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Le Siciliane - CASABLANCA N.50/ settembre - ottobre 2017/ SOMMARIO

A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare? Pippo Fava

4 – Storie di Sudditanza Psicologica(SSP) Graziella Proto 6 - (SSP) Inconsapevole Responsabilità Pina Ferraro Fazio 12 - (SSP) Sette e violenze contro le donne Daniela Catania 16 - (SSP) Se te ne vai Gesù ti abbandona Graziella Priulla 18 –Acireale: Cosa Nostra comanda?! Pina Palella 22 – Paolo Borrometi Prodotti made in Mafie 25 Fulvio Vassallo Paleologo –Migranti: oggetti da commerciare 28 – Povera Catania: qualcosa è cambiato – Graziella Proto 32 –Donne e Uomini di Calabria Franca Fortunato 36 – Augusto Montaruli Un altro mondo è possibile 39 – Augusto Cavadi Sotto il cielo di Pechino Libri dalle città di Frontiera

…un grazie particolare a Mauro Biani

Direttore Graziella Proto – protograziella@gmail.com - Redazione tecnica: Vincenza Scuderi - Nadia Furnari – Simona Secci –Stefania Mulè - Edizione Le Siciliane di Graziella Rapisarda – versione on-line: http://www.lesiciliane.org Registraz. Tribunale Catania n.23/06 del 12.07.2006 – dir. Responsabile Lillo Venezia

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Editoriale

La posizione giusta: Né sicura, né conveniente, né popolare Il prossimo 5 novembre in Sicilia ci saranno le elezioni regionali. Quattro milioni e mezzo di elettori saranno chiamati a esprimersi. Da circa un mese a Catania, ma credo in tutta la Sicilia, i faccioni allegri e contenti che si affacciano dai cartelloni 6x3 coprono la maggior parte dei muri della città: vota per me, c’è scritto all’incirca, fidati di me, io non ti tradirò mai, io voglio il tuo bene… e da quel cartellone le facce dei pretendenti – sembra che guardino proprio te –, ti sorridono. Ammiccano. Cercano di ammaliare. Ma qualcuno ha parlato di programmi? Qualcuno è venuto a spiegarci cosa e come vorrebbe la regione Sicilia? Hanno un progetto? Un’idea, un ideale o una ideologia? Ciò che viene fuori dai corridoi sono le beghe fra i candidati, Renzi che continua ad attaccare e cercare di distruggere qualsiasi cosa animata e no che richiami la sinistra, gli “ordini” arrivati da Roma, dove si decide cosa fare nei territori… Poi sondaggi, sondaggi, sondaggi. A nessuno viene in mente che forse i siciliani, almeno una parte di siciliani, vorrebbero sapere che cosa si vuole fare per la Sicilia? Come fare per arrestarne la caduta nel baratro? Cosa fare per la marea di giovani disoccupati o sottoccupati? Insomma qual è la loro posizione di fronte ai grossi problemi dell’isola? Una nota di colore: fra i faccioni appesi al muro fino a qualche

giorno addietro spiccava quella di Crocetta, il presidente uscente. Un faccione con un sorriso a trentadue denti bianchi e splendenti. In tv e ai giornali parlava di un suo accordo con Renzi e spiegava che dietro aveva il PD. Da qualche settimana la sua faccia è scomparsa dai muri. Non lo si vede più. Ha ammainato le vele per un posto alla camera, si dice. Le promesse di Renzi… Tanti siciliani in questo caso tifano per la coerenza di Renzi – dice una cosa e ne fa un’altra… Perché la delusione che Crocetta ha dato ai siciliani, anche quelli che non lo hanno votato, è stata immensa. Intanto, i vitalizi sono ancora lì, non si è fatto nulla per istituire corridoi umanitari sicuri per i migranti. Della legge elettorale non si parla. Lo Ius Soli è ancora fermo dove l’avevamo lasciato… in attesa di essere esaminata dal Senato dove la maggioranza ha numeri molto più risicati. Ci si trastulla su ius soli e ius culturae, legato al territorio il primo, legato all’istruzione il secondo. La legge, diciamolo, è una legge abbastanza moderata, carente e forse anche pasticciata. Potrebbe mettere d’accordo tutti, invece si ha la sensazione che nessuno voglia metterci la faccia, nessuno ha voglia di cercare i voti necessari… Le diatribe politiche e partitiche si scatenano anche su una questione semplice, normale, lampante, naturale, che riguarda i

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nascituri. Nondimeno, per mettere d’accordo tutti e far fare anche una legge migliore basterebbe, come dice Nicola Fratoianni, andare a visitare una scuola durante la ricreazione o durante una festa scolastica e osservare cosa succede: l’allegria collettiva, una sola, quella sola che unisce i diversi colori, le tante etnie, le molte lingue. Un collante eccezionale di cui non si conosce la formula chimica. E per coloro che sono particolarmente allergici ai colori anche leggermente più scuri del nostro incarnato, si consiglia di riflettere su un cartello che un signore di colore portava appeso al collo durante una manifestazione del 26 settembre scorso a Roma: DALLA MIA AFRICA PRENDETE TUTTO, petrolio, gas, oro, ferro, diamanti, banane, soia, cotone… MA RIFIUTATE GLI ESSERI UMANI e scatenate guerre. Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare. Ma bisogna prenderla perché è giusta. (Martin Luther King)


Storie di sudditanza psicologica

Storie di sudditanza psicologica Graziella Proto Tutti sapevano che era un gruppo di preghiera e, a loro, il capo e le sue tre strette collaboratrici, bastava individuare all’interno della schiera di adepti i soggetti più deboli da plagiare. Il resto era un copione che si ripeteva. Le ragazzine dovevano convincersi che ciò che facevano col capo spirituale avrebbe dato loro l’accesso al paradiso. Il sesso che facevano con quell’uomo brutto, grasso, bavoso, flaccido a vederlo era “amore alto”, “amore divino”. Ufficialmente si riunivano per pregare. Ma non era solo questo quell’associazione. Dietro c’erano altri interessi: tanto denaro, voti elettorali da designare, per creare dal nulla personaggi politici da collocare. Per anni ci siamo chiesti da dove fossero spuntati Mimmo Rotella e Daniele Capuana. Dove e con chi avessero fatto militanza politica. Una storia turpe, volgare, dolorosa. La affrontiamo dopo aver fatto un quadro generale – per conoscere i fatti – attraverso l’analisi di persone competenti la sociologa, la psicologa e l’assistente sociale. Il quadro emerso dall’operazione “I 12 apostoli” è agghiacciante. Ufficialmente una comunità religiosa laica, era invece una specie di girone infernale per abusi sessuali su minorenni. Promotore, animatore e fruitore Pietro Alfio Capuana, ex direttore di banca oggi 73enne, assistito dalle sue più fedeli collaboratrici. Rosaria Giuffrida, Katia Scarpignato, Fabiola Raciti. Lui l’Arcangelo. Loro le Apostole. Fatti che si perpetravano da più di trent’anni e che sembrerebbe anche il Vescovo di Acireale Pio Vigo conoscesse. Ma non c’era solo sesso in quella associazione. Intanto bisogna dire che sui quasi 5.000 adepti solo in pochi sapevano. L’associazione possiede e gestisce un’attività agricola ricca, fiorente e redditizia. Un giro di soldi notevole, basti

pensare che durante la perquisizione sono stati sequestrati 60mila euro. Ci sarebbe dell’altro, qualcuno racconta che il santone fosse dedito all’usura. Infine, ma non ultimo, un bel pacchetto di voti elettorali. Ma chi erano l’Arcangelo e le apostole? Un gruppo di persone – si legge negli atti del Tribunale di Catania – «si associavano fra di loro allo scopo di commettere più delitti di violenza sessuale ai danni di minori degli anni 18, in particolare costringendo e inducendo moltissime ragazze minorenni, frequentanti la comunità “Cultura e Ambiente” (presso la chiesa Lavina di Aci Bonaccorsi) a sottoporsi a svariate pratiche sessuali con il Capuana, prospettate come gesti di valenza spirituale ed atti di “amore Casablanca 4

dall’alto”. Attività promossa dal Capuana, quale fruitore delle prestazioni sessuali delle minori ed organizzate dalla Giuffrida quale addetta alla predisposizione dei turni settimanali delle minori e dalla Raciti e dalla Scarpignato quali incaricate allo svolgimento dell’opera di persuasione delle minori in ordine alle valenze spirituali dei predetti gesti in Motta Sant’Anastasia, Aci Bonaccorsi, Bronte, Fondachello di Mascali». Rosaria Giuffrida, la sacerdotessa che predisponeva i turni settimanali delle ragazzine è la moglie del politico Mimmo Rotella. Dalla documentazione viene fuori che la Giuffrida nei turni inseriva anche la propria figlia. «… con abuso di autorità – si


Storie di sudditanza psicologica legge ancora – derivante dal ruolo ricoperto all’interno della congregazione religiosa “Cultura e Ambiente” (chiesa Lavina di Aci Bonaccorsi) costringevano la minore (A.B.C.D…) a subire reiterati atti sessuali contro la sua volontà e comunque abusando della sua inferiorità psichica (derivante dal riconoscimento di una guida spirituale nella persona del Capuana) la inducevano a compierli…». Un porco! Consapevoli della condotta di Pietro Alfio Capuana – l’Arcangelo, le tre aguzzine organizzavano, assistevano, convincevano. Proteggevano. Agevolavano. Un progressivo, continuo, incessante plagio psicologico a favore del santone Capuana descritto dalle sue tre collaboratrici-schiave come persona dotata di elevatissima spiritualità. Lui, il divino, in qualità di padre spirituale del gruppo, qualora qualcosa non andasse nel verso

desiderato minacciava accadimenti nefasti per la ragazzina e la sua famiglia. Copione che sembra di capire si era ripetuto anche con le tre sacerdotesse che adesso da madri avevano fatto in modo che le stesse “esperienze mistiche” le vivessero le loro figlie. Così per la figlia della Scarpignato Rabuazzo, così per la figlia di Rosaria Giuffrida e di Mimmo Rotella. Mimmo Rotella da parecchi anni è un politico abbastanza noto in Sicilia, perché è stato assessore regionale, assessore provinciale, consigliere comunale… Un pacchetto di voti che ha spostato come ha voluto. Per essere più chiari, Capuana ha voluto. Un altro politico molto conosciuto e che ha fatto una carriera folgorante è Daniele Capuana figlio dell’Arcangelo. Non si sa se Daniele fosse a conoscenza dei misfatti del padre, il dubbio è d’obbligo, tuttavia: questi soggetti a cui arrivavano migliaia e migliaia di voti si chiedevano da dove arrivassero questi voti?

