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Aeromensile di prospezione sul futuro

Confini

Idee & oltre

ALZARE LO SGUARDO

PRIMO PIANO Le idee dei Mille per l’Italia: intervista a Salvatore Carruba, presidente dell’Accademia di Brera

Buon Futuro e buone Feste a tutti i Lettori

Nuova serie - Numero 7 Dicembre 2012 - Anno XV


www.confini.org

Confini Aeromensile di prospezione sul futuro Organo dell’Associazione Culturale “Confini” Numero 7 (nuova serie) - Dicembre 2012 - Anno XV

+ Direttore e fondatore: Angelo Romano +

Condirettore: Massimo Sergenti +

Comitato promotore: Antonella Agizza - Mario Arrighi - Giovanni Belleré Anna Caputo - Marcello Caputo - Elia Ciardi - Gianluca Cortese - Sergio Danna - Danilo De Luca - Alfonso Di Fraia - Luigi Esposito - Giuseppe Farese - Enrico Flauto Giancarlo Garzoni - Alfonso Gifuni - Andrea Iataresta Pasquale Napolitano - Giacomo Pietropaolo - Angelo Romano - Carmine Ruotolo - Filippo Sanna - Emanuele Savarese - Massimo Sergenti +

Hanno collaborato a questo numero: Pietro Angeleri Francesco Diacceto Gianni Falcone Giuseppe Farese Roberta Forte Giny L’Infedele Pierre Kadosh Enrico Oliari Pennanera Gustavo Peri Angelo Romano Gianfredo Ruggiero Massimo Sergenti +

Segreteria di redazione: confiniorg@gmail.com

+ Registrato presso il Tribunale di Napoli n. 4997 del 29/10/1998

confiniorg@gmail.com


RISO AMARO

Per gentile concessione di Gianni Falcone

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EDITORIALE

GRAZIE PRESIDENTE Pubblichiamo con viva soddisfazione la bellissima lettera inviataci da Gianfranco Fini. Caro Angelo, desidero farti i più sinceri complimenti per la bella realtà editoriale che hai costruito con la rivista “Confini” , da te diretta con intelligenza, passione, originalità. Sfogliando i numeri più recenti, vi ho trovato notevoli motivi di interesse per la puntualità delle analisi, l'attualità delle riflessioni, la capacità, tua e di tutti coloro che collaborano al mensile, di offrire opinioni di ampio respiro ideale - oltre gli steccati artificiosi creati dalla sopravvivenza di vecchi e logori schematismi ideologici- ai grandi problemi sociali ed economici del nostro tempo. Ho in particolare apprezzato quanto scrivi sul numero di settembre a proposito della necessità di coniugare le ragioni della libertà con quelle della solidarietà per ridare slancio al progetto europeo e per superare il difficile momento economico e sociale attualmente vissuto dai Paesi del nostro Continente. Ritengo infatti che, mai come in questo momento, ci sia bisogno di attingere alle grandi energie morali presenti nella nostra società puntando con decisione lo sguardo al futuro e favorendo in modo incisivo l'evoluzione della cultura politica italiana. La rivista che tanto egregiamente dirigi offre un contributo prezioso all'opera condotta dalle forze più responsabili della politica e della società per far uscire il nostro Paese dalla palude dell'inconcludenza e del passatismo (non ti dispiacerà certo l'uso di questo termine tratto dal lessico futurista) e per avviare finalmente e seriamente quel processo riformatore troppe volte annunciato e mai realmente attuato. Forte e sentito è il mio incoraggiamento per la tua interessante e proficua iniziativa editoriale, che rappresenta un validissimo modello di impegno politico e civile e un fecondo laboratorio di idee e di cultura. Con stima Gianfranco Fini


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ALZARE LO SGUARDO

Alzare lo sguardo, portarsi sopra i recinti, scardinare i confini del pregiudizio, innalzarsi per cogliere l'essenza delle cose, sorvolare il quotidiano per riscoprire la prospettiva del domani, librarsi sulle miserie, sulle ingiustizie, su ciò che non funziona per scorgere soluzioni. Allenare l'occhio a traguardare la parte per cogliere il tutto, l'olfatto a percepire il marcio nascosto sotto coltri di profumi ed incensi, il tatto a toccare con mano per non fidarsi del sentito dire, l'udito ad ascoltare senza ascoltarsi, il gusto a cogliere il bello che si annida nelle pieghe dell'insignificante ed il cuore a sentire la verità delle cose. Soltanto affinando i sensi, imparando a sorvolare i panorami quotidiani, le paludi risucchianti, i meccanismi inceppati, la selva delle inefficienze, l'insufficienza e gli egoismi di molti, le barriere del narcisismo, dell'autocommiserazione e del qualunquismo, il ciglio del burrone su cui si trovano l'Italia e l'Europa, potremo farci un'idea chiara delle scelte da compiere, delle sintesi necessarie, della direzione da dare al Paese col prossimo voto. Un voto che singolarmente non pesa molto, che è limitato dall'obbligo di scegliere una sigla piuttosto che una persona, che avvilisce la democrazia riducendola ad un'apertura di credito su promesse che vengono fatte confezionandole al meglio per suscitare un favore momentaneo quanto impulsivo, un voto che spesso non gratifica, ma pur sempre l'unico strumento a disposizione. Uno strumento debole perché figlio di democrazia incompiuta che, tuttavia, se ben convogliato, se frutto di scelte consapevoli e non di emozioni mediaticamente suscitate o, peggio, di interessi clientelari o di scelte pregiudiziali, può ancora essere un'arma formidabile di cambiamento. Purché si vinca la voglia di astenersi, ancorché giustificata dalle insufficienze di una politica spesso meschina ma che si alimenta proprio e principalmente dell'indifferenza dei cittadini. Più gli elettori restano a casa, con l'alibi del disgusto, più si consente a minoranze poco rappresentative di prendere le leve del comando per regolare la vita di tutti (anche di quelli che si sono astenuti) e per piegarle ai propri interessi. La mancanza di partecipazione corrompe la democrazia. Votare, persino turandosi il naso, ma con le idee chiare sull'Italia che si vuole, che si desidera, che si pretende con l'esercizio consapevole della sovranità popolare. Che si pretende esercitando, dopo il voto, il controllo sociale, facendo sentire il fiato sul collo agli eletti, ai nominati, ai cooptati, ai chiamati a rappresentare gli interessi di tutti. Un fiato che deve saper trasformarsi in vento travolgente per chi sbaglia. Siamo davvero sul ciglio di un orrido burrone, ciò decreta la

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fine della delega in bianco, dell'elezione senza vincolo di mandato per gli impegni assunti. Il controllo sociale organizzato deve obbligare al rendiconto e mai come adesso è necessario un controllo sociale duraturo, massiccio, costante e diffuso, è il solo antidoto alla cattiva politica. Che i cittadini, già prima del voto, si preparino al dopo, alla vigilanza ed al controllo. Si articolino nuove formazioni sociali partecipative sotto forma di "Gruppi di controllo sociale", dotati di "Ispettorati del popolo" con il compito di approfondire e controllare gli atti, dalle delibere comunali ai progetti di legge, di denunciare alla pubblica opinione le deroghe dagli impegni programmatici, gli aggiustamenti, i compromessi, i falli, di stilare pubbliche pagelle sui rappresentanti, sul loro impegno, sulla qualità e quantità del loro lavoro. Che si finanziano tali organismi, che si riconosca loro il diritto di rapido accesso agli atti ed alla pubblicità dei loro deliberati e si voti chi assume il solenne impegno di renderli effettivi ed efficaci. In società più trasparenti parte del controllo sociale viene svolto dai media indipendenti finanziati da editori che fanno solo gli editori, senza conflitti di interessi. In Italia non esistono, se non sulla rete, media davvero indipendenti. Ognuno è schierato e pronto a filtrare e ad addomesticare, sia pure con diversa dose di equilibrio, l'informazione, se tocca gli "amici", ad usarla come un bazooka se riguarda i "nemici". In società più trasparenti i confini tra i poteri sono chiari e netti, in Italia, anche per limiti oggettivi della Costituzione, non è così. Tutto si confonde, si interseca, si sovrappone, creando zone d'ombra e troppo ampi margini all'interpretazione, allo sconfinamento. E non a caso siamo asfissiati da un brulichio di leggi, norme, regolamenti, divieti, fattispecie di reati, quasi sempre descritti e scritti male, quindi ampiamente interpretabili. Questo guazzabuglio consentiva ad Andreotti di fare l'apologia del doppiopesismo nel dire che la legge si applica ai nemici e si interpreta per gli amici. Ed in questo guazzabuglio la stessa magistratura perde parte della propria indipendenza e credibilità. Per queste ragioni i "Gruppi di controllo sociale", almeno in Italia, sono assolutamente necessari. Alzare lo sguardo per cogliere i semi del buono in ciò che ci circonda, per alimentarli e farli germogliare, per cercare di unire e dar forza a ciò che è positivo. Alzare lo sguardo per cogliere senza paraocchi nella politica ciò che va salvato e rafforzato, ciò che va unito da ciò che va separato, affinché possa trasformarsi da tenue speranza in destino. Capire che destra e sinistra, venute meno le ideologie, non hanno quasi più senso se le differenze si riducono a più tasse, meno tasse, più stato, meno stato, più tutele ai produttori di ricchezza e meno ai lavoratori e viceversa. Il discorso si fa più complesso solo se ci si riferisce alla dialettica tra le categorie culturali di specificazione (destra) e omologazione (sinistra), ma trattandosi agli effetti pratici di una questione di dosaggi, le barriere si possono superare. Così come non ha molto senso la suddivisione degli italiani tra moderati e non. Tutti i cittadini sono "moderati", in primis dalle leggi e quasi tutti sono "centristi" in ordine alla triade valoriale: Dio, patria, famiglia (andrebbe aggiunta "comunità").


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Se proprio si deve ricorrere alla categorizzazione sarebbe preferibile suddividere i cittadini in "modernati" e non. Occorre anche archiviare la falsa antitesi riformisti, conservatori, atteso che in Italia c'è ben poco da conservare e molto, moltissimo, da riformare. Meglio quindi guardare a quel che c'è di buono nell'attuale offerta politica per tentare di portarlo a sintesi. Nella base e nei quadri del Pd c'è tanto di buono, anche se la sua inossidabile nomenklatura (che già ha fallito alla prova del governo), imponendo regole applicabili ai nemici, ma interpretabili per gli amici, non ha consentito a Renzi di emergere come meritava e di liberare quel partito dai cascami a dai miti di una cultura che viene dal passato e da alcuni odiosi vizi contratti in tempi più recenti come la supponenza, il doppiopesismo, l'eccessiva inclinazione alla tassazione, alla spesa pubblica, alla moltiplicazione dei costi della "democrazia", all'uso strumentale delle regole. I radicali sono persone politicamente a posto, attivi, caparbi, documentati, competenti, onesti. A volte con idee troppo avanzate, a volte ripetitivi nei metodi di "lotta", a volte eccessivamente intransigenti e con un ingombrante Anchise sulle spalle, il cui peso li schiaccia, nonostante i suoi indiscutibili meriti. In SeL c'è Vendola, che merita particolare considerazione rispetto, quanto meno perché è un politico capace di lacrime, segno questo di profonda umanità, e tanti puri idealisti di una Sinistra che non c'è più. Il Movimento di Grillo (che è un politico più dotato di tanti e non un ex comico) è un'incognita, ma certamente raccoglie persone di buona volontà, desiderose di cambiare in meglio le cose e largamente insoddisfatte dalla "politica politicante" che non fa onore a sé stessa. La Lega di Maroni, si è liberata di molta zavorra, è piena di giovani puliti, con le idee chiare e di spessore, peccato che non sia un partito nazionale e che declini un federalismo a senso e vantaggio unico. Il PdL andrebbe formattato in blocco perché non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte agli elettori. Ma le speranze che i giovani formattatori abbiano la meglio sono davvero esigue. Si spacchetterà forse in due o tre spezzoni, ma cambiando l'ordine dei fattori il prodotto non cambia. Anche l’IdV dovrebbe seguire la stessa sorte. L'UdC ha un buon leader, coerente, coraggioso e capace e un manipolo di dirigenti di qualità. Ma, nella media, tra leader e partito c'è ancora troppa distanza e la vocazione proporzionalista poco aiuta a colmare il divario. Vi è, tuttavia, una certa pilatesca coerenza nell'interpretare la meritocrazia in chiave proporzionale: prendi voti? Meriti. Comunque tu abbia ottenuto il consenso e non importa se i danni che farai li scaricherai sugli elettori che hai abbindolato, io partito ti ho solo messo in lista (fidando sulla tua scaltrezza). Fli ha un grande leader ed una rappresentanza parlamentare di prim'ordine, composta da uomini che hanno avuto il coraggio di scegliere pagando un alto prezzo. E' la sola formazione che è stata attentissima ai contenuti, all'elaborazione di un programma fatto di misure concrete e possibili e che si è realmente aperta alla partecipazione della società attiva con i “Mille per

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l’Italia”. Ha anche dimostrato che si può far politica senza finanziamento pubblico grazie all'entusiasmo generoso della base. Ora che Fini, libero finalmente dai gravosi compiti istituzionali, riprenderà in mano le redini del movimento, questo non potrà che crescere, al di là persino del risultato elettorale. Vi sono poi i nuovi aggregati: Italia Futura di Montezemolo, il movimento di Giannino ed altri. Ciascuno, al di là delle differenze, animato da un vero spirito riformatore e da un'autentica voglia di riportare l'Italia sui giusti binari. Ciascuno attento alle soluzioni. E c'è l'incognita Monti. Che sia lui l’aggregatore di ciò che si salva, colui che produce nuove sintesi, l’iniziatore della Terza Repubblica? Nel panorama politico, sommariamente delineato, nonostante tutto, c'è ancora del buono. Bisogna solo provare a metterlo insieme senza pregiudizi, senza paraocchi, senza esclusioni aprioristiche. Per il bene dell'Italia. Angelo Romano

audacia temeraria igiene spirituale

via Sistina, 91 - 00187 Roma T. +39 06 69921243 www.fondazioneagenda.it


PRIMO PIANO/“MILLE” IDEE

INTERVISTA A SALVATORE CARRUBA

Dal 1978 al 1990 direttore della Fondazione Luigi Einaudi per gli studi di politica e di economia di Roma; professore di politiche per la cultura all'Università IULM, negli anni novanta è stato direttore responsabile di Mondo economico e, in seguito, de "Il Sole 24 Ore" con il quale oggi collabora in veste di editorialista. Salvatore Carrubba, assessore alla cultura del Comune di Milano nelle giunte guidate da Gabriele Albertini e attuale Presidente dell'Accademia di Belle Arti di Brera, sostiene con forza la necessità di un patto tra politica e società civile. Purché quest'ultima, ribadisce in quest'intervista a "Confini", non venga chiamata in causa dalla politica in modo strumentale. Insieme a Giulia Bongiorno e a Pierluigi Piccini il professor Carrubba è membro del comitato organizzativo dei "Mille per l'Italia", movimento civico voluto da Gianfranco Fini per rendere la società civile protagonista nel processo di ricostruzione della nazione. Professore, lei è stato per anni il direttore della Fondazione intitolata a Luigi Einaudi, autorevole esponente del liberalismo Come mai il nostro Paese, dal dopoguerra ad audacia temeraria igieneitaliano. spirituale oggi, non è riuscito ad esprimere una forza politica autenticamente liberale? Penso che le ragioni siano molteplici. La prima credo vada ricercata in una debolezza culturale del nostro Paese che è sempre stato profondamente statalista. D'altronde le culture dominanti dopo la fine della guerra, la cattolica e la comunista, erano intrise di statalismo e sicuramente poco inclini ad esaltare la figura dell'individuo. La cultura cattolica, ad esempio, abbracciava i principi di solidarietà e socialità esprimendo il meglio di sé nell'esperienza del cattolicesimo sociale. C'era poi una debolezza oggettiva delle forze liberali presenti sullo scenario politico italiano. Il partito liberale, infatti, fu sostanzialmente un partito di notabili che non riuscì mai a radicarsi sul territorio ed ebbe un consenso limitato a precise aree geografiche del Paese. Infine, c'è da ricordare che anche gli scienziati sociali sono rimasti estranei alla cultura liberale: per troppi anni la figura di Einaudi è stata poco approfondita nelle nostre università, dove gli studi si sono incentrati prevalentemente sulle teorie keynesiane. Al centro dello schieramento politico c'è grande fermento. Sembra imminente la formazione di un nuovo soggetto che metta insieme società civile e partiti. Potrà divenire nel tempo il polo liberale e riformatore che l'Italia non ha mai avuto? Credo che il rassemblement di cui lei parla, e del quale anche io auspico la nascita, debba nascere innanzitutto nella consapevolezza della drammaticità del momento ed esprimere energie simili a quelle che caratterizzarono la fase di ricostruzione nel secondo dopoguerra.

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Dovrà, insomma, unire laici, cattolici e riformisti in un grande progetto di rinascita della Nazione che coniughi il rigore con le riforme. Nell'affrontare il nodo delle riforme dovrà certamente mostrare un approccio liberale aprendo il mercato alla concorrenza e combattendo contro privilegi e corporazioni. Il tutto con il contributo della società civile che sembra poter giocare un ruolo fondamentale nella costruzione della terza repubblica. Certamente, a condizione però che la politica non utilizzi la società civile in modo strumentale servendosi di essa per dare una parvenza di novità e cambiamento. Piuttosto c'è bisogno di un patto che metta insieme culture ed esperienze diverse e che renda costruttivo il dialogo tra politica e società civile nella fase di ricostruzione della Nazione. Con questo spirito, d'altronde, ho raccolto l'invito a partecipare all'iniziativa "Mille per l'Italia". Scandali e malaffare diffuso segnano il tramonto della seconda repubblica: vent'anni dopo tangentopoli, la questione morale è ancora d'attualità. Che contributo potranno dare le recenti norme sull'incandidabilità contenute nel decreto "Liste pulite" varato dal governo? Temo che si tratti di un contributo puramente estetico. Ma, mi creda, non mi spaventa il fatto che in Italia non esistano norme che prevedono l'incandidabilità per soggetti colpiti da particolari fattispecie di condanne. Ciò che mi sconvolge maggiormente del nostro Paese è che si continuino a creare le condizioni e le opportunità per dar vita a ruberie e malaffare. Pensi, ad esempio, al numero enorme di poltrone che contraddistingue i consigli degli enti locali e dei tanti enti creati dalla mano pubblica.audacia Piccoli centri di potereigiene al cui interno regna un'autonomia che degenera, sempre più temeraria spirituale spesso, in corruzione e malaffare. In realtà il governo aveva previsto un riordino delle province con la conseguente riduzione del numero delle stesse. Poi il precipitare degli eventi, con la brusca fine della legislatura, e una seria di emendamenti dilatori, presentati da alcune forze politiche, hanno fatto saltare tutto. Vede, la mia opinione è che le province vadano abolite del tutto. Fa riflettere, però, l'atteggiamento di arroccamento e di chiusura che la politica ha mostrato anche in questa circostanza, difendendo gli interessi delle province. Non è questo il modo giusto per favorire il necessario dialogo tra politica e società civile. Da più parti si invoca la necessità di rivedere l'architettura costituzionale del Paese a partire dalla revisione del titolo V della nostra Carta. Quali potranno essere le priorità in tema di riforme costituzionali per la prossima legislatura? E' importante senza dubbio avvicinare le istituzioni ai cittadini attraverso un sano federalismo ma ritengo che le priorità per la prossima legislatura siano altre. C'è bisogno di ridurre l'invadenza della politica e, al contempo, rendere più forte il potere esecutivo in un Paese in cui si avverte carenza di potere decisionale. Solo in tal modo si potrà avere un governo che sia in grado di contrastare le pressioni che provengono da corporazioni e lobby che si oppongono al processo riformatore. Si potrebbe utilizzare, ad esempio, anche a livello nazionale il sistema previsto per l'elezione dei sindaci.


PRIMO PIANO/“MILLE” IDEE

Nel coniugare rigore e riforme, in che modo si potrà completare e poi successivamente aggiornare l'agenda Monti? Alcuni provvedimenti varati dal governo Monti credo vadano nella giusta direzione: penso, ad esempio, alla riforma delle pensioni. Su altri, e in particolare sulla riforma del mercato del lavoro, ritengo sia necessario operare dei correttivi in senso più marcatamente liberale. Bisognerà poi continuare la lotta agli sprechi, alla spesa improduttiva abbandonando il principio dei tagli lineari. Siamo un Paese con un alto tasso di corruzione, con una pressione fiscale molto alta e con una burocrazia lenta e inefficace. C'è bisogno, insomma, di interventi incisivi e strutturali che inevitabilmente comporteranno proteste e ostruzionismi di corporazioni e lobby. Sulla scia del manifesto per "una costituente per la cultura" promosso da "Il Sole 24 Ore", si sono tenuti a Roma, lo scorso 15 novembre, gli Stati generali della cultura. In che modo si può rilanciare l'industria culturale nel nostro Paese? Abbandonando il concetto puramente statico di cultura. Non si può certo rinunciare alla tutela dell'immenso patrimonio artistico e culturale di cui il nostro Paese gode. E' necessario, anzi, che lo Stato destini maggiori risorse al patrimonio e alla sua conservazione. Ritengo, però, che il concetto di cultura vada esteso anche al complesso del patrimonio immateriale in cui trovano spazio la moda, il design e più in generale tutto ciò che afferisce al campo della creatività e del genio nostrano. Giuseppe Farese

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IL TEATRINO DELL’ASSURDO Per questo numero, ahimè, avevo già occupato il mio spazio. Ma l'affetto dell'editore mi ha consentito lo sforamento perché si tratta di uno sfogo; quello di un cittadino che, giorno dopo giorno, tramite i notiziari radio-televisivi e i giornali, viene puntualmente, spietatamente aggredito da un maremoto di puttanate, uno tsunami di castronerie, alimentate da una congerie di personaggi i quali, evidentemente, ritengono che sessanta milioni d'italiani siano babbei da pasturare con maniaci slogan senza fondamento, alienanti facezie, apparenti arguzie, pseudo riflessioni culturali, superficiali considerazioni economiche, paranoici ragionamenti sociali; il tutto, raccolto dal circo massmediatico in un poutpourri in salsa agrodolce e ammannito per colazione, pranzo, merenda e cena. Ai miei tempi, quando si voleva parlare degli avversari, si citavano con il civile, sarcastico, appellativo di "lor signori": ebbene, "lor signori", tutti, fanno a gara per dimostrare di non tenere in alcun conto l'interesse di questo Paese e l'unica preoccupazione che sembra animarli è salvare il loro cadreghino. Lo so. Quello finora scritto sa di antipolitica e assomiglia al linguaggio grilliano: un atteggiamento che non mi appartiene e un personaggio che mi fa solo ridere, ma è un fatto. E, poi, devo sfogarmi. Lo ho già detto e lo ripeto: non sono di sinistra ma, comunque, stimo Bersani per la sua pacatezza di ragionamento, per la sua serena riflessione, per la sua capacità di tenere unito un mondo, il centro-sinistra, dove convivono tesi e antitesi, le cui linee politiche sanno molto di destra, tuttavia organicamente pensata e strutturata. Paradosso nel paradosso. Ma, vivaddio, come fa un uomo, così tutto d'un pezzo, a varare norme per le primarie dove sono ammessi al voto immigrati che non possono votare neppure nelle amministrative, e non giovani che, documento alla mano, compiranno diciotto anni prima del voto delle politiche? Che cos'ha Renzi di così terrorizzante da mobilitare, congiuntamente, truppe veltroniane e dalemiane a sostegno del segretario? E' come se, ad Armaggedon, le forze del bene e del male, anziché combattersi, si coalizzassero per prendersela con un pastorello che ha avuto l'ardire di sollevare verso il cielo il suo bastone (stavo per scrivere verga) perché il suo gregge nell'arida desola-zione del paesaggio circostante, sta andando in rovina per la disattenzione delle potenze sovrannaturali verso gli umani. E come fa un uomo di tal fatta a spacciare per esemplari presunte primarie per candidati al Parlamento 2013, quando il loro svolgimento si terrà, si pensi, il 29 e 30 dicembre e si articolerà su una rosa, con ogni probabilità appassita, di esponenti di partito, scelti dalle segreterie, i quali non dovranno neppure produrre a sostegno della loro candidatura un minimo di firme?


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Ma il Pdl non è da meno. E' di più. Il povero Alfano sembra l'asino di Buridano che, non sapendo scegliere tra i due sacchi di fieno che gli sono affianco, muore di fame. Eppure era un giovane promettente. Laureato in giurisprudenza presso l'Università Cattolica di Milano, dottore di ricerca in diritto dell'impresa, av-vocato, dopo l'esperienza democristiana e lo sconquasso, ha aderito a Forza Italia, ed è arrivato a guidare, dopo Miccichè, la corrente maggioritaria siciliana, fedele a Salvatore Cuffaro. Quindi, non uno sprovveduto. Eppure, da ultimo, è una pena vederlo arrampicarsi sugli specchi, nei vari talk show, per motivare i-nutilmente scelte puntualmente smentite sia dai fatti che dal Cavaliere, al punto da farsi dare da Dell'Utri del "senza palle"; e, di rimando, al quale dare del "povero disgraziato". Una sofferenza. E parliamo del Cavaliere. Non se ne può più. Primarie sì, forse, no, sto pensando di ridiscendere in campo per il bene di questo Paese (sic), anzi lo faccio perché lo spread non esiste, è un complotto finanziario delle potenze demoplutocrati-che…. che, con le loro inique sanzioni, minacciano l'apparire dell'impero, è stato fatto dire al rag. Ugo Fantozzi, dimenticando o omettendo la paternità vera della frase. E, da ultimo, "potrei fare un passo indietro" se Monti accettasse di guidare una coalizione di moderati, compresa la Lega. Qualora non lo facesse "ri-marrei in campo" ma non avrei problemi a designare "Alfano a premier". Io penso che dovrebbe (ri)leggere un passo della Metafisica di Aristotele: "È impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo". E, comunque, perché mai la Lega dovrebbe accettare Monti quale designato premier di una coalizione che la comprende quando ha sparato a zero, e continua a farlo, con-tro l'algido Bocconiano di Ferro, al punto da chiedere ad Alfano di "staccare la spina" al governo tecnico, pena l'alleanza per le prossime politiche? Ma, ancor meglio. Come potrebbe Monti, ammesso che risolva l'apparente in-conciliabilità giuridica di una sua candidatura, dopo aver detto che "non può ga-rantire per l'azione del governo che seguirà", no, si corregge, "che il governo che seguirà non potrà non continuare nell'azione propulsiva e di risanamento", accettare di guidare una tal coalizione, comprendente Berlusconi (e non so chi altro con lui) e la Lega? E, in ogni modo, Il nostro beneamato professore ha recentemente dichiarato, in sintesi, che una sua candidatura "date le odierne situazioni", non rientrerebbe nelle (sue) immediate, circostanziali, intenzioni e attenzioni", e che, aggiungo io, "sta valutando le circostanze evolutive dell'iperbole politica, nel contesto delle condizioni metereologiche sull'alta Val di Susa, tenuto conto dell'andamento dello yen". Tra le forme letterarie, avrebbe fatto meglio a valersi dell'adynaton, l'esposizione di una situazione assolutamente irrealizzabile attraverso il con-fronto con un'altra possibile, descritta con una perifrasi iperbolica e paradossale. L'esempio evangelico del cammello, della cruna dell'ago e del ricco in paradiso. Oppure con l'understatement. Esempio: il 24 giugno 1982 il pilota Eric Moody, al comando di un Boeing 747 della British Airways, attraversò le ceneri eruttate del vulcano Galunggung nell'isola di Giava, e si ritrovò con tutti e quattro i motori spenti. Mentre l'aereo perdeva rapidamente quota, pensò di rivolgersi ai passeggeri: "Signore e Signori, qui è il capitano che parla. Abbiamo un piccolo problema. Tutti i quattro motori si sono fermati. Stiamo

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facendo tutto il possibile per farli ripartire. Confido che non siate troppo angosciati. ". Non è da ridere? Anche gli Stati dell'Unione e l'Unione stessa sono sopraggiunti sul proscenio. "Basta con i populismi" impone, inopinatamente, la Merkel a Berlusconi, quasi che un candidato premier (?), dimenticando per un attimo la mia disistima per quell'uomo, non potesse esprimersi liberamente nel suo Paese natale. Ah! Già, si è sentita piccata dalla precedente affermazione del Cav. che l'ha definita "cu-lona inc….bile.". Siamo alle comiche. E Hollande? In un passato confronto con Sarkozy, parlando dell'Italia, "un Paese che va molto male", gli ha imputato di essere amico di Berlusconi, artefice a suo avviso della cattiva amministrazione. E Sarkozy: <<Non è mio amico, è invece stato un tuo sostenitore nella campagna elettorale>>. <<Ma non è del tuo partito in Europa?>> <<No, lui è del partito di Berlusconi.>> <<Ma non è del tuo partito?>> <<No, né da vicino né da lontano.>>. Ma si può? Barroso, poi, sostiene Monti e propende per una sua riconferma, così come tut-to il PPE, ai lavori ultimi del quale ha partecipato sia Berlusconi e sia lo stesso Monti. E tutto il PPE, con in testa il presidente Martens, a invocare il Professore per una sua discesa in campo. Mi sovviene Nino Manfredi, quando nel ruolo del-lo stregone nel film "Riusciranno i nostri eroi….", decide di tornare a casa col cognato e gli indigeni, nel vederlo partire, intonano sulla riva "Ninì, nun ce lassà, Ninì nun ce lassà". Ovviamente, Swoboda, presidente del Gruppo dell'Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici al PE, afferma che non ci sarebbe leader in Italia migliore di Bersani. Non siamo più uno Stato sovrano? Il concilio di Vienna post-napoleonico deve ancora avvenire? Lo so, lo so. E' tutta scena. Tutta tattica. Il peso aggiuntivo di Monti, su qualsivoglia schieramento, secondo il recente sondaggio Swg, ha un valore aggiunto del 5,8%. E' ovvio, quindi, che UDC, FLI, Italia Futura e Verso la Terza Repubbli-ca, di valore iniziale al 9,3%, col beneplacito del Signore, lo indichino come premier, al fine collocarsi al 15,1% e insidiare il Pdl come terzo gruppo in Italia. Ed è altresì ovvio che il Cav., dandosi le martellate sui cabasisi, abbia indicato Monti a premier perché, così, attraverso la coalizione centro-destra e moderati (?), depotenzierebbe Grillo e supererebbe addirittura la coalizione di centro-sinistra. E se Monti non accettasse non sarebbe bollato dalla colpa di aver interrotto, "di qualche giorno", l'azione "risanatrice" (?) del governo. Ed è sempre ovvio che i gruppi politici europei propendano (forse, non così sfacciatamente) per uno schieramento o per l'altro, ai fini di future alleanze comunitarie. Ma in tutto questo: dico, in tutto questo, dov'è la menzione di una cura per i tanti interessi pressanti e urgenti degli italiani? Ci sarebbe da uscire di testa e scoppiare in una irrefrenabile risata se non fosse una tragedia da lacrime amare. Ah! Dimenticavo. Il partito degli indecisi e degli astensionisti è in calo. Dal 43% al 35%. Giacché negli ultimi quindici giorni non ci sono state eclatanti svolte nell'azione dei partiti, al di là delle boutade, che abbiano deciso di rinforzare Grillo e depotenziare così Berlusconi, Bersani, Monti e Casini, assicurando al tempo stesso la totale, assoluta ingovernabilità di questo Paese? M.S.


POLITICA

LA TEORIA DEI FRATTALI

Se qualcuno gira in questi giorni per le grandi città, vedrà indecorosamente attaccati ai muri locandine, manifesti, cartelli che inneggiano, magnificano, esaltano i più disparati raggruppamenti, mai sentiti prima, che si prefiggono strenue battaglie per, contrasti a, lotte contro o a favore. Si va dalla lotta dura e senza paura all'usura, contro la finanza e le banche, per un fisco più equo, per un'Italia più giusta, o più rosa, o più verde, per meno privilegi e più merito, contro lo sfruttamento e per il lavoro, per vere primarie (non so cosa c'entri), ecc., ecc., ecc. Uno zibaldone di sigle, di nomi, d'intenti, che suscitano nel migliore dei casi un mesto sorriso. Di recente, si è aggiunto il Movimento "Circoli nazionali centrodestra" che, qualora si fossero tenute le primarie nel Pdl, avrebbero dichiaratamente sostenuto Angelino Alfano. Non tenendosi più, forse serviranno come base di (ri)lancio (spero verso il nulla) di ex AN della cosiddetta Destra Protagonista, invisi a buona parte degli ex dirigenti di Forza Italia. Un movimento, quello citato, che segue di poco Rete Attiva, (evidentemente, a maglie strette: una specie di paracadute), un movimento creato dal sindaco di Roma, anche lui ex AN della cosiddetta Destra Sociale. Non sappiamo quali siano, al momento, le intenzioni della Meloni che, candidata alle primarie del Pdl (una tra gli iniziali 12 (dodici) aspiranti, qualora si fossero tenute sarebbe stata privata del sostegno dei suoi ex compagni di corrente (destra protagonista), schierati a sostegno di Alfano. Anche tra ex Forzitalioti è presente, sia pur in maniera nettamente minore, analogo fenomeno: ha aperto la stura Tremonti e il suo 3L (Lista Lavoro e Libertà) e, credo seriamente, non sarà l'ultimo. Non conosciamo le intenzioni di un Galan, anch'egli uno dei dodici candidati alle soppresse primarie del centro-destra, ex Governatore del Veneto soppiantato, con nullaosta berlusconiano, dal leghista Zaia, né quelle dell'ex ministro degli affari Esteri, Frattini: due soggetti, comunque, profondamente diversi. In ogni caso, non meraviglierebbe più di tanto se, il primo per calcolo e il secondo per lealtà, decidessero di restare a fianco di Berlusconi (?) e…..o Alfano (?). Né sappiamo cosa farà Giovanardi (e Rotondi), prima Udc, poi Pdl con il movimento Popolari Liberali, giacché la sua Emilia, dopo clamorose sbandate a destra, sta tornando a essere una delle roccheforti della sinistra del dopoguerra. Né ci è dato di sapere le intenzioni di Adornato, con la sua Fondazione Liberal (il cui nome, "Liberal", appunto, in inglese contrassegna la sinistra), prima vicina al Pdl, poi all'Udc. Anche l'Idv, ovvero il sindaco di Napoli De Magistris, ha lanciato il suo movimento: Arancione.

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Persino Scilipoti, a capo del Movimento di Responsabilità Nazionale, prima fiancheggiatore dell'Idv, poi del Pdl per ragioni di mutuo, ha di recente tappezzato le città con i manifesti di una sua, nuova evidentemente, ulteriore iniziativa che espone, al centro, il suo nome: "Scilipoti". Dimenticavo Italia Futura del sempiterno Luca Cordero, esponente del partito dei carini, grande sostenitore di Monti, volto a dare, come dice Crozza, "una crescita a questo Paese e un futuro ai nostri figli", senza indicare come. E questo, per non parlare dell'altra costellazione di movimenti, già presente nello scenario politico italiano, che vanno dall'ossimoro Conservatori Riformisti, al momento incollocabile, ai Cristiano-sociali, vicini al Pdl, Noi Sud, I Popolari di Italia Domani, Azione Popolare, Alleanza di Centro per la Libertà, La Discussione, ecc., ecc., ecc. Ci sarà pure una ragione di questa capillarizzazione, acuitasi di recente, che finora ha visto le varie particelle allocarsi opportunamente a fianco dei vari partiti. Ebbene, questo finora, nel tempo delle vacche grasse, poteva andar bene poiché denotava una strategia: costruire un proprio movimento che affiancasse il partito prescelto dietro il corrispettivo in candidature, incarichi, ecc. Un corrispettivo ben minore se il leader del movimento di turno fosse stato organico allo stesso partito. Ma nel tempo delle vacche magre, con una crisi ancora in atto, con la politica in generale che è divenuta la parvenza di se stessa, con un Pdl allo sbando, con una Lega tornata alle origini senza il Dio Po e le sacre fonti, con un Pd uscito da primarie dove si sono confrontati due soggetti, a parole diametralmente opposti pur albergando nello stesso partito, che senso ha la frammentazione? In Sicilia, come sappiamo, il primo partito è quello degli astensionisti. Della minoranza votante, il primo partito vincitore è il Movimento 5 Stelle e Rosario Crocetta, l'attuale governatore, con il sostegno di Pd, Udc, Api e Psi, governa con complessivi 20% dei consensi dell'intero corpo elettorale. Da un recente sondaggio a livello nazionale, con il "partito" degli astensionisti e degli indecisi al 43,9%, il Pd sarà alla Camera il primo partito col 29,7% dei voti; il secondo partito sarà il Movimento 5 Stelle che conquisterà ben il 18,3% dei consensi; il terzo partito sarà il Pdl con il 16,1%, il quarto La Lega Nord al 6%,, il Sel al 5,5%, l'Udc al 5,2%, l'Idv al 4,3%. Gli altri, tutti gli altri, (La Destra, Federazione di Sinistra, Fli, Pannella, ecc.) o si uniranno in coalizione tentando così di superare la soglia di sbarramento al 4% oppure scompariranno, non potendo mai superare l'ingresso per i singoli posto al 10%. Al Senato i criteri della soglia cambiano di poco. Limiti che, credo, resteranno anche nell'eventuale nuova legge elettorale. Ora, se le percentuali fossero confermate nelle urne, l'unico partito per il quale varrebbe la pena fare liste di fiancheggiamento sarebbe il Movimento 5 Stelle che d'emblée, allo stato attuale, avrebbe oltre 100 deputati. Neppure Lista Civica per l'Italia avrebbe chances se non ci fosse l'Udc la quale, ammesso che vada sino in fondo, farà naturalmente sentire il suo peso verso Fli e il sempiterno Luca Cordero e la sua Italia Futura. In questa situazione, con l'M5S che andrà a togliere ai vari schieramenti, e soprattutto al Pdl,


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oltre 100 deputati, che senso ha l'accentuarsi della frammentazione? Quale valore aggiunto potrebbero mai portare a casa i vari movimenti? Il fatto è che, da amante della politica, capisco purtroppo che la politica non impara dai propri errori e persiste, nonostante l'evidenza, nella logica del caos. Non capisce (o confida nello stellone italico) che più si frantuma più aumenta il rischio dell'ingovernabilità, più diviene molto probabile un Monti bis. Un caos, insomma. E dal caos, di solito, deriva un restringimento degli spazi della democrazia. Non avevo mai sentito parlare di Renzi fino a circa un anno fa. Poi, in un crescendo rossiniano, è esploso all'attenzione delle genti. Non é riuscito a battere Bersani, anche per ragioni di regole, ma, se lo avesse fatto, sarebbe stata l'unica novità in questa morta gora, mossa soltanto dai sassi buttati nel pantano. Uno che ha insegnato a tutti, addirittura rifiutando in diretta il tentativo di abbracciare l'Udc, non un qualsiasi movimento. Il David contro Golia, come ama definirsi lui. Perché basta uno a tracciare la strada: uno per ritornare alla democrazia, fuori dagli inciuci, o uno per toglierla. Trilussa, nella sua poesia Nummeri del 1944 diceva: "Conterò poco, è vero: - diceva l'Uno ar Zero ma tu che vali? Gnente: propio gnente. Sia ne l'azzione come ner pensiero rimani un coso vuoto e inconcrudente. Io, invece, se me metto a capofila de cinque zeri tale e quale a te, lo sai quanto divento? Centomila. E' questione de nummeri. A un dipresso è quello che succede ar dittatore che cresce de potenza e de valore più so' li zeri che je vanno appresso.". Pietro Angeleri

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LO STUPORE NELLA NOTTE

Le primarie del centro-sinistra sono concluse e si sa chi ha vinto. Quindi, la mia, è soltanto una riflessione di un uomo storicamente di centro-destra che, tuttavia, è stato emotivamente coinvolto da quella competizione e si è trovato, in cuor suo, a parteggiare inizialmente per uno dei candidati: Bersani. Onestamente, non so il perché. Forse per l'espressione rassicurante, probabilmente per la conoscenza della macchina pubblica, verosimilmente per la padronanza dei gangli dell'agone politico. Fatto sì è che se, idealmente, qualcuno mi avesse chiesto quale antagonista in un'ipotetica battaglia politica avrei voluto, avrei risposto, senza esitazione, Bersani. Eppure…. Dice un vecchio adagio che il saggio è colui che non smette di stupirsi: ebbene, mi considero punto saggio, avevo smesso di stupirmi da tempo, eppure ieri sera, a Porta a Porta, Matteo Renzi mi ha stupito. Era da tanto tempo che non ascoltavo un politico parlare con tanta chiarezza e determinazione degli impegni che intenderebbe affrontare qualora venisse eletto premier. Ha snocciolato dati come un libro stampato, si sarebbe detto una volta, lasciando perplessi, e a volte correggendo, giornalisti del calibro di Sorgi, Polito, Belpietro, Gomez, che volevano conoscere, all'avvio del confronto, i primi tre impegni che avrebbe affrontato qualora vincesse non solo le primarie ma anche le elezioni politiche. Senza batter ciglio, ha cominciato a elencare: 1) riforma del codice del lavoro portandolo, da oltre duemila norme, a poco meno di sessanta. In sostanza, l'adozione del codice del lavoro proposto da Pietro Ichino che, nel mentre punta ad una maggiore flessibilità del rapporto di lavoro, lo rende più sicuro. Senza dilungarmi nelle spiegazioni, invito i lettori a leggerlo in Internet. Sembra l'uovo di Colombo. 2) riforma della pubblica amministrazione, anche bloccando la spesa per sostenerla, in costante lievitazione. Riforma del rapporto di lavoro dei dirigenti, passandoli a tempo determinato, da riconfermare in esito alla capacità dimostrata. Revisione della spesa intermediata, ammontante a oltre 210 miliardi, destinata ad acquisti, sostegni a imprese decotte e trasferimenti alla UE per il finanziamento dei vari fondi. In merito alla spesa intermediata Renzi ha precisato: a) che la spesa per acquisti della pubblica amministrazione, in questi ultimi cinque anni, è costantemente lievitata a differenza dei trasferimenti ai Comuni, progressivamente ridotti. Se l'amministrazione centrale avesse adottato per sé le stesse aliquote nei tagli, i risparmi sarebbero ingenti; b) che una parte cospicua


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di tale spesa è stata, ed è, destinata a imprese "decotte" nel senso che gli aiuti ricevuti non sono serviti a superare crisi temporanee a salvaguardia dell'occupazione. Esse erano e rimangono in perenne crisi e, in alcuni casi, stanno da ultimo chiudendo, nonostante i cospicui aiuti ricevuti; c) dei circa 100 miliardi trasferiti all'UE per finanziare vari fondi, l'Italia riesce a riceverne indietro circa 52, ripartiti approssimativamente su 60.000 progetti i quali, però, aggiungo io, non lasciano in generale il segno sul territorio. Dei risparmi ottenuti, circa 21 miliardi di euro, operare uno sgravio fiscale medio (medio, ripeto) di circa 1.200 (milleduecento) euro a contribuente. 3) Impostazione di una politica economica e industriale, del quale questo Paese è privo da decenni, per sapere quale strada imboccare nel futuro, cercando al tempo stesso di attrarre investimenti esteri attraverso la semplificazione della macchina burocratica, il potenziamento di siti produttivi e industriali municipali, una politica complessiva di supporto, e lo snellimento ragionato del rapporto di lavoro. E, ancora a proposito di siti locali, ha fatto l'esempio della sua Firenze dove ci sono ben undici caserme abbandonate. Ebbene, nell'arco di tre mesi, a burocrazia zero, deciderne la destinazione più appropriata in esito alla natura del territorio, all'occupazione da suscitare, al potenziale economico da realizzare. Per trovare altrettanta determinazione (ma meno chiarezza) bisognerebbe risalire a undici anni fa, alla serata nella quale Berlusconi, sempre a Porta a Porta, sottoscrisse il "contratto con gli italiani". Che, poi, il tempo trascorso da allora lo sia stato vanamente è di evidenza generale: di quel documento non se ne può fare neppure un uso funzionale nella bathroom, come direbbero le persone colte, non disponendo neppure della carta sulla quale è stato scritto. Per tornare a Renzi, non c'è dubbio che il soggetto abbia una parlantina sciolta, diretta, e abbia una chiarezza d'idee. Certo, mi rendo conto, che tra il dire e il fare c'è di mezzo il famoso mare, ma come ebbe a dire un grande giornalista, Montanelli, la miglior cura contro Berlusconi è Berlusconi, così il miglior modo per un elettore del centro-sinistra per verificare la fondatezza delle asserzioni di Renzi è votarlo perché, rispetto a Bersani, ha almeno degli obiettivi che culturalmente esulano in maniera totale dall'ormai inutile trito e ritrito della politica, sia di destra che della stessa sinistra. Infatti, almeno su una cosa, Renzi ha, preliminarmente, incontestabilmente ragione. Sintetizzo: negli ultimi venti anni, per la salute di questo Paese, i governi di centro-destra, ad essere buoni, sono stati, secondo un antico brocardo latino, tamquam non esset, come se non fossero esistiti. Ma non si può dire diversamente dell'azione del centro-sinistra sia al governo che all'opposizione la quale, se avesse voluto, avrebbe avuto tempi e modi per attuare (o almeno proporre) tutte le riforme del caso. Aggiungo io: l'unica realizzata, altamente discutibile, è quella del Titolo V della Costituzione che ha fatto divenire dei bravi guaglioni Governatori di Regione, creando un contraltare di decisioni all'amministrazione centrale, non solo senza effetti positivi ma espandendo esponenzialmente la farraginosità della macchina burocratica e la spesa amministrativa, peraltro in maniera difforme e caotica. Forse, volevano realizzare quella rivoluzione incruenta di gramsciana memoria o forse volevano

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ammiccare alla Lega. Certo è che la situazione è sotto gli occhi di tutti: questo Paese ha assoluto bisogno di essere "rottamato" e di essere riedificato. Purtroppo, non si può chiedere al centrodestra, alle prese con gli atteggiamenti umorali del Cavaliere, con le faide interne tra ex An e Forzaitalioti, tra gli stessi ex An, tra gli stessi Forzitalioti, e chi più ne ha più ne metta. Se Alfano, da giovane perbene, prendesse il coraggio e si svincolasse non so quanta forza riuscirebbe a trascinare. Ma se non lo fa, il Pdl, o come si dovesse chiamare, già moribondo, sarà da qui a breve morto e sepolto. Non lo si può chiedere all'Udc e, per estensione, ai componenti della ipotetica Lista Civica per l'Italia (Fli e Italia Futura, ecc.), pur da ago della bilancia, perché, al di là di Monti, non vedono e, soprattutto, non dicono molto altro. Gli altri non avrebbero il vigore né la consistenza. Nemmeno Grillo e il suo M5S che è dato al oltre il 18% ma che corre il rischio di rimanere isolato o, se preferisce, contaminato divenendo come gli altri. Non lo si può chiedere neppure al Pd senza Renzi alla presidenza del Consiglio perché la già collaudata squadra non lo ha fatto quando ne aveva la possibilità; dal ché la vittoria del Cavaliere. Repetita iuvant? Non credo. Ovviamente, non avrei votato Matteo Renzi, il suo robusto risultato mi auguro possa servire da stimolo a chi nel Pdl, o come si chiamerà, o nelle componenti della Lista Civica per l'Italia, abbia il coraggio di esprimere liberamente le proprie idee. E, nel farlo, abbia a mente la necessità di sorprendere. E giacché oggi non c'è azione politica che non osservi l'economia o non si richiami a essa, prendo a prestito da una sorta di decalogo per le imprese: "Sarà una quota di opportunità piuttosto che di mercato quella che le aziende dovranno guadagnarsi nei prossimi anni; sarà necessario poi competere in un'arena non strutturata, perché le nuove regole del gioco non sono ancora state scritte. ………Tuttavia anche per i sistemi con un management inadeguato, che non riesce più a interpretare correttamente la realtà del mercato, può esserci speranza. Ecco in sintesi le indicazioni: assumete personale che non sia come voi; incoraggiate la non ortodossia; create una struttura che disimpara dal passato e accantona quei comportamenti che non portano a risultati futuri; siate i più spietati concorrenti di voi stessi." E' di Akio Morita della Sony la seguente affermazione: "Le aziende che creano il futuro fanno molto più che soddisfare il consumatore: lo sorprendono.". Positivamente. Massimo Sergenti


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IL CONTO SALATO DEL COMUNISMO

La maledizione degli uomini è che essi dimenticano. Abbiamo dimenticato troppo presto la barbarie del comunismo fatto regime, la privazione di ogni diritto civile, le libertà conculcate, il pensiero unico imposto con la forza, il partito stato, l'occhiuto controllo sulla vita privata privata di ciascuno, la costrizione a condividere le abitazioni, la mobilità proibita, la negazione di ogni forma di privacy, i gulag, i manicomi, le "rivoluzioni culturali", i muri e i Vopos che sparavano a vista, la follia dell'economia dirigista e pianificata, i fallimentari piani quinquennali, i desolanti panorami urbani, la miseria diffusa, l’equilbrio del terrore. Il comunismo fatto regime ha lasciato all'Europa la pesante eredità delle economie arretrate e disastrate dei Paesi dell'est, delle società civili da rifondare, delle culture collettive da ritrovare, delle identità da riscoprire. L'Europa ha voluto accettare questa eredità ed i pesanti costi connessi. Ha iniziato la Germania con la riunificazione, sono poi seguite le scelte di rapido allargamento ad est dell'Unione Europea, molte delle quali ancora in gestazione: Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia, Albania, Bosnia, Kosovo e, forse più in là, Ucraina e Moldavia. Scelte giustificate dalla logica politica, dall'interesse dell'Occidente a portare nella propria orbita gli ex satelliti dell'Urss, dall'interesse, in primis tedesco, a nuovi mercati di sbocco, soprattutto di apparati per la produzione oltre che di beni di consumo. Per cercare di valutare l'ordine di grandezza dei costi di cui si è sobbarcata l'Unione Europea basta far riferimento a quelli della riunificazione tedesca, stimati in 1500 miliardi di Euro. Nel 1990 la Germania Ovest aveva 63 milioni di abitanti, quella dell'Est 17. Sul totale della popolazione i tedeschi dell'ex DDR rappresentavano il 21%. I tedeschi dell'ovest hanno quindi speso 71 miliardi per ogni punto percentuale di popolazione dell'est ex comunista da far crescere fin quasi al livelli dell'ovest. Fin quasi perché si calcola che la piena omogeneizzazione si raggiungerà, a ritmi tedeschi, solo nel 2019. Con gli allargamenti dell'Unione Europea del 2004 e del 2007 sono entrati a far parte dell'Unione 9 stati ex satelliti dell'Unione Sovietica: Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Lituania, Lettonia, Slovenia, Estonia con 94 milioni di abitanti complessivi, pari al 20,2% dell'intera popolazione UE (percentuale che salirebbe al 27% se entrassero nell'Unione tutti i Paesi dell’ex blocco sovietico che vi ambiscono, vedi tabella).

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1952 Germania Francia Italia Paesi Bassi Belgio Lussemburgo 1973 Regno Unito Danimarca Irlanda 1981 Grecia 1986 Spagna Portogallo 2004 Polonia Rep. Ceca Ungheria Slovacchia Lituania Lettonia Slovenia Estonia Cipro Malta 2007 Romania Bulgaria In adesione Croazia Candidati Turchia Serbia Macedonia Montenegro Islanda

Le tappe demografiche dell'Europa Popolazione Incremento abitanti Totale abitanti 83.302.000 62.788.000 61.950.000 16.921.000 10.712.000 507.000 236.180.000 62.039.000 5.656.000 4.469.000

72.164.000

308.344.000

11.359.000

11359000

319.703.000

46.076.000 10.675.000

56.751.000

376.454.000

38.276.000 10.442.000 9.983.000 5.462.000 3.323.000 2.252.000 2.029.000 1.341.000 1.103.000 416.000 74.627.000

451.081.000

73.108.000

16,22

21.486.000 7.494.000

28.980.000

480.061.000

28.980.000 102.088.000

21,42

4.403.000

4.403.000

484.464.000

4.403.000

70.752.000 8.030.000 2.060.000 631.000 320.000

8.030.000 2.060.000 631.000 566.257.000

117.212.000

20,83

575.046.000

3.760.000 3.204.000 1.825.000 126.001.000

21,91

624.106.000

45.488.000 3.572.000 175.061.000

28,29

3.760.000 3.204.000 1.825.000 8.789.000

Interessati Ucraina Moldavia

%

38.276.000 10.442.000 9.983.000 5.462.000 3.323.000 2.252.000 2.029.000 1.341.000

81.793.000 Altri Candidati Bosnia Albania Kosovo

ex URSS

45.488.000 3.572.000 49.060.000


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Ne deriva che il costo di livellamento agli standard medi europei ammonta ad oltre 1400 miliardi di Euro che stanno pagando e pagheranno le nazioni più ricche, per la semplice ragione che il mercato unico tende inesorabilmente a medie comuni sul lungo periodo, ma sul breve i più deboli vanno sostenuti. Non a caso i Paesi del gruppo di Visegràd (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) hanno quadruplicato il loro Pil rispetto alla metà degli anni ‘90 e non a caso i finanziamenti Ue sono presenti nel 99% dei progetti pubblici ungheresi e nel 50% di quelli polacchi. Questa analisi contribuisce a spiegare perché la crisi che attanaglia l'Europa è diversa, più pesante, lunga e perniciosa di quella che ha toccato il resto dell'Occidente. Paghiamo il conto salato delle devastazioni, economiche e non solo, prodotte dal comunismo che altri, ad esempio gli Usa, non hanno mai conosciuto. Si comprende anche meglio l'intransigenza della Germania sul rigore ad ogni costo, dovuta alla consapevolezza dei costi della riunificazione da sostenere ancora per molto tempo al ritmo di 100 miliardi l'anno ed alla consapevolezza che parte dei costi dell'allargamento gravano e graveranno direttamente su di essa, con particolare riferimento ai Paesi che gravitavano nell'area del marco e che, guarda caso, sono stati i primi ad essere ammessi nell'Unione. Ciò contribuisce ad acuire, in prospettiva, i problemi delle nazioni mediterranee ad economia essenzialmente manifatturiera. Difatti l'apparente opportunità offerta dal basso costo del lavoro nei Paesi ex comunisti determina non solo la delocalizzazione proprio delle imprese manifatturiere delle nazioni sud-europee, nelle quali il costo della manodopera è componente significativa, ma determina anche l'evolvere di quei Paesi verso la manifattura e la produzione per il consumo in generale, come se non bastassero già la Cina e le altre "tigri asiatiche". In questo processo ci guadagnano le nazioni in grado di esportare tecnologie ed attrezzature per la produzione o di assorbire immigrazione qualificata, come la Germania, la Francia e solo in minima parte l'Italia. Nessuno vuole ledere gli interessi franco-tedeschi, purché vi sia un'Europa capace di essere strumento di riequilibrio e di equa armonizzazione generale e non eterodiretta da uno, due Paesi egemoni e, per di più, fortemente nazionalisti nonostante le professioni di europeismo. Ma quest'Europa per ora non c'é. Anzi, la crisi incrementa gli egoismi e, per questo, quel po' di Europa che esiste e resiste rischia di implodere insieme alla moneta unica. Per la prima volta nella sua storia l'Unione Europea ha rischiato l'esercizio provvisorio per mancata approvazione del bilancio (è stato approvato il 13 dicembre, ndr). E' un segnale preoccupante da non sottovalutare. Se salta tutto la Germania, da sempre previdente, farà blocco con l'Austria ed i Paesi dell'est che le sono riconoscenti, rimetterà in corso il marco ed avrà comunque di che vivere rispolverando il sogno della grande Prussia. Il Regno Unito già segue il suo corso da tempo, e questo corso non incrocia l'Europa bensì il Commonwealth, New York, Hong Kong, Singapore, Shangai e le altre grandi piazze finanziarie. Chi andrà a gambe all'aria sono i Paesi dell'Europa mediterranea, che si sono svenati per aderire

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all'Euro accettando iniqui tassi di cambio ed il pesante rincaro di quasi tutti i prodotti i cui prezzi si sono livellati, in pochi anni, alla media europea, che hanno tartassato i loro cittadini indebolendo le economie nazionali, che hanno delocalizzato le loro imprese, che hanno fatto emigrare i cervelli migliori, che hanno praticato politiche miopi e senza respiro strategico, che hanno pagato un tributo piĂš alto di altri per adeguarsi alle normative comuni ed agli standard imposti da chi dettava le regole e che, per giunta, sono stati largamente incapaci, ad eccezione degli spagnoli, di utilizzare quel po' di opportunitĂ offerte dai fondi europei ormai in larga misura dirottati verso i Paesi dell'est. Per evitare questo bisogna attivare concordi politiche "euromediterranee", battere i pugni su ogni tavolo europeo affinchĂŠ si traducano in atti, pretendere che il costo dell'innalzamento delle medie dei Paesi dell'est sia reso chiaro e trasparente a tutti i cittadini nella forma di contributo di solidarietĂ ai popoli vittime del comunismo. Pierre Kadosh

italiani QUOTIDIANO

diretto da Luciano Lanna e Filippo Rossi


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IL GIOCO DELLE TRE CARTE

In un precedente numero di questa rivista, sia l'Infedele che Massimo Sergenti hanno affrontato la questione dell'ILVA di Taranto. In parte l'hanno azzeccata e, in altra parte, nonostante i fatti correnti, spero che l'azzecchino. Come noto, è stato varato dal recente Consiglio dei Ministri un decreto legge per risanare l'azienda entro tre anni, tanti quanti ne dura il Garante, (un'altra poltrona al costo di duecentomila euro l'anno), con un conto presentato, in massima parte, alla collettività. Le sue finalità, com'è stato dichiarato dallo stesso Presidente del Consiglio, non sono sintetizzabili in un "decreto salva-Ilva" bensì in un "decreto salva ambiente, salute e lavoro". Non salviamo anche la produzione e gli interessi dei titolari? In caso di mancato adempimento (come sarebbe possibile con un Garante a sovrintendere?), l'azienda può essere multata (sic) sino al 10% del fatturato di un anno. E il ministro Passera si è affrettato a precisare, in conferenza stampa, che "persistendo le inadempienze, i titolari potrebbero veder compromessa la proprietà dell'azienda". Già il condizionale lascia ben sperare ma, si torna a chiedere, come sarebbe possibile ciò con la presenza di un Garante? Qualora lo facesse, a Napoli si direbbe "ma allor tiene 'a capa tosta", mentre a Roma, "ahó! sei propio de coccio". Scherzi a parte (evitando ogni riferimento allo show televisivo), che cos'è questa sorta di precisazioni, puntualizzazioni, minacciate sanzioni? La polverina magica lanciata a mo' di affabulazione su una banda di rimbecilliti che così possono dire: "C'è una giustizia a questo mondo. Anche i cattivi vengono puniti"? Oggi, sono più che mai vere le parole di un grande vecchio, Andreotti, (non l'ho mai amato ma lo rimpiango, insieme con altri) quando affermava che "la legge si applica per i nemici e s'interpreta per gli amici". Come a dire, e a ragione, che la legge è come la pelle dei cosiddetti. E in quest'occasione sembra che ne è stata dimostrata l'evidenza palmare. Non sono, ovviamente, contrario che migliaia di persone abbiano ancora il loro posto di lavoro, pur pagando un prezzo in salute. Con i tempi che corrono, è almeno un ombrellino, per giunta molto piccolo. Né entro nel merito del cosiddetto conflitto di attribuzione. Né, tantomeno, voglio fare della demagogia populista e qualunquista affermando che si tornerà a produrre senza che siano state eliminate le cause che, stando alle perizie, hanno prodotto morti e feriti. Lo saranno tra tre anni. Cause che, responsabilmente, il magistrato, dopo anni di silenzio generale, ha rilevato sanzionando, in conseguenza, l'agire dei responsabili. Non voglio neppure fare della dietrologia ma il fatto è che l'ILVA ha ricevuto l'Autorizzazione

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Integrata Ambientale (AIA - è l'autorizzazione di cui necessitano alcune aziende per uniformarsi ai principi dettati dalla comunità europea) lo scorso 26 ottobre dal Ministro dell'Ambiente. Si legge nel decreto salva-Ilva, a proposito dell'AIA, che essa "ai fini della più rigorosa protezione della salute e dell'ambiente, applica in anticipo la decisione della Commissione europea 2012/135/UE del 28 febbraio 2012 in materia di migliori tecniche disponibili (BAT) da impiegare per la produzione di ferro e acciaio ai sensi della direttiva 2010/75/UE". In anticipo. Beh! E' una questione di punti di vista perché non c'è dubbio che la rilasciata AIA all'ILVA applichi in anticipo la decisione della Commissione Europea di quest'anno. Ma è anche vero che l'AIA non è stata introdotta quest'anno né dall'Unione né dall'Italia. Infatti, essa fu istituita dalla Direttiva Europea 96/61/CE che stabilì entro il 2007 il termine di adeguamento oltre il quale un impianto non conforme non potrebbe essere operativo. In effetti, allora ci fu un anticipo sul suo recepimento perché l'Italia lo fece con decreto legislativo n. 59 del febbraio 2005, stabilendo con l'occasione i requisiti per ottenere tale autorizzazione. Poi, la Direttiva 96/61/CE fu riscritta dalla direttiva 2008/01/CE, successivamente confluita nella direttiva 2010/75/UE, citata dal decreto salva-ILVA. L'Italia, peraltro, accolse la nuova riforma col DL n. 128 del giugno 2010, facendo confluire la norma di riferimento nel testo unico ambientale. Quindi, a mio modesto avviso, dovremmo parlare di ritardo i cui contorni diverrebbero inquietanti qualora fosse vera la notizia, riportata da Fabio Tonacci, il 29 novembre di quest'anno su Le Inchieste di Repubblica, secondo la quale vi fu il rilascio di una prima AIA all'acciaieria pugliese nell'agosto del 2011, poi annullata e nuovamente concessa nell'ottobre scorso. Ma c'è di più. L'AIA è generalmente rilasciata dalla Regione o (su delega) dalla Provincia. Per gli impianti più rilevanti (circa 200) essa è invece rila-sciata dal Ministro dell'Ambiente in conformità a un lavoro istruttorio svolto da una commissione tecnica, all'interno della quale il comune ha l'incarico di dare un parere sanitario. Le due istituzioni dov'erano prima di ora e, comunque, del 2011? Non basta ancora. Secondo il rapporto di Legambiente "Mal'aria", in Italia ci sarebbero diciotto impianti industriali, alcuni di enormi dimensioni, considerati dall'Unione Europea "fuorilegge", poiché sprovvisti di AIA. Al 22 ottobre di quest'anno, a fronte di 153 autorizzazioni già concesse, sarebbero 160 i provvedimenti AIA nazionali ancora giacenti in fase istruttoria alla Commissione IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control) del ministero: una commissione formata da 23 soggetti tra cui docenti universitari, magistrati, fisici, ingegneri, geologi e chimici. Tra le pratiche ancora da chiudere ci sarebbero 121 aggiornamenti, 4 riesami, 13 rinnovi e, soprattutto, 18 impianti esistenti senza AIA i quali, quindi, non rispetterebbero gli standard di esercizio ed emissione previsti dall'UE. Tra i più grandi, non l'avrebbe ad esempio la raffineria di Gela, né quella di Augusta, né le centrali termoelettriche di Porto Torres, Vado Ligure, Mirafiori e la Spezia, l'impianto di produzione di acido solforico del polo di Portoscuso, lo stabilimento di Piombino delle acciaierie Lucchini,


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l'impianto chimico Versalis di Priolo, né quello della Tessenderlo a Verbania, uno degli ultimi a utilizzare ancora la tecnologia a mercurio. Ritardi, quelli di cui sopra, che nel marzo del 2011 sono stati addirittura censurati dalla Corte di Giustizia Europea. Matteo Renzi non ha, purtroppo, vinto la sfida con Bersani. Ma, vivaddio, è una persona che, al di fuori delle conventicole, fa delle affermazioni e dei proponimenti che avrei voluto, e vorrei, sentire dalla mia parte politica. Non siamo più alle chiese, cattolica e comunista che sia, dove tutto, ogni espressione, ogni comportamento, ogni azione dovevano essere ben stu-diati, approfonditi, calibrati, ponderati prima di essere dati in pasto all'opinione pubblica perché non solo fossero recepiti al meglio ma anche che si potesse trovare in essi l'intento più nobile, anche il peggiore, ovviamente nell'interesse nazionale. Renzi non ha vinto. Ma come non convenire con lui che questo Paese ha assoluto bisogno di una politica industriale e ambientale che non porti sempre ad intervenire sull'emergenza? Come non c'è dubbio alcuno che il gioco delle tre carte non dovrebbe essere più permesso. Francesco Diacceto

audacia temeraria igiene spirituale

Libertiamo è un’associazione senza scopo di lucro, che intende concorrere alla costruzione di una piattaforma ideale, politica e di governo ancorata agli ideali e ai principi della libertà civile ed economica. Si propone lo scopo di promuovere la diffusione della cultura della libertà in tutte le sue diverse espressioni, attraverso attività di studio, manifestazioni pubbliche e iniziative di promozione culturale, anche di carattere editoriale.

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L’ERETICA MORALE L'ultimo esempio di parole in libertà, di beffa camuffata da buonismo, di contestabile impiego di denaro pubblico, di eretica morale è il recente spot pubblicitario, promosso di concerto dall'INPS e dal Ministero del Lavoro sul sistema previdenziale italiano. In sostanza, invita lavoratori e imprese a versare i contributi previdenziali, sollecitando implicitamente i lavoratori ad accertarsi che le imprese lo facciano perché, morale, solo attraverso il versamento della contribuzione sarebbe possibile garantirsi un adeguato importo pensionistico e, perciò, una "serena" vecchiaia. Ad un ascoltatore giovane, disattento, anche un po' bamba, forse l'appello delle due importanti istituzioni italiane potrebbe fare una qualche positiva impressione. Ma a un telespettatore anziano, ancora con un cervello che conserva un discreto bagaglio di ricordi, quella sollecitazione pubblicitaria lo fa incazzare. Dal 1933 al 2012 siamo passati attraverso un'infinità di riforme del sistema pensionistico e dei compiti del primariotemeraria Istituto assicuratore audacia igiene italiano. spirituale Ovviamente, qualcuno potrà dire che l'ordinamento previdenziale, proprio perché pubblico, deve seguire e sostenere nel tempo l'evoluzione della società e provvedervi. Giusto! E' dato il caso, però, che tra i sistemi pensionistici europei non ci sia stato nulla di più anacronistico e paradossale del nostro. L'assicurazione pubblica, trasformato da base volontaria delle origini a obbligatoria, prevedeva una pensione di vecchiaia a 65 anni, quando le aspettative di vita erano di gran lunga inferiori alle attuali, e una pensione di invalidità. Il regime tecnico-assicurativo era quello della capitalizzazione mentre la formula di calcolo era quella contributiva, in funzione cioè dell'ammontare dei contributi versati dal singolo, tenuti su un conto individuale. Dopo un periodo di transizione, caratterizzato da provvedimenti di emergenza, nel 1952 l'assicurazione obbligatoria abbandonò, di fatto, il sistema tecnico della capitalizzazione, mantenuto solo per una quota minima di contribuzione, denominata contribuzione base, mentre la pensione adeguata, che era la vera misura della prestazione, era finanziata con il sistema della ripartizione. In sostanza, i contributi versati da tutti finivano in un fondo unico e da lì uscivano alla bisogna i pagamenti delle prestazioni previdenziali. In quell'anno si assistette all'attribuzione all'INPS del primo degli innumerevoli compiti impropri, a danno del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti: l'istituzione del regime del trattamento minimo. Sicuramente, è un pregevole esempio di solidarietà sociale ma in nulla attinente con il


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principio assicurativo che avrebbe dovuto caratterizzare l'ordinamento previdenziale. Oh! Naturalmente l'età si abbassò, in controtendenza con le aspettative di vita, da 65 anni a 60 per gli uomini e a 55 per le donne. Dall'1.1.1957, il sensibile parlamento istituì la Gestione Speciale per i coltivatori e mezzadri. Erano ancora gli anni del rilevante peso agricolo del PIL ma il fatto è che dal 1958, al raggiungimento dei requisiti d'età da parte del coltivatore diretto o mezzadro, con un solo anno di contribuzione, il lavoratore agricolo andava in pensione. E non avendo il relativo fondo raggiunto un sua stabilità d'esercizio, gli importi delle prestazioni furono prelevati dal Fondo pensioni Lavoratori dipendenti. Ma non basta. Nel 1959, fu istituita la Gestione Speciale Artigiani ed è inutile dire che anche a tali lavoratori fu applicato lo stesso trattamento, con le stesse modalità, dei coltivatori diretti e mezzadri. Nel 1966 fu la volta dei commercianti e, naturalmente, la contribuzione delle tre categorie era quanto di più risibile si potesse immaginare. Certo, nominalmente, lo Stato avrebbe dovuto integrare annualmente quanto erogato dall'INPS senza copertura contributiva a sostegno, ma fu scelta la strada degli acconti, per cui cominciò a formarsi un credito nei confronti dello stesso Stato. Nel 1968 nacque la Pensione Sociale, per i cittadini ultrasessantacinquenni sprovvisti di reddito, e la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria, sostegno sociale al reddito di lavoratori in momentanea (?) difficoltà aziendale: due prestazioni altamente sociali i cui costi, tuttavia, non finanziati, andarono ad aumentare il già rilevante credito. L'acme doveva, però, giungere nel 1969.spirituale In quell'anno fu cancellato ogni metodo precedente; audacia temeraria igiene in sintesi, fu abbandonata ogni residua forma di capitalizzazione. Venne invece adottata la formula retributiva per il calcolo della pensione. Ora, con sommo gaudio dei pensionati post 1969 e fino al 1995, è mai possibile che un sistema che si basava sull'entità dell'apporto generale possa reggere all'improvviso cambio di metodo non più legato alla contribuzione bensì alla sola media della retribuzione lorda (!!!) degli ultimi cinque (sic) anni dalla quale far scaturire una pensione calcolata in ragione del 2% annuo di assicurazione, a prescindere dall'entità dei contributi versati nella totalità della vita assicurativa? E, infatti, il sistema, da lì a poco, cominciò a non reggere più e iniziò a formarsi un deficit di gestione che lo Stato, attraverso gli acconti tentava di arginare. Perciò, cominciò a coesistere un deficit persistente, sempre maggiore, arginato a stento, con l'innalzarsi costante del credito in teoria dell'Istituto ma, in pratica, dai lavoratori dipendenti. Gli anni `70 e `80 furono caratterizzati da un'inarrestabile espansione della spesa sociale per il succedersi di provvedimenti legislativi che caricarono l'INPS (il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti) di una serie d'incombenze senza il rispettivo finanziamento. Inoltre, nel trentennio, venne assegnata all'INPS la gestione di innumerevoli Fondi relativi a categorie di lavoratori che andavano dai postelegrafonici, ai gasisti, ai calciatori, al clero ai quali si aggiunsero, negli anni '90, le gestioni pensionistiche dei dipendenti enti locali, ministeriali, lavoratori dello spettacolo, gente del mare, ecc. fino a giungere alla considerevole cifra di ben

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51 gestioni previdenziali, alcune delle quali in rosso profondo e con iscritti ammontanti a poco meno di 260 soggetti, con regole di prestazioni profondamente diverse tra loro. Già dagli anni '80, comunque, la situazione cominciò a mostrare la sua insostenibilità e, anziché porvi rimedio, s'innalzarono alti lai contro lo scandalo (si pensi) della fallimentare gestione previdenziale. Allora un Presidente dell'Istituto, ex segretario confederale della CGIL, Giacinto Militello, in carica dalla fine del 1985, pensò di stilare un bilancio parallelo dove su un atto riportò l'articolata fotografia della gestione complessiva e sull'altro ridisegnò la gestione come se lo Stato avesse provveduto a sanare il debito e a depurare la previdenza, in carico all'INPS, dall'assistenza in carico, secondo il principio costituzionale, alla fiscalità generale e non al solo Fondo Lavoratori dipendenti. Un atto che fece onore a quel Presidente, ma fu tutto inutile. Sette anni dopo, con il Governo Amato, iniziarono le prime revisioni dell'ordinamento previdenziale alle quali fecero seguito, nel '95, quelle del Governo Dini il quale, tra l'altro, nel mentre reintrodusse in pro-rata il sistema contributivo e innalzò l'età pensionabile, si prefisse di accorpare alcune gestioni, almeno per evitare i costi amministrativi. Dalle 51 ne eliminò 20. Ma il problema dell'insostenibilità non diminuì. Un altro Presidente dell'Istituto, Gianni Billia, insieme al Presidente del Comitato d'indirizzo e vigilanza dell'Istituto stesso, Paolo Lucchesi, in quello stesso anno pensò di seguire le orme di Militello redigendo un secondo bilancio parallelo. Il credito maturato dall'INPS, in massima parte ascrivibile al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, a quella data, ammontava all'iperbolica cifra di circa 250mila miliardi di lire: oggi diremmo 125 miliardi di euro. Un altro tentativo inutile. Poco dopo, Billia andava a presiedere l'INAIL. Si preferì la strada della sistematica contrazione generalizzata delle prestazioni, e dei requisiti per ottenerle, attraverso un'infinità di riforme ripetutamente promosse, negli ultimi quindici anni, dai governi Prodi, Berlusconi e Monti, in pieno silenzio della sinistra disciplinata e di quella biricchina. Tanto che, ora, oltre la metà dei pensionati italiani, circa 7,2 milioni, percepisce meno di mille euro e tra questi, oltre 2 milioni sono sotto i 500 euro. Ah! Dimenticavo. Da ultimo, anche l'INPDAP e l'ENPALS sono stati accorpati con l'INPS. Il deficit del primo supera gli 8 miliardi, coperto per 2/3 con risorse dello Stato (i famosi acconti). E il restante terzo? Lo copre l'ENPALS che ha una gestione amministrativa attiva di oltre 2 miliardi. Quella di cui sopra, in estremissima sintesi, è la storia dell'ordinamento previdenziale italiano. L'aspetto finale è: dati i precedenti, è altamente etico invitare i lavoratori, specie se giovani, ad accertarsi sulla continuità delle contribuzioni assicurative da parte dei loro datori di lavoro ma quanta morale c'è nell'affermare che da ciò dipenderà l'entità della loro futura pensione e, quindi la loro "serena" vecchiaia? Come Howard Beale, nel film di Sidney Lumet, Quinto potere, sono incazzato nero ma, a differenza di lui, dovrò ancora sopportare. In realtà, non sono molto preoccupato per me quanto per i giovani i quali, alle prese nel migliore dei casi con lavori discontinui, se già non diverranno esodati, ben difficilmente potranno provvedere alla loro vecchiaia.


PARTECIPAZIONE E LAVORO

Non solo per la saltuarietà occupazionale, e per i calcoli errati di un ministro tecnico, ma anche per l'impossibilità di sapere che fine faranno i loro contributi. E' morale tutto questo? In una prospettiva a breve, parafrasando Henry Adams, la morale (come la previdenza) sarà solo un lusso privato e costoso. Chissà se, venendo eletto alle primarie e alla presidenza del consiglio, questo argomento rientrerebbe tra gli impegni di Matteo Renzi, il grande rottamatore. Perché non c'è da privatizzare la previdenza bensì solo renderla semplicemente coerente con il suo compito. In sostanza, c'è da rottamarla e ricostruirla secondo il progetto originario. L'Infedele

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MILLE

L’ITALIA

Quotidiano online diretto da Enrico Ciccarelli

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GEOPOLITICA

EGITTO: DUBBI SUL REFERNDUM. SI PREPARANO NUOVE PROTESTE Il referendum costituzionale svoltosi il 15 dicembre in Egitto, con il quale è stata approvata la nuova Carta costituzionale del paese, è stato "un voto alla Mubarak", viziato da numerosi brogli e che andrebbe pertanto ripetuto: lo hanno affermato numerose ong egiziane, confermando le accuse dell'opposizione laica e liberale secondo cui i Fratelli Musulmani, al governo, avrebbero giocato sporco. Tuttavia, anche se si tenesse buono quel 56,6 per cento di voti favorevole, il risultato che ne uscirebbe è quello di un paese spaccato in due, in modo netto, dove da una parte vi sono coloro che vorrebbero trasformare l'Egitto in uno stato confessionale (Fratelli Musulmani + Salafiti), dall'altro i laici e coloro che si riconoscono in altre religioni fra cui i cristiani copti, che sono il 10 per cento. Secondo le ong, nel corso dello scrutinio (che ha riguardato dieci governatorati su ventisette, mentre il resto del Paese andrà alle urne il 22 dicembre) è stato impedito l'accesso ai seggi a numerosi osservatori e in alcuni casi alle donne, mentre non tutti i seggi erano sorvegliati da un magistrato. Il boccone amaro della nuova Costituzione si è reso ancora più duro da digerire per gli oppositori al governo islamista dopo i disordini e le proteste dei giorni scorsi, scoppiati in seguito alla decisione, poi revocata, del presidente Mohammed Morsi di chiamare a sé poteri della Magistratura ed addirittura di stabilire l'inappellabilità davanti a terzi delle proprie decisioni. Immediate erano state le riunioni di protesta nelle piazze delle varie città di Alessandria, Ismailia, Assiut, Port Said, Suez, Mahalla, Damietta, Menya, Assuan e soprattutto nell'ormai nota piazza Tahrir del Cairo, con un bilancio complessivo di una decina di morti: era dai tempi della rivoluzione contro l'ancien régime che non si vedevano le piazze egiziane così gremite di persone in protesta e non sono bastati le cariche della polizia e l'uso dei gas lacrimogeni a placare l'accusa nei confronti di Morsi di "neo-faraonismo", grido a cui hanno aderito anche figure vicino allo stesso presidente, fra le quali la nota scrittrice Sekina Fouad, consigliere del presidente per la cultura, immediatamente dimessasi. Persino l'ex rais Hosni Mubarak non era arrivato a tanto in termini di accentramento di poteri e difatti l'ex presidente ne ha subito approfittato per far sentire al sua voce critica dall'ospedale del carcere di Tora, dove sta scontando l'ergastolo e dove è ricoverato per le sue precarie condizioni di salute.

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GEOPOLITICA

La percezione è che l'Egitto stia gradualmente passando da una forma di dittatura ad un'altra, dove a cambiare è stato semplicemente il Capo dello stato: "Il popolo vuole la deposizione del regime, non vogliamo un'altra dittatura", sono gli slogan intonati nei giorni scorsi nelle piazze egiziane, ma tutto lascia presumere che l'attuale tregua sia destinata a venire meno non appena verrà proclamato ufficialmente il risultato del referendum costituzionale. Enrico Oliari

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PUNTO DI VISTA

SEMPRE PIU’ LONTANA LA PACE IN PALESTINA Per duemila anni la Palestina è stata il segno della concordia e della tolleranza tra le varie confessioni ed etnie (unica parentesi i turbolenti Regni Crociati del Medio Evo). Poi, nel 1948 a seguito di una semplice deliberazione dell'ONU a carattere consultivo, in spregio al diritto internazionale e al principio dell'autodeterminazione dei popoli (la popolazione non fu neppure interpellata con un referendum), le potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale decisero di donare metà della Palestina agli ebrei con il pretesto che questi erano originari di quei luoghi e come forma di risarcimento per aver subito la persecuzione hitleriana (in realtà per lavarsi la coscienza a costo zero scaricandolo sui palestinesi). Gli ebrei, preso possesso di quelle terre, cacciarono con la forza chi le abitava da sempre: 900mila palestinesi furono costretti ad abbandonare le loro case per fare posto ai nuovi arrivati e 530 villaggi furono completamente distrutti per impedirne il ritorno e molti altri sostituiti con insediamenti per soli ebrei. Neppure i cimiteri, luoghi sacri per i musulmani, furono risparmiati. Lo spirito di supremazia del movimento sionista è condensato nello slogan, poi ripreso dal futuro Primo Ministro Israeliano Golda Meir: " Una terra senza un popolo, un popolo senza terra". In queste parole si coglie la totale indifferenza ebraica verso la popolazione palestinese che non viene neppure considerata, come se non esistesse. Forti dell'appoggio incondizionato degli americani e, inizialmente, anche dei sovietici, gli ebrei si abbandonarono a vere e proprie stragi e atti di puro terrorismo come il massacro del villaggio palestinese di Deir Yassin del 9 aprile 1948 ad opera del gruppo terrorista IRGUM (i cui leader politici erano Begin e Shamir) che causò la morte di 254 tra vecchi, donne e bambini(1) e l'assassinio, avvenuto il 16 settembre dello stesso anno, del mediatore delle Nazioni Unite, lo svedese Folke Bernadotte, per aver denunciato le violenze sioniste. L'omicidio fu rivendicato da un gruppo terrorista di cui facevano parte due futuri ministri israeliani, Cohen e Friedman. Anche da parte palestinese non mancarono atti di terrorismo a cui corrispondevano rappresaglie a volte dure, indiscriminate e sproporzionate. Le successive guerre arabo-israeliane si conclusero con la netta sconfitta della coalizione araba, disorganizzata e male armata, e con l'occupazione di altre consistenti porzioni di territorio palestinese.

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PUNTO DI VISTA

Il nuovo Stato d'Israele si è subito caratterizzato in senso rigidamente etnico e confessionale essendo aperto ai soli ebrei osservanti. Una legge, quella definita "Del Ritorno", consente alle autorità religiose ortodosse di esercitare un controllo ferreo sui matrimoni ebraici, sono infatti vietate le unioni tra gli ebrei e i non ebrei (i cosiddetti "gentili"), sui divorzi, sulle conversioni e sulle sepolture. Ai palestinesi è negata qualunque possibilità di farvi parte. Lo stesso impedimento riguarda gli ex-ebrei, ossia persone che pur essendo di discendenza ebraica professano una religione diversa dal Giudaismo: anche a loro è impedito di stabilirsi in Israele. I pochi arabi che hanno potuto continuare a vivere in quella che una volta era la loro terra devono essere riconoscibili (le loro auto, ad esempio, hanno una targa diversa); è sì permesso loro di eleggere dei rappresentanti al Parlamento, ma in quanto piccola, innocua e assimilata minoranza. Il concetto di società multietnica che tanto piace in Occidente e sbandierato anche in Italia come massima espressione di democrazia, libertà e pluralismo in Israele non solo non è neppure contemplata, ma è addirittura vietata per legge. Una sentenza della Corte Suprema israeliana del 1989 stabilisce che alle elezioni sono esclusi partiti politici o persone che prevedono nel loro programma uno Stato multi-culturale o che mettano in discussione il principio dello Stato per Soli Ebrei (SSE). Israele non ha una Costituzione e questo consente ai suoi tribunali di agire con libertà ed arbitrio nelle sentenze, soprattutto a carico dei non ebrei. Con queste caratteristiche definire Israele un "avamposto di democrazia in Medio Oriente", come spesso si sente affermare, mi pare quanto meno azzardato. Quella che è in atto da sessant'anni in Palestina è una lotta tra due popoli per il diritto all'esistenza. La differenza è che mentre gli israeliani, armati dall'America, hanno uno dei più potenti eserciti del mondo con tanto d'armamenti nucleari che possono usare a loro piacimento, i palestinesi possono disporre solo di rudimentali razzi a breve gittata forniti dall'Iran (che fanno più rumore che danni) e del proprio corpo. A ciò si aggiunge la diplomazia occidentale guidata dall'America che, con il suo atteggiamento sempre giustificativo a favore d'Israele anche quando commette atti disumani come il bombardamento di abitazioni civili e l'omicidio di politici palestinesi, non lavora certo per la pace. Circondata da mura alte 10 metri, controllata dal mare dalle navi da guerra e dal cielo dai satelliti spia a sostegno di un rigido embargo esteso anche ai prodotti di prima necessità che impedisce perfino il transito degli aiuti umanitari, la striscia di Gaza è stata trasformata dagli israeliani nel più grande campo di concentramento che la storia ricordi. Sfido chiunque a resistere in quelle condizioni senza farsi saltare i nervi e vorrei vedere una qualsiasi persona assistere alla morte del proprio figlio per la mancanza di medicinali o sopravvivere senza elettricità e con l'acqua razionata senza provare odio e meditare vendetta verso gli artefici di questa ingiustizia(2). Il fine ultimo degli israeliani è quello di costringere i palestinesi ad abbandonare la loro terra per realizzare il sogno biblico della "Grande Israele", come preconizzato dal fondatore del


PUNTO DI VISTA

movimento sionista Theodor Herzl e confermato dal padre della Patria, David Ben Gurion che, in un discorso del 1937, dichiarò senza mezzi termini: "Noi dobbiamo espellere gli arabi e prenderci i loro posti". Non a caso Israele è l'unico Paese al mondo che si rifiuta di definire formalmente i suoi confini. Condanniamo pure gli attentati suicidi dei palestinesi, i razzi di Hamas e le bandiere con la stella di David bruciate in piazza dai manifestanti, ma se veramente amiamo la pace non possiamo sorvolare sulle responsabilità dell'Occidente americanizzato e continuare a giustificare la politica repressiva d'Israele. Il popolo ebraico ha subito per duemila anni ogni sorta di persecuzione, ma questo non deve essere usato dal governo israeliano come pretesto per la sua politica repressiva e disumana contro un popolo, quello palestinese, che ha una sola colpa: quella di amare la sua terra e di non volerla abbandonare. Gianfredo Ruggiero

(1) gli adulti erano intenti a lavorare nei campi distanti e quando si affrettarono a tornare la carneficina fu compiuta, IL GUSTO DI LEGGERE stupri compresi. (2) la prima cosa che gli israeliani hanno bombardato durante l'offensiva del 2008 sono state le centrali elettriche, i dissalatori e la centrale del latte.

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CULTURA

ODISSEA Vi chiederete coma possano mai entrarci Renzi e le primarie del PD col design e la cultura. Tutto inizia col dubbio. Quale è il partito che mi appartiene? Onestamente, non lo so. E, allora, mi sono messa a seguire quella competizione politica. Non ne avevo l'intenzione, reputandola una battaglia interna a un partito che non mi appartiene. Mi sento come, immagino potesse sentirsi, un vecchio militante del PCI quando nel 1991 Ochetto, nel quartiere Navile (già Bolognina) di Bologna, sciolse quel partito. Una vita passata a credere a parole d'ordine, a obiettivi inalberati come finalistici, al potere del popolo sovrano, e poi il nulla. Vidi, a quel tempo, volti rugosi, incalliti dall'età e dal lavoro, piangere. Il sogno di una vita era finito in ragione della "modernità": la Casa Madre era sparita, dissolta, il mondo si avviava verso l'aperta globalizzazione e McDonald e la Coca Cola erano arrivati a Mosca. Tre anni dopo toccava al MSI. Non sono una nostalgica e non sono mai arrivata a piangere: a posteriori, affermo che non ne sarebbe valsa la pena. Anzi, a quel tempo mi sembrò una scelta opportuna che, in nome di quella "modernità", recava alle nostre idee soggetti che, nella loro storia, avevano percorso strade totalmente differenti. Riuscii, persino, a trovare in questo una sorta di orgoglio: uomini, lontani per cultura e storia, erano approdati a casa nostra, sia pur rifatta in AN. E non mi adontai quando, mi ritrovai affratellata a Forza Italia: all'inizio mi sembrava un incitamento da tifoseria e poi, in un'ottica positiva, una giusta sollecitazione psicologica e morale: la vecchia politica si disgregava sotto il maglio della magistratura e occorreva rimboccarsi le maniche per costruire un Paese nuovo; una forza che era riuscita a unire liberali, socialisti, democristiani, più espressioni della cd. società civile, non era da sottovalutare. Sembrava un polo di attrazione inimmaginabile: addirittura, personaggi del livello di Lucio Coletti, Saverio Vertone e Antonio Saccà, maître à penser del disciolto PCI, folgorati sulla via di Damasco, erano approdati al centro-destra. Ma, a oggi, devo dire che diciotto anni sono passati invano. A nulla è valso un affratellamento con una congerie di personaggi i quali, a voler essere buoni, non hanno utilizzato le loro radici per costruire, attraverso i vari innesti, una nuova pianta: le hanno semplicemente dimenticate. E così noi. Noi? Sì, noi che eravamo la parte moderata, prima ancora che Casini la interpretasse. Conoscevamo il pensiero sociale della Chiesa, dalla Rerum Novarum (che poi, è la Questione Operaia) fino alla Centesimus Annus, prima ancora che Casini lo proponesse. Era nostra idea forza la partecipazione, prima che la sinistra se ne appropriasse.


CULTURA

Nel manifesto politico dei renziani è citata espressamente. Così come conoscevamo e auspicavamo il capitalismo dal volto buono, quello cd. renano, e la Mitbestimmung. Conoscevamo il significato di libertà, perché lo eravamo in spirito, prima ancora che Berlusconi ce lo insegnasse. Oggi, chi siamo? Facevamo parte del grande esercito degli Achei che per lunghi anni aveva assediato Troia. Alla fine vincemmo ma con quale risultato? A differenza della vera, Troia è stata ricostruita più bella e più nuova che prima, avrebbe detto Petrolini, galvanizzata dall'attivismo dei suoi comandanti e inorgoglita dal ritorno al ruolo di governatrice delle rotte dell'Asia Minore; dando, così, un senso alla morte di Priamo, di Ettore, di Paride e alla schiavitù di Ecuba. Anche gli achei ebbero perdite, a cominciare da Achille e Patroclo. Ma migliore sorte non toccò ad Aiace, suicida nel tempio troiano per il rimorso di aver violentato Cassandra, e al generale in testa, Agamennone, ucciso al suo ritorno a casa dalla moglie e dall'amante di questa. E Ulisse? Beh! Partito con i venti favorevoli verso ovest, dopo dieci giorni, una terribile tempesta lo costrinse ad approdare nella terra dei lotofagi dove dovette brigare molto per convincere i suoi uomini a ripartire, inebriati dalle foglie di loto. Dopo aver navigato troppo verso est, ritornò a ovest e approdò nella terra dei Ciclopi. Catturato da Polifemo, al quale dichiarò di essere Nessuno, Ulisse accecò il ciclope per fuggire con l'inganno, impedendogli di chiedere aiuto: Nessuno lo aveva accecato. Lasciata quella terra, dopo innumerevoli giorni, raggiunse l'isola Eolia, dove viveva il buon re Eolo, figlio di Ippote e prediletto degli dei. Aveva sei figlie e sei figli lussuriosi e, per placare quest'ultimi, aveva fatto sposare loro le sorelle. Vivevano tutti insieme, sempre in festa, circondati dai più inimmaginabili lussi. Fatto rifornimento, riprese il mare e, dopo una nuova tempesta, giunse nella terra dei Lestrigoni, una specie di giganti che, guidati da Antifate, gli affondarono quasi tutte le restanti navi con dei gran macigni. I superstiti furono arpionati e divorati. Con le navi a picco e il bottino in fondo al mare, Ulisse proseguì distrutto dal dolore fino a giungere a Eea, l'isola di Circe della quale divenne compagno. Non avrebbe voluto ripartire ma, sollecitato dai suoi uomini, iniziò i preparativi. Circe, però, gli chiese di compiere prima un viaggio fino alla dimora dell'Ade, dove incontrare i "trapassati" che gli avrebbero spiegato cos'è la morte; un viaggio alquanto periglioso dove, dopo aver passato le colonne d'Ercole e incontrato, tra le nebbie del fiume Oceano, vecchi compagni defunti e la madre, resistette al richiamo delle Sirene e superò la prova di Scilla e Cariddi, purtroppo da solo. In balia dei flutti, aggrappato a un rottame, l'Odisseo riuscì ad approdare a Ogigia, l'isola di Calipso, sorella di Circe, dove soggiornò sette mesi. Poi, vinto dal desiderio di tornare a casa, aiutato da Calipso, riuscì a costruire una zattera con la quale riprese il mare. Ma il destino cinico e baro volle diversamente: un'ulteriore tempesta lo afferrò e, dopo giorni tra i flutti, lo lasciò esausto sulle rive dell'isola dei Feaci, dove lo trovò Nausicaa, figlia di Alcinoo, il re. Lì, Ulisse, raccontata la sua storia al re, è fornito di una nave e di un equipaggio per fare,

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CULTURA

finalmente, ritorno alla sua amata Itaca. Ma, giunto su Itaca, si accorse che le cose erano profondamente cambiate: il cane Argo non lo riconobbe, Penelope aveva ultimato la tela e si era accompagnata ad Antinoo, capo dei Proci, e Telemaco faceva il globetrotter. E là apprese che Menelao, tornato in patria con Elena, l'artefice del casino, sarebbe vissuto felice con lei e, secondo la profezia di Proteo, insieme destinati a non morire. E' proprio vero che le corna sono come i denti…..fanno male quando spuntano, poi…… A quel punto Ulisse, con lo sguardo al cielo, proruppe in un'esclamazione liberatoria: "ma va fa 'ngul….e meno male ch'avimm vint….. sì, a bambulett 'e pezza 'a fiera 'e vvanità". Immagino già il benpensante di turno dire: sei retrò, è la globalizzazione, la modernità, il nuovo che avanza. Sono propensa a credere che sia così, ma quale è questo nuovo? E’ un dejà vu? Chi lo interpreta? Chi si attrezza? Con quali strumenti? Per fare cosa? Nessuno risponde a queste semplici domande. Mi correggo: uno sì, ed è Renzi, con mio sommo dispiacere. Ormai è ufficiale. Renzi ha perso, com'è stato ripetuto da tanti, una bella battaglia che ha fatto bene non solo al PD e al centro-sinistra ma anche alla politica in generale perché ha dimostrato che, in nome dei propri convincimenti, si può anche combattere uno scontro perso in partenza. Per il gusto di farlo. Certo, ha perso. Ma, mi domando, sarà possibile ignorare il 39,1% dei consensi? E, ancora. E' possibile che il 39,1% si lasci ignorare? Questa, lo so, è accademia e, per giunta, non mi riguarda. Una cosa, invece, mi riguarda e mi fa pensare: è l'unico esponente politico che nel corso di questi ultimi anni ha formulato un programma esaustivo: politica industriale, economica, ambientale, del lavoro, fiscale, ecc. Posso avere il piacere di ascoltare analoghe proposizioni da esponenti che dovrebbero interpretare le mie aspettative politiche? Bah! Staremo a vedere. Ovviamente, non per molto perché, finita l'era di credere, obbedire e combattere, per pugnare occorrono serie, passionali, concrete motivazioni. Altrimenti, la pugna diventa piccola. Roberta Forte

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SCIENZA E TECNOLOGIA

IL BAGNO SENZA L’ACQUA Ludwick Marishane, nato a Limpopo (Sudafrica) il 23 maggio 1990, è uno studente del 4 ° anno di Corso di Business , Contabilità e Finanza presso l'Università di Città del Capo (UCT). Attualmente è valutato come il miglior studente imprenditore nel mondo (Global Champion degli studenti imprenditori globali, Awards 2011). È il fondatore e capo di Headboy Industries Inc. ed è il più giovane titolare di brevetto del Sud Africa dopo aver inventato DryBath. Google lo ha classificato come una delle 12 giovani menti più brillanti del mondo. DryBath è un bagno a secco. Si tratta di una miscela esclusiva di un biocida, bioflavonoidi e sostanze idratanti. Questo prodotto è facile da usare e ha bisogno di una minima quantità d’acqua per essere usato. Si differenzia dagli anti-batteri lavaggi a mano, eliminando l'odore pesante di alcol. E’ una sostanza inodore che crea una pellicola biodegradabile e idratante che garantisce pulizia. A Ludwick venne l'idea da adolescente durante un’inverno, nella sua povera casa rurale, quando un suo amico gli disse che il bagno era troppo fastidioso in particolare senza l’acqua calda. E allora si disse: “perché non inventare qualcosa che si spalmare sulla pelle senza bisogno di fare il bagno?”. Usando il suo telefono cellulare abilitato all’accesso ad Internet si mise subito alla ricerca delle varie formule dei detergenti a secco. Sei mesi più tardi, se ne uscì con DryBath e ottenne il brevetto. Il prodotto è ora in commercio e tra i clienti figurano le principali compagnie aeree mondiali per l'uso sui voli a lungo raggio e molti governi per le truppe sul campo. Marishane vede se stesso come un visionario e vorrebbe che l’Africa fosse tra i primi a beneficiare della sua abilità. E’ un grande fan del mondo del commercio e ha una buona capacità di leadership e la comprensione innata delle persone e dei processi di business. "La mia passione è la mia dipendenza dall’imparare e aiutare gli altri a liberare il loro vero potenziale. Amo il lavoro ed ho deciso di studiare economia perché penso che mi fornirà la più ampia comprensione del business", dice sul suo profilo LinkedIn. Marishane parla 6 lingue. Attualmente ha raggiunto ben 16 riconoscimenti e premi. Nel solo 2011: Google Zeitgeist (meaning 'spirit of our time') Young Mind, SMU 6th LKY Global Business Plan Comp, Finance 2 - Class Representative, Financial Reporting 2- Class Representative. GP

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RUBRICHE/ARTE

SCOPIC LANDSCAPE

Alla Galleria Nara Roesler di San Paolo (fino al 31 gennaio 2013): “Scopic Landscape”, una nuova mostra di opere fotografiche di Isaac Julien, uno dei nomi più importanti del cinema contemporaneo espanso. A cura di Mark Nash, la mostra offre un rinnovato contatto con la pratica artistica di Isaac Julien, che presenta fotografie che creano un rapporto particolare con le sue video-installazioni: True North (2004), Fantôme creola (2005) e Ten Thousand Waves (2010). Come osservato da Nash, Julien lavora con "le immagini mitiche" aumentando l'eloquenza di spazio per porre domande quali: "come pensare l'esperienza degli individui e delle pratiche artistiche relative al luogo ed integrate in una rete globale? Come si fa a conciliare i mondi angosciosi che si presentano a noi, lo scontro di ideologie e prospettive? " Il suo forte tono politico-sociale, che si manifesta nelle sue costruzioni narrative, è sottilmente presentato in questa mostra. Il piacere visivo di ogni immagine si apre a poco a poco in un intento critico. Ben noto per indagare le assenze e le omissioni dei resoconti storici, Julien impiega temi evocativi per la costruzione di un nuovo linguaggio cinematografico. Nelle opere dell'artista, le immagini che si confrontano non sono semplici rappresentazioni, anzi, esse stesse sono la conoscenza estetica, frammenti di vita vissuta. “Scopic Landscape” segna l'inizio della collaborazione tra Isaac Julien e Galleria Nara Roesler. Isaac Julien è nato nel 1960, a Londra, dove vive e lavora, si è laureato in pittura e cinema alla St. Martins School of Art nel 1984. L'anno prima, aveva creato il suo primo film collettivo, chiamato Sankofa Film and Video Collective. Uno dei suoi film più celebri è Young Soul Rebels (1991), che ha ricevuto il premio della critica al Festival di Cannes. Nel 2001, Julien è stato nominato per il Turner Prize. Nel 2003, ha vinto il Gran Premio della Giuria alla Biennale Kunstfilm, a Colonia, a Baltimora, nel 2008, il suo film Derek ha vinto il Premio Speciale Teddy al Festival di Berlino. Ha al suo attivo numerose mostre personali: al Centre Pompidou, a Parigi, al MoCA di Miami, al Kerstner Gesellschaft, di Hannover, ed al Museo del Chiado Arte Contemporanea di Lisbona.Lal sua più recente installazione di grandi dimensioni, Ten Thousand Waves è stato vista al The Museum of Contemporary Art, San Diego (2012); Helga de Alvear Gallery, Madrid; ShanghART Gallery, Shanghai, Hayward Gallery, Londra, Bass Museum, Miami; ICA, Boston, Kunsthalle, Helsinki, e alla Biennale di Sydney (2011). Nel 2013, al MoMA di New York si terrà una mostra dedicata al suo lavoro. Le sue opere fanno parte delle collezioni di Tate Gallery, a Londra, del MoMA e del Guggenheim Museum a New York e del Centre Pompidou, a Parigi. Giny

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RUBRICHE/L’INTRONASAPORI

CUCINA FUTURISTA Casatiello dolce napoletano Ingredienti: 4 cucchiai di farina, 1 tazzina di latte, 30 g di lievito di birra, 2 uova intere grandi, 200 gr. di farina, 80 gr. zucchero, 40 gr di sugna, 2 cucchiaini di acqua di fior d'arancio o millefiori, 20 gr di zucchero a velo, 10 gr di confettini “diavolicchi” (piccole sfere colorate da 2/3 mm. di diametro). Tempo di preparazione: 1 ora. Preparazione: Impastare 4 cucchiai di farina con il latte ed il lievito (sciolto nel latte), coprire con un canovaccio l’impasto ottenuto e metterlo a crescere per quattro ore. A crescita avvenuta versare 2 uova intere grandi, 200 gr di farina, 80 gr zucchero, 40 gr sugna, 2 cucchiaini di acqua di fior d'arancio o millefiori e lavorare energicamente a mano per almeno 30 minuti. Ungere uno stampo a ciambella e versare l'impasto che dovrà arrivare circa alla metà dell'altezza totale. Mettere a crescere in un luogo asciutto e caldo (ad esempio in forno spento appena preriscaldato). Quando l’impasto ha raddoppiato il suo volume infornare a 180° in forno già caldo per circa 25 minuti, fare la prova stecchino per accertarsi della cottura. Decorare a piacere o con zucchero a velo vanigliato e confettini (volendo decorare con glassa bianca e confettini). Accompagnare con un vino passito.

IL GUSTO DI LEGGERE Antonio Parlato Sua Maestà il Baccalà - Ovvero Il pesce in salato che ci vien d'oltremari Colonnese Editore, Napoli, pp. 128, cm 14,5x21 - ISBN 9788887501780 - Prezzo € 14,00 Articolato volume che spazia dall’origine del nome a quella geografica del più venduto, e acquistato, rappresentante della fauna marina. Accanto alle descrizioni “tecniche” della riproduzione, cattura, lavorazione, richiami al “baccalà letterario”, ossia alla sua presenza nel mondo del libro, passando anche per la musica ( ad esempio, Paolo Conte, col suo: “Pesce veloce del Baltico”). In appendice, gustose (non solo gastronomicamente) ricette legate, oltre che ai luoghi, come di consueto, a personaggi, mestieri e interi popoli che le hanno ideate.

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Confini Idee & oltre

Penetrare nel cuore del millennio e presagirne gli assetti. Spingere il pensiero ad esplorare le zone di confine tra il noto e l’ignoto, là dove si forma il Futuro. Andare oltre le “Colonne d’Ercole” dei sistemi conosciuti, distillare idee e soluzioni nuove. Questo e altro è “Confini”

www.confini.org


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