LeSiciliane n.67

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Mauro si innamora sempre delle cause difficili

Lì voleva stare e lì lo abbiamo lasciato Natya Migliori La Cassazione qualche mese addietro ha emesso sentenza definitiva sull’omicidio di Mauro Rostagno. La suprema corte praticamente ha confermato la sentenza di secondo grado che ha stabilito che Vincenzo Virga è stato il mandante, l’ordine fu dato dall’alto, da Francesco Messina Denaro, padre del latitante Matteo. Alla luce di questa sentenza abbiamo incontrato Carla Rostagno, sorella del giornalista sociologo. Fra amarezza, emozioni e ricordi… Ha la voce stanca ma sempre pacata e gentile Carla Rostagno, sorella del sociologo torinese ucciso dalla mafia a Valderice nel settembre del 1988. Si scusa perché la stanchezza non la fa sentire abbastanza lucida. Ma dopo i primi momenti, si lascia andare in un racconto preciso, accorato, umano. Ci siamo conosciute a Trapani nel 2011, durante il primo grado del processo avviato a distanza di ventidue anni dalla morte del fratello. E ci siamo riviste più volte a Torino in casa sua, dove fra foto, carte e giornali, mi faceva entrare nella “loro” vita. «Mauro – racconta – era divertente, allegro, acuto, dolce. Le donne di famiglia lo adoravano. C’erano delle serate in cui veniva spenta la televisione per starlo a sentire. Eppure da piccolo era molto timido e introverso. Nelle foto di famiglia è sempre nascosto o

tiene gli occhi bassi». A un anno dalla morte di Mauro, Carla lascia il lavoro e per sei anni si dedica interamente a cercare risposte. «Il primo anno – mi confida – non riuscivo neanche a dire che Mauro fosse morto. Ci ho messo un anno (la voce le si spezza) ... Al processo mi è stato chiesto cos’ho provato quando mio fratello è morto. Come fai a raccontare quello che provi? L’unica cosa che ho fatto nel momento in cui ho saputo, è stata togliermi via la maglia che avevo addosso, come togliermi via la pelle... non so spiegare meglio di così. Ho preso la porta e ho cominciato a correre giù per le scale, con mio marito che mi urlava di fermarmi. Non riuscivo più a fermarmi. Come fai a spiegare LeSiciliane - Casablanca 18

tutto questo? O a dimenticare? In Sicilia non avevo contatti, non mi arrivavano notizie, non sapevo niente di niente. Ho deciso che volevo almeno sapere a chi potevo stringere la mano e a chi no. Non pretendevo di arrivare alla verità, ma desideravo almeno un quadro di come avesse vissuto gli ultimi mesi mio fratello. Ed è un lavoro che è durato più di vent’anni. La cocciutaggine (di famiglia) mi ha portato ad oppormi alla richiesta di archiviazione, che sarebbe stata per me inaccettabile, un


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