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Sapevano di quel girone dell’inferno dove giovani fanciulle entravano bimbe ed uscivano persone assoggettate, plagiate, umiliate, soggiogate, asservite. Minacciate. Abusate. Violate? E le ragazze comprendevano ciò che stava succedendo loro? Avevano possibilità di ribellarsi? Soggiacevano compiacenti perché alla fine sarebbe arrivato il paradiso? Erano tutte lolite o ragazzine in mano a vessatrici e vessatori che del loro corpo ne facevano ciò che volevano? Come è possibile che una storiaccia del genere diventi modo di vita per decenni e per decine e decine di persone? E queste vestali-aguzzine che avevano subìto anche loro da ragazzine, perché passano anche le loro figlie? Domande, domande, domande… Interrogativi dolorosi che nessuna spiegazione potrà alleviare.


Storie di sudditanza psicologica

“Inconsapevole” responsabilità Pina Ferraro Fazio Tutti sapevano e vedevano perché agli incontri tantissimi erano le persone che partecipavano e prostravano innanzi al loro “DIO”, riservandole una devozione fuori luogo. Lui, abusava delle ragazzine, ma chi sapeva ed aveva interessi stava zitto perché il mostro creava importanti carriere politiche (Mimmo Rotella, Daniele Capuana…), gestiva un bel pacchetto di voti, prestava denaro. Faceva “favori”. Impressiona il coinvolgimento sessuale delle ragazzine, tante, di alcune mamme complici e carnefici, ma non era solo questo. Dentro la preghiera di gruppo oltre al paradiso, c’erano interessi legati al potere, agli affari e all’usura. La storia del mostro CAPUANA – oggi in galera – raccontata da una testimone estranea al giro che da adolescente aveva percepito, ma che non ha avuto il tempo di denunziare perché distratta dai problemi famigliari, dalla sua nuova vita, dalla sua nuova professione e dalla lontananza. Tantissimi anni addietro, nella mia prima vita – come spesso scherzando chiamo il mio precedente impegno lavorativo – mi sono ritrovata in tante – troppe — esperienze che solitamente si fanno in una intera vita da adulte. Ero quasi un’adolescente (ho cominciato a 16 anni a lavorare con mio padre, all’epoca presidente di un ente – Movimento Cristiano Lavoratori – che al suo interno comprendeva l’Ente Formazione e Addestramento Lavoratori in cui venni – mio malgrado — chiamata a divenire una donna adulta e ad assumermi responsabilità di un certo spessore). Come tutti i siciliani e le siciliane sanno bene, la formazione professionale in Sicilia è sempre stata un terreno fertile per le compagine politiche di ogni schieramento e un fantastico bacino elettorale (ne sapevo quasi nulla di politica allora, ma ciò nonostante ne ho dovuta subire tanta, soprattutto di quella politica collusa, a volte, con quella cosa di cui non si vuole sentire parlare che è la mafia). Mio padre, un uomo di grandi ideali e molto onesto (connubio quasi impossibile in politica), da uomo che si era fatto da solo (veniva dall’entroterra siciliano e ha iniziato a lavorare spaccando pietre a Misterbianco…), era diventato un fervente e attivo sindacalista e subito dopo un uomo politico, ricoprendo ruoli importanti nel corso della sua vita. Ruoli che ha dovuto sempre abbandonare perché odiava gli inciuci e mal sopportava le strade che si è spesso costretti a percorrere quando decidi di offrirti alla collettività… In questo percorso anche io, con riluttanza e sofferenza, ero presente. Successe, ad un certo punto che qualcuno – che si sentiva più forte, più politicamente supportato e, perché no, “chiù spettu” di mio padre (siamo all’interno della segreteria particolare di Rino Nicolosi divenuto, all’epoca, Presidente della Regione), inizia un’azione distruttiva dall’interno, mettendo in atto quei meccanismi “simil mafiosi” perché mio padre si mettesse da parte e consegnasse a questo essere innominabile il tesoretto che mio padre ed io avevamo messo in piedi (un ente di formazione che da piccolo e insignificante nell’arco di un paio di anni era diventato grande e con tanti corsi – quindi allettante politicamente e economicamente… sappiamo tutti e tutte il denaro che circolava a quei tempi, le modalità di assunzione e la gestione…). Casablanca 6


Storie di sudditanza psicologica Mio padre, che in tutta questa disgrazia soffrì la perdita della madre, smise dopo poco di lottare per salvaguardare l’ente e le persone che vi lavoravano, nel tentativo di proteggere quel luogo che era stato avviato e cresciuto come una famiglia dove, però, la serpe in seno che si era messo dentro casa, ebbe tutto il campo libero per distruggere mio padre e ciò che aveva creato. I tanti amici che negli anni percorrevano lo “stradello” negli uffici dell’Efal e dell’MCL per chiedere favori, assunzioni, voti, sparirono d’incanto e la possibilità di dialogare con il suo amico — prima di tutto — e poi Presidente della Regione Rino Nicolosi, divenne impossibile per mio padre (scoprimmo successivamente che lo stesso soggetto che si voleva impadronire di tutto, aveva creato un muro di menzogne e ometteva sistematicamente di informare il presidente della richiesta di incontri che mio padre inviava alla segreteria politica del presidente). Successe, così, che in poco tempo sprofondammo nella disperazione più totale e le azioni di distruzione divennero sempre più incisive e forti (controlli degli enti territoriali per oltre 15 giorni di seguito nella ricerca di non si sa quale errore o misfatto nella gestione – controlli che non fecero emergere nessuna irregolarità…). Fu in questo bailamme di eventi spiacevoli che qualcuno, purtroppo non ricordo chi, convinse mio padre a rivolgersi a Piero Capuana (successivamente conosciuto come l’arcangelo). Un pomeriggio di primavera mio padre, credo nel 1986, io e un signore “AMICO” che fece da tramite, andammo a Motta S. Anastasia, in questo enorme palazzone con tanto verde intorno e un cancello presidiato sempre da qualcuno. Una situazione che si

ero già donna di sinistra…), dove si viveva tutte insieme con gioia e supportandosi a vicenda (senza saperlo ero già un’assistente sociale…).

leggera nausea che non riuscivo a spiegarmi – e ci disse di aspettare l’Arcangelo Gabriele che era ancora a letto per il consueto riposino…

Trovammo al cancello di ingresso un uomo – credo si trattasse di

presentò ai miei occhi, quasi surreale.

quel Mimmo Rotella poi divenuto uomo di spicco della politica siciliana – che ci condusse direttamente nell’appartamento al secondo piano di Piero Capuana. Ci fecero sedere in un grande salone con un divano enorme – ricordo la sensazione strana che sentivo mista ad un senso di

Dopo poco si aprì una porta ed entrò questo signore con due ragazze che lo accompagnavano (questa visione mi fu subito insopportabile; mi sembrava di stare dentro un film; l’aria era rarefatta e ogni cosa inspiegabile). Lui, l’Arcangelo, all’epoca, era enorme fisicamente e faceva veramente impressione. Anche per questo era sorretto sempre da qualcuno/a. Accanto a lui l’inseparabile e fedelissimo Mimmo, che mostrava una riverenza e un atteggiamento di assoluta sottomissione (situazione anche questa irreale per me), che vidi sempre nel breve periodo in cui frequentai queste persone.

Nonostante fossi diventata adulta per necessità, conservavo per fortuna una ingenua adolescenza, che mi fece pensare in quel momento che eravamo arrivate in una sorte di comune (senza saperlo

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Comunque, l’Arcangelo si presentò a mio padre e iniziò a parlare dicendo che conosceva i dettagli della sua situazione


Storie di sudditanza psicologica problematica a livello politico e nella gestione dell’EFAL e, visto che chi ci aveva portato era persona di sua estrema fiducia, si dichiarò subito a favore di una risoluzione della questione, mettendo in campo tutte le sua amicizie e le sue influenze politiche, non risparmiandoci l’elenco delle persone che aveva sostenuto e le modalità con cui decideva della politica provinciale (scoprii così del gruppo religiosocarismatico (!) che lo stesso guidava e che tale gruppo contava circa 2000 mila persone e, quindi, 2000 voti). Entrò subito nella questione e dichiarò che avrebbe “spostato” a dovere questi voti per dare fastidio e rovinare chi stava creando problemi a mio padre e all’ente di formazione (non saprò mai se l’assunzione di Giusy – sua moglie – fu il prezzo che mio padre dovette pagare per tale “consulenza”, dato che mio padre non c’è più e di quella esperienza rimase sconvolto quanto me tant’è che pochi mesi dopo lasciò perdere tutto e si ritirò a vita comune, senza più volerne sapere di politica, di sindacato o di altro… ). Per la cronaca mio padre negli anni a venire fu cercato da tantissime persone, molte delle quali gli chiesero scusa e perdono per avergli voltato le spalle e creato montagne di falsità sul suo conto. A quegli incontri ne seguirono altri ed io ogni volta mi rendevo sempre più conto che c’era qualcosa che non andava in quel gruppo. Giusy, la moglie dell’Arcangelo, che conobbi e frequentai un po’, mi apparse subito una vittima e una donna infelice (ero già dentro il fenomeno della violenza di genere contro le donne senza saperlo…). Era sempre accompagnata da un fedelissimo dell’Arcangelo Gabriele e non aveva libertà di

