hanno soggiornato ininterrottamente per più di 5 anni nel paese o un permesso temporaneo se il periodo di residenza è inferiore a cinque anni. Ma tutto dipenderà dagli accordi raggiunti da Londra e Bruxelles. Gustavo Peri


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AL NUOVO E AL PEGGIO NON C’E’MAI FINE Devo confessare che le elezioni appena concluse in Emilia Romagna e in Calabria mi suscitano pensieri davvero contrastanti tra i quali non riesco a trovare una prevalenza: un po' come i più recenti dolcificanti dove, nell'usarli, c'è consapevolezza che l'amaro non c'è più ma non si riesce a distinguere se predomina un gusto dolce oppure …. salato. Ebbene, un dato dolce, davvero confortante, è che il Movimento 5 Stelle è al redde rationem. Sia al Nord che al Sud. Non faccio fatica ad ammettere di aver inizialmente sperato che l'opera di quel movimento potesse servire a rompere il 'blocco' politico-istituzionale in essere soprattutto nell'ultimo decennio, fatto di una pseudocultura dominante, di oltraggi alla democrazia ammantati da pseudo-nobili cause, di beceri impegni economici e di devastanti scelte sociali, in totale dispregio di ogni discrepante evidenza. Ma, purtroppo, mi sono dovuta prontamente ricredere: non sono riusciti ad andare al di là di dichiarazioni d'effetto; le uniche azioni condotte a termine (vedi reddito di cittadinanza e riduzione emolumenti ai parlamentari) hanno un sapore talmente demagogico da non risultare paganti nemmeno in quell'area geografica, il Sud, che da un lato ne ha beneficiato e dall'altro ne avrebbe dovuto gioire secondo il vecchio assioma del mal comune (specie coi 'potenti') mezzo gaudio. Anzi. In Calabria sono addirittura fuori dal consiglio regionale non essendo riusciti a superare la soglia di sbarramento. Inoltre, in supremo ossequio ad un vanaglorioso potere, hanno finito per rafforzare, a loro esclusivo danno, proprio quel tanto disprezzato 'sistema' che neppure fino a due anni prima aveva motivato il loro V (vaff…lo) day: del resto, ridare vitalità ad un ectoplasma è stata una scelta esclusivamente masochistica come i recenti fatti hanno dimostrato. All'atto pratico, quel Movimento si è finora ostinato ad essere lo strenuo rappresentante dell'antipolitica, peraltro fatta solo di rozzi, vanesi, giustizialismi senza neppure avere contezza dell'anima e degli intenti dei veri descamisados. C'è da augurarsi che, quando sarà, il voto degli elettori faccia totale giustizia di uno svarione commesso, sono certa, in buona fede e nella sola, vana, speranza di far venir meno quella cappa di vacuità che ci accompagna da un quarto di secolo. Dicevo di un ectoplasma, nota salata. Non c'è dubbio alcuno che il PD fosse praticamente ridotto ad una tale condizione. La vuota e deprimente gestione Bersani e la vuota e grottesca conduzione di Renzi avevano finito per cancellare ogni residuo di seria connotazione di sinistra da quel partito. Non è stato certo un caso se una percentuale consistente di quei elettori non ha inteso sostenere il referendum costituzionale proposto dal loro segretario, mandandolo così a sperdere, e giungendo persino a votare per i pentastellati, come l'analisi dei flussi di voto delle

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successive 'politiche' ha dimostrato, pur di uscire da un ossessivo caleidoscopio di cazzate. Il dopo 'politiche', peraltro, non è stato migliore: la palla in mano al fratello del commissario Montalbano non ha saputo trovare altro canestro se non quello dei radicali e, da ultimo, degli ambientalisti. O, almeno, delle parodie di questi. Sarebbero finiti se non fossero giunti i pentastellati, con la loro effimera maggioranza, a ridare loro una dignità di governo. E, nonostante la fuoriuscita dei renziani, eccoli tornare sul palcoscenico con nuovi esilaranti numeri. Migranti, green economy ed evasione fiscale sono stati i loro recenti cavalli di battaglie condotte in tanta fumosità da far sorgere il dubbio di collateralità, sia pur inconscia, ad interessi terzi. Col risultato di uno squallido cabaret fatto di una finanziaria che grida vendetta, spacciata come strumento di rilancio ma portatrice solo di incremento fiscale e depressione di settori economici nonché di una lotta all'evasione i cui meccanismi stanno finendo di complicare la vita della gente e dei piccoli imprenditori: tasselli di demenziali gag accompagnate costantemente da una liturgia di parole incentrate enfaticamente sul 'verde' e su una mitica età dell'oro, su un nuovo pardes, ovviamente se tutti pagassero. Come se, in Italia, non persistessero evidenti fattori di inquinamento bellamente ignorati e grandi evasori bellamente 'perdonati'. Eppure, nonostante le paillettes luccicanti della Finanziaria, la Lega avrebbe fatto l'en plein se, soprattutto in Emilia, tra l'altro, non fosse sorto un movimento pseudo-spontaneo dal controverso nome di Sardine. Un movimento che il fratello del commissario Montalbano, all'indomani del voto, ha pubblicamente e unicamente ringraziato. Ora, avrei potuto capire l'attribuzione del merito al programma, agli attivisti, all'impegno dei candidati, al carisma del candidato governatore e, poi, alle Sardine ma c'è da dire che una tale attestazione ha il meschino sapore della verità. Certo, in bocca ad un segretario di partito stona ma tant'è, non possiamo aspettarci più di tanto. Comunque, il PD, con ogni probabilità, sarebbe stato sconfitto se non ci fossero state le Sardine, appunto. Si potrà pensare che, alla fin fine, non abbiano fatto molto, concentrate nelle piazze, senza rilasciare forti dichiarazioni di parte ed escludendo l'inquadramento partitico ma resta il fatto che la loro presenza ha motivato i riottosi stanchi di sinistra, gli imprenditori di parte incazzati per la plastic tax, opportunamente rinviata a luglio, e per la sugar tax, i giovani impegnati ma delusi e i nostalgici anziani. È stato un muto invito a non disertare, a presenziare, a ritornare, a non demordere. Eppoi, meglio esserci. Hai visto mai? E, va detto, un atteggiamento del genere, insieme ad altri fattori, ha pagato. Ma come nascano le Sardine? Su un messaggio WhatsApp si legge che Mattia Santori, capo delle Sarde, è un ricercatore del RIE, società che si occupa di comunicazione sociale, fondata da Romano Prodi e da Alberto Clò, membro del CdA della GeDi, il maggior gruppo editoriale in Italia, di proprietà di De Benedetti e degli Agnelli. Dallo stesso messaggio, peraltro, sembra che la notizia sia stata pubblicata dal giornale 'Il Mediterraneo'. Ora, attesa la veridicità dell'informazione, ciò spiegherebbe la incredibile copertura mediatica che il 'movimento ittico' ha avuto e, in ultima analisi, gli interessi che l'Emilia Romagna suscita.


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Spiegherebbe anche l'invito di Prodi al fratello del commissario Montalbano, dopo l'attestazione di (unico) merito alle Sardine, di 'aprire il partito' ad ulteriori 'espressioni': un conto, si crede salato, presentato dopo l'attestazione del soddisfacente pasto. Se così fosse, speriamo che il PD lo paghi alla svelta in modo da completare, dopo ventinove anni, l'ultima fase della mutazione così da farlo approdare, finalmente, ad un affidabile, organico socialismo movimentista e riformista piuttosto che farlo permanere nella veste di un borioso e dogmatico raggruppamento fatto da anziani figli del sol dell'avvenire affetti da alzheimer, rampanti giovani ignoranti alla caccia di opportunità e una torma intergenerazionale di patiti della croce con l'animo ottuso di un Torquemada ma con una propensione alla disponibilità degna di un nuovo libro di Hilma Wolitzer. Comunque, come sopra accennato, a mio sommesso avviso, l'ulteriore parte di merito della vittoria del PD in Emilia è da attribuirsi, come dolce nota, alla débâcle di Forza Italia. Rasenta il ridicolo l'affermazione del Cavaliere circa l'utilità del suo partito nell'affermazione del centrodestra perché, ad onor del vero, è esattamente il contrario. Per quanto alle regionali sia praticamente ininfluente, è stata l'avanzata della Lega e di Fratelli d'Italia a giustificare la permanenza in vita di Forza Italia all'interno del cosiddetto centrodestra; un'avanzata vanificata dal crollo del compagno di viaggio che, insieme alle Sardine, ha finito per riconsegnare l'Emilia alla gestione avvinghiata del PD. Lo dico scherzando alla maniera di Pulcinella: perché, quell'uomo, dopo aver 'bruciato' diversi 'delfini', non pensa, per una volta almeno, al ruolo che il 'suo' partito potrebbe ancora svolgere nello scenario politico italiano e si attrezza in conseguenza? Ovviamente, con lui fuori dai giochi perché la sua immagine è quanto di più tragicomico possa esistere. Oh! Non dico che F.I. possa tornare ai vecchi albori ma può contribuire ad ingrossare le fila di qualche altro partito, se non assorbita almeno stabilmente federata. E tra i possibili partiti da prediligere non escludo nemmeno Italia Viva di Matteo Renzi. E, a proposito di quest'ultimo, come già ebbi a scrivere in passato, sarebbe un modo per garantirsi reciprocamente un altro po' di futuro. Lo so, lo so. Non siamo ancora al giudizio finale sul caffè perché permane il dubbio sul ruolo futuro dell'avvocato, giurista, docente, Giuseppe Conte: una nota di salato che si stampa sul palato e compromette la degustazione. Non c'è dubbio che, al di là delle (s)fortune dei pentastellati, la figura del presidente del consiglio si sia accresciuta e rafforzata. Ci sarebbe da chiedersi, finiti i grillini, chi possa sostenerlo in futuro; il che, in un'ottica a medio termine, sarebbe immediatamente da porre tra i non cale e la fine sembrerebbe scontata. E, tuttavia, ma non la farei così sicura. Dando per assodato che la Meloni ne sappia più di me, perché chiedere ai repubblicani americani, in occasione della sua recente visita negli USA, il motivo del loro sostegno di Conte, al di là degli ufficiali rapporti? Ma, almeno inizialmente, non era Salvini il loro referente? E, ancora. Perché, in merito alla riforma della prescrizione, un presidente del consiglio chiede sostegno agli uomini e donne del Cavaliere all'interno del Parlamento e a Gianni Letta, all'esterno, (almeno stando alle indiscrezioni di Libero-Quotidiano.it e il Giornale) alfine di

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intraprendere una mediazione che non umili il guardasigilli di matrice pentastellata? Cos'è? La ricerca di un modo per dribblare il recente protagonismo renziano? Il sondaggio per una più vasta intesa in prospettiva? L'aspetto curioso è che la richiesta è diretta a soggetti di una formazione partitica il cui capo, con tutto il rispetto, si pensa possa essere il meno interessato ad una tale riforma. In ogni caso, un ipotetico intervento a sostegno avrebbe un notevole prezzo. Resterebbe da sapere, nel caso, chi 'paga' e chi 'incassa' cosa. Comunque, chi vivrà vedrà. Non ho una risposta agli interrogativi sollevati e, quindi, mi riservo un giudizio sulla resa del dolcificante, se non altro in attesa di conoscere gli ingredienti: prima il fruttosio, poi l'aspartame, indi il bando, infine l'ascesa del ciclammato che da sensazioni sensazionali, mirabilie mirabolanti. Stiamo a vedere. Venghino signori, venghino. Al nuovo e al peggio non c'è mai fine. Roberta Forte


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U.T.O.P.I.A. Utopia ? 1) Disse Otto von Bismarck : "La politica è l'arte del possibile"; 2) Disse Gesù di Nazareth :"Non di solo pane vive l'uomo, ma … " (Matteo 4-4). Per chi calca la contraddittoria e cruenta polvere di questo mondo entrambe le affermazioni sono del tutto veritiere. La questione riguarda soltanto il loro relativo dosaggio, diciamo alchemico, nella vita reale. Inoltre: la prima concerne un gioco statico, potremmo dire, a bocce ferme ("here and now" e basta), la seconda va integrata, sia in senso attualistico che dinamico/escatologico, con la sua parte seguente: "… ma di ogni parola che esce dalla bocca di 'dio' (minuscolo, in questa nostra fattispecie)". Inoltre, nel teorico laboratorio sociale ove le predette due componenti dovrebbero mescolarsi, in che misura esse andrebbero dosate nell'alambicco della Storia? In linea di massima - e per giungere ad un risultato di ipotetica auto sostenibilità (se non altro per quanto necessiterebbe al momento la nostra attuale, confusa Italia) - direi: 1) dosi di "cancellierato" tedesco in ragione di un 65%, 2) dosi di "falegnameria" nazarena in ragione di un 35%. Una seppur minima variazione di percentuale porterebbe infatti a sbilanciare le risultanze di un composto che vede ai suoi due ipotetici estremi, che so?, un'incandescente assemblea di democrazia parlamentare ed un silenzioso Carmelo di suore di clausura. Naturalmente, come accade sempre a questo mondo, "in medio stat (o almeno dovrebbe stare) virtus". Assistiamo inoltre, per quanto concerne in particolare la nostra Italia, ad un'ulteriore complicazione costituita talvolta da velleitarie fughe in avanti (peraltro del tutto sterili) frutto di una qualche forzata commistione tra, diciamo, il verbo del tedesco e la verità del divino galileo. Tipo, tanto per restare in attualità, quell'ibridazione tra un puro sogno di caratura etico-morale, (per esempio, l'abolizione definitiva della povertà attraverso un "reddito di cittadinanza?!") e la testarda realtà di un bilancio di stato, peraltro dal deficit anelastico, dal quale, secondo il nostro Bismarck, non bisognerebbe mai distogliere lo sguardo. Mettiamo però da parte voli pindarici (senza perderli comunque del tutto di vista) ed atterriamo sulla nostra realtà quotidiana, lasciando tuttavia allo scrivente la libertà di scegliere tra quello che ci presenta l'attuale situazione politica e su cui egli possa comunque vantare una certa qual cognizione di causa. Un esempio?: qualche considerazione sul futuro politico del "Movimento 5 stelle" nel meridione

