Dalla Città del Parco ai Laboratori della Città del Quarto Paesaggio

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di confine”, fui tollerante e ugualmente felice quando lei trovò la sua strada. Tania aveva bisogno di serenità, di sentirsi dentro una casa, una ricerca fatta di percorsi tangibili, semplici e rassicuranti, tracce da mettere in sequenza. Certo, la sua testolina romana era un frammento, e tutto il resto vuoto, ma poteva semplificare una partenza. Barba e pileo visibili, epoca storica definita, navi e luoghi di partenza definiti, il viaggio: erano tutti buoni indizi per costruire ipotesi di ricerca dentro metodologie consolidate, senza rinunciare a guardare altri aspetti ma senza per questo porsi dentro a problematiche vaste, senza la pretesa di voler riconoscere la sequenza di lavoro più adatta a rinnovare il rapporto sistema/ambiente a partire dall'archeologia. Questa sequenza poteva rimanere la mia ossessione, il mio problema non risolto; perché tutti avrebbero dovuto costruire una mappa per uscire dal labirinto? Velia ci attendeva con tutto il suo splendore, luci, profumi, turisti discreti, tutto invitava ad iniziare un storia semplice, di ricerca. Carla Antonella Fiammenghi, oggi scomparsa, ci accolse come accoglie quasi sempre tutti, sorridente e curiosa, disponibile ed attenta, non gelosa delle proprie ricerche e delle proprie conoscenze. Illustrò nuovamente i programmi di ricerca, l’impegno nazionale e regionale, comunicò le sue aspettative di allargamento delle ricerche ai siti minori, sembrava una certosina con la sua voglia di aprire diversi laboratori di ricerca. Tania cominciò a sentirsi dentro ipotesi più certe, campagne di scavi percepibili ed estese; espose le sue ipotesi e le metodologie in suo possesso, la speranza di metterle in campo riconoscendo frammenti ritrovabili nel Cilento, nei luoghi dove iniziavano campagne di scavi, dove, forse, era possibile scoprire indizi collegabili all’ipotesi di datazione fatta ad Heidelberg. La Fiammenghi usò molte cautele, non accennò ad ipotesi di successo, ma non poté non parlare di alcune sue ricerche. Durante la campagna di scavi relativi alla necropoli di S. Marco di Castellabate, i numerosi e piccoli chiodi di ferro rinvenuti in corrispondenza dei piedi di alcuni inumati potevano essere messi in relazione con calzature di tipo militare, rapportate alla presenza di un vero e proprio bacino portuale. Per la Fiammenghi il sito era una base militare, scalo di appoggio e di approvvigionamento della flotta reale. Il breve periodo di vita del sito viene datato intorno al II secolo d.C., cioè proprio nell’epoca ed all’apice della forza imperiale. Nel II secolo d. C. la flotta entra in crisi, prende direttrici diverse, il luogo viene dismesso, non per il pericolo di frane. La flotta insegue altre esigenze politiche, scompare dal luogo ed il luogo, come ambiente adatto ai


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