muoversi autonomamente (almeno questo appariva e traspariva dalle sue conversazioni). Di fatto, dal mio punto di vista, erano separati in casa; ma lei non poteva lasciare quell’abitazione e doveva continuare ad essere la moglie di chi, però, pare avesse una vita parallela devota alla comunità “religiosa”. LE VITTIME DI VIOLENZA Come tante altre donne vittime di violenza nelle relazioni di intimità, anche lei ritengo abbia avuto difficoltà a tirarsi fuori dalla relazione di coppia. Le donne, vittime di violenza nella relazione di coppia, non riescono a vedere il proprio stato psicofisico in relazione al maltrattamento. La difficoltà a rompere la situazione, la stanchezza cronica non fanno pensare che le violenze subite e ripetute nel tempo, insieme alla tensione costante prodotta della paura, possano essere una buona ragione per sentirsi completamente prive di energia e di iniziativa e pertanto si va alla ricerca di qualcosa che non funziona dentro se stesse. Subire violenza costituisce un trauma i cui effetti psicofisici sono stati analizzati e sintetizzati in quella che è stata definita come la “sindrome post traumatica” da stress. Oltre al fatto che questa donna, come le altre donne del gruppo pseudoreligioso, subivano un controllo serrato dal gruppo di uomini fedelissimi del capo “Arcangelo”. Nell’analisi dei fatti e nelle responsabilità che si riversano sulle donne presenti nella storia in questione, si tratta, quindi, di analizzare la vicenda attraverso la lettura della costante violenza psicologica a cui queste donne sono state sottomesse. La violenza psicologica nelle Casablanca 8

relazioni affettive è sicuramente una delle tante forme di maltrattamento che vengono vissute nel privato delle mura domestiche. Essa si concretizza in comportamenti e molestie psicofisiche che portano la vittima a smarrire gradatamente l'autostima. Tali comportamenti sono deputati solo per sminuire l'altra e distruggerne, così, la sua personalità. Tali “attentati psicologici” giorno dopo giorno creano un clima fortemente destabilizzante, attuando un processo di distruzione psicologica. Questa forma di violenza stenta ad essere riconosciuta in tutti i contesti e, spessissimo, anche nelle aule dei tribunali. Così come tutte le donne che hanno dovuto subire gli abusi e che hanno percorso questa strada dell’essere le amate di turno e, quindi, le privilegiate. In quel tempo, ricordo che qualcuno di questi personaggi chiese a mio padre di far partecipare noi figlie (faccio parte di una famiglia numerosa) agli incontri di preghiera, onde far parte del famoso gruppo. Così qualche volta ci ritrovammo, io e mia sorella più piccola di me, ad andare. Nonostante non abbia mai visto personalmente fatti oggetto di indagini della magistratura, che in realtà erano nell’aria (col senno di poi…), alcune situazioni ci creavano fastidio, soprattutto l’insistenza di far partecipare mia sorella al gruppo ristretto. Purtroppo il periodo a seguire per la mia famiglia fu segnato da tante difficoltà e sofferenze, legate al vissuto di mio padre che vide crollare anni e anni di sacrifici e di onesta attività, rimettendoci salute e anche denaro. Io, infatti, cominciai ad assumere decisioni di


Storie di sudditanza psicologica cambiamento radicale della mia vita professionale che, per fortuna, subito mi diede la grande soddisfazione di superare il mio primo concorso pubblico ed entrare tra il personale della Pubblica Amministrazione, buttandomi dietro le spalle tutto lo schifo che ero stata costretta a subire nell’ultimo anno di lavoro per l’EFAL. L’APOSTOLATO DI MIMMO In quei mesi di pseudo amicizia con la famiglia Capuana (capitò qualche volta di incontrare Giusy e i figli per una passeggiata o una visita a casa, oltre a vederla in ufficio all’Efal). Un pomeriggio che ero andata a Motta per motivi personali, pensai di passare a fare un saluto a Giusy e, così, mi recai a casa loro. Stranamente trovai il portone aperto e senza nessuno in giro nell’immenso prato all’inglese che separava il cancello dall’ingresso nel palazzo, così entrai e sentendo delle voci mi recai nella parte posteriore del palazzo dove sapevo esserci un altro grande prato all’inglese dove spesso si svolgevano incontri all’aperto. Appena giunta vidi tante persone sdraiate a terra (era estate) che chiacchieravano o scherzavano e lui – “l’Arcangelo” sdraiato sul prato con tante ragazzine attorno a lui, alcune proprio addosso. Ma fu più veloce del mio racconto il tempo per cui il famoso controllore/fedelissimo Mimmo, con fare gentile ma deciso, mi prese per un braccio e mi porto velocemente via da lì, chiedendomi da dove ero entrata e come mai mi trovavo lì senza aver avvisato nessuno. Nel contempo mi trascinava, delicatamente a modo suo, nelle scale per accompagnarmi da Giusy che era a casa propria. Anche se avevo rimosso tutto,

questa, altre scene e situazioni sono riemerse con tutta la loro forza e chiarezza, facendo anche emergere il senso di nausea che mi accompagnò per tutta la durata di quella visita. Il famoso Mimmo Rotella, ai miei occhi, era sempre apparso come un sempliciotto (ricordo che a stento parlava un corretto italiano in quel periodo) e mi lasciava sempre una sensazione poco piacevole per la sua modalità estremamente sottomessa al Capuana e per i modi viscidi che la sua vicinanza mi trasmetteva. Forse, avrei potuto raccontare a qualcuno le mie sensazioni e ciò che avevo visto, a qualcuno che poteva indagare. Anche se tutti sapevamo e vedevamo perché agli incontri tantissimi erano le persone che partecipavano e prostravano innanzi al loro “DIO”, riservandole una devozione per me fuori luogo. Tanti i racconti di persone che erano stati “fregati” dalla setta (anche persone di indubbia serietà). Tuttavia, come prima accennato, l’aver superato un concorso e l’aver staccato totalmente con questa prima vita, mi ha portato a rimuovere tutto e ad allontanarmi da tutto quelle situazioni che mi avevano eccessivamente schifato e fatto vedere cose che a volte ho visto in alcuni film. Mi chiedevo allora e mi sono sempre chiesta: perché nessuno ha denunciato prima? Forse perché tanti sono stati i politici che dovevano e devono dire grazie a “quello spostamento di voti”, di cui avevo sentito parlare durante quel famoso incontro, a cui ne seguirono alcuni altri. Forse perché l’Arcangelo, negli anni, ha dato vita a personaggi Casablanca 9

politici che altrimenti non sarebbe mai apparsi nel panorama pubblico e, forse, gli intrecci tra politica e quel settore poco pulito degli affari pubblici, hanno stretto rapporti e collaborazioni per cui, “lui, l’arcangelo, il Dio, colui che tutto può, il grande benefattore” (credo sia noto anche la sua indubbia fama di strozzino), aprendo bocca avrebbe potuto far venire fuori i mali del mondo – come il vaso di Pandora – e, quindi, tutti buoni e zitti a soddisfare anche le più schifose voglie dell’essere immondo che, in questi ultimi 30 anni e forse più, ha distrutto la vita di tante ragazzine, oggi donne, segnandone per sempre la vita. TUTTO PER IL POTERE Allora mi viene da sottolineare in questa faccenda che, piuttosto che sconvolgerci perché delle mamme hanno lasciato che il pedofilo abusasse delle proprie figlie, spostando sempre il problema sulla presunta responsabilità di noi donne in tema di violenza e maltrattamenti, sarebbe più onesto e corretto cercare di capire perché tanti uomini (perché sono più gli uomini i responsabili di questa intera vicenda), hanno “venduto” moglie e figlie pur di fare carriera e di raggiungere un loro personale obiettivo di potere, addirittura abdicando al loro tradizionale e prioritario ruolo di “protettori delle proprie donne”. Ritengo, quindi, che se vogliamo comprendere bene la faccenda, dovremmo affrontarla dal giusto punto di vista e partire dalla radici storiche e culturali della violenza contro le donne per cui, ancora oggi, quando emergono fatti di abusi e violenze sulle donne, si sposta l’attenzione sulla nostra responsabilità (con ciò chiaramente non intendo dire che non ne abbiamo ma sono altre le analisi da fare), riportando in auge la colpa ancestrale, che mai ci


Storie di sudditanza psicologica abbandonerà, quella di Eva. Ritengo che non dobbiamo dimenticare il ruolo di tanti uomini in questa vicenda, come dicevo prima. Che dire di Mimmo Rotella che nei miei ricordi di oltre 30 anni fa è un giovane poco istruito, che non apre bocca se non glielo dice “l’arcangelo” e che lascia che la moglie sia tra le più strette collaboratrici del santone, oltre che, a quanto pare, anche tra le sue più intime compagne … Quel Rotella che abbiamo visto scalare, velocemente, la strada del successo politico arrivando a vette inimmaginabili per qualsiasi essere umano che decide di impegnarsi in politica. E come lui il figlio di Capuana, Daniele che irrompe nel panorama provinciale come un fulmine a ciel sereno, occupando spazi che nessuno avrebbe potuto occupare, se non supportato da pacchetti di voti gestibili dal santone. Ho avuto modo di essere presente ad uno di questi incontri simil politici, dove l’arcangelo interveniva e dava “indicazioni di voto”. Erano solito vantarsi di tale capacità l’Arcangelo Gabriele, di come con estrema semplicità poteva muovere numeri significativi di voti e, quindi, influenzare e tenere in pugno chiunque. Possibile che nessuno si è mai chiesto o abbia mai voluto approfondire come mai uomini politici vicino a questo “santone” emergevano con tanta facilità nel panorama politico provinciale e regionale? Possibile che chi frequentava regolarmente quei gruppi non aveva chiaro cosa avveniva là dentro? A me è bastato qualche incontro, circa 30 anni fa per percepire sensazione di nausea e vomito, nel contatto con questi soggetti. Ciò che ancora una volta mi duole