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d'Italia (peraltro il 'mio' adorato meridione) in vista delle elezioni regionali della prossima primavera che saranno la vera cartina di tornasole dei risultati delle consultazioni dello scorso 4 marzo 2018 in quell' Italia diventata, tutto ad un tratto, di colore "giallo". Quali caratteristiche distinguerebbero dunque il prototipo di quel tipo di elettore grillino del nostro meridione che, come è noto, ha contribuito in modo fondamentale alla poderosa forza d'urto nazionale di quei complessivi 10 milioni di voti pentastellati? Sono convinto che, ad un'onesta analisi, tali caratteristiche non apparirebbero, ahimè, molto 'entusiasmanti'. Al riguardo consentitemi però di fare un piccolo salto all'indietro nella Storia e precisamente a quel 20 gennaio 1961, quando, come ci si ricorderà, John Kennedy, all'atto del suo insediamento presidenziale, pronunciò la famosa frase secondo la quale gli americani non avrebbero più dovuto chiedersi cosa l'America avrebbe potuto fare per loro, ma piuttosto cosa essi stessi avrebbero potuto fare per l'America. Ricordo che, all'epoca, al cittadino medio del nostro meridione venne spontaneo un accenno di sorriso frammisto a sorpresa ed a sconcertato sarcasmo. Si pensò subito: " Ma guarda un po' che sconvolgente cambio di prospettiva si azzarda ad indicare questo giovane americano?" Noi, qui al Sud abbiamo smesso persino di immaginare una tale ipotetica possibilità da almeno duemila e duecento anni a questa parte, cioè da quando per i liberi cittadini della Magna Grecia scoccò, per opera dei vincenti conquistatori romani (battaglie di Taranto e di Siracusa 272 e 212 A.C.), l'ora della fine della loro civiltà. Da allora in poi e fino ai nostri giorni, soltanto uno spadroneggiare di proconsoli romani, funzionari bizantini, nonché, Gattopardo "dixit",: "imani musulmani, cavalieri di re Ruggero, scribi degli svevi, baroni angioini, legisti del Cattolico, viceré spagnoli, funzionari riformatori di Carlo III" e, mi permetto di aggiungere io, …. esattori piemontesi. Sarebbe stato pertanto surreale il chiedersi cosa gli ex storici reami del meridione (Campania e Sicilia in testa) avrebbero potuto fare "per" l'Italia. L'essenziale era (e lo è ancora) capire soltanto cosa l'Italia avrebbe mai potuto fare allora e - continuare a fare - oggi "per" il proprio Sud. Ed ecco dunque concepita dal governo giallo/blu la grande genialata: un'inedita commistione tra un reddito di cittadinanza e un agevolato pensionamento anticipato! Musica per le orecchie di noi meridionali! L'interpretazione di un tale panacea dal consenso plebiscitario non va però ristretta ad una semplicistica lettura socio-economica (sarebbe troppo facile e apparirebbe peraltro come la riproposizione in salsa attualizzata di due delle tre "F" (festa e farina) della famosa triade borbonica, orbata però della terza componente, la "forca", in quanto l'edonistica e ludica società contemporanea pretende vantaggi a costo zero senza vedersi velata in alcun modo la splendida attesa di una serenità a costo zero con macabre visioni di contropartite - Dio non voglia! punitive). NO!, questo non sarebbe giusto! La psiche socio-economica di noi meridionali è molto più raffinata e complessa di quanto una così scontata, banale interpretazione porterebbe a pensare. Ventidue secoli di storia fatta di sottomissione a poteri del tutto estranei a noi "sudisti" ci hanno, quasi geneticamente, modificato producendo nel nostro 'io' una reale frattura tra sostanza ed


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accidente, tra ciò che si è e ciò che ci si risolve a manifestare, tra ciò che si pensa e ciò che si dice. Inoltre l'abbuffata democratica di retorica da "diritti" con zero "doveri" dell'ultimo settantennio ha ben insegnato al Sud (siamo persone intelligenti che "capiscono subito", sapete?, ed inoltre 22 secoli di storia e conseguente pratica non sono proprio acqua fresca) a metabolizzare, con relativa formalizzazione, ogni tipo di lessico che intuiamo subito essere palatabile all'interlocutore "straniero" del momento (proveniente, tanto per intenderci, da Napoli in su) e cioè, nella sostanza: PENSANDO molto in "piccolo" (unicamente al mio 'particulare') ed ESPRIMENDOSI molto in "grande" (a parole, per i sommi 'destini' del paese). E ciò, naturalmente all'unico, beninteso scopo - mi si perdoni il francesismo - di "foutre l'etat" e nel sotteso assunto che recita : "socialità, cos'è mai costei?". Dopotutto non dimentichiamo che la nostra capacità di immediata metabolizzazione di ciò che l'estraneo del momento pretende da noi (nel caso in esame, il voto) al fine di esaudire un nostro vivo desiderio (i soldi) ha peraltro raggiunto, nel corso della nostra lunghissima storia, vette eccelse. Qualche esempio di secolare, silenzioso "adattamento" al puro fine di un egoistico ritorno individuale di tipo "economico" nella più ampia accezione del termine?: 1) tra le antiche divinità d'importazione acquisite nel corso della sottomissione greca e romana con relativa necessità di immediata assimilazione, non ci si era subito auto convinti che quel becero Juppiter/Giove d'importazione poteva, dopotutto, essere "anche" letto come null'altro che un bonario e simpatico futtarro? 2) Il penetrante ed inquietante volto scuro del Cristo bizantino di Monreale e Cefalù non fu subito adottato dai locali come divino esponente di una sorta di "autoctona cosa nostra"? 3) i ghirigori dei disegni arabi non vennero metabolizzati come nient'altro che plastiche manifestazione precorritrici dei "nostri" arzigogoli mentali e relativo, allusivo linguaggio utilmente polifunzionale? 4) gli acquisiti spagnolismi lessicali e comportamentali nei nostri ex vicereami di Madrid non furono prodromici ad una consolidata tecnica di immediata e pagante efficacia nelle nostre sempre "utilitaristiche" relazioni interpersonali? 5) … e così, via via acquisendo, relativizzando ed utilizzando. Avevamo dunque bisogno di un'ulteriore Farina (di Stato) per poter continuare l'usuale, deresponsabilizzata esistenza. Ed ecco dunque concretizzarsi - anche lo scorso anno - il bimillenario copione: occhiata d'intesa, nella fattispecie, con i 5 Stelle (e stavolta, purtroppo, anche con la Lega) agognanti per proprie ragioni di partito al facile consenso meridionale e "voilà" il sempiterno, sovrano "cadeau" dal trito copione:" io do soldi a te, tu dai voti a me". Con l'aggiunta, nella fattispecie, della sottile e perfida soddisfazione del meridionale tipo di poter rifilare, con l'occasione, anche un gratuito calcio negli stinchi al sempre detestato potere costituito (spiegandosi in tal modo - per la serie "profitto e sberleffo" - l'incomprensibile voto ai Grillini ANCHE da parte di chi, al momento, non aveva comunque alcun bisogno di un reddito di cittadinanza). Ma dico io: "si può continuare ad andare avanti in tale modo pensando cioè in maniera del tutto

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egoistica e strafottendosene di qualsiasi ricaduta negativa sulla socialità generale? Paludando tale becero egoismo personale con magniloquenti sproloqui di egualitarismo democratico per fare un fruttuoso verso ad un potere di pseudo peronismo elitario di sinistra solo al fine di acquisire una sterile massa di voti (come sempre meridionali) da gettare poi sulla bilancia del mercato politico romano in termini di potere e contropotere parlamentare? Per quanto tempo il nostro paese potrà continuare a permettersi una tale scandalosa farsa?" Credo ancora per poco. O si cambia registro di cultura politica o, prima o poi, si andrà a sbattere. E vengo al punto: qui bisogna ormai smontare l'intera macchina costituzionale italiana e ricomporla con nuovi principi e metodi in modo che essa sia pronta e funzionante (diamoci un termine abbastanza lungo, diciamo entro e non oltre il prossimo 2048, scadenza del suo primo centenario) per archiviare finalmente, dopo un secolo, la "Costituzione più bella del mondo", unica, indubbia responsabile di tutte le confusioni e conseguenti anarchie del nostro sfortunato paese. Mi augurerei che per quella data una Costituzione, nata male e cresciuta peggio, possa aver finalmente finito di nuocere. *** La nostra autoproclamata (… ha! …, i disastri compiuti dall'ostinarsi a non voler ammettere la "nudità del re"!) "Miss Universo 1948" tra gli Atti Fondanti di tutte le nazioni del pianeta, vede DUNQUE la luce, per concezione prettamente alchemica in sontuosi palazzi romani, alle ore 0h,0',00" del primo gennaio di quell'anno annunciando, innanzitutto, la nascita di una miracolosa (con discutibile referendum, naturalmente, "ad iuvandum"!) "Repubblica democratica fondata sul lavoro", pur se appena UN secondo prima, e cioè fino alle ore 23,59',59" del 31/12/1947, essa era ancora un più che ottantenne Regno d'Italia con relativo monarca pomposamente in trono "per la grazia di Dio e la volontà della Nazione". Detta neonata affermava inoltre, e perentoriamente, niente po' po' di meno, che "la sovranità apparteneva al popolo, che, etc., etc. …". Tale futura "pin up" delle Norme Fondatrici universali (è la più bella del mondo, o no?) era inoltre stata il frutto degli estemporanei, anche se combinati, amori tra una celestiale 'Madre Chiesa' ed un baffuto 'Piccolo Padre' e portata al fonte battesimale dal vigoroso e vitale - anche se del tutto rincitrullito in quanto in costante stato di patologica autoreferenzialità - nonché solo apparentemente bonario in quanto molto cinico, 'Zio Sam' (… parenti vari, alla finestra!). A questo punto mi tocca purtroppo ricorrere ad una lunga, e peraltro inelegante, autocitazione: "A.P., CONFINI n° 68 dell'ottobre 2018" : "" Oggi quella neonata del 1948 venuta alla luce sotto il segno del Capricorno ha già compiuto 72 anni e sarebbe ormai più che legittimo il domandarsi :" il nostro paese si è realmente costituito in una Repubblica democratica fondata sul lavoro"? Quanto mi circonda mi porta a dubitarne ed ad affermare che oggi, alla luce della sua ormai ampiamente sperimentata maturità, l'articolo 1° della nostra Legge fondante andrebbe più realisticamente riscritto nel seguente modo :" L'Italia è un CONDOMINIO di CORPORAZIONI fondato sulla SPESA PUBBLICA". Che si abbia il coraggio di non nascondersi dietro ad un dito! L'italiano medio (naturalmente con tutte le varie eccezioni del


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caso e con la cortese preghiera al gentile lettore di non impiccarmi subito alle mille possibili, sacrosante, certificate fattispecie di esempio contrario) è di fatto inserito - o comunque felicemente vi si accomoda - in una qualche forma di specifica CORPORAZIONE socio-economica. Tali corporazioni si manifestano per cerchi concentrici; al centro le più coesive e tenaci che si allargano poi, diluendosi, in svariate altre di ogni genere. Dalla famiglia (naturalmente al primo posto) al mestiere, alle professioni per giungere infine all'orbita "plutonica" della squadra di calcio del cuore. Credo che la cronaca dell'ultimo settantennio di vita pubblica italiana confermi in modo incontrovertibile il fatto che (prego cortesemente il lettore di recepire anche il seguente elenco a titolo di puro esempio) un nostrano tassista, negoziante, farmacista, notaio, docente universitario, primario ospedaliero, magistrato, diplomatico etc. sia, prima di tutto un tassista, un negoziante, un farmacista, un notaio, un docente, un primario, un magistrato, un diplomatico e soltanto, ed a seguire, un "italiano". Mi azzarderei a pensare che le rispettive controparti francesi, inglesi o tedesche possano mostrare un capovolgimento di ruoli. Credo infatti che colà, ad un ipotetica resa dei conti, ci si dichiarerebbe forse, e prima di tutto, appartenenti alla Nazione e soltanto in subordine al gruppo socio- economico (o corporazione che dir si voglia) di propria appartenenza (famiglia di sangue, probabilmente, inclusa). Cosa deriva ineluttabilmente da ciò? Che l'Italia NON sia uno Stato unitariamente coeso, MA soltanto quello specifico Condominio di eterogenee corporazioni legalmente domiciliato allo stabile detto "La Penisola" e sito in "Largo del Mar Mediterraneo" n° 1. Spero che chi mi legge sia almeno d'accordo sulla seguente constatazione: il condominio è in assoluto la peggiore forma possibile di consorzio umano. Una forzata convivenza tra individui sconosciuti, spesso incompatibili per carattere, uniti dal collante di una sofferta sopportazione reciproca segnata da perenne diffidenza in salsa di finalizzata, farisaica cordialità. Credo risulti evidente che una comunità statuale dal sentire corporativo (ciò detto per evitare, per carità di patria, la nota citazione di Metternich sull'"espressione geografica") può contenere e gestire gli inevitabili attriti di reciproca convivenza a condizione che sia presente in essa una sorta di agente LUBRIFICANTE che neutralizzi, o almeno minimizzi, la forzata contiguità di ingranaggi in sofferta relazione tra di loro e che girano spesso a velocità differenti con rischio di pericoloso surriscaldamento, se non addirittura di grippaggio. E questo, in un meccanismo dall'assemblaggio mal progettato sin dall'origine (non dimentichiamo che la repubblica di oggi è nata anche da un'autentica guerra civile di matrice politica e non soltanto da una liberazione peraltro opera soprattutto di potenze straniere) ed ancor peggio gestito da governanti settoriali, conflittuali, non sintetici e tanto meno lungimiranti (vedasi, ad esempio, l'odierno, sofferente sistema regionale). Se inoltre tale comunità si è trovata costretta a vivere per un buon mezzo secolo in una sorta di asfissiante morsa geopolitica chiusa tra i due giganti ideologici del capitalismo e del comunismo con l'unica "gentile concessione" da parte della Storia di appena un unico, breve decennio di autentico sviluppo economico/ imprenditoriale (1957-67), si può allora comprendere come la SPESA PUBBLICA, nella sua accezione più ampia, sia stata (e continui naturalmente ad esserlo ancora) l'unico "lubrificante" di stretta matrice keynesiana del nostro

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corporativo Condominio e come essa costituisca la stella polare della sua economia, nonché croce e delizia della sua stessa sopravvivenza. In tale asfittica condizione geopolitica costantemente minacciosa per la pace sociale tra le variegate corporazioni del paese (situazione peraltro accettata per decenni dai due contrapposti schieramenti politici italiani, DC e PCI, ciascuno per propri, e spesso inconfessabili, interessi di parte) il governo italiano pro tempore - "rectius" l'Amministrazione pro tempore del 'Condominio Italia' - soprattutto dagli inizi degli anni '70 fino al deleterio ingresso, se non altro per la tempistica e le modalità attuative, nella moneta unica europea, non poteva, per la sopravvivenza stessa della sempre precaria pace condominiale, che aggrapparsi alla gestione della finanza pubblica e relativa spesa. Ciò per cercare di assicurare, per quanto possibile, l'equilibrio del nostro fragile patto sociale e di cui al sopra"rivisitato" art. 1 della Costituzione in chiave realisticamente corporativa. E bisogna riconoscere che, grazie anche al noto "stellone" italico, esso sembra sostanzialmente esservi riuscito. Tuttavia non va dimenticato che tale Amministrazione ebbe la fortuna di avere a disposizione, come suole dirsi proprio sotto casa e fino alla soppressione della Lira (gennaio 2002), un magico strumento operativo, panacea per tutti i mali economici e/o di bilancio del Condominio stesso: la Zecca dello Stato. Un cenno dell'Amministratore alle presse monetarie ed ecco docilmente asserviti al proprio volere: 1) DEFICIT, 2) DEBITO PUBBLICO, 3) INFLAZIONE e 4) SVALUTAZIONE MONETARIA COMPETITIVA. Meglio di così?! Evviva ed allegria! Dopotutto, qualcuno non ha forse detto che "la vita è troppo breve per NON essere italiani" o che, come da ineffabile Principe di Salina, "finche c'è patrimonio finanziariamente garante, c'è speranza"? ll gioco era così acriticamente facile, nonché politicamente gratificante, che, anche in quel momento di rivitalizzazione dell'industria manifatturiera e dell'export italiani (i favolosi anni '80) invece di approfittare della favorevole congiuntura per compiere atti di lungimirante gestione economica e di investimenti produttivi, il massiccio ricorso al debito pubblico (soprattutto da parte della premiata ditta "CAF & Co") per finanziare in costante deficit soprattutto spese correnti, raggiunse livelli stratosferici creando così le premesse di quel debito pubblico italiano che ammonta oggi, come è noto, al 130 % del Prodotto Interno Lordo. Ma, ahimè, prima o poi tutto finisce! Con lo scavallare nel terzo millennio si estingue, da un lato, il mondo bipolare (nostra garanzia internazionale geopolitica, e quindi economica,) e, dall'altro, la nostra Zecca di Stato, eterna fonte di salvezza nei più cupi momenti socio-economici del Paese, si invola senza ritorno per Francoforte. Da quel momento in poi la supervisione finanziaria del "Gattopardo Italia" viene interamente affidata ad un, più o meno, arcigno ragioniere contabile mitteleuropeo e, da quel momenti in poi,: "buonanotte ai suonatori !"". Nel già citato Art. 1°, la nostra bella Costituzione da copertina patinata si spinge ancore più in alto, verso inviolate vette di correttezza etico-politica affermando perentoriamente che: "La SOVRANITA' appartiene al POPOLO che la esercita nelle forme e nei … "LIMITI" (!) della Costituzione stessa").


