Dalla Città del Parco ai Laboratori della Città del Quarto Paesaggio

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e territoriali non riescono a riprodurre la loro identità aperta, cioè il progetto autonomo, indipendente, capace di andare al di là delle possibili forme di intervento politico o istituzionale esterno. Per le catastrofi avvenute nel Mezzogiorno rimane la riflessione che quando si producono sfasature lunghe (vere e proprie fratture divaricanti tra gli andamenti dei processi sociali ed i tempi dell'agire politico e dell'intervento), le comunità rischiano di sfaldarsi; si disperde il patrimonio di relazioni e di conoscenze accumulate sul territorio, i luoghi decadono fino ad estinguersi. Per capire di più, bisognava scandagliare il ruolo effettivo delle forze in campo. Occorreva individuare sul territorio non solo quelle facilmente visibili, ma anche i soggetti silenziosi ed i loro programmi; era necessario mettere in relazione le dinamiche sociali con il tempo, con la durata del loro progetto, con le motivazioni del loro agire. Le storie di emigrazioni e di sviluppo del Cilento e del Vallo di Diano e degli Alburni si sono intrecciate con storie di terremoti e di alluvioni. A partire da Sarno, di fronte all'impotenza dell'agire politico dei nostri tempi, si è spinti a scoprire i meccanismi delle trasformazioni sotterranee e non guidate, a rivalutare il protagonismo della natura, mettendo in discussione il dominio della tecnica, scoprendo di dover far nuovamente e con umiltà ricorso all'accumulo di conoscenza basato sull'esperienza. La Forza della Natura che si esprime, si frappone nelle relazioni tra gli uomini, ne condiziona i progetti. La Natura subisce, ma condiziona anche i comportamenti. Terremoti, disboscamenti, frane, incendi, emigrazioni, svuotamenti, persistenza ed estinzione dei luoghi si contrappongono fin quando progetto dell'uomo e progetto della natura non divergono completamente e profondamente. Per archeologi e studiosi di scienze della terra, questo è facilmente evidenziabile per molti luoghi estinti. Come economista dovevo approfondire. Non era facile rimuovere la facile fiducia nella tecnologia, specie se vista come organizzazione sociale. Dovevo uscire però dalla mia disciplina, andare incontro alle scienze della terra, alle scienze naturali, a quelle sociali e della cultura e quelle ambientali che si stavano consolidando: tutte dovevano condizionare il mio nuovo percorso mentale. Avevo la percezione che la storia dei luoghi fosse anche la storia dell'espressione naturale dei luoghi, ma non volevo rinunciare a dare il giusto peso all’attività specifica dell'uomo: la creatività.

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