è non aver capito tale sporco meccanismo e aver pensato che erano solo pensieri brutti i miei e che non mi dovevo immischiare. Come potevo del resto, ero pressoché una ragazzina, che non aveva avuto mai contatti con la politica, né aveva minimamente in mente cosa fosse la gestione di “quella politica”; una ingenua ragazzina che aveva avuto come esempio un padre irreprensibile e onesto che le trasmetteva valori che poco si incontravano con quello che vedevo. IL RUOLO DELLE DONNE? Oggi finalmente la magistratura sta facendo quello che si sarebbe dovuto fare fin da subito. Quello che gli uomini che si avvicinavano a lui per servirlo e per chiedere favori, se avessero avuto la dignità che necessita, avrebbero dovuto fermare gli abusi e l’attività schifosa di colui che si sentiva DIO e padrone di tutti e di tutte, di chi per brama di potere non ha risparmiato le peggiori torture e violenze ad un numero enorme di donne e, forse, anche di uomini. Sul ruolo delle donne direi che dovremmo affrontare il problema partendo da quei pilastri che da oltre duemila anni fomentano e rendono viva la violenza di genere contro le donne, oltre a comprendere che l’intera questione rimanda, in maniera, inequivocabile, al plagio tipico delle sette religiose, dove persone in difficoltà o con seri disagi si Casablanca 10

affidano al “santone” di turno, per risolvere questioni che dovrebbero risolvere diversamente. Dovremmo poi ricordare a noi stesse e a chi si interroga e punta il dito solo su quelle madri che hanno dato in pasto le loro figlie, che la storia di noi donne è una storia millenaria di sottomissioni e di “pacifica” constatazione che noi intanto esistiamo in quanto c’è un uomo che ci dice che possiamo farlo! Se non partiamo dalla radice culturale della violenza di genere contro le donne e sui pilastri che la mantengono in vita, non solo forniremo a noi stesse una inesatta interpretazione dei fatti, ma contribuiremo a rafforzare l’uso della violenza contro di noi, giustificandola ancora una volta secondo una errata interpretazione. Le violenze subite dalle donne sono infatti, da ricondurre alla complessa relazione tra i sessi, segnata da dinamiche di prevaricazione, di dominio e di negazione della diversità. La violenza di genere assume aspetti peculiari, perché è storicamente intrecciata con il ruolo subordinato assunto dalle donne nella famiglia e nella società e con il potere riconosciuto al maschio di disporre liberamente del corpo femminile. In realtà, la questione delle relazioni di genere appare ancora dominata da una non risolta ambiguità tra disuguaglianza e differenza, che affonda le sue radici in un processo di


Storie di sudditanza psicologica modernizzazione che ha largamente sottratto la sfera dei rapporti privati ai principi di uguaglianza, libertà personale ed autodeterminazione che sono fondanti della nostra civiltà. La differenza di genere, così come è stata costruita storicamente, ha implicato non solo un accesso disuguale alle risorse socialmente significative, ma ha continuato ad includere la dipendenza personale delle donne e il controllo del loro corpo. I legami di solidarietà, affettività e attrazione sessuale tra i due sessi sono pertanto ancora inestricabilmente connessi con legami di sfruttamento e di dominio, da cui sarà possibile uscire solo rifondando su basi diverse l’intera organizzazione sociale. Il dominio dell'ideologia familiare, sia all'interno che all'esterno delle mura domestiche, inchioda le donne al ruolo di mogli e madri e ne ostacola l'accesso a ruoli non tradizionali.

LA SPERANZA Tale ideologia espone le donne alla violenza, sia all'interno che all'esterno della famiglia, perpetuandone la condizione di dipendenza dagli altri, in particolare nel caso delle donne carenti di risorse e di ambienti poveri, ed espone le donne che non si attengono o non si adeguano ai ruoli sessuali tradizionali a subire crimini fondati contemporaneamente sulla cultura dell'odio e sui pregiudizi di genere. Questo tipo di demonizzazione alimenta e legittima la violenza contro le donne.

potrebbero sfuggire al proprio aguzzino ma non lo fanno, si dovrebbe rivedere il nostro giudizio alla luce del fatto che, in tal modo si sottovaluta l’importanza della pressione psicologica che paralizza le donne, impedendo loro di capire che cosa stanno vivendo e di reagire. Dal momento che, storicamente, l’uomo è sempre stato considerato l’unico titolare del potere e che la donna è sempre stata esclusa, questo ha condizionato il nostro modo di pensare fin dalla tenere età: “E’ così perché è sempre stato così!” Quest’immagine sociale, condivisa dalla collettività, mantiene vivi gli stereotipi di genere a dispetto dell’evoluzione dei costumi. Le donne hanno imparato ad impersonare il ruolo che è stato loro assegnato, anche se sminuente; e, nello stesso modo, si continua ad addossare a noi donne la responsabilità delle violenze che subiamo. L’uso della violenza contro le donne, inoltre, è costituita da un mix di comportamenti coercitivi che hanno un comune denominatore: ridurre/danneggiare le capacità di autodeterminazione e la libertà espressiva del sé e dell’identità personale. All’interno della violenza nella relazione affettiva e, in questo

Quindi, forse quando ci si stupisce della passività delle donne che Casablanca 11

caso, anche di fede religiosa, si stabilisce un controllo totalitario sulla vittima, tale da indurla ad una forte dipendenza psicologica e ad uno stato di sottomissione nei confronti del maltrattante/santone: qualcuna l’ha paragonata alle torture. Non dimentichiamo che nelle situazioni di violenza nelle relazioni affettive il maltrattante è la persona amata (sia esso marito, fidanzato, o santone come in questo caso), che la vittima ha in qualche modo scelto come compagno di vita, come padre dei propri figli o come esempio di vita come nel caso dell’arcangelo. Questo rende molto complesso e difficile un moto di ribellione anche per le conseguenze sulla propria autostima, costantemente lesa e distrutta. Quindi, in conclusione, spero che la magistratura segua con particolare attenzione l’intera vicenda e che le vittime possano almeno sperare in una giustizia vera e determinata, anche se le ferite rimarranno nitide e saranno fonte di continua sofferenza. Spero che noi donne sappiamo trovare la strada per supportarci realmente nell’eliminazione di ogni luogo comune e stereotipi di genere, che mantiene viva la violenza che siamo costrette ancora a subire e spero, infine, che gli uomini e le donne che sanno bene cosa succedeva all’interno di quel circolo infernale di questa setta, trovino il coraggio di raccontare tutto e porre fine ad ogni sofferenza, per ristabilire la legalità e restituire dignità a tutte le donne e le ragazze violate.


Storie di sudditanza psicologica

Sette e violenza contro le donne Daniela Catania – psicologa La natura delle sette religiose dal punto di vista delle matrici ideologiche e religiose, i meccanismi psicologici alla base della manipolazione mentale. La donna vittima di violenza e l’uomo maltrattante. Le dinamiche psicologiche che caratterizzano la violenza contro la donna, i meccanismi alla base delle violenze sui minori… L’obbedienza, la sottomissione, la manipolazione della colpa… di essere donna o bambina? Cosa c’è da capire, da spiegare, da cambiare. Nel considerare e commentare i fatti di cronaca relativi al caso dell’"Arcangelo Gabriele”, l’aspetto che più di ogni altro colpisce la nostra sensibilità di donne e di madri, lasciandoci attonite, è la complicità di alcune madri, adepte dell’organizzazione, con il santone criminale e il loro coinvolgimento nell’abuso delle figlie.

anche intra-generazionale. Obiettivo di questa analisi è, in primo luogo, esaminare le cause culturali dell’abuso sessuale su bambine, bambini e adolescenti perpetrato nelle sette o gruppi di altra denominazione. In tali movimenti, spesso di carattere religioso, gli abusi sessuali

Lo stereotipo, in base al quale la donna non può essere coinvolta negli abusi di minori, contrasta con alcuni casi di cronaca di violenza domestica ma, soprattutto, testimonia che l’approccio esplicativo, con cui ancora oggi affrontiamo il problema, è intriso di luoghi comuni e stereotipi sulla violenza contro la donna e ignora le dinamiche che permettono all’abuso di estendersi a livello intergenerazionale o

perpetrati da santoni e pedofili su bambine/i trovano fondamento su una serie di ideologie che vanno dal patriarcato scritturale occidentale all’incesto; dalle spose bambine alla poligamia; dal millenarismo all’antinomismo; dal sesso come mezzo di salvezza, al livellamento di tutte le sue forme. L’abuso viene ancorato a giustificazioni a base teologica e sotto le direttive dei leader, gli adepti di questi gruppi legittimano lo sfruttamento sessuale ricevendo l’impressione che sia normato e supportato a livello divino. Patriarcati ammantati di religiosità portano allo sfruttamento sessuale delle donne e delle/degli adolescenti (efebofilia). Ma il ricorso a tali ideologie può spiegarci i casi di seguaci femminili adulte che favoriscono le

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Storie di sudditanza psicologica devianze sessuali di un predicatore nei riguardi di giovani ragazze. Conformemente ad altri scenari sociali e culturali che vedono donne più anziane, anche madri, favorire l’abuso sessuale delle donne più giovani, l’abuso delle figlie-bambine è ben conosciuto nella letteratura. Esempi di queste “delinquenti coartate dal maschio” ci indicano quale sia il tremendo potere che ha una religione patriarcale sulla gente, e ci fa vedere come i sistemi abusanti del patriarcato religioso possano istigare le donne a diventare partecipanti attive. Dalle ricostruzioni di casi del genere, le donne che arrivano a favorire gli abusi sessuali sono state a loro volta plagiate e annichilite, per anni sono state isolate dal mondo esterno e indottrinate nel credere che la loro unica speranza di salvezza sia la totale sottomissione. In realtà, sono tanti gli esempi di donne che favoriscono il patriarcato ma spesso sono “in partenariato con qualcuno”, visto come potente perpetuatore maschio, sia esso capo della congregazione invece che marito o partner. Egli acquisisce forza su di loro attraverso vere e proprie minacce di punizioni fisiche in risposta al dissenso o alla disobbedienza, e il coinvolgimento in abusi sessuali può addirittura essere un modo per ottenere il controllo di donne in situazioni di debolezza. REATO? MANIPOLAZIONE MENTALE Per capire in che modo alcune figure patriarcali religiose favoriscono l’abuso di donne e bambini nella società secolare, dobbiamo sapere, come spiega la psichiatra Judith Herman, che “la struttura patriarcale della

famiglia assicura ai padri immenso potere sulle loro mogli e i loro figli. Tradizionalmente, questi poteri includono un diritto illimitato del controllo fisico, illimitati diritti sessuali con le mogli (quindi lo stupro non ha alcuna implicazione legale all’interno del matrimonio) e sui propri figli… I soli diritti sessuali dei figli che i padri non hanno, in qualsiasi tipo di società, è quello del loro uso personale. Ma con tutti gli altri poteri un padre può facilmente scegliere di estendere queste sue prerogative includendo l’iniziazione sessuale dei suoi figli.” Pertanto l’organizzazione della famiglia patriarcale, non consente alle donne la consapevolezza degli abusi o la possibilità di protestare, conferendo all’uomo un “super potere” che li mette al riparo da tentativi dalle critiche delle loro mogli e dei loro figli.

il millenarismo, la credenza di alcuni Cristiani, sulla base del Libro dell’Apocalisse, che prevedono la seconda venuta di Cristo e lo scontro con le forze del male dell’Anticristo. Ancora oggi, per coloro che vi aderiscono possono esserci terribili conseguenze economiche ed emozionali, in quanto lasciano il lavoro, le loro case, e i loro risparmi nell’attesa ansiosa della “fine". È frequente l’abolizione della moralità convenzionale, i credenti si rivendicano “prescelti” e si pongono al di sopra delle leggi della società (tra cui vi sono le proibizioni sessuali) e quindi bambine e bambini e adolescenti diventano le loro prede. A ciò, a volte, si collega un senso collettivo di antinomismo, il rifiuto della moralità costituita, in quanto leader e seguaci rivendicano il fatto che la loro illuminazione li pone “al di là del bene e del male”.