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Ulteriore citazione: "A.P., CONFINI n° 79 dell'ottobre 2019": La sovranità del popolo?: ""Una vera e propria panacea per i veri, diretti fruitori/beneficiari della stessa, ma altresì finto specchietto per le allodole per tutta, ma proprio tutta, quella sessantina di milioni di italiani (formale facciata "democratica", questa, del dramma di un paese che il concetto di VERA democrazia non sa ancora bene dove stia di casa), TRANNE, che per quell'empireo di 945 (a calare?) beneficiati parlamentari (costituenti il ristretto, vero potere oligarchico ed elitario del Palazzo), composto da quei raffazzonati vincitori di una quinquennale lotteria di Capodanno, o inatteso "jackpot" che dir si voglia, della serie : "io ne traggo un vero, enorme, egoistico, deresponsabilizzato vantaggio personale, ma farisaicamente ti gabello che lo faccio per te, che mi sacrifico per servirti e favorirti". Cos'è dunque questo POPOLO definito letteralmente nella Carta niente popò di meno che SOVRANO del paese, ma senza alcuna corona? Secondo me, un disordinato e sconclusionato amalgama di tante brave ed oneste persone (qualora singolarmente prese), ma altresì un indistinto gregge (si, sostanzialmente GREGGE e pertanto struttura solo apparentemente unitaria) ma, al contempo - altro sbalorditivo ossimoro - intrinsecamente ANARCHICO, "Montanelli dixit"). E la cui teorica "reconductio ad unum" a fini di mera funzionalità 'sovranistica' altro non può essere che un velleitario esercizio filosofico di pura astrazione. Cerchiamo di essere onesti: la casalinga di Voghera ed il saldatore di Lecce, il disoccupato di Canicattì e la parrocchiana di San Martino di Castrozza, l'industriale bresciano ed il pastore sardo, il residente Capalbio e l'abitante di Lampedusa, il naturalizzato nigeriano di Tor Bella audaciaditemeraria igiene spirituale Monaca ed il cittadino di Cortina d'Ampezzo, cosa possono individualmente e concretamente aspettarsi dal comune patto di convivenza civile formalmente consacrato dalla nostra "filosofica" Carta costituzionale e che gli odierni "politicanti" (prego caldamente di non chiamare qui in causa l'alto e nobile concetto di "politica" del tutto estraneo ai nostri attuali Palazzi ospitanti un autentico potere oggi, di fatto, del tutto irresponsabile), abbeverati al sondaggio quotidiano, infiorano costantemente di proprie "salvifiche" proposte ? Di ricette poste giusto lì, appena dietro l'angolo, ma che, guarda caso, svoltato tale angolo ci si ritrova di fronte soltanto … ad un altro angolo e così via di seguito? A questo punto, prego il cortese lettore di seguirmi nello sfogliare un ipotetico, ma attualissimo, album di istantanee di democrazia parlamentare cosi come esse si mostrerebbero se scattate, diciamo, da Marte e con l'opportuna neutralizzazione audio dello sconcertante, sconnesso cicaleccio di contorno. Cosa apparirebbe allora, fotogramma dopo fotogramma? 1) Una SCHEDA elettorale di ripetitiva riedizione quinquennale imbrattata da astratte figure di simboli dietro le quali dovrebbero celarsi gratuiti ed indimostrati messaggi politici di improbabili panacee per tutti i mali del nostro paese; 2) Uno smarrito e confuso CITTADINO elettore a cui è stato detto, da "altri", che egli è chiamato, in tal modo, ad esercitare la sua "sovranità", si fa per dire, sul proprio paese;

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3) Uno stuolo di POLITICANTI chiamati all'unico "quarto d'ora" di reale impegno di tutto il lustro precedente dovendo essi perseguire il duplice e non facile obiettivo di far dimenticare quanto concretamente non fatto (o fatto male), nonché quanto da essi perentoriamente affermato, e poi spudoratamente contraddetto, nel corso degli ultimi quattro anni e mezzo (nel quinquennio infatti circa sei mesi sono dedicati alla vitale, per loro ovviamente, campagna elettorale, pena una irreversibile disoccupazione a vita). Ciò, nella consolidata certezza che, mentre per il paese cinque anni sono un tempo brevissimo, l'analoga durata è invece per ogni singolo cittadino un periodo molto lungo che spesso diluisce la memoria. Nel lustro trascorso si sono infatti verificate nascite e morti, ci si è sposati o ci si è divorziati, si è stati assunti ovvero licenziati, si è stati umanamente felici ovvero del tutto insoddisfatti, ci si è arricchiti ovvero amaramente impoveriti, la squadra del cuore ha vinto lo scudetto o lo ha perso, un figlio è nato ovvero si è laureato, si è stati amati ovvero detestati e cosi via elencando per innumerevoli fattispecie. Cosa volete quindi che la mente di quel povero "matitoforo" (nel senso di momentaneo reggitore di apposita matita), supremo attore di sovranità democratica, possa configurarsi in quei brevissimi, solitari istanti trascorsi nella cabina elettorale? Ma suvvia, mio caro cittadino sovrano, non ti resta che mettere d'impulso una crocetta sul foglietto ed il gioco è fatto e puoi anche aver creduto per un eccitante nanosecondo di essere il demiurgo determinante il destino tuo e di tutti gli altri. Il rito comunque si è compiuto, il "sovrano" si è espresso! Ecco :"Consumatum est" quello che i politicanti attendevano da ben cinque anni! Ora, superata la curva, si dipana davanti a loro la nuova autostrada di una gratificante sorta di "sinecura" per un intero lustro atta a garantire una estemporanea "performance" assicurata da una robustissima rete di sicurezza su qualunque cosa si dica o non si dica, che si indovini o che si sbagli, che si faccia o non si faccia, sia in bene che in male. E' la garanzia blindata dal dettato costituzionale, bellezza! Nel prossimo quinquennio chi potrebbe mai sindacarne efficacemente l'operato? I sondaggi? Ma si sa che essi sono del tutto aleatori e non hanno inoltre alcuna rilevanza giuridica! I giochi e le possibili imboscate dei colleghi deputati e senatori? Ma va là! Come suole dirsi "cane non mangia cane", negli emicicli si sta benissimo e le comuni riunioni conviviali serotine in trattoria ("tutti assieme appassionatamente") sono una delizia per il corpo e per la mente. Naturalmente, la tigre di carta deve però fare finta di ruggire, il cane senza denti di mordere ed ecco quindi la recita dal pathos esagerato, dall'indignazione di maniera, al limite la rissa, ma trattasi in vero di pure apparenze. Mentre si urla e ci si sbraccia si tasta di nascosto il pavimento sotto i propri piedi per accertarsi che l'asettico emiciclo sia sempre e comunque presente e ben saldo sotto di essi. Ma scherziamo? Mai rischiare seriamente un miracolosamente acquisito, solido stato sociale, una munifica prebenda, una gratificante popolarità socialmente monetizzabile ed il tutto per indisturbati - e soprattutto garantiti - cinque lunghi anni di vita! 4) Ciliegina sulla torta? Il formalmente, ed esageratamente, rispettato ed ossequiato PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA pro tempore, l'arbitro che potrebbe interrompere il bel gioco e persino, udite, udite mandare tutti a casa portando via il pallone dal campo; così è infatti in pura teoria, o perlomeno così dovrebbe essere. C'è però una grande anomalia: l'arbitro della partita è


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diretta emanazione dei giocatori stessi! Al riguardo, potrebbe qualcuno cortesemente indicarmi il nome di una qualsiasi disciplina sportiva ove siano gli stessi atleti in futura competizione tra loro che, prima del "match", si riuniscano in apposita assise per indicare, di comune, anche se maggioritario accordo e pur dopo acceso dibattito, l'arbitro che, insindacabilmente, dirigerà la loro gara? Non ce ne sono e da nessuna parte. In ogni sport che si rispetti, l'arbitro dell'incontro è infatti emanazione di un'autorità ben diversa e del tutto slegata dal coacervo istituzionalizzato degli atleti la cui gara dovrà appunto essere "arbitrata" dal giudice designato. Qualora invece la genesi del direttore di gara sia un fatto interno ad un unico emiciclo in cui siedono indistintamente tutti i futuri competitori, il risultato finale è soltanto quello che il cosiddetto "arbitro" che ne verrà fuori non potrà mai dimenticare da quale delle future squadre in campo egli sia stato designato ed in particolare quale sia il nome (o i nomi) del "capobastone" che abbia reso ciò possibile"". A questo punto, cosa poter dunque immaginare per sperare in un futuro diverso per la nostra amata Italia? Innanzitutto, un caldo, sincero invito a farsi avanti a tutti coloro che abbiano una qualsiasi sensata proposta che sia: - Basata su una onesta volontà di migliore fisiologia socio-politica per il nostro paese, - Basata altresì su un progetto realistico e soprattutto mondato da qualsiasi pregiudiziale moralistica, marinata in massicce dosi di aprioristica correttezza politica. E ciò in che modo? Secondo me, attraverso una eventuale: a. REPUBBLICA PRESIDENZIALE per poter collegare, nell'esplicita e aprioristicamente condivisa sintesi unitaria propria delle sinapsi di giudizio di un singolo capo dello Stato direttamente eletto dal popolo stesso, quegli sparsi neuroni di natura politica generati da decine di milioni di cittadini elettori che, costretti con il voto, a fuoriuscire, comunque soltanto una volta a quinquennio, dai loro concreti e ben metabolizzati interessi corporativistici e che altro non sono (Pirandello mi perdoni!) che slegate, vaganti e talvolta ideologicamente velleitarie potenzialità di "confusi consensi in cerca di autore". Concludo con l'ultima citazione da :"A.P., CONFINI, n° 79 dell'ottobre 2019": " Ta l e f a t t i b i l i s s i m a s o l u z i o n e ( l a Re p u b b l i c a P r e s i d e n z i a l e ) è p e r ò, a l momento,comprensibilmente ostracizzata da tutti coloro che traggono diretto beneficio dall'attuale stato di cose e cioè: a) I POLITICANTI Di PROFESSIONE che, in tal modo, sono del tutto liberi di cantarsela e suonarsela a loro completo piacimento. Infatti il predetto elettore"matitato" una volta restituito tale apposito attrezzo al presidente del seggio elettorale può essere tranquillamente dimenticato dagli eletti per i successivi cinque anni per restare titolare soltanto di un "diritto di mugugno" di marinaresca memoria, ma del tutto ininfluente, come è noto, per la concreta gestione dell'imbarcazione; b) I MASS MEDIA che sguazzano felicemente nella colorata battaglia - tipo "wrestling" americano dalle finte botte da orbi - ma sulla quale ci si può ampiamente sbizzarrire con "scoop"

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giornalistici e seriosi approfondimenti buoni soltanto per l'"espace d'un matin" a cui la supposta dialettica politica può ben fornire inesauribile linfa vitale essendo essa del tutto artificiale e quindi perenne fonte di estemporanea creatività; c) Infine, ed ahimè, anche lo stesso POPOLO SOVRANO che cosciente di come la partita, diciamo politica, si svolga in uno stadio lunare dal suo impossibile coinvolgimento diretto ("ma tu, tapino sovrano, cosa ti aspetti? Hai "matitato" in libertà e vorresti rompere ancora le scatole?), conserva comunque un residuale, pallido godimento di potersi accapigliare al bar (tipo post derby Roma - Lazio) con relativa, e tutto sommato divertente, amplificazione da parte delle locali stazioni radio interamente dedicate (H24)alle vicende della maglia (pardon !, del partito) del cuore. Una modifica costituzionale in senso presidenziale di diretta emanazione popolare oltre che ad essere molto rispettosa del generale sentire della gente diciamo "minuto per minuto" (il Capo dello Stato potrebbe in tal modo usare entrambe le sue orecchie: una per ascoltare il popolo che lo abbia personalmente scelto e l'altra il parlamento rappresentativo della varie corporazioni nazionali e giungere, in tal modo, ad una accettabile sintesi della composita realtà del paese), consentirebbe infatti al giudice/arbitro di essere realmente efficace. In tal modo egli non sarebbe più unicamente la diretta emanazione dei giocatori in campo, ma anche del pubblico sugli spalti con la conseguenza che la sua valutazione arbitrale dovrà non soltanto tenere conto del mero rispetto delle regole della competizione da parte degli atleti in azione sul terreno di gioco, ma anche delle ripercussioni che, in corso di partita, il loro comportamento verrebbe ad avere sull'intero pubblico, peraltro profumatamente pagante." Ed un: b. PARLAMENTO DI CORPORAZIONI ove reali, diretti e concretamente confrontabili interessi individuali di tipo corporativistico (addio dunque ad un "regime" di partiti che a differenza delle concrete corporazioni sono invece palestre surreali per esercizi di pura aria fritta ideologica, o almeno concettuale, ove (e che mi perdonino, stavolta, Ionesco & Co.) va in scena un "teatro dell'assurdo" che porta a scenari, appunto, demenziali. Un esempio per tutti? Le risultanze delle elezioni generali dello scorso 2018 ove, per imperscrutabili percorsi mentali di erratici, singoli elettori, si è verificato che ricchi e comodi cittadini "pariolini" (o"capalbiesi" che sia) votino tanto per "divertirsi" (nel vero senso etimologico della parola) - per i partiti della "sinistra" (che, teoricamente dovrebbe battersi per cambiare in peggio il loro confortevole, consolidato sistema di vita a teorico favore di chi invece sta economicamente ben al di sotto di loro) e, d'altra parte, che i diseredati del romano quartiere di Tor Bella Monaca si buttino di fatto (e forse anche per una irrazionale forma di ripicca politica) tra le braccia di una "destra" che, per un proprio, esplicito credo politico oggettivamente conservatore, vorrebbe invece tendenzialmente mantenerli (ironia pura!) nel loro attuale "status" sociale; il tutto per la schizofrenica serie del:" votateci, ma alla fine, "noi" restiamo nella nostra ROMA NORD e "voi" restate nella vostra ROMA EST !"


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Credo proprio che a questo punto avrebbe molto piÚ senso persino una esplicita, non ipocrita vera e propria "Corporazione dei diseredati" con una esplicita e legittima rappresentanza parlamentare e con un'inequivocabile programma politico di tipo: "Tassa, Spendi e Ridistribuisci" al quale anche episodiche e sincere anime belle, comunque dal pingue portafoglio, potrebbero liberamente e per propria scelta etico-morale, dare il loro appoggio in ottica di concretizzare eventuali, finalizzate alleanze parlamentari. Credo che una tale soluzione sarebbe veramente il meglio per tutti. Chi avrà però il necessario coraggio di PROPORRE una tale rivoluzione socio-politica? Antonino Provenzano Roma 28/12/2019

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FOIBE: E COME POTEVAMO NOI CANTARE... No, presidente Mattarella. Non abbiamo dimenticato le Foibe. E neppure in noi alberga indifferenza per il dramma dell'esodo istriano-giuliano-dalmata. Sono occorsi 57 anni dalla firma dei Trattati di Pace di Parigi, un Governo di centrodestra e un presidente della Repubblica giusto e coraggioso quale fu Carlo Azeglio Ciampi per restituire l'onore della memoria al popolo degli estremi confini orientali d'Italia, perseguitato e scacciato dai propri luoghi di vita dai partigiani comunisti del macellaio jugoslavo Josip Broz Tito. C'è voluta una legge dello Stato, la n. 92 del 30 marzo 2004, che consacrasse il 10 di febbraio a "Giorno del ricordo" per "conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale" (articolo 1), perché si portasse alla luce del sole un brandello di storia italiana nascosto per troppo tempo sotto una coltre di insopportabili silenzi, ignobili negazioni, vili imbarazzi. Come potremmo, presidente Mattarella, dimenticare le foibe? Sepolcri immondi e camere di morte d'innocenti vittime della ferocia comunista. Gli eccidi degli istriani-dalmati-giuliani non furono assassinii maturati nei torbidi climi della guerra. Fu pulizia etnica, pianificazione consapevole per la rimozione coatta della presenza italiana da terre da sempre italiche ma che per effetto delle sorti del conflitto mondiale non lo sarebbero più state. E come pensa, signor presidente, che si possa risanare quella ferita suppurata da anni di colpevole pavidità dei governi italiani? E quand'anche avessimo per un attimo un vuoto di memoria ci sarebbero le scriteriate dichiarazioni dei "partigiani" da bollino blu dell'Anpi a farci sobbalzare dalla sedia, a indignarci. Non sono illazioni. Per annusare l'aria che tira dalle parti dei custodi della verità resistenziale è sufficiente leggere l'intervento conclusivo del vicepresidente dell'Anpi, Gianfranco Pagliarulo, al seminario organizzato dall'Anpi nazionale e dal Coordinamento regionale Anpi Friuli-Venezia Giulia in vista del Giorno del ricordo presso la Biblioteca del Senato a Roma lo scorso 4 febbraio, dall'illuminante titolo "Il fascismo di confine e il dramma delle foibe". Il nesso causale fascismofoibe non cambia: è sempre uguale nel tempo ed ugualmente irricevibile. Scrive Pagliarulo: "...in questi anni nelle iniziative legate al Giorno del Ricordo è stata sovente rimossa la memoria di tre circostanze essenziali, gravide di conseguenze catastrofiche per quelle terre, in successione cronologica: il fascismo di confine; l'invasione italiana della Jugoslavia; la costituzione della Zona d'operazione del Litorale adriatico (Adriatisches Kustnland).


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La vicenda storica causata dall'intreccio di questi eventi col totalitarismo dello Stato fascista e dello stato nazista portò in quei territori alla esasperazione della guerra totale ed anche della guerra ai civili, ove cioè i già labili confini fra militari e civili, fra operazioni di guerra e crimini di guerra, fra relativamente lecito ed assolutamente illecito si dissolvono in un clima di parossismo della violenza...". Se ne ricava che se barbarie fu, va giustificata come reazione parossistica all'essere fascisti degli istriani-dalmati-giuliani. E le foibe sarebbero state la risposta slava, probabilmente illecita ma giustificabile in un contesto di relatività del valore della vita umana, all'assolutezza del male del "fascismo di confine"? Ma come la si vuole riconciliare la memoria di questo Paese, signor presidente Mattarella, se ancora oggi si partoriscono simili nefandezze? La domanda andrebbe girata a Norma Cossetto. Peccato che lei non possa rispondere. Già, perché la giovanetta, studentessa presso l'Università di Padova, nell'estate del 1943 era tornata a casa in Istria, dove la colse il fatidico 8 settembre, l'armistizio. Norma fu intercettata da una pattuglia mista di partigiani italiani e jugoslavi mentre era in bicicletta. Arrestata, portata nella scuola elementare di Antignana e separata dal resto dei prigionieri. Fu torturata e stuprata. Poi, incatenata ad altri sventurati, fu condotta a piedi in località Villa Surani e gettata ancora viva in una foiba. Norma, italiana, era nata a Santa Domenica di Visinada, che oggi è un comune della Croazia. Risponda alla domanda signor Pagliarulo: la giovane Norma Cossetto fu violentata, torturata e trucidata barbaramente perché era fascista o perché era italiana? Si chiede che sulla tragedia delle foibe vi sia un rigoroso approfondimento storico. Benissimo. Si passino al setaccio archivi tenuti dolosamente chiusi per decenni. Si chiariscano le responsabilità di tutti i protagonisti di quegli anni turbolenti. Si vada fino in fondo nella ricerca della verità. A patto, però, che non si commettano omissioni o si facciano sconti ai responsabili. Alle bande titine ma anche ai partigiani comunisti nostrani che collaborarono con i titini alla pulizia etnica. Si potranno cercare quante giustificazioni si vorranno per distorcere la realtà dei fatti accaduti, ma una cosa non si potrà mai fare: negare che quei territori, italici per "diritto storico", oggi sono località inglobate in altri Stati. Le autorità croate e slovene non perdono occasione per ribadirlo. La circostanza più recente risale a pochi mesi orsono. Il 12 settembre 2019 la giunta comunale di Trieste, per celebrare il centenario dall'impresa di Fiume, ha dedicato una statua a Gabriele D'Annunzio, il poeta-soldato guida e ispiratore dell'impresa fiumana. La cosa non è andata a genio all'"europea" Croazia. Il ministero degli Esteri croato, ignorando platealmente il diritto di uno Stato sovrano di onorare in patria i propri illustri cittadini, con una nota di protesta ha fatto sapere che il gesto "contribuisce a turbare i rapporti di amicizia e di buon vicinato tra i due Paesi". E la ex presidente della Croazia, Kolinda Grabar-Kitarovi? (in carica all'epoca dell'"incidente" diplomatico), del tutto indifferente ai tentativi giustificazionisti dell'Anpi volti a dare una parvenza di legittimità all'espropriazione post-bellica della penisola istriana e dintorni, intervenendo attraverso il suo account Twitter contro l'iniziativa del Comune di Trieste, ha

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ribadito l'unica verità che interessa ai suoi connazionali: "Fiume era ed è tuttora parte orgogliosa della patria croata". Fessi noi che abbiamo consentito che i due Stati nostri confinanti, Slovenia e Croazia, entrassero indisturbati nell'Unione europea senza chiedere loro conto della pulizia etnica operata in danno degli italiani. E ancora più fessi noi che, con i nostri soldi, abbiamo aiutato due regioni della ex-Jugoslavia, ridotte alla miseria da anni di comunismo titino, a rimettersi in piedi e a darsi una ripulita. La verità è che la ricorrenza del 10 febbraio ci fa male tre volte. Per il ricordo di quello che è accaduto settanta anni orsono ai nostri compatrioti; per ciò che continua ad accadere di umiliante e d'inaccettabile per la dignità della nostra Patria. E per l'amara constatazione di quanto sia viva e vegeta una certa sinistra nostalgica del comunismo che ha odiato altri italiani al punto di arrampicarsi sugli specchi del giustificazionismo pur di assolvere gli assassini, torturatori che a quei nostri fratelli dimenticati hanno inflitto dolore, perdita d'identità, morte e sradicamento territoriale. Signor Presidente Sergio Mattarella, le foibe sono la piaga che non smette di sanguinare; sono l'angoscia che arriva al cielo da "l'urlo" di Edvard Munch; sono lo struggente lamento del poeta (Salvatore Quasimodo) scolpito sulla pagina immortale di "Alle fronde dei salici". E come potevamo noi cantare/Con il piede straniero sopra il cuore... Cristofaro Sola


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INDICATORI DEMOGRAFICI E ALTRE ROGNE Ogni tanto i mezzi di disinformazione di massa dicono la verità, ma solo ogni tanto . Per esempio pochi giorni or sono ci hanno detto che l'ISTAT a gennaio 2020 ha registrato il più basso numero di nascite in Italia dal 1918. La popolazione è in calo per il quinto anno consecutivo. Pare per ogni 100 che se ne vanno, che ci siano 67 bambini che li sostituiscono. La catena di montaggio è palesemente fallimentare! Questa tendenza, si sa, è in lento e costante aumento. Incaprettati come siamo dai vincoli di bilancio impostici dall'UE, quindi impossibilitati a investire a fatti e non a parole negli unici collanti sociali possibili (che si chiamano famiglia e lavoro ), si va verso il coronamento totale del sogno capitalista e liberista. Nel medio e lungo periodo in Italia avremo totale promiscuità etnica, azzeramento di radici, identità, culture, tradizioni e religioni, abbassamento del costo del lavoro, sparizioni delle classi medie, ricchi da un lato e servi dall'altro, tutelati questi ultimi quanto basta per impedire (almeno negli intenti) sollevazioni di massa. Andrà proprio così e questo non lo dice Cassandra o un signor nessuno come me, lo dicono le più elementari regole della demografia, applicate a un preciso e rigoroso disegno politico sovranazionale, mai enunciato ma palesemente in atto. Per aver avuto io il torto e la follia di non essermi fatto i fatti miei , pensando non tanto a me ma al futuro dei miei nipoti, mi sto sperticando da anni in approfondimenti e ricerche che hanno trasformato la mia ideologia di fondo in una non ideologia, tanto grande è il pericolo che ci sovrasta e a fronte del quale le ideologie tradizionali non contano più nulla. Ne parlavo sere fa con una person , purtroppo anch'essa reduce da percorsi diversi ma con conclusioni analoghe alle mie o viceversa, poco importa . Questa persona è una contabile amministrativa presso uno Studio Commercialista, esperta e molto preparata . La deriva del paese lei la vede anche nell'ambito del suo lavoro, negli articoli e nei codicilli delle leggi di bilancio, imposte lapalissianamente da pupi al servizio dei pupari europei e di oltre oceano. La vede nella penalizzazione sempre più massiccia delle piccole e medie imprese, l'ultima frontiera prima del definitivo collasso di questo paese. Che oltretutto ha già perso il meglio delle sue industrie e del suo know-how. Il nostro è un declino lento e inarrestabile. Se non fosse inarrestabile, avremmo disordini e sollevazioni popolari già da diverso tempo.

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Con quali risultati non so nemmeno immaginarlo, però mi riesce più difficile immaginare dove ci porteranno invece l'inedia, l'ignoranza, la rassegnazione, la chiusura psicologica e mentale di un popolo intero che crede ancora nella stragrande maggioranza che la verità gli arrivi solo da TG, giornali, e Talk Show. E cosa dire della classe politica attuale? E delle precedenti dell'ultimo trentennio? Qualcuno vede Statisti in grado di battersi e di sottrarre questo paese al suo declino? Gli unici partiti che hanno fatto della lotta per l'uscita dall'Euro e dall'UE la loro fortuna elettorale, hanno voltato le spalle ai propri elettori, sicuramente riportati all'ordine da minacce e ricatti sovranazionali di cui non ci viene data contezza. Certo, considerato il vuoto elettorale creatosi con il voltafaccia dei suddetti partiti, sono nati vari movimenti sovranisti, dotati certamente di buona volontà ma che annaspano nella vana ricerca di spazi di visibilità e nelle difficoltà oggettive in termini di organizzazione e militanza; quindi restano praticamente confinati nelle anse del web, dove fanno praticamente resistenza al pari dei carbonari di un tempo. Che questi movimenti siano destinati a rafforzarsi è fuor di dubbio, ma il dubbio se saranno in grado di cooptare i consensi di un popolo di struzzi quale è quello Italiano, resta e semina sconforto nell'animo di tutti coloro che hanno conservato lucidità e spirito critico. Che dire alla fine? Fate girare questo grido di dolore? Che bisogna fare questo e quest'altro? Che bisogna scuotersi da questo torpore, dall'indifferenza, dall'inconscia paura di chi per paura e ignoranza ti da del "fuori di testa", se solo accenni a questi argomenti? Per carità, troppo impegno! Quello che penso io è che il popolo ha due soli poteri, quello del voto (per quello che serve oggi) e quello della rivoluzione. Ma quello che penso io ha poca importanza. Giuseppe Iacono


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LIBERTA’ D’ESPRESSIONE: OCCORRE UN MOVIMENTO D’OPINIONE Cari amici lettori, un mio caro amico mi ha chiesto di affrontare in maniera radicale il problema della libertà di espressione. Voi sapete che io sono sensibile a quest'argomento da sempre e molto sensibile da quando sono stato oggetto di una stupida e immotivata censura da parte di Facebook, che ha bloccato la condivisione delle risposte da me date alle domande su Quora. Ho già ricordato, nel mio ultimo pezzo dello scorso anno, l'articolo ventuno della Costituzione. Esso proclama, al primo comma, che "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione". L'ultimo comma dello stesso articolo pone un solo preciso limite a questa libertà, vietando le "manifestazioni contrarie al buon costume". Quest'ultima norma non è stata modificata. Per farlo, sarebbe stato necessario un lungo iter parlamentare, con la doppia approvazione da ciascuno dei due rami del Parlamento. Esiste però una scorciatoia. Come insegnò Dante nel XVI canto del Purgatorio, "Le leggi son, ma chi pon mano ad esse ?". Principio questo, che l'Azzecca-garbugli di Manzoni ribadisce a proposito delle "gride": esse valgono o non valgono a seconda di chi le voglia far valere e chi debba subirle. Venendo ai giorni nostri, l'egemonia culturale della sinistra, fondata sulla presuntuosa arroganza e sul possesso dei principali mezzi di comunicazione, ha cancellato il "buon costume" e sostituito ad esso il "politicamente corretto". Accade così che si possano impunemente offendere i simboli della religione cristiana e di ogni altro culto, eccezion fatta per l'islam (in quel caso, non è questione di morale ma di paura), che si possano cancellare i sessi voluti da Dio per arrivare all'insegnamento obbligatorio del "gender", che si possa violentare ogni forma di pudore ma che, al contrario, si ritengano perseguibili in ogni maniera le manifestazioni di omofobia, islamofobia, populismo, sovranismo e ogni altro pensiero che contrasti con i nuovi vangeli scritti su carta rossa. Il delitto peggiore è, oggi, dire la verità. Prendete ad esempio il genocidio. Quello nazista a danno degli ebrei è condannabile e guai, anzi, a volerlo ridimensionare: s'incorrerebbe nel crimine atroce di negazionismo. Sulle vittime di Stalin e di Mao, sulle violenze degli "Alleati" in danno dei prigionieri italiani, sulle foibe, sulle vittime delle stragi postbelliche consumate dai "partigiani" comunisti è meglio tacere perché non sono compatibili con il pensiero unico. Il genocidio armeno deve restare sotto silenzio perché Erdogan è un amico del giaguaro, quello degli indiani

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d'America per non offendere i padroni d'oltreoceano, quello di ebrei e cristiani per opera degli islamici per vari motivi, molti dei quali inconfessabili. Prendete ad esempio un autorevole giornalista "politicamente corretto" come Mieli, che ci impartisce quotidiane lezioni in TV: apprese del genocidio istriano, a suo dire, nel 1970, e per cinquant'anni ne ha taciuto. C'è bisogno di commenti? E poi, l'odio. A sinistra hanno addirittura inventato, in combutta con Soros e i Benetton, un movimento contro l'odio. Peccato che essi vedano l'odio dove esso non c'è e preferiscano minacciare e insultare Salvini, la Meloni e chiunque non sia dalla loro parte, ivi compresi i morti. Già che ai Benetton ha fatto capo, fino pochi giorni fa, quel fotografo, innalzato a opinion master, che dopo aver prodotto varie pubblicità contrarie al buon costume, ha vilipeso le vittime del ponte Morandi. Io sono abbastanza certo che l'odio non alberghi negli uomini e nelle donne di destra e, specialmente, nei cristiani praticanti, i quali credono in un Dio che è Amore. Ma, come ebbe a dire il papa regnante, io prenderò a pugni chi offende mia madre. Ovvio, quindi, che a un certo punto si risponda all'insulto con l'insulto, alla violenza con la violenza. È già successo, cento anni fa. Non deve ripetersi. Diventa indispensabile e urgente, allora, ripristinare la libertà sancita dalla costituzione, che non può restare a senso unico. Indispensabile e urgente, di conseguenza, imporre nuovamente un linguaggio corretto. Basta con le trasmissioni televisive in cui alcuni cercano di zittire altri interrompendo e gridando fino a coprire la voce di chi non è d'accordo con loro. Basta con gli insulti sul social: chi non è d'accordo ignori il post, non sputi commenti velenosi. Come fare? Occorre un movimento d'opinione che sia "veramente" contrario all'odio, alla prepotenza, al turpiloquio (non come le sardine, che tentano di impedire comizi e bancarelle dei leghisti). Questo è un appello, chi è d'accordo si faccia avanti: scriva a questo giornale, condivida e diffonda l'appello nella maniera che ritiene più idonea. Facciamo, ognuno nel suo piccolo, qualcosa per cambiare, per respingere questa marea di veleno e riportare all'asciutto il libero pensiero pulito, non politicamente corretto ma conforme al buon costume. Pietro Lignola


EUROPA

IL RUGGITO DELLA TIGRE CELTICA Un risultato clamoroso ha caratterizzato le recenti elezioni in Irlanda: il Sinn Féin, partito da sempre all'opposizione, ha conseguito una brillante vittoria anche se, come vedremo, molto probabilmente non sarà sufficiente per assicurargli la guida del paese. In Italia si parla poco e confusamente dell'Irlanda - lo stesso dicasi per agli altri paesi del Nord Europa - e pertanto, prima di illustrare le conseguenze scaturite dal voto che ha premiato Mary Lou McDonald, recentemente succeduta al mitico Gerry Adams, è opportuno chiarire alcuni aspetti che sono stati presentati distonicamente dai media, offrendo un'immagine distorta della realtà. I partiti che da un secolo si contendono il potere, Fianna Fáil e Fine Gael, sono descritti come partiti di centro-destra; il Sinn Féin è invece presentato come un partito di sinistra nazionalista e braccio politico, in passato, dell'IRA (Irish Republican Army), i cui militanti sono sempre definiti "terroristi". Mettiamo ordine. Il Fianna Fail venne fondato nel 1926 da Éamon de Valera, più volte primo ministro e presidente della Repubblica d'Irlanda dal 1959 al 1973. Politico a tutto tondo, è considerato da molti il mandante dell'assassinio di Michael Collins, l'eroe della guerra d'Indipendenza che dilaniò il paese tra il 1919 e il 1921. Il Fianna Fáil ha una vocazione governativa e, di fatto, ha governato sia con partiti di sinistra sia con partiti di centro-destra. È impropria, pertanto, qualsivoglia caratterizzazione che inglobi il termine "destra". L'ideologia di fondo, vagamente definita e ancorata precipuamente alla gestione del potere, può essere più appropriatamente ascritta al liberalismo, concepito in tutte le sue accezioni negative, politiche ed economiche. (Si veda, a tal proposito, quanto scritto nel numero 81 di questo magazine, dedicato proprio al liberalismo). Il Fine Gael, fondato nel 1933, non è dissimile e anch'esso nulla ha a che vedere con una destra degna di definirsi tale. Fa parte del Partito Popolare Europeo, è favorevole al matrimonio tra omosessuali e all'adozione da parte delle coppie omosessuali civilmente sposate. Il suo liberismo è ancora più spinto di quello del Fianna Fáil, con il quale si è spesso alleato, senza disdegnare alleanze con i Laburisti e la Sinistra democratica: l'importante è stare al potere, non importa come e a che prezzo. Ben altra storia quella del Sinn Féin, movimento indipendentista dalla forte caratura ideologica, fondato nel 1905 dal patriota Arthur Griffith. È senz'altro esatto definirlo un partito di sinistra o, meglio ancora, socialdemocratico-repubblicano, avendo cura, però, di spiegare bene - cosa che nessun organo di stampa si è sognato di fare - che il repubblicanesimo irlandese è tutt'altra cosa

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rispetto a quello continentale o statunitense e vuole soprattutto sancire il presupposto che tutta l'Irlanda - e quindi anche quella sotto il dominio inglese - debba essere considerata una "repubblica indipendente". Anche la definizione di partito di sinistra, se non correttamente spiegata, può dare adito a errori di interpretazione. Il Sinn Féin si batte costantemente contro la malapolitica e contro i potentati economici che non hanno a cuore il bene comune. L'Irlanda a guida liberale si è dimostrata fallimentare sotto tutti i punti di vista. Il sistema sanitario consente l'assistenza gratuita agli anziani e alle persone di basso reddito ma, sostanzialmente, non funziona e gli ospedali sono sovraffollati. I giovani non riescono a pianificare il loro futuro; gli affitti delle case sono altissimi e comprarne una è un vero sogno per la maggioranza della popolazione. Il Sinn Féin si batte da sempre contro le agevolazioni fiscali che hanno trasformato il paese nel paradiso delle multinazionali, senza alcun vantaggio per l'occupazione; combatte la speculazione edilizia, la corruzione negli enti pubblici, l'evasione fiscale ed è favorevole a una maggiore e più equa redistribuzione delle risorse economiche: scuole e ospedali pubblici sono al primo posto nella scala degli interventi urgenti. I suoi esponenti, non solo quelli storici, che hanno ceduto il passo a due straordinarie donne - Mary Lou McDonald nella Repubblica d'Irlanda e Michelle O'Neill nell'Irlanda del Nord - sono "inattaccabili" sotto qualsivoglia profilo e la loro statura etico-morale, unitamente all'alto livello culturale, traspare evidente in ogni contesto, soprattutto nei confronti con i loro avversari, che possono solo arrampicarsi sugli specchi, non potendo, in alcun modo, reperire argomenti validi per confutarli. Anche se ora ha fatto un passo indietro, sul partito aleggia ancora l'aura romantica, sublime, stupenda, ineguagliabile, di un vero eroe dell'indipendentismo irlandese: il settantaduenne Gerry Adams, tempratosi nei terribili anni dei troubles, cosa che per anni è stata sfruttata dai suoi detrattori, adusi a definire i membri dell'IRA come terroristi. È questa l'ultima sciocchezza da stemperare, perché il ritornello è ripetuto come un mantra anche dai media nostrani. L'Irish Republican Army combatteva contro la dominazione inglese né più né meno di come i nostri nonni hanno combattuto contro la dominazione austriaca, durante la Grande Guerra. Noi consideriamo patrioti i nostri nonni, non certo terroristi. Erano gli austriaci che definivano "terroristi" coloro che attentavano alla sovranità dell'Impero, proprio come facevano gli inglesi con i membri dell'IRA e come hanno sempre fatto in tutti i territori "occupati", a cominciare dalla Scozia del valoroso William Wallace, anch'egli "terrorista" per gli inglesi ed "eroe nazionale" per gli scozzesi. Qui non vi è spazio per un'articolata trattazione della storia d'Irlanda, ma chi volesse approfondirla può facilmente reperire, anche in rete, validi documenti e importanti documentari. Corposa ed esaustiva la pubblicistica e su tutti è doveroso segnalare i due testi di Bobby Sands, l'eroe che si lasciò morire nel carcere di Long Kesh, dopo sessantasei giorni di sciopero della fame: "Un giorno della mia vita"; "Il diario di Bobby Sands". Se essere al servizio del popolo, quindi, in Irlanda vuol dire essere di "sinistra", ben venga la sinistra! Ma non la si confonda, per favore, con le sinistre degli altri paesi europei, al servizio dell'Europa


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dei mercanti e aduse a una gestione del potere molto discutibile quando non propriamente criminale. Gli irlandesi hanno compreso il messaggio del Sinn Féin e lo hanno premiato, alle recenti elezioni generali, conferendogli la vittoria con il 24,53% dei suffragi. Il Fianna Fáil ha raccolto il 22,18% e il Fine Gael del premier Leo Varadkar, grande sconfitto della competizione elettorale, il 20,86%. All'atto della stesura di questo articolo non è dato sapere cosa avverrà, anche se è facilmente intuibile che le forze ostili al Sinn Féin faranno di tutto per coalizzarsi e consentire ai due partiti egemoni da sempre di mantenere il potere. Sulla carta però, in virtù della distribuzione dei seggi, sarebbe ampiamente possibile anche un governo presieduto da Mary Lou McDonald, all'insegna dello slogan lanciato durante la campagna elettorale: "Time for a change" (È ora di cambiare). Comunque vada a finire, tuttavia, la storica affermazione del Sinn Féin ha gettato le premesse per la ricongiunzione con l'Irlanda del Nord e tutti hanno la percezione che, anche in virtù delle recenti vicende legate alla Brexit, l'antico sogno di "A nation once again" possa trasformarsi presto in una splendida realtà. Lino Lavorgna

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EVA VERSUS MEGHAN Perché mai, in questa stramaledetta età contemporanea (dalla caratura fatta di diffusa superficialità e sensazionalismo, di resoconti della mera esteriorità dei fatti e non invece di esplorazione della loro più intima natura di un universalità di tempi e luoghi, soprattutto per accadimenti che concernono esseri umani) non si è più in grado di vedere la cose per come realmente esse siano? Per quale becera ragione, di ogni odierno evento reso di dominio pubblico da mass media affamati di fatti eclatanti e relativi profitti economici, non si riesce invece a coglierne le intrinseche universalità, antiche e costanti quanto il mondo stesso? Perché tale ripetitivo sbalordimento alla notizia della scoperta di un'ennesima fonte di acqua calda? A cosa mi riferisco? Al NON voler, ad esempio, scorgere nella attuale vicenda della coppia dei giovani duchi del Sussex, null'altro che una semplice replica in chiave contemporanea - naturalmente "si parva (ma molto parva !) licet"- dell'arcinoto dramma coniugale di Adamo ed Eva "Ma cosa dici, caro Antonino"? "Come ti permetti"? Dirà subito, qualche mio sperduto lettore? Accomunare la vicenda dei nostri mitici progenitori alle banalità da rotocalco di Henry e Meghan? Ma è cosa folle! " No, gli risponderei io: in entrambi i casi, trattandosi di semplice relazione maschio/femmina, l'accostamento è del tutto legittimo ed attuale, contenendo entrambe le fattispecie tutti gli elementi, ovviamente estremizzati, propri di un autentico rapporto tra un uomo ed una donna che condividano, in coppia, (cioè in un medesimo luogo ed in una medesima circostanza) la propria esistenza". Trattasi in sostanza di due repliche della medesima trama (certamente tragedia, la prima, forse commedia, la seconda!) ma che potrebbero forse venire entrambe ben definite come "Fughe dal Paradiso". "Non ne sei ancora persuaso, mio caro, monadico, diffidente lettore? Consentimi allora di invitarti a compiere - utilizzando un teletrasporto quantistico messoci a disposizione dalle moderne tecnologie - un viaggio che ci proietti, prima, nell'appena creato paradiso terrestre e nelle relative frescure dell'alcova maritale dei nostri due progenitori ed, in immediata successione (ma non preoccuparti, è solo questione di un nanosecondo!) nella villa canadese di Vancouver attuale nido d'amore, si fa per dire, dei nostri contemporanei Henry Windsor e Meghan Markle. Ti va? E sia!


SOCIETA’

EDEN Eccoci dunque appena atterrati nel mitico Eden, almeno per come esso ci è stato descritto - con molta creativa fantasia, ma, ahimè, con un non altrettanto rigore scientifico - dagli amanuensi estensori dell'Antico Testamento. Siamo nella seconda settimana (se non ricordo male era proprio il mercoledì 11 o il giovedì 12 successivi a quella fatidica, e peraltro conclusiva, domenica 7 del mese "Uno" dell'anno "Zero" dalla creazione dell'universo) ed Adamo ed Eva, essendo, come è noto, venuti al mondo già adulti hanno iniziato da qualche giorno la loro vita di coppia, pur senza averne esatta cognizione, dato che in quei paraggi non si era ancora coscienti dello scorrere del tempo. Inoltre, va aggiunto, la loro unione non fu frutto di un preliminare, estemporaneo, reciproco innamoramento (ne lui ne lei infatti avrebbero avuto di chi altro potersi innamorare), venendosi anche in tal modo a privare la donna di quel tipico, eterno potere femminino di "scegliere" da sola e liberamente colui che - ma solo in apparenza - sembrerebbe, poi, averla "volontariamente (?!)" scelta. In sostanza, zero alternative: "cara Eva, o diventi la Signora Adamo, o resti zitella". Tutto era infatti scaturito dalla semplice costatazione del Creatore che Adamo, da solo, si sarebbe certamente annoiato in quel supposto paradiso di delizie e che pertanto fosse cosa buona e giusta affiancargli la compagnia di, appunto, … una compagna; e così fu. Al riguardo resterebbe ancora da chiedersi (ma non azzardiamoci ad entrare nella mente del creatore) perche Egli abbia preferito a tal fine mettergli accanto, in funzione di mera scaccia-solitudine, una MOGLIE piuttosto, che so io?, un qualche simpatico e divertente bontempone, sodale di cacce e di bevute, nonché tifoso della medesima squadra di calcio? Ma questa sarebbe stata invero tutta un'altra storia. Attraverso il fitto fogliame del giardino sbirciamo dunque, non visti, il quadretto familiare di una giovane coppia, ancora senza figli. Lui fa il lui : pigro, distratto, sostanzialmente passivo totalmente assorbito da misteriosi e reconditi retro-pensieri e/o giochi della sua mente al servizio di ghirigori della propria fantasia non disgiunti da improvvisi guizzi di episodici impulsi: cibo (peraltro, non esistendo ancora nell'Eden neanche la caccia, c'era soltanto la noiosa, banale raccolta… bastava semplicemente allungare la mano verso i copiosi frutti circostanti) e sesso, ma sempre e soltanto: 1) quando voleva lui, 2) come voleva lui e 3) se voleva lui. Bisogna tuttavia riconoscere che per Adamo (pienamente consapevole peraltro del fatto che il perseguimento di un qualsivoglia piacere - del lavoro peraltro non era stato ancora creato neanche il concetto - sia innanzitutto cosa fisicamente stancante) il paradiso terrestre, al netto di qualche sporadico momento di noiosità esistenziale, non era affatto, tutto sommato, cosa da buttar via… anzi, tutt'altro! Lei invece è inquieta. Dato che non le è stato concesso di vivere quel sublime momento di personale creatività proprio dell'atto "DELLA scelta" del proprio compagno, ella riverserà tale intima frustrazione in conseguenti gesti di creatività "NELLA scelta" e da quel momento in poi non potrà che guardare al marito come unico strumento tramite il quale saggiare i limiti delle proprie potenzialità, qualunque esse fossero e quali potessero comunque apparire i recinti

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psicologici e/o materiali entro cui tali potenzialità si trovassero nettamente inscritte. In buona sostanza, Adamo rappresenta per Eva un qualcosa di necessario, ma non ancora sufficiente, ai fini di una sua piena realizzazione individuale. Bisognava dunque guardarsi intorno, ascoltare altre campane, metabolizzare e quindi provare ad agire. Ed ecco Eva: "Mio caro Adamo, marito ed unico uomo della mia vita, datti dunque una mossa! C'è di più al mondo che essere circondato da piaceri e benessere, anche se questo nostro luogo potrebbe appunto apparire ad altri occhi come una specie di "paradiso". La vita è ben più che mangiare, bere, dormire, fantasticare e, oggettivamente, … fare un tubo! Chi può mai dire che non vi sia la di fuori, da qualche altra parte, molta più 'vita' di qui?!" Eva ha inoltre già intuito che sotto l'aspetto di un'apparente ignavia esistenziale, il suo coniuge è pur sempre per lei un compagno affine, una specie di strato di cenere sotto la quale, se adeguatamente stimolato, può accendersi un dirompente fuoco di potenziale azione capace di produrre inimmaginabili attivismi. Questi, peraltro, mai del tutto disgiunti da quel retro gusto di consapevole prudenza esistenziale tipicamente maschile, un qualcosa di un po' vigliacchetto, tipo buttare il sasso e nascondere la mano (…"la donna che tu hai posto meco è quella che mi ha dato del frutto dell'albero ed io ne ho mangiato"… Gen. 3:11) Come è peraltro risaputo, ed era anche abbastanza prevedibile, Adamo alla fine segue Eva ed il modo in cui tutto ciò si sia poi concluso - per come almeno la vedo io - è ben percepibile quando si osserva, ad esempio, quella nostra meravigliosa mano destra con il suo stupefacente pollice opponibile ovvero il nostro portamento eretto e constatare come il tutto non sia conseguenza di altro se non che di quel primordiale suggerimento bisbigliato all'orecchio della nostra progenitrice da quel serpentello che, per parte sua, ne aveva già esautorato del tutto il legittimo consorte divenuto questi, da quell' istante in poi, soltanto "padre putativo" di quella futura discendenza in procinto di intraprendere l'irreversibile soggiorno in " terra incognita". CANADA Allacciamo ora le cinture della capsula quantica e via d'un balzo, lasciandoci alle spalle la desolata landa sterile della savana africana divenuta l'amara terra d'esilio dei nostri due stolti progenitori (rimasti ormai, come detto, soltanto "madre" e "patrigno" della loro futura, plurimillenaria progenie) ed eccoci atterrati nel parco canadese della villa di Vancouver, per il momento attuale residenza del duca del Sussex e della sua consorte. Con l'incontro in successione delle due coppie, ci troviamo ora a poter ora mettere a confronto, in tempo reale, due "tu per tu" di analoghi, giovani sposi che, nell'economia generale dei rispettivi universi sono chiamati a confrontarsi in una dialettica esistenziale. *** Eva, va riconosciuto, non aveva scelte. Nell'Eden non c'erano altri umani, non c'erano luoghi ove scappare. Soltanto la voce del serpente poteva per lei essere, come fu, fonte d'originale ispirazione ed Adamo, dal canto suo, l'unico mezzo a sua disposizione per cercare di fornire un qualche tipo di operatività alla sua inquietudine. Bisogna dunque riconoscere onestamente che per la povera progenitrice il


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ventaglio di possibilità, e relative opportunità, era abbastanza limitato: il paradigma: 1)inquietudine, 2)suggerimento, 3)azione, 4)conseguenze era, per forza di cose, già predisposto, limitato e ben apparecchiato. Nonostante la tragicità dell'errore compiuto il tutto si svolgeva in un quadro di consequenzialità logico-comportamentale che, sebbene di squisita caratura muliebre, travalicava del tutto eventuali elementi che fossero estranei alla più intima natura femminile della protagonista. Sarei perfino portato a dire che, proprio per come essa era stata creata - costola del marito (peraltro prototipo assoluto della specie) - essa fu lineare, consequenziale, autentica e genuina. Prego dunque le mie contemporanee amiche lettrici di fare un autentico esame di coscienza e dirmi, in tutta sincerità, in cosa esse pensino di potersi onestamente diversificare del tutto (al giorno d'oggi o, per lo meno, non più tardi dell'altro ieri) da quella loro primordiale, triste, solitaria e sfortunata antenata. Volete sapere in tutta sincerità il mio pensiero ? Eva va di fatto assolta. Pur nell'errore devastante, essa fu genuina, sincera, senza malizia ne calcolo, sicuramente generosa e latrice della, forse travisata, ma profonda convinzione di poter procurare un reale vantaggio sia al suo compagno che a lei stessa come risultato - peraltro, ma soltanto e col senno di poi, del tutto imprevisto e/o mal calcolato - di quel diabolico suggerimento di ribellione. *** Tutt'altro, anche se per alcuni versi affine, è invece il percorso mentale di Meghan. Eva potrebbe avere agito (chi potrebbe negarlo?) anche in piena onestà intellettuale, sinceramente persuasa che la decisione di "mangiare il frutto" potesse procurare effettivamente un reale vantaggio, come COPPIA, sia al suo compagno che a lei stessa, ma Meghan, no! La sua strategia nello scegliere colui che poi l'avrebbe "scelta" è stata netta, cinica, lineare, egoistica e molto efficace. Che capolavoro di tattica! Quante potevano infatti essere le possibilità di un'anonima, ormai matura ragazza americana, di mezza origine africana, con scombinata famiglia alle spalle, attrice commerciale di non eccelse qualità drammatiche di riuscire a beccare il migliore partito del pianeta? La statistica teorica potrebbe risponderci: appena una su quattro miliardi (tale infatti dovrebbe essere, più o meno, il numero complessivo dei maschi della terra ). Dunque: "bingo!" e, soprattutto, "chapeau!". Colpo da maestro, altro che quella povera Eva sperduta, incompresa e sola, nella primordiale selva pseudo-paradisiaca! Bisogna riconoscere tuttavia che, nel caso di Meghan, il risultato in se è stato anche facilitato da alcune situazioni oggettive di cui non si può non tenere conto. Per citarne almeno un paio : 1) il carattere insicuro e la sostanziale immaturità del giovane Henry ancora, a 35 anni personaggio in cerca di autore e quindi facilmente pilotabile; 2) la MONOMANIA cultural-istituzionale della Regina Elisabetta dedita da un secolo soltanto al totalizzante servizio della "ditta" monarchica, per la cui futura felice sopravvivenza nei secoli ella costantemente vive e si adopera e nella cui mente, secondo me, si erano affacciati, anche più che di sfuggita, stimolanti scenari di un favorevole, ulteriore aumento delle dosi di "correttezza politica" di casa Windsor (dopo lo splendido colpo dell'inserimento a palazzo della "commoner" Kate MIddleton) con l'innesto,

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addirittura, di una giovane nipote di sangue semi-nero. "Temo però, Vostra Maestà, che stavolta qualcuno si sia dimenticato di fare qualche coperchio!". Circostanze favorevoli a parte, Meghan ha comunque dettagliatamente pianificato la FUGA da quel supposto "paradiso terrestre" (lussi, onori e prebende) di casa Windsor e che, peraltro, sono sicuro non l'aveva comunque lasciata affatto indifferente quando, per la prima volta, il suo sguardo incrociò quello di Henry. Nessuno può togliermi dalla mente che ella abbia pensato: "Carino Henry, bello Buckingham Palace, ma la mia casa è l'America dove, dopotutto, avrebbe qualche senso il potermi pavoneggiare per ciò che alla fine sono riuscita a conquistarmi tutta da sola. A Londra sarei stata comunque e sempre una cadetta in subordine, una straniera, un'immigrata. La blindata, ristretta nobiltà britannica, avrebbe, colà, potuto forse darmi qualcosa, ma io, certamente, non avrei potuto "contribuire" in alcunché. Via, via dunque, da quei sopraccigli perennemente sollevati, "back to Los Angeles, to Hollywood" tra le rassicuranti, banali, incolte, ma divinamente prevedibili (anche se doviziose) borghesuccie USA, con il mio nuovo status di duchessa del Sussex, famigliola "comme il faut" e, soprattutto, con trofeo coniugale fatto di autentico principe, figlio peraltro di mitica madre, già precedentemente assai venerata in loco! C'è di che far salivare un intero continente ed io sguazzarci dentro a pieno titolo di "Money & Status", secondo il più ferreo dettato socio- economico a stelle e strisce!" *** Ma che dire invece del povero Henry? Della sua penosa e per molti versi tragica situazione di esiliato volontario in Canada? Da qualche parte si è voluto vedere un certo parallelismo tra la sua vicenda e quella del suo lontano tris-zio Edoardo VIII e relativa Wally Simpson, ma non c'è confronto: quel monarca rinunciò da uomo adulto (42 anni) a permanere in uno stato a lui noto e già effettivamente SPERIMENTATO, quella appunto di fare il re d'Inghilterra. Henry no (e qui sta il tragico). Egli è stato indotto da Meghan ad abbandonare stato e, soprattutto relative potenzialità che da giovane particolarmente confuso ed insicuro egli aveva soltanto potuto appena percepire. Ma è stato comunque spinto, dalla sua Eva in sedicesimo, a lasciare famiglia, parenti, dimora avita, paese natio, patria di reale appartenenza e storica identità dinastica per mettersi del tutto nelle mani di una mogliettina che lo assoggetterà alla propria visione di una vita suburbana (a Los Angeles infatti nulla potrà essere altro se non che "suburban", indipendentemente dalla specifica caratura socio- economica delle persone coinvolte; questo è infatti l'unico, vero brodo di coltura USA da cui germogliano tutti i modi "yankee" di guardare al mondo). E proprio qui si trova a mio parere la natura dell'autentico DELITTO che Meghan sta perpetrando nei confronti del suo ragazzo-marito e del quale Eva invece non si macchiò, ne mai avrebbe potuto fare. Per quest'ultima e per il suo Adamo infatti, nella feroce landa deserta in cui si trovarono esiliati, non vi erano per entrambi ed in egual misura, possibili strumenti di salvezza. L'errore li aveva perfettamente accomunati nelle sue nefaste conseguenze e non se ne sarebbero potuti mai più sottrarre: niente scialuppe di salvataggio, ed infatti noi pronipoti siamo ancora bloccati nella medesima condizione.


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Per la duchessa del Sussex invece non è così. Lei è, dopotutto, ritornata OGGI, con adeguato equipaggiamento aggiuntivo, soltanto a casa sua ed in tale condizione il futuro destino del povero Henry le sarà di fatto del tutto ininfluente. Resteranno insieme? Divorzieranno? In qualsiasi caso ella potrà comunque beneficiare in America (dove prima o poi andrà comunque a finire) di almeno un'altra decina di potenziali, differenti vite tutte quante perfettamente compatibili con i desiderata e le aspettative della classe medio-alta americana a cui ella ormai appartiene ed in cui ella è pronta ad accomodarsi tranquillamente. Ma Henry no. Egli è invece soltanto un giovane, ferito uomo in cammino che ricorda forse da dove proviene, ma certamente non ha ancora un'idea di dove potrà andare a finire e che si muove curvo, schiacciato dal peso delle conseguenze della propria debolezza e soprattutto dall'egoistica insensibilità della moglie nei confronti di una situazione che per lei sarebbe stato comunque impossibile conoscere nella sua smisurata interezza. Comprendere cioè l'unicità della millenaria essenza storica del suo consorte e soprattutto avere la capacità di riuscire ad adattarla in qualche modo alle spalle di quel simpatico, rosso barbuto giovanotto che le dorme a fianco la notte. Sono nuovamente seduto, in compagnia del mio povero, stralunato lettore ai comandi del teletrasporto quantico pronto a decollare definitivamente dal parco della villa canadese degli ancora assopiti duchi del Sussex, quando un misto sentimento di razionale senso del dovere e di emotiva affettuosa simpatia, mi inducono a vergare in fretta una breve nota e correre ad imbucarla nell'adiacente, vezzosa, cassetta delle lettere della residenza ducale. "A Sua Altezza, Il Principe Henry di Windsor, Duca del Sussex, Vancouver, Canada. Vostra Altezza carissima, chi Vi scrive si permette di rivolgersi all'Altezza Vostra con tono rispettosamente affettuoso giustificato dalla differenza d'età (ho alcuni anni in più di Vostro padre), dal seguire con interesse, da una vita, le vicende della casa reale britannica, dall'aver personalmente incontrato nel passato (anni '80) sia i Vostri genitori, il principe e la principessa del Galles, che (anni '90) i Vostri nonni, Sua Maestà la regina ed il duca d'Edimburgo ed aver finanche memorizzato in modo indelebile la data di matrimonio di tali Vostri due antenati (il 20 novembre 1947), indimenticabile, per me, giorno della nascita del mio amato - ed allora terzo (!)- fratellino. Dall'alto dunque della mia sincera, e solidale, anzianità mi permetto allora di invitare l'Altezza Vostra a riflettere attentamente su quanto sto per dire all'unico scopo, umano, sincero e paterno di invitarVi caldamente a ben riflettere su quali drammatici, si, drammatici, binari, Voi stiate per avviare la vostra, mi auguro ancora lunga, vita di giovane maschio in ottima salute. Innanzitutto: coraggio non c'è altro tempo da perdere, un colpo di reni e divorziate subito!. Siete ancora in tempo, Altezza, per non appaltare ad altri, e sempre di più, ahimè, ogni giorno che passa, la Vostra ancor giovane esistenza mettendola del tutto nelle mani di una carina e sicuramente "amabile" giovane ragazza, ma assolutamente disattrezzata a poterVi, con lo scorrere del feroce tempo, realmente amare. Perché mai dico ciò? Perché sono convinto che a

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lungo andare "si possa riuscire ad amare soltanto ciò che si riesca a capire (e quindi "conoscere") e che si possa realmente conoscere (e quindi "capire") unicamente ciò che si sia in grado di poter amare". Meghan non potrà mai, in tale senso" amarvi veramente (restarvi affezionata per la vita è naturalmente tutt'altra cosa!). Perché? Perché ella da bambina, non mai ha giocato liberamente "come se fosse a casa propria", nel parco di Buckingham Palace, non ha mai dovuto inchinarsi al passaggio di sua nonna la regina e non potrà quindi riuscire mai ad interiorizzare quel mondo (se non che a prezzo di grande intelligenza, immani sforzi e strenui sacrifici - Kate "docet", ma di ciò, gli USA non potrebbero comunque esserne mai stata adeguata palestra -) e dunque non potrà mai metabolizzare, nella sua più intima essenza, l'immensa cappa di passato che incombe su Vostra Altezza. Al meglio, ella potrà forse coglierne spazzi, flash, brevi intuizioni, squarci di luce nel buio che l'avvolge in quel suo inevitabile, immanente, costante, materialistico presentismo (ora e sempre "here and now") da piccola borghesuccia americana. Spenta la luce nell'alcova nuziale, ormai di chiara impronta da "Exclusive Home Interiors Design Store" made in USA, si addormenteranno, l'uno accanto all'altro, sotto la medesima volta nuziale, da un lato, che so?, Hastings ed Aquaba, Waterloo e Gallipoli, Trafalgar e Dunquerke, Sant'Elena e le "lacrime e sanque" di Winstoniana memoria, Suez e le Falkland… e così via, per un infinito ritroso (non importa se in modo incosciente e non ancora del tutto metabolizzato dalla Vostra consapevolezza. Tali fatti sono comunque accaduti e ciò basta ed avanza) e, dall'altro, lo svaporante, profumato, consolante e comunque innocuo ricordo della scintillante visione dell'ultimo Boxing Day di Bloomingdale's e Sacks Fifth Avenue. Intrighi di palazzo, polvere da sparo, trionfi, conquiste planetarie, tragiche sconfitte, sommi poteri, altari e polveri si intrecceranno e si compenetreranno - in sterile melassa, nella crescente penombra della Vostra alcova - con la adiacente, sincera curiosità degli ultimi sviluppi della cellulite di Jennifer Lopez ed i più recenti ammiccamenti delle vetrine "glittering" di Christian Dior, Chanel e Givenchy. Altezza, una delle cose, da un lato più assolutamente cristalline, ma dall'altro, peggio divulgate dai preti nel corso degli ultimi duemila anni, è la frase di Gesù Cristo :" Che gioverà infatti all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l'anima sua ?" Marco 8,36. Altezza, naturalmente, come anima, si intende, per quanto mi concerne, quella semplice verità (cioè l'autentico "se stesso") che ci sta davanti agli occhi la mattina ogniqualvolta ci si fa la barba allo specchio, e non certamente quello presunto spiritello che, dopo morto, si augurerebbe di passare la successiva eternità seduto su qualche nuvoletta in compagnia, chessò, della colà già residente e "shampagnosa", fu madre Teresa di Calcutta, a salmodiare canti in paradiso, per "omnia secula seculorum". No mio carissimo principe, anche se non Vi è, al momento, ancora affatto chiaro, Voi dovrete ricercare, e preservare la Vostra intrinseca, vera identità che non appartiene certamente agli scenari hollywoodiani della cartapesta socio-culturale americana, ma a qualcosa che può concretizzarsi, anche se in totale subordine, al Vostro legittimo fratello


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primogenito, unicamente al servizio della Corona, del Paese, della Vostra gente e della sua storia. E non certamente in un' "undivided" dipendenza dalla Signorina Rachel Meghan Markle dalla recente ed incerta origine californiana. Altezza, Vi prego, divorziate subito finché ne siete ancora in tempo! Altrimenti (ed è soltanto una mia convinta previsione e non certamente una possibilità che Vi auguro paternamente nel modo più sincero, Voi possiate riuscire comunque ad evitare) tra non più di una decina d'anni, Vi ritroverete - anche se, ahimè, non riuscirete allora che a poterlo scorgere che in un qualche remoto, testardo angolino della Vostra mente - a dover contemplare le irreversibili macerie di una vita sprecata. Con deferenza, consentitemi di firmarmi con un sincero, Vostro,(ipotetico) Zio Antonino." *** Ed eccoci di nuovo a casa. Antonino Provenzano Roma, 25 gennaio 2020

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FEBBRAIO 1945: MORTE DI UN POETA All'alba del 6 febbraio 1945, dopo un processo veloce, più formale che sostanziale, Robert Brasillach fu fucilato nel vecchio forte di Montrouge, poco fuori la cinta esterna di Parigi. La condanna, di fatto, era già stata decisa a causa della simpatia dimostrata nei confronti dei regimi fascisti che avevano trascinato il mondo in guerra. Il clima del momento non consentiva deroghe alla decisione "politica" e a nulla valsero gli appelli di grandi uomini di cultura e non solo, per indurre Charles De Gaulle a concedergli la grazia. Dai loro nomi si intuisce facilmente che appartenevano a tutte le aree ideologiche esistenti, anche in forte contrapposizione. Vanno ricordati come testimoni di una vicenda che, ancora oggi, risulta controversa nelle sue infinite contraddizioni e sfaccettature, nonostante per loro fosse ben chiara: Brasillach poteva essere condannato moralmente per le sue idee, ma non doveva essere fucilato. Accademia francese: Paul Valéry, François Mauriac, Georges Duhamel, Henry Bordeaux, Jérôme Tharaud, Jean Tharaud, Louis Madelin, Paul Claudel, Emile Henriot, Georges Lecomte, André Chevrillon, Thierry Maulnie, Claude Farrère, Jean Anouilh. Accademia delle scienze: principe Louis de Broglie, premio Nobel per la fisica nel 1929. Accademia delle scienze giuridiche e politiche: Firmin Roz, Marcel Bouteron, Frédéric Dard, André Lalande, Emile Bréhier, Jacques Bardoux, Charles Rist, Jacques Rueff. Commedie francaise: Jacques Copeau, Jean Jacques Bernard, Jean-Louis Barrault, André Obey. Académie Goncourt: Roland Dorgelès, André Billy. Pittori: Georges Desvallières, André Derain, Maurice de Vlaminck, e Louis Latapie. Albert Camus, filosofo, saggista, drammaturgo, giornalista, attivista politico; Jean Paulhan, scrittore, editore, critico letterario, autorevole esponente della resistenza antinazista; Paul Henry Michel, storico della filosofia; Germain Martin, ministro; Pierre Janet, Collège de France; Charles Dullin, attore e regista teatrale; Henri Pollès, scrittore; Jean Schlumberger, designer; Jean Cocteau, poeta, saggista, drammaturgo, sceneggiatore, disegnatore, scrittore, librettista, regista e attore; Jean Effel, pittore, caricaturista, illustratore e giornalista; Wladimir d'Ormesson, saggista, romanziere, giornalista e diplomatico; Marchel Achard, scrittore e drammaturgo; Gustave Cohen, storico della letteratura; Daniel-Rops, saggista e romanziere; Marcel Aymé, scrittore; Sidonie-Gabrielle Colette, scrittrice e attrice teatrale; André Barsacq, regista, scenografo e direttore teatrale; Gabriel Marcel, filosofo, scrittore, drammaturgo e critico musicale; Arthur Honegger, compositore. Volendo affondare il dito nella piaga, ci si può spingere addirittura a suggellare il sostegno di tanti


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autorevoli personaggi con argomenti che, inevitabilmente, possono suscitare forti mal di pancia. Pazienza: ogni verità scomoda ha il suo alto prezzo. Aveva simpatie fasciste, Brasillach? Certo! Può essere condannato solo per questo? No. Le condanne, soprattutto quelle a morte, devono scaturire da atti concreti effettuati in spregio delle leggi vigenti. Non si processano e tanto meno si condannano le idee: al massimo si possono criticare. Brasillach amava la Francia, il paese che gli aveva fatto male, come recita una delle sue poesie più famose, ed era rimasto sconvolto dalla repentina sconfitta del 1940. Il suo animo era distrutto, alla pari di quello di tanti altri francesi che avevano assistito, increduli, alla morte della patria. Una patria che si voleva fa risorgere, per cancellare quella grave onta. Ed è qui che "scatta", nella mente del poeta - ma non solo nella sua la superiore capacità di comprendere il mondo al di là delle "apparenze manifeste", da tutti percepibili. La maggiore capacità di meglio comprendere la realtà, sia detto a scanso di equivoci, non assolve automaticamente da qualsivoglia colpa, ma nell'analisi, e soprattutto nel "giudizio", va tenuta in debita considerazione. Brasillach, in buona fede e per amor di patria, fa una scelta di campo per la "resurrezione" del paese, avendo percepito ciò che agli altri sfuggiva: la resurrezione era sgradita sia ai russi sia agli americani. Resta solo da confidare, pertanto, nella collaborazione franco-tedesca per la costruzione di una nuova Europa in cui esercitare un ruolo da protagonista. Concezione visionaria? È ovvio, alla luce di ciò che è accaduto dopo, ma non per questo meritevole di una condanna a morte, in mancanza di azioni che potessero configurarsi come "tradimento", che per essere definito tale ha bisogno di qualcosa più consistente di un mero pensiero espresso. Chiarito questo punto, possiamo serenamente affrontare anche l'altro, che ha più valenza dal punto di vista processuale proprio perché riguarda "atti concreti". L'accusa, infatti, puntò molto, ai fini della condanna, sulle delazioni che consentirono ai tedeschi di scoprire e trucidare molti ebrei, esponenti della Resistenza e oppositori politici, dal poeta segnalati sulla rivista "Je suis partout", con precise indicazioni per la loro cattura. È un dato di fatto oggettivo che nessuno si sogna di smentire: resta solo da comprendere se basti a giustificare la condanna a morte o se essa non possa considerarsi una forzatura giuridica, soprattutto in funzione di altri episodi, ben più gravi, che però videro i colpevoli farla franca. Uno dei capi della Polizia di Parigi, responsabile "materiale" della deportazione di tanti ebrei, se la cavò con la sospensione dal servizio per due anni. Altri redattori, autori di analoghe delazioni, non furono nemmeno incriminati. Brasillach, quindi, fu assassinato precipuamente per le proprie idee e l'aver pubblicato informazioni sulle persone poi catturate dai tedeschi fu solo sfruttato come utile espediente per la pesante sentenza. È tutta qui la polemica sulla sua morte. La discrepanza di giudizio in funzione della forza intrinseca di uomo culturalmente evoluto, capace di consegnarsi alle autorità per salvare la madre, arrestata proprio con l'intento di indurlo a costituirsi, insieme con il cognato, lo scrittore Maurice Bardèche. "Il talento è un titolo di responsabilità", dichiarò De Gaulle per giustificare la mancata concessione della grazia. Un colpevole materiale di efferati crimini può essere assolto in ossequio ai principi di "perdono", che afferiscono alla civiltà, ma guai a coloro che possono offuscare, con il loro pensiero, ancorché

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controverso, la luce di chi detiene il potere. Costoro sono pericolosi a prescindere e vanno eliminati. Il comunista Albert Camus, da Brasillach pesantemente sbeffeggiato nelle diatribe politiche e letterarie e vero gigante nell'universo culturale della sinistra, non ebbe alcuna remora nel dichiarare, dopo aver tentato invano di salvarlo: "Se Brasillach fosse ancora tra noi, avremmo potuto giudicarlo. Invece ora è lui a giudicarci". La saggista statunitense Alice Kaplan, anche lei afferente al mondo della sinistra, autrice del prezioso saggio "Processo e morte di un fascista. Il caso di Robert Brasillach" (Il Mulino, 2003), scrive testualmente: "Si trattò di un verdetto esagerato e ingiusto (…) il processo era simbolico (…) un'esecuzione che consolidò il potere di De Gaulle". Nel settantacinquesimo anniversario di quella esecuzione, "esagerata e ingiusta", siamo tutti chiamati non tanto a commemorare un poeta quanto a interrogarci su come la cultura, quella che sovrasta le logiche dei politici, possa essere un elemento fondamentale nella gestione del potere, consentendo di guardare oltre gli steccati della misera convenienza e valutare, con equilibrio e saggezza, anche le vicende più controverse scaturite dal comportamento umano. Una riflessione tanto più necessaria quanto più, con il declino marcato della società e una rappresentanza politica affidata, su tutti i fronti, a soggetti di infima qualità, oggigiorno si giunge a trattare da eroina la sbruffoncella che infrange una sequela impressionante di leggi e si spinge addirittura a speronare una motovedetta militare, rischiando di gettare ai pesci gli occupanti, e non si hanno remore nel mandare sotto processo un ministro che, in ossequio alle leggi del suo Stato, adotta provvedimenti conseguenziali. Fortunatamente la pena di morte, almeno quella "ufficiale", regolamentata dal codice penale, è stata abolita. Lino Lavorgna


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NUOVO LIBRO DI GIANFREDO RUGGIERO In occasione del Giorno della Memoria, proponiamo sull'argomento due libri di Gianfredo Ruggiero, editi dalle edizioni Excalibur e distribuiti da Amazon: "Storia del Razzismo"e "La Chiesa nella Storia". Di seguito una breve introduzione. Quando si parla di Razzismo, la mente corre automaticamente alla persecuzione ebraica del regime hitleriano. Antiebraismo e Razzismo sono invece due fenomeni distinti e distanti nel tempo. Il primo nasce sul finire dell'Impero Romano, quando i cristiani lanciarono agli ebrei l'infamante accusa di aver voluto la morte di Gesù; il secondo, il Razzismo propriamente detto, è invece un fenomeno più recente che trae origine dalle tesi illuministe di fine settecento, involontariamente supportate dalla teoria darwiniana della selezione naturale che ha determinato, sul piano filosofico e scientifico, il mito della razza superiore. L'antiebraismo inizia con Costantino, il primo Imperatore Romano favorevole al Cristianesimo, che impone agli israeliti alcune restrizioni come ad esempio il divieto di matrimonio tra ebrei e cristiani, equiparato all'adulterio, e la pena di morte per i cristiani che si convertono all'ebraismo. Fin qui nulla di particolarmente drammatico. Il punto di svolta si ha con San Giovanni Crisostomo, Patriarca di Costantinopoli, il quale, con le sue omelie "Contro i Giudei", è il primo a condannare in nome della Chiesa i seguaci della religione ebraica. Con l'avvento delle crociate, colme di fede profonda e infarcite di fanatismo religioso, iniziano le prime ostilità nei confronti degli ebrei, che proseguiranno in crescendo per tutto il Medio Evo e ben oltre, fino a sfociare nei massacri (Pogrom), nei ghetti e nel segno distintivo sugli abiti. Nel 1215 Papa Innocenzo III ordina che gli ebrei siano identificati con un pezzo di stoffa gialla cucita sugli abiti (la stessa, sotto forma di stella, sarà poi ripresa dai tedeschi durante il regime hitleriano). Papa Paolo IV,nel 1555, istituisce il Ghetto di Roma, il primo di una lunga serie di domicili coatti cui sono costretti gli ebrei, quartieri circondati da alte mura e sbarrati durante la notte. I protestanti non sono da meno. Nel 1543 Martin Lutero pubblica un libro dall'eloquente titolo "Sugli ebrei e le loro menzogne"in cui s'incita a: "Ripulire la Germania dalla piaga giudaica, dando fuoco alle loro sinagoghe e alle loro scuole". Ad onor del vero ci furono Papi e uomini di fede che tentarono, con scarsa fortuna - essendo l'antiebraismo oramai radicato nella coscienza popolare - di contenere l'avversione per gli ebrei. Ricordiamo Papa Clemente VI che li difese dall'accusa di aver provocato la Peste Nera del 1300.

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Il Razzismo, come detto, trae origini dalle tesi illuministe di fine '700, quando s'imposero le nuove dottrine del razzismo scientifico e della superiorità della razza bianca che portarono a giustificare la schiavitù americana, lo sterminio degli indiani nelle Americhe e la sottomissione delle popolazioni africane. Diedero, inoltre, forte impulso al nazionalismo e al neocolonialismo praticato soprattutto da Francia e Inghilterra, le due nazioni patria dell'Illuminismo e precorritrici della democrazia parlamentare. A essere ridotti in schiavitù, secondo la nuova morale, sono degli esseri inferiori nati per servire la razza bianca. I filosofi illuministi amavano parlare di uguaglianza, di diritti civili e di libertà nei famosi "Cafè" d'Europa, ma il caffè zuccherato che sorseggiavano - mentre scrivevano la dichiarazione universale dei diritti umani - e il cotone dei loro abiti era prodotto da persone che nell'Africa Occidentale venivano ammassate sulle navi, trasportate attraverso l'Atlantico in condizioni spaventose, vendute all'asta e poi messe a lavorare fin quando non morivano per sfinimento. Voltaire, universalmente riconosciuto come il padre della democrazia - suo è il famoso assioma: "detesto le tue idee, ma darei la vita affinché tu le possa esprimere" - finanziava le compagnie dedite alla tratta dei negri, a dimostrazione di come i principi di libertà, fratellanza e uguaglianza proclamati dai filosofi illuministi e sanciti nel sangue della Rivoluzione Francese riguardassero solo la razza bianca. Nel suo "Saggio sui costumi e spirito delle nazioni" scrive: "I negri sono per natura gli schiavi degli altri uomini. Essi vengono dunque acquistati come bestie" I teorici della democrazia oltre ad essere razzisti sono anche antiebraici. Lo stesso Voltaire nel suo "Dizionario Filosofico", scriveva queste parole di fuoco a proposito del popolo ebraico: "Non troverete in loro che un popolo ignorante e barbaro, che unisce da tempo la più sordida avarizia alla più detestabile superstizione e al più invincibile odio per tutti i popoli che li tollerano e li arricchiscono" Anche nel campo socialista si ebbe la diffusione di atteggiamenti antiebraici: Karl Marx, nonostante fosse di discendenza giudaica, equiparava gli ebrei alla borghesia capitalistica. Un inconsapevole contributo al razzismo scientifico venne da Charles Darwin il quale, partendo dalle teorie di Malthus, spiega come le razze cosiddette arretrate si sarebbero estinte entro breve tempo, mentre quelle più avanzate si sarebbero sviluppate e progredite. Concetti cardine dell'impianto darwiniano come "selezione naturale, sopravvivenza del più adatto"e il termine di "razza favorita" furono accolti con entusiasmo tanto dai teorici del razzismo, quanto dai sostenitori del libero mercato e della supremazia della razza bianca, i quali trovarono nelle teorie evoluzioniste una provvidenziale sponda scientifica ed una insperata giustificazione morale. Nell'Europa del XX secolo, il razzismo ebbe la sua espressione più violenta nella dottrina e nella politica del nazionalsocialismo, dove l'antiebraismo fu uno dei punti forti del programma hitleriano basato sulla purezza della razza ariana.


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La politica persecutoria di Hitler trovò terreno fertile in un'Europa intrisa di razzismo e antigiudaismo, presenti in particolar modo in Francia e Polonia. Come afferma il filosofo e storico Ernst Nolte: "l'antiebraismo Hitler lo ha esasperato, ma certo non determinato". Hitler, in definitiva, non ha inventato nulla, ha semplicemente portato alle estreme conseguenze, in modo crudele e disumano,quell'antiebraismo ancora oggi presente sotto traccia nella mentalità occidentale e mai sopito. Senza il sostegno dei filosofi e ricercatori illuministi difficilmente sarebbero stati accettati la schiavitù americana, il genocidio dei Pellerossa, la sottomissione delle popolazioni africane e la persecuzione del regime hitleriano. L'America, quella della Statua della Libertà, dovette attendere gli anni sessanta per vedere abrogate le odiose leggi sulla segregazione razziale che prevedevano perfino il divieto di matrimonio tra persone bianche e di colore. Nel nostro libro,"Storia del Razzismo", ampio spazio è inoltre dedicato alla politica razziale italiana, e al comportamento delle nazioni cosiddette democratiche quando l'antiebraismo di Hitler iniziò a manifestarsi. Giunto al potere, Hitler attuò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per spingerli a lasciare la Germania. Per sostenere l'emigrazione, il governo tedesco stipulò con il Mapaï, antenato dell'attuale partito Laburista israeliano, un accordo, detto "Accordo di Trasferimento"(noto anche come Haavara), alla cui definizione contribuirono i futuri primi Ministri di Israele David Ben-Gurion e Golda Meir, in virtù del quale, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, dei circa 522 mila ebrei presenti in Germania, più della metà poterono lasciare il paese con i loro beni. Il problema che a questo punto si pose fu quello dell'accoglienza. Per superare le resistenze della comunità internazionale, restia all'accoglienza dei profughi ebrei, il presidente americano Roosevelt organizzò a Evian nel 1938 una conferenza, dove i trentadue stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni: fu un completo fallimento. L'unica nazione che si propose di accogliere i rifugiati ebrei fu la Repubblica Dominicana, che ne accettò circa 700. Tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili, rifiutarono ogni forma di accoglienza. L'Italia Fascista, invece, da anni attuava una politica di ospitalità nei confronti degli ebrei attraverso il COMASEBIT (Comitato di Assistenza agli Ebrei in Italia), poi sostituito nel 1939 dalla DELASEM (Delegazione Assistenza Emigranti Ebrei) che tra il 1939 e il 1943 aiutò oltre cinquemila rifugiati ebrei a lasciare l'Italia per raggiungere Paesi neutrali. Purtroppo le sciagurate leggi razziali del 1938, il pegno pagato dall'Italia Fascista all'alleanza con la Germania di Hitler, imposero un'improvvisa inversione di rotta le cui ferite ancora oggi stentano a rimarginarsi. Prima e durante la guerra, gli ebrei che tentavano di raggiungere la Palestina erano respinti con la forza e costretti a tornare in Germania con esiti spesso drammatici. Nel febbraio del 1942 lo "Struma", una nave di profughi ebrei proveniente dalla Romania, si vide rifiutare dagli inglesi il permesso di sbarcare in Palestina e, respinta anche dai turchi, affondò nel Mar Nero colpita dai

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siluri di un sommergibile sovietico: 770 persone morirono nel naufragio. Caso analogo, seppur con esito meno drammatico, è quello occorso al transatlantico tedesco St.Louis con a bordo 963 profughi ebrei che, nell'estate del 1939, dopo un lungo peregrinare lungo le coste del continente americano, fu costretto a invertire la rotta per tornare in Europa a causa del netto rifiuti ad accoglierli da parte di Cuba prima e di Stati Uniti e Canada dopo. Tutti conoscono la triste storia di Anna Frank, non tutti sanno che il padre, Otto Frank, si vide respingere più volte il permesso d'ingresso in America per la sua famiglia. Le conseguenze di questo rifiuto sono scritte nella storia. In conclusione: Rosemberg, il teorico nazista della superiorità ariana, è stato condannato dagli uomini, ma non i suoi illuminati maestri. Hitler per la persecuzione ebraica e Mussolini per le leggi razziali sono stati anch'essi giudicati dalla storia, ma non chi, per ignavia e convenienza, nulla fece per evitarle. Gianfredo Ruggiero*

* Presidente Circolo culturale Excalibur. Per avere maggiori informazioni sui nostri libri è sufficiente andare sul sito di Amazon e digitare "Gianfredo Ruggiero", oppure inviare una richiesta all'indirizzo mail: circolo.excalibur@libero.it


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FEBBRAIO 1600: MEGLIO UNA MORTE ANIMOSA CHE UNA VITA IMBELLE Quattrocentoventi anni fa, il 17 febbraio 1600, Giordano Bruno fu arso vivo in piazza Campo de' Fiori e le sue ceneri disperse nel Tevere. L'artista napoletano Ciro Cerullo, meglio noto come Jorit, gli ha recentemente dedicato un dipinto, raffigurandolo con il volto di Gian Maria Volonté, che impersonò il filosofo nel famoso film del 1973, diretto da Giuliano Montaldo. "Meglio una morte animosa che una vita imbelle" è la frase scelta come didascalia, tratta dall'opera "De monade, numero et figura", nella quale Bruno si richiama alle tradizioni pitagoriche, attaccando la teoria aristotelica del motore immobile, principio di ogni movimento. La "Nuova Accademia Olimpia", che opera a Caserta dal 1993, lo scorso 15 febbraio ha organizzato una conferenza dal titolo: "Giordano Bruno, precursore di una scienza nuova". Relatore il fisico Franco Ventriglia, che ha concluso il suo intervento citando proprio la famosa frase e preannunciando che il "Maggio dei monumenti", rassegna culturale che si svolge nel centro storico di Napoli, sarà dedicato a Giordano Bruno. Franco Ventriglia, docente di Elettrodinamica Classica e storia della fisica presso l'università Federico II di Napoli, ha tratteggiato la figura di Giordano Bruno soprattutto in funzione del suo rapporto con la scienza, senza disdegnare le implicazioni filosofiche e teologiche. In particolare ha tenuto a porre in evidenza il ruolo di "ambasciatore del pensiero di Copernico" e il mancato tributo da parte di Galileo al suo pensiero, contestato anche da Giovanni Keplero e Tommaso Campanella, che chiesero più volte a Galileo come mai Giordano Bruno non fosse mai citato nelle sue opere. Molto interessanti anche "gli echi bruniani", soprattutto quelli reperiti nell'opera di Shakespeare, del quale il relatore cita alcuni versi tratti da "Amleto" e "Antonio e Cleopatra". Più caratterizzanti quelli dell'Amleto: "Dubita tu che le stelle siano fuoco; dubita che il sole si muova; dubita che la verità sia una bugiarda, ma non dubitare mai che io amo". Il cielo stellato, visto come fuoco, è la concezione degli antichi, da Bruno contestata; è Bruno che parla anche rispetto al movimento solare; la verità bugiarda è la Bibbia, che trova ampio spazio nell'opera "La cena de le ceneri", dedicata a Michel de Castelnau, ambasciatore francese a Londra nel 1584, presso il quale il filosofo era ospite dopo aver lasciato la Francia, l'anno precedente. Bruno asserisce che la Bibbia non può essere presa in considerazione per quanto concerne la natura delle cose e il campo scientifico: "E non è cosa alla quale naturalmente convegna esser eterna, eccetto che alla sustanza, che è la materia, a cui non meno conviene essere in continua mutazione".1 Relativamente al mondo contemporaneo, Ventriglia cita Donna Haraway, "filosofa" statunitense, capo-scuola della teoria cyborg, branca del pensiero femminista che studia il

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rapporto tra scienza e identità di genere, autrice del saggio "Chthulucene - sopravvivere su un pianeta infetto", nel quale suggerisce di coltivare le relazioni tra esseri umani e tutte le specie che vivono sulla terra per contrastare i pericoli che affliggono l'umanità. "Generate parentele, non bambini" è l'invito stridente e abbastanza controverso della Haraway, per la quale, evidentemente, le azioni degli ambientalisti e degli scienziati per scuotere le coscienze sono 2 inefficaci . Ultimata la relazione, il professore Renato Fedele, organizzatore della conferenza, ha invitato i presenti a porre delle domande, ma ve ne sono state solo due: la mia e quella di un altro signore, che ha chiesto lumi sui principi fondamentali del pensiero di Giordano Bruno. A Ventriglia ho chiesto ciò che, sin dai tempi "scolastici", ha costituito un quesito irrisolto, anche quando posto ad autorevoli accademici, tra i quali mi piace ricordare Riccardo Campa, a suo tempo docente di Storia delle dottrine politiche presso la facoltà di Scienze politiche dell'università Federico II: "Premesso che è la prima volta che sento un fisico parlare di Giordano Bruno, vorrei chiedere a lei ciò che costituisce un antico dubbio, mai chiarito anche da suoi autorevoli colleghi del campo umanistico. Ho sempre sospettato che Giordano Bruno avesse sfruttato il monachesimo solo per essere facilitato negli studi e che, in cuor suo, se non proprio un marcato ateismo, albergasse quanto meno un forte agnosticismo. Che cosa ne pensa al riguardo?". Ecco la risposta. "Beh, che vi sia stato un interesse non prevalentemente teologico bensì intellettuale nella scelta di Bruno di aderire all'ordine dei domenicani questo è indubbio. D'altro lato è altrettanto indubbio che nella scelta di Erasmo, come suo maestro ideale, ci sia una tensione morale e religiosa che è innegabile. E che questa tensione sia all'opera anche nei suoi dialoghi questo è altrettanto innegabile. Vi sono recenti studi che attribuiscono a Bruno, attraverso la lettura del Ficino, il ritorno alle origini vere del cristianesimo. Questa è una lettura problematica, a mio avviso. Sta di fatto che Giordano Bruno si pone come l'anticristiano per eccellenza, nel senso che è contro la figura di Cristo, questo "centauro" - dice - che è un'unione impossibile di "infinito" e "finito". Da questo, poi, a non vedere l'esistenza di un divino, ma un divino all'opera in tutto l'universo, questo è altrettanto innegabile, altrimenti la sua cosmologia non sarebbe nulla. Il suo infinito non è solamente un infinito materiale, non è un apeiron senza confini, è un infinito reale perché reale è il dio che sta producendo e che ha prodotto quell'infinito e che oggi noi osserviamo come natura". La conferenza è disponibile su "YOUTUBE" con il seguente titolo: "Giordano Bruno - meglio una morte animosa che una vita imbelle". Lino Lavorgna NOTE 1) L'opera, scritta in italiano, risulta di fondamentale importanza perché Bruno in essa elogia Copernico che, con il "De revolitionibus", poneva il sole e non la Terra al centro delle orbite planetarie, in netto contrasto con il sistema tolemaico. L'opera è divisa in cinque dialoghi ed è nel quarto che Bruno parla della Bibbia, nella quale si sostiene che la Terra sia immobile, al centro dell'universo, cosa che induce molti filosofi ad assecondare questo assunto solo per non entrare in conflitto con la Chiesa. 2) L'attualità del pensiero di Giordano Bruno, alla base di una modernità ancora tutta da (ri)scoprire - l'infinità dell'Universo, le molteplici galassie e le molteplici intelligenze, il rapporto mente-corpo oggi dimostrato anche dalle neuroscienze - è fuori discussione e conclamata dai saggi di autorevoli studiosi afferenti sia al campo filosofico sia scientifico.


DA LEGGERE

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GEOPOLITICA

Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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