Confini 104

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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

RESET

Numero 104 Aprile 2022


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Confini Web-magazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 104 - Aprile 2022 Anno XXIV Edizione fuori commercio

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato:

Gianni Falcone Roberta Forte Lino Lavorgna Sara Lodi Giuseppe Marro Stefania Melani Antonino Provenzano Fausto Provenzano Angelo Romano Cristofaro Sola

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Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Sara Lodi e Gianni Falcone

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EDITORIALE

BULLI E PUPI Se un ragazzo viene bullizzato dai compagni, viene accerchiato e minacciato ogni volta che entra a scuola, viene tenuto nel mirino delle loro fionde e, a volte é colpito duramente e con cattiveria, se avvisa ripetutamente il consiglio dei professori ed i genitori che non intervengono finché, un bel giorno, non decide di reagire a testa bassa, è un aggredito o un aggressore? E se, nella furia, rompe qualche testa è un criminale? E se i compagni che lo bullizzavano si coalizzano contro di lui per farlo passare, anche con la menzogna, come un poco di buono, uno scellerato un po' malato di mente, da espellere dalla scuola chi è da punire? E se i bulli, capeggiati dal loro leader, decidono di fargliela pagare rubandogli sistematicamente cibo e merendine, per affamarlo una volta per tutte e per far ingrassare ancora di più il loro già opulento leader chi è il criminale? E se i bulli, uniti da democratico giuramento di sangue, decidono di armare uno di loro - quello con la testa più rotta e più matta (tanto da fargli affermare che combatte per la libertà di tutti gli europei) - per farla pagare allo sconsiderato, dov'é il Bene? Si è eclissato da tempo nel mondo alla rovescia che tentano di imporci. Un mondo alla rovescia dove se ti offendono la moglie e molli uno schiaffo a chi l'ha offesa, diventi uno da mettere all'indice, da evitare come la peste e dove neanche le lacrime di pentimento - anche queste alla rovescia - muovono al perdono. Un mondo dove per i lai postumi di una squinzia che te l'ha data, decenni prima, devi suicidarti per la vergogna, dopo che tutti ti hanno messo all'indice per essertela scopata, non importano le tante cose egregie che hai fatto in vita. E' la logica sommaria, manichea e partigiana della nuova e contagiosa "Inquisizione" che viene dall'Occidente più estremo e che trova il suo "Indice" nel "politicamente corretto". Non sei d'accordo con me... al rogo per indegnità non conformista. Una indegnità cui non sfuggono neanche i gatti russi, esclusi da ogni competizione felina dalla International Cat Federation (sic!). Ma gli Inquisitori si dichiarano tutti democratici e liberali quindi intoccabili e incensurabili. Loro e solo loro sono i portatori del Verbo. Se invadono, assassinano, devastano, hanno solo esportato la democrazia. Se comprimono le libertà individuali è perché stanno lottando contro il terrorismo. Se una guerra non è di loro interesse passa sotto silenzio, come se non ci fosse: Yemen, Egitto, Burkina Faso, Libia, Mali, Mozambico, Mauritania, Nigeria, Centrafrica, Congo, Somalia, Sudan, Algeria, Angola, Burundi, Ciad, Camerun, Costa d'Avorio, Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Ruanda,


EDITORIALE

Sahara Occidentale, Tunisia, Uganda, Afganistan, Bangladesh, Birmania, Cina, Coree, Filippine, India e Pakistan, Indonesia, Kazakisthan, Sri Lanka, Tajikistan, Thailandia, Uzbekistan, Azerbaijan - Armenia, Cecenia, Grecia - Turchia, Cipro, Irlanda del Nord, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Israele Palestina, Libano, Siria, Colombia, Messico, Cile, Ecuador, Brasile, Perù, Venezuela. Ben 70 Stati sono in qualche modo coinvolti in guerre o disordini, 872 sono le milizie ed i gruppi terroristici attivi. Ma la sola guerra che conta è quella Russo-Ucraina. Come tutte le guerre è sporca, miete vittime, spesso innocenti, ma è l'unica sotto i riflettori della politica e dei media. Perché? Perché è la sfida tra chi detta le regole globali e chi non ci sta, tra chi non vuole un'Europa politicamente autonoma e chi ne rappresenta la speranza, tra un Biden che vuole determinare un nuovo ordine mondiale (manicheo e quacchero) e un Putin che non ci sta. Perché gli interessi economici in gioco sono enormi: gli Usa hanno già incassato l'incremento degli stanziamenti per gli armamenti, i proventi del gas e del grano sottratti alla Russia (grazie alle sanzioni da loro confezionate e imposte) e i depositi in dollari illegalmente sequestrati ai russi. Tutti gli altri, i pupi, ci rimettono per l'effetto boomerang delle sanzioni, per le maggiori spese in armamenti, per gli impegni umanitari, per la maggiore inflazione e la minor crescita, verrebbe da dire come degli "Stolten-berg". Ma la chiamata "democratica" (della Nato) è cogente, la libertà dei popoli e dei leader (amici) è inviolabile come i diritti umani (degli amici). L'atomica sul Giappone, il Napalm sui vietnamiti, Guantanamo, Julian Assange, la devastazione dell'Iraq, la destabilizzazione della Libia e i proiettili contro i messicani inermi che cercano una vita migliore negli Usa non contano, non si tratta di "amici". Amici della Nato ovviamente, che sono tanti tra i governanti occidentali (reprobo chi non si allinea come Orban), addirittura ce ne sono alcuni che, forse, ambendo a scalare i vertici dell'Alleanza, sono "Amici" in servizio permanente e si fanno, quindi, feroci draghi contro il Nemico, tanto da minacciare i concittadini di non far loro più accendere i condizionatori, nonostante i cambi climatici. Ma non dei condizionatori si preoccupano i concittadini, solo di poter tenere accesi i fornelli, almeno finché ci sarà qualcosa da cuocere. Ma i draghi sono bestie d'onore, comandano sempre senza mai "democraticamente" volersi candidare... Angelo Romano

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RESET Bè, va da sé che oggi, a parlare di 'reset, la mente corra immediatamente al rapporto omonimo, aggettivato come 'grande', presentato a maggio 2020 da Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum, e da Carlo, Principe del Galles, in occasione dell'appuntamento annuale a Davos del Forum stesso. Però, confesso che, a quel tempo, non prestai molta attenzione alla cosa. In pieno lockdown, alle prese con le alienate ed alienanti misure anti-contagio stabilite da un pool di 'scimmie' secondo la definizione di Tonacci e 1 Mensurati , pensai che quel rapporto non fosse altro che un cumulo di puttanate. Peraltro, mi era ben chiara l'attenzione, pari a zero, che veniva e viene riservata ad un altro rapporto, quello Oxfam, che anno dopo anno, in quella stessa sede, denuncia l'impoverimento costante di larga fascia della popolazione mondiale e la concentrazione in sempre minori mani della ricchezza prodotta. E, del resto, cosa pensare diversamente quando nella ridente cittadina svizzera dei Grigioni si dà appuntamento con cadenza annuale il gotha della finanza, dell'economia e della politica senza che da quel luogo sia mai sorto un barlume di fiducia per lenire le tante, troppe storture che travagliano questo povero mondo. In conseguenza, ritenni che quell'iniziativa fosse paragonabile a quelle che dame ingioiellate e con abiti di haute couture, in circoli dabbene, assumono annualmente contro la fame nel mondo, la povertà in Bangladesh, la sete nel Sahel, la carestia nel Sud Sudan, in Burkina Faso e nello Yemen, ovviamente sottacendo per quest'ultimo i recenti bombardamenti sauditi e le migliaia di morti tra i civili. Inoltre, diciamolo, non è che il Principe di Galles, con tutto il rispetto, mi stimolasse interesse più di tanto. Non l'avevo mai considerato nella veste di 'assistente sociale' e, purtroppo, l'immagine 2 ultima che avevo di lui si era fermata a quella del tampax che, in supplenza di altro, assolveva una funzione di riempimento. Ma, a dirla tutta, neppure Klaus Schwab aveva nel tempo solleticato le mie sinapsi cerebrali: lontano dalle leggende della letteratura, sembra che le sue 3 pubblicazioni si riassumano in due saggi . Per cui, registrai quel rapporto come aria fritta e lo accantonai. E, per tutto il restante 2020 e buona parte del 2021 rimase nel 'cassetto'. E, poi, pian pianino, quello scritto ha iniziato a filtrare tra le maglie dell'informazione, soprattutto alternativa, e a mezzo di richiami a eventi politici, economici, sociali e sanitari accaduti nell'ultimo biennio e additati quali esempi di una volontà 'superiore' racchiusa in quel rapporto, volta a irreggimentare l'umanità, è riuscito ad emergere in tutta la sua sinteticità e, se vogliamo, in tutta la sua ambiguità, per animare serrati confronti, dibattiti e scontri.


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Già, 'ambiguità', perché da una lettura asettica di quel documento l'impressione che se ne trae è rassicurante, positiva, direi quasi operativamente doverosa. Specie, dopo il rush della pandemia che persino in Paesi economicamente avanzati ha sconvolto linee politiche e produttive, economiche e sociali, che si credevano consolidate, cambiando radicalmente il contesto tradizionale del processo decisionale. 'Ambigua', certo, perché è innegabile che cinque, semplici obiettivi, se attuati, sarebbero in grado di rivoluzionare il mondo ma, nel contempo, c'è da chiedersi su quali punti di forza agire perché i leaders mondiali, diversi per sensibilità, cultura, tradizioni, formazione, siano indotti ad operare univocamente sulle cinque, inderogabili Vie quali nuovi San Tommaso tesi a dimostrare l'esistenza di Dio: 1. catturare l'immaginazione e la volontà dell'umanità perché su base volontaria aderisca al processo; 2. la ripresa economica deve indirizzare il mondo sulla via dell'occupazione, dei mezzi di sussistenza e di crescita sostenibili. Le strutture di stimolo di vecchia data che hanno avuto effetti perversi sul nostro ambiente planetario e sulla natura stessa devono essere reinventate; 3. i sistemi e i procedimenti devono essere riprogettati per far avanzare le transizioni a tasso zero a livello globale. La tariffazione del carbone può costituire una via cruciale per un mercato sostenibile; 4. la scienza, la tecnologia e l'innovazione devono essere rivitalizzate. L'umanità è sull'orlo di scoperte catalizzatrici che altereranno la nostra visione di ciò che è possibile e redditizio nel quadro di un futuro sostenibile; 5. gli investimenti devono essere riequilibrati. L'accelerazione degli investimenti verdi può offrire opportunità di lavoro nell'energia verde, nell'economia circolare e nella bioeconomia, nell'ecoturismo e nelle infrastrutture pubbliche verdi. Ora, fuor di dubbio c'è la necessità di rispondere ad eventi shock, quale la pandemia, rifiutando la depressione e la recessione per sposare cambiamenti totali e innovazioni che, peraltro, possano anche sopperire alla degenerazione sociale nella quale versa l'umanità. E, perciò, "Un 'grande ripristino' è necessario per costruire un nuovo contratto sociale che onori la dignità di ogni essere umano", afferma Klaus Schwab "La crisi sanitaria globale ha messo a nudo l'insostenibilità del nostro vecchio sistema in termini di coesione sociale, la mancanza di pari opportunità e inclusività. Né possiamo voltare le spalle ai mali del razzismo e della discriminazione. Dobbiamo integrare in questo nuovo contratto sociale la nostra responsabilità intergenerazionale per garantire il rispetto delle aspettative dei giovani". Parole molto onorevoli e responsabili che, di primo acchito, postulano tutta l'attenzione e l'operosità necessarie. Ma un attimo dopo, però, qualche dubbio comincia ad insinuarsi nella cervice riportando le considerazioni al vecchio atteggiamento: è mai possibile che banchieri, capi di aziende multinazionali, responsabili di istituzioni internazionali, politici, si possano indurre alla solidarietà e non solo verso l'interesse personale o di parte? A fronte di cosa? E le fonti d'informazione alternative da dove traggono timori che giornalmente manifestano

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denunciando una volontà di cancellare diversità e libertà per realizzare un piattume di tranquilli e ordinati consumatori? A Davos partecipano anche importanti Istituzioni di ricerca sociale ed economica alcune delle quali, in un recente passato, ci hanno additato un aspetto davvero preoccupante: senza alcun intervento, la popolazione mondiale, con particolare riguardo a quella dei Paesi economicamente avanzati, è destinata ad assumere sempre più la forma di una piramide inversa dove il numero degli ottantenni supera quello dei neonati, con l'indice demografico al di sotto dello Ø. Quì occorrerebbe soffermarsi per esaminarne le cause ma basterà dire che ciò indica soprattutto l'assenza di strumenti di ripartizione del reddito prodotto e, quindi, una indisponibilità economica delle famiglie che genera titubanza se non sfiducia nel futuro con la conseguente decisione di non procreare. Il paradosso è che l'indicatore di natalità ha invece un andamento positivo soprattutto in Paesi disagiati o in via di sviluppo, con economie deboli e con redditi pro-capite modesti se non risibili. Tali discrasie nel primo gruppo di Paesi implicano che, ovviamente, ci saranno sempre meno persone in età lavorativa in grado di provvedere al sostentamento di un numero sempre maggiore di anziani mentre, nel secondo, attestano un'aberrazione concettuale perché, se per tradizioni e cultura, la speranza di un futuro migliore risiede unicamente nei figli, questi in assenza di politiche strutturali non potranno che avere il destino dei padri e aggravare costantemente la situazione complessiva locale se non il fenomeno dei flussi migratori. Quindi, attesa l'esigenza di colmare tali ultimi macroscopici gaps sociali, resta l'ulteriore necessità di provvedere alla corretta costruzione della 'piramide' nei Paesi economicamente avanzati. audacia temeraria igiene spirituale In pratica, la popolazione mondiale è destinata complessivamente a decrescere ma sembra che il relativo tasso di riduzione spalmato nel tempo non ponga al riparo da serie ripercussioni economiche e sociali: la disponibilità delle risorse in rapporto al numero complessivo della popolazione stessa. E, a questo punto, come sbocciate da un cilindro, mi vengono in mente le teorie malthusiane4 in ordine, appunto, al rapporto tra popolazione e risorse. L'economista inglese, in sintesi, identificava la causa principale della miseria nel fatto che la popolazione tendeva ad aumentare più rapidamente dei mezzi di sussistenza. In particolare, secondo Malthus, mentre la popolazione cresceva in progressione geometrica, per cui ogni singolo aumento era principio di moltiplicazione degli aumenti successivi, i mezzi di sussistenza, invece, incrementavano in progressione aritmetica; ne consegue che comunque (allora come ora) il complesso delle risorse è incoerente col numero complessivo della popolazione stessa. Quindi, ciò che in ogni caso si evidenzia è uno squilibrio tra risorse disponibili, in particolar modo quelle alimentari, e le necessità dei popoli. Però, ad avviso dell'economista, l'incremento demografico (o l'incremento del tasso di riduzione) può essere sottoposto a 'freni' repressivi (o a impulsi incentivanti) come guerre, epidemie, carestie o a 'freni' (impulsi) preventivi come la restrizione morale (o materiale). Quest'ultima, alla quale Malthus esortava tutti gli uomini, consiste in una limitazione volontaria delle nascite attraverso (sic) l'astensione dal matrimonio (o la ristrettezza economica). Inoltre, egli proponeva di adottare ogni misura atta a scoraggiare la


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natalità e di abolire 'leggi sui poveri', poiché a suo avviso la carità è un incentivo all'incremento di popolazione (o un ostacolo alla sua riduzione). In sostanza, Malthus fu portavoce di un liberalismo radicale, secondo cui ogni singolo individuo deve essere libero e privo di assistenza 5 sociale e solidarietà, in modo tale che a prevalere siano i più forti e a soccombere i più deboli . Non c'è tempo per commentare tale teoria sul piano morale ma resta il fatto che, intanto nell'odierno Occidente, si guardi il caso, i 'poveri' sono stati, come dire, 'indotti' a seguire il suo consiglio. Ma, a ben vedere, non mancano nel mondo esempi dei restanti 'impulsi'. Secondo prudenziali stime, circa 800 milioni di persone vivono oggi in condizioni di grave denutrizione (con un incremento, da ultimo, di oltre 100 milioni), più della metà delle quali stanno in Asia, più 6 di un terzo in Africa e circa sessanta milioni in America Latina . In conseguenza, caute perizie FAO ci dicono che tra le 15.000 e le 24.000 persone al giorno muoiono d'inedia o per cause ad essa 7 correlate . Peraltro, nel mondo abbiamo ben 36 scenari di guerra e di guerriglia tra Africa, Asia, Europa, Medio Oriente e America centro-meridionale con oltre 70 Paesi coinvolti e con più di 800 8 milizie-guerriglieri e gruppi terroristi-separatisti-anarchici sul campo che nel solo 2021 hanno 9 prodotto 235 milioni di profughi ; dati, questi, che significativamente si contrappongono non agli interventi umanitari bensì all'incremento delle spese militari giunte nel 2020 a 1.981 miliardi di 10 dollari, il valore assoluto più alto registrato dal 1988 . Conflitti in buona parte motivati da accaparramento di risorse. Da ultimo, a tale solerte sfoltimento, si è affiancata la pandemia che un contributo al rivisitato ciclo darwiniano lo ha dato; e ciò senza voler entrare nel merito della fondatezza dei dati sui decessi (e sulle relative cause) né sui motivi della inadeguatezza dei sistemi sanitari. Perciò, non dovrebbe preoccupare più di tanto il problema dei mezzi di sussistenza perché, come abbiamo visto, 'anime pie' ci danno dentro ad affilare con continuità la falce della Nera Signora. A questo punto, però, una domanda si riaffaccia con prepotenza: perché reggitori di cose pubbliche che hanno determinato un tale complessivo sfascio, a fronte del quale Schwab invoca un 'grande reset', improvvisamente dovrebbero avere il navigatore rotto e miracolosamente convenire tutti sulla via di Damasco dove essere colpiti da illuminante Rivelazione, da nuova Apocalisse, al punto da convertirsi e, con saio da penitenti e a piedi nudi, dirigersi verso il santuario dell'Uomo salmodiando litanie penitenziali? Onestamente, non ce li vedo. Ma si potrebbe obiettare che, in esito al vecchio motto latino, alla fine davvero 'gutta cavat lapidem'; dal ché, il progetto prevede il coinvolgimento dei principali leaders governativi e delle aziende globali, connessi con una rete complessiva di multistakeholder, siti in 400 città, per un dialogo costante 'orientato al futuro guidato dalle giovani generazioni' volto a costruire una nuova economia digitale e 'una gestione della catena del potere più snella'. Ovviamente, dato che 'la gestione politica attuale delle Nazioni è facilmente condizionabile da gruppi di potere', il tutto dovrebbe avvenire sotto il controllo democratico dove il popolo, attraverso una potente rete di hub virtuali e con 'forme politiche nuove', potrà partecipare al dialogo, seguire i dibattiti e fornire propri contributi. Non per cavillare ma, intanto, c'è da dire che l'espressione 'forme politiche nuove' mi da un po' di

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prurito perché, per quanto mi sforzi, non riesco ad intravedere un'alternativa a quelle 'democratiche' nelle loro già disparate forme; forse è il concetto di 'più snella' circa la catena del potere che andrebbe ribadito ed esplicitato. Comunque, non sono tanto questi aspetti ad impensierirmi quanto, paradossalmente, 'il controllo democratico' e la 'partecipazione popolare' perché da tempo è venuta meno la metodica per la costruzione della volontà politica. Lo so, l'ho detta un po' male ma ciò che intendo è che fino a qualche decennio fa la politica aveva una visione prospettica a seguito della quale si adoperava per avere la maggioranza dei consensi onde realizzarla attraverso azioni confacenti. In sostanza, era la politica che additava all'opinione pubblica il da farsi. Oggi, invece, la politica non ha più alcuna prospettiva, vive alla giornata e sembra agire sulla scorta dell'umore della 'folla' la quale da che mondo è mondo si muove in maniera irrazionale, a seguito di impulsi emotivi. Ora, muovendo dal presupposto che la politica manca di una visione prospettica né, qualora l'avesse, ha più la possibilità oggettiva per realizzarla dal momento che le sue azioni sono dettate da pretese esterne (UE, mercati, ecc.), la domanda è: chi fornisce alla 'folla' gli impulsi emotivi? Chi la stimola a 'chiedere', nella sua irrazionalità, di vestire persino i panni del masochista, per giunta additando al pubblico ludibrio coloro ai quali i calci sui cabasisi non piacciono? Nessuno dubita che, una volta realizzato l'impianto di Davos, il cittadino comune, nella veste di 'folla', possa 'connettersi' ed esprimersi ma il risultato della sua espressione, attesa l'attenzione di leggerla, quanto avrebbe di razionale e di fondato? Alla notizia di un incendio in un luogo affollato, c'è verso che faccia più vittime l'angosciosa e affannosa fuga che non le fiamme. Mi rendo conto che è temeraria un caso limite ma esempi 'razionali' trasformati in 'rabbia popolare' non audacia igiene spirituale mancano. Prendiamo, ad esempio, l'evasione fiscale, tra l'altro grande imputata della mancanza di servizi sociali. Governi succedutisi nel tempo sono arrivati persino ad attivare un numero telefonico dove il cittadino incazzato possa denunciare il vicino, il conoscente, in odore di evasione. Ahi! Ahi! Ahi! Questi fruttivendoli e vignaioli menefreghisti di asili di anime innocenti che evadono sull'insalata e sulle mele. Siamo al ridicolo ma non per questo: come hanno fatto e come fanno migliaia di miliardi ad 'uscire' e in buona parte 'stazionare' in conti persino europei11 al pari di offshore? Perché di oltre mille e duecento miliardi di cartelle emesse tra il 2000 e il 2018, alla fine quelli risultati 'aggredibili' sono … '80'12? Che ne è del dovuto da parte delle società che il Italia gestiscono il gioco delle 'macchinette', 'ridotto' dopo lunga e penosa malattia a oltre 100 milioni di euro tra IRAP, IRES e IUS? Perché prestigiosi nomi dell'imprenditoria e dello sport, tra l'altro presenti nella cosiddetta lista 'Falciani' o 'Swissleaks', dopo macroscopiche evasioni, si sono ritrovati a pagare, a seguito di transizioni, una parte irrisoria del dovuto? Potrei continuare ma sto sconfinando nella depressione. Certo è che la capacità di fruttivendoli e vignaioli di trasformarsi in aridi profittatori è davvero sconcertante: bel belli, bel belli, pensano di poter scorrazzare a piacimento e devono essere inseguiti e fermati da solerti finanzieri, sostenuti dalla collera popolare. E che Maronn! 'Cca, si direbbe a Bolzano, nisciun è fess, come ricordava il Grande Partenopeo. Ma 'evasione' non è la sola parola 'magica' volta ad indirizzare l'indefessa


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opera dei solerti reggitori e a suscitare la furibonda ira democratica, quella che Byung-Chul Han chiama 'la società dell'indignazione' incentivata da puntuali 'informatori'. Come ricordavo a me stessa nello scorso settembre, negli ultimi trent'anni inequivocabili 'obiettivi' dal rumore tambureggiante e dall'odore all'eau de égout, non sono certo mancati, buoni a dimostrare fantasmagorica chiarezza d'intenti e spettacolare determinazione operativa, sostenuti da luminari del diritto, della sociologia, dell'economia, nonché da illuminati massmedia, per 'smuovere' la 'parte sana, intelligente, progressista' del Paese, persino entusiasta di andare alla gogna: 'moralizzazione' che ha portato solo polverizzazione della corruzione. 'Competizione', che ha sostituito garanzie e tutele con precarizzazione e disperazione. 'Razionalizzazione della spesa' che ha trasformato un bilancio in parità in un colabrodo con lo sversamento di oltre il 60% dell'immesso. E, in ultimo, tra squilli di trombe e rullo di tamburi, gli ultimi ritrovati della scienza e della tecnica, nuove dee dell'umanità: le green politicies, il punto 5) della sintesi del progetto di Schwab e del Principe del Galles. Ovviamente, non sono certo contraria ai prati verdi e ai cieli azzurri, all'acqua pulita e all'aria respirabile da lasciare a nipoti e a pronipoti ma una serie di quesiti mi affolla la mente: in cosa dovrebbero consistere tali politiche? Perché, ad oggi, il pensiero non è stato esplicitato se non in lieve accostata con la 'rivoluzione' industriale 4.0. Ed invece, non bisogna porre indugi intra lo mezzo perché i seguaci di Greta scalpitano e le frasi sferzanti della graziosa e sensibile svedese fustigano con continuità la nostra torpida morale. L'Europa, ovviamente, è diligente come sempre. Stiamo sostituendo il parco auto dal motore endotermico con quello a trazione elettrica e, ad oggi, nel territorio comunitario è elettrico il 10% e poco più del circolante. Finora, la sfanghiamo perché buona parte è ibrido ma cosa accadrà dal 2035, quando la domanda di sola energia elettrica dovrà investire il 100% del circolante, se non vi saranno impianti di produzione adeguati a sostenere la domanda? Ora, tra i maggiori Paesi, la Francia è la sola a non avere problemi di approvvigionamento. Gli altri, tra i quali la Germania e l'Italia, dovranno adeguare la loro produzione. Ma comunque, ammesso di reperire ingenti risorse per costruire centrali in numero confacente, con cosa le alimenteremo? Con l'acqua? Col carbone? Con l'olio combustibile? O con materiale fissile? Una richiesta di chiarimenti. Sostituiremo nel medio periodo anche i motori degli aerei, visto che ne volano contemporaneamente, in ogni momento della giornata, tra i 4.000 e i 13.00013 con un inquinamento ciascuno pari a 100 auto accese assieme? E, ancora. A fronte dell'abbattimento delle immissioni in atmosfera, revocheremo la possibilità di 'commerciare' in crediti d'inquinamento in territori al di fuori dell'UE visto che l'aria non conosce confini? E, in ogni caso, come la metteremo con la Cina e i suoi 10 miliardi l'anno di tonnellate di emissioni di CO2, con gli USA e i suoi oltre 5 miliardi (comunque, primi fino a qualche anno fa nelle attività umane inquinanti), con l'India e i suoi 2,5 miliardi, e con una miriade di altri Paesi attorno al milione14, fuori volutamente da accordi internazionali (USA) o, nel migliore dei casi (Cina e India), disponibili ad avviare misure di contenimento attorno 2050/2060? In pratica, come si può concepire un mondo salubre dove il maggior Paese industrializzato non si pone remore mentre i

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due Paesi dalle economie maggiormente performanti sembra possano considerarle tra due generazioni? Eppure, l'Unione Europea marcia imperterrita verso il Green Deal15 secondo la nuova strategia industriale affiancata dalla "Resilienza delle materie prime critiche: tracciare un percorso verso una maggiore sicurezza e sostenibilità"16. Già, perché i problemi sopra enunciati passano in second'ordine di fronte al principe delle difficoltà: il reperimento delle cosiddette 'terre rare' e metalli 'rari' ovvero disprosio, europio, terbio, ittrio, praseodimio, neodimio, grafite, nichel, cobalto, manganese e litio, indispensabili per sostenere l'evoluzione tecnologica in quanto fondamentali ai fini della transizione elettrica. E il relativo mercato, neppure a dirlo, a fronte della domanda pressante, ha registrato un'impennata paurosa dei prezzi. Secondo l'International Energy Agency (IEA), la domanda di minerali per veicoli elettrici e batterie crescerà almeno di 30 17 volte entro il 2040 . Ciò posto, è dato semplicemente il caso che il maggior fornitore al mondo delle suddette 'terre' e metalli 'rari' sia la Cina. Non c'è dubbio. A parlare di 'reset', lo stiamo facendo intanto col nostro futuro. In pratica, sanzioniamo giustamente il torvo aggressore di miti Paesi democratici che, ad un prezzo accettabile, forniva gas per il nostro fabbisogno energetico e, poi, ringraziamo genuflettendoci gli altruisti USA che, ad un prezzo maggiorato del 50% (se va bene)18, si sostituiscono nelle forniture col GNL (gas naturale liquido) per il quale, però, non disponiamo al momento di sufficienti attrezzature di conversione. Non c'è dubbio, provvederemo a dotarci ma i costi saranno da 'paura'. Inoltre, abbandoneremo nei desolati deserti insensibili beduini con i quali, in momenti di abnegazione e generosità, abbiamo fatto accordi enormemente vantaggiosi per entrambi circa l'estrazione di greggio, per andare trionfanti verso l'energia pulita, quella elettrica, per la quale però non disponiamo al momento di sufficienti impianti di produzione (investimento minimo 24 milioni l'uno per quelli idroelettrici da risibili 8MW19 o da 4,5 ai 6 miliardi l'uno per quelli nucleari20) né ci è chiaro con cosa li alimenteremo, date le frequenti siccità del Nord. In più, ci mancano le pietre fondamentali di questa mirabolante rivoluzione tecnologica, le terre e i metalli rari dei quali, come detto, il monopolio è detenuto dal grande Paese asiatico che, con sommo gaudio, ci fornirà il necessario per attuarla a prezzi che, ovviamente, seguiranno la legge della domanda e dell'offerta. Del resto, sarà anche comunista, ma sta additando al mondo il significato di 'turbocapitalismo' checché ne dicano quei sempliciotti degli yankee. Nel complesso, un'onda montante di esorbitanti costi che, neppure a dirlo, finirà per frangere sulle famiglie, già alle prese con la precarietà del lavoro, poi con lo 'stop' a causa della pandemia e, dopo un incerto 'go', con le ganasce delle indeterminatezze della guerra ucraina, mentre lo 21 spettro della recessione fluttua sull'orizzonte . E non è da dire che l'economia europea ha sbocchi alternativi a quelli in essere: più che altro, impostata sull'industria di trasformazione e sul terziario, sconta la miopia dei suoi attori in tema di approvvigionamenti, in nulla corretta dai ragionieri valloni. L'industria tedesca, immancabile punto di riferimento, ha visto aumentare del 25% i prezzi medi alla produzione con l'impennata


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dei metalli che ha raggiunto il 37%22 in più rispetto al 2021. E, infatti, con le sanzioni alla Russia, milioni di tonnellate d'acciaio hanno preso la via asiatica (insieme a miliardi di m3 di gas), costringendo la Germania a raccattare lamiera in giro a costi esorbitanti e, considerato il 13% di apporto al PIL del settore automotive, a consegne delle autovetture dilatate fino ad un anno. I prezzi dell'energia elettrica sono aumentati di quasi il 67% mentre quelli per i prodotti petroliferi oggi viaggiano con un incremento del 33%. Ora, considerato che più di un terzo di scambi commerciali dell'intera area comunitaria passa per la sola Germania, non può non esserci un riverbero in Italia che, tra l'altro, 'sforna' circa il 25% delle componenti di un'autovettura tedesca. Per non parlare, poi, per ciò che ci riguarda, di altri settori. Eravamo uno dei maggiori produttori d'acciaio a livello europeo ma l'arlecchinata nella gestione delle problematiche dell'ILVA ha portato, anziché alla bonifica, alla chiusura dello stabilimento siderurgico. Avessimo adottato lo stesso atteggiamento con l'Alitalia, ci saremmo risparmiati una 'barca' di miliardi e lo strazio di ben quattro fallimenti. E, ancora. Per limitare lo spettro d'osservazione, come pensiamo che la Germania, viste le condizioni attuali, possa continuare ad assorbire ben 67 miliardi l'anno di nostre esportazioni? E, di rimando, come potremo noi continuare a importare da essa ben 75 miliardi di merci23? Potrei continuare ma ciò non farebbe altro che allungare la sciacquatura dei piatti dopo un misero pasto. Basterà, purtroppo, dire che nella sola Italia, dopo la flessione 2020/2021, il rimbalzo previsto nel corrente anno addirittura indicato nel 6/7%, sembra che a malapena riesca a raggiungere 1-1,5%; il che significa che i 9 punti percentuali di PIL persi ad opera di discutibili provvedimenti anti-pandemia verranno recuperati, se tutto andrà bene, in circa 10 anni. In una parola, l'impegno profuso dagli imprenditori sarebbe stato in grado di assorbire nel giro di un biennio la flessione COVID ma l'ostracismo alla Russia e, insieme, scelte economiche anacronistiche si riverbereranno unicamente nelle tasche nostre (ed europee), aggravate peraltro dall'incremento al 2% (circa 36 miliardi) della quota bilancio annuo da destinare agli armamenti, nonché da un'inflazione, soprattutto d'importazione, già prossima al 7%, senza salvaguardia alcuna. Ma, dico, in trent'anni nessuno mai si è preoccupato nemmeno di accennare ad un piano industriale, a casa come fuori, ed ora, dopo la perdurante strapazzata della pandemia e le aggiunte mordacchie derivate dai fatti ucraini, si impone una nuova direttrice produttiva? C'è qualcosa che non quadra. Con l'economia al passo, dove minchia prenderemo tutti quei miliardi per rasserenare il volto preoccupato di Greta e, nel contempo, quello accigliato di Jens Stoltenberg? Certo: lo scenario è chiaro. Vivremo tutti molto poveri ma, sul bordo delle nostre capanne, coltivati da voci suadenti di gioiosi speakers, ci diremo lieti di poter apprezzare la radiosità di un'alba in un cielo terso, respirare a pieni polmoni un'aria salubre e dissetarci da limpide fonti, agguerriti però fino all'estremo e armati fino ai denti per difenderci da chi volesse compromettere o addirittura impadronirsi del nostro 'benessere': che so, qualche sperduto viaggiatore proveniente da Alpha Centauri o giù di lì.

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Oppure per prepararci… ad un programmato avvio della III guerra mondiale. In ogni caso, sarebbe un bel 'reset' rispetto all'affanno odierno. Scherzi a parte, continuo a domandarmi su cosa si fonderebbe l'abnegazione dei reggitori delle pubbliche cose e dei 'padroni' di imprese globali convenuti a Davos e dove risiederebbe il loro interesse perché, da vecchia bisbetica 'navigata', non posso evitare di chiedermelo. Certo, la preveggenza degli imprenditori 'globali' (non certo quella dei 'politici') può aver portato a ritenere che le linee dell'economia attuale inizino a mostrare la corda e, in conseguenza, a pensare di 'avventurarsi' su nuovi percorsi, dalle nuove caratteristiche, sostenuti da seriosi 'reggicoda'. È possibile ma lo è fino al punto di contraddire la dottrina capitalistica e annoverare il 'volgo'? Può darsi se, come la storia e gli Agnelli insegnano, i 'fruitori' della munificenza padronale sono rispettosi, si accontentano di poco, comprano ciò che gli si dice di comprare e non rompono i coglioni. Non credo al complotto mondialista ma certo è che si fa fatica a non pensarci. Davide Rossi, giornalista e analista politico, ha scritto di recente un libro dal titolo curioso, 'La Fabian Society e la pandemia - Come si arriva alla dittatura'24. L'autore ci indica i nomi dei politici e degli uomini della finanza internazionale legati alla Fabian e ci descrive, con dovizia di particolari, il sistema di potere della London School of Economics, l'università dei Fabiani, a suo dire vero e proprio centro della tecnocrazia mondiale. Inoltre, denuncia la manipolazione che sta dietro alla narrazione terroristica del coronavirus, la gravità dei ricatti legati alla campagna vaccinale e le conseguenze economiche di quanto sta accadendo. Prova ad individuare gli obiettivi di questa operazione e constata come questi coincidano, in modo inquietante, con quelli, totalitari e antidemocratici, dei primi pensatori Fabiani. Incuriosita, ho dato un'occhiata in giro. Fondata nel 1884, a Londra, tale Società, ispiratasi nel nome e nell'atteggiamento a Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, si è posta come macroobiettivo, l'evoluzione del socialismo non marxista; massimalista negli intenti ma gradualista nella strategia. Infatti, Edward Reynolds Pease, fondatore, a lungo segretario e storico della Fabian Society, sui Saggi pubblicati successivamente ebbe a dire: "….I Fabian Essays presentavano il socialismo come fondato non sulle speculazioni di un filosofo tedesco, ma sulla naturale evoluzione della scienza economica così com'era insegnata dai professori inglesi accreditati; costruivano l'edificio del socialismo sulle fondamenta delle istituzioni politiche e sociali esistenti da noi; dimostravano che il socialismo era semplicemente la prossima fase dello sviluppo della società, resa inevitabile dai mutamenti comportati dalla rivoluzione industriale del 25 XVIII secolo. …" . Essi, i fabiani, si accreditarono inoltre come eredi del radicalismo britannico che passando per l'utilitarismo di Jeremy Bentham, li portava a John Stuart Mill e al suo concetto di liberalismo, includente la lotta contro la proprietà privata, giudicata, si pensi, un irrazionale residuo del passato, nonché la rivalutazione del ruolo dello Stato inteso come promotore della felicità pubblica. Per giunta, secondo Sidney Webb, uno dei fondatori, i fabiani non intendevano attendere "improvvise palingenesi immaginate dagli utopisti e dai rivoluzionari", ma "[...]


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propugnano soltanto la crescente adozione di un principio di organizzazione sociale che il mondo 26 ha già scoperto essere lo sbocco inevitabile della democrazia e della rivoluzione industriale …" . Tra le due Guerre, prestarono la massima attenzione alla nascita del grande esperimento bolscevico e vi plaudirono. Peraltro, giunsero ad aspirare a uno Stato mondiale a guida tecnocratica, del quale l'impero britannico doveva essere il germe, incaricato di amministrare in via pianificata le risorse materiali e umane del pianeta e, a quest'ultimo riguardo, diedero vita a rapporti di contiguità, quando non di filiazione, con i circoli mondialisti come la Pilgrim's Society a proposito della quale da un articolo del Richmond News Leader del 14 novembre 1963 si legge: "I Pilgrim's sono una delle manifestazioni meno conosciute del culto dell'unità mondiale. Questa setta particolare, grazie ad un nocciolo di nazioni anglofone e utilizzando l'approccio graduale che caratterizza il socialismo fabiano, vorrebbe fare decollare un mondo con un governo centralizzato. Sebbene tale dottrina faccia pensare ad elucubrazioni di tenebrosi cervelli malati, i suoi aderenti sono reclutati fra le più illustri personalità mondiali (...). In altre occasioni costoro si riuniscono sotto l'egida dell'Unione Atlantica, del Citizen Council for NATO, della Foreign Policy Association, del Council on Foreign Relations, di Arden House e dell'American Assembly, del 27 Bilderberg, o degli United World Federalist (...)." Sempre in tema di contiguità, troviamo il britannico Royal Institute of International Affairs e lo statunitense Council on Foreign Relations. A proposito del primo, è curioso il fatto che è un ente di beneficenza registrato presso la Regina, secondo le relazioni annuali è finanziato soprattutto dall'oligopolio petrolifero rappresentato da Exxon-Mobil, Chevron-Texaco-Phillips, BP Amoco ARCO e Royal Dutch/Shell-Pennzoil28. Mentre, circa il secondo, Maurizio Blondet, nel 2001, ebbe a scrivere: "Organizzato come un altissimo ufficio-studi, semi-segreto, e pagato dal contribuente americano in quanto Fondazione Culturale, il Cfr studia strategie "globali" che invariabilmente la Casa Bianca, poi, adotta come direttive di politica internazionale…Le direttive, studiate dal Cfr in riunioni riservatissime, vanno poi fatte digerire a più vaste platee di politici, imprese e decisori 29 30 sparsi nel mondo…" . Sedici anni prima, Gianni Vannoni, nella sua opera Le società segrete , asseriva che "…il CFR.... non sarebbe altro che l'emanazione più esterna di una società segreta che affonda le sue radici nell'Inghilterra vittoriana, e precisamente nell'ambiente oxoniano vena di romantica follia, predicante... Il mio scopo costante è stato quello di mostrare l'eterna 31 superiorità di alcuni uomini su altri..." . Alla faccia. A questo punto mi viene in mente Nicholas Murray Butler, in passato presidente della Pilgrim's Society, del CFR americano, dell'Università di Columbia, amministratore della celebre fondazione Carnegie e collaboratore del banchiere Jakob Schiff, nonché nel '31 premio Nobel per la pace nonostante l'affermazione che gli viene attribuita persino nelle 'frasi celebri' senza alcuna smentita: "Il mondo si divide in tre categorie di persone: un piccolissimo numero che fanno produrre gli avvenimenti; un gruppo un po' più importante che veglia alla loro esecuzione e assiste al loro compimento, e infine una vasta maggioranza che giammai saprà ciò che in realtà è accaduto". E ciò per buona pace dei convinti assertori del complotto mondialista. In me, però, un forte

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dubbio persiste dato da una semplice considerazione: tra tanti personaggi internazionali e nazionali, importanti, di rilievo, capaci e determinati, potrebbe mai esservi, con tutto il rispetto, il nostro ministro Speranza, come viene asserito da alcune parti? Qui gli scherzi non c'entrano ma comunque mettiamo da parte tali considerazioni. Forse non sarà quello dei mondialisti ma certo è che un qualche 'reset' mi auguro debba esserci: intanto sull'uso delle parole. Siamo davvero noi, gli europei, ad aver imposto pesanti sanzioni al bieco aggressore? Poi, auspicabilmente, un re-settaggio dell'attuale filosofia dell'Europa stessa che la porta a tacere quando dovrebbe pretendere e a imporre quando dovrebbe considerare, in uno scenario, peraltro, che vede il ripristino della Cortina di Ferro, gli assi economico-produttivi alterati e un nuovo dissociato, preoccupante nazionalismo. Indi, sempre auspicabilmente, una ricalibratura della filosofia operativa dei nostri 'reggitori': andiamo a cercare energia persino in Mozambico e trascuriamo ben oltre 700 punti estrattivi nostrani? Non penso, del resto, che spegnendo i condizionatori, come suggerito, si risolverà il problema: semmai, è certo che si manderanno a casa intanto i 300 lavoratori della Colussi già da una settimana in CIG. Peraltro, vista la voglia, dopo tanta stasi, di fare programmi, pensiamo davvero di affrontare compiutamente la questione 'turismo', parte notevole di quel 75% di PIL dato dal Terziario, semplicemente aggiungendovi un '4.0' e basandoci solo sull'intelligenza artificiale, l'Internet of Things, l'analisi dei Big Data e il Cloud computing? Mancano i territori e le loro ricchezze che fanno di una visita, sia pur coccolata, un soggiorno prolungato. Vorrei a questo punto toccare, in tema di 'reset', i politici ma mi rendo conto che sarebbe una fatica sprecata perché nell'immane confusione tra maggioranza e opposizione, tra posizioni di minoranza che sembrano di governo e tra altre di maggioranza che sembrano di opposizione, nessuno, irrimediabilmente, sa più chi è. Certo, i tempi sono confusi e ognuno, purtroppo, si esprime come può ma ciò che non dovrebbe mancare a nessuno è l'intelletto e, nel contempo, il discernimento: stiamo facendo un casino immane a sostegno della democrazia ucraina e poi 'banniamo' dalla RAI, TV di Stato, il prof. Alessandro Orsini, uomo dichiaratamente di 'sinistra', solo per aver espresso un punto di vista leggermente dissonante dal 'pensiero unico'? C'è da riflettere. Roberta Forte


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Note: 1. Fabio Tonacci e Marco Mensurati – Scimmie al volante – L'inchiesta definitiva sulla classe politica che non ha saputo gestire la crisi del Covid-19 – BUR Rizzoli 2020 2. La Repubblica – Paolo Filo della Torre - I TELEFONI A LUCI ROSSE DI PALAZZO REALE – 14.1.1993 3. https://it.wikipedia.org/wiki/Klaus_Schwab 4. Thomas Robert Malthus (13 febbraio 1766, Westcott, Regno Unito -23 dicembre 1834, Bath, Regno Unito) è stato un economista, filosofo, demografo e precursore della moderna sociologia inglese 5. Thomas Robert Malthus – Saggio sul principio della popolazione – Einaudi 1977 6. Maurizio Martina – l'incubo fame per 811 milioni di persone tratto da https://www.corriere.it/editoriali/21_luglio_12/incubo-fame-811-milioni-persone-da5365f0-e341-11eb-aa6d02d6b05969fd.shtml?refresh_ce 7. https://www.paceadesso.it/ew/ew_sitepage/3/TABELLA%20-%20I%20DATI%20SULLA%20FAME.pdf 8. https://www.guerrenelmondo.it/?page=static1258218333 9. https://lavialibera.it/it-schede-704-infografica_guerre_conflitti_mondo 10. Stockholm international peace research institute – 2020 – riportato in https://lavialibera.it/it-schede-704infografica_guerre_conflitti_mondo 11. Affari e Finanza di Repubblica - 14 ottobre 2019 12. https://www.liberoquotidiano.it/news/economia/13509290/evasione-fiscale-cartelle-non-riscosse-2000oltre-900-milardi.html 13. https://viaggi.corriere.it/eventi/quanti-aerei-volano-in-questo-istante/ 14. https://www.ilgiorno.it/mondo/paesi-inquinanti-1.6984275 15. https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it 16. Comunicazione Della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico E Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni – COM (2020) 474 final - Bruxelles, 3.9.2020 17. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/materie-prime-boom-dei-prezzi-da-transizione-30720 18. Sole 24 Ore – 13 aprile 2022 - Inchiesta di Sissi Bellomo - Perché acquistare il Gnl americano costa il 50% in più del gas russo 19.https://w w w.scienzaverde.it/energia-idroelettrica-blog /costi-diproduzione/#:~:text=Un%20esempio%20dei%20costi%20di,valore% 20annuale%20di%20700.000%20%E2%82%AC 20.https://www.ilcambiamento.it/articoli/costi_energia_nucleare#:~:text=Vediamo%20innanzitutto%20quanto %20costa%20costruire,di%20euro%20per%20ciascun%20impianto. 21.https://www.quotidiano.net/economia/ripresa-ferma-spettro-recessione-cosa-rischiano-famiglie-e-imprese1.7495625 - L'economista 22. Fortis: "Dubito che il Pil 2022 andrà oltre l'1-1,5%. E se la guerra dura a lungo sarà un disastro" 22. https://www.teleborsa.it/News/2022/02/21/germania-prezzi-alla-produzione-a-25percent-su-anno-erecord-13.html#.YlbjW-hByUk 23. https://italiaindati.com/import-export-italia/ 24. Arianna Editrice 25. Paolo Mazzeranghi – il fabianesimo - https://alleanzacattolica.org/il-fabianesimo 26. Idem 27. https://www.disinformazione.it/pilgrims.htm - La Pilgrims' Society - Dal libro "Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia" - Epiphanius – Ed. Controcorrente 2021 28. https://aurorasito.wordpress.com/2014/11/13/il-council-on-foreign-relations/ 29. Avvenire – 27 gennaio 2001 30. Sansoni Editore, Firenze 1985 31. http://cosco-giuseppe.tripod.com/storia/GLI_STATI_UNITI.htm

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COSA NON ABBIAMO CAPITO DI PUTIN Sulle capacità profetiche di Francis Fukuyama nutriamo dubbi. Il politologo statunitense è noto per la colossale cantonata rimediata teorizzando "la fine della Storia" grazie all'affermazione della liberal-democrazia sul comunismo. Se fosse stato per lui, con la caduta del Muro di Berlino saremmo giunti al capolinea ideologico dell'umanità. Invece, siamo ancora qua a fare i conti con i peggiori demoni del Novecento che, come si dice, vivono e lottano insieme a noi. Fukuyama torna a parlare dalle colonne de "Il Corriere della Sera" per donarci un'altra perla di saggezza. Per il politologo, ciò che sta accadendo in Ucraina è la battaglia decisiva tra Paesi liberi e regimi autoritari. Niente più destra e sinistra, ma solo un lato della Storia presidiato dall'Occidente liberale e democratico, contro l'altro lato, occupato dall'oscurantismo russo e cinese. E nel mezzo? Le cento e passa sfumature di grigio, quante sono le specificità locali che possono migrare da un versante all'altro della Storia a seconda degli errori tattici, più o meno reversibili, che i due poli attrattori antagonisti possono compiere. Fukuyama fa l'esempio della Macedonia del Nord. Dopo anni trascorsi a chiedere l'adesione all'Unione europea ed essere rimasto inascoltato, è comprensibile che il piccolo Paese balcanico si guardi intorno alla ricerca di nuove intese, più favorevoli ai propri interessi. La tesi di Fukuyama non convince per eccesso di semplicismo: il mondo non si taglia con l'accetta. Oggi siamo al cospetto della ripolarizzazione della scena globale sulla base della ricomposizione degli imperi. Nessuno dubita che l'odierna Cina abbia una vocazione imperiale. Come nessuna dubita che il dittatore Recep Tayyip Erdogan ci creda a voler rimettere nei cardini la Sublime Porta del fu Impero Ottomano. Dalla fine della Seconda guerra mondiale la maggior parte degli europei liberi hanno di buon grado accettato la condizione di cittadini-sudditi di un nuovo Impero, diverso nelle caratteristiche e nelle forme dai modelli imperiali colpiti e affondati nel corso del Novecento: gli Stati Uniti d'America. Il nostro essere occidentali è stato sinonimo di appartenenza a un peculiare paradigma politicoetico-economico-sociale-culturale. E non ce ne siamo affatto lamentati. L'Europa, di là dai proclami d'indipendenza e di autonoma sovranità, non riesce ad accedere a una dimensione imperiale perché mancante di un presupposto che le potenze imperiali di ogni tempo storico hanno avuto: un Cesare. Chi è il "Cesare" europeo? Non esiste. Niente Cesare, niente Impero ma una sommatoria di Stati e staterelli in perenne competizione tra loro. E l'Unione europea? Una macabra finzione burocratico-giuridica. Non lo diciamo noi, lo dicono i fatti. Il grande convitato di pietra nella corsa ai nuovi imperialismi in questi decenni è stata la Russia.


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Posta in uno stato di sospensione durante la lunga stagione della dittatura sovietica, non si sarebbe potuto stabilire con certezza come e quanto fosse mutata la sua natura profonda nell'impatto con l'ideologia comunista. Un pezzo anomalo d'Europa? Il cuore pulsante di una diversa Asia? Oppure né l'uno, né l'altro? Con la fine dell'Unione Sovietica e la contestuale apertura di Mosca ai valori fondanti dell'Occidente, si è pensato, a torto, che la nuova Russia potesse essere asseverata alla cultura occidentale. Niente di più sbagliato. Da quella zarista, a quella post Guerra fredda, fino all'odierna versione putiniana, passando per l'Unione Sovietica, la Russia è rimasta la Russia. Un Paese che non è culturalmente europeo ma, come sostiene Aleksandr Dugin, teorico dell'Eurasiatismo, non è affatto un Paese: è una civiltà distinta. L'Occidente è passato da un errore all'altro nell'approccio alla complessità russa. Prima ha pensato di inglobarla, facendone un grande mercato di sbocco delle proprie produzioni e dei propri costumi, poi respingendola come corpo estraneo verso Oriente in un innaturale accomunamento alla dimensione estremoorientale del gigante cinese. La forma plastica di tale errore sta nella rappresentazione del personaggio Vladimir Putin che l'Occidente ha costruito a suo uso e consumo: dall'amico, un po' sopra le righe, molto grossier, con cui fare affari insieme, al criminale, pazzo, assetato di sangue da catturare e trascinare davanti a un tribunale internazionale per crimini contro l'umanità. Qual è il vero Putin? Quello di prima o quello di oggi? Probabilmente nessuno dei due. O entrambi. Troppo facile scaricare tutto sul nemico, dipinto come il male assoluto, per coprire la marea di errori commessi nel non sforzarsi adeguatamente a comprendere la natura di fondo del mondo russo. Troppo superficiale pensare che quella complessità potesse rintanarsi tra le pieghe del cosmopolitismo pietroburghese di un Fëdor Dostoevskij, del quale però ignorarne il messaggio messianico, o ritrovarsi descritta dal tardo-romanticismo musicale filo-occidentale di un Pëtr Èajkovskij. C'è tanta anima tradizionale russa nella disperante gioia di vivere che promana dalla musica di Sergei Rachmaninov, quanta se ne ritrova nella violenza intellettuale, esplosiva e coraggiosa, del verso poetico di un Vladimir Majakovskij. Bisognava approfondire l'analisi sulla natura profonda di quell'indovinello, avvolto in un mistero all'interno di un enigma chiamato Russia (una parafrasi dell'aforisma coniato da Winston Churchill) per cogliere il bandolo della matassa che, una volta dipanata, l'avrebbe condotta a legarsi sì all'Occidente, ma nel verso giusto. Davvero si è creduto che attorno a Mosca, e con la sola eccezione dell'"europea" San Pietroburgo, vi fosse un Paese senza cultura politica? Che l'appeal del "dittatore" Putin facesse presa su un panorama geografico tratteggiato da realtà depresse e isolate dal mondo civile? Che quella vasta area srotolata tra la riva del Danubio e l'Oceano Pacifico, radicata nel cuore dell'Asia, fosse una sconfinata landa isolata? La Russia è città e campagna, pianura e montagna, steppa e tundra, foresta e palude, ghiacci e deserto. Non si è capito per tempo che il lungo filo identitario che lega il passato remoto di quei territori al presente, tocca solo tangenzialmente la Rus' di Kiev, mentre è più saldamente legata all'epopea di Bisanzio, nodo di raccordo tra la Roma antica e l'odierna Mosca, la "terza Roma". Vladimir

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Putin incarna il riscatto di una parte di mondo, quello slavo-ortodosso, che si contrappone al paradigma storico-culturale del tipo romano-germanico sul quale è stato edificato l'edificio (virtuale) europeo. Il patriottismo espresso nell'accezione putiniana si arricchisce di un elemento che la cultura occidentale, a torto o a ragione (noi diciamo a torto), ha espunto dalla sua condizione esistenziale: la spiritualità. Si obietterà: sono parole, la sostanza è che Putin sta massacrando gli ucraini. Vero. Ma siamo all'epilogo di una storia scritta male e narrata peggio, da tutte le parti. La molla che ha fatto scattare la reazione violenta di Mosca è stata la paura di vedere sottratta l'Ucraina alla missione di ricomposizione imperiale di cui Putin si sente investito. Probabilmente, non hanno tutti i torti i sostenitori della tesi secondo cui il pericolo di vedersi piazzati i missili della Nato fuori dell'uscio di casa fosse solo il pretesto per scatenare l'aggressione al vicino infedele. C'è anche questo nelle motivazioni dell'attacco russo. Ma non solo questo. C'è principalmente la missione escatologica di riconnettere un Dio a un popolo e a una terra, missione che nella Storia è appartenuta alla gente d'Israele. Per coglierne l'insieme, è qui che bisogna rileggere Dostoevskij, quando ne "L'idiota" fa dire al protagonista, il principe Lev Nikolaeviè Myškin: "Chi ha rinunciato alla sua terra, ha rinunciato anche al suo Dio". Ora, ci saranno questioni geopolitiche, economiche, strategiche che tengono inchiodati i soldati russi in Ucraina. Ma c'è anche il senso di un apostolato vocato alla palingenesi del rapporto tra umano e divino che non contempla la transizione democratica e il liberalismo nel suo inverarsi nella Storia. Se non lo capiamo e se non approntiamo una correzione di rotta alla contrapposizione frontale consumata sulla pelle degli ucraini, la guerra appena cominciata non finirà. E comunque non avrà l'esito sperato dagli occidentali. Cristofaro Sola


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RESET? MAGARI! INCIPIT "Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi". Eraclito (I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di Gabriele Giannantoni, Bari, Laterza, 1969). PROLOGO: PERCHÉ LA GUERRA? Il 30 luglio 1932 Albert Einstein scrisse a Sigmund Freud per comunicargli che l'Istituto di cooperazione internazionale, organo della Società delle Nazioni, gli aveva proposto di invitare una persona di suo gradimento a un franco scambio di opinioni su un problema qualsiasi. All'inventore della psicanalisi, pertanto, il più grande fisico mai nato ritenne di rivolgere una domanda che gli appariva la più urgente tra quelle che si ponevano alla civiltà: "C'è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?" Il carteggio tra i due è disponibile nel volume "Sulla guerra e sulla pace", edito da La Città del Sole, 2006. Di seguito se ne trascrivono i passi salienti, in forma di sinossi. "Caro professore Freud, non le nascondo che sono terribilmente preoccupato perché, consapevole delle grandi conquiste che si stanno registrando in ambito scientifico, se dovesse scoppiare una guerra i traguardi raggiunti potrebbero essere utilizzati in modo distruttivo. Voglio rivolgere a Lei che conosce gli istinti dell'essere umano, pertanto, una domanda alla quale non riesco a dare una risposta: "Perché gli esseri umani, pur rendendosi conto di quanto sia catastrofica la guerra, ciclicamente ricadono in questa aberrazione? Per quale ragione esiste la guerra, caro professor Freud? So che nei Suoi scritti possiamo trovare risposte esplicite o implicite a tutti gli interrogativi posti da questo problema che è insieme urgente e imprescindibile. Sarebbe tuttavia della massima utilità a noi tutti se Lei esponesse il problema della pace mondiale alla luce delle Sue recenti scoperte, perché tale esposizione potrebbe indicare la strada a nuovi e validissimi modi d'azione. Molto cordialmente Suo, Albert Einstein". La risposta di Freud. "Caro professore Einstein, quando gli esseri umani hanno iniziato a popolare questo Pianeta l'unico mezzo per dirimere le controversie era la forza bruta, la violenza, la guerra. Poi le cose iniziarono a cambiare gradualmente: chi sviluppava maggiore intelligenza creava armi più efficaci e riusciva meglio a sopraffare i propri simili. Si arrivò fino al punto di elevare al rango di

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divinità chi meglio incarnava la forza bruta e la capacità di distruzione e così nacque Ares, il Dio della Guerra. I guerrieri venivano onorati e glorificati e da allora il mondo è sempre stato in guerra, perennemente. Sembra dunque che il tentativo di sostituire la forza reale con la forza delle idee sia per il momento votato all'insuccesso. È un errore di calcolo non considerare il fatto che il diritto, originariamente, era violenza bruta e che esso ancor oggi non può fare a meno di ricorrere alla violenza. Lei si meraviglia che sia tanto facile infiammare gli uomini alla guerra, e presume che in loro ci sia effettivamente qualcosa, una pulsione all'odio e alla distruzione, che è pronta ad accogliere un'istigazione siffatta. Di nuovo non posso far altro che convenire senza riserve con Lei. Noi crediamo all'esistenza di tale istinto e negli ultimi anni abbiamo appunto tentato di studiare le sue manifestazioni, convincendoci che essa (la pulsione all'odio, N.d.R.) operi in ogni essere vivente e che la sua aspirazione sia di portarlo alla rovina, di ricondurre la vita allo stato della materia inanimata. Con tutta serietà le si addice il nome di pulsione di morte, mentre le pulsioni erotiche stanno a rappresentare gli sforzi verso la vita. La pulsione di morte diventa pulsione distruttiva allorquando, con l'aiuto di certi organi, si rivolge all'esterno, verso gli oggetti. L'essere vivente protegge, per così dire, la propria vita distruggendone una estranea. Una parte della pulsione di morte, tuttavia, rimane attiva all'interno dell'essere vivente e non nutriamo alcuna speranza di sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre a profusione tutto ciò di cui l'uomo ha bisogno, ci sono popoli la cui vita scorre nella mitezza e sia la coercizione sia l'aggressione sono sconosciute. Posso a malapena crederci; mi piacerebbe saperne di più, su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di riuscire a far scomparire l'aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo l'uguaglianza sotto tutti gli altri aspetti tra i membri della comunità. Io la ritengo un'illusione. Intanto, essi sono diligentemente armati, e fra i modi con cui tengono uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso all'odio contro tutti gli stranieri. D'altronde non si tratta, come Lei stesso osserva, di abolire completamente l'aggressività umana; si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra. (Corsivo e grassetto non compaiono nel testo originale e sono stati utilizzati come esplicito riferimento alle vicende attuali che coinvolgono gli eredi dei bolscevichi, N.d.R.). Io e lei ci indigniamo contro la guerra grazie a quel processo di civilizzazione che ci ha comunque consentito di percepirne la mostruosità. E con noi tanti altri. Ma se nonostante questo processo le guerre continuano a scatenarsi, la vera domanda da porsi è: perché la pace? Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che l'influsso di due fattori - un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - ponga fine alle guerre in un prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l'evoluzione civile lavora anche contro la guerra. La saluto cordialmente e Le chiedo scusa se le mie osservazioni L'hanno delusa. Suo Sigm. Freud".


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LA STORIA NON SI CANCELLA. NEMMENO LE LEGGENDE CHE LA ISPIRANO. "Reset". Termine inglese che si traduce con "resettare", voce presente in tutti i dizionari più o meno con questa definizione: "Riportare allo stato iniziale, azzerare - 1.Riportare un sistema di elaborazione allo stato iniziale, riavviare: per correggere un errore abbiamo dovuto resettare il computer; è necessario resettare. 2.Riportare alla condizione di partenza, annullare completamente: resettare una brutta situazione per ristabilire un clima adatto alla collaborazione". A chi non è capitato di dover resettare un PC dopo vari problemi, magari generati da qualche virus? Non sono certo pochi, poi, coloro che abbiano resettato particolari modalità del proprio essere, della propria vita, ripartendo da zero: divorzio; cambio di lavoro; addirittura cambio degli abituali luoghi di villeggiatura, dopo che quelli frequentati per molti anni siano venuti a noia; tante altre cose ancora. Il "reset" consente di azzerare ciò che, evidentemente, costituiva un problema, il che non vuol dire necessariamente risolvere il problema o migliorare la propria condizione; è chiaro, però, che quello sia l'intento. Affinché il "reset" abbia luogo, tuttavia, si rende necessaria la presenza materiale dell'elemento da resettare: sia esso un oggetto da riparare o un luogo o una persona cui dire addio. Esiste anche un reset concettuale, senz'altro più importante del precedente, presupponendo esso l'abbandono di teorie e pensieri seguiti fino a un certo punto della propria esistenza per abbracciarne di nuovi, per convinzione o convenienza. Inutile citare esempi assimilabili alla sfera "Parigi val bene una messa" (convenienza) e alla sincera e "convinta" conversione di intellettuali o altri soggetti verso differenti filoni culturali, grazie alle esperienze, agli studi o ad altri fattori che abbiano segnato il loro cammino terreno. Ne abbiamo parlato più volte e la lista è davvero lunga. Ciò che non è possibile resettare, come tra l'altro ben traspare dall'accorta lettura del carteggio Einstein-Freud - la lettura integrale, non la stringata sintesi succitata - è il passato. Il passato di un'umanità che, dai suoi albori ai giorni nostri, non ha registrato sensibili mutazioni nella sfera comportamentale, lasciando affiorare con una ciclicità impressionante tanto quell'indissolubile rapporto tra Eros e Thanatos - ripeto, magistralmente spiegato da Freud ad Einstein - quanto tutti quegli elementi irrazionali che, di fatto, hanno condizionato la Storia. Sarebbe bello "ricreare" il mondo ancorandolo agli esclusivi principi acquisiti con la "civilizzazione" (altro aspetto ben sviscerato da Freud), ma ciò è impossibile proprio perché è la natura umana a non consentirlo. Una natura che affonda le sue radici nella notte dei tempi, confondendo in un miscuglio inestricabile leggende divenute storia e fatti concreti divenuti leggende. Noi siamo "europei" e occupiamo un continente che si chiama "Europa", come la figlia di Agenore, re di Tiro, che fece perdere la testa al capo di tutti gli Dei, Zeus, il quale si trasformò in toro e la sedusse, dando vita a quell'evento a tutti noto come "Ratto di Europa". L'etimologia della nostra patria continentale, di fatto, rimanderebbe a uno stupro perpetrato da un Dio! Che bella storia! Già così sarebbe da "resettare". Ma a dirla tutta, in verità, è anche peggio. Si dice che i veri lettori dell'animo umano siano i poeti, i filosofi e i pittori, esagerando un po' se si considerano tutti i

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soggetti riconducibili ai tre importanti filoni dell'essere, senza peraltro inficiare del tutto il concetto. Saranno almeno una ventina, o forse più, per esempio, i pittori che abbiano dedicato un'opera alla grande trombata tra un Dio e una principessa, tra i quali Tiepolo, Tiziano, Veronese, Guido Reni, solo per citarne alcuni tra i più famosi e limitandoci agli italiani, anche se tra le opere più belle figurano quelle del fiammingo Gillis Cognet e dell'olandese Rembrandt. Se si guardano attentamente tutti i dipinti, anche quelli dei pittori non citati, in nessuno di essi si riuscirà a cogliere la raffigurazione di un "ratto", ossia la violenza impetuosa di un Dio aduso a prendersi ciò che vuole senza tanti riguardi per nessuno. I "lettori dell'animo umano" hanno raffigurato Europa che sale dolcemente sul groppone di un "pacato toro", con tratti sicuramente gentili, per poi volare via con lui. Grandissima zoccola, Europa! Altro che donna stuprata! Del resto, se basta un Berlusconi qualsiasi per indurre fanciulle stupende e giovanissime a donarsi anima e corpo senza ritegno, compiendo pratiche sessuali che per la loro natura diventano gradevoli solo se condivise con partner, come dire, "adeguati alla circostanza", figuriamoci cosa possa accadere con un Dio che porge la sua mano! Dobbiamo resettare anche questa versione, quindi? E a cosa servirebbe? Dopo tutto è leggenda e non cambierebbe di una virgola ciò che, invece, abbiamo scritto molte volte con reale riferimento alla realtà storica: "L'Europa è una vecchia baldracca che ha puttaneggiato in tutti i bordelli, contraendo le peggiori infezioni, tutte culminanti in -ismo". Come facciamo a resettare questo? Roma fu fondata nel 753 a.C. grazie a un fratricidio. Bruttissima cosa. Era proprio necessario che Romolo ammazzasse il fratello solo perché aveva scelto un altro colle? No, ovviamente, ma le trame della Storia non amano eccessive complicazioni: essendo un gemello avrebbe potuto condizionare l'attività del fratello "re" e la Storia si libera subito di chi intralci i suoi disegni. Se è brutta la storia di Romolo e Remo, ben peggiore è quella che ha creato i presupposti della loro esistenza. Negli scontri finali della Guerra di Troia Enea non aveva alcuna possibilità di sconfiggere Achille, che già aveva ucciso il prode Ettore. Poseidone, però, divinità che assomiglia a certi nostri politici adusi a intrallazzi con gli avversari per fini meramente personali, pur essendo filo-greco (cosa già grave perché una divinità dovrebbe essere imparziale), un po' per i vincoli di amicizia e parentela con la collega e cugina Afrodite (stupenda mamma di Enea che faceva girare la testa a uomini e dei, come ben ci ricordano tante testimonianze, tra le quali quella eloquente dello storico romano Anneo Cornuto) un po' per interessi "postumi" (essendo un dio aveva già previsto la nascita di Roma, che però necessitava proprio dell'approdo di Enea sulle coste laziali come fase prodromica) fece calare all'improvviso una fitta nebbia sul luogo dello scontro, impedendo in tal modo ad Achille di infilzare Enea con la sua lancia e a quest'ultimo di intraprendere il famoso viaggio Come a tutti noto, il figlio Ascanio diede inizio alla dinastia dei re albani che portò alla nascita di Romolo e Remo, figli di quella Rea Silvia che, manco a dirlo, stanca dell'astinenza imposta alle vestali, o si concesse una scappatella nel bosco per sedare i suoi appetiti sessuali con il vecchio spasimante Amulio, o fu da quest'ultimo stuprata, come sostiene Tito Livio, o fu stuprata da Marte, come sostiene Publio Annio Floro. Sono passati quasi tremila anni dagli avvenimenti citati


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e ancora non si è stabilito chi fosse realmente il papà di Romolo e Remo. Intanto questi dei che stuprano chi vogliono, proprio come stanno facendo ora i soldati russi in Ucraina e come tante volte accaduto anche in passato, hanno proprio stufato e, in ogni caso, i fatti si configurano come un gran casino non certo edificante. Resettiamo? E a che pro? Da giovane arrotondavo le mie entrate dando lezioni private agli studenti delle scuole medie, offrendo loro metodi di studio che prescindevano dai programmi ufficiali, sia per le lingue straniere (inglese e francese) a quel tempo insegnate con metodi che non ne facilitavano l'apprendimento, sia per la storia e la letteratura. Parlando della storia romana, per esempio, smitizzavo quell'aura apologetica che trasudava dai libri di testo, soffermandomi precipuamente sul periodo repubblicano (iniziato con la bufala di Muzio Scevola che si punisce per il mancato omicidio di Porsenna, lasciando bruciare completamente la mano destra sul braciere dove ardeva il Fuoco dei sacrifici, episodio che alle scuole elementari fu spiegato dalla mia brava maestra come alto esempio di dignità umana e di coraggio, facendo nascere in me, bimbetto ingenuo ma già intriso di quel misticismo interiore che si sarebbe affinato solo col tempo, creando le necessarie barriere protettive, una duratura e spiacevole sensazione di inadeguatezza dopo aver tentato inutilmente di mantenere oltre un decimo di secondo il dito indice della mano destra sotto il labile fuocherello di un cerino) e sul periodo imperiale. Pratiche che ho continuato a seguire anche successivamente, in qualsivoglia contesto, quando gli avvenimenti correnti offrivano eloquenti spunti comparativi. Il famoso patto (CAF) tra Craxi, Andreotti e Forlani, cosa aveva di diverso da quello tra Cesare Pompeo e Crasso prima e Antonio, Lepido e Ottaviano dopo? Cesare che parte alla conquista della Gallia per sanare i suoi debiti con Crasso cosa ha di diverso da Berlusconi che scende in politica per evitare il fallimento delle sue aziende? E il ricco e spietato Crasso cosa ha di diverso da quell'Enrico Cuccia, dominatore indiscusso della finanza italiana dal dopoguerra fino alla sua morte? Esempi trascritti con pennellate rapide che, se approfonditi, offrono pazzeschi spunti di riflessione e analogie, lasciando emergere tanta di quella zozzeria da doversi turare il naso, soprattutto per la loro "ciclicità". Da Augusto al povero Romolo Agustolo, in mezzo secolo di "impero", durante il quale si sono succeduti una novantina di imperatori, quanti di loro hanno effettivamente meritato quegli attributi eccelsi di cui sono pieni i libri di storia? Dobbiamo ripetere per l'ennesima volta le schifezze comportamentali, le tresche, gli inganni, la spietatezza con la quale tanti di loro abbiano fatto fuori amici e parenti stretti, compreso mamme, mogli, figli, pur di mantenersi al potere, perpetrando crimini che fanno impallidire persino il moderno Putin che sta massacrando un intero popolo, ma mantiene ben al sicuro all'estero mogli, amanti, figli e nipoti? Che facciamo? Resettiamo tutta la storia romana, che ci è stata tramandata come portatrice di civiltà in popoli adusi alla barbarie? Troppo complicato discernere il bene dal male; la verità dalla mistificazione; il vero dal falso. Possiamo provare a discuterne, certo, e lo facciamo un giorno sì e l'altro pure, ma il "reset" non è proprio possibile. Dovremmo almeno imparare a far tesoro del nostro passato, ma anche questa

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"saggezza" ci manca nella quotidianità e appare esclusivamente, come metafora della nostra inadeguatezza alla vita, nelle giornate dedicate alle varie ricorrenze, che dovrebbero farci acquisire consapevolezza degli errori e degli orrori di cui siamo stati protagonisti nel corso dei secoli, per mai più perpetuarli. Accade il contrario, invece, e questo ci trasforma, sostanzialmente, in una barzelletta che non fa ridere. E di tristi barzellette che non fanno ridere ne stiamo registrando tantissime proprio in questi giorni che vedono un intero popolo massacrato da un tiranno, nell'ennesima sporca guerra, che sancisce l'ineluttabilità dell'intuizione eraclitea. Un'ineluttabilità che, chissà se in modo consapevole o meno, traspare evidente anche nella finzione cinematografica. Sulla piattaforma televisiva Sky è disponibile una miniserie tedesca (otto puntate per un totale di non più di sette ore complessive di filmato) intitolata "Otto giorni alla fine". La trama non ha nulla di originale: il solito asteroide che sta per colpire la Terra, distruggendo gran parte di essa. Solo che questa volta invece che gli USA l'asteroide ha puntato l'Europa Centrale, dalla quale tutti cercano di fuggire in qualche modo. I più ricchi e i potenti hanno l'opportunità di rifugiarsi in poderosi e super attrezzati bunker, vere e proprie città sotterranee, nelle quali, riferisce un fisico di sani principi che vi trova riparo insieme con la famiglia, esistono tutti gli elementi per iniziare una nuova vita, ripartendo da zero, con nuove prospettive per l'esistenza umana. Un vero e proprio "reset" scaturito da un evento imponderabile. Si può immaginare la sua sorpresa quando scoprirà che tantissimo spazio, nel quale avrebbero potuto trovare posto altre centinaia di migliaia di cittadini, è stato occupato da potenti carri armati e da ingenti armamenti, perché evidentemente i governanti, anche in un momento come quello, hanno ritenuto che, "dopo", comunque delle armi non si sarebbe potuto fare a meno. Molti di quei governanti, poi, tanto per non farci mai perdere di vista le distonie del potere, avevano rubato buona parte dei fondi destinati alla costruzione dei bunker, condannando a morte milioni di persone. Questo articolo potrebbe comporsi ancora di decine di pagine, se si volesse seriamente confutare tutto ciò che andrebbe "resettato" dalla caduta di Romolo Augustolo ai giorni nostri, restando in un ambito continentale; ne occorrerebbero centinaia, di pagine, per rendere tangibili le scelleratezze e le brutture dell'intera umanità che andrebbero cancellate dalla Storia, per purificarla. Fatica inutile, come ben spiega Freud, il quale comunque ci aveva lasciato uno spiraglio di speranza, ritenendo che due fattori - un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - potessero indurci ad abbandonare malsane abitudini. Peccato che, per tutto ciò che si è registrato dopo, e soprattutto per quello che si sta verificando ora, dobbiamo amaramente considerare che il suo auspicio "non utopico", ancorché ancorato alla speranza, è poggiato sul nulla e possiamo solo continuare a promuovere l'evoluzione civile affinché lavori contro la guerra. Nel frattempo, però, cerchiamo di non abbandonare chi combatte e muore anche per noi, perché altrimenti sarà l'evoluzione civile ad essere cancellata e non la guerra. Lino Lavorgna


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IL GRANDE RISVEGLIO DEI POPOLI CONTRO IL GRANDE RESET OLIGARCHICO Se fino ad alcuni anni fa l'accusa di complottismo poteva essere giustificata dalla segretezza delle riunioni e dei documenti interni dei gruppi di potere oligarchici, su tutti il Bieldenberg Group e la Trilateral Commission dei Rothschild e di Rockfeller, da tempo le strategie di potere e di manipolazione delle informazioni ad opera delle élite finanziarie - a loro volta al servizio del deep state egemonico - sono ampiamente documentati da atti ufficiali. E' evidente che le oligarchie hanno abbandonato la loro tradizionale prudenza, illudendosi di aver vinto la lotta di classe contro i ceti medi produttivi anche grazie al controllo (quasi) totale dei grandi mezzi di comunicazione di massa - stampa e tv - e degli ambienti accademici, scientifici, burocratici. Lo svilimento della professione giornalistica a propagandisti e manipolatori al servizio dei potentati economici, il tradimento dell'alta burocrazia e delle magistrature dal rango di servitori dello Stato a esecutori delle veline dei servizi e delle lobby, la riduzione delle università e dei centri di ricerca ad acritici e ignoranti centri di rielaborazione delle ricette liberiste eaudacia scientistetemeraria imposte dalleigiene élite, il degrado del ceto politico, hanno illuso le élite stesse di spirituale aver vinto la partita. Il Grande Reset è un piano ufficiale, preannunciato nel 2020 a Davos dal World Economic Forum (Wef) e ampiamente documentato nello stesso forum del 2021. Dietro il paravento della green economy, della digitalizzazione, delle teorie gender, della medicalizzazione, è esplicito l'intento di "resettare" il sistema socio economico e valoriale per sostituirlo con uno ancor più funzionale agli interessi delle élite. Strumento di tale strategia è la shock economy - teorizzata dapprima dalla scuola austriaca di Von Eyck e sviluppata poi da Milton Fridman, dai Chicago Boys e dai tink thank neoliberisti e neocon - ovvero crisi reali o percepite che rendano accettabili misure che in precedenza sarebbero state politicamente impensabili, secondo la tattica della "rana bollita" svelata da Noam Chomsky. La paura è la condizione necessaria per narcotizzare le masse e la strumentalizzazione - da parte delle oligarchie - della pandemia dichiarata dall'Oms nel 2020 ha reso possibile l'impensabile in società democratiche avanzate: reclusioni domiciliari di massa (si è pure inventato un termine inglese che non esiste nella lingua originale, lockdown), obbligo di trattamenti sanitari sperimentali, espulsione dal lavoro e divieto alla mobilità per i recalcitranti, criminalizzazione dei medici rimasti fedeli al giuramento di Ippocrate, eccetera. Al processo di Norimberga fu chiesto ad Herman Goering come avessero fatto a manipolare un popolo civile e grande cultura come quello tedesco; il gerarca nazista rispose che inducendo la

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paura si può far fare qualsiasi cosa ad un popolo. Si può ben dire che la sperimentazione tendente a misurare il grado di assuefazione delle masse occidentali abbia avuto un esito abbastanza soddisfacente per le élite, nonostante un numero non trascurabile - quantificato nel 30% della popolazione - di recalcitranti, di spiriti liberi non manipolabili e non omologabili. Dopo la pandemia degli asintomatici e dei paucisintomatici, la psicosi di massa indotta dalle oligarchie sta facendo ora leva sulla paura della guerra nucleare e della crisi energetica, entrambi causati dal conflitto in Ucraina provocato dalla aggressività dell'egemone imperiale americano che, non pago di aver vinto la guerra fredda pretende di stravincerla costringendo la Russia a reagire all'accerchiamento della Nato e alla proliferazione di laboratori biologici e basi missilistiche nel cortile del Cremlino. Si affaccia per gli occidentali - dopo i lockdown psico pandemici - lo spettro dei black out energetici, con 500mila imprese italiane a rischio chiusura (dati Cgia di Mestre) a causa dell'aumento dei prezzi dell'energia che rende insopportabile i costi di produzione. Costi già in precedenza lievitati a causa della improvvida svolta green imposta dall'Unione Europea. Klaus Schwab - fondatore del Forum di Davos - nel suo testo dal titolo Covid 19 The Great Reset afferma che non si tornerà più alla normalità precedente al febbraio 2020. Le recenti misure del governo Draghi di sospensione solo pro tempore e per non tutte le attività dell'obbligo del lasciapassare verde (il cosiddetto green pass) e del governo cinese di obbligare alla reclusione domiciliare i 25 milioni di abitanti di Shangai, a fronte di quattromila casi di raffreddore o poco più, danno l'idea del futuro che ci stanno preparando le oligarchie se non ci sarà una reazione popolare forte e organizzata quale quella dei gilet gialli francesi, che costrinsero Macron a ritirare l'obbligo del lasciapassare sanitario. Il Grande Reset - oltre a finalità di controllo delle menti e dei comportamenti - si propone di distruggere l'attuale sistema produttivo basato sulle piccole e medie aziende (in Italia sono il 90% e danno lavoro all'80% degli occupati, secondo i dati Istat e Inps) per favorire le concentrazioni industriali, i monopoli globalisti, la robotica avanzata, sharing economy, capitalismo di sorveglianza, privatizzazioni dei servizi pubblici a favore delle multinazionali, arretramento dello stato imprenditore, indebitamento pubblico e privato, impoverimento dei ceti medi, lasciando agli stati (dunque ai popoli) i costi delle reti e delle infrastrutture e alle oligarchie private i profitti. Un mercato che non agisce più sulla produzione e sulla economia reale, ma attraverso il dominio della speculazione finanziaria che indebita popoli e nazioni. E' la concretizzazione della profezia di Ezra Pound, quando sentenziava che "la schiavitù moderna avviene attraverso il debito". Tale progetto è alla luce del sole, elaborato nel dicembre 2019 (si noti la data, pochi mesi prima dell'esplodere della psico pandemia) da Mario Draghi nel documento ufficiale del Group of 30, formato dai maggiori banchieri mondiali. Il Grande Reset dovrà facilitare la Quarta Rivoluzione Industriale - che di industriale ha ben poco e che andrebbe semmai definita post industriale - facendo leva su green economy (che di verde ha solo il nome, visto che le fonti energetiche alternative, dall'elettrico al nucleare d'ultima


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generazione, sono più inquinanti delle fonti fossili) intelligenza artificiale, trans umanesimo, gender, dove l'uomo sarà considerato obsoleto e sarà sostituito dalla macchina, dagli algoritmi, dalla intelligenza artificiale applicata in ibridazione con l'essere umano, in un futuro da cyborg destrutturati e privi di identità culturale, linguistica, religiosa, biologica, sessuale, etnica, finanche enogastronomica ( vedasi i recenti tentativi dell'Ue di demonizzazione del vino e della carne, per sostituirli con bevande glicemiche e carni artificiali prodotti dalle multinazionali dell'agro alimentare, che hanno nei loro CdA gli stessi soggetti che controllano banche, mezzi d'informazione e case farmaceutiche). Robot semi umani - prodotti lobotomizzati della cancel culture e della sostituzione dello studio della storia e della filosofia con l'educazione Lgbtq (tanto prevede una recente misura adottata dal governo dei democratici in Spagna) - destinati ad una vita virtuale da avatar nel mundus imaginalis del Metaverso prossimo venturo, placidamente al servizio delle élite dominanti schiave - a loro volta - della follia e della hybris del perseguimento della immortalità per via scientifica o quantomeno del delirante e demenziale allungamento della vita attraverso criminali pratiche sataniche, pedofile ed emo profilattiche. L'uso ossessivo - da parte dei ventriloqui della stampa e della tv - di parole d'ordine quali resilienza, sostenibilità, transizione ecologica, sta preparando l'humus per l'avvento di un mutamento antropologico che viene da lontano. Come reagire a questa deriva che non ha nulla di umano? La risposta più coerente a questa domanda la formula una delle più acute intelligenze contemporanee, il filosofo e politologo russo Aleksandr Dugin, che con la sua ultima opera dal titolo Contro il Grande Reset - Manifesto del Grande Risveglio risale alle origini medievali del sistema liberale e capitalista: la disputa scolastica sugli universali, che divise i teologi cattolici tra "realisti" - in primis Tomaso d'Aquino, che si rifaceva alla tradizione classica di Platone e Aristotele - e "nominalisti" (difesi dal filosofo inglese William Occam) vede questi ultimi oggi prevalere. Il nominalismo considera gli esseri umani come individui, monadi privi di identità collettive i cui residui devono essere aboliti ed ha preparato l'avvento ideologico ed economico del liberalismo. Dall'Inghilterra, il nominalismo si diffuse dapprima nei paesi protestanti e poi su scala planetaria, attraverso una confusa e sincretista religione universale e controiniziatica svincolata dal sacro (New Age), l'atomismo scientista, il materialismo, la democrazia borghese, il mercato e l'economia al centro della polis, l'individualismo, il pragmatismo, il collettivismo, fino all'attuale dominio del capitalismo globalizzato. L'origine interna al cristianesimo di tale degenerazione viene decritta ma non sufficientemente sottolineata da Dugin, come invece fece Julius Evola in Imperialismo Pagano (che pure fu il primo testo evoliano al quale il filosofo russo si approcciò, nell'edizione tedesca che tradusse in russo facendolo circolare clandestinamente in Urss come samisdatz). Con la presidenza Biden gli Usa hanno ripreso a pieno il ruolo di dominus geopolitico planetario momentaneamente abbandonato durante la presidenza Trump - e di avanguardia armata del

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Grande Reset, coinvolgendo la colonia Europa (governata da utili idioti e/o da servi consapevoli). Sul piano geopolitico il Grande Reset si manifesta attraverso la violenta imposizione della democrazia ed una aggressiva strategia culturale, tendente alla distruzione delle stesse basi antropologiche, delle Tradizioni, delle identità, delle economie di tutti i popoli iniziando proprio da quelli occidentali, le prime vittime della cancel culture, della "società aperta" popperiana, i cui nemici dichiarati sono proprio i popoli (con a caso il testo basilare dei globalisti ha per titolo La Società Aperta e i Suoi Nemici). Contro questo tentativo di ordine mondiale unipolare, americanocentrico e imperialista, Dugin in Teoria del Mondo Multipolare - delinea una possibile e auspicabile visione geopolitica multipolare, dove ogni civiltà o polo possa esprimere in autonomia la propria identità e propri interessi, nel reciproco rispetto, partendo dal nucleo centrale delle diverse religioni sopravvissute alla secolarizzazione borghese (induismo, buddhismo, comfucianesimo, islamismo, cristianesimo, animismo, ecc.). Questa è la risposta sistemica dei popoli e del loro Grande Risveglio - prepotentemente in atto coi fenomeni populisti (di destra e di sinistra) - contro il Grande Reset e contro lo slogan dei democratici americani "Build Back Better". Populismi che hanno avuto in Trump l'esempio più emblematco, non a caso demonizzato dalla macchina del fango dei globalisti ma ancora in grado di ribaltare gli equilibri nel cuore dell'impero. "Trump divenne così - scrive Dugin nella sua ultima opera - un simbolo di opposizione alla globalizzazione liberale (….), una disperata resistenza alle ultime conclusioni tratte dalla logica e perfino dalla metafisica del liberalismo (e del nominalismo). Trump non stava sfidando affatto il capitalismo o la democrazia, ma solo le forme che avevano assunto nella loro ultima fase(....). Ma anche questo è bastato a segnare una spaccatura fondamentale nella società americana (….) … è chiaro che non era e non è una figura ideologica. Eppure, è intorno a lui che inizia a formarsi il blocco di opposizione. (….) Trump non è sempre stato all'altezza del suo stesso articolato compito. (…) Ma nonostante ciò, è diventato un centro di attrazione per tutti coloro che erano consapevoli o semplicemente intuivano il pericolo proveniente dalle élite globaliste e dai rappresentanti di Big Finance e Big Tech inseparabili da loro". E' chiaro che il "trumpismo" non finirà con Trump,visto che metà della popolazione degli States si è ritrovata su posizioni di radicale opposizione ai globalisti e che esiste un suo forte nucleo semi clandestino - antidemocratico e anti globalizzazione - all'interno dello stesso apparato globalista, con fior di intellettuali e teste pensanti talvolta formatisi sui testi di autori tradizionalisti seri quali Evola e Guenon (è il caso di Bannon) o nei tink thank repubblicani con connotazioni assai critiche nei confronti di liberalismo, mondialismo e globalizzazione (quali Buchanan, Ron Paul, Richard Weaver e Russel Kirk, negli anni '80 emarginati dai neocon e che stanno formando schiere di giovani intellettuali della classe dirigente). Assistiamo dunque al Grande Risveglio - a partire dal cuore stesso dell'impero - che non è ancora ideologico o pienamente consapevole, fatto di persone normali che istintivamente vogliono essere e rimanere umani.


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"Il Grande Risveglio - ribadisce Dugin - non riguarda le élite e gli intellettuali, ma le persone, le masse, le persone in quanto tali (….), è una reazione spontanea delle masse, poco competenti in filosofia, che hanno improvvisamente capito, come bestiame davanti al macello, che il loro destino è già stato deciso..." Il Grande Risveglio nasce - a livello individuale - dalla presa di coscienza degli inganni del sistema e dalla consapevolezza che la stessa vita, oltre al benessere materiale, sono in gioco. A livello collettivo, il Grande Risveglio è un moto spontaneo, intuitivo, talvolta rabbioso, che non va caricato di connotazioni ideologiche o religiose. Si tratta di qualcosa di organico, sono gli anticorpi del vivere civile che reagiscono alla infezione dello spirito rappresentata dal capitalismo globalizzato e dalle sue degenerazioni massificanti e distruttrici delle identità, da parte di una umanità improvvisamente consapevole della sua fine imminente. "E' per questo - precisa Dugin - che il Grande Risveglio è così grave. Ed è per questo che viene dall'interno degli Stati Uniti, quella civiltà in cui il crepuscolo del liberalismo è più fitto. E' un grido dal centro stesso dell'inferno, da quella zona dove il futuro nero è già in parte arrivato". Il populismo di destra e di sinistra non si placa neanche in Europa, dove il suo essere colonia dell'impero - a seguito degli esiti del secondo conflitto mondiale - ne amplifica la condizione ancillare e rende drammatiche le conseguenze delle scelte geopolitiche autolesionistiche delle sue classi dirigenti, eterodirette da oltreoceano. Ultimo esempio è la rinuncia al gas russo - economico, di ottima qualità e facilmente disponibile per importare a costi raddoppiati il gas liquefatto proprio dagli Usa, a rimarcare una sudditanza che è mentale oltre che tipica dei territori militarmente occupati. Nonostante le dure repressioni del dissenso dei gilet gialli in Francia, del popolo refrattario ai trattamenti sanitari sperimentali in Italia, Spagna, Olanda, Belgio, Germania, Austria, delle politiche di austerity in Grecia e nella stessa Francia, nonostante il tradimento dei seguaci di Grillo e la conseguente fine dell'esperimento di un governo gialloverde di forze populiste di destra (Lega) e di sinistra (M5s) in Italia, il Grande Risveglio dei popoli europei potrebbe concretizzarsi tra pochi giorni nello scontro finale tra le forze patriottiche e popolari di Marine Le Pen e quelle globaliste ed oligarchiche di Macron, in attesa delle elezioni politiche del prossimo anno in Italia. Rimane aperta la necessità di fornire ai popoli risvegliati un bagaglio ideologico, uno spessore filosofico ed una articolata alternativa programmatica alla dittatura del pensiero unico politicamente corretto. Si può vincere una battaglia politica sull'onda istintiva, ma è necessario vincere la battaglia delle idee e programmare una capillare infiltrazione di elementi consapevoli e dotati negli apparati dello stato, della comunicazione e dell'accademia, per poter invertire il moto dissolutivo di questa età degenerata. Si può, si deve fare. Intanto il risveglio è in atto e nessuno potrà fermarlo. Il Leviatano non potrà prevalere dinanzi ad un popolo consapevole e dotato di spirito critico ed innato amore per la libertà. Giuseppe Marro

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Per approfondire: - Ilaria Bifarini, Neoliberismo e manipolazione di massa, storia di una bocconiana redenta; - Edward Bernays, Propaganda; - Aleksandr Dugin, Contro il Grande Reset, manifesto del Grande Risveglio; - A. Dugin, Teoria del Mondo Multipolare; - G. Marro, Teoria e Pratica della Rivoluzione nel Pensiero di Dugin, saggio introduttivo a Teoria del Mondo Multipolare; - Raffaele Ragni, Libertà Libertà, crisi, terrorismo, pandemia nell'era digitale.


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LEZIONI FRANCESI Primo turno delle presidenziali in Francia. Enrico Letta, che ha pubblicamente sostenuto la candidatura della socialista Anne Hidalgo uscita a pezzi dalle urne della scorsa domenica (1,75 per cento), ha giustificato la brusca virata in direzione di Emmanuel Macron sostenendo, riguardo a Marine Le Pen, che "con i populisti all'Eliseo l'Europa è a rischio". Un minimo d'onestà intellettuale avrebbe richiesto al leader "piddino" l'introduzione nella frase di un pronome dimostrativo, indispensabile per comprendere il senso autentico del progetto "lepeniano". Letta avrebbe dovuto dire: "Con i populisti all'Eliseo questa Europa è a rischio". La leader francese è interprete di una diffusa avversione alla struttura eurocratica. Avversione che non è solo la matrice di uno scivoloso populismo ma appartiene a molte delle declinazioni della destra in Europa. Se Letta avesse voluto pungere gli avversari con raffinatezza, avrebbe dovuto toccare un tasto diverso. Avrebbe dovuto chiedere al centrodestra italiano di pronunciarsi sul paradosso che la campagna elettorale di Marine Le Pen ha portato alla luce: pensare di governare da destra la Francia parlando a una base elettorale proveniente dalla sinistra tradizionale. Già, perché è questa la contraddizione che, di là dai fumi tossici della propaganda sul "pericolo fascista che avanza", interroga la destra europea: se e come coniugare una deriva liberista, ancorata alla globalizzazione del mercato, con la presa in carico di un disagio sociale indotto dalle conseguenze negative della prassi liberista. Esiste in Europa un popolo che cerca risposte e riscatto sociale ed economico. Un popolo, in parte alimentato dal vissuto proletario di una viva coscienza dell'ingiustizia del mondo e di una sorda rivolta contro di esso (Alain Bihr), e in altra parte rafforzato dal risentimento di pezzi significativi di borghesia degradata e impoverita dall'avvento travolgente della globalizzazione. Giunti a questo tornante della Storia, la narrazione dell'unità del centrodestra - in Francia mai realizzata, mentre in Italia è stata resa possibile dal funambolismo politico di Silvio Berlusconi - è vulnerata e i suoi protagonisti non possono più eludere la domanda: quale blocco sociale rappresentare? Nei due decenni a cavallo tra la fine del Novecento e l'inizio del nuovo secolo, la fase ascendente della globalizzazione ha consentito di tenere insieme tutto e il suo contrario, inducendo l'errata convinzione che un fenomeno planetario vincente potesse metabolizzare e "naturalmente" assorbire le distorsioni e i guasti creati, nella sua inarrestabile avanzata, alle comunità e alle economie territoriali. Ma quando quel fenomeno ha mostrato le prime crepe, ci si è accorti che non esistono soluzioni miracolistiche per il bene dell'umanità, ma solamente medaglie che hanno una faccia presentabile e un rovescio indesiderato.

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Nel volgere di quindici anni, il mondo ha conosciuto una crisi finanziaria alla quale è seguita una depressione economica; una crisi migratoria senza precedenti cha ha mosso masse d'individui del Terzo e del Quarto mondo verso le democrazie sviluppate dell'Europa e del Nord America; una pandemia, che ha messo a nudo la debolezza dei welfare state, anche quelli più evoluti; oggi si fanno in conti con una guerra prossima a trasformarsi in uno scontro di civiltà; domani, come molti esperti pronosticano, dovremo misurarci con gli effetti di una carestia di ampia portata che non colpirà soltanto le aree povere del pianeta ma lambirà le società ricche dell'Europa. Stiamo assistendo al fallimento della globalizzazione che trascina con sé quello dell'idea liberista di affidare totalmente la vita degli Stati e delle comunità umane al mercato globale. Con la guerra russo-ucraina irrompe non già il bisogno di ritornare a un anacronistico autarchismo ma la necessità di ricondurre in capo all'organizzazione dello Stato il potere di riordinare le traiettorie delle politiche industriali e, più generalmente produttive, dimodoché in nessun altro futuro frangente una comunità umana organizzata in struttura statuale possa trovarsi scoperta nella produzione di beni necessari alla sua sopravvivenza e del suo sistema economico. Se su questo aspetto è maturata una consapevolezza diffusa, dov'è trasmigrata la differenza "ontologica" tra la visione europeista e quella cosiddetta "sovranista"? La sfida in Europa si focalizza sul perimetro della sovranità che gli Stati nazionali dovrebbero presidiare, quanto cedere a organismi sovrastrutturali e quali interessi proteggere in via prevalente. Per la sinistra europea l'attuale assetto dell'Unione, che tende a superare la centralità degli Stati nazionali, è il migliore dei mondi possibili. Non che il sistema non richieda aggiustamenti. Correzioni possono essere apportate senza toccare l'impianto complessivo dell'architettura sovranazionale e, soprattutto, senza mettere in discussione il processo d'integrazione che va realizzato sulla base dei valori oggi consolidati nell'azione politica delle governance eurocratiche. Al contrario, per la destra non basta il cacciavite per riparare l'odierna Unione europea ma occorre una profonda modifica dell'organizzazione comunitaria, che ne rimetta in discussione non solo le regole e le tecnicalità ma anche i valori-guida, la missione e gli obiettivi da colpire. Il programma elettorale di Marine Le Pen risponde alla domanda del cambiamento che è nelle corde di una destra depurata di fuorvianti qualificazioni del tipo: radicale, estremo, sovranista. Se tanti commentatori si fossero scomodati a leggerlo, si sarebbero accorti che le cose sulle quali punta la Le Pen sono le medesime contenute nei programmi elettorali del centrodestra italiano. Sull'Europa, ad esempio, la leader del Rassemblement National chiede di rinegoziare i Trattati sul funzionamento dell'Ue e di sovvertire il principio di primazia del diritto comunitario sull'ordinamento giuridico nazionale. I tanto criticati rapporti con la Russia di Vladimir Putin? Per Marine Le Pen la soluzione si traduce in una chiara indicazione: far rivivere lo spirito di Pratica di Mare. Sulle riforme costituzionali, la Le Pen promette l'adozione del sistema proporzionale in tutte le elezioni (con premio di maggioranza alla Camera), l'abolizione delle Regioni e la riduzione del numero dei deputati e senatori. Cose già fatte in Italia, come il taglio dei parlamentari e l'abolizione delle Province in luogo dell'abolizione delle Regioni, o che si vogliono fare - vedi la riforma elettorale in senso proporzionale - con il voto del centrodestra.


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Capitolo tasse. Per la difesa del potere d'acquisto dei consumatori, la Le Pen propone di tagliare l'Iva dal 20 per cento al 5,5 per cento; la riduzione del 10 per cento delle imposte per le prime tre fasce di reddito. Riforma del sistema delle donazioni dei genitori ai propri figli con esenzione d'imposta nel limite di 100.000 euro per figlio e di 50.000 euro per i nipoti; ingresso dei giovani nel mondo del lavoro con l'esenzione totale dalle imposte per i primi cinque anni. Non sembra anche a voi di aver sentito in Italia qualcosa di simile provenire in passato dalle schiere del centrodestra? Sul fronte pensioni, Marine Le Pen promette di non deindicizzarle e di aumentare le minime a mille euro. In Italia, c'è stato qualcuno che ha fatto la sua fortuna elettorale portando il minimo pensionistico a 1 milione di lire mensili. Sulla politica securitaria e di contrasto all'immigrazione illegale, Marine Le Pen non dice niente di diverso da ciò che il centrodestra italiano sostiene da anni. Cosa osta perché tutto il centrodestra nostrano si schieri con la candidata francese? Miopia, nient'altro che una desolante inattitudine della sua classe dirigente a guardare oltre il proprio naso. Pensare di preferire un Emmanuel Macron a una Marine Le Pen, come dichiara Renato Brunetta a "Il Giornale", è legittimo se si pensa, come lui pensa, che il laico, sciovinista, elitario-progressista, sinistrorso presidente francese uscente sia la migliore sintesi delle tre culture politiche che hanno fatto l'Europa unita: cristiana, liberale e socialista e che rappresenti il miglior garante degli interessi dell'Italia. Ciò che non quadra è che tra qualche mese, se non dovesse cambiare la legge elettorale con la soppressione dei collegi uninominali, potremmo trovarci costretti a votare, nelle fila del centrodestra, persone che credono che il meglio stia dall'altra parte, a sinistra. Se la premessa è nient'altro che il remake di un film già visto, con i voti pescati a destra e, chiuse le urne, portati in dote alla sinistra per uno strapuntino nella stanza dei bottoni, se la lezione francese alla destra non ha insegnato nulla, davvero non sappiamo dove si possa trovare la forza, anche turandosi "montanellianamente" il naso, per rivotarlo questo centrodestra. Cristofaro Sola

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COSTITUZIONALISTI DA SALOTTO INCIPIT NR. 1 In ogni concorso di bellezza, da quelli più importanti come Miss Universo e Miss Mondo, fino a Miss Pollena Trocchia e Miss Castagna di Roccadaspide, le ansiose aspiranti protagoniste dei fascinosi mondi della moda e dello spettacolo, hanno una sola risposta alla domanda su quale sia la cosa più importante di cui la nostra società abbia bisogno: "La pace nel mondo". Nel film "Miss detective", Sandra Bullock, agente sotto copertura inserita tra le partecipanti di Miss America per smascherare un complotto, alla domanda rispose ironicamente: "Punizioni più severe per chi viola la libertà condizionata". Al conduttore, che aveva ascoltato con un perenne e compiaciuto sorriso da ebete stampato sul volto una serie infinita di "pace nel mondo", per poco non venne un infarto. INCIPIT NR. 2 Articolo 11 della Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni rivolte a tale scopo". PROLOGO "Le città ucraine vengono distrutte, alcune del tutto come Mariupol dove c'erano circa 500 mila persone, come nella vostra Genova. Ora a Mariupol non c'è più niente, solo rovine. Immaginate la vostra Genova completamente bruciata dopo tre settimane di assedio, di bombardamenti, di spari. […] L'obiettivo dei russi è l'Europa, influenzare le vostre vite, avere il controllo della vostra politica e distruggere i vostri valori, democrazia, diritti dell'uomo, libertà. L'Ucraina è il cancello per l'esercito russo, vogliono entrare in Europa". (Discorso di Zelensky al popolo italiano, 22 marzo 2022). "L'arroganza del governo russo si è scontrata con la dignità del popolo ucraino. La resistenza di Mariupol, Kharkiv, Odessa - e di tutti i luoghi su cui si abbatte la ferocia del presidente Putin - è eroica. […] Gli italiani hanno spalancato le porte delle proprie case ai profughi ucraini, con quel senso di accoglienza che è l'orgoglio del nostro Paese. Continueremo a farlo perché davanti all'inciviltà l'Italia non intende girarsi dall'altra parte. […]


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Nelle scorse settimane è stato sottolineato come il processo di ingresso nell'Unione sia lungo, fatto di riforme necessarie a garantire un'integrazione funzionante. Voglio dire al presidente Zelensky che l'Italia è al fianco dell'Ucraina in questo processo: l'Italia vuole l'Ucraina nell'Unione europea". (Risposta del presidente Draghi a Zelensky) BASTA COI COSTITUZIONALISTI DA SALOTTO Si dice che i padri costituenti avessero pesato con la bilancia del farmacista ogni parola della Costituzione varata dopo i terribili anni di guerra. È facile crederlo, perché ciascuno di loro portava sulle spalle il peso del ventennio precedente o addirittura, per buona parte, l'arco temporale ancora più sconvolgente che ingloba entrambe le guerre mondiali. È più che legittimo, quindi, quell'articolo undici scritto con la chiara volontà di preservare il Paese da qualsivoglia "tentazione" bellica, da qualsivoglia "volontà di offesa", trovandosi ancora tra città in macerie e con un popolo allo stremo a causa della sciagurata volontà di dominio perpetrata durante gli anni del fascismo. Affermare in modo perentorio, pertanto, "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa agli altri popoli", aveva un alto senso etico in virtù delle "gravi offese" perpetrate a popoli sovrani, che vivevano in pace e desideravano solo continuare a vivere in pace. Oggi quel concetto viene ripetuto come un mantra dai costituzionalisti da salotto, tra l'altro decontestualizzandolo e privandolo della seconda parte: si dice solo "l'Italia ripudia la guerra" evitando di aggiungere "come strumento di offesa agli altri popoli", senza rendersi conto che, pronunciata in quel modo, la frase fa lo stesso effetto della "pace nel mondo" auspicata dalle miss dei concorsi di bellezza. La si riduce a un concetto banale, quindi, tanto più irritante quanto più anacronistico rispetto alla straordinaria trasformazione sociale registratasi negli ultimi decenni. Irritante soprattutto quando appare chiara la volontà mistificatoria, come recentemente accaduto con il manifesto dell'Anpi diffuso per la celebrazione del 25 aprile: articolo della Costituzione privo della parte più importante e addirittura la bandiera italiana con le bande colorate orizzontali, in modo da farla assomigliare a quella ungherese. Poco male: massacrati da uno stupendo pistolotto di Massimo Gramellini, che ci fa piacere riportare integralmente in nota1, si spera abbiano imparato la lezione, per quel che può valere, avendo stufato e non da ora con tesi farlocche e balle sesquipedali che non incantano più nessuno. Le costituzioni non sono "per sempre" ed è inevitabile che debbano essere adeguate alla mutevolezza dei tempi. L'articolo undici oggi non solo è anacronistico, ma addirittura ridicolo nella sua banalità. Dire che l'Italia ripudia la guerra è più scontato del dire che gli "italiani si fermano tutti quando gioca la nazionale di calcio", perché qualcuno di sicuro non si può fermare per motivi di lavoro e vi saranno senz'altro migliaia di italiani non attratti dal calcio. In quanto alla possibilità di offendere gli altri popoli - siamo seri - viene da ridere solo a esprimerlo, un concetto simile. Le guerre scoppiano nostro malgrado e difenderci dai folli che le scatenano è un "dovere", prima ancora che un "diritto". In Ucraina stanno combattendo e morendo anche per difendere la nostra libertà.

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I costituzionalisti da salotto (televisivo e non), che con la saccenteria tipica dei babbei e il tono tronfio degli ignoranti che si sentono colti, un giorno sì e l'altro pure ci ammorbano con le loro teorie tese a impedire di prestare soccorso armato al povero popolo ucraino, pertanto, sarebbe il caso di lasciarli a casa senza conferire loro alcuna dignità interlocutoria. Ogni volta che aprono la bocca, infatti, oltre a suscitare contorcimenti intestinali alla parte "ragionevole" del Paese, offendono - cosa molto più grave - quei poveri ucraini che stanno combattendo in condizioni pietose contro un nemico potentissimo e i loro connazionali qui residenti, costretti a subire de visu le oltraggiose masturbazioni mentali, profferite o per subdole speculazioni politiche o per l'assoluta indisponibilità a rinunciare anche a una briciola della propria agiata condizione. Vi sarà tempo per una sana revisione costituzionale, magari prodromica di una vera riforma dello Stato che investa anche gli altri aspetti zoppicanti, ma ora vi è la casa che brucia e occorre spegnere l'incendio. Si faccia il possibile per assicurare il massimo sostegno al popolo ucraino, pertanto, inviando anche armi che consentano un'adeguata "resistenza" all'offensiva dell'invasore. Ci si adoperi inoltre, con fatti concreti, al di là del pur nobile proposito espresso da Draghi, affinché l'Ucraina entri presto nella UE. E intanto diciamo grazie e mandiamo fasci di rose a Magdalena Andersson e Sanna Marin, premier di Svezia e Finlandia, che in una conferenza stampa congiunta hanno dichiarato che è cambiata la policy di sicurezza in Europa, chiedendo espressamente l'ingresso dei rispettivi Paese nella NATO. "NATO", ossia North Atlantic Treaty Organization, organizzazione internazionale per la collaborazione nel settore della DIFESA, perché siamo noi occidentali che dobbiamo temere "le offese militari" degli altri e non certo gli altri a temere le nostre. Lino Lavorgna

NOTA 1. Nel sacro nome della Resistenza, all'Anpi si è finito per perdonare di tutto. Non solo che i pochi partigiani ancora vivi non vi avessero più da tempo alcun ruolo, ma che l'associazione fosse sempre in prima linea quando si trattava di manifestare contro gli americani. I quali saranno pure il male assoluto, ma combatterono accanto alle brigate partigiane e le rifornirono di armi nella lotta all'invasore nazista. All'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia è stata perdonata anche la neutralità pelosa nella guerra in corso e persino certi arrampicamenti sui muri per distinguere la Resistenza buona da quella cattiva del popolo ucraino. Ma il manifesto del prossimo 25 aprile è imperdonabile e lascia intendere che il problema dell'Anpi sta diventando la sua P. Anzitutto nessun cenno all'invasore Putin, che se non è un fascista, di certo gli assomiglia. Poi una citazione monca dell'articolo 11 della Costituzione, "l'Italia ripudia la guerra", dimenticandosi di aggiungere "come strumento di offesa" e arrivando così all'assurdo di ripudiare anche quella di Liberazione. Ultimo tocco d'artista, la gaffe delle bandiere alle finestre: simil-italiane ma in realtà ungheresi, omaggio inconscio a un altro politico di estrema destra, Orban, amico caro dell'aggressore russo. Alla fine, l'unica cosa azzeccata del manifesto resta la sigla Anpi, purché la si declini in modo più veritiero: Associazione Nazionale Putiniani d'Italia. (Massimo Gramellini, Corriere della Sera, 12 aprile 2022)


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CONDIZIONATORI DI GUERRA E VENTAGLI DI PACE A tutto c'è un limite di decenza, anche a un discorso di un'alta carica dello Stato che si rivolge ai cittadini. Quel limite non andrebbe mai oltrepassato. Purtroppo, qualche giorno or sono, il premier Mario Draghi, intervenendo alla conferenza stampa di presentazione del Documento di Economia e Finanza (Def), appena approvato in Consiglio dei ministri, ha letteralmente sbarellato. Riguardo alla possibilità di applicare un embargo totale all'importazione di gas dalla Russia, il presidente del Consiglio si è detto pronto a seguire le decisioni che verranno prese in sede Ue. Perché tanta remissività rispetto all'attivismo degli altri Paesi che fanno sentire, eccome, la loro voce? Come se l'Italia fosse l'ultima ruota del carro. Già soltanto il tono rinunciatario giustificherebbe il contorcimento delle nostre budella, ma ciò che proprio non si può sentire è la motivazione con la quale Draghi espone la necessità di fare sacrifici pur di giungere alla pace in Ucraina. Il premier l'ha messa giù così: "Preferiamo la pace o il termosifone acceso, o meglio ormai l'aria condizionata accesa tutta l'estate? Questo secondo me ci dobbiamo chiedere". Ma che razza di domanda è? Il genio della finanza globale dà i numeri. Una cosa tanto stupida non la si aspetta da un frequentatore di mescite di bevande alcoliche, figurarsi da un capo di governo. Fosse così semplice: pace in cambio della rinuncia a un paio d'ore di condizionatore d'aria sparato a palla la prossima estate. Un minimo di onestà intellettuale avrebbe suggerito di porre la questione in tutt'altro modo. Preferiamo la pace in Ucraina o salvare l'apparato produttivo del Paese? Andando oltre: preferiamo la pace in Ucraina o fronteggiare la più grave ondata di disoccupazione che la Storia italiana abbia conosciuto dalla fine del Secondo conflitto mondiale? Preferiamo la pace in Ucraina o impedire che i numeri della povertà in Italia raddoppino? Legittimo, e nobile, rispondere: meglio la pace in Ucraina, a patto che si abbia piena consapevolezza delle conseguenze che tale scelta comporterà per il nostro futuro. Non parliamo di refrigerio contro la calura estiva, ma di sopravvivenza. E non lo dicono gli "amici italiani di Putin", piuttosto lo si legge nelle carte del Def presentato dal ministro dell'Economia, Daniele Franco. Al momento, l'esserci schierati apertamente al fianco dell'Ucraina contro la Russia ha avuto forti ripercussioni sulle aspettative di crescita dell'economia, determinandone un netto ridimensionamento.

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La guerra ha imposto una stima al ribasso: la crescita del Prodotto interno lordo si fermerà al 2,9 per cento, in calo rispetto alla previsione di crescita, per il 2022, del Pil programmatico al 4,7 per cento, contenuta nella Nadef (Nota aggiuntiva al Documento di Economia e Finanza), elaborata lo scorso settembre. E già sarebbe una stima ottimistica, visto che il Centro Studi di Confindustria l'ha tagliata a +1,9 per cento. Il nodo resta il costo dell'energia che lo stato di guerra prolungato di certo non aiuta a normalizzarsi. Negli scenari ipotizzati dagli economisti di Bloomberg gli odierni costi, che oscillano intorno ai 120 dollari al barile per il petrolio e 130 euro a megawattora per il gas, potrebbero ulteriormente lievitare fino alla soglia psicologica dei 200 dollari il barile di petrolio nel corso del secondo trimestre, prima di tornare a 150 dollari nel terzo e quarto trimestre e i prezzi del gas sfiorare i 200 euro a megawattora. Il che produrrebbe una contrazione economica particolarmente profonda nella seconda metà del 2022. Se tale scenario dovesse inverarsi, la manifattura italiana sarebbe messa fuori mercato a causa dei costi insostenibili di produzione. Le conseguenze le pagherebbero le famiglie, in particolare delle fasce di reddito basse e medio-basse, in termini di crollo verticale del potere d'acquisto dei salari e d'insufficienza delle entrate mensili. La crisi che farebbe schizzare in alto i prezzi dei beni al consumo sarebbe direttamente connessa alla minore disponibilità di materia prima energetica per alimentare i processi produttivi. Cosa dice il Governo? Che, sul fronte dell'approvvigionamento energetico, siamo coperti fino al mese di ottobre. E dopo? Bruceremo cartoni e copertoni d'auto per scaldarci e generare energia elettrica per fare andare avanti le industrie? Mai assistito a una prova di irresponsabilità tanto smaccata. Da una parte si vuole chiudere con Mosca, dall'altra non si ha la più pallida idea di come si possa reperire quel 48 per cento del nostro fabbisogno energetico che oggi viene soddisfatto dal gas russo. Se si volesse fare sul serio, prima si dovrebbero trovare le soluzioni alternative e poi, semmai, fare il beau geste di dire a Vladimir Putin: tienitelo il tuo maledetto gas. Soluzioni alternative non significano favole e sogni a occhi aperti. Al contrario, richiedono scelte forti nel breve, medio e lungo termine. Da subito andrebbero rimesse a regime tutte le centrali a carbone disponibili; da domani, si dovrebbero spingere al massimo delle capacità le strutture estrattive di gas e petrolio sul nostro territorio e sulle aree marine adiacenti alle coste. Da dopodomani, bisognerebbe investire nel carotaggio e nella trivellazione del sottosuolo e del fondale marino alla ricerca di nuovi giacimenti di idrocarburi. In poche settimane, riprendere lo studio per una rapida conversione al nucleare. Si obietterà: c'è stato un referendum che ha chiuso per sempre quella strada. E con questo? C'è stato nel 1987 anche un referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, passato con l'83 per cento di voti favorevoli, e non sembra che la politica via abbia dato seguito come avrebbe dovuto. Ma tutto ciò non si può fare perché la sinistra non lo permette. Si tratta della medesima sinistra che, per bocca del segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, urla e strepita perché si giunga all'embargo totale del gas dalla Russia. Fortuna che in Europa c'è ancora chi non ha perso la testa.


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A parte il solito Viktor Orbán, i governi di Germania e Austria si oppongono alla escalation delle sanzioni contro Mosca. Finché ci sarà il loro no Draghi sarà costretto a ribadire che: "L'embargo del gas non è ancora e non so se sarà mai sul tavolo". Alleluia! Il pragmatismo germanico ci terrà fuori dai guai. Ciononostante, la faciloneria con la quale il nostro premier si è detto disponibile a ricorrere alle misure estreme contro la Russia, succeda quel che succeda, deve interrogarci su un punto nodale per la tenuta democratica del nostro Paese. Può un Parlamento, che non rispecchia già da tempo la volontà dell'elettorato, assumere una decisione destinata a cambiare drasticamente le condizioni di vita degli italiani? La scelta radicale di rompere con la Russia non può e non deve appartenere a pochi individui, ma va condivisa con la popolazione. Non si può farlo sulla pelle dei cittadini, come se questi non esistessero. Occorre un nuovo Parlamento e un nuovo Governo, pienamente legittimati dalla volontà degli elettori a prendere decisioni che potrebbero avere effetti devastanti. L'orizzonte del 2023 è troppo lontano? Allora che si vada a elezioni anticipate, anche perché il tanto osannato "Governo dei miracoli" di Draghi alla prova dei fatti non è che sia stato poi tanto provvidenziale. Nel frattempo, per risparmiare energia elettrica e gas stacchiamo la spina ai ventilatori e ai condizionatori d'aria, ignari strumenti del neo-imperialismo putiniano e diamoci sotto con i ventagli. L'olio di gomito è roba nostra. O importiamo anche quello? Cristofaro Sola

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LA GUERRA VERA E LA GUERRA DELLE PAROLE "Le parole sono importanti", gridava a squarciagola Nanni Moretti in un celebre film, mentre schiaffeggiava una giornalista stupidotta. Sono importanti perché a volte feriscono più di una spada e a volte disorientano, confondono le idee, spacciano per vero il falso e viceversa. La libertà di parola è senz'altro una grande conquista per noi occidentali, così scontata, però, che facciamo fatica a comprenderne l'importanza, anche in questi giorni durante i quali, molto più che in passato, prendiamo atto che in Russia è perfino vietato chiamare con il suo vero nome la guerra che si sta combattendo in Ucraina, pena una condanna a quindici anni di carcere. Accade lo stesso in Turchia, per esempio, dove non è lecito definire con il suo vero nome il "genocidio" praticato dai Giovani Turchi nel 1915, quando sterminarono oltre un milione e mezzo di armeni, e in tanti altri "paesi" (la "p" minuscola non è un refuso) con grande deficit di democrazia, nei quali sono vietate tantissime cose che per noi occidentali costituiscono quotidiana consuetudine. Proprio in virtù di quanto sopra esposto dovremmo rispettarla meglio, questa libertà di espressione, che consente, per esempio, a poche decine di migliaia di persone (tra le quali chi scrive), di sostenere senza incorrere in alcun reato penale che il cinema europeo sia qualitativamente superiore a quello statunitense e di essere contestualmente "liberamente" sbeffeggiate da milioni di altre persone che, dopo dieci minuti di visione di un film diretto da uno qualsiasi dei grandi registi francesi, incominciano a grattarsi dappertutto in preda al prurito, o dopo soli cinque minuti di un film di Kieslowski, Wajda, Lean, Branagh, Nolan (non potrò mai dimenticare la faccia di alcuni amici dopo la visione di "Interstellar" e l'imbarazzo nel non riuscire a dichiarare che non avevano compreso nulla), Loach, Jordan, Sheridan, Herzog, Lang, Wenders e tanti altri che non cito per non farla troppo lunga, si ingozzano di "Aspirina" con la testa che scoppia, dedicandosi ad altro. In Ucraina si sta combattendo una sporca guerra e in Europa si parla, spesso a vanvera, per conciliare l'inconciliabile e sostenere tesi utili solo a non "affaticarsi troppo", preoccupati di non rinunciare nemmeno a una briciola della propria agiata condizione. Facciamo chiarezza, in ordine alfabetico. E - Embargo totale subito. Lo chiede con insistenza il ministro degli Esteri ucraino, Kuleba, ovviamente in piena sintonia con Zelensky. In linea di principio, quando si parla di problematiche internazionali, tendo a evitare di citare le dichiarazioni dei politici nostrani per evitare la confusione tra l'ipocrisia, retaggio delle bieche strategie (tante), e i reali propositi sinceramente espressi (pochi), limitandomi a esporre


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un pensiero senz'altro soggettivo e quindi opinabile, ma scaturente esclusivamente dai fatti contingenti e libero dai condizionamenti di qualsivoglia natura. Per questo punto, tuttavia, voglio concedermi una eccezione, citando - a scanso di equivoci - quanto asserito da una persona dalla quale sono distante milioni di anni luce, ritenendo che la sua asserzione risponda a sinceri sentimenti di vicinanza al popolo ucraino e non a biechi calcoli politici, perché di sicuro con la sua frase corre il rischio di perdere più elettori di quanti non possa guadagnarne: "Quante altre Bucha dovremo vedere prima di deciderci a imporre un embargo totale su gas e petrolio russi? Il tempo è scaduto". (Trascrizione in italiano di un tweet pubblicato in inglese dal segretario del PD, Enrico Letta). L'embargo totale va fatto, indipendentemente dalle restrizioni che da esse scaturiranno, perché si può solo definire vigliacco chi faccia perire un intero popolo, per non rinunciare a una briciola del proprio benessere. È appena il caso, quindi, di aggiungere quanto asserito anche da un'altra persona da me ancora più lontana, il presidente Draghi, che pone un interrogativo non meno eloquente: "Volete la pace o l'aria condizionata?" E gli altri? A coloro che scrivono e fanno scrivere a caratteri cubitali sui giornali che non si può rinunciare a nulla di ciò che ci siamo guadagnati, che non possiamo rinunciare al nostro stile di vita, alle case iper-riscaldate d'inverno e iper-raffreddate d'estate; a coloro che sbeffeggiano nei social Zelensky per l'interpretazione nella fiction recentemente trasmessa da "La7", invitandolo a non rompere le scatole e ad arrendersi a Putin perché l'estate sta arrivando ed e tempo di pensare alle vacanze senza tanti grattacapi, che cosa si può dire? Nulla. Anche dire semplicemente "vergognatevi", infatti, significherebbe conferire dignità interlocutoria alle loro parole. Ma le parole sono importanti e vanno utilizzate "cum grano salis". Per loro basta e avanza il silenzioso disprezzo. E - EUROPA Diciamo sempre le stesse cose? Fino alla nausea, perché è una grande sciocchezza sostenere che la storia non si faccia con i "se" e i "ma". Servono entrambi per farci comprendere il senso delle cose, gli errori commessi, ciò che va fatto. Con un'Europa veramente unita non ci sarebbe mai stata la terribile aggressione russa. E anche con l'attuale Unione, sol che avessimo avuto il coraggio di mostrare i muscoli e maggiore vicinanza all'Ucraina, Putin e i suoi compagni di merenda sarebbero rimasti ancora più scioccati di quanto non sia avvenuto con l'eroica resistenza di un popolo che pensava di sottomettere in tre giorni e con una Unione che presumeva si sarebbe sfaldata invece di rinsaldarsi, anche se non nella misura auspicata dall'autore di questo articolo. Non so quanti di voi lettori seguano le trasmissioni televisive russe e abbiano contezza di ciò che viene propinato a un popolo vessato con una propaganda spaventosa. È qualcosa di pazzesco: vi distruggeremo tutti; Zelensky è un demonio e si serve delle streghe; tutti gli ucraini sono nazisti; il popolo russo è accerchiato da un Occidente che deve essere distrutto, sono solo alcuni delle deliranti frasi pronunciati da autorevoli membri del Governo, dal capo della Chiesa russa e della società civile, mentre i giornalisti commentano in TV le scene dei massacri in Ucraina con l'entusiasmo che da noi si

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registra durante i programmi sportivi, quando la squadra per cui si tifa vinca la partita. Il tutto condito con una disinformazione spaventosa, che non costituisce certo un novità. Non voglio aggiungere altro, ma vi prego di credermi che se tutti avessimo la possibilità di recepire la piena sostanza della volontà egemonica di gran parte della popolazione e non solo di una classe dirigente che non è per niente impazzita, come tanti sostengono, tante posizioni stolte cambierebbero in un attimo. Queste cose le sanno bene, per esempio, in Svezia e in Finlandia, che non a caso hanno deciso ora di rompere gli indugi e chiedere di entrare nella NATO. Non facciamoci illusioni che i conti con la Russia si chiuderanno prima dell'estate e cerchiamo di mantenere la barra a dritta, per non essere travolti, più di quanto non sia già accaduto. Di tempo a disposizione ne resta davvero poco. In quanto a Zelensky, la si smetta di metterlo sotto pressione più di quanto non lo sia già, e di fargli le pulci per ogni cosa che dica con la spocchiosa sicumera di chi parla e scrive standosene comodamente assiso tra le proprie confortevoli mura domestiche, facendo tesoro di quanto recentemente asserito da Sean Penn, un grande uomo, prima ancora che un grande attore, costretto a scappare in fretta e furia dall'Ucraina proprio all'inizio dell'invasione, sospendendo le riprese del documentario che si accingeva a girare: "Mi ha colpito il fatto che ora stavo guardando un ragazzo che sapeva di dover raggiungere il livello più alto di coraggio e leadership umana. Penso che abbia scoperto di essere nato per farlo". G - Genocidio Tanti autorevoli giuristi e pseudo tali si stanno affannando a spiegare che il termine "genocidio" non è "legalmente utilizzabile", perché ciò è possibile solo quando sia dimostrabile "l'intenzione di distruggere un gruppo come insieme". Per questi soggetti, quindi, dire che "l'Ucraina non esiste e non è mai esistita" come Stato, definire tutti gli ucraini dei nazisti e massacrarli sia negli scontri armati in una guerra "illegale" sia con le torture ai civili, lo stupro e la barbara uccisione eloquentemente testimoniata dai filmati che stiamo vedendo tutti, non è genocidio. Già troppo lungo questo paragrafo. Lo chiudiamo mandandoli tutti a quel paese, con invito a restarci a lungo, perché non è proprio il caso di perdere tempo a confutare le loro scemenze. Maiora premunt. M - Mandato di cattura internazionale per crimini di guerra. Zelensky ha chiesto espressamente un nuovo processo di Norimberga a carico di Putin e dei suoi complici, a livello politico e militare. Tutti a dire che non è possibile perché Russia e Ucraina (alla pari degli USA) non hanno mai ratificato il trattato che ha istituito la Corte penale internazionale, che punisce i crimini commessi dalle singole persone. Problema più o meno analogo per l'altro Organo che si occupa dei crimini di guerra, la Corte internazionale di giustizia, i cui verdetti devono essere ratificati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite "all'unanimità": la Russia, membro permanente del Consiglio di sicurezza, voterebbe "no" vanificando la sentenza. La Corte penale internazionale, tuttavia, può incriminare Putin, i membri del governo che lo hanno sostenuto nell'attacco all'Ucraina e i militari che abbiano eseguito gli ordini, perpetrando un vero e proprio genocidio, emettendo un mandato di cattura internazionale. Ovviamente


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l'arresto non potrebbe essere materialmente eseguito "in Russia", ma tutte le persone destinatarie del provvedimento non potrebbero "mai" recarsi all'infuori dei confini nazionali (eccezion fatta per pochi Paesi) perché finirebbero in manette subito dopo essere scese dall'aereo. Non è cosa da poco perché ciò potrebbe creare i presupposti per un "sommovimento" interno. In ogni caso il gesto avrebbe un alto valore simbolico oltre che piena legittimità giuridica in funzione di tutto ciò che sta accadendo. P - Papa Francesco. Corri in Ucraina, Papa Francesco. Corri in fretta. Ergiti al cospetto dei carri armati del tiranno, così come fece Leone I al cospetto di Attila, e fermali intimando quel "vade retro Satana" di antica e nobilissima memoria, mostrando agli invasori quella bandiera donata dai bambini da te amorevolmente accolti, con i colori di uno Stato sovrano che non può, non deve e soprattutto non vuole diventare vassallo di chi ha spostato all'indietro le lancette della Storia. Mi fermo qui, "saltando" molte altre "lettere dell'alfabeto" non meno importanti, ma molto più complicate da far digerire, perché sarebbe già grasso che cola riuscire a far accettare quelle succitate. Lino Lavorgna

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UCRAINA: DIAMOCI TUTTI UNA REGOLATA Forse hanno ragione quelli che credono al complotto delle scie chimiche. Ci deve essere qualcosa nell'aria che ottunde i sensi e inebetisce. Non vi può essere altra spiegazione per ciò a cui assistiamo con la vicenda del massacro di civili scoperto a Bucha, in Ucraina. Ormai è un coro unanime che ripete allo sfinimento lo stesso ritornello: i russi sono criminali, Vladimir Putin è un macellaio che va processato per crimini di guerra. Ma dov'è finito il buonsenso? È stato mandato in Cassa integrazione? Intendiamoci: vedere gente ammazzata è sempre uno spettacolo raccapricciante. Non si può non rivolgere ai caduti un pensiero misericordioso. L'uccisione di civili, poi, è orribile. Detto questo, però, bisogna ragionare con lucidità. Va fatta una distinzione tra le cause di morte. Già, perché un conto è essere vittime di uno scontro bellico, altro conto è venire intenzionalmente torturati e ferocemente trucidati per incutere terrore tra la popolazione inerme. Ora, le immagini che sono state diffuse dal teatro di guerra di Bucha mostrano gli uni e gli altri tipi di caduti. Vi sono i corpi senza vita delle vittime delle sparatorie che vi sono state, nelle aree urbane, durante la presa russa della città ucraina. Corpi di civili lasciati ai bordi delle strade o gettati nelle fosse comuni sono la drammatica controindicazione della guerra combattuta in luoghi popolosi. Resta lo sgomento per le sorti di coloro che vengono classificati con odiosa espressione "danni collaterali" di un atto bellico. Non dovrebbero esserci, eppure è inevitabile che vi siano. Sono comunque vittime di un crimine? Quando si combatte una guerra, il concetto stesso di crimine viene assorbito da quello onnicomprensivo di guerra, che tiene insieme fatti e comportamenti che in tempo di pace non sarebbero consentiti. Poi si sono viste le immagini di morti a cui erano stati legati i piedi e le mani. Persone, molte giovanissime, decedute per un colpo di pistola alla nuca. E donne, a cui è toccato l'oltraggio dello stupro prima della morte. Qui la guerra è il fattore scatenante di una ferocia umana che non può in alcun caso essere tollerata e che va colpita con la massima durezza. Gli alleati non hanno avuto il minimo dubbio nell'accollare la responsabilità dell'accaduto a Putin e ai suoi carnefici. Può darsi che sia andata come la raccontano i media occidentali. Tuttavia, dovendo sanzionare qualcosa di gravissimo, non sarebbe opportuno essere meno assertivi e più prudenti nell'attribuzione delle responsabilità? Si deve o no tenere conto della circostanza che il principale sospettato neghi con risolutezza ogni addebito e ribalti l'accusa sugli avversari? Dov'è finito lo spirito garantista che amiamo coltivare in tempo di pace? Non siamo forse i primi a sostenere che la colpevolezza dell'imputato debba essere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio? Vale per noi e vale anche per gli altri tale principio o preferiamo il garantismo a corrente


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alternata? Dovrebbero essere per primi gli organi d'informazione a porsi delle domande anziché ripetere come pappagallini ammaestrati ciò che i politici vogliono che si dica alla pubblica opinione. Che tristezza vivere in un tempo in cui i giornalisti non sanno più porsi domande ma si acconciano a ricopiare sentenze scritte da altri. Poniamole, invece, quelle domande scomode. Riguardo alle immagini dei cadaveri che si presentano con le mani e i piedi legati, si dà per scontato che sia stata opera dei russi. Possibile che gli uomini di Putin siano stati così stupidi da non aver pensato di cancellare le tracce degli orrori compiuti prima di ritirarsi da Bucha? Non sono fuggiti all'improvviso, ma hanno evacuato la città occupata secondo un piano prestabilito. Quindi, avrebbero avuto tutto il tempo per apparecchiare una scena a loro meno sfavorevole. Perché non l'hanno fatto? Cadaveri legati e imbavagliati. Si può ammanettare qualcuno dopo che sia morto? Presumibilmente, sì. Allora, dove sono le prove inconfutabili che quei poveracci siano stati legati prima di essere uccisi e non dopo la morte ad opera di qualcuno di diverso dalle truppe russe occupanti? Non abbiamo risposte. Dovrebbe essere una commissione indipendente di esperti ad analizzare i corpi e le scene del crimine per stabilire se vi sia stata o meno manomissione. Soltanto dopo aver acquisito l'inoppugnabile certezza sull'identità degli autori delle atrocità diviene doveroso perseguirli con la massima severità. Farlo prima puzza di demagogia, di pretesto per continuare una guerra che andrebbe fermata subito e non incentivata con il sovraccarico della propaganda. Anche perché ci si rende ridicoli e ci si espone all'ironia dell'avversario. Come è capitato al pessimo Joe Biden, che continua imperterrito la sua battaglia d'odio personale contro Vladimir Putin. Se si urla che il leader russo vada trascinato davanti a un tribunale internazionale per rispondere di crimini di guerra, il minimo che possa capitare è che la controparte replichi: se processate me dovete processare anche tutti i presidenti statunitensi che hanno autorizzato o avallato massacri in giro per il mondo. Se la mettiamo sul piano che i crimini li commettono solo gli altri e noi siamo illibati come le educande di un collegio femminile facciamo torto alla storia e alla nostra intelligenza e offriamo al nemico solidi argomenti per dimostrare che non siamo credibili. Ecco a cosa portano le buffonate di Biden alle quali, purtroppo, molti leader occidentali vanno dietro come cani al guinzaglio. Senza scomodare la tragedia di Hiroshima e Nagasaki, nell'agosto del 1945, quante volte le bombe americane hanno fatto vittime tra i civili? Per rimanere dalle nostre parti, ci sono ancora molti anziani napoletani che ricordano bene i bombardamenti a tappeto delle fortezze volanti Usa tra il 1942 e il 1944. I 200 raid aerei sulla città partenopea causarono circa 25mila vittime civili. Eppure, nessuno osò chiedere di processare per crimini contro l'umanità Franklin Delano Roosevelt. E neppure fu chiesto di mandare a giudizio Harry Spencer Truman per le 25.000 vittime civili del bombardamento alleato su Dresda tra il 13 e il 15 febbraio 1945. Eppure, i presidenti Usa erano consapevoli dell'atrocità delle missioni se è vero che fu proprio Roosevelt a scrivere a Winston Churchill il 30 luglio 1943: "Bombardare, bombardare, bombardare… io non credo che ai tedeschi piaccia tale medicina e agli italiani ancor meno… la furia della popolazione italiana può ora volgersi contro intrusi tedeschi che hanno portato, come essi sentiranno, queste sofferenze sull'Italia e che sono venuti in suo aiuto così debolmente e malvolentieri". E i 72.489

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abitanti di Tokyo caduti sotto i bombardamenti americani? Si dirà: sono fatti del passato, andati in prescrizione. Gli italiani, i giapponesi, i tedeschi, sono stati grati agli americani per quelle bombe che, pur facendo del male alla gente comune, l'hanno salvata da un pericolo più grande. Anche in tempi recenti le bombe occidentali non se ne sono state tranquille. Dalla Serbia all'Iraq le popolazioni civili di quei luoghi ne sanno qualcosa. Capitolo stupri in tempo di guerra. Se non vi piace la storia e preferite la letteratura leggete La Ciociara di Alberto Moravia per apprendere qualcosa su ciò che combinarono alle donne della Ciociaria i goumier (soldati alleati marocchini in servizio nell'esercito francese) agli ordini del generale Alphonse Juin. Per stimolarli alla lotta, il generale francese fece loro questo illuminante discorso: "Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c'è un vino tra i migliori del mondo, c'è dell'oro. Tutto ciò sarà vostro se vincerete". Capitolo atrocità. Anche su questo argomento l'Occidente non può dirsi innocente. M? Lai, vi dice niente? Vietnam,1968. Il 16 marzo soldati statunitensi della Compagnia C, primo battaglione, 20esimo fanteria dell'11esima brigata, della 23esima divisione di fanteria, guidati dal tenente William Calley raggiungono M? Lai, frazione del villaggio di S?n M?, 800 chilometri a nord di Saigon. Sono alla ricerca di guerriglieri Vietcong. Non ne trovano. Il posto è abitato da donne, vecchi e bambini che vengono massacrati. I vecchi torturati, le donne stuprate, i bambini uccisi. Terminata l'operazione saranno 347 i cadaveri lasciati al suolo. Solo il 12 novembre 1969 il mondo scopre la verità su M? Lai, grazie al giornalista freelance, Seymour Hersh, che aveva indagato sull'accaduto. L'esercito, dopo un primo tentativo d'insabbiamento, è costretto dalla pressione dell'opinione pubblica mondiale a mandare a processo il tenente Calley per l'omicidio premeditato di 22 civili vietnamiti. Il militare statunitense, nel 1971, viene condannato all'ergastolo nonostante avesse dichiarato a sua discolpa di aver agito su ordini superiori. Dopo poco riceve un atto di indulgenza dal presidente americano, Richard Nixon. Calley ha scontato la pena ai domiciliari per poco più di tre anni. È stato rimesso in libertà nel 1974. Nessuno però ha mai osato lontanamente tirare in ballo per quel massacro l'allora presidente Usa Lyndon Baines Johnson. Capitolo torture. Vogliamo parlare della prigione di Abu Ghraib in Iraq o di Guantanamo? La lista dei misfatti sarebbe lunghissima, meglio finirla qui. Per stare all'attualità: o processiamo tutti i capi di Stato coinvolti in vicende di guerra, dal primo all'ultimo, trapassati e viventi, o la smettiamo con le pagliacciate e cominciamo seriamente a preoccuparci di come questa guerra in Ucraina debba cessare al più presto. C.S.


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AMMENDA E si, non posso proprio - per pura onestà mentale e correttezza concettuale - esimermi dal fare doverosa ammenda. Dopo aver lanciato per anni attraverso le pagine di CONFINI, con inane fionda o sfiatata cerbottana (fate voi, cari lettori) convinti strali contro la gestione della mia Chiesa cattolica da parte di Papa Francesco, mi vedo indotto, con piacere e sollievo, a spezzare un'altrettanto convinta lancia a favore del suo recente gesto di coinvolgere i fedeli tutti in una preghiera di consacrazione di Russia ed Ucraina alla Vergine Maria. Evviva! Era proprio tempo che l'ottimo Bergoglio si rivolgesse finalmente al Cielo in accorata supplica e dimenticasse, temo soltanto per un solo momento, di concentrarsi unicamente su: 1. povertà materiali e disagi esistenziali dell'universo mondo, 2. emigrazione di individui in cerca di un qualche benessere di natura prettamente economica, 3. sofferenze socio-culturali da parte di enclavi minoritarie di multiformi "diversità" umane, 4. disastrati contesti economico-climatici planetari … "et similia". Aspetti questi tutti inscrivibili nel contesto di quel mondano "here and now" noto, limitato ambito di cure pastorali da parte di un pontefice mostratosi non insensibile perfino alla fascinazione di un'esotica Pachamama. Come tutti ben sappiamo, la guerra è da sempre stimolo efficace a rivolgersi al Cielo con preghiere volte ad impetrare salute e protezione; nel caso nostro, comunque, … meglio tardi che mai! Bisogna onestamente riconoscere che è proprio un bel vedere, dopo oltre nove anni di pontificato, scoprire un Bergoglio che - seppur attivato ancora una volta da specifica genesi di natura "terrena" - colga finalmente l'occasione per invitare il gregge dei fedeli a rivolgersi SOLTANTO al soprannaturale unendosi, in planetaria sinergia di menti e di cuori, in una corale orazione nella quale la contingente fattispecie iniziale di umana sofferenza sfocia finalmente in un'ascesi"alta" di pura spiritualità piuttosto che in perdurante, lacrimevole lamentazione pratico-operativa a fronte di una qualche ennesima esigenza di "bassa" quotidianità di natura terrena. Papa Francesco per la prima volta, almeno a mia memoria, si rivolge dunque in modo esplicito al Cielo e non alla Terra. Parla con Cristo, con la Madonna e non con gli Uomini. Egli ha finalmente (!) - e come da precipuo suo compito di Sommo Edificatore di Ponti - PREGATO e non PREDICATO. Deo gratias! Antonino Provenzano Roma, 31 marzo 2022

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TRASFORMIAMO L’ITALIA IN UNA (PEN)ISOLA VERDE Nessuno può prevedere cosa accadrà nei prossimi mesi, perché mai come in questo periodo l'imponderabile trionfa su ogni possibile ragionamento razionale. La speranza di pace e di serena armonia tra i popoli, che anima tutte le persone sensate, a prescindere dalle rispettive idee politiche, cozza con troppi elementi contrastanti affinché possa affermarsi al di là di un sentito e legittimo desiderio. Senza perdere tempo a recriminare su ciò che non è stato fatto in passato, pertanto, rispettando quanto suggerito sin dal 1972 dagli scienziati del MIT nel famoso rapporto sui limiti dello sviluppo, argomento tra l'altro ampiamente trattato in passato in questo magazine, cerchiamo di aprire gli occhi su ciò che "necessariamente" va fatto, nel più breve tempo possibile, per prevenire quei tristi scenari che bussano alla porta in virtù dei colpi di testa di chi, con spietata protervia, cerca di far riemergere dalle fogne della Storia quel triste passato che erroneamente si riteneva "irripetibile", dal momento che, come giustamente osservava Gramsci, la Storia è maestra ma non ha allievi. Il Governo è alle prese con le decisioni da assumere in previsione del prossimo inverno e, all'atto della stesura di questo articolo, sono disponibili solo le misure allo studio nel caso in cui dovesse venire meno il gas della Russia, nostro principale fornitore con i suoi circa trenta miliardi di metri cubi annui, per scelta interna (che sarebbe doverosa come da più parti auspicato) o per altre ragioni contingenti scaturite dall'altrui volontà: incremento della produzione dei giacimenti petroliferi nazionali; interruzione per alcune ore al giorno delle forniture di gas alle industrie energivore (circa 3.000 imprese che, per la loro attività, necessitano di altissimo consumo di energia elettrica, N.d.R.); incremento del gas naturale liquefatto; riduzione dell'illuminazione pubblica; riduzione di un grado della temperatura nelle case e negli uffici; aumento della produzione di gas nelle sei centrali a carbone ancora in attività (la cui chiusura era prevista entro il 2025, essendo fortemente inquinanti, N.d.R.) A ciò vanno aggiunte le iniziative protese ad ottenere un incremento delle forniture da altri Paesi: Algeria, Congo, Angola, Azerbaigian. Ragioniamo con calma. Le misure allo studio del Governo forse possono rispondere al concetto "occorre fare di necessità virtù", ma sono pienamente valide solo per i punti che prevedono la riduzione dell'illuminazione pubblica e quella dei gradi nelle abitazioni e negli uffici. Nel piano si parla di un grado, senza ulteriori indicazioni: in realtà, per quanto riguarda il


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riscaldamento, si potrebbero tranquillamente ridurre almeno tre gradi, consentendo, quindi, sei miliardi di risparmio e non due; non si parla, poi, dell'aria condizionata durante i mesi estivi, che consentirebbe risparmi molto più consistenti sol che si rinunciasse all'abitudine di trasformare case e uffici in vere celle frigorifere, "aumentando" di almeno 3-4 gradi la temperatura interna, o rinunciando proprio ad accendere il condizionatore in quelle zone dove il clima permetta serenamente di "convivere" con la temperatura esterna. Le altre misure, a onor del vero, sembrano "pezze" in grado di produrre più problemi di quelli che risolvono. Molte aziende (per esempio le fornaci dei vetrai) devono restare accese 24 ore su 24, 365 giorni l'anno: troppo lunghe e costose le procedure per spegnerle e riaccenderle. Il GNL inevitabilmente ha costi più alti del gas che arriva attraverso i gasdotti, viaggiando precipuamente via mare e necessitando di essere "rigassificato"; inutile ribadire più di tanto, poi, quanto male possano produrre le centrali a carbone, dopo tutte le battaglie fatte dagli ambientalisti negli ultimi decenni per chiuderle definitivamente. Ben vengano, ovviamente, gli incrementi delle forniture da altri Paesi con i quali già si intrattengono molteplici rapporti commerciali, anche se, sotto il profilo "etico", pur nella consapevolezza che oggi l'etica contrapposta all'economia di mercato è motivo di interesse solo per un pugno di intellettuali, non va sottaciuto il fatto che ciò ci obbliga a intessere rapporti con Stati che manifestano un grave deficit di civiltà, di democrazia, di rispetto dei diritti dei cittadini e di propensione alla violazione dei trattati internazionali. Pensiamo, per esempio, a come debba sentirsi la corposa comunità armena che vive in Italia per gli stretti legami con l'Azerbaigian e fermiamoci qui perché l'argomento è scivoloso e si configura come una complessa e inestricabile matassa per le implicazioni incrociate che investono molti altri Paesi. L'ottavo punto. Ai sette punti allo studio del Governo, pertanto, dei quali come detto solo due sono pienamente validi, se ne aggiunga un ottavo, che da solo risolverebbe, se non tutti, la stragrande maggioranza dei problemi: proroga sine die della legge che consente di adeguare le abitazioni - tutte le abitazioni del territorio - alle moderne risorse tecnologiche che prevedono la drastica riduzione, o addirittura il pieno annullamento dei costi energetici, grazie allo sfruttamento dell'energia solare e all'isolamento termico. In pratica si tratta di rendere pienamente fruibile a tutti i cittadini quanto previsto dalle attuali norme che disciplinano il cosiddetto "Ecobonus 110%" che, finora, è stato utile precipuamente agli speculatori capaci di approfittare della legge per produrre truffe. La recente "revisione normativa" ha consentito senz'altro di chiarire molti aspetti e ridurre drasticamente la possibilità di agire in modo fraudolento, ma i problemi contingenti, determinati sia dalla tempistica, che penalizza soprattutto le singole abitazioni (ovvero quelle che più necessitano degli interventi di adeguamento energetico) sia dall'incremento dei prezzi delle materie prime, sta impedendo a molti cittadini di beneficiare del provvedimento. Qualcosa, in realtà, sembra muoversi positivamente in tal senso e può darsi che qualche decisione saggia sopraggiunga dopo che questo articolo vada in stampa. Aspettiamo fiduciosi.

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A volte basta un pizzico di buon senso per individuare delle soluzioni ad hoc per i problemi e allungare i tempi per la fruizione dell'ecobonus 110% è uno di questi. Costringere alla chiusura centinaia di aziende che non possono permettersi di rinunciare a un briciolo dell'energia elettrica quotidianamente utilizzata per la propria attività, favorendo in tal modo un aumento spaventoso della disoccupazione, con tutto ciò che ne consegue, e contribuire all'inquinamento ambientale con il ripristino delle centrali a carbone, oltremodo nocive per la salute dei cittadini per l'alta immissione negli ecosistemi di elementi cancerogeni (mercurio, cromo, arsenico, ossidi di zolfo, polveri fini e ultrafini), più che una grossolana scemenza, è un vero crimine contro l'umanità. Lino Lavorgna


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BOMBARDANO Era uscito di casa alle sei del pomeriggio, ora per lui fatale da quando i genitori gli avevano detto che era l'ora in cui era nato, sessantacinque anni fa. Forse per questo gli era sempre sembrata fatale. Uscendo dall'androne del condominio fu accecato dalla luce, insolita a quell'ora, che proveniva da un'immensa nuvola: un cumulo altissimo, retroilluminato da un sole glorioso. Quella luce, intensa ed alta, lo trafisse come un avvertimento, ma ancora non poteva immaginare quello che sarebbe accaduto. La sua vista si era appena aggiustata a ricevere quella sferzata di luce che iniziarono i primi rombi lontani. Li percepiva non tanto come tuoni, quanto piuttosto come rumori meccanici - avrebbe detto un coro di motori -, infatti, aveva appena finito di tentarne una decifrazione che quelli si facevano sempre più vicini. Infine li vide. Era uno sciame nero, come le ali di un corvo, composto da centinaia di aerei, bombardieri che con calma apparente in formazione compatta e ordinata si dirigevano verso la città. Avevano attaccato, pensò allora. Lo stupore per quella decisione presa altrove, in stanze piene di fumo, da un nemico che ancora non aveva mostrato tutta la sua determinazione, lo riportò con la mente alle notizie delle ultime settimane che riempivano i telegiornali: notizie parzialmente allarmate, mai però allarmistiche, confuse fra il cicaleccio dei politici nei talkshow e le interviste a cantanti e calciatori. Forse nessuno, nemmeno nelle alte sfere, aveva realmente avvertito il pericolo imminente, confidando nel perenne ricorso alla speranza che, spesso, inaugura e sostiene l'indifferenza o, peggio, la superficialità. Ora tutte quelle congetture si materializzavano in quello stormo nero e serrato, sempre più vicino. Sentiva il rombo con distinta percezione della sua origine: la propulsione che i motori generavano senza però il fruscìo delle ali e delle eliche nella materia fluida dell'aria. Avevano attaccato, stavano attaccando. Le grandi nuvole bianche, rese luminescenti dall'incipiente tramonto che le rendeva ancor più solenni, che in altri casi aveva paragonato a gelati al limone, ora, invece, proiettavano sul loro candido schermo il profilo di quella massa compatta e ronzante.

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Decisamente avevano attaccato. Immaginò che identiche immagini si sarebbero viste anche da altre città dell'isola, o era solo per la sua città che gli stormi si erano levati? Certo era la capitale, ma probabilmente un obbiettivo meno significativo di altri. L'ala nera, fatta da migliaia di ali, stava per sorpassarlo quando si sentirono i primi scoppi. Bombardavano. La città non era rimasta immune dall'interesse dei nemici - ora li chiamava nemici- malgrado l'assenza di obbiettivi militari. Gli aerei che lo avevano superato e che bombardavano più a nord, non si vedevano più, mentre quelli in coda alla formazione sembravano ancora innocui. Ancora per poco, pensò. La città si spense di colpo. Nessuno era più per le strade; i negozi avevano abbassato le saracinesche e i commessi erano corsi fuori per vedere. Le bombe ora cadevano con una frequenza tale da realizzare un ruggito costante più che scoppi singoli: erano migliaia. Un cane attraversava di sbieco la strada, ormai deserta, diretto verso il centro città, il luogo del martirio. La realtà, quella inafferrabile cosa che da anni non riusciva più a cogliere nelle quotidiane intendenze della sua vita, ora lo aggrediva con tutta la sua meravigliosa forza. Sì, era finalmente lui ora, vivo e reale in quella circostanza magnifica, straordinaria, inaspettata che lo aggrediva con una forza e una evidenza mai prima mostrate. Come caricato da un nuovo ardore, anche lui si diresse verso il centro città, ansioso di assistere al suo martirio, che prevedeva definitivo. A conferma di questa previsione si imbatté spesso in decine di cani che trascinavano il loro guinzaglio, fuggendo verso la periferia. Anche per loro la realtà aveva sferrato un attacco efficace. Addentrandosi verso il centro si cominciavano a vedere i primi esiti di quella epifania: alcuni palazzi, colpiti e semidiruti che esibivano le loro viscere. Sale e salotti arredati con dormeuses rosse e cortine ricamate, esibivano per la prima volta la loro storia, in modo laido e scomposto, con travi crollate e calcinacci sulla loro intimità violata. Altrove una bomba aveva sezionato come un coltello il panificio e il forno era messo in mostra, aperto a metà e ancora pieno di pagnotte candide. La violenza si faceva carico di scorticare le apparenze, di far precipitare nel tempo (quel tempo, l'ultimo tempo) i patti a lungo serbati. L'ala nera era passata da poco e le nuvole cominciavano a disfarsi nell'incipiente tramonto. Nulla sarebbe stato come prima. Continuò a camminare in strade sempre più vuote con case scarnificate, ricevendo dovunque conferme della realtà e della sua definitiva efficacia. Fausto Provenzano Palermo 2015


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PACE!!! L'arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è. (Paul Klee) PACE!! Tecnica mista su cartoncino. 40x50 cm. Stefania MELANI PER UN SALTO NEL BUIO Non si viola la vita/per un salto nel buio./Ora gira il fantasma di morte/cieco e senz'ali /sul fragile castello dell'umanità./Tacciono piangendo i padri /sulle labbra mute dei bambini. S. Melani Questo mio dipinto, una tecnica mista su cartoncino, parla di PACE. Il suo titolo infatti è "PACE" In questo momento difficilissimo in cui viviamo l'Arte parla sempre e ci aiuta a dimostrare i nostri sentimenti e le nostre emozioni. Quindi Pace è un'opera quanto mai attuale per dimostrare il desiderio di pace e di bellezza di gran parte dell'umanità. Il mio repertorio contiene molte opere a china ma anche opere miste come questa, oli su tela e acquerelli . Trovo che il segno nero, talvolta affascinante se usato da solo, in alcuni casi lo si possa arricchire con una tecnica mista perché possa esprimere nuovi spazi artistici da esplorare. Sull'opera: "PACE" rappresenta un grande albero, in questo caso è un olivo centenario che dimostra sul suo tronco tutta la difficoltà del mestiere di vivere. Nelle sue fessure il tempo è passato scavando, come nell'animo umano la vita. L'albero rappresenta l'unione fra la profondità della terra e lo spazio sconfinato del cielo, infatti è simbolo del divino. I cerchi concentrici che ha sul tronco interno rappresentano l'età e quindi il trascorrere del tempo. Viene dal culto degli alberi il simbolo dell' AXIS MUNDI L'ASSE DEL MONDO. Sempre dal culto degli alberi deriva il simbolo dell'Arpa, attributo del Dio del fuoco nel popolo dei Celti, DAGDA, che richiamava l'alternarsi delle stagioni dell'anno con il suo suono. L'olivo da sempre simbolo di pace, da quando suggellò la fine del diluvio universale e la ritrovata riconciliazione di Dio con gli uomini dopo il castigo. Dipingo gli alberi, rappresentano le mie vive emozioni dell'anima. "Gli alberi che disegni,sono una soglia di entrata nell'indicibile mondo dell'anima. Le implicazioni cosmiche dell'albero, quale colonna e asse del mondo, mi parlano, della necessità di recuperare le dimensioni archetipali che albergano in noi. L'albero strumento di contatto con la vita.. e collegandoli alle tue parole poetiche a mio parere un maturare in autenticità dell'anima. Stefania tu dimori in un frammezzo, sotto il cielo e sulla terra e qua sta il dimorare della tua poesia" Prof. Claudio R. ( Professore in Psichiatria, poeta, esperto d'arte ) Un cammino di arte e serenità ai miei cari lettori. Stefania Melani

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Confini FAMILIARITA’

Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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