A conferma delle matrici religiose e ideologiche delle sette che praticano abusi sessuali, troviamo che, tra le pratiche del patriarcato, quella delle spose bambine nella poligamia, è presente tra le figure classiche presentate nella Bibbia Ebraica/Vecchio Testamento. La moglie di Abramo, Sarai, concesse la sua serva Hagar a suo marito dopo aver fallito il concepimento (Genesi 16:3); Il figlio sfavorito di Isacco, Esaù, ebbe numerose mogli (Genesi 28:9), il Re Davide ebbe numerose mogli, e quando diventò vecchio dormì con “una giovane serva”. Nel contesto occidentale, i poligami praticanti più conosciuti rimangono i Mormoni fondamentalisti che abbassarono l’età delle loro nuove mogli, innescando a tal scopo una vera e propria competizione tra loro.

In Italia la realtà delle sette religiose è sempre più inquietante. Organizzazioni occulte, guidate da santoni e guru perpetrano abusi e violenze di ogni tipo ma quasi sempre rimangono impuniti. Lo Stato sembra assente tanto che in Italia non esiste un reato di manipolazione mentale. Tuttavia, in un recente rapporto del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, inviato alla Commissione Affari Costituzionali della Camera, si delinea come tali gruppi, definiti “psico-sette” o “autoreligioni”, agiscano con metodi altamente aggressivi e che “nella fase di proselitismo e in quella di indottrinamento tali gruppi usano sistemi scientifici studiati per aggirare le difese psichiche delle persone irretite, inducendole ad atteggiamenti acritici e obbedienza cieca”. Il rapporto sottolinea come l’azione penale contro questo tipo di organizzazioni sia limitata dal

Un’altra ideologia religiosa che ha favorito o santificato la pedofilia è Casablanca 13


Storie di sudditanza psicologica vuoto normativo del nostro ordinamento: non esiste ancora il reato di “aggressione alla libertà” psichica e non è più previsto quello di plagio. AGGRESSIONE ALLA LIBERTÀ PSICHICA Di grande importanza per comprendere fenomeni come quello dell’Arcangelo Gabriele, è individuare le dinamiche che portano alla creazione dell’identità settaria. Le sette manipolano in modo significativo gli elementi che formano l’identità individuale; il controllo mentale, che si manifesta a livello di comportamento, pensieri ed emozioni, dissocia la persona dalla sua identità autentica rendendola dipendente dal gruppo. La salute mentale dell’adepto è fortemente compromessa, infatti il controllo mentale settario scompone gli elementi della psiche individuale in un’altra personalità distinta fino a mostrare la sintomatologia classica di un “disordine dissociativo” (DSM IV). Diversamente a quanto si pensi non esiste un “profilo psicologico” che caratterizzi i membri di tali sette. Pertanto il reclutamento dei membri sarà efficace se concorrono diversi fattori: convinzioni ed atteggiamenti precedenti, strategia di persuasione, variabili sociali ed ambientali, particolari bisogni dell’individuo in quel preciso momento. Vengono utilizzate vere e proprie tecniche psicologiche, come ad esempio l’ipnosi di massa, che favorisce l’estasi e l’obbedienza, attraverso forme di preghiera, ripetizione di frasi ritualistiche o mantra. Per mantenere la vittima in uno stato di sottomissione è utilizzata la manipolazione della colpa. Tale tecnica è funzionale al controllo mentale e porta a far

credere ai membri del gruppo che la loro insoddisfazione sia dovuta al proprio modo di agire. Similmente a quanto avviene in altre forme di violenza (mobbing), gli viene fatto credere che sia lei/lui stessa/o ad essere responsabile delle proprie difficoltà. Il processo di colpevolizzazione è un circolo vizioso, che a volte trova l’unica via d’uscita nel suicidio. Il settarismo utilizza quindi la manipolazione mentale finalizzata al controllo distruttivo e l’annullamento della volontà. Per manipolazione mentale intendiamo una relazione basata su dinamiche di potere in cui uno o più soggetti, attraverso tecniche di suggestione psicologica, riesce a soggiogare la volontà di altri individui strutturando nella vittima una dipendenza patologica che porta all’annullamento della identità della vittima e alla sua strumentalizzazione. L’abuso psicologico, attraverso la manipolazione mentale e il meccanismo della colpa, sono anche le dinamiche psicologiche di base su cui si fonda la violenza contro le donne, com’è noto, è preludio di quella fisica. Nell’ambito della violenza domestica sono sempre più le donne coniugate che denunciano esperienze lunghe di abusi, vessazioni, lesioni ai propri diritti, dirette o indirette. Nelle relazioni di coppia è possibile ritrovare dinamiche in cui il partner costringe la donna in uno stato di totale dipendenza, anche economica, isolandola da amici e parenti specialmente se avanzano critiche alla relazione. Il partner utilizza qualunque pretesto per maltrattarla e l’accusa di essere responsabile di tutto ciò che non va nella loro convivenza e di non essere mai abbastanza Casablanca 14

compiacente con il proprio partner. L’autostima della donna, sempre più precaria, la porta a credere di non poter sopravvivere senza il proprio uomo. La violenza psicologica, in quanto priva di effetti visibili è particolarmente insidiosa e rappresenta una delle più potenti forme distruttive di controllo dell’altro e di esercizio del potere. La violenza contro la donna è sempre un modo per sottolinearne l’inferiorità, e la mancanza di rispetto mira a lederne l’integrità, fino a farle perdere la coscienza del proprio valore. Le vittime di questa forma di violenza non sono solo le donne, ma bambine e bambini, e anche uomini. “MOSTRI”, “STRANIERI” , “DIVERSAMENTE ALTRI” Combattere la violenza contro le donne, riconoscendone le radici sociali, e quindi culturali, consente di riconoscere la discriminazione perpetuata in base ai modelli sociali e ruoli di genere rispondente a logiche di potere asimmetriche. Questi messaggi interiorizzati e dati per scontati, agiscono a prescindere dalle nostre intenzioni e dalla nostra buona volontà. E’ importante dunque avere consapevolezza di tutto ciò che nella nostra cultura giustifica l’uso della violenza nelle relazioni interpersonali, riconoscendo il legame fra disparità di potere ed esercizio di violenza, che a sua volta mantiene e rafforza questa disparità. Occorre dunque per promuovere cambiamenti profondi di mentalità, mirare all’educazione e alla sensibilizzazione di tutti i membri della società al fine di eliminare pregiudizi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della


Storie di sudditanza psicologica donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini. Il discorso mediatico che attualmente si sviluppa intorno agli episodi di femminicidio porta in primo piano la dimensione dello scandalo e dell’indignazione. La violenza viene trattata come fenomeno eccezionale, anziché riconoscerne la dimensione strutturale nelle relazioni di genere, generando panico morale e ed evidenziando la logica

dell’emergenza. Tutto ciò avviene innanzitutto attraverso il linguaggio: enfatizzando femminicidi e stupri, esso tende ad escludere dalla consapevolezza tutte le altre forme di violenza maschile sulle donne. Inoltre gli autori dei delitti nella narrazione mediatica sembrano essere “mostri” o “stranieri” o, comunque, “diversamente altri”. Anche le diverse campagne informative tendono a proporre una netta linea di demarcazione tra buoni e cattivi, operando una semplificazione del tutto inadeguata a comprendere la complessità della relazione violenta all’interno di una coppia,

in cui, per un uomo, spesso l’amore per la propria compagna e per i propri figli convive con atteggiamenti violenti e di prevaricazione, insieme a una sensazione di fallimento dovuta all’incapacità di operare un cambiamento Indagando sulla percezione che gli uomini maltrattanti hanno intorno al tema della violenza maschile sulle donne è possibile raccogliere degli elementi utili per una

comunicazione mediatica che chiami in causa gli uomini invitandoli ad analizzare le comuni responsabilità culturali, sensibilizzandoli in quanto uomini, ovvero potenziali autori di maltrattamenti. Gli uomini che cominciano a frequentare centri per uomini maltrattanti sperimentano una pratica che gli consente di confrontarsi sulla loro esperienza della violenza, su ciò che provano a riguardo, riconoscendo il proprio comportamento come violento e assumendosene la responsabilità. Tale percorso personale è attraversato da sensazioni ambivalenti: da un lato un senso di Casablanca 15

maturazione, dall’altro il senso di colpa rafforzato dai processi di stigmatizzazione degli uomini violenti prodotti dai media. Emergono dunque i limiti maschili a riconoscersi vulnerabili e a mettere in crisi la propria identità di genere e il proprio concetto di sé, in una organizzazione sociale e culturale che gli riconosce una posizione dominante rispetto alle donne. Occorre che gli uomini, attraverso una comunicazione pubblica mediatica diversa, che li aiuti a sviluppare uno sguardo critico su di sé e sul maschile, inneschino un conflitto con se stessi, che può diventare ricerca di libertà e di senso per la propria vita. Una comunicazione che contrasti l’universo simbolico, che in realtà tutti condividiamo, e le radici profonde della violenza maschile contro le donne, presenti nel linguaggio e nelle nostre rappresentazioni sociali, ricordando che

«Il linguaggio forma il luogo delle tradizioni, delle abitudini mute del pensiero, dello spirito oscuro dei popoli, accumula una memoria fatale che non si conosce neppure in quanto memoria. Esprimendo i loro pensieri in parole di cui non sono padroni, situandoli in forme verbali le cui dimensioni storiche sfuggono loro, gli uomini sono convinti che il loro discorso si pieghi ai loro intenti, mentre ignorano di sottostare alle sue esigenze» (M. Foucault, Le parole e le cose).


Storie di sudditanza psicologica

“Se te ne vai Gesù ti Abbandona” Graziella Priulla Il Comune di Aci Bonaccorsi è uno dei “Comuni Virtuosi”. È un paesino pulito, pieno di fiori. Ai primi posti per la gestione dell’immondizia, celava una pattumiera molto puzzolente: una brutta storia di abusi sessuali che coinvolgeva decine di persone. Una setta “diabolica” con migliaia di adepti fra i quali alcuni politici. Ufficialmente una associazione culturale laica di ispirazione cattolica per molti – un gruppo di preghiera – guidata da un ex bancario (padre di un politico locale che ha preso tanti voti) che, secondo l'accusa, da 25 anni avrebbe violentato ragazzine di età compresa tra i 13 e 15 anni anche con la complicità delle madri delle vittime. Passate anche loro dalle mani dell’orco, santone Piero Alfio Capuana, oggi settantatreenne. Impotente. Tutto ciò in un piccolo paese era davvero invisibile? Una turpe storia di sudditanza esaminata dalla sociologa Completo controllo mentale e violenze su donne e bambini, all’interno di culti estremi: il mondo, avvolto dal silenzio e dall’omertà, delle sette religiose è un universo inquietante, fatto di vite distrutte e di abusi di ogni tipo (agli abusi economici si aggiungono quasi sempre quelli sessuali). In Europa da oltre dieci anni è stato dichiarato “urgente e preoccupante” il fenomeno di culti che esercitano un controllo psicologico e fisico sui loro adepti. Essi ne controllano il corpo, il cuore, la mente, il portafoglio. In Italia lo Stato preferisce non intervenire. I “santoni” e “guru” dell’occulto – dentro ogni setta c’è un capo indiscusso – rimangono regolarmente impuniti. Nonostante il fenomeno sia in evidente espansione (un recente studio del Codacons parla di un fatturato che è arrivato

nell’ultimo anno a oltre 8 miliardi, con 13 milioni di italiani nella rete), non abbiamo dei dati certi e ufficiali sul numero delle organizzazioni settarie presenti nel nostro territorio. Alcune sono innocue, altre no. L’unico Rapporto del Dipartimento di Pubblica Sicurezza (Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia) risale al 1998. Tutte le sette – sembra che in Italia siano più di 500 – cercano legami. E le maggiori riescono ad attrarre, con una vera e propria attività lobbistica, uomini politici che sanno di andare incontro ad un ricco bacino di voti. «Togliamoci dalla testa che ci caschino solo gli sprovveduti», dice Giuseppe Ferrari del Gris di Bologna, l'osservatorio anti-sette della Chiesa cattolica, sfogliando l'archivio delle segnalazioni: si leggono i nomi di avvocati, dirigenti, professori, persino Casablanca 16

magistrati. Hanno in comune solo la situazione di disagio psichico in cui si trovano. L'incapacità di ribellarsi sembra inverosimile solo a chi non ha toccato con mano l'infernale meccanismo della sudditanza psicologica. Ora nel catanese il fenomeno ci ha toccati da vicino, e per la prima volta ne sentiamo parlare anche tra la gente. Tre donne e un uomo sono stati arrestati ad Aci Bonaccorsi con l’accusa di atti di violenza sessuale commessi su minorenni all’interno di una congregazione nel corso di presunte «azioni mistiche spirituali aventi valenza religiosa». Orrore è il termine che torna con maggior frequenza nei titoli dei giornali. Incredulità e senso di impotenza è quanto si può provare leggendo le 47 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione Dodici


Storie di sudditanza psicologica apostoli. Le intercettazioni e i verbali delle vittime sono raccapriccianti. Il padre “spirituale” della congregazione religiosa Associazione Cattolica Cultura ed ambiente è un ultrasettantenne ex funzionario di banca, finito in manette insieme a tre “sacerdotesse” complici degli abusi. Le tre delinquenti «si occupavano stabilmente – scrivono gli inquirenti – di reclutare le minori da sottoporre alle pratiche pedofile, vincendone le resistenze; le convincevano che i rapporti con il capo della setta erano atti di “amore pulito”, “amore dall’alto”. Le complici del santone organizzavano

addirittura dei turni delle bambine presso l’abitazione dell’uomo, durante i quali oltre ad attendere alle sue necessità spicciole (lavarlo, vestirlo, pulire la sua abitazione) dovevano soddisfare le sue richieste sessuali, talvolta anche in gruppo». SE PARLI SARAI DANNATA! Secondo quanto emerso, questi abusi su ragazzine 13-14enni sarebbero andati avanti per venticinque anni. A volte erano le stesse madri plagiate a consegnare le figlie all’uomo e alla sua violenza: le vittime erano quasi sempre fragili, con storie complesse e famiglie disastrate alle spalle. Il

vecchio porco si qualificava come «l'intermediario per arrivare a Dio» e la violenza sessuale veniva contrabbandata come via mistica per elevare lo spirito, da non rivelare ad anima viva pena la dannazione eterna. In tante abbiamo reagito con un sovrappiù di indignazione e di dolore alle presenze di tante donne in questo mercato così turpe. Ma com’è possibile? Ci siamo dette. Credo che dobbiamo distinguere le responsabilità e le colpe, e innanzitutto inorridire di fronte all’immondizia umana delle

disgustose maitresse (è un mestiere antico, è denaro facile ottenuto attraverso il mercimonio di corpi). Dobbiamo poi domandarci: una comunità così numerosa (si parla di 5mila adepti) in un paese di 3500 abitanti era davvero invisibile? La polizia ha iniziato a indagare solo dopo la denuncia della madre di una quindicenne, che ha scoperto una chat all'interno della quale la figlia commentava gli abusi subìti. Dobbiamo sapere che è raro che qualcuno dal di dentro denunci, perché la setta innanzitutto convince l’adepto che l’anormalità è fuori, che la congrega rappresenta il Bene. Essa diventa un guscio rassicurante, protettivo. Crea una specie di realtà parallela, diversa da quella del resto del mondo. Casablanca 17

Ovviamente il plagio funziona se approfitta di personalità deboli, incapaci di decisioni autonome, facili da ridurre in stato di dipendenza, desiderose di ottenere l’approvazione del leader: si rivelano impotenti di fronte alla suggestione, tanto più accettata in quanto coperta dal velo della religiosità. « Se te ne vai Gesù ti abbandona ». Queste relazioni riproducono la coppia padrone-schiavo, in quel

processo psicologico che vede uomini e donne uniti in nodi di complicità perverse. La condivisione paradossale del punto di vista dell’aguzzino permette alla vittima di evitare il conflitto dato dalla dipendenza e dall’impossibilità di scappare, offre un adattamento che offre una specie di pace e sembra limitare la sofferenza del vivere. Questo ovviamente non giustifica: aiuta soltanto a capire. A riflettere anche sul fatto che dentro quella famiglia così spesso indiscriminatamente esaltata si possono nascondere nella completa solitudine grovigli infami, inferni invisibili in cui le figlie bambine sono le prime vittime sacrificali. Che una società evoluta non abbia mezzi prima per ascoltare i loro silenzi poi per difenderle, o che ne abbia soltanto post hoc, quando il peggio è ormai compiuto, a me pare terribile. Possiamo definirla responsabilità condivisa?


Acireale: “Cosa Nostra comanda?!”

Acireale: "Cosa Nostra comanda"?! Pina Palella Una città tranquilla. Forse troppo. Apparentemente. Loschi individui che bivaccano nei corridoi del comune. Buona parte della società civile sorda, muta, cieca. Un buontempone scrive su una parete della città «COSA NOSTRA COMANDA». Ma è vero? Come mai? Certamente la mafia è presente ed è ben radicata in città. È emerso che nel territorio acese c’è un nucleo consolidato da tempo tanto da avere una fitta rete di prestanomi ed attività consistenti. Riflessioni sulla città di Aci e Galatea il cui barocco famoso in tutto il mondo ammanta latitanti, pezzi da novanta, mafiosetti in erba, boss, vecchi o emergenti, nuovi adepti. Affari e appalti di servizi fra la Sicilia e il nord, compreso il tribunale di Milano. Acireale è una bella e ridente città, ha forme morbide ed opulente, è come una splendida dama del Settecento dalle vesti merlate e dai broccati splendenti, come il suo Barocco, che si affaccia sulla Timpa, una scarpata di 150 metri di altezza, di origine vulcanica, e percorsa dalle acque del fiume Aci il pastorello innamorato di Galatea che incorse nelle ire del mostruoso Polifemo. Il tema del mostruoso fa bella mostra di sé nei mascheroni dei palazzi settecenteschi come il Palazzo Musumeci particolarmente imponente ed ornato, in piazza S. Domenico. È proprio di fronte al palazzo Musumeci, in via Pennisi, campeggia ormai da anni una scritta «COSA NOSTRA COMANDA». La scritta, segnalata più volte e da più parti

alle varie amministrazioni, è lì in quella parete come un monito indelebile e di sfida a chiunque si trovi a passarle davanti, agli acesi ai turisti, agli amministratori che non sono riusciti(?) a farla cancellare perché, la scritta si trova in proprietà privata!!!! Ovviamente, un ignaro visitatore si chiederà se ad Acireale veramente la mafia comandi. Risposta difficile da dare, ma certamente la mafia è presente ed è ben radicata nel tessuto sociale ed economico della città, che conduce una esistenza come se Cosa nostra non esistesse ad Acireale, come se riguardasse un lontano "altrove". Invece basta togliere un poco di belletto ed esce fuori il volto rugoso e affranto di una città in cui molte attività commerciali hanno chiuso i battenti, non solo per la crisi economica, ma anche perché Casablanca 18

sottoposti a pizzo, usura, estorsioni. Molte piccole e medie aziende sono state estromesse dalle gare di appalto nel corso degli anni perché fagocitate da un sistema corruttibile e corrotto. I piccoli commercianti hanno invece subìto la concorrenza di grossi centri commerciali nati come funghi nei dintorni e per svariate motivazioni, alcuni all'ombra più o meno evidente di Cosa nostra. Nonostante tutto questo, si ritiene in genere che la mafia non c’entri perché non si spara più, i mafiosi non sono facilmente individuabili in quanto, da tempo, hanno messo da parte coppola e lupara per computer e completo gessato, perché il traffico di droga avviene in modo soft e in alcuni quartieri della città: convinzione quanto mai errata, perché chi subisce estorsioni in genere preferisce


Acireale: “Cosa Nostra comanda?!” tacere e subire. Basta però sfogliare gli articoli di cronaca per rendersi conto di quanto capillarmente sia presente l’organizzazione mafiosa in città. I Santapaola e i Laudani hanno avuto da tempo referenti di spicco che hanno curato gli affari delle famiglie seguendo il nuovo modello di comportamento: inabissarsi, confondersi con la gente comune, intrecciare affari, stringere relazioni, rendersi disponibili a risolvere ogni tipo di problema. Acireale negli anni Ottanta è stata una roccaforte dei Santapaola, basti pensare ai nomi di spicco legati alla famiglia catanese, come Sebastiano Sciato — Nuccio Coscia — amico di Jano Ercolano e a Alfio Manca affiliato ai Cappello, poi fatto uccidere dallo Sciuto nel ’92. COMPRAVENDITA DI VOTI E DELOCALIZZAZIONI Le operazioni Orsa Maggiore, Il Ciclope, Galatea, Dafne, Fiori Bianchi, Fico D’India, solo per citarne alcune, portate avanti dalle forze dell’ordine contro i clan negli anni, hanno evidenziato tra gli affiliati ora dei Santapaola, ora dei Laudani il ruolo importante degli Acesi, alcuni addirittura insospettabili, dediti ai classici affari della mafia dagli omicidi al traffico di droga, alle estorsioni e al pizzo. Con l’operazione Euro racket del 2001 che sgominò il clan mafioso della famiglia Santapaola, emersero oltre alle attività riguardanti spaccio di droga, estorsioni e pizzo, anche le prime infiltrazioni e permeabilità con “amministrazioni e politica”. In quella operazione, infatti, furono indagati per voto di scambio, associazione mafiosa, estorsione, nomi noti come il presidente della Fiorentina Vittorio Cecchi Gori, accusato di aver comprato voti ad

Acireale per la sua candidatura, e anche l'onorevole Basilio Catanoso, il sindaco di Acireale Antonino Nicotra, il deputato regionale Raffaele Giuseppe Nicotra, il sindaco di Acicatena Ascenzio Maesano, l’assessore al comune di Acireale Giovanni Rapisarda. Tutti gli indagati vennero poi prosciolti. In ogni caso il mostro mafioso si stava verificando anche nella città dei cento campanili. Chiusa infatti la fase stragista, la mafia 4.0 si è trasformata adottando "la strategia dell'abissamento", anticipata già a Catania da tempo come scrive il magistrato Sebastiano Ardita nel suo libro Catania bene: «A Catania l'associazione malavitosa vi si infiltrava a tal punto che in città si negava la sua stessa esistenza. E riusciva a crescere ad irrobustirsi a penetrare nelle Istituzione e nel mercato...». Inabissata così bene fino a confondersi con il tessuto sociale, economico politico, amministrativo affaristico, Cosa nostra si è specializzata e come i grandi colossi industriali si è delocalizzata per avere benefici e meno "costi", per ampliare il mercato, per essere meno rintracciabile si è "vestita" di modernità investendo in affari "puliti". Scrive Isaia Sales nel suo libro Storia dell'Italia mafiosa. «Una parte della ricchezza criminale finisce nelle rendite immobiliari e una parte consistente nell'economia finanziaria a carattere speculativo (borsa, titoli) andando così ad alimentare ricchezza in altre parti di Italia e del mondo». E in queste "delocalizzazioni " spiccano, nelle inchieste della magistratura e negli articoli di cronaca, i nomi di mafiosi, con ruoli di primo piano, operanti nella barocca e sonnolenta città di Acireale. Casablanca 19

L’inchiesta milanese Security, scattata lo scorso maggio, che ha messo in luce gli affari della mafia catanese dei Laudani nei supermercati Lidl e in alcuni appalti legati alla vigilanza privata, tra cui quello del Tribunale di Milano, annovera tra gli indagati, l'acese Orazio Salvatore Di Mauro, detto Turi il Biondo, già coinvolto nella maxi inchiesta I Viceré che nel 2016 azzerò i vertici della cosca e le squadre militari che operavano nei diversi comuni dell’hinterland etneo. PICCOLE CIMICI LOMBARDE Nell'ordinanza applicativa delle misure cautelari del Tribunale di Milano si legge: «Di Mauro Orazio Salvatore, con il ruolo di capo (dazioni effettuate direttamente fino al suo arresto intervenuto in data 10.2.2016;), esponente di spicco della famiglia Laudani, uomo di fiducia di Laudani Sebastiano cl. 69». Ad Acireale Di Mauro aveva una parvenza di normalità: era infatti titolare di un deposito di mobili ad Aci Platani e di un negozio al centro di Acireale, dove si svolgevano regolarmente gli incontri di mafia, si decidevano le strategie si stringevano accordi anche con i Santapaola, proprio nel cuore della città e sotto gli occhi di tutti. Insieme a Di Mauro, tra gli indagati, figurano gli acesi Enrico Borzì, Vincenzo Greco, Rosario Spoto, Alessandro Fazio, Nicola Fazio, Politi Giacomo. Alcuni degli indagati erano titolari di attività commerciali, sempre nella parte bassa della città, e fungevano da presta nomi, secondo gli inquirenti, utilizzando le loro attività per emettere fatturazioni fittizie. La delocalizzazione permetteva alla famiglia Laudani di procurarsi ingenti somme in nero, grazie ad una rete di cooperative collegate


Acireale: “Cosa Nostra comanda?!” tra di loro, e consentiva di reinvestire il denaro in affari “puliti” e in grossi appalti grazie alla facilità con cui era possibile corrompere funzionari pubblici, perfino nel tribunale milanese. Investimenti in diverse parti di Italia procuravano le somme per mantenere famiglie di carcerati ed affiliati. Gli affari venivano trattati ad Acireale, le telecamere e le cimici degli inquirenti lombardi hanno registrato i presunti pagamenti destinati alle casse del clan dei “Mussi i Ficurinia”. I soldi prima sarebbero stati versati a Turi il Biondo, poi dopo il suo arresto, avvenuto il 10 febbraio 2016, il contabile sarebbe diventato Enrico Borzì. Questa indagine ha messo in chiaro la presenza di un nucleo consolidato da tempo nel territorio acese, tanto da avere una fitta rete di presta nomi ed attività così cospicue da fare di Acireale il luogo di mediazione e di riscossione delle ingenti somme che derivavano dagli affari della

famiglia mafiosa dei Laudani. Tutto ciò sicuramente doveva essere apparso chiaro agli inquirenti già qualche anno fa quando, nel febbraio del 2016, con l'operazione I Vicerè fu inferto dalle forze dell'ordine un duro colpo al clan dei Laudani con ben 109 ordinanze nei riguardi di altrettanti presunti affiliati. Nel corso delle indagini emerse il ruolo di Giuseppe, Pippo, Fichera, fratello di Camillo al 41-bis, grazie alla testimonianza dell'ex boss, oggi pentito, Giuseppe Laudani. Il Laudani, che per anni ha vissuto ed "operato" ad Acireale, ha ricostruito le parentele e le ramificazioni dei mafiosi acesi in particolare di Di Mauro (che "esce soldi ad usura, fa truffe e dirige il gruppo dei mafiosi”) e delle sue parentele tra cui Carmelo Pavone (detto Melo L'Africano o Melo Camelia), Camillo Fichera, chiarendo che «perciò sono tutti tra di loro là in famiglia ad Acireale». Giuseppe Laudani ha

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raccontato di rapporti di Pippo Fichera, e non solo, con le istituzioni e, in particolare, di frequentazioni degli uffici comunali acesi, dove il gruppo aveva libero accesso e dove facevano tutto quello che volevano, anche le carte di identità da soli. Pippo Fichera sembrava avere, quindi, a disposizione il libero accesso in diversi uffici e non solo in quello dell'anagrafe. TANTO PER NON CAPIRE Ci si chiede come mai un ben noto pregiudicato potesse avere libero accesso agli uffici comunali e come mai quando emersero vicende così gravi l'opinione pubblica acese non abbia manifestato il proprio sdegno, come mai non ci siano state manifestazioni antimafia, come mai nessuna televisione abbia cercato di fare interviste, di chiarire le dinamiche di avvenimenti così gravi che coinvolgevano, almeno stando alle dichiarazioni del Laudani, gli uffici comunali.


Acireale: “Cosa Nostra comanda?!”

Il fatto è che i riflettori allora erano puntati su un’altra vicenda, quella riguardante i dipendenti del comune di Acireale, colti in flagrante in una operazione della polizia che aveva da tempo piazzato telecamere per scovare i "pericolosi assenteisti"! Vicenda della quale si interessarono stampa e tv nazional,i dove il primo cittadino, invitato a diverse trasmissioni, esprimeva dura condanna e l'intenzione di colpire i dipendenti colpevoli con procedimenti disciplinari. E così le vicende riguardanti le inquietanti presenze di pezzi da novanta della mafia locale al soldo dei Laudani per i corridoi e gli uffici del Comune di Acireale finirono ben presto nel dimenticatoio di una opinione pubblica pronta a indignarsi per l'assenteismo di dipendenti, muta assente di fronte a fatti gravissimi ed inquietanti che mettevano in luce rapporti tra mafia e uffici dello stesso comune dei furbetti del cartellino, ovviamente secondo le rivelazioni del pentito Giuseppe Laudani. Chissà perché?! E come interpretare gli strani avvenimenti verificatisi nell'aprile

del 2015 ad Acireale quando fu rinvenuta la testa di un capretto mozzata e con un proiettile in fronte davanti alla casa dell'onorevole D'Agostino (Sicilia Futura) a distanza di poche ore dal lancio di una bomba carta contro l'automobile della moglie del sindaco di Acireale Roberto Barbagallo, il tutto a neanche un

anno dalla sua elezione? Perché ad entrambi gli uomini? Cosa li legava? Non sono state date risposte fino ad oggi per cui tutte le ipotesi sono aperte. E ancora, ritornando indietro poco prima delle amministrative del 2014 ad Acireale, emerge un altro caso ben più grave rimasto irrisolto: lo strano suicidio del trentenne consigliere comunale Camillo Baldi trovato impiccato nelle campagne di Trecastagni l'11 Casablanca 21

aprile del 2014. Il giovane era intenzionato a ricandidarsi alle imminenti elezioni, ma in realtà si diceva che nessuna lista politica avrebbe voluto ricandidarlo. Baldi era stato a 25 anni il primo degli eletti nella lista Garozzo sindaco, con 488 preferenze, aveva il suo comitato elettorale nella zona del Carmine, era passato dal Pdl al gruppo misto poi all'UDC e infine parrebbe essersi avvicinato alle posizioni del PD, tanto da venire a votare e a fare votare Renzi alle primarie aperte del Partito Democratico per la scelta del segretario nazionale nel 2013. Perché tutte le forze politiche acesi chiusero le porte ad un "portatore di voti" di così cospicua entità? Fu un suicidio? Fu un vero suicidio? Perché non si fece subito alcuna autopsia? Perché non venne chiusa e delimitata l'area del ritrovamento? La Procura di Catania ha comunque tenuto aperto il fascicolo fino alla sua archiviazione nel 2016. I dubbi però restano tutti aperti. Intanto, mentre l'amministrazione latita, qualcuno ha risposto alla scritta

«Cosa nostra comanda»... «Sta minchia».


Prodotti made in mafie

Il ciliegino della Stidda La melanzana di Cosa

Nostra Il peperone della Camorra Paolo Borrometi Anche la produzione e commercializzazione di frutta e verdura passa sotto il tallone delle mafie. Una filiera che dalle coste africane della Sicilia arriva a Milano, Torino, Padova Roma… Passando per Fondi. La “Stidda” ma anche Cosa nostra e Camorra. A Vittoria, uno dei comuni della provincia ragusana, i ciliegini o le melanzane o i peperoni per la commercializzazione, devono fare i conti con i clan della Stidda e di Cosa Nostra che impongono anche cassette, bancali e vaschette in plastica per prodotti ortofrutticoli. Per viaggiare invece devono fare i conti con la Camorra. Il trasporto di frutta e verdura è un servizio gestito dai Casalesi. Spesso la ‘Ndrangheta imbarca la cocaina sui trasporti gestiti dalla Camorra con i Casalesi. Una filiera ortofrutticola criminale e capillare. Tantissimi gli imprenditori che contattano i clan per “mettersi in regola”. Una contaminazione pericolosa. Paura? Interesse? Collusione? Tutto a discapito degli onesti. «A Vittoria non c’è bisogno che i clan fanno estorsioni, sono gli imprenditori che cercano i clan per pagare e mettersi “in regola” e non al contrario». Ci troviamo nella ex “Provincia babba”, Ragusa, luogo in cui per convinzione generale si era immuni dalla criminalità organizzata. A parlare è un collaboratore di Giustizia, Rosario Avila, già condannato per mafia e molto “addentro” alle cosche locali, in quanto compagno della figlia di Giambattista Ventura, reggente del clan “Carbonaro-Domninante”. Proprio la convinzione dell’essere “immuni”, insieme alla forza economica locale (per comprendere basterebbe citare alcuni dati della Banca d’Italia, secondo cui la provincia di Ragusa

goda del privilegio di poter contare su uno sportello bancario ogni duemila persone compresi i bambini – per l’esattezza 2.040 –, dato ancora più forte se paragonata a Palermo, uno sportello ogni 2.827 abitanti) l’ha fatta diventare un territorio di investimenti mafiosi. Così si va dagli storici investimenti (di cui pochi parlano) come quelli di Oliviero Tognoli, super ricercato da Falcone in “Pizza connection”, a quelli di mafiosi veri e propri che l’hanno considerata come una “terra loro”. Da qui, da questo splendido lembo di Terra, vengono immesse nella filiera nazionale frutta e verdura che poi arrivano sulle nostre tavole, tramite il “triangolo dell’ortofrutta”, Milano, Fondi e, appunto, Vittoria. Da questa “triangolazione” arriva un Casablanca 22

pomodoro ciliegino, una melanzana o un frutto, sulla tavola di un milanese, di un veneto, di un romano. Indistintamente. Provengono dal lavoro e dal sudore della fronte di imprenditori e di braccianti agricoli che, per la stragrande maggioranza, sono onesti lavoratori, ma la contaminazione mafiosa inizia dalla base, sin da subito dopo la raccolta (a volte anche durante la raccolta, con il famoso fenomeno del caporalato che non può essere scisso da padroni e padroncini i quali, se non direttamente mafiosi, spesso usano atteggiamenti mafiosi). Poi la filiera del Mercato di Vittoria che rappresenta un settore complesso e composito. Non la mera vendita, molto di più. Dal produttore ai padroncini, ai commissionari, ai famosi


Prodotti made in mafie “posteggianti”, ai concessionari, sino a coloro che confezionano gli imballaggi, le cassette, gli angolari. Per non parlare dei trasporti, gestiti dai Casalesi. Le mafie fanno “squadra”, hanno compreso che c’è un “pezzo di torta per tutti” e che, farsi la guerra non conviene. Stidda e Cosa Nostra si dividono gli affari della filiera locale, la ‘Ndrangheta gestisce la cocaina imbarcandola, spesso, sui trasporti gestiti dalla Camorra con i Casalesi (sul punto giova ricordare il processo “Paganese”, cioè la condanna per Gaetano Riina – fratello del capo dei capi, Totò – e per i Casalesi). L’attenzione delle istituzioni per questo territorio è stata ad “ondate”: si è passati dal negazionismo o, ancor peggio, dal riduzionismo, fino a quando, a seguito della strage di San Basilio (2 gennaio 1999), si sono accesi i riflettori. La recente operazione della Polizia, per delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, ha permesso di sgominare il clan “CarbonaroDominante”, ovvero i “survivors”, i sopravvissuti (come sono stati definiti, nel nome dell’operazione). Le redini del clan – sempre strettamente legato alla “Stidda” gelese – negli anni sono arrivate a Filippo Ventura, il quale venne associato negli anni ’90 insieme ai fratelli Giambattista (detto

Titta u marmararu) e Gino. L’AFFARE DELLA PLASTICA Filippo, boss sanguinario, prima di essere arrestato lo scorso 13 settembre, era ritornato in libertà da cinque mesi. Durante la sua detenzione, per lunga parte al 41bis, a reggere le redini del clan è stato il fratello (anche lui arrestato pochi giorni fa) Giambattista. Insieme a loro, in un sistema di potere basato sulla forza d’intimidazione di veri e propri arsenali di armi ritrovati nel 2016 dalla Polizia, decine di affiliati. Ultimamente, però – come abbiamo denunciato nelle inchieste giornalistiche degli ultimi anni che ci sono costate svariate minacce di morte – erano gli imprenditori stessi che cercavano di “mettersi in regola”, cercando gli uomini del clan.

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Un clan che era diventato anche “imprenditore”, imponendo i “servizi” di produzione e commercializzazione di cassette, bancali e vaschette in plastica per prodotti ortofrutticoli (nuova frontiera delle estorsioni) grazie alla “Linea Pack”, un’attività commerciale – sequestrata –, fra le più importanti della filiera del Mercato di Vittoria, che faceva capo ai Ventura, ma che era fittiziamente intestata ad altri due arrestati, i Giliberto (Enzo il padre e Francesco il figlio), parenti della “famiglia”. Oltre ai già citati fratelli Ventura, fra gli arrestati nell’operazione antimafia ci sono i figli di costoro, ovvero Angelo (detto “u checco”) e Angelo (detto “Elvis”), nonché altri dieci affiliati. La situazione criminale a Vittoria rimane particolarmente complessa, ad iniziare da quello che potrebbe definirsi come il “clan dei pentiti”. Storici affiliati al clan, poi divenuti negli anni ’90 collaboratori di giustizia, e dall’anno scorso ritornati sul “campo” di battaglia. Due su tutti: Claudio Carbonaro e Roberto Di Martino (con il fratello Claudio) detto “cuzzulari”. I due, insieme ad altri, sono ritornati a delinquere, spartendosi affari redditizi come la gestione della plastica.


Prodotti made in mafie In una realtà dove le serre per le coltivazioni sono in numero così imponente da non potersi quantificare con precisione, la sostituzione dei teloni di plastica (che va effettuato almeno annualmente) diventa un affare milionario. La plastica impiegata in agricoltura, essendo impregnata di fertilizzanti, fitofarmaci e pesticidi, è considerata rifiuto speciale altamente tossico e, pertanto, il suo smaltimento deve essere eseguito in impianti specifici, che trattano il materiale con diversi cicli di lavaggio, in modo da bonificarlo per il successivo reimpiego. Tale circuito economico attrae la criminalità sotto vari aspetti potenzialmente utili sia per il riciclaggio di proventi illeciti, attraverso l’offerta competitiva in fase di acquisto, sia per il lucroso guadagno nella fase di vendita senza sopportare i previsti costi di smaltimento e recupero. In questo settore troviamo da un lato il “clan dei pentiti”, con Claudio Carbonaro in testa che, con l’aiuto dei gelesi Nino e Crocifisso Minardi, ha fatto visita a molti imprenditori “offrendo” i loro servizi e “raccomandandosi” di accettarli. Dall’altro l’azienda dei Donzelli (su tutti il capofamiglia Giovanni, già condannato per mafia) che, con la Sidi Srl, dominano il mercato, nonostante la loro azienda sia già stata sequestrata per disastro ambientale dalla Procura di Ragusa. CASSETTE, VASCHETTE, BABÀ E MARMELLATA Quello di Vittoria è il mercato ortofrutticolo più grande del sud Italia. Una realtà economica di primissimo piano che alletta fortemente le imprese. Una piazza appetibile che richiama parecchi e che permette ad altri di reinventarsi. Infatti, secondo l’ultimo Rapporto sulle Agromafie, presenta, a livello nazionale, il più alto indice di

infiltrazione mafiosa. Fra coloro che sono stati capaci di reinventarsi come imprenditori, con imprese di servizi, alcuni “pezzi da novanta”, già coinvolti in passato in affari criminali. Su tutti Emanuele (detto Elio) Greco con la Vittoria Pack Srl, intestata alla moglie, Concetta Salerno, che si occupa di realizzazione di vaschette in pet, cassette in plastica, angolari in carta ed angolari in pvc. La Vittoria Pack ha ricevuto, dopo una nostra inchiesta-denuncia, l’interdittiva antimafia ma l’azienda continua ad operare. Altre società di servizi sono riconducibili a Giombattista Puccio (detto Titta “u ballarinu”), Vincenzo Di Pietro (detto Enzo “u mastru”) e Pino Gueli. Titta “u ballarinu” che, nