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Web-magazine di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

DEMOCRAZIA E DEMOCRAZIE

Numero 103 Marzo 2022


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Confini Web-magazine di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 103 - Marzo 2022 Anno XXIV Edizione fuori commercio

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettori: Massimo Sergenti - Cristofaro Sola +

Hanno collaborato:

Gianni Falcone Roberta Forte Alfredo Lancellotti Lino Lavorgna Sara Lodi Stefania Melani Alex Porri Antonino Provenzano Fausto Provenzano Angelo Romano Cristofaro Sola Silvio Sposito Florida Stati

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Contatti: confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Sara Lodi e Gianni Falcone

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EDITORIALE

ASIMMETRIE Se fossi un cittadino russo mi chiederei perché agli Stati Uniti, quando hanno attaccato e devastato l'Iraq, con il pretesto di inesistenti armi di distruzione di massa, nessuno ha imposto loro sanzioni o ha minacciato tribunali speciali per crimini di guerra. E mi chiederei ancora perché i russi ricchi sono "oligarchi" e tutti gli altri sono capitalisti, uomini d'affari, finanzieri (come Soros che tanto si è adoperato per esportare la "democrazia" in Ucraina), lobbisti, come quelli delle armi in America che sempre soffiano sui venti di guerra. E mi chiederei ancora perché il Presidente Zelensky è considerato un patriota (per gli amichevoli rapporti con Biden figlio?) nonostante i suoi errori, i fondi e le armi ricevute negli anni da Usa, Nato, Cia e UE, le elezioni tanto stravinte da destare sospetti, a maggior ragione se vinte, in pochi mesi, da un partito fondato da una società di produzioni televisive (Forza Italia impallidisce al confronto) i cui soci sono entrati al governo, un governo che vede un ministro dell'Economia statunitense, mentre il Presidente della Federazione Russa è additato come un dittatore uscito di senno, pur avendo ereditato un Paese demolito dal comunismo ed averlo fatto rifiorire ed avvicinare all'Europa come non accadeva dai tempi degli zar. Certo ha la indubbia responsabilità di aver portato l'esercito in Ucraina, come altri hanno la responsabilità di aver portato la Nato alle sue porte, una Nato che si autodefinisce "alleanza difensiva" ma che in qualche occasione è stata offensiva, come, ad esempio, in Bosnia, in Kosovo, in Afganistan, in Libia, in Siria. L'industria degli armamenti deve pur vivere... e si pasce di guerre che non sono mai belle. Una Nato che da 16 membri nel 1999 è arrivata a 26 nel 2004 ed a 30 nel 2020, allargandosi, guarda caso, esclusivamente a est. Ovviamente tutte "autonome e democratiche" le scelte dei nuovi Paesi membri. Eppure, alla caduta del muro di Berlino ed alla conseguente implosione dell'impero sovietico, Gorbaciov chiese ed ottenne la rassicurazione dagli Usa che la Nato non si sarebbe mai espansa ad est. Richiesta che Putin ha reiterato costantemente negli anni, inascoltato, fino a che non gli è saltata la mosca al naso sentendo Zelensky candidare anche l'Ucraina ad entrare nella Nato. Certo c'é stato il precedente dell'annessione della Crimea che ha teso i rapporti.. ma forse la puzza di bruciato era già intensa. D'altro canto la Turchia si è annessa un pezzo di Siria ma, essendo un membro della Nato, nessuno ha fiatato e niente sanzioni. Anzi ha avuto anche il via libera al massacro dei Curdi che pure erano stati fedeli ed efficienti alleati degli Usa che "democraticamente" li hanno abbandonati al loro destino, come hanno fatto con gli afgani. Qualche bacchettata è arrivata solo quando il "democratico" Erdogan ha deciso di acquistare un


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sistema di difesa missilistico russo rompendo la privativa Usa sulle forniture di armi ai Paesi Nato (vedi F35 e missili). Se fossi un cittadino russo mi chiederei perché le sanzioni, che "non vogliono colpire il popolo russo", stanno affamando quel popolo (residenti all’estero compresi) e cercano di strozzarlo, privandoli persino dei social ma con diritto di insulto ai russi (quei falsi moralisti di Facebook), con "democratica" furia, alimentata dall'orrore per la guerra dei guerrafondai. Certamente, dopo i sequestri, effettuati in deroga a qualunque diritto, nessun russo, per molti decenni a venire, investirà più un rublo nei Paesi sequestratori, a partire dall'Italia che è sempre la prima a darsi, a comando, "democratiche" zappate sui piedi. Se fossi un cittadino ucraino piangerei, cercando di resistere, per l'orrore della guerra, per la patria violata, per la cieca brutalità delle armi. Ma mi interrogherei anche sulla superficialità delle scelte compiute e sulle responsabilità della politica e del governo. Mi chiederei perché il mio presidente, sia pur giustificato dalla rabbia e dalla voglia di vendetta, è pronto a scatenare la terza guerra mondiale. Mi chiederei come mai nessuno ha cercato di mitigare i suoi intenti, di indurlo a più miti consigli, anzi lo hanno rifornito di armi e speranze pompando il suo istrionico ego.... E ancora: come mai la democrazia ucraina è tanto imperfetta da non poter entrare nella UE? Infine, se fossi un cittadino europeo, della sola Europa davvero desiderabile: dall'Atlantico agli Urali, mi chiederei perché nessuno ha chiesto ai russi di entrare nella UE (perché la Nato non vuole? Difficile sopravvivere senza "il nemico") e perché il costo delle sanzioni, volute in primis dagli Stati Uniti, debba scaricarsi, ancora una volta, sugli europei e mai sugli statunitensi che, come sempre, se ne avvantaggiano. E, ancora, prenderei consapevolezza del fatto che più l'Unione Europea si allarga - come la Nato (vuole?) - più si affievolisce la speranza di un'Europa politica. Un'ultima considerazione sull'Occidente e i suoi valori. Magna pars del cosiddetto Occidente sono gli Usa che vinsero il secondo conflitto mondiale e che non esitarono ad usare la bomba atomica su inermi città del Giappone pur di spezzarne la resistenza. Da allora l'Europa è stata in una pace sotto tutela, si è dedicata all'economia ed ai commerci non potendosi dedicare a costruire un'Europa politica (opzione interdetta perché troppo pericolosa), ma il resto del mondo è stato sempre in guerra, fosse pure in uno sperduto suo angolo. Quasi sempre c'è stato lo zampino Usa, pronti all'"esportazione della democrazia" (alla tutela dei loro interessi) anche sulla punta di missili e cannoni, essendo nullo, per una superpotenza (che vinca o perda non importa), il rischio di sanzioni o ritorsioni (quale processo per crimini di guerra è mai stato pensato per il Napalm in Vietnam, per Guantanamo o per i proiettili ad uranio impoverito in Bosnia?). La democrazia è bellissima a dimensione di polis. Man mano che crescono i numeri, cresce la necessità di manipolazione del "popolo bue" (i buonisti la chiamano persuasione) o di brogli. Se così non fosse non ci vorrebbero decine di milioni di dollari per affrontare le presidenziali Usa o ingenti cifre per qualunque elezione con una platea di elettori superiore alla portata di decenti

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suole: 5/10.000. Ergo se non hai risorse finanziarie è difficile che ti eleggano anche se sei Socrate redivivo. Per non parlare dello strapotere del dollaro nel sistema finanziario, uno strapotere capace di strozzare qualunque economia (vedi Russia), un'arma assoluta nel sistema globale (bello il mondo plasmato dal denaro, sic!). A volte può anche succedere che la manipolazione nasca dal basso, per via istrionica, e ti ritrovi i Cinquestelle al governo. Non a caso i Presidenti Usa sono emanazione di potenti famiglie o clan finanziari. Mai che un cittadino qualunque sia diventato presidente e Obama non era uno qualunque. La storia non è finita, caro Fukuyama, essa, come sempre, è fatta di guerre, di ambizioni, lotta per il potere, voglia di conquista, accaparramento di risorse, di morti innocenti, di carne da cannone, di madri che piangono, di famiglie distrutte e di orfani. Anche questa volta i coraggiosi cittadini ucraini, le truppe dell'una e dell'altra parte pagheranno un prezzo di sangue per la volontà e gli errori della politica. Da ultima una chiosa sui valori dell'Occidente: competere per emergere (con ogni mezzo), consumare per consumare (fa n'culo al pianeta), standardizzare per economizzare (la ricchezza delle differenze sic!), scommettere è bello e la finanza innanzitutto, globalizzare i profitti, localizzare i sacrifici, sfruttare il lavoro dove costa meno, controllare con la tecnologia (attenti ai cavalli di trojan, ne immettono a mandrie), comprimere la libertà con la normazione, dietro il paravento dello stato di diritto (cancellabile all'occorrenza come per gli "oligarchi" russi)... Fino a poco tempo fa residuavano la libertà di coscienza, di pensiero e di opinione. Poi col "politicamente corretto" (anche quello d'importazione) è calato il buio. Dio salvi Rasputin (ma non si può dire). Angelo Romano


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DEMOCRAZIA E DEMOCRAZIE Nel corso di questi ultimi dieci anni, numerosissime volte la rivista ha accostato e visitato il tema odierno osservandolo, ovviamente, nel contesto storico-politico-sociale del momento. E, ogni volta, il tema si è arricchito di considerazioni le quali, più che definire la 'democrazia', ha esaminato le disattese e le storture che l'hanno riguardata. Perciò, anche stavolta, credo che l'indicazione del mese non abbia lo scopo di dipingere quel concetto quanto di legarlo alle situazioni in essere, in Italia e nel mondo, così da evidenziarne le sostanziali, ulteriori distorsioni. E spunti di riflessione al riguardo mi sembra ce ne siano a iosa. Così, tanto per rinfrescarmi la memoria, se vado alla definizione di Wikipedia sulla 'democrazia' leggo che per essa etimologicamente s'intende 'governo del popolo', ovvero un sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dal popolo, appunto, solitamente identificato come l'insieme dei cittadini che ricorrono in generale a strumenti di consultazione popolare. La pagina, poi, aggiunge che storicamente il concetto di democrazia non si è cristallizzato in una sola univoca versione, ovvero in un'unica concreta traduzione, ma ha trovato espressione evolvendosi in diverse manifestazioni, tutte comunque caratterizzate dalla ricerca di una modalità capace di dare al popolo stesso la potestà effettiva di governare. E, al riguardo, in conclusione annota che seppur all'idea di democrazia si associ in genere una forma di Stato, essa può riguardare qualsiasi comunità di persone e il modo in cui vengono prese le decisioni al suo interno. La domanda iniziale, quindi, è: possiamo ritenere, alla luce dell'attuale situazione generale, che sia il popolo a governare? Possiamo giudicare degni del nostro mandato i soggetti che abbiamo eletto a rappresentarci? Possiamo oggettivamente ritenere che coloro i quali hanno beneficiato del nostro consenso stiano operando per i nostri interessi? E, si badi, non ne faccio una questione di schieramento quanto di analisi complessiva perché, usando un vecchio adagio, se Atene piange Sparta non ride. Siamo di fronte ad una sedicente 'sinistra' che di tale accezione non ha più nemmeno il colore. E nonostante si definisca 'progressista', per quanto mi sforzi non riesco ad individuare nella sua azione e nel suo comportamento atti che si adattino a quella veste. Ora, sebbene io sia un'altruista fottutamente convinta e abbia una sensibilità fortemente ambientalista, come faccio oggettivamente a pensare che le attese sociali di una comunità, i bisogni basilari di una famiglia, la dignità di una persona, possano essere soddisfatte sbandierando a destra e a manca

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la solidarietà ai migranti? O incentivando l'uso della bicicletta o del monopattino? O abolendo i generi? Nel 2020, in tutta Europa abbiamo assistito al crollo dei salari ma in Italia il fenomeno è stato più marcato. Nell'Eurozona, infatti, il calo è stato del 2,4% mentre in Italia abbiamo superato il 7%. Siamo tornati sotto i 30 mila euro lordi, vicino ai dati d'inizio degli anni 2000. Non solo. Se nel 2019 in Italia, 5mln di persone avevano un salario non superiore a 10 mila euro lordi annui, tutte con 'discontinuità lavorativa', oggi abbiamo 3 mln di precari e 2,7 mln di part-time non per scelta, oltre a 2,3 mln di disoccupati. Dove è il progresso? E non mi si venga a dire che il cosiddetto reddito di cittadinanza serve allo scopo. O, meglio, sarebbe potuto servire come ammortizzatore in attesa del varo di politiche economiche e sociali, strutturali, degne di tale nome delle quali, però, non c'è traccia. Agli illuminati pentastellati c'è chi potrebbe cortesemente spiegare che, secondo le leggi naturali, per raccogliere gli euro occorre che qualcuno li pianti? Mi chiedo, inoltre, se ci sia un settore nel quale abbiano agito o agiscano con proprietà di causa. Ma, mi rendo anche conto che pur mettendosi di buzzo buono nell'istruirli sarebbe fiato sprecato: mi ricordano molto i 'dolciniani', o meglio i 'gazzari', pseudo millenaristi ottusi degli inizi del XIV secolo che, in nome di distorte convinzioni, seminarono tanto dolore. Repetita iuvant. Puntualmente a Davos, luogo ameno delle Alpi svizzere, si svolge annualmente il World Economic Forum dove, tra l'altro, viene presentato il rapporto Oxfam che attesta come, anno dopo anno, la ricchezza si concentri in sempre minori mani. Particolarmente in Italia da ultimo, confrontando il vertice della piramide con la parte più povera della popolazione, il audacia temeraria igiene spirituale fenomeno è inequivocabile. La disponibilità del 5% più facoltoso (titolare del 43,7% della ricchezza nazionale netta) è pari a quasi tutta la ricchezza detenuta dal 90% più povero degli italiani. La posizione patrimoniale netta dell'1% più ricco (che detiene il 24,3% della ricchezza nazionale) vale 20 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione. Non ne faccio una questione di 'proletariato', visto che non esiste più, quanto di piccola borghesia e di ceto medio, anch'esso prossimo all'estinzione. Quindi, alla luce della sintesi dell'inequivocabile disastro sociale, c'è qualche anima travagliata di 'sinistra' o grillina, che possa parlare, con ragione, di giustizia distributiva e di democrazia? Di 'avventurieri' vanagloriosi sicuramente ce ne sono, come purtroppo sappiamo. Il che stimola i miei più ferali impulsi ma mi trattengo perché voglio continuare a credere che serva più la satira che la spada. Per cui, di fronte ad arroganti, vuote asserzioni, con ampio gesto della mano che invita ad andare ubi oportet, mi viene da rispondere con la faccia 'schifata': "Ma mi faccia il piacere", come disse Totò all'On.le Trombetta dopo che gli era parso di ricordare il Trombone di suo padre. Non parliamo della cosiddetta 'destra' che col 'sociale' non ha mai voluto avere a che fare. Chissà, forse in passato, a 'toccarlo' temeva di essere confusa con la 'sinistra' e, quindi, preferiva cavalcare temi come Dio, Patria e Famiglia, culturalmente invisi alla sua 'antagonista' e richiamanti valori di una comunità. Certo, un tempo la ragione c'era: la sensibilità valoriale,


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abbinata alla rettitudine morale, si riscontrava soprattutto nella fascia della media e piccola borghesia, un po' farisaica, un po' meschina e un po' bigotta. Ma, diciamolo, non c'erano eccessivi problemi per chicchessia ad ammannire il pranzo e la cena. Oggi, la cosiddetta 'destra' ha abbandonato quelle tre lapidarie parole che hanno lasciato il tempo peggio di come l'avevano trovato: Dio si è perso nella pervasiva materializzazione, la Patria l'abbiamo consegnata ai ragionieri di Bruxelles e la famiglia si è dissolta tra la cancellazione dell'autorevolezza etica, l'incomunicabilità tra fasce generazionali e gli stressanti assilli della dilagante indisponibilità economica. L'altro tema che diceva esserle caro era quello della PMI, del commercio e delle partite IVA. Mi ricordo ancora la controversa battaglia contro i registratori di cassa. Ma anche quell'argomento sembra averlo piantato lì, considerato che negli ultimi tre decenni non si è visto uno straccio di sostanziale intervento, né a favore delle prime né a vantaggio del secondo e né, tantomeno, in aiuto delle terze: neppure il tanto decantato PNRR le considera degnamente, nonostante l'embrasson nous, ovviamente nell'interesse del Paese. Certo resta il problema di cosa dovrebbe parlare una 'destra' moderna affinché il concetto di democrazia si sostanzi nell'azione: ma ciò, paradossalmente, non sembra riguardare i dichiarati appartenenti che più in là di un fumoso 'sovranismo' non vanno. Mi correggo: da ultimo, hanno aggiunto il 'conservatorismo'. Mi auguro, per loro, che sia solo un errore di semantica. Detto ciò, per non dichiarare da subito la totale cortocircuitazione dell'espressione letterale in esame, si potrebbe almeno pensare che i partiti, se non altro al loro interno, rispettino quei principi di democrazia che puntualmente disattendono con i loro simpatizzanti. In realtà, il delirio d'onnipotenza del 'capo', una volta divenuto tale, cancella quell'accezione dalla gestione interna per sfociare in una sorta di atteggiamento da inciampanato cid campeador o da charlottesco Grande Dittatore. In verità, devo però aggiungere che nella sedicente 'sinistra' questo fenomeno si attenua fino a scomparire. Intanto, le sue frange non fanno testo e sarebbero prive d'effetto se non esprimessero un'ossimora speranza. È la parte più consistente a attirare attenzione la quale comunque si stempera con immediatezza dinnanzi ai temi proposti dal suo Dotto Conducente: lo ius soli in piena crisi economica e pandemica e la fornitura all'Ucraina di armi di difesa moderata: del tipo di mazzafionde, castagnole e tric-trac, come lo ha chiosato Travaglio. Sembra, infatti, che non ci siano problemi di democrazia tra i monaci tibetani, distaccati dalle terrene cose. Sono i 'grillini' e la 'destra', invece, a suscitare maggiori considerazioni: i primi, nonostante la famigerata piattaforma Rousseau, sembrano avvezzi alle 'purghe' persino nei confronti di chi non batte tre volte i tacchi davanti all'effige del 'capo'. Dopo aver urlato per anni nelle piazze richiami alla giustizia e alla democrazia, hanno elevato ad obiettivo strategico quello della Repubblica delle Banane. La seconda, invece, sembra provare un gusto perverso a fare piazza pulita di tutte le teste pensanti. Che il piattume intellettuale sia l'orizzonte verso il quale tendono affinché nessuno possa disturbare le delicate manovre del vetturiere nel piazzale? È pensabile, dal momento che un'ipotesi simile sembra essere in linea col loro agire.

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Atteso che i pentastellati sembrano guardare alla Cina, le due nostre facce storiche dell'acciaccata medaglia sembrano invece rivolte a Ovest, verso gli States: tutte e due scodinzolanti in cerca della carezza americana; gli uni, per primi in verità, protesi verso i cosiddetti Democratici al punto da celebrare, ai tempi di Clinton, il congresso veltroniano del 2000 sotto lo slogan 'I care', ci tengo, caro pure a Don Milani (con una fava due piccioni), per poi inneggiare al 'We can', noi possiamo, di obamiana memoria. Gli altri, ovviamente, allungati a pancia all'aria verso i cosiddetti Conservatori, come ha attestato la loro presenza all'election day di Trump e come, tra l'altro, ha rilevato il loro recente intervento alla convention dei Repubblicani in Florida. Ci sarebbe da discutere sui dettami della 'democrazia' nell'ottica americana ma non è il momento. Resta il fatto che dopo un bagno ristoratore di folla negli States, la prima cosa che è passata per la mente ad uno dei leader della cosiddetta 'destra' è minacciare di sanzioni chiunque tra i dirigenti metta in dubbio l'Occidente contro i russi: 'al di là delle responsabilità della guerra'. No Comment, per restare nel clima. Nell'oppressivo MSI, mi sovviene Rauti che sull'opposizione al vertice e sullo 'sfondamento a sinistra' costruì la sua pluridecennale carriera. Oggi, in epoca moderna, civile e ovviamente democratica, sarebbe gettato in pasto ai leoni dopo essere stato fustigato a lungo. Mi fermo un attimo perché temo che vi sia chi possa pensare che io stia accusando l'Italia di essere ricettacolo di ogni dispotismo. In realtà, il nostro Paese è in ottima compagnia e la 'democrazia' non gode di migliore salute in altri luoghi. Non voglio tranciare giudizi su altri sebbene audacia di prepotenze ve ne siano a iosaspirituale e persino di maggiore, plateale evidenza. Alcuni tra temeraria igiene questi, in relazione alla pandemia ad esempio, hanno scelto addirittura la via dell'imposizione violenta di ignobili provvedimenti rispetto all'ipocrita atteggiamento nostrano. Nel civile Occidente c'è persino chi ha pensato di impedire l'ingresso nei supermercati e l'uso del bancomat ai non vaccinati Covid, naturalmente in aggiunta all'interdizione del loro ingresso in una banca. Per non parlare di cariche e di manganellate a profusione su inermi manifestanti semplicemente per il loro dissenso. Un tutto nel mutismo totale di partiti di maggioranza e di opposizione. Ma questo, come detto, riguarda i singoli Stati. Invece, voglio provare a ribaltare il concetto e parlare di Europa che, come sappiamo, non ha mai goduto di alta considerazione nelle comunità nazionali. Anzi, diciamo che spesso è stata destinataria dei più feroci strali e a volte, anche i più convinti europeisti, al pari mio, di fronte ad atteggiamenti di totale ottusità, sono arrivati ad auspicarne un passo indietro. Leggasi, fra tutti, il comportamento nei confronti della Grecia. Quanti sanno, ad esempio, che dal 2018 ad oggi più di 10.000 siti archeologici, oasi ambientaliste e musei sono stati affidati al TAIPED, Fondo per la Valorizzazione (sic) del Patrimonio Privato dello Stato, incaricato di privatizzare i beni pubblici greci, reso operativo nell'ambito di quel piano di salvataggio del Paese che ha imposto la vendita all'asta di tutti gli attivi pubblici? Chi si oppone può naturalmente fare ricorso ma i tempi di istruzione si prevedono biblici. E ciò, neppure a dirlo, in nome della democrazia.


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Ad ogni buon conto, vi sono state due recenti occasioni dove l'Europa è stata invocata a viva voce persino dai più strenui oppositori e dal più distratto dei passanti: la pandemia e l'Ucraina. Un anelito comunitario di democrazia mai manifestato. Provare a dare una risposta univoca nel primo caso sarebbe stata un'opportunità irripetibile sulla strada della coesione. Nel secondo, poi, sarebbe stata un'azione doverosa, dal momento che, dal 2024 l'Ucraina sembra abbia il titolo di candidato membro e dal 2030 o giù di lì dovrebbe divenire componente effettivo. Ma, ciò che ha contraddistinto l'Europa in ambedue le occasioni è stata l'evanescenza, il fading, del suo attuale essere. Eppure, se guardo la composizione della Commissione, tra gli altri trovo un Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, un Commissario per la salute, un altro per la gestione delle crisi e ancora un altro per la politica di vicinato e di allargamento. Non c'è neppure da pensare che la scelta dei Commissari da parte dei rispettivi Stati non sia caduta su personalità di spicco, come i dettati istituzionali richiedono, e che il tutto non sia stato condito con un doveroso, essenziale agire democratico. Però … Un grande comico del passato, Ettore Petrolini, doveva girare due scene: una concernente un pranzo luculliano e l'altra rappresentante un'orgia. S'avvicino alla tavola, affamato dopo una settimana di digiuno, e cominciò ad addentare ma subito s'accorse che le bistecche e i polli erano di cartone pressato mentre il vino era acqua colorata. Allora, deluso, pensò di rifarsi con le gioie del sesso ma, mentre si ritrovava con un braccio di qua e una gamba di là, ecco il regista che sopraggiunse infuriato: "Fermo, fermo, si fa per finta.". Pure questo? si chiese tra l'incazzato e il depresso. Per cui, torno a chiedermi: in cosa dovrebbe sostanziarsi la democrazia secondo il concetto italiano ed europeo? Nel passato numero, scrivevo che Mala tempora currunt sed peiora parantur e l'avevo lasciata lì perché non mi era venuto in mente Shakespeare e la sua versatilità: "… Tis the time's plague when madmen lead the blind"1. È la piaga del tempo quando i pazzi guidano i ciechi. E qui, in effetti, dobbiamo soffermarci un attimo per decidere se sia nato prima l'uovo o la gallina: un quesito lasciato insoluto nel precedente scritto. In verità, non sarebbe molto importante stabilirlo se non fosse per il fatto che la risultanza dell'interrogativo sembra in ogni caso attestare che la democrazia, per come comunemente la intendiamo, mostra irrimediabilmente la corda. Pare che Churchill un giorno abbia detto che "The best argument against democracy is a fiveminute conversation with the average voter". Il miglior discorso contro la democrazia è una conversazione di cinque minuti con l'elettore medio. Già. Ho letto, di recente, un'interessante tesi di dottorato dal titolo ' Democrazie in crisi epistemica' dove in premessa viene detto che "…l'attenzione sarà rivolta al terminale "a monte" del processo di legittimazione democratica, ossia il popolo nella sua specifica veste di corpo elettorale votante. Si cercherà di mostrare come esso, risultando nel complesso macroscopicamente disinformato e irrazionale nell'esercizio della propria funzione, spinga l'intero sistema verso l'assunzione di decisioni subottimali, indebolendone la capacità di affrontare con successo le sfide della contemporaneità. Si vedrà come una simile dinamica rischi di ingenerare un pericoloso circolo

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vizioso, poiché questa "inefficienza politica autoindotta" tende a portare progressivamente verso - e ad essere a sua volta acutizzata da - una crisi di fiducia nelle istituzioni in quanto tali.". In pratica, il colto estensore sembra muovere dal presupposto che a fare della politica nostrana, e per certi aspetti europea, quel brodo primordiale che è siamo stati noi, gli elettori. Il che ci sta, dal momento che siamo noi a dar loro la patente e più noi ci 'imbarbariamo' e più la scelta che esprimiamo è coerente col nostro essere. Ma ci dovrà pur essere stato un momento in cui il funzionale paradigma di rappresentato/rappresentante si è rotto. E quel momento, torno per l'ennesima volta a ripetere, lo colloco all'avvio degli anni '90, con la cancellazione della 'vecchia e corrotta politica', con l'avvento della nuova Europa fondata solamente sulla moneta, col dilagare del post-modernismo inteso come ventata di libertà che ha cancellato autorevolezza e, per derivato, l'unicità della verità. Un quadro che si completa con l'abbattimento delle ideologie, che costituivano un orizzonte politico, nel presupposto della loro nefanda azione, privando il cittadino di passione e di ideali. Così, di libertà ne abbiamo a bizzeffe da esercitare a pagamento e la verità la cerchiamo nei commenti dei social forum, insieme all'affermazione forsennata della nostra 'identità' divenuta un piatto di fettuccine ai funghi, uno stinco di maiale, un dolce caramellato, un monte all'imbrunire, un'alba sul mare, un prato in fiore, accompagnati da facce ridenti e da atteggiamenti festanti di tutti i componenti la famiglia. Social forum sui quali postiamo i nostri gusti, i nostri interessi, i nostri affetti, le nostre critiche, i nostri piaceri, le nostre opinioni culturali e politiche. In pratica, 'postiamo' noi stessi: inascoltati dalla sfera pubblica in costante contrazione, ci illudiamo di aver trovato valida sostituzione alla democrazia nella sua forma tradizionale e ai suoi strumenti Ma, diciamolo subito, è una pia illusione in quanto la favola non dura per sempre. I più accreditati social forum hanno preso l'abitudine di 'bannare' le comunicazioni degli utenti che non rispondono a determinati canoni stabiliti dal gestore. Si è addirittura verificato il caso che commenti e documenti ufficiali riferiti ad una situazione nota, 'postati' a sostegno di una tesi, siano stati 'cancellati', probabilmente perché non ritenuti convenienti. Quindi, con Chomsky che ci dice che i massmedia tradizionali sono divenuti il 'sostegno' strumentale dei 'padroni del mondo', con le pubbliche istituzioni nane, con la politica che latita, con l'elettore medio disinformato e con quelli più intraprendenti 'bannati' dai 'liberi' spazi digitali di comunicazione, dov'è l'andiamo più a cercare la democrazia? Purtroppo, però, non è soltanto la 'democrazia' di per sé ad essere vilipesa. Byung-Chul Han, filosofo coreano residente in Germania, docente in Berlino di Teoria della Cultura, nelle sue diverse pubblicazioni2 esamina la questione 'democrazia' nelle varie sfaccettature e, a proposito del discorso in essere, due suoi argomenti mi hanno particolarmente colpito: quello relativo alla 'società dell'indignazione' e l'altro riguardante la 'democrazia degli spettatori'. La 'società dell'indignazione', ci dice Byung-Chul Han, è la costruzione di una società, priva di compostezza e all'insegna del sensazionalismo. L'insistenza e l'isteria, tipiche della società dell'indignazione, non ammettono comunicazione discreta, obiettiva, nessun dialogo, nessun


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discorso. Le ondate di indignazione, inoltre, presentano un'identificazione minima con la società, dunque non costruiscono alcun Noi stabile, alcuna cura per la stessa società. Anche la preoccupazione dei cosiddetti indignati non è per la società, ma è più che altro per sé stessi. Di conseguenza, torna a disfarsi rapidamente. Il filosofo, poi, cita l'Iliade e ricorda l'incipit: Cantami, o Musa, del Pelide Achille l'ira funesta … e sottolinea che lì, l'ira è narrativa, epica, perché produce determinate azioni. La massa indignata di oggi, invece, è oltremodo superficiale e distratta: le manca qualsiasi massa, qualsiasi gravitazione necessaria per le azioni. Non genera alcun futuro. In pratica, l'abbiamo sperimentata a proposito dei vincoli e degli obblighi durante la pandemia e credo che l'esperimento prosegua con gli eventi bellici in Ucraina. La 'democrazia degli spettatori', invece, è un tantino più articolata. Qui, il filosofo comincia a lasciar intravedere le cause perché, testualmente, afferma che: "[…] Il neoliberalismo fa del cittadino un consumatore. La libertà del cittadino cede alla passività del consumatore. L'elettore in quanto consumatore non ha, oggi, alcun reale interesse per la politica, per la costruzione attiva della comunità. Non è disposto a un comune agire politico e neppure ne è capace: reagisce solo passivamente alla politica, criticando, lamentandosi, proprio come fa il consumatore di fronte a prodotti o a servizi che non gli piacciono. Anche i politici e i partiti seguono la logica del consumo: devono fornire. Perciò, si presentano essi stessi come fornitori, che devono soddisfare gli elettori intesi come consumatori o clienti. La trasparenza, che oggi si esige dai politici, è tutt'altro che una pretesa politica. Non si rivendica … nei processi decisionali, ai quali nessun consumatore s'interessa. (Il suo) imperativo … serve soprattutto a mettere a nudo i politici, a smascherarli o a suscitare scandalo. La (sua) richiesta … presuppone uno spettatore che si scandalizza: non è la richiesta di un cittadino impegnato, ma di uno spettatore passivo. La partecipazione avviene come reclamo e lamentela: la società della trasparenza, popolata da spettatori e consumatori, dà vita a una democrazia degli spettatori. […]"3. Tradotto sul piano pratico, noi ci illudiamo che attraverso i canali e gli spazi ritenuti alternativi di 'democrazia', sia non solo possibile declinare la 'libertà di essere' ma ottenere anche la verità. Ed in tale convincimento, volontariamente 'postiamo' noi stessi e tutte le manifestazioni del nostro essere: dati sui quali, successivamente, non abbiamo più alcun controllo. Il che è una prima lesione della libertà. Ma c'è di più. I big data sono uno strumento psicopolitico estremamente efficace, che permette di estrarre un sapere sconfinato sulle dinamiche della comunicazione sociale. Questo è un sapere di dominio, che consente di avere accesso alla psiche e di influenzarla su un piano preriflessivo in quanto i big data permettono di elaborare previsioni sul comportamento umano: in questo modo, il futuro diventa calcolabile e controllabile. E, nel futuro, non sembra esserci spazio per la 'persona'. Per cui, qualunque fenomeno, qualsivoglia azione, utile a determinati interessi, può essere prospettata in un dato modo onde suscitare un consenso indignato che lascia il tempo che trova, è vero, ma corrobora la 'democraticità' dell'evento al quale, peraltro, noi assistiamo dai divani delle nostre case, dimentichi al suo cessare dell'evento stesso e delle sue dinamiche. E se puta

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caso la nostra indignazione fosse di segno avverso al 'superiore' volere e se avessimo voglia di manifestarla, nella piazza incontreremmo la superficialità, la distorsione quando non la disattenzione dei media tradizionali mentre in quelli digitali andremmo incontro alla 'bannatura' visto l'effetto virale della comunicazione. E ciò, a parziale sconfessione del sig. Churchill e dell'estensore della tesi giuridica: non c'è da stabilire se l'effetto di una tale disgregazione politica, sociale e civile sia dovuta all'uovo o alla gallina. È semplicemente una manipolazione genetica e un processo in vitro. Oddio, dimenticavo: accanto agli 'indignati' e agli 'spettatori', tra i vari eccipienti c'è necessità anche degli imbecilli. Non sono mancati per i tragici eventi delle ondate migratorie dove, nel totale disinteresse del futuro di quei disgraziati ed in assoluta assenza di una politica dell'accoglienza, c'è stato chi volesse abolire crocifissi nelle aule e presepi nei periodi natalizi. Così, nella crociata contro la plastica, si sono fatti un nome quei presidi e quegli insegnanti che hanno vietato l'ingresso in aula di merendine cellofanate. E parimenti dicasi per la pandemia dove la scienza si è arresa di fronte al palindromo del Marchese di Palombara: 'Si sedes non is'; non sapendo in quale verso leggerlo, hanno fornito indicazioni a caso. Analogamente, ce li ritroviamo nei fatti dell'Ucraina. Qualcuno sa spiegarmi perché gli hotels a Rimini dovrebbero essere chiusi per turisti russi, sostenitori di Putin? Che si fa, al banco della reception al turista insieme al green pass si chiede la preventiva sconfessione del presidente russo, secondo la vignetta di Vauro? E per quale accidente di motivo un corso di letteratura su Dostoevskij, pena la cancellazione, dovrebbe essere accompagnato da un corso su un autore ucraino? Perché sono state 'bannate' da fiere del libro opere di autori russi? Tra poco, c'è da credere, anche Tolstoj incapperà nei rigori della censura e si chiederà alle case editrici di cambiare il titolo di 'Guerra e Pace'. Non c'è verso, sono congeniali eccipienti del processo in vitro anche se c'è da pensare che creino qualche imbarazzo ai ricercatori impegnati. Comunque, fanno colore e, poverini, pensano di dimostrare così un'identità e una dirittura morale che, diversamente, con ogni evidenza, fanno fatica a reperire. Non sono preoccupanti. Ciò che preoccupata molto, invece, è tutto l'impianto che accomuna le 'democrazie' occidentali, al di là dei colori della divisa, che Dio non voglia diano ragione a Shakespeare. Premesso doverosamente che sono nettamente contraria alla guerra alla quale contrappongo il più strenuo confronto diplomatico e che stigmatizzo fermamente il comportamento aggressivo del presidente russo, da convinta arcidemocratica ho da ultimo una serie di domande da porre: - Si afferma da più parti, con documentazione, che nel 1992, alla caduta dell'URSS, in sede di negoziati tra Gorbaciov ed esponenti delle democrazie occidentali si sia convenuto di lasciare attorno ai confini russi una zona di rispetto, priva della presenza Nato4. Cos'è cambiato? - Insieme ad altri documenti sullo stesso argomento, circola un video secondo il quale, nel 1997 al Consiglio Atlantico l'allora senatore del Delaware Joe Biden, afferma che una guerra in Europa sarebbe scoppiata se la Nato avesse tentato di "annettere … gli Stati Baltici". "Sarebbe l'unica


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mossa che rischierebbe di provocare una riposta vigorosa e ostile da parte della Russia e spostare 5 gli equilibri tra Russia e Usa". Cos'è cambiato? - Abbiamo visto dai servizi di valorosi corrispondenti le brutture della guerra e, soprattutto, le tragedie umane dei profughi e, particolarmente dei bambini. Ma, mi chiedo, perché analoghi servizi non sono passati nella guerra in Iraq? Perché non hanno documentato nel 1999 il risultato dell'intervento 'umanitario' dell'Alleanza Atlantica su Belgrado, attuato contro la risoluzione ONU, che in 2.300 attacchi aerei in 78 giorni ha scaricato 21.700 tonnellate di bombe su impianti militari ma anche su case, ospedali, ponti, scuole e fabbriche?6 Perché mancano testimonianze sull'attacco ucraino al Donbass nel 2014 e sulla strage di Odessa per i quali nessun processo è stato intentato a chicchessia?7 - Il mondo, in ricordo di Chernobyl, è stato col fiato sospeso ed ha trepidato alla notizia di un bombardamento missilistico russo sulla centrale nucleare di Zaporizhzhya. Può essere che in 8 realtà si sia trattato solo del lancio di un … bengala? . - Giustamente sono state poste sanzioni contro il Paese aggressore. Sembra, tuttavia, che l'Ucraina non abbia ancora dichiarato guerra alla Russia. A detta dell'analista Suydal'zev, perché è in attesa di ricevere il pagamento dei diritti di transito del gas che continua a passare. Nel solo giorno 13 marzo si afferma ne siano transitati ben 110 milioni di m39 . È vero? - Sempre a proposito di sanzioni, è concepibile che nel contempo Wall Street si avventi a basso costo sul debito societario russo? Sembra, infatti, che tra le più attive banche d'affari statunitensi 10 vi siano Goldman Sachs Group Inc. e JP Morgan Chase & Co. - Goldman Sachs, alla luce dei fatti bellici in Ucraina, ai fini della resilienza e della ripresa, vede 11 Italia e Germania come maglie deboli del sistema . Ciò posto, perché i tedeschi hanno costruito un gasdotto dalla Russia dal costo di 11 miliardi di euro e poi, neppure in odore d'inizio delle ostilità con l'Ucraina, l'hanno chiuso? - A proposito dell'Italia, ed il relazione alle parole del Presidente Draghi nel vertice informale di Versailles: "sebbene sia "grandemente esagerato" parlare di economia di guerra, bisogna essere "reattivi e preparati" per "non soccombere all'angoscia". Atteso che il nostro fabbisogno relativo al gas è sopperito per meno del 50% da Algeria e Libia, chi mai potrà provvedere per la parte mancante? - Qualcuno invoca l'Europa. Visto l'immobilismo, credo che i singoli leaders siano in giro a 'cercare'. Non sarebbe opportuno in Italia riesumare i progetti sul petrolio dell'Adriatico (ora sfruttato dai croati), sul gas in Emilia, sul gasdotto di Puglia, sui rigassificatori in numero adeguato, bloccati da una non lungimirante (sono molto educata) politica 'verde'? - Ed a proposito di rigassificatori, nel presupposto di avere impianti in numero adeguato, per chi è conveniente la proposta americana di rifornire di gas l'Europa, visto il costo finale? - In Europa, insieme al gas, manca l'acciaio. L'Ilva, prima che una sconsiderata gestione del problema portasse alla chiusura, era tra i maggiori fornitori. La Severstal russa era un altro, vendendone all'Europa circa tre milioni di tonnellate all'anno. Le autovetture tedesche, già oggi

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previste in consegna a 10/11 mesi, a seguito delle sanzioni con quale materiale laminato verranno fatte? - Perché i servizi pubblici statunitensi spingono la Casa Bianca a non sanzionare l'uranio russo?12 13 - E, infine. Che ne è dell'Ucrainagate? Mi rendo conto che le risposte sono impegnative ma resto dell'avviso che vi sia chi le conosce tutte, a vulnus ancora una volta della democrazia. Detto ciò, non mi resta che ribadire l'auspicio che Shakespeare, attese le piaghe del tempo, si sia totalmente sbagliato nel definire il tiro. Roberta Forte

Note: 1. William Shakespeare, Re Lear, Atto IV, Scena 1 2. Nello sciame – Che cos'è il potere – La società senza dolore – Psicopolitica – La fine dell'agire comunicativo 3. Byung-Chul Han – Psicopolitica – Figure Nottetempo – ebook – pag. 16 4. Nuovo Giornale Nazionale – Silvano Danesi – 28.2.2022 5. idem – nonché Nuovo Giornale Nazionale – Francesco Pontelli – 26.2.2022 - nonché Il Giornale – 11.3.2022 6. Diritti Globali – 30.1.2021 7. Report on the human rights situation in Ukraine 16 February to 15 May 2016, su ohchr.org, Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, p. 24. 8. Orietta Moscatelli – caporedattore Askanews e redattrice Limes – TG3 Lineanotte – 4.3.22 9. 'Lettera da Mosca' - 13.3.2022 10. Bloomberg 13.3.2022 11. Milano Finanza – Elena del Maso - Goldman Sachs: ltalia e Germania porteranno l'Ue in recessione. È il costo della guerra – 11.3.2022 12. Reuters 2.3.2022 13. Nuovo Giornale Nazionale – Silvano Danesi – I nodi vengono al pettine - 7.3.2022


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DEMOCRATICI DI TUTTO IL MONDO... ANDATE AFFAN* INCIPIT "Se chiudo gli occhi vedo talvolta un paesaggio oscuro con pietre, rocce e montagne all'orlo dell'infinito. Nello sfondo, sulla sponda di un mare nero, riconosco me stesso, una figurina minuscola che pare disegnata col gesso. Questo è il mio posto d'avanguardia, sull'estremo limite del nulla: sull'orlo di quell'abisso combatto la mia battaglia". (Ernst Jünger) **** Caro direttore, questo mio scritto non si configura come "articolo" precipuamente incentrato sul tema del mese, anche se da esso ispirato, ma come lettera a un amico intellettuale, alla stregua di quanto avveniva un tempo, tra illustri personaggi che dissertavano con lunghi scambi epistolari su varie tematiche. Una lettera, quindi, scritta sicuramente senza alcun ricorso all'inutile retorica, ma anche senza falsa modestia per rispetto del politically correct, concetto che affettuosamente mando a quel paese, alla pari dei destinatari inclusi nel titolo, perché arriva il momento, per ciascuno, di scoprire le carte abbandonando ogni cautela diplomatica. Il rispetto del prossimo non può prescindere da quello verso sé stesso, che deve assolutamente precedere il primo affinché non diventi un fardello pesante da sopportare. Se oggi ti inviassi un bel trattato socio-filosofico sui mali della democrazia, come meglio trasparirà leggendo il seguito di questa lettera, mancherei di rispetto a me stesso e ne soffrirei. Mi esimo, quindi, facendo mio il suggestivo monito magistralmente recitato da quello straordinario attore che risponde al nome di Toni Servillo, nello stupendo film "La grande bellezza": "La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto 65 anni, è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare". Aggiungo: "Soprattutto se quelle cose siano abbondantemente già state fatte". Facciamo un po' di conti. Esattamente cinquanta anni fa, proprio in questo mese, un uomo di grande valore e profonda cultura, storico di scuola vichiana, severo fustigatore del malcostume e delle cattive coscienze, mi consegnò un tesserino, accompagnando il gesto con una esortazione che, in virtù della sua voce delicata e imperiosa allo stesso tempo, assumeva la connotazione di un ordine da rispettare senza riserve: "Questo tesserino non fa ancora di te un

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giornalista sotto il profilo legale, ma da oggi di un vero giornalista devi rispettare tutte le regole. Sicuramente sbaglierai tante cose; sicuramente ne scriverai altre che un giorno ti faranno sorridere e tutto ciò non è grave. Due sole cose, invece, sarebbero veramente imperdonabili: mistificare i fatti e scrivere una cosa pensandone un'altra. Tanti auguri e buona fortuna". Il suo nome è Nino Tripodi, aveva 61 anni e dirigeva il "Secolo d'Italia", di cui divenni corrispondente da Caserta. Io di anni ne avevo diciassette e il cuore mi batteva forte, ritenendo, con l'ingenuità tipica di quell'età, che mi accingevo a cambiare il mondo. Studiavo molto e, nonostante per ovvi motivi non potessi certo vantare la preparazione che avrei gradualmente acquisito negli anni e nei decenni successivi, sulla democrazia avevo già le idee "abbastanza" chiare, anche se racchiuse in una nebulosa concettuale che si sarebbe diradata sempre più consistentemente, anno dopo anno, fino a sparire del tutto. Considerando, quindi, una media di almeno due articoli al mese su argomenti che direttamente o indirettamente riguardavano la democrazia (incominciai quasi subito a scrivere anche su altre testate) in cinquanta anni fanno la bellezza di ben 1200 articoli, cifra che se è errata, lo è per difetto. Quanta fatica! Quanto impegno! Quanto studio per andare a fondo delle cose! Nel 1975 scandalizzai tutti con la frase del manifesto elettorale che vedi nella foto. Anzi, a dirla tutta, scandalizzai più gli amici che gli avversari politici. Gli avversari che detenevano le leve del potere non davano alcun peso a ciò che diceva un ventenne di destra; quelli di sinistra attaccavano a prescindere, secondo le ben note regole che caratterizzarono gli anni di piombo. A molti amici, invece, il mio coraggio dava fastidio, perché fungeva da metro di valore comparativo, costringendoli ad accettare amare verità. La cosa buffa, ritornando al tanto impegno profuso nel denunciare i limiti della democrazia, è che ho sempre esercitato l'attività giornalistica per mera passione, avendo dato priorità, sotto il profilo professionale, ad altre attività. Solo in età adulta, più per sfizio che per necessità, ho perfezionato la pratica per l'iscrizione all'Ordine. In pratica, economicamente, l'impegno profuso, eccezion fatta per il periodo televisivo (che però è durato pochi anni) ha reso molto poco. Le migliaia di articoli non hanno cambiato di una virgola il flusso degli eventi terreni, influendo molto, invece, sulla mia vita: se invece di scrivere di politica, storia e filosofia, infatti, avessi accettato le tante proposte di collaborazioni ben retribuite per curare le rubriche "marchetta" con le quali si pubblicizzavano in modo indiretto varie attività commerciali, avrei guadagnato una barca di soldi e ora sarei ricchissimo. Pazienza. Ho scelto di fare sempre ciò che più mi piaceva e va bene così. Ma ora, perdonami, non ne posso più. Sono stanco di ripetere sempre le stesse cose e ti sto scrivendo da un ameno paesino, sulla costa abruzzese, dove mi sono rifugiato da alcuni giorni per respirare aria di mare, che mi è mancata tanto negli ultimi due anni. Ho voglia di passeggiare sulla sabbia e di farmi accarezzare dal vento, mentre lo scroscio delle


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onde si trasforma in musica e, per quanto possibile, almeno per qualche ora, distoglie la mente dai cupi pensieri di guerra e di pandemia. Del resto cosa potrei dire di più di quanto già detto in passato? Senza andare troppo a ritroso nel tempo bastano e avanzano i tanti numeri di CONFINI nei quali è stato ampiamente dibattuto il fallimento della democrazia come sistema politico e lo sconcerto nel dover accettare che i voti di taluni abbiano lo stesso peso di quelli espressi dai babbei che non sanno distinguere il grano dal loglio e sono sempre pronti ad affidarsi al messia di turno, salvo poi buttarlo nella polvere non appena si rendano conto di aver preso un abbaglio, per poi ricadere nello stesso errore, perpetuando un ciclo vizioso che fa cascare le braccia. Oggi sento e leggo cose oscene, molto più oscene di quelle, pur gravi, lette e ascoltate durante gli ultimi due anni segnati dalla crisi pandemica. Non ho nessuna voglia, quindi, di mischiarmi col ciarpame ciarliero dei tanti pseudo-analisti pregni delle loro certezze spacciate come dogma nei media e, soprattutto, nei salotti televisivi divenuti arene nelle quali ciascuno cerca di sovrastare l'altro, parlandogli addosso anche in modo sconcio, senza alcun rispetto per un serio e civile dibattito. E soprattutto non ho nessuna voglia di dover continuamente replicare alle accuse di "essere a favore di…" sol perché "sono contro l'altro", dopo tutto quello che ho scritto sugli Usa, sulla Nato, sull'Unione europea. È davvero fastidioso dissertare con chi parli a vanvera, non solo senza sapere nulla di cosa vi sia dietro ciò che dice, ma soprattutto senza conoscere il reale pensiero dell'interlocutore. E non è che si possa sempre partire dal principio. Che dovrei fare, inoltre? Tirare sberle metaforiche anche a Franco Cardini, i cui testi hanno costituito parte importante della mia formazione? A Marco Travaglio, dal quale ho imparato a esercitare con "gusto" la professione giornalistica, usando l'ironia e il sarcasmo per massacrare chi lo meritasse e soprattutto a ben archiviare le dichiarazioni dei potenti, in modo da sputtanarli al momento opportuno, proprio come fatto in altro articolo di questo numero? A Luciano Canfora, che sarà pure di sinistra, ma mi è stato sempre molto simpatico, non fosse altro per l'assoluto idem-sentire su molte tematiche, a cominciare da quelle che afferiscono alla storia romana? Ne cito solo tre, tra i più importanti, che in queste settimane di guerra con le loro insulse argomentazioni mi fanno venire conati di vomito e mi fanno stare male, in virtù del fatto che li considero "amici". E poi vi sono tutti gli altri, cantanti, cabarettisti, passanti, autentici signori nessuno, che in qualche modo riescono a guadagnare la ribalta mediatica, propinando la propria ricetta alle parti in causa per risolvere il problema, che per lo più si riassume con l'invito al popolo ucraino e al suo presidente di non farla tanto lunga, di inginocchiarsi al cospetto di Putin e mettersi al suo servizio, avendo già rotto abbastanza le scatole perché di restare al freddo per colpa loro (degli ucraini, non di Putin che li ha invasi) non è proprio cosa. Tutti esperti di geopolitica e strategie militari e pazienza se dicono corbellerie sulla Nato, scambiandola per una organizzazione "offensiva" anziché "difensiva" e sul diritto del popolo ucraino di scegliere autonomamente il

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proprio destino, insieme con tante altre cose che non val la pena citare, chiudendo qui il discorso, perché quando sono tanti i nani che parlano, i giganti fanno bene a tacere. Con tanto affetto, Pasquale Michele Pompeo Lavorgna detto Lino, alias Galvanor da Camelot il cavaliere errante, figlio di Lorenzo detto "il buono" e di Giuseppina Federico, la "Maestra", discendente della stirpe di Gambara, Ibor, Aio, Alboino e Adelchi, europeo fino al midollo con retaggio ancestrale che si perde nella notte dei tempi, nonché indomito fautore di quella Patria comune che un giorno si chiamerà STATI UNITI d'EUROPA, faro del mondo e tutrice di pace.


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DALLA PARTE DEL BUONSENSO Nessuno pensa che i russi abbiano avuto ragione ad aggredire l'Ucraina. Il ricorso alla forza, in teatri complessi come l'Europa, è profondamente sbagliato e gli ucraini impegnati a difendere la propria Patria meritano ammirazione e rispetto. Punto. Tuttavia, tra il riconoscere l'errore gravissimo commesso da Mosca e applaudire acriticamente alla reazione isterica dei Paesi del Blocco occidentale, corre un abisso. A bendarsi gli occhi in presenza di colossali stupidaggini che a Bruxelles, a Washington e nelle principali capitali europee si stanno compiendo, non ci renderà più liberi ma solo complici di un immane disastro. Che qualcuno pagherà più degli altri. Cassandra non c'entra, bisogna guardare in faccia la realtà. Dall'accelerazione delle iniziative sanzionatorie prese nelle ultime ore appare chiaro che i governi dell'Unione europea stiano puntando sulla caduta di Vladimir Putin e sull'implosione del suo potere autocratico. Una convinzione che si alimenta quotidianamente di suggestioni non verificabili e che ha fornito certezze, che tali non sono, ai decisori politici europei. La prima. La forza d'invasione non è riuscita a prendere la capitale Kiev e le principali città ucraine nei primi giorni dall'inizio delle operazioni belliche, ergo: la blitzkrieg voluta da Putin è fallita. Domanda: da quando una guerra lampo, per essere classificata tale, deve risolversi nell'annientamento della resistenza nemica in meno di una settimana? La seconda. L'ondata di sanzioni economiche che si stanno abbattendo sulla Russia porterà al default della nazione, al quale seguirà la crisi degli approvvigionamenti di generi di prima necessità e, subito dopo, la ribellione delle masse depauperate. Domanda: quali elementi di certezza hanno in mano i capoccioni europei per asserire l'impossibilità del Governo russo di reggere l'impatto delle sanzioni? La terza. Gli oligarchi della sfera del presidente Putin, di fronte al sequestro dei loro immensi patrimoni, depositati nelle banche dell'Ovest europeo, potrebbero ordire una congiura di palazzo per eliminare l'ormai scomodo "benefattore". Domanda: Vladimir Putin, cresciuto professionalmente nel Kgb ai tempi dell'Unione sovietica, in grado di eliminare fisicamente i suoi oppositori - cosa di cui l'Occidente da anni lo accusa - sarebbe tanto sprovveduto da esporsi alle trame dei congiurati senza prevenirle? E poi, ammesso che le cose vadano come auspicato dall'Alleanza occidentale, chi ci assicura che il successore di Putin sia democratico e liberale e non, invece, un eurasista ancora più tetragono nei confronti dei Paesi dell'Unione europea e degli Stati Uniti d'America?

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La quarta. La più fantasiosa. Putin è malato. Nelle apparizioni televisive appare stanco, ha lo sguardo annebbiato e il volto gonfio da abuso di farmaci, si mostra irascibile con i suoi collaboratori, si trincera dietro una solitudine paranoica. Domanda: da quando le diagnosi sulla salute di un individuo, e ancor più sul suo stato mentale, le fanno gli esperti di prossemica e di comunicazione, osservando il soggetto studiato attraverso uno schermo televisivo? Se questi sono i presupposti sui quali i leader occidentali hanno preso le loro decisioni, c'è da temere che nell'angolo non sia finito Putin ma tutti noi. Sono consapevoli questi nostri fenomeni che aver portato il livello di scontro prossimo al punto di non ritorno rischia di essere devastante per il futuro dell'Occidente? Già, perché aver deciso di fornire armi pesanti ai resistenti ucraini e aver autorizzato i cittadini dei propri Paesi ad arruolarsi nella brigata internazionale che si sta allestendo in Ucraina, per combattere sul campo i russi, è una dichiarazione implicita di entrata in guerra. Si sono chiesti i leader europei cosa accadrebbe se Mosca dovesse portare a compimento l'invasione? La sconfitta non sarebbe solo di quel popolo e del suo Governo ma ricadrebbe anche sugli alleati occidentali. Comunque, nessuno più di noi è convinto che le battaglie in cui si crede debbano essere combattute sempre e non soltanto quando si ha la certezza della vittoria: è questione d'onore. Perciò, se il nostro Governo ha schierato l'Italia da una parte del campo contro l'altro, chiunque sia convintamente di destra non può fare altro che accettarlo. My country, right or wrong: è il mio Paese, giusto o sbagliato. L'avessimo ricordato in altre circostanze, saremmo stati più rispettati fuori dai confini. Ma tant'è. Però, se dobbiamo sacrificarci, il Governo non deve raccontarci balle per tenersi una scappatoia nel caso le cose dovessero andare male. É bene che le persone, che oggi sono in ansia per la sorte degli ucraini, sappiano cosa ci attende da domani. Le scelte sanzionatorie contro la Russia le pagheremo molto più degli altri partner europei e statunitensi. Non è solo questione di costo della bolletta energetica che sta sfondando tutti i tetti finora immaginati. Le sanzioni varate comporteranno una rottura nei rapporti economici con la Russia che ha numeri precisi. Se l'onore non ha prezzo, gli affari e gli scambi commerciali sì. Allora che si conosca quanto costerà questo sussulto, nobilissimo, d'orgoglio per la difesa della libertà degli ucraini. Un report interno, circolato giorni orsono in Confindustria, documenta che "la Russia accoglie il 2,4 per cento dello stock italiano di capitali investiti nel mondo. I capitali italiani hanno realizzato 442 sussidiarie che occupano circa 34,7 mila addetti e producono un fatturato pari a 7,4 miliardi di euro, crescendo mediamente del +7,5 per cento negli ultimi sei anni, molto più di quanto accaduto alle controllate nei Paesi extra-Ue (+2,2 per cento nello stesso periodo) e negli Stati Uniti (+5,2 per cento), primo Paese extra-Ue per presenza delle multinazionali italiane". Lo scambio commerciale Italia-Russia, al 30 novembre 2021, ha traguardato un export totale per 7 miliardi e 10milioni di euro, contro un import per 12 miliardi e 657milioni di euro. Le categorie merceologiche maggiormente coinvolte nell'esportazione sono state: apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (455,15 milioni di euro); prodotti alimentari (361,29 milioni di euro); articoli di abbigliamento, anche in pelle e in pelliccia (757,8


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milioni di euro); prodotti chimici (571,3 milioni di euro); mobili (299,39 milioni di euro). Mentre per l'import: gas e petrolio (5 miliardi e 777 milioni di euro); carbone e prodotti derivanti dalla raffinazione del petrolio (1 miliardo e 30 milioni di euro); prodotti della metallurgia (1 miliardo e 830 milioni di euro, come indicato da "Elaborazioni Ambasciata d'Italia" sui dati dell'Agenzia Ice di fonte Istat). Stesso discorso per il grano e il mais. L'Italia, leader mondiale nella produzione di pasta, prodotti della panificazione e dolciari, si approvvigiona per la materia prima in quota significativa dalla Russia e dall'Ucraina oltre che, nell'area, dal Kazakistan. L'Italia importa ogni anno circa 120 milioni di chili di grano dall'Ucraina e altri 100 milioni dalla Russia. La guerra, in base alle stime di Coldiretti, ha provocato un rialzo del 10 per cento del prezzo della materia prima in una sola settimana. C'è il comparto del turismo, già messo in ginocchio da due anni di pandemia. Gli ultimi dati sul turismo dalla Russia risalgono al 2019. Il mercato russo, prima della crisi causa Covid, in Italia generava circa 1,7 milioni di arrivi annui con una capacità di spesa dei turisti russi nelle produzioni e nei servizi italiani superiore a 980 milioni, pari al 2,2 per cento della spesa totale dei viaggiatori stranieri transitati nel nostro Paese nello stesso periodo. Poi c'è la questione del blocco delle transazioni finanziarie. In base a una stima della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), le esposizioni complessive da prestiti e da finanziamenti in Russia delle banche italiane ammontano a 25,3 miliardi di dollari, con ulteriori 6 miliardi circa di garanzie. Tutti i numeri fin qui snocciolati si traducono in: crisi del sistema produttivo, crollo dell'occupazione e conseguente maggior debito pubblico per sostenere il welfare state. E siamo solo all'inizio. Dobbiamo essere consapevoli che, indipendentemente dalla decisione di Putin di spedirci un ordigno nucleare, la bomba atomica ce la siamo già tirata addosso da soli. Cristofaro Sola

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SEMPRE E COMUNQUE “SPES CONTRA SPEM” Volontari da tutta Europa per difendere l'Ucraina: nasce la Brigata internazionale e sono stati organizzati centri di reclutamento presso tutte le ambasciate del Paese sotto l'infernale attacco russo. Inglesi, svedesi, azeri e volontari di altri Paesi hanno già combattuto a fianco delle forze ucraine nella guerra che infuria dal 2014 nel Donbass, contro le forze filo-russe. Sono arrivati anche i ceceni in esilio, scampati alla morte durante le due guerre che culminarono con il trionfo del feroce dittatore Ramzan Kadyrov, attuale presidente della Cecenia, che sostiene Putin con un nutrito gruppo di miliziani, che quindi si potranno trovare di fronte i loro confratelli, in una sorta di stramba guerra civile combattuta in campo neutro. Un toccante appello è stato lanciato dal ministro degli Esteri del Regno Unito, Elizabeth Mary Truss, meglio nota come Liz Truss: "Se dei cittadini britannici vogliono appoggiare la lotta per la libertà di Kiev, il governo è assolutamente disposto a sostenerli. Il popolo ucraino sta combattendo per la libertà e la democrazia non solo dell'Ucraina ma di tutta l'Europa". Anche la Danimarca si è mobilitata per sostenere il popolo ucraino in questo difficile momento. Il Premier Mette Frederiksen ha dichiarato che non vi è alcun ostacolo legale per andare a combattere in Ucraina: "È una scelta che può fare chiunque. Vale per i molti ucraini che vivono fra noi, ma anche per gli altri che pensano di poter contribuire al conflitto". Dalla Giorgia parla il veterano Mamuka Mamulashvili, comandante della "Legione giorgiana": "Abbiamo aperto l'arruolamento una decina di giorni fa e stanno arrivando un centinaio di richieste al giorno da tutto il mondo. Cinque italiani, ex militari, vogliono unirsi a noi per addestrare i volontari e aiutare gli ucraini a difendere la libertà del loro Paese" . I VOLONTARI ITALIANI "Parto per difendere i bambini ucraini - Né soldi, né gloria: non sono Rambo, anche se ho esperienze militari e di antiterrorismo, parto per difendere gli ideali e soprattutto i bambini". Lo ha detto all'agenzia Ansa Francesco - il nome è di fantasia per garantire l'anonimato - 35 anni e originario della Campania, che ha deciso di arruolarsi tra i volontari della Brigata Internazionale. Al momento della stesura di questo articolo Francesco era in attesa dei documenti per partire da parte dell'ambasciata ucraina in Italia. Ovviamente non è dato sapere dove sia stato destinato. G.B., invece, meridionale residente in una regione del Nord, mi ha scritto tramite la pagina Facebook "Europa Nazione" per chiedermi come procedere per arruolarsi nella "Brigata internazionale". Gli ho fornito tutte le informazioni concludendo il messaggio con questa frase:


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"Che Dio ti assista nella difesa della Civiltà occidentale e di un popolo allo stremo. Un abbraccio affettuoso da un vecchio bersagliere". La sua replica: "Grazie. Non mi reputo un super soldato, so poco della guerra e ho solo un addestramento milsim (in pratica ha imparato qualcosa dai videogame che simulano battaglie, N.d.R.). Cercherò di difendere l'Ucraina perché non posso stare a guardare. Mi vergogno di essere italiano e di far parte di un'Europa di codardi che lascia morire una nazione in lotta per essere pienamente europea". Onore a voi, alfieri di civiltà, rari nantes in gurgite vasto di un mondo in dissoluzione. Vorrei avere vent'anni per essere al vostro fianco e vi sarei comunque anche con una ventina di anni in più, ma oggi forse non riuscirei a buttare giù nemmeno i barattoli che alle giostre fanno vincere un sorridente peluche. Il tempo sancisce, impietoso, le sue regole, ma sono accanto a voi con tutto il mio cuore e sono sicuro che i miei tanti commilitoni siano pervasi da analoghi sentimenti. Eravamo una squadra fantastica, nel Corpo d'élite dell'Esercito Italiano e al vostro fianco avremmo fatto faville per difendere la civiltà occidentale. Onore a voi e, come sempre, "spes contra spem". Lino Lavorgna Foto dell’articolo: Due volontari della Legione Nazionale Giorgiana. Foto in basso: Lino Lavorgna a venti anni, in terza fila, al centro, con la barba e il fucile in mano, a destra sull'elmetto della vecchia foto apposto il simbolo degli United States of Europe. Un sogno destinato a trasformarsi in realtà, se vogliamo evitare la fine dell'Europa. Una Patria comune, con un governo federale e un unico grande esercito, imbattibile).

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GIU’ LE MANI DALL’INSALATA RUSSA Giochiamo a "chi scopre la differenza?". Anno 1931. Con un Regio decreto (n.1227), il Governo Mussolini inserisce la cosiddetta clausola di fedeltà al fascismo nel giuramento dei docenti di ruolo e degli incaricati nei Regi istituti d'istruzione superiore. L'incipit modificato del testo del giuramento recita: "Giuro di essere fedele al Re, ai suoi Reali successori e al Regime Fascista". La sanzione per chi si fosse rifiutato di pronunciare la nuova formula del giuramento sarebbe stata la perdita della cattedra e dei connessi diritti alla liquidazione e alla pensione. Anno 2022. Valery Gherghiev, uno dei più grandi direttori d'orchestra al mondo, russo e amico di Vladimir Putin, avrebbe dovuto dirigere alla Scala di Milano La dama di picche, opera in tre atti e sette scene composta da Pëtr Il'iè Èajkovskij con libretto di Modest Modest Il'iè Èajkovskij, fratello minore del compositore, ispirata a un racconto di Aleksandr Puškin, del 1834. Ma Valery Gherghiev non ci sarà perché, nel frattempo, è stato rimosso dall'incarico su esplicita richiesta del sindaco (progressista) di Milano, Beppe Sala. La motivazione del "licenziamento"? Richiesto di condannare l'invasione russa dell'Ucraina, Valery Gherghiev sarebbe rimasto in silenzio. Qual è la differenza tra i due episodi citati? La risposta esatta la troverete in calce. Oggi che il nemico pubblico numero uno dell'Occidente si chiama Vladimir Putin e sta a Mosca, la marea del politicamente corretto è tornata a montare. Le "camicie nere" della democrazia hanno avviato il repulisti: manca solo l'olio di ricino. Si voleva un'abiura da Gherghiev, come ai tempi di Giordano Bruno. E il libero pensiero? Che vada a ramengo. Come da tempo capita alla secolare tradizione occidentale propugnatrice della tolleranza - da Montaigne a Pierre Bayle, da Baruch Spinoza a John Locke, a John Stuart Mill - per la quale "le opinioni non sono azioni". Coloro che oggi marcano un dissenso rispetto alle scelte politiche e strategiche adottate dai Paesi del blocco occidentale nella gestione della crisi russo-ucraina sono accusati di intelligenza col nemico. Come se non bastasse, è cominciata una sorta di damnatio memoriae per tutto ciò che evochi in qualche modo la Madre Russia. Anche nelle sue espressioni più nobili. Persino l'incolpevole Fëdor Dostoevskij c'è andato di mezzo. La vicenda, che sarebbe tragica se non fosse comica, nella quale è stato tirato in ballo il nome del gigante della letteratura di tutti i tempi. Il dramma autentico è che vi sono in circolazione troppi fanatici da bar dello sport destinati a infoltire le schiere dell'esercito di riserva del "politicamente corretto". Un potere alla luce del sole costruito su una menzogna: dirsi tolleranti quando si è congenitamente intolleranti. La vicenda della crisi ucraino-russa, in ordine cronologico, è solo l'ultima manifestazione di una


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contraddizione in termini. La storia repubblicana, in particolare degli ultimi decenni, è costellata di episodi nei quali la natura autoritaria dei finti liberali si è palesata in tutta la sua virulenza. Il pericolo dell'inverarsi della profezia vaticinata da Ray Bradbury nel suo Fahrenheit 451 è incessantemente dietro l'angolo, pronta a rispuntare alla prima occasione. Se si comincia a censurare l'arte, la letteratura, il pensiero critico, bisognerà andare a nascondersi nei boschi a imparare a memoria le opere del passato che il regime del "Bene" vorrebbe cancellare, per tramandarle agli uomini liberi delle future generazioni. Già il verbo "cancellare" affiancato alla parola "conoscenza" stride; peggio, l'espressione oggi molto in voga tra i progressisti Cancel culture invece genera un mostro: un nazismo senza Adolf Hitler. Quelli che si auto-elogiano definendosi "costruttori di ponti" nella realtà sono l'esatto contrario: distruttori di ponti con la storia. A sentire i benpensanti che ce l'hanno con Vladimir Putin dovremmo azzerare gli effetti che la vasta tradizione letteraria russa ha prodotto in noi occidentali. E anche la musica dei grandi compositori russi dovrebbe subire la medesima sorte. Se una tale follia prendesse piede nello svolgersi della vita sociale, questo non sarebbe più il nostro mondo ma quello di Matrix. Se l'odierno Occidente, traviato dall'ideologia progressista, non sa offrire niente di meglio che un puteolente impasto di moralismo bigotto e di stupidità tracotante, mille volte preferibile sarebbe tornare agli antichi lidi dove libertà, buonsenso e ragionevolezza avevano diritto di cittadinanza. Nessuno, a eccezione degli Stati d'Israele (per comprensibilissime ragioni) e della Romania, osò mettere alaudacia bando la temeraria musica di Richard Wagner, tacciata a sproposito di essere servita da colonna igiene spirituale sonora alle armate del Terzo Reich, e neppure immaginò di zittire grandi direttori d'orchestra quali furono Herbert von Karajan e Wilhelm Furtwängler (quest'ultimo a nostro avviso il più convincente interprete del repertorio wagneriano) che pure si esibirono alla presenza del Führer. Cosa sarebbe stato l'Occidente se, le potenze alleate, nel 1945, avessero decretato il divieto d'insegnamento nei conservatori di tutto il mondo della sublime musica di Ludwig van Beethoven, tedesco della Renania? L'inno alla gioia, nella partitura dell'immortale Nona, non sarebbe mai divenuto l'inno dell'Unione europea. Oggi, se tutto ciò che richiama all'immaginario collettivo la patria di Èajkovskij e Dostoevskij diviene oggetto di censura, ci toccherà persino imparare a memoria la ricetta dell'insalata russa, visto che a una tale prelibatezza, Putin o non Putin, non rinunciamo. Il regime del pensiero unico politicamente corretto di questo Occidente raffazzonato ha impiegato poco a imporre i suoi diktat. E, come sempre, i politici italiani sono stati i più zelanti nell'ubbidire agli ordini impartiti dal centro di comando eurocratico. Evidentemente la pratica repressiva, esercitata mediante le limitazioni alla libertà individuali legittimate dallo stato d'eccezione nel periodo della pandemia, è servita. Oggi è più facile colpire il dissenso in nome del pensiero unico politicamente corretto. Nondimeno, in barba alle intimidazioni, agli anatemi lanciati dagli utili idioti del potere e alle messe all'indice da parte degli allineati al politicamente corretto, continueremo a esercitare un

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pensiero critico divergente, eterodosso, se necessario eretico, rispetto alle scelte assunte dai Paesi del blocco occidentale riguardo alla postura e alle misure da assumere nei confronti della leadership russa. Non è il pacifismo sulfureo della sinistra radicale veteromarxista ad averci contagiato. Purtroppo, sono i fatti che si sono incaricati di darci ragione. Non c'è gloria nel dire: l'avevamo detto. Eppure, è così che è andata. Tentare la prova muscolare con la Russia putiniana, senza avere la forza di portarla fino alle estreme conseguenze, si sta rivelando un suicidio per l'Occidente e una rovina per l'Ucraina. L'armata di Mosca avanza facendo terra bruciata al suo passaggio. Vladimir Putin l'ha detto senza mezzi termini: si fermerà solo quando avrà conquistato tutto il territorio ucraino. A quel punto imporrà le sue condizioni di pace. Niente ci distoglie dalla convinzione che una forte azione diplomatica con il Cremlino, leale, a viso aperto, pronta ad accogliere le ragioni dell'interlocutore, condotta e conclusa prima che si scatenasse l'inferno, avrebbe fermato il treno della guerra. Se a dirlo si passa per disfattisti e nemici della patria, è semplicemente ignobile. Vile. E coloro che a chiacchiere dicono di voler difendere l'altrui libertà di pensiero e d'espressione negandola a chi gli è vicino sono soltanto degli ipocriti che nascondono la camicia nera sotto un elegante blazer. La soluzione del gioco "scopri la differenza" è: nessuna differenza. C.S.


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I NODI VENGONO SEMPRE AL PETTINE Siccome la mamma degli imbecilli è sempre incinta, non mancano, sin dalle prime ore dell'ignominiosa invasione dell'Ucraina, i filo putiniani vecchi e nuovi che, un po' dappertutto, si arrampicano sugli specchi per trovare le più strampalate giustificazioni del massacro di donne, vecchi e bambini in atto e, ovviamente, dei tanti soldati che alla micidiale armata russa possono opporre solo il proprio eroismo volto al sacrificio estremo, considerato che nel resto del mondo si organizzano stupende marce della pace invece di correre in massa in Ucraina, armi in pugno, per difendere non solo un popolo ma i principi più sacri della civiltà. Ai leoni da tastiera e ai mistificatori in servizio permanente effettivo che popolano i salotti televisivi e le redazioni dei giornali vi ha pensato Antonio Polito con un bellissimo articolo pubblicato il 27 febbraio sul Corriere della Sera, qui riproposto integralmente per evitare di ribadire concetti magistralmente espressi. "De Luca è uomo colto. Ha preferito dunque incartare la sua difesa delle ragioni di Mosca con motivazioni strategico-diplomatiche, le stesse usate da Putin. Secondo questa versione l'autocrate russo avrebbe sentito il bisogno impellente e immediato di invadere l'Ucraina e occuparne la capitale per impedire un'adesione alla Nato dell'Ucraina che non era all'ordine del giorno, come gli avevano assicurato sia Macron sia Scholz in visita a Mosca, e che non aveva del resto provocato una guerra quando ad aderire erano stati i paesi Baltici, non meno strategici per la Federazione Russa (due di questi anche confinanti). Poco credibile. Ma, in ogni caso, i motivi geopolitici sono tutti da considerare e da dibattere, perché almeno fanno i conti con la realtà del mondo di oggi. Però ci sono in giro molti filo-russi, decisamente meno colti di De Luca, che ricorrono spesso a un argomento da loro definito "storico", ma che è più che altro un luogo comune della propaganda di Putin, rilanciato anche nella sua concione televisiva. Questa giustificazione dell'intervento russo sostiene che l'Ucraina è da sempre, fin dal medioevo, fin dalla notte dei tempi, parte della Russia. Dunque ci sarebbe un diritto quasi naturale di Mosca a riprendersi Kiev, che con l'aiuto degli occidentali ha invece osato dichiararsi indipendente 31 anni fa, dopo lo scioglimento dell'Urss. In realtà questi argomenti "storici" sono sempre molto scivolosi, anacronistici, ingannevoli. Perché in due millenni di era cristiana le nazionalità, le etnie, i popoli, le dinastie, si sono così tante volte intrecciate, combattute, conquistate reciprocamente, fuse e divise, che è davvero impossibile separarne la storia con la nettezza e la superficialità che pretendono i nazionalisti dei nostri giorni. Prendiamo Kiev, per esempio. Si può dire, al contrario di quanto sostiene

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l'argomento filo-russo, che la Russia sia nata a Kiev, non a Mosca. La Rus' è infatti "la prima organizzazione politica degli slavi orientali: sorse nel IX secolo dopo Cristo intorno a Kiev, sul fiume Dnepr, e divenne lo stato più grande dell'Europa medievale, soprattutto dopo la conversione al Cristianesimo orientale nel 988". Questo embrione di Stato, nato alla periferia dell'Europa ma aperto verso le steppe euroasiatiche, assunse una configurazione stabile e una forma di amministrazione centrale sotto Vladimir, tra il 980 e il 1015. Fu proprio Vladimir a compiere il passo storico del battesimo e della conversione al cristianesimo. Così Kiev "vincolò la Rus' al mondo cristiano e a quella che più tardi sarebbe diventata l'Europa". Siamo sicuri che Putin sappia perfettamente che il suo primo nome, come quello di Lenin, gli deriva da un sovrano di Kiev. Ma forse non lo sanno molti dei suoi più ignoranti sostenitori sul web, "leoni da tastiera" che dosano la storia un tanto al chilo, e la manipolano a fini politici, cosa che con la storia non andrebbe mai fatto. La Rus' di Kiev fu infatti uno stato unitario fino al 1125, e poi si frantumò un po' alla volta in una federazione di principati. In uno di questi, verso il Nord, nella regione di Vladimir-Suzdal, sorsero numerosi avamposti militari, tra cui Mosca, citata per la prima volta nell'antica Cronaca solo alla data del 1147. Poi nel 1169 ci fu il saccheggio di Kiev, e poi l'invasione dei mongoli, e poi il secolare "giogo tartaro", e poi e poi e poi, fino ai nostri giorni. Se si volesse abusare della storia, dunque, gli ucraini di Kiev avrebbero oggi diritto quanto e più dei russi di Mosca a rivendicare una primogenitura. "Dalla frammentazione dei territori della Rus' di Kiev si è originata una frattura, e la continuità della storia russa è diventata materia di controversia. Dal punto di vista moscovita e russo c'è una evidente continuità, rappresentata dal potere della dinastia dei rjurikidi (di cui faceva parte Vladimir): la casa regnante sopravvisse sotto i mongoli, e al loro tramonto, i principi rjurikidi di Mosca riunirono le terre della Rus' nello stato russo moscovita che considera Rjurik suo fondatore". E questa è l'interpretazione che ha dominato nell'epoca imperiale e sovietica, e oggi è di Putin. "Ma la storiografia della Grande Russia ha proposto anche versioni alternative. Dal punto di vista territoriale lo stato moscovita non ha mai coinciso esattamente con la Rus', e l'annessione di Kiev, avvenuta solo nel XVII secolo, fu il risultato dell'incorporazione nell'impero moscovita dell'Ucraina degli Hetman, cosacchi semi indipendenti". Ecco perché anche l'anniversario dei mille anni dalla conversione di Vladimir, nel 1988, fu occasione di rivalità tra chi considera questa festa russa e chi ucraina. La nascita di un'Ucraina indipendente nel 1991 ha dunque basi storiche più che solide. Ma il punto non è questo, anche i russi hanno certamente le loro ragioni in materia. Il punto è che non si può sfruttare il passato per giustificare il presente. Meno che mai se il presente è una sanguinosa guerra di aggressione. Ps: le informazioni e le citazioni contenute in questo articolo provengono dal volume "Storia della Russia" di Roger Bartlett, edizione Mondadori. Per chi volesse approfondire" . Ciò premesso, è bene ricordare quanto male abbiano prodotto coloro che, in passato, con una cecità che sgomenta, un po' per interesse e un po' per ignoranza, abbiano prestato il fianco al gioco perfido di tanti tiranni, facendoli passare per santi. La lista è lunga e qui ci limitiamo a riportare alcune dichiarazioni di un buffo soggetto che, in Italia, vendendo bufale, è riuscito a


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diventare uno degli uomini più ricchi del mondo, incantare masse amorfe sempre pronte a credere alle favole e diventare finanche capo del Governo. "Mi sono fatto spiegare da Putin come prendere il 71% alle elezioni" (16.3.2004); Putin è un fiero anticomunista che ha vissuto l'assedio di Stalingrado" (23.12.05) (Come abbia fatto, però, essendo nato dieci anni dopo, resta un mistero, N.d.R.); Putin mi dice 'Caro Silvio', io rispondo 'Caro Volodia' (3.4.02); ho detto alle figlie di chiamarmi zio (16.10.02); la Russia di Putin è matura per entrare nell'Unione europea: deve accadere (28.5.02); al Cremlino un'orchestra di 50 elementi suona le mie canzoni; con Putin avremo una linea telefonica diretta e protetta per gestire le emergenze e i nostri rapporti una volta alla settimana (16.10.02); Putin è un dono del Signore (10.9.10); Putin è un uomo sensibile, aperto, ha senso dell'amicizia e rispetto per tutti, soprattutto per gli umili, e profonda comprensione della democrazia (22.10.10); è il numero uno dei leader mondiali, quello con la visione più lucida. Lo assumerei in una mia impresa, ha un'idea molto chiara della pace del mondo (5.10.18). Parlando delle feroci repressioni in Cecenia ha asserito testualmente: "Realtà distorte dalla stampa: in Cecenia c'è un'attività terroristica con molti attentati contro cittadini russi senza una risposta corrispondente dalla Russia, che anzi ha organizzato un referendum democratico" (6.11.03). Non poteva mancare, ovviamente, un "perlina" sulla Crimea, da Putin annessa nell'indifferenza generale dell'Occidente: "Ha assolutamente ragione lui: porta le truppe al confine perché la Crimea ha paura che Kiev compia stragi" (20.5.14). Nel 2019, poi, ha effettuato la quadratura del cerchio: "Putin è il più colto e anche il più democratico. Tutto il contrario di come è dipinto sui media. Dobbiamo andare in Europa per far sì che la Russia si unisca a noi: ormai è un Paese occidentale" (16.2.19). Servono altri commenti? Sì, uno solo: quando si tollera tutto questo, prima o poi se ne pagherà il prezzo. Il sonno della ragione genera mostri. E non mi riferisco a Putin, che è solo "un" tiranno, come ce ne sono stati tanti e come sempre ce ne saranno. "Un", ossia "uno"… non so se mi spiego. L. L.

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IL DOVERE DELLA VERITA’ Ci sono volute due settimane di guerra per avere una visione nitida della crisi ucraina. Tuttavia, a schiarirsi le idee ha aiutato il crescente distacco degli italiani dalla retorica strappalacrime dei media di casa nostra, i medesimi che non si stracciarono le vesti, nel 1999, quando le forze Nato scaricarono sulle vecchiette e sui bambini di Belgrado 2.700 tonnellate di bombe "umanitarie". È il momento che la realpolitik si riprenda la scena. Lo si deve in primo luogo agli ucraini, sedotti da questo Occidente. È bene che si rappresentino le cose per come sono. Per dirla nella lingua del poker, Vladimir Putin è venuto a vedere il bluff degli statunitensi e degli europei. Avrebbe potuto farlo prima, dopo i fatti di "piazza Maidan", nel 2014. Ha preferito attendere e assestare il colpo del ko nel momento di massima debolezza dell'Occidente sullo scacchiere geopolitico globale. Lo abbiamo scritto e lo ribadiamo: siamo graniticamente convinti che vi sia un nesso causale tra la fuga indecente dell'Alleanza occidentale dall'Afghanistan e la decisione di Mosca di saldare i conti con Kiev. Ora è tempo di verità. Sappiano gli ucraini che il blocco occidentale non interverrà al loro fianco contro la Russia di Putin. Non ci sarà la no-fly zone sui cieli dell'Ucraina, perché ciò significherebbe l'ingresso diretto dell'Occidente nel conflitto. Sappiano gli ucraini che dietro la bandiera dell'unità, sventolata dall'Europa democratica nel nome dei sacri principi di libertà e di autodeterminazione dei popoli, si celano frusti egoismi nazionali. Sappiano gli ucraini che la strategia combinata Usa-Ue di sostegno alla resistenza popolare antirussa, svolta all'insegna del "vorrei ma non posso", è un'idea bizzarra il cui esito condurrà a cocenti delusioni e fornirà dosi supplementari di dolore e disperazione. Qualcuno in Occidente ritiene che la cronicizzazione del conflitto in Ucraina, alla lunga, condannerebbe la politica espansionista putiniana a un irrimediabile fallimento. Si vorrebbe replicare lo scenario determinatosi, nel 1989, con la sconfitta sovietica in Afghanistan. Va in questa direzione l'iniziativa di Usa e Ue di inviare alla resistenza ucraina armi a corto raggio, come i missili controcarro: sistemi d'arma dotati di testate ad alto esplosivo in grado di perforare le corazze dei carri armati russi e particolarmente idonei a paralizzare le forze nemiche durante le incursioni della guerriglia urbana. Peccato che l'Ucraina - sangue slavo, anima cristiana, cuore europeo - non sia il remoto Afghanistan. E se per gli occidentali l'Ucraina non può essere l'Afghanistan dei mujaheddin, e


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neppure il Vietnam di Ho Chi-Minh e dei Viet Cong, per il Cremlino, al contrario, l'Ucraina può diventare un'altra Cecenia da radere al suolo. Putin rifiuta ogni tentativo di mediazione, riservandosi di aprire al dialogo a occupazione completata. Non ha fretta. Il blocco occidentale si è aggrappato alla speranza che l'impatto delle sanzioni economiche varate contro Mosca possa scuotere il potere putiniano provocandone la caduta. Fantasie. I giorni passano e lo "zar" è ben saldo sul trono al Cremlino. La propaganda mediatica ci ha inondato di notizie sui disagi che da ora in avanti subiranno i russi per effetto delle sanzioni, ma tace di quelli molto concreti e immediati che graveranno sulle spalle degli europei e degli italiani in particolare. Oltretutto, la strada del ricorso alle sanzioni non è il "pozzo di san Patrizio". Dispiegato da subito il massimo potenziale di fuoco su questo terreno, non è che agli Stati energivori dell'Unione europea, se si esclude la scelta suicida di seguire gli Stati Uniti nell'embargo delle forniture di gas, petrolio e carbone dalla Russia, restino molte altre leve sanzionatorie da azionare senza che si concretizzi il temuto effetto boomerang. Come se ne esce? Per come sono andate avanti le cose, l'unica via d'uscita è la presa d'atto della realtà. Bisogna concedere a Putin gli obiettivi non negoziabili che hanno motivato l'invasione: una soluzione finlandese di neutralità ed equidistanza securitaria dell'Ucraina da inserire in Costituzione (modello Austria) e da assicurare mediante la formale rinuncia in perpetuo all'adesione alla Nato; se non l'indipendenza, almeno un'autonomia amministrativa rafforzata alle autoproclamate Repubbliche separatiste del Donbass; la legittimazione internazionale dell'annessione della Crimea alla Federazione Russa. Non è che basterà, quanto meno sarà sufficiente per far ripartire un vero negoziato di pace. Occorre però una riflessione approfondita sul modello di negoziato da adottare. Accordi ristretti a pochi attori, come è stato con il "formato Normandia" che limitava la trattativa a solo quattro soggetti (Russia, Ucraina, Francia, Germania), si sono mostrati fallimentari. Bisogna tornare allo spirito del Congresso di Vienna, del 1815, cioè all'idea-guida che le pacificazioni post-belliche nel Vecchio Continente debbano coinvolgere quanti più "aventi causa" possibili e debbano mirare a un riassetto largamente condiviso degli equilibri strategici nell'area geopolitica che si sviluppa dalle sponde dell'Atlantico e delle isole britanniche fino agli Urali e alle propaggini caucasiche dell'Asia minore. Se si vuole realmente restituire il nostro Continente al percorso di pace e di cooperazione sul quale si era incamminato dopo la caduta del muro di Berlino, è necessario mettere da parte la demagogia e negoziare con Vladimir Putin. Non solo di Ucraina si deve discutere, ma anche di complessiva stabilità europea e di ridefinizione dei target e delle finalità strategiche della Nato. Non possiamo permetterci il lusso di fare del gigante russo l'archetipo dell'"eterno nemico", spingendolo ulteriormente tra le braccia dell'"amico" cinese. Una tale mostruosità strategica e geopolitica la pagheremmo assai più cara di quanto gli ucraini stiano pagando oggi il maldestro tentativo di espansionismo a Est degli occidentali. E occorre fare presto, prima che i vertici di Pechino si facciano avanti e prendano il timone del negoziato russo-ucraino. Non è bello né umanamente giusto dover dire ai combattenti di Kiev che è finita e che devono arrendersi per evitare inutili spargimenti di sangue.

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Ma quando il medico pietoso ha fatto il bene dell'ammalato? Benché cruda e dolorosa, la verità resta la strada maestra da cui ripartire per riprendersi il futuro. E la verità va detta anche al presidente ucraino Volodymyr Zelensky che, sui segnali ambigui che gli giungono dalle cancellerie occidentali, sta costruendo un film che non potrà mai essere proiettato: la Terza guerra mondiale. I principi e i valori di libertà sono sacri e devono essere difesi. Esistono, purtuttavia, limiti invalicabili all'impulso della reazione armata. Non è immaginabile che si rischi la distruzione di ogni forma di vita in Occidente per alimentare il falso mito resistenziale della vittoria di Davide/Zelensky contro Golia/Putin. Con tutto il rispetto per il coraggioso presidente ucraino, finire inceneriti dalle radiazioni nucleari francamente non è il massimo delle nostre aspirazioni. Una pace negoziata è possibile e va ricercata con salutare realismo. È ora che la politica torni a fare il suo mestiere nella consapevolezza che, come sostiene Henry Kissinger, "il banco di prova non è la soddisfazione assoluta ma l'insoddisfazione equilibrata". Cristofaro Sola


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METTERE BECCO SU... Confesso che per la prima volta, nei cinque ininterrotti anni di collaborazione con CONFINI, ho difficoltà a buttar giù il mio modesto contributo mensile alla nostra amata Rivista. E ciò in quanto la rapida successione di natura, diciamo, pugilistica, di un montante sinistro alla mascella (da parte del pandemico Covid) e di un diretto destro al volto (da parte della guerra in Ucraina) mi ha letteralmente steso al tappeto mandando in pappa quel poco di razionalità cartesiana che, voglio illudermi, abbia sempre guidato le mie estemporanee esternazioni su fatti e misfatti di questa nostra banale, superficiale, incolta e talvolta anche pericolosa, contemporaneità. In quale contesto, tra molteplici, possibili scenari storici, potrei infatti tentare di inquadrare le due odierne calamità che si dipanano - come, peraltro, è stata costante caratteristica del sempiterno rapporto tra fatali accadimenti esistenziali (guerre e pestilenze "in primis") e l'inerme, seppur saccente e presuntuoso, essere umano - davanti ai nostri occhi in questo iniziale scorcio del cosiddetto "terzo millennio"? La risposta è difficile, soprattutto se ci si deve limitare (come io sono costretto a fare da vincoli d'età, generazione d'appartenenza e cultura personale) a circoscrivere lettura ed interpretazione di detti fatti entro i limiti di storia della Civiltà greco-romano-cristiana e relativa eredità culturale e, allo stesso tempo, del ristretto perimetro del mondo di matrice e cultura Occidentale, cuna o covile, fate voi, di detto straordinario - ed al contempo maestoso e tragico prodotto della genialità umana. La mia convinzione è che colui che ha occhi per vedere e cultura (sia di libri che di vita) per poter comparare l'"oggi" con lo "ieri" non possa non rendersi conto della futilità di cercare di leggere l'"oggi" - che evolve ormai irreversibilmente nella trasformazione di un umanesimo "d'antan" (in via di evidente estinzione) in un "transumanesimo" tecnologico, collettivo, globalizzato e già ben radicato in noi e tra noi - con occhi e mente propri dello "ieri". E c'è di più: trattasi infatti della legittimazione (o meno) del "tipico"uomo europeo occidentale (incluso naturalmente anche lo scrivente) a discettare, con l'attuale manifesta assertività ed in forma indifferenziata, sia di pandemia da Covid che di guerra in Ucraina. Chi infatti tra noi italiani (per restare nell'ambito di mia appartenenza) potrebbe in modo legittimo aprir bocca - o se vogliamo, mettere becco - sulle due predette "sberle" esistenziali, essendone più che autorizzato? Secondo me, un tale italico "quisque de populo" potrebbe legittimamente dire la sua soltanto sul Covid e dovrebbe invece astenersi su questioni di guerra, soprattutto nelle sue componenti di

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natura geo-politica e strategico-militare. In tutta onestà: ma cosa ne sappiamo noi di quel che passa realmente nella testa di un ucraino nel suo rapportarsi con un russo e viceversa; delle chiavi di lettura, nelle rispettive menti di Putin e Zelensky, del secolare rapporto storico-politico tra i due contigui paesi? Assolutamente poco, se non nulla, ammettiamolo! E di quello stesso poco, ne l'uno ne l'altro dei due leaders sembrano dare segnali rassicuranti nei più diversificati campi, dall'idea stessa di democrazia ai complessi concetti di "pace" e di "guerra" nell'ottica di un moderno XXI secolo. Perché allora, sul Covid si e sulla guerra no? Per la semplice ragione che la malattia (con annessi e connessi) riguarda direttamente, e per tutti quanti noi, ciascun singolo "se stesso, la propria persona, la propria salute, la propria vita e soprattutto gli individuali comportamenti esistenziali". E dunque io posso ben esternare il mio pensiero su vaccinazioni, "green pass" chiusure e restrizioni di ogni tipo. L addove infatti la scienza tracimi in politica e le conseguenze tocchino lo stato fisico, la salute, i comportamenti e la quotidianità del singolo cittadino di uno stato democratico soggetto soltanto alla legge, si potrà bene, anzi si dovrebbe, aprir bocca ed esternare convinzioni, dubbi, sentimenti ed anche rabbia; ciò in quanto trattasi del "Se" che ragiona su di se medesimo e sulla sua stessa, ineludibile esistenza quotidiana. Nulla di tutto ciò attiene invece alla valanga di commenti, giudizi, strategie condanne ed assoluzioni, propinati - in un profluvio di parole ed in ogni salsa di lettura culturale - dai più svariati "massa media" sulla guerra in Ucraina, sulla sua genesi, responsabilità, colpe e virtù, nonché errori e misfatti dei relativi protagonisti. Fatto infatti salvo qualche urticante fastidio personale di ricaduta economica da sanzioni alla Russia e la sacrosanta legittimazione a provare una vaga preoccupazione per l'immediato avvenire nonché sentimenti di pena, dolore, solidarietà nei confronti della martoriata popolazione civile di quello sfortunato paese, nulla autorizza per il momento quello scomposto, italico cicaleccio nazionale di teorica natura politica e/o geo-strategica. Sacrosanto infatti l'auspicare (o pregare a seconda delle proprie convinzioni) che cessino i combattimenti e relativi lutti e distruzioni ed offrire altresì ogni possibile solidarietà morale e materiale alle vittime del conflitto; è invece sempre più insopportabile la ormai straripante quantità - in costanza, va sottolineato, di personali terga tenute comunque ben al caldo - di commenti, valutazioni, giudizi, prese di posizione condanne ed assoluzioni (senza se e senza ma ed a seconda dei casi) di tutti i disgraziati protagonisti di quella tragedia dalla difficile lettura socio-politica e dall'altrettanto problematica individuazione e valutazione di genesi, responsabilità ed eventuali prospettive. C'è soltanto la possibilità di, come suol dirsi, chinare la fronte davanti alla evidente tragedia che coinvolge inermi ed innocenti popolazioni civili, "e più non dimandare" e, soprattutto, e per il momento, ….. tacere! Nell'infinito elenco delle poliedriche qualità degli italiani - accanto alle storiche, ed ormai immortalate, doti del nostro popolo circa poesia, arte, eroismo, santità, pensiero, scienza, navigazione e trasmigrazione e, in tempi più recenti, di commissariamento di Nazionale di calcio


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- non poteva infatti mancare l'aggiunta di un ultimo, inedito, ma pertinente tassello qualitativo : di essere anche "un popolo di estemporanei, e gratuiti, Metternich" (naturalmente, più da rissa in TV che da Congresso di Vienna). Suvvia e per carità! Che si smetta di elucubrare a vuoto su scenari improbabili e soprattutto, da noi, incontrollabili ed ingestibili, ci si prepari saggiamente al peggio, e …. che Dio ce la mandi buona ! Antonino Provenzano Roma 10 marzo 2022

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INTORNO AL CONFLITTO Premessa: la guerra, specie se causata da un'aggressione è sempre e comunque un atto vile e drammatico e va condannata. Questo però non ci impedisce di indagare sui motivi che possono portare ad un conflitto, al riparo da giudizi di ordine morale, e ragionando all'inizio solo in termini di geopolitica o di sfere di influenza. Facciamo qualche piccolo passo indietro. La dissoluzione dell'Unione Sovietica ha mutato di colpo gli equilibri geopolitici del pianeta: si è passati da un mondo diviso in due blocchi in cui ciascuna delle due superpotenze controllava diverse aree di influenza (con un'ideologia e una strutturazione economica diversa) ad una realtà in cui era presente una sola potenza egemone che si è ritrovata sì, col vantaggio di poter intervenire sulle politiche interne di tutti o quasi gli stati del pianeta, ma che su alcuni, specie su quelli che avevano un'economia emergente, non potevano (vuoi per cultura, vuoi perché in essi erano presenti realtà troppo complesse) imporre un indirizzo politico che in qualche modo si rifacesse allo schema delle democrazie occidentali. Per la propaganda: libertà e benessere. Nella realtà dei fatti: concessione di parte della propria libertà acquisita in cambio di benessere (è quest'ultimo il paradigma che impedisce alle democrazie di compiersi). Nella vulgata però, niente a che vedere con l'autoritarismo di certe altre nazioni, dove la libertà è ancora da conquistare e dove il benessere è solo una concessione del despota di turno a secondo della propria lungimiranza o magnanimità. Partendo da questo sconvolgimento, c'era bisogno di un collante che tenesse uniti tutti e questo non poteva che venir fuori dalla libera economia di mercato. Oggi diremmo, dal globalismo. Se il capitalismo s'impone, è su questo che poi poggiano gli equilibri del mondo e tanto più una nazione è forte, per ragionare in termini geopolitici, quanto più la propria economia cresce ed è solida. Nel caso specifico, nel passaggio dall'Urss di Gorbaciov alla Russia di Eltsin, non vediamo altro che il passaggio della Russia al mondo Occidentale, un passaggio in verità brevissimo (e devastante economicamente) che durò fino a quando non si giunse al successore di Eltsin. Putin non rifiutava l'economia di mercato ma riteneva (ritiene) che la Russia possa avere una prospettiva diversa da quella che gli può prospettare l'occidente, ovvero quella di un paese in cui la propria politica interna può essere influenzata, a secondo della circostanza, da un paese egemone. In qualche modo ha rifiutato il paradigma "libertà in cambio di benessere", questa volta applicato ad una nazione invece che al singolo cittadino.


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Che il ritorno ad oriente della Russia passi dunque attraverso un regime autoritario è in quest'ottica un discorso di opportunità politica. Lo sbaglio che molti occidentali fanno è di rivestire le questioni che riguardano la gestione del potere con caratteri di moralità. L'immoralità è presente in tutte le realtà geopolitiche del globo perché al grado di civiltà raggiunto oggi dal genere umano questa componente è ancora preponderante su tutto il resto: che una scimmia possa definirsi uomo è solo un atto di presunzione e nascere ad oriente o ad occidente non fa alcuna differenza. Ad ogni modo la storia dell'uomo e delle nazioni ha dei fatti non preventivabili e sui quali prima o poi ci si deve scontrare. E' successo che le economie emergenti siano diventate sempre più emergenti, ed in particolare una, la Cina è diventata troppo forte e troppo grande. Il timore degli USA è stato quello di perdere il ruolo di potenza egemone del pianeta. E rispetto al passato non aveva neppure gli strumenti per impedirlo. Il capitalismo applicato ad un'economia globale ha riservato un'amara sorpresa: i regimi autoritari aperti all'economia di mercato hanno il notevole vantaggio di non essere quasi mai inficiati nelle scelte politiche dai propri cittadini. Un paradosso che segna un altro sconvolgimento epocale di cui non tutti si sono accorti. Il paradigma aggiornato, riferito ai cittadini, è diventato: controllo in cambio di benessere. Siamo dunque arrivati all'undici settembre. Una tragedia immane che ha offerto a chi gestiva il potere in occidente una nuova opportunità: poter esercitare un maggiore controllo sui cittadini in modo che questi ultimi possano solamente avere, cosa non detta, un grado d'influenza marginale sulla politica. Le politiche occidentali da quel momento, servendosi pure di tutti i nuovi strumenti che la tecnologia ha offerto, agiscono direttamente sul cittadino influenzandolo al punto tale che egli debba credere di poter operare delle scelte mentre nei fatti qualcuno dall'esterno impone altro. Qualcuno oggi "si è svegliato" con la pandemia (perché si è agito sulla leva della paura e certe contraddizioni seppur in modo sfocato sono emerse), ma questa modalità d'intervento che potremmo definire "psicologica" è ben avviata da un ventennio. Oggi possiamo solamente dire di essere arrivati ad un punto in cui i diritti acquisiti ci vengono tolti e mentre ce li tolgono si tiene alta l'attenzione sulle "giuste" rivendicazioni dei diritti delle minoranze in modo da renderci ancora più confusi ed indifesi. In vent'anni un esercizio politico di tal tipo diventa sofisticato ed oggi ne possiamo vedere la grandezza. Singolarmente veniamo spinti ad occuparci di ogni cosa e siamo indotti ad emettere delle sentenze. Esprimiamo un giudizio di merito senza avere gli strumenti adeguati a farlo, trasfigurando ciò che viene percepito come buono e giusto e credendo che tutto questo ci porti all'esposizione di una verità. In realtà il tutto è assimilato ad un pensiero che non è il nostro, ma invece è quello che ci viene indotto o suggerito dai mezzi d'informazione in quel momento disponibili. Così nasce il pensiero unico, quella in cui un popolo è sradicato dalla propria storia e dalla propria cultura, in sintesi dal proprio pensiero. Il pensiero unico quindi altro non è che il contraltare all'autoritarismo del mondo orientale. Tutto è teso ad una nuova prova di forza che vede fronteggiarsi due modi diversi di concepire il

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mondo, nella prospettiva (la medesima che si avvertiva in epoca di guerra fredda) che alla fine si debba arrivare ad un solo vincitore. Quanto detto è un passaggio necessario perché se non vediamo tutto questo ogni analisi geopolitica, seppur ficcante, diventa fatua e non potremmo mai comprendere alcunché. Cosa stiamo vivendo oggi? Un conflitto, più esteso e grave rispetto ai precedenti, di un mondo diviso nuovamente in due blocchi con diversi attori in campo. Un occidente guidato dagli USA, ed un oriente in cui la componente più forte è rappresentata dalla Cina sebbene l'attore in campo nelle vicende ucraine sia la Russia. Sono presenti ancora numerosi paradossi dovuti agli intrecci economici ed agli interessi particolari delle nazioni ma siamo ben diretti verso una sempre maggiore radicalizzazione delle posizioni assunte dalle due nuove controparti. La "visita delle sette chiese" recente di Biden in Europa per rafforzare le alleanze a cui poi si è aggiunto il successivo ritiro dell'Occidente dall'Afghanistan vanno inquadrate in quest'ottica. La dismissione degli USA in alcune aree di influenza si rende necessaria se questa costituisce un ostacolo al nuovo contendere. È presto per fare delle previsioni sull'esito della guerra in Ucraina ma è preventivabile una sua frammentazione in due parti, ciascuna con la propria area di influenza. In realtà l'Ucraina da sempre è stata la frontiera fra occidente ed oriente ed è quindi facile immaginare che qui si stabiliranno i confini del mondo nuovamente diviso in due. In questo contesto l'obiettivo principale degli USA (ed in particolar modo dell'amministrazione Democratica) era e resta quello di far fuori Putin, ovvero colui che ha condotto lo Stato più esteso del pianeta (quello con più risorse naturali) verso il nemico più pericoloso per gli americani oggi: la Cina. Un obiettivo non dichiarato già da tempo ma che nel progressivo allargamento della NATO ai paesi che un tempo erano nella sfera d'influenza dell'URSS, nell'Euromaidan (che non è stato solo un moto spontaneo ma indotto anche dall'esterno) chiarisce che tutta la situazione d'instabilità che da lì in poi si è creata sia come facente parte di un unico disegno. Anche la tempistica dei fatti rafforza questa tesi. La rivoluzione del 2014 che ha portato alla cacciata di Yanukovich (nota: ad un anno dal voto che avrebbe potuto sancire la sua uscita di scena con strumenti democratici e con buona pace delle pretese russe sul territorio) è arrivata anche in concomitanza con i giochi olimpici invernali di Sochi (l'evento per Putin, quello che avrebbe dovuto mostrare al mondo intero la grandezza della Russia ma che è stato oscurato dalle vicende concomitanti) e possono anche venire intesi, a ragione, come una mossa per causare una reazione dello "zar" al fine di metterlo nell'angolo. Fatto sta che l'occupazione della Crimea è avvenuta con truppe non regolari dell'esercito russo comportando con ciò (oltre che alle sanzioni dell'Occidente) allo spostamento più avanti nel tempo della resa dei conti, probabile, vista anche l'instabilità nella regione del Donbass. Ed oggi che i Democratici americani sono nuovamente alla Casa Bianca (in un'alternanza con i Repubblicani in cui è pure presente la convinzione che gli hacker russi abbiano costituito un'ingerenza nella regolarità dello svolgimento del voto del 2016 che ha portato all'elezione di Trump) quella che abbiamo definito "resa dei conti" diventa ineludibile; i motivi di frizione e gli interessi in gioco sono troppi (non


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dimentichiamo inoltre l'intervento militare in Libia da parte dell'Occidente e la morte di Gheddafi ed il peso che questo ha avuto nei rapporti DEM USA-Russia). Deporre Putin dunque, ed in un mondo di nuovo diviso in due blocchi, se prima era un'opportunità, oggi diventa un'incombenza inevitabile. Tanto più se in futuro Putin finisse col diventare un alleato strategico ed organico agli interessi cinesi (un po' come possono essere considerati oggi i paesi europei in relazione agli Stati Uniti). Le ragioni della guerra ritengo stiano in questo, con nessuna delle due controparti realmente interessate a mettere davanti ai propri interessi strategici o di gloria personale la vita delle persone. Il pensiero unico oggi condanna chi prende una posizione di equidistanza dagli eventi, chi magari condanna solo la guerra ma che contemporaneamente non ascrive a Putin la responsabilità esclusiva di tutto quanto accade. Ritengo invece che il pensiero critico aliena ogni forma di ingerenza esterna. Perché la libertà sta anche in questo e se quest'ultima oggi è minacciata sia in occidente che in oriente, dovremmo tutti ribellarci ad un'omologazione del pensiero, indipendentemente da dove siamo fisicamente ubicati. Che sia mera violenza fisica di un aggressore o che ci riferisca alla coercizione mentale più o meno sofisticata di qualcun altro la rilevanza è poca. In un mondo immorale probabilmente l'unica forza capace di offrire una controreazione al male sta nella strenua difesa della propria libertà individuale (a partire dal pensiero), senza compromessi e nel rispetto di ciò che ci rende tanto simili e differenti gli uni verso gli altri. Alfredo Lancellotti

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CRONACHE DAL FRONTE Diario della terza settimana di guerra. Il prezzo dei carburanti al consumo è volato alle stelle toccando, in questi giorni, picchi di 2,3 euro al litro per la benzina e 2,4 euro per il gasolio. Le previsioni per il fine settimana non escludono un ulteriore rialzo a 2,60 euro al litro per il gasolio e 2,20 euro al litro per la benzina. A far lievitare il prezzo del carburante per autotrazione è la guerra russo-ucraina che, spingendo verso l'alto il costo della materia prima, si trascina l'aumento proporzionale delle accise e dell'Iva. L'imposta unica indifferenziata, nella quale sono state raggruppate le 19 accise ancora applicate dallo Stato sul consumo di carburante per autotrazione, pesa per il 40 per cento sul prezzo finale di vendita al litro di benzina e diesel (meno sul gpl). Se si aggiunge l'Iva al 22 per cento (calcolata su netto + accisa) il carico fiscale sale al 55 per cento circa. Numeri insostenibili per le famiglie e ancor più per le imprese. Tant'è che nella settimana appena conclusa, nel silenzio generale dei media, si è fermato l'intero comparto della pesca. La sospensione delle attività è stata motivata da causa di forza maggiore: il prezzo del carburante. La prossima settimana si apre con la minaccia del settore degli autotrasporti di paralizzare il Paese. Stessa motivazione della flotta peschereccia. Le tariffe di energia elettrica e gas, stimate dall'Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente), a giovedì 10 marzo davano: tariffa luce monoraria F0 a 0,293 euro/kWh - tariffa luce bioraria F1 e F23 a 0,321 euro/kWh; 0,278 euro/kWh - tariffa gas a 91 euro-cent/smc. Gli aiuti stanziati dal Governo per alleggerire le famiglie e le imprese dell'aumento dei prezzi delle forniture energetiche sono del tutto insufficienti. Tale è il quadro al netto della decisione, oggi possibile, che Mosca decida, a titolo ritorsivo, di interrompere totalmente le forniture di gas all'Italia. Serve ricordare che il gas russo copre il 40 per cento del fabbisogno del nostro Paese. Cosa accadrebbe se si materializzasse lo scenario peggiore? Per gli esperti di Nomisma Energia, il blocco di gas e petrolio dalla Russia ci consentirebbe un'autonomia di tre-quattro mesi, trascorsi i quali scatterebbe il razionamento. Sul fronte del grano e del mais siamo prossimi allo shock dell'import. L'Ungheria, dalla quale l'Italia compra il 30 per cento di grano tenero e il 32 per cento di mais per il proprio fabbisogno annuo, se dovesse mantenere la decisione di bloccare l'export per ragioni di sicurezza nazionale connesse alla guerra in corso ai suoi confini, per il comparto dell'agroalimentare nostrano sarebbe un colpo mortale. Alla potenziale caduta dell'offerta si aggiunga lo stop del 6 per cento di grano tenero e il 15 per cento di mais che giungono annualmente nel nostro Paese dalla Russia e dall'Ucraina. La situazione si aggrava per la decisione delle autorità russe di sospendere, come


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misura ritorsiva contro le sanzioni varate dall'Occidente, l'export di fertilizzanti. La Russia ne produce circa 50 milioni di tonnellate annue (il 15 per cento dell'intera produzione mondiale). Di questi prodotti i principali acquirenti sono l'Unione europea e il Brasile. La minaccia del crollo dell'offerta ha fatto rincarare i prezzi dei fertilizzanti del 170 per cento (da 250 euro/tonnellata a 670 euro/tonnellata). Con la chiusura dei porti sul Mar Nero, Russia e Ucraina, che sono i maggiori produttori di semi di girasole, ne hanno bloccato l'esportazione. Secondo i dati di Assitol, l'Associazione italiana dell'industria olearia, il consumo annuo in Italia di olio di girasole si aggira sulle 770.000 tonnellate. Ovviamente, non tutto destinato alle patatine fritte. Oltre che all'industria alimentare, questo particolare tipo di olio è impiegato nell'industria oleochimica ed energetica per la produzione del biodiesel. Assitol informa che dal 2015 "la quota di import di olio grezzo dall'Ucraina è cresciuta, passando dal 54 per cento al 63 per cento". È dunque del tutto comprensibile la decisione degli operatori del settore di cominciare a razionare la vendita del prodotto, alla luce del fatto che 50.000 tonnellate di olio grezzo di girasole sono ferme nei porti ucraini e non le si riesce a trasferite in Italia. Il divieto di import-export, firmato da Vladimir Putin contro i Paesi occidentali che hanno varato il pacchetto di sanzioni contro la Russia e tra questi l'Italia, riguarderà anche la vendita alle nostre imprese di alluminio, legno, argilla, caolino, materie prime utilizzate in alcune filiere della manifattura italiana. Grande preoccupazione suscita il blocco dell'export dall'Ucraina di acciaio (50,5 per cento) e di semilavorati (74,5 per cento). La siderurgia ucraina è presente in Italia con uno stabilimento a San Giorgio di Nogaro di proprietà della Metinvest Holding Llc, partecipata del gruppo ucraino Mentinvest Group, principale fornitore del Gruppo Marcegaglia. Ma la siderurgia italiana non potrà più contare su 5,5 milioni di tonnellate tra ghisa, rottame, e prodotti intermedi come bramme e billette, importate dalla Russia e che hanno generato un giro d'affari di circa 3 miliardi di euro. L'elenco dei prodotti sanzionati da Mosca non è stato messo a punto in via definitiva. Ma se, come tutto lascia intendere, il niet all'import riguarderà anche i settori della moda e dell'abbigliamento (comparto che lo scorso anno ha movimentato un volume di vendite per quasi un miliardo di euro), i prodotti chimici, farmaceutici e soprattutto i macchinari industriali e gli strumenti per l'estrazione dai giacimenti (volume delle vendite per oltre due miliardi di euro), il nostro Pil subirà un calo considerevole. La Russia, fino al 2019, ha rappresentato il secondo Paese - parzialmente extraeuropeo - per importanza dei flussi turistici (5,8 milioni di presenze, il 3 per cento dell'incoming italiano, il 12 per cento del totale del mercato) con una spesa di circa un miliardo di euro (il 2 per cento del totale). Poi c'è stata la pandemia che ha fortemente ridimensionato le aspettative d'incremento del flusso turistico russo verso il nostro Paese, avendo ripercussioni nell'indotto. È noto che i turisti russi nella Penisola amino spendere per acquistare il made in Italy. Ne è prova il fatto che, sebbene nel periodo gennaio 2021-febbraio 2022 sia stato registrato un decremento nel volume di acquisti tax free rispetto al 2019 (ante-pandemia), lo scontrino medio è salito a 1.215 euro

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(+78 per cento rispetto al 2019). Nel 2021, mete preferite di shopping dai turisti russi sono state Milano (39 per cento delle vendite totali) e Roma (17 per cento degli acquisti tax free). In particolare, nel 2021 la categoria merceologica preferita dai viaggiatori russi (87 per cento) è stata il fashion & clothing. Anche i turisti ucraini hanno dato un contributo significativo al successo del made in Italy, comprando nostri prodotti per un controvalore registrato a scontrino medio di 1.088 euro, in crescita del 45 per cento rispetto al 2019 (749 euro). Tutto questo mancherà alla nostra economia con le prevedibili ricadute sulla tenuta delle imprese e sui livelli occupazionali. Quest'anno, e per molti anni ancora, nessuno verrà dalla Russia a fare le vacanze in Italia, mentre coloro che arriveranno dall'Ucraina saranno i profughi in fuga dal conflitto bellico. Ora, nessuno dubita che gli ucraini se la stiano passando malissimo. Ma per noi italiani si è aperto un fronte occulto di guerra che costerà più sangue che lacrime. Cristofaro Sola


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IL PUNTO SUI VACCINI Cari amici del no-paura-day di Messina, grazie innanzitutto per il gentile invito a questa bella manifestazione. E' importante "risvegliare" le coscienze intorpidite e confuse da un bombardamento mediatico mai vissuto finora dalla nostra popolazione. Intanto mi presento: sono uno specialista in endocrinologia e metabolismo, oltre che in medicina nucleare, e ho sempre creduto fermamente nella medicina basata sulle evidenze, ma anche sull'antica arte del rapporto medico-paziente e dell'empatia che deve sempre accompagnare l'azione del clinico. La medicina moderna - ormai scienza medica - non deve mai dimenticare la sua componente di "arte" medica e la sua fondamentale umanità, ovvero deve restare una scienza dell'uomo per l'uomo. Ma possiamo considerare le cose anche da un altro punto di vista. A partire dalle idee di Ilya Prigogine e Murray Gell-Mann, nonché dagli illuminanti saggi di Edgar Morin, si è andata affermando nelle scienze contemporanee la cosiddetta "teoria della complessità" che - in opposizione alla tradizionale visione riduzionista e positivista - propone un approccio "olistico": i sistemi complessi o iper-complessi (come gli organismi viventi) sono caratterizzati da "proprietà emergenti" che vanno oltre la sommatoria delle singole parti. Per comprenderli meglio occorre considerare, al di là del dettaglio delle singole parti, le relazioni tra le parti e le leggi che ne regolano i rapporti. Inoltre viene posto l'accento sulla interdisciplinarietà e la contaminazione tra settori e scienze diverse, anche tra discipline "umanistiche" e "scientifiche". La contrapposizione che vediamo oggi tra diversi esponenti del mondo scientifico e accademico può anche essere letta come il contrasto tra una concezione riduzionista e meccanicista - che facilmente può degenerare in scientismo - e un' idea olistica e "complessa" della medicina e della biologia. Vorrei ora proseguire con alcune considerazioni di carattere generale per cercare di capire meglio cosa sia la PAURA. Si tratta forse di un sentimento? Un' idea? Una sensazione? Non proprio, essa è un potentissimo e profondo istinto sviluppatosi nel mondo animale e nei nostri progenitori pre-umani nel corso di una lunghissima evoluzione. I neurologi ne hanno identificato la sede cerebrale nell'amigdala, struttura situata non a caso nel cervello profondo. La paura svolge un ruolo fondamentale nelle reazioni di fuga e/o attacco volte a rispondere a gravi minacce che potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza individuale o collettiva. Si tratta dunque di un istinto fondamentale utile alla sopravvivenza dell'individuo e della specie, al pari dell'istinto sessuale, volto alla riproduzione e quindi alla perpetuazione dei propri geni, o di quello materno di protezione della prole, o della ricerca del cibo necessario all'alimentazione di

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sé e del proprio nucleo familiare. La reazione alla minaccia è duplice: fuga o aggressione, ovvero l'evasione dalla minaccia o il far fronte alla stessa tramite il dispiegamento dell'aggressività in tutte le sue forme. Con il manifestarsi della pandemia in corso, molti governi hanno rapidamente compreso la potenza del fattore PAURA per indirizzare i popoli nella direzione voluta e condizionarne fortemente i comportamenti. Ora, una paura giusta e proporzionata alla minaccia è sempre utile e funzionale alla sopravvivenza individuale e collettiva, ma il livello a cui viene posta l'asticella della paura deve essere attentamente posizionato e costantemente aggiustato in quanto una paura eccessiva, sproporzionata e mantenuta troppo a lungo può determinare danni superiori a quelli della minaccia stessa, in particolare gravi conseguenze economiche e sociali e anche rilevanti danni psicologici su alcuni settori della popolazione; penso ai bambini e agli adolescenti, come agli anziani fragili anche psicologicamente, o agli individui già affetti da forme di sofferenza psichica. La salute è una risultante di fattori fisici e psichici e se noi salvaguardiamo l'aspetto fisico a scapito di quello psichico non facciamo un buon lavoro. Purtroppo, è esattamente ciò che stiamo osservando: un'asticella della paura volutamente tenuta troppo alta e troppo a lungo sta causando spaventosi danni collaterali il cui bilancio complessivo deve ancora essere stilato. Certo, chi non ha paura di morire? Anche se, su questo punto dovremmo ricordare come almeno per chi si dice ancora cristiano - la morte è solo un passaggio verso la vera vita, la Vita Eterna in compagnia di Nostro Signore; perché dunque un cristiano dovrebbe esserne tanto terrorizzato? Ma anche i grandi filosofi pagani, come Socrate, non temevano la morte: perché quando noi siamo, la morte non è; e quando la morte è, noi non siamo più. Ma, a parte questi aspetti religiosi o filosofici, sappiamo bene come il rischio di esiti gravi o letali è enormemente differente in funzione dell'età e delle patologie concomitanti; eppure si è inculcata nelle persone l'idea - del tutto errata - che tutti possiamo, non infettarci, non ammalarci, ma MORIRE di questo virus; la verità è che il rischio di morte è quasi nullo per bambini e giovani sani, mentre è migliaia di volte superiore per anziani con patologie multiple. Per alimentare ed amplificare la PAURA si è ricorso ad un martellamento mediatico impressionante e ad una sistematica deformazione dei dati. Si è utilizzato un test diagnostico - il PCR - che gli stessi ideatori hanno denunciato come non adatto a rilevazioni di massa, e lo si è usato molto spesso con cicli di amplificazione oltre 40, capaci di produrre un numero significativo di falsi positivi; ciò può aver incrementato sia il numero di "contagi" sia quello particolarmente terrorizzante - dei decessi. Numero di decessi che può risultare in eccesso anche per come viene stilato il certificato di morte, ovvero decesso CON il virus o PER il virus. Ho analizzato nel dettaglio questo specifico argomento in un articolo pubblicato su "La Verità" del 29 12 2020 e mai smentito da alcuno. Oggi sappiamo che in molti altri paesi è stato commesso lo stesso "errore", corretto però in alcuni di questi con la produzione di dati più attendibili. Ancora oggi si perpetua invece da noi questa mistificazione, anzi viene esaltata dalla maggiore contagiosità di omicron con il risultato di produrre un gran numero di "positivi" e un numero sproporzionato di decessi erroneamente attribuiti al virus. Ma quanti potrebbero essere i "veri"


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morti PER il virus? Ebbene, l'ISS sta rivalutando tutte le cartelle cliniche dei circa 140.000 deceduti attribuiti al virus e ha definitivamente classificato come tali poco più del 50% delle prime 8.000 cartelle! In 2 anni avremmo quindi avuto circa 70.000 morti, non 140.000, 35.000 l'anno, ovvero circa 3,5 volte la media dei morti di una "normale" epidemia influenzale stagionale (circa 10.000 per anno). Esattamente come stimato da un importante studio pubblicato già nel 2020. Prima di parlarvi di vaccini e vaccinazioni vorrei accennare ora a tre punti di particolare importanza che evidenziano errori molto gravi che - se evitati - potevano produrre risultati molto migliori nella lotta al virus. Primo: troppo tardi si è ammesso che la trasmissione è in larghissima prevalenza AEREA contrariamente ai virus influenzali e del raffreddore comune. Essa infatti avviene sia tramite goccioline, al chiuso come all'aperto - in dipendenza dalla distanza e dal tempo di interazione tra gli individui, con possibilità di neutralizzazione con distanziamento e mascherine - sia tramite aerosol, ovvero particelle leggere, a lunga permanenza in aria, con possibilità di accumulo in ambienti poco aerati, scarsamente o affatto neutralizzabili da distanziamento e mascherine, in particolare al chiuso. Secondo: discende dal primo e consiste nell'importanza fondamentale della VENTILAZIONE degli ambienti chiusi, vuoi naturale - nella bella stagione - vuoi artificiale con adatti sistemi di scambio d'aria interno/esterno, vuoi con sistemi di purificazione ad esempio con ozono (in assenza di persone) o radiazioni UVC (anche in presenza di persone). Questi sistemi, estesi a uffici, scuole, palestre, cinema, teatri, negozi centri commerciali, banche, luoghi chiusi in genere, potevano equiparare il rischio di contagio al chiuso a quello (di gran lunga minore) all'aperto, ostacolando così in modo sostanziale la diffusione del virus. Non sarebbe stato molto meglio investire - magari tramite adatti bonus - in questi sistemi piuttosto che in inutili banchi a rotelle o bonus monopattini? La domanda appare chiaramente retorica. Infine un terzo punto di rilievo, non abbastanza sottolineato: L'uso, sia in prevenzione che in terapia, di un presidio semplice, economico e largamente disponibile, ovvero l'assunzione di Vitamina D3 in dosi appropriate di 4.000/5.000 U.I. al dì, in associazione a vit. K2 e Zinco. Numerosi studi hanno documentato l'efficacia protettiva, anche verso ricovero e morte, di questo approccio, in particolare in inverno per anziani impossibilitati ad uscire all'aria aperta ed esporsi alla luce solare, ma in generale per tutti i soggetti con bassi livelli di vit. D. Questa vitamina, oltre ad una generica azione di rinforzo immunitario, possiede anche una specifica attività antivirale. Quanti anziani residenti in RSA avrebbero potuto giovarsi di questo semplicissimo strumento? Non lo sappiamo, ma temiamo di saperlo. Questo tema si riallaccia a quello della mancata attenzione alle terapie domiciliari, anzi dell'attivo boicottaggio messo in atto verso chiunque - semplice medico di famiglia o illustre professore - osasse avanzare proposte terapeutiche diverse da "tachipirina e vigile attesa" cui solo più recentemente sono stati aggiunti i FANS, senza però eliminare il paracetamolo, ad onta degli studi che ne avevano dimostrato il possibile danno per il consumo di glutatione, il potente antiossidante e antivirale naturale dell'organismo.

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Un'epidemia da virus respiratorio molto diffusibile non può essere affrontata con una sola arma (terapie intensive e vaccino ad esempio) ma con tutte le armi disponibili: misure di prevenzione individuali e di gruppo - mascherine e distanziamento, dove utili; medicina territoriale e terapie precoci domiciliari - in grado da fare da filtro agli ospedali - poi, e solo poi, ospedali e terapie intensive; infine vaccini davvero sicuri ed efficaci, in particolare dotati di azione "sterilizzante" in senso epidemiologico, ovvero in grado di ridurre o arrestare la circolazione virale e condurre la popolazione verso l'immunità di gregge, in combinazione con l'immunità naturale dei soggetti guariti. Immunità naturale che - come dimostrato ormai da molteplici studi, l'ultimo dello stesso CDC di Atlanta - è di gran lunga più ampia, robusta e durevole di quella indotta dagli attuali "vaccini" su base genica. E perché si è tanto tardato ad eseguire autopsie sui poveri morti da virus nelle fasi iniziali dell'epidemia? Storicamente sappiamo quanta importanza abbia sempre rivestito l'esame autoptico nello studio di nuove malattie e delle loro caratteristiche eziopatogenetiche e fisiopatologiche, come nel chiarimento di casi individuali di difficile inquadramento diagnostico. Eppure le autopsie sono state ostacolate con la poco comprensibile giustificazione di un rischio infettivo (le sale autoptiche sono già ben attrezzate in questo senso) ritardando così drammaticamente la scoperta della natura anche vascolare del danno polmonare nella malattia grave, e quindi l'adozione di terapie più mirate e meno lesive. Oggi poi, continuano ad essere centellinate le autopsie di persone decedute in correlazione temporale con le vaccinazioni, rallentando e impedendo così una corretta valutazione del rapporto di causalità. Ma su questo importante punto ritorneremo più avanti. In generale possiamo ora dire che la strategia generale di intervento si è dimostrata assai manchevole quasi ovunque nel mondo. Nel mese di ottobre 2020 tre illustri epidemiologi - i prof. Kulldorf di Harvard, Battacharya di Stanford e Gupta di Oxford diedero vita alla Great Barrington Declaration in cui proponevano un cambio di paradigma nella lotta al virus in considerazione del fatto che la pandemia prometteva di prolungarsi almeno per un paio di anni, o forse più. Nessuno stato poteva permettersi ancora "blocchi" più o meno totali e prolungati che avrebbero comportato dubbi vantaggi sanitari e sicuri danni economici e psicologici per la popolazione. Occorreva dunque procedere - viste le caratteristiche del virus - con una strategia MIRATA di messa in protezione della fascia di popolazione a maggior rischio di malattia grave (anziani maggiori di 65 anni, anziani con patologie associate, giovani con gravi patologie, obesi, diabetici e ipertesi non compensati, soggetti immunocompromessi, malati oncologici). Il resto della popolazione, a molto minor rischio di malattia GRAVE, poteva condurre una vita quasi normale con la sola osservanza delle misure di protezione individuale nelle situazioni di maggior rischio (ambienti chiusi, grandi assembramenti). Un eventuale vaccino avrebbe potuto essere inserito in questo schema sempre nel contesto di una strategia MIRATA e non di massa. 850.000 medici, ricercatori, studiosi di varie discipline, sottoscrissero la Dichiarazione (compreso il sottoscritto) che fu però subito attaccata, e i loro promotori denigrati e boicottati, indicati alla pubblica esecrazione come "negazionisti"!!


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Ora, a distanza di 16 mesi, i fatti intervenuti depongono per l'assoluta ragionevolezza della proposta, la quale fu attivamente ostacolata da un'azione di diffamazione orchestrata da Anthony Fauci e Francis Collins, direttori del NIAID e del NIH, come emerso da uno scambio di email ora venuto alla luce. Anche i risultati di paesi come la Svezia depongono a favore della strategia proposta dagli epidemiologi della GBD. Non è possibile non fare un accenno ad un fatto molto grave: illustri medici, ricercatori, scienziati e Premi Nobel sono stati attaccati, insultati e infine censurati per aver espresso opinioni scientificamente fondate - contrarie a quelle dominanti. Medici praticanti sono stati minacciati e infine allontanati dai loro luoghi di lavoro per aver prescritto ai loro pazienti terapie domiciliari considerate non appropriate. Social media hanno fatto ricorso a "controllori" che hanno chiuso "account" di semplici cittadini o importanti studiosi. Tutto ciò ha un nome: CENSURA. Robert Malone è stato censurato su Twitter, il prof. Kulldorf su Linkedin e così via. Con quali credenziali questi "controllori" hanno osato fare questo a professionisti di grande livello internazionale? Molte cose devono cambiare quando la "normalità" delle cose - in tutti i suoi aspetti - sarà ripristinata. Ma parliamo ora delle vaccinazioni. Premetto che, in qualità di medico di solida formazione scientifica, ritengo la vaccinazione in generale una delle più grandi conquiste della medicina moderna, al pari della sterilizzazione chirurgica e degli antibiotici. Jenner era un vero genio, avendo intuito il principio generale della vaccinazione (termine che deriva dal vaiolo delle vacche usato per preparare il liquido usato nella scarificazione) senza avere la minima idea di cosa fosse un poxvirus. Sabin invece era un vero santo: declinò qualsiasi compenso derivante dalla scoperta del primo vaccino davvero efficace contro la poliomielite e operò sempre esclusivamente in vista del bene comune. Ma qual è questo principio generale della vaccinazione? Ebbene, si tratta di indurre nell'individuo da vaccinare una malattia simulata e contemporaneamente attenuata, così da provocare una risposta immunitaria verso il successivo incontro con l'agente infettivo che sia simile a quella naturale, adeguata, sicura e tale da impedire il manifestarsi dei più gravi sintomi di malattia (come le paralisi e atrofie muscolari della poliomielite). Un buon vaccino, oltre ad agire preferibilmente secondo questo principio, deve avere tre obiettivi: ridurre o contrastare significativamente infettività e trasmissibilità del patogeno, e infine ridurre o abolire del tutto i sintomi più gravi e/o la morte. Le prime 2 azioni determinano la maggiore o minore capacità "sterilizzante" del vaccino, e quindi l'efficacia e rapidità nel conseguimento di una immunità di popolazione (sempre in unità d'azione con l'immunità naturale dei guariti). L'ultima azione esprime l'efficacia clinica individuale del vaccino nel prevenire ospedalizzazioni e decessi. Sempre parlando in generale osservo come non sia corretto riferirsi a "il vaccino", termine che sembra più appropriato per un Ente astratto, quasi un'Idea platonica del mondo iperuranio, che discende sulla terra dei poveri mortali per la loro salvezza (terrena), ma dobbiamo considerare i tanti e diversi vaccini molto diversi uno dall'altro, come vedremo. Ma cosa accade se si vaccina una popolazione nel pieno di una pandemia con vaccini poco o nulla "sterilizzanti", ovvero non in grado di ridurre infettività e trasmissibilità? Accade che un Rna

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virus, molto variabile, si adatterà alla pressione immunitaria indotta ed evolverà rapidamente in varianti che sfuggono - in tutto o in parte - ai vaccini; è la cosiddetta "fuga immunitaria": potremo assistere così alla comparsa di varianti più contagiose, generalmente meno patogene, ma potenzialmente anche più patogene. E' il poco rassicurante scenario che teme il prof. Van den Bossche, mentre altri ritengono di poter "inseguire" ogni nuova variante con nuovi vaccini. C'è un problema però: il virus sarà sempre più veloce. Abbiamo parlato di vaccino antivaioloso e antipolio, entrambi appartenenti alla categoria dei "vivi attenuati" - sempre che abbia senso parlare di vita nel caso di entità organiche incapaci di riproduzione propria. Vi sono poi vaccini "inattivati" o "uccisi", in cui si somministra il virus intero (con tutti i suoi antigeni) ma incapace di produrre effetti patogeni. Più recente l'uso di vaccini "proteici" in cui si somministra uno o più antigeni proteici virali, ora facilmente prodotti in laboratorio tramite ingegneria genetica con la tecnica del "Dna ricombinante".Infine, gli ultimi arrivati: i super tecnologici vaccini a Dna veicolati da un vettore virale, o ad mRna trasportati da nanoparticelle lipidiche. Questi ultimi 2 tipi non suscitano una risposta immunitaria policlonale (più anticorpi verso più antigeni) come i vaccini a virus intero, ma una risposta monoclonale, anche più intensa, ma più ristretta in quanto rivolta verso un solo antigene virale, solitamente la proteina spike (antigene S) che si lega ai recettori Ace2 della membrana cellulare e facilita l'ingresso del virus all'interno della cellula.. Un vaccino diverso può essere costituito da vaccini "proteici" che utilizzano multipli frammenti di antigene S tratti da diverse "varianti" virali, come quelli allo studio con le porzioni terminali della proteina virale spike, cosiddette RBD (receptor binding domain) che mantengono la proprietà antigenica, ma non quella biologica della spike intera. Come sappiamo, da noi sono per ora disponibili vaccini a vettore virale (adenovirus non patogeni) e Dna virale (Astra Zeneca e J & J) e vaccini ad mRna e nanoparticelle (Pfizer e Moderna). I vaccini a vettore virale sono stati limitati alle persone di età maggiore di 60 anni dopo i casi di morte per trombosi atipica messa in relazione causale con questi vaccini, ma ora praticamente abbandonati. La frequenza di questa gravissima e quasi sempre letale complicanza (tromboembolie diffuse con emorragie da piastrinopenia) è stata stimata in 1 su 100.000 dosi somministrate, più frequente nelle giovani donne. La patogenesi è immunologica e forse da mettere in relazione ad una anomala risposta all'adenovirus. Gravissimo nel nostro paese il fatto che - anche successivamente al riconoscimento ufficiale di questo grave problema da parte di EMA e il CONSIGLIO da parte di AIFA a limitare l'uso di tali vaccini oltre i 60 anni di età, si siano aperti "open day" vaccinali per i giovani e le giovani con esiti purtroppo mortali per alcuni di essi. Ha fatto scalpore il tragico caso di Camilla Canepa, morta a soli 18 anni a 16 giorni dalla dose di vaccino Astra Zeneca, attribuita al vaccino dal procedimento legale, ma non dalla burocrazia e dalla statistica sanitaria, essendo il decesso intervenuto oltre i 14 giorni. Come se non si sapesse che tale complicanza è stata vista manifestarsi anche a 30 giorni di distanza dalla vaccinazione! E quanto ai vaccini ad mRna? Possono considerarsi più affidabili e sicuri, oltre che efficaci? Ora sappiamo, intanto, che tutti questi vaccini (come pure quelli a Dna) non hanno sufficiente capacità sterilizzante. Non è possibile quindi raggiungere - solo con tali vaccini - l'immunità di popolazione.


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La loro protezione consiste solo (e certamente non è poco) nel limitare la comparsa di malattia grave e morte, in particolare e soprattutto nella popolazione ad alto rischio (non quindi nei giovani sani che sono ottimamente protetti dal proprio sistema immunitario). Si tratta allora di veri vaccini? E' molto discutibile, io li definirei piuttosto: sostanze immunostimolanti ad azione profilattico-terapeutica, in parole povere, terapia genica. Ma se fossero stati così definiti, avrebbero dovuto sottostare a condizioni molto più stringenti per essere autorizzati all'uso umano e infine approvati. Per aggirare questa difficoltà, l' OMS - già nel febbraio 2020 - ha curiosamente modificato la definizione di "vaccino" in modo tale che queste sostanze potessero essere definite tali e non terapie geniche. Ma tutta la ricerca sull'uso del mRna, che risale ad alcuni decenni orsono, mirava proprio a mettere a punto terapie geniche per malattie rare, genetiche e di difficile o impossibile cura con metodi tradizionali. Un nobile scopo. Robert Malone per primo (1987) riuscì a dimostrare come un mRna, incapsulato in un involucro lipidico, poteva entrare in una cellula e indurvi la sintesi della proteina da esso codificata. Erano note le difficoltà di maneggiare mRna per sua instabilità e rapida degradazione, e la storia successiva è lunga e complessa. Una svolta si ebbe tra il 2005 e il 2007 quando Katalin Karikò e Drew Weissman riuscirono a stabilizzare la molecola e impedire l'eccessiva risposta immunitaria dell'organismo: ottennero ciò sostituendo la molecola uracile (U) nei nucleotidi di mRna con lo pseudouracile (Psi) cosicché Il sistema immunitario non sembrava in grado di riconoscere subito il mRna modificato. Si ottenne così un considerevole prolungamento dell'emivita da alcune ore a circa 2 giorni con la possibilità di sintetizzare le proteine desiderate in grandi quantità. Altri ricercatori stanno esplorando tecniche alternative alla pseudo uridina per ottenere mRna stabili e sicuri, e le ricerche sono in corso. Restava il problema di superare la tossicità degli involucri lipidici di trasporto. Tra il 2005 e il 2010, a partire dalle ricerche di Pieter Cullis, si è riusciti a produrre nanoparticelle lipidiche efficaci e atossiche costituite da un doppio strato lipidico di colesterolo, fosfolipidi, polietilenglicole e un lipide ionizzabile, a carica positiva, che lega il mRna. Tutto risolto dunque? Non proprio, visto che questa interessante tecnologia non ha ancora prodotto le terapie geniche promesse, potenzialmente molto importanti per la cura di alcuni tumori, oltre che - come detto prima - per la cura di malattie particolari. Con l'improvviso manifestarsi della pandemia, molte aziende hanno applicato la nuova tecnologia alla produzione, in tempi straordinariamente rapidi, di vaccini di nuova concezione, mai quindi testati finora nell'essere umano. Pfizer e Moderna sono state le prime aziende in occidente a produrre vaccini autorizzati da FDA, EMA e altre agenzie del farmaco; altre aziende europee, cinesi e di altre nazioni stanno seguendo strade simili, anche se Sanoffi ha recentemente abbandonato il suo mRna vaccino in favore di un vaccino "proteico". Cosa possiamo dire dopo oltre un anno dalla loro introduzione? Ho già detto come la loro capacità "sterilizzante" è bassa e si tratta dunque di prodotti più utili a livello di protezione individuale che collettiva (non ha senso dunque parlare di "dovere morale" o simili). L'efficacia,

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inizialmente data al 95%, cala piuttosto rapidamente entro 4/5 mesi e deve perciò essere ristabilita con dosi di richiamo a quanto pare sempre più ravvicinate nel tempo, con il rischio come denunciato tra gli altri anche dal prof. Cavaleri di EMA - di una "anergia" o tolleranza indotta verso l'antigene immunogeno, ovvero la proteina spike virale. Il calo di efficacia è ancora più sensibile verso omicron che sfugge in larga parte alla risposta anticorpale di vaccini prodotti verso il virus originale di Wuhan e mai riprogrammati. La protezione verso la malattia grave sembra di maggior durata, ma anch'essa declina dopo circa 9 mesi. La sicurezza è tuttora in discussione: sotto la pressione della pandemia non sono stati eseguiti test di genotossicità o carcinogenicità; nel gruppo di studio dei volontari, per motivi non del tutto chiari, il ramo "placebo" ad un certo punto è stato chiuso, impedendo un confronto corretto e completo tra gruppo trattato e gruppo di controllo; i dati di farmacovigilanza passiva (e non attiva) del VAERS americano non sono rassicuranti e dovrebbero imporre analisi più approfondite. I dati di AIFA sono stranamente inferiori al VAERS, ed entrambi sono certamente sottostimati dal 10 al 100% - ove si adottasse un sistema attivo, e non passivo, di farmacovigilanza. Preoccupa in particolare il fatto che le segnalazioni VAERS di effetti avversi gravi o letali sono di gran lunga superiori alla somma degli effetti avversi dati da tutti i vaccini negli ultimi decenni. Se poi esaminiamo la distribuzione degli eventi avversi gravi correlati temporalmente a questi vaccini nel corso di un mese, vediamo che la frequenza massima si concentra nei primi 5/6 giorni. Ciò può spiegarsi con l'intervento di un fattore causale che agisce nei primi giorni dopo vaccinazione, e meno successivamente, quando prevale una correlazione di tipo casuale. E quale può essere questo fattore causale? Domanda decisamente retorica. Ma un altro grafico suscita grande preoccupazione: dai dati del NHS (sistema sanitario britannico) si evince come la mortalità per tutte le cause tra popolazione vaccinata e non vaccinata presenta un andamento particolare nel 2021. Tra gennaio e aprile la mortalità è superiore nei non vaccinati, ma il divario tende a ridursi rapidamente fin quando - intorno al mese di aprile - le curve si incrociano e la mortalità nei vaccinati supera nettamente quella dei non vaccinati e tale differenza si mantiene tuttora. Dobbiamo ritenere che un fattore X di aumentata mortalità ha iniziato ad agire sull'intera popolazione di vaccinati fino a produrre una maggiore mortalità generale rispetto alla popolazione non vaccinata. Cosa può essere? Altra domanda che possiamo definire retorica. Se gli studi statistici di popolazione ci forniscono dati di grande rilievo - e sempre più ci forniranno in futuro se non si abolirà la fondamentale popolazione di controllo dei non vaccinati - le ricerche procedono sul piano biologico molecolare. E' ormai certo che la proteina virale spike - purtroppo usata come immunogeno - è una tossina cellulare dotata di inquietanti proprietà: sintetizzata in enormi quantità dopo l'introduzione del mRna nelle cellule (trilioni di molecole) essa può raggiungere dalla sede di iniezione molti organi e tessuti come dimostrato da uno studio giapponese di biodistribuzione. Purtroppo questo fenomeno può essere grandemente accelerato se per sventura la punta


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dell'ago dovesse introdurre il farmaco in un vaso (come la vena cefalica che attraversa il deltoide); in quel caso il farmaco può raggiungere quasi istantaneamente ogni parte del corpo, essere captato dalle cellule endoteliali che poi esporranno la spike sulle loro superficie con possibile stimolo emocoagulativo e la produzione di microtrombi, come avviene nel polmone nei casi di malattia grave; ciò può anche facilitare la comparsa di miocarditi e/o pericarditi e altri danni da reazione immunitaria in vari organi e tessuti. Di recente la Danimarca e ultimamente anche la Germania raccomandano di procedere ad una leggera aspirazione prima di iniettare il farmaco i.m. Ma la maggior parte dei paesi segue le raccomandazioni OMS di non aspirare! Un recente studio ha dimostrato come la spike può facilmente oltrepassare la membrana nucleare e interferire con il delicato sistema di riparazione del Dna (danni tossici e da radiazioni UV, raggi cosmici, isotopi radioattivi etc) e l'altrettanto importante meccanismo genetico che consente la sintesi di un ampio ventaglio di anticorpi, in risposta ad un agente infettivo, all'interno del quale saranno selezionati i migliori anticorpi "neutralizzanti". Conseguentemente, se questa azione "tossica" fosse di lunga durata o, addirittura, permanente, potremmo avere minor sorveglianza su virus latenti o cellule tumorali, e anche minor risposta a successive infezioni, anche di tipo diverso. Lo stesso preoccupante risultato potrebbe derivare da un altro tipo di danno: si è affermato che la risposta immunitaria dopo vaccinazione è analoga a quella naturale dopo infezione; purtroppo non sembra che sia così: la risposta dopo vaccino mRna è prevalentemente di tipo umorale (linfociti B che divengono plasmacellule) e molto meno cellulare (linfociti Cd8 o citotossici) e la memoria immunitaria (peraltro transitoria) è anch'essa in prevalenza di tipo B e non T. Questo deficit relativo di immunità cellulare citotossica può condurre a ridotta sorveglianza verso virus latenti (Herpes Zoster ad esempio) o tumori e, se fosse di lunga durata, potrebbe configurarsi in una forma parziale di immunodeficienza acquisita (la sindrome AIDS da virus Hiv è più grave in quanto deriva dalla distruzione dei linfociti CD4 o T helper che sono una sorta di direttori d'orchestra che organizzano sia la risposta umorale (anticorpi) che quella cellulare (cellule T killer o citotossiche). La compromissione del sistema immunitario da virus Hiv è quindi globale e gravissima (sempre letale fin quando non furono introdotti gli attuali farmaci antivirali). La sindrome secondaria a mRna vaccini sarebbe invece parziale e (si spera) transitoria. I meccanismi immunologici ora descritti possono essere ipotizzati come possibili basi biologiche di effetti collaterali a medio/lungo termine che potranno essere chiaramente evidenziati solo nel corso dei prossimi anni (e per questo - ribadisco - è importante mantenere una popolazione di controllo non vaccinata nel colossale esperimento di popolazione in corso!). La "normale" risposta al virus è dunque ben diversa: innanzitutto è policlonale, con tanti anticorpi diretti verso tutti i bersagli del virus e non la sola spike. E' una risposta equilibrata tra parte umorale (anticorpi) e cellulare (linfociti killer) e si compone anche di una risposta "mucosa", ovvero IgA nelle mucose delle vie respiratorie che vanno a rafforzare l'immunità innata. In caso di varianti con mutazioni nella spike, il guarito sarà protetto da anticorpi verso altri

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antigeni virali. La memoria immunitaria del guarito è sia di tipo B che T e sembra essere di lunga o lunghissima durata. Da ciò si evince la superiorità dell'immunità naturale su quella indotta dai nuovi vaccini (cosa incredibilmente finora ignorata e negata) e il suo importantissimo ruolo nel conseguire l'immunità di popolazione. Ciò contrasta chiaramente con la narrazione finora perseguita, secondo la quale si sarebbe raggiunta l'immunità di gregge vaccinando ora il 60, ora l'80 o il 90 e infine il 100% della popolazione (falso anche questo). La verità è che l'immunità (transitoria) fornita da questi vaccini può solo contribuire alla solida base fornita dall'immunità naturale. In sintesi, questi vaccini "genici", con tutti i loro limiti e criticità, hanno mostrato indubbia utilità nel fornire protezione sanitaria alla fascia di popolazione a maggior rischio di malattia grave. Il loro uso allargato a tutta la popolazione - vaccinazione di massa - non sembra invece utile e potrebbe rivelarsi addirittura dannoso, sia a livello individuale (effetti avversi in giovani con rischio basso o nullo di malattia grave) che collettivo (bassa capacità sterilizzante e mancato controllo della pandemia, o addirittura peggioramento della situazione per la maggior comparsa di varianti più contagiose e/o più virulente). E' necessario e doveroso valutare a fondo questi aspetti e prendere in considerazione strategie diverse - ad esempio implementazione delle terapie antivirali precoci, anche in profilassi - insieme a vaccini di tipo diverso, almeno per specifici gruppi di popolazione con diverso rapporto rischio/beneficio. Per le terapie e le profilassi farmacologiche si segnalano studi anche recenti in favore della ivermectina, e i buoni risultati pratici che si osservano in India (Uttar Pradesh), Perù, Messico e altri stati centro-americani, Giappone (la prescrizione è libera) e molti stati africani dove il farmaco è diffusamente usato per la prevenzione e terapia della cecità fluviale da oncocercosi, per la filariasi e anche alcune forme di malaria, insieme alla idrossiclorochina. Questo potrebbe forse essere uno dei motivi per cui in Africa centrale, pur con bassissime % di vaccinazione, non si è avuta una diffusione importante del virus, come temuto. Sarà questo il motivo dell'ostracismo e della vera e propria demonizzazione riservati a questo farmaco in occidente? Visto anche che è in uscita un antivirale di sicuro interesse - il Paxlovid della Pfizer - che sembra agire con meccanismo simile a quello della ivermectina! Osserviamo a questo proposito come la differenza nei costi di un ciclo di trattamento è abissale: poche decine di dollari per ivermectina verso 500/600 dollari per un ciclo terapeutico di Paxlovid! Vaccini di tipo diverso: in arrivo anche da noi il vaccino proteico della Novavax a base di proteina spike, sintetizzata in laboratorio tramite la tecnica del Dna ricombinante, con l'aggiunta di un adiuvante per ottimizzare e potenziare la risposta immunitaria. La spike introdotta è in quantità certamente ridotta rispetto ai vaccini a mRna, e potrebbe andare incontro ad una biodistribuzione altrettanto ridotta. Si può dunque ipotizzare un profilo di sicurezza intrinsecamente migliore per il vaccino della Novavax, anche se gli anticorpi prodotti sono ancora diretti verso la spike delle varianti non più in circolazione, e si vedrà quale efficacia effettiva vi sarà verso omicron. Forse arriva tardi. Vedremo.


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Vaccini interessanti sono anche quelli a virus inattivato come il Valneva francese (in arrivo in primavera) e il Coronavac cinese. Quest'ultimo è stato recentemente messo a confronto, in uno studio effettuato a Hong Kong, con Cominraty (Pfeizer) mostrando una minor efficacia umorale, per quantità e durata degli anticorpi, ma una maggior efficacia nel produrre risposte cellulari di tipo T di lunga durata. Ciò potrebbe rivelarsi in realtà un vantaggio non irrilevante. Infine, importanti osservazioni vengono dalla prof.ssa danese Christine Stabell Benn che svolge da anni studi comparativi su molti tipi di vaccino. Studiando gli effetti aspecifici - ovvero quelli che vanno oltre la specifica azione protettiva verso il singolo agente infettivo - è emerso un fatto molto rilevante: i vaccini a virus vivo attenuato forniscono un'importante protezione aggiuntiva che si riflette in una mortalità per tutte le cause molto minore, negli anni successivi alla vaccinazione, rispetto alla popolazione generale della stessa età e condizione sanitaria e socioassistenziale. Lo stesso si osserva rispetto ai vaccini inattivati o di altro tipo, alcuni dei quali mostrano invece un effetto addirittura negativo sulla mortalità per tutte le cause. Tutto ciò si può spiegare con il fatto, come dicevo all'inizio, che i vaccini a virus vivo attenuato inducono una malattia attenuata e una risposta sovrapponibile in tutti i suoi aspetti a quella naturale, e una memoria immunitaria di lunga durata, attivando forse anche meccanismi di difesa innata o aspecifici la cui natura deve essere approfondita. Ciò vale molto chiaramente per il vaccino antimorbilloso, il BCG antitubercolare, l'antipolio, e altri simili. Il BCG, di largo impiego in Africa, potrebbe rappresentare un altro fattore a spiegazione della situazione pandemica africana particolarmente favorevole (insieme agli altri fattori prima citati, alla più bassa età media e all'elevata esposizione al virus con conseguente maggior % di immunità naturale). Stando così le cose, concludo osservando come dobbiamo ringraziare la Natura che ci ha fornito un ottimo vaccino naturale - la variante omicron - non più nocivo di una lieve influenza per soggetti anziani fragili e molto poco patogeno per persone giovani e sane. Molti stati (non l'Italia e pochi altri) hanno infatti cambiato strategia e allentato le misure restrittive e di contenimento della diffusione virale, lasciando "correre" il virus tra la popolazione attiva e mantenendo le precauzioni solo per gli anziani fragili e malati. Ciò dovrebbe indurci a riflettere sulla intrinseca superbia umana, che ancora si illude di poter dominare la Natura, illusione frutto di quella visione riduzionista, positivista, materialista e - alla fine - scientista che rischia di produrre Apprendisti Stregoni e falsi profeti di verità assolute e inconfutabili. Silvio Sposito Endocrinologo, diabetologo, medico nucleare, scrittore

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FAMILIARITA’ La serata era stata piacevolmente sonnolenta, in compagnia di persone più anziane di lui che mostravano una deferente ansia di conoscere tutto quello che potevano sulla sua famiglia, i figli, le nuore, la vasta catena di affetti di cui si circondava. Il gioco di società dei rinvii a nomi conosciuti e cognomi sconosciuti si moltiplicava, tendendo all'infinito. Ogni cognome, evocato per un fatterello senza importanza, rinviava ad un altro per assonanze misteriose e complesse associazioni mentali o identità di luoghi e circostanze e questa catena sembrava non finire mai. Sua moglie reggeva il gioco, anche perché lui non era assolutamente in grado di reggere il confronto sui cognomi che si andavano affastellando come in un deposito di giudizi e di racconti: - Quella l'ho incontrata ieri…… - Quell''altra si è separata, non lo sapevi? - E poi è nato il figlio di quell'altra? - Ad ogni cognome qualcuno, come in una regolare assemblea istituzionale, chiedeva la parola per assicurarsi che si trattasse proprio di quella Teresa: - Ma sì non dici la nipote di... - Ma quando mai, quella è la cugina di... - Aspetta che ti dico,Teresa è sposata con..., ma lui è divorziato, dissero a una voce quante volevano dimostrare di non essere da meno, di sapere bene di chi si trattava, aprendo squarci non previsti di vastità consistente, addentrandosi nelle spire di famiglie estinte o temute tali. - Gli uomini tacevano, sopraffatti da tanto sapere, ignari se mostrare anche loro qualche conoscenza a raffronto di quelle vantate dalle loro mogli che, invece, procedevano con una proprietà e sicurezza irraggiungibili, o si limitavano a sorridere come chi la sa lunga e per questo preferisce tacere. - Ogni tanto riferivano di cene presso il tale ristorante che era risultato raccomandabile per qualità del cibo e prezzo. - Questa osservazione inaugurava una nuova serie di discorsi donneschi su diete ricette e medici e viaggi e souvenir che si concludevano regolarmente con lunghe dissertazioni sulle scarpe. Queste prendevano l'abbrivio da una sbadata osservazione sul modello di una di loro, procedevano con commenti entusiastici, o demolitivi di altri modelli con relativi indirizzi del negozio incluso commento sul comportamento delle commesse. Appena sfioriva l'argomento incagliandosi nelle secche dell'ordinarietà, stato dal quale le signore si tenevano ben lungi,


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almeno parlando di scarpe, la conversazione apparentemente languiva per un breve lasso di tempo per risvegliarsi rinvigorita alla scoperta di un altro argomento che rinfocolava la passione per lo scambio delle reciproche opinioni. - Il pronome io prevaleva anzi incoronava, come adeguata credenziale del seguito, l'inizio di ogni racconto, considerazione, esternazione. - A fronte di tanto personale esprimersi delle urgenze descrittive dell'esperienza personale elevata a valore (caratteristica femminile) gli uomini per contraltare idealistico, emettevano a voce bassa commenti sulla situazione politica, coltivando il pressante auspicio di essere equidistanti e non faziosi, a volte riuscendovi. - Io invero equidistante da tutti, sentivo gravare la stanchezza per quella serata fin troppo protrattasi senza il dono di un sorriso, di un allettante inserimento propizio per nuove comunicazioni, in poche parole preso completamente dall'ansia di licenziarmi dalla comitiva. Dal momento che tutti leggevamo gli stessi quotidiani, la comunicazione tra noi era ristretta al contenuto degli articoli del mattino, raramente a quello degli editoriali, più difficili da sintetizzare. Avrei pagato, quella sera, per la presenza di un individuo autonomo e originale, magari folle. - Tutto si spense nei successivi e protratti riti del saluto con ringraziamenti. Fausto Provenzano

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HOLODOMOR: LO STERMINIO PER FAME DEL POPOLO UCRAINO PREMESSA Questo articolo è stato scritto sei anni fa, il 18 novembre 2016, in occasione della giornata che ricorda lo sterminio per fame del popolo ucraino da parte di Stalin, e pubblicato sia sul "Secolo d'Italia" sia nel numero 49 di CONFINI (novembre 2016). Lo riproponiamo in un momento particolarmente tragico per il popolo ucraino, essendo quel genocidio misconosciuto ai più, nonostante l'altissimo numero di vittime. Conoscere il passato, come più volte scritto, aiuta a comprendere il presente. Nella parte conclusiva dell'articolo si legge testualmente: "Solo nel marzo del 2008 il Governo dell'Ucraina e 19 nazioni hanno sancito che si configura come "genocidio" quanto accaduto dal 1929 al 1933 e il 23 ottobre dello stesso anno il Parlamento europeo ha riconosciuto l'Holodomor come un crimine contro l'umanità. Il giorno della memoria è stato fissato, annualmente, nel quarto sabato di novembre. Tra i 19 Paesi che hanno riconosciuto l'Holodomor come genocidio manca l'Italia". Ora non ricordo la fonte da cui trassi la notizia dei diciannove Paesi, ma attualmente la situazione (almeno ufficialmente, anche se dei dubbi persistono) è la seguente: sedici Paesi hanno riconosciuto ufficialmente il genocidio; sette Paesi rifiutano l'utilizzo del termine "genocidio" e commemorano l'Holodomor come "tragedia umana". L'Italia, purtroppo, manca ancora in entrambe le liste. Il ministro Di Maio, comunque, in occasione di una recente visita a Kyïv, ha reso omaggio al sacrario del National Museum of the Holodomor Genocide. Sarebbe opportuno che nel Parlamento italiano si avviasse subito un dibattito per riconoscere l'Holodomor come genocidio. ****** Che la storia del mondo debba essere riscritta, è un dato di fatto. Da un lato vanno corrette con un metro più obiettivo le pagine ben note, tramandate con una mistificazione che dura, nei casi più estremi, da millenni; dall'altro vanno rivelate le pagine oscure, quelle antiche e quelle recenti, occultate per i più svariati motivi, non ultimi quelli ancorati alla cinica ragion di Stato, che spesso privilegia malsani equilibri. È quanto accaduto, per esempio, con le "foibe", artatamente dimenticate per decenni pur di non irretire Tito; con il "genocidio armeno", del quale non si parla come si dovrebbe per tenere buono e calmo il terribile "sultano" della Turchia, scomodo alleato


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dell'Occidente in quella sconquassata organizzazione militare che si chiama NATO; con il massacro della classe dirigente polacca, nella foresta di Katyn, occultato come "debito di riconoscenza" nei confronti del prezioso alleato russo nella lotta al nazi-fascismo; con le tante nefandezze care ai dittatorelli del Sud America, "amici" degli "amici" e quindi legittimati a compiere le più bieche azioni non solo senza doverne pagare il fio, ma addirittura godendo della massima protezione affinché fossero tacitate le poche voci fuori dall'infame coro. Provate ad acquistare, per esempio, il film "La rivoluzione delle farfalle", ispirato al romanzo "Il tempo delle farfalle", nel quale si parla delle vittime di Trujllo, dittatore della Repubblica Dominicana e fantoccio degli USA: è più facile azzeccare un terno al lotto che reperirne una copia. Eppure è proprio da quei tragici fatti che trae origine la "Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne", che dal 1999 si celebra il 25 novembre di ogni anno, in ricordo delle tre sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa) trucidate il 25 novembre 1960 dagli agenti del dittatore: mentre si recavano a far visita ai loro mariti, in prigione in quanto esponenti del movimento rivoluzionario ostile alla dittatura, furono bloccate sulla strada, violentate, torturate finno alla morte e gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente. Il genocidio di cui si parla in questo articolo è quello perpetrato da Stalin, in Ucraina, dal 1929 al 1933: "Holodomor", ossia "infliggere la morte attraverso la fame". In realtà vi furono anche deportazioni, omicidi, esecuzioni, massacri atroci. In totale, sia pure nell'immancabile balletto delle cifre che vede contrapporsi diversi studiosi, in cinque anni furono oltre cinque milioni le vittime della ferocia staliniana. Questo è il numero più accreditato, da citare per dovere di cronaca. Molti storici, tuttavia, ai quali chi scrive dà maggiore credito, sostengono che le vittime siano state almeno dieci milioni, conteggiando anche quelle perite negli anni successivi al 1933 a causa delle angherie subite, che non figurano nel computo ufficiale del genocidio. È appena il caso di citare, poi, cosa abbia rappresentato siffatto sterminio sotto il profilo delle nascite: almeno tre milioni di bimbi mai nati. Ma procediamo con ordine. L'Ucraina, come noto, divenne parte integrante dell'URSS nel 1922. Nel 19° secolo, quando il territorio faceva parte per metà dell'impero russo e per metà di quello austro-ungarico, rappresentava il "granaio d'Europa". Il processo di russificazione, già avviato ai tempi dello Zar, fu portato alle estreme conseguenze dopo la fine dell'impero austro-ungarico e la completa annessione del Paese. I contadini, chiamati kulaki, possedevano grandi appezzamenti di terreno, erano benestanti e potevano contare sull'aiuto dei kombèdi, i contadini più poveri, scelti come mezzadri. Il rapporto, tuttavia, non rispettava i presupposti di una corretta "mezzadria" (utili e oneri al 50%), in quanto i kulaki vivevano dignitosamente grazie allo sfruttamento dei mezzadri, costretti a una grama esistenza. Con la riforma agraria del 1906 si tentò di porre rimedio alla discriminazione, purtroppo in modo così malsano da aggravare il problema invece di risolverlo: fu deciso, infatti, di assegnare le terre ai contadini dietro pagamento di un tributo, col risultato che i poveri diventarono ancora più poveri, mentre quelli in grado di riscattare del terreno - per lo più i kulaki - si trasformarono in ricchi possidenti. Lenin cercò di correggere la discrasia concedendo delle terre anche ai

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kombédi. Alla sua morte, però, prese corpo la politica repressiva di Lev Trotskij, che riteneva i kulaki una minaccia per i princìpi comunisti, in virtù della loro condizione privilegiata. Con Stalin si arrivò al genocidio vero e proprio, iniziato nel 1929, dopo un periodo in cui il dittatore "sembrava" addirittura sostenere le tesi di Bucharin, che auspicava "l'arricchimento dei contadini", ritenendo l'agricoltura fondamentale per lo sviluppo economico dell'URSS. Stalin, che in realtà la pensava esattamente come Trotskij e aveva recitato per un po' di tempo la parte del "buono" al fine di mantenere saldo il distacco con il principale avversario interno, che farà poi assassinare in Messico, attuò un piano di collettivizzazione forzata delle terre, con lo scopo precipuo di trasferire risorse dall'agricoltura all'industria. I kulaki furono colpiti duramente da tali provvedimenti e iniziarono un'azione di protesta e di boicottaggio della politica staliniana. Mal gliene colse. Stalin approfittò dell'occasione per sterminare i dissidenti e attuare anche un altro suo fermo proposito (reiterato anni dopo in Polonia): distruggere il carattere nazionale del popolo ucraino, estendendo, di fatto, le atrocità repressive contro tutti. Furono distrutte le chiese e perseguitati i cattolici. Fu vietato finanche lo "scampanio", che rappresentava l'identità dei villaggi. Manco a dirlo, sulla scia di quanto già perpetrato dai turchi con gli armeni, fu sterminata l'intellighenzia dell'Ucraina al fine di cancellare la memoria storica del Paese e renderlo più facilmente addomesticabile. Non ebbe pietà neppure per i sostenitori del comunismo, che anelavano a una sorta di autonomia rispetto ai diktat di Mosca. Dal 1929 al 1932 lo sterminio si configurò con gli eccidi materiali e la deportazione in Siberia di milioni di contadini, che perirono tra mille sofferenze. Nel biennio 1932-33 fu attuato lo "sterminio per fame", perpetrato con la requisizione totale dei generi alimentari e l'obbligo di cedere allo Stato tutto il grano prodotto, in modo che ai produttori non restava che morire di fame. Il genocidio è stato qualcosa di mostruoso, in termini numerici superiore addirittura a quello perpetrato da Hitler contro gli Ebrei. La sinistra, per decenni, ha nascosto la testa nella sabbia, nonostante fosse in possesso di tutti gli elementi per "scrivere" una pagina di storia nel rispetto della verità. Solo nel marzo del 2008 il Governo dell'Ucraina e 19 nazioni hanno sancito che si configura come "genocidio" quanto accaduto dal 1929 al 1933 e il 23 ottobre dello stesso anno il Parlamento europeo ha riconosciuto l'Holodomor come un crimine contro l'umanità. Il giorno della memoria è stato fissato, annualmente, nel quarto sabato di novembre. Tra i 19 Paesi che hanno riconosciuto l'Holodomor come genocidio manca l'Italia. Lino Lavorgna

Nella foto: Il Museo Nazionale delle vittime dell'Holodomor a Kyïv. (In segno di rispetto per il popolo ucraino e seguendo l'esempio di autorevoli colleghi, la capitale del Paese viene scritta nella forma grafica corretta e non nella più nota traslitterazione russofona).


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CON IL CUORE A KIEV. POETI ITALIANI PER L’UCRAINA 24 FEBBRAIO 2022 - C'È POLVERE SU VIA ZHYILIANSKA C'è una strana polvere su via Zhyilianska, in una tetra danza si azzuffa a foglie secche, si mescola, mulina, si annoda e si scioglie. Qui andavano persone urlanti per lo stadio, avendo l'agio di adirarsi per cose effimere, di loro restano ora soltanto incredule urla. In un angolo, in terra, come fossero dolmen, colori spezzati, simulano un'arcaica semina, più avanti un quaderno di bambino profanato. Sta lì, da quella buia notte illuminata a giorno, lasciato andare da una pargola mano spaventata, sbalzato via dalla voglia d'andare senza voltarsi. E mentre il vento freddo ne gira le rigide pagine, disegni e pensieri felici alternano forme e colori che donandosi puri, ci riportano alle nostre colpe. Alex Porri VORREI Vorrei andare in letargo per non vedere nuvole di fumo nero, che si alzano dalle città squarciate e violentate; per l'impotenza di arrestare le lunghe carovane di mezzi corazzati, portatrici di morte. Vorrei andare in letargo per non poter consolare quei padri che abbracciano

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i figli, forse, per l'ultima volta; nell'impossibilità di aiutare persone scacciate dalle loro case e ammassate nei sotterranei, come topi. Vorrei andare in letargo per il desiderio di accarezzare quei bambini con lo sguardo nel vuoto, senza capire il perché di tanto odio; per non soffrire nel vedere sulle strade, bianchi lenzuoli macchiati di rosso, ricoprire corpi inermi. Vorrei andare in letargo in attesa che l'uomo ritrovi il suo senno, rifiuti la sua follia, rinunci ai suoni assordanti dei mortai, elimini la pioggia di bombe, ritrovi la sua umanità e…. celebri la sacralità della vita. Vorrei svegliarmi al suono dolce e soave dell'inno nazionale, con la melodia delle musiche sacre e l'armonia di canti liturgici di ringraziamento al Signore, che attestino che la guerra è solo un lontano ricordo. Florida Stati


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FRIDA KALHO: AUTORITRATTO CON SCIMMIA Ciò che è sacro nell'arte è la bellezza. (Simone Weil) AUTORITRATTO con scimmia, Frida Kalho 1938 Frida Kahlo (1907 - 1954 ) viene considerata una delle pittrici più significative del XX secolo. Tra i suoi dipinti più celebri Autoritratto con scimmia ( 1938 ) e Autoritratto con collana di spine ( 1940 ) Nella sua vita ci sono due grandi amori, uno è il suo primo amore di gioventù Alejandro Gomez Arias e l'altro Diego Rivera che è la vera passione nella sua vita. Diego Rivera è un celebre artista e muralista messicano che la guida consigliandola sulla via dell'arte, noto per il suo impegno al partito comunista. Si sposano nel 1929, poi divorziano per i tradimenti di lui ed infine si risposano nel 1940. La sua forza fu l'arte che la spinse a convergere lo sguardo su se stessa, sul suo immenso dolore ma anche sulla sua grandezza, sulla bellezza e sulla fragilità della nostra dimensione umana. Sull'opera: La scimmia è simbolo dell'arte e dell'abilità ma è anche figura associata al peccato e alla morte. Deciso ma sofferente il suo sguardo carico di bellezza, grandi foglie di lanuginose piante sullo sfondo insieme alla scimmia che l'abbraccia. Indossa al collo una collana spezzata, strano monile simbolo di femminilità amata e non vissuta appieno o simulacro di sofferenza continua. Difficile, molto difficile ed impervio il suo cammino a causa delle ripetute operazioni alla spina dorsale dopo l'incidente che le accadde in giovane età e che segnò tutta la sua breve vita fra infiniti dolori e disperato bisogno di tenerezza con cui visse ogni istante della sua esistenza. Così Frida è rimasta nel tempo guardandoci, forse sussurrandoci che lei ha terminato la sua parte molto presto ma la sua pittura no, essa rimane a condividere con noi il suo segreto. A tutti voi cari lettori un cammino di arte e di serenità. Stefania Melani

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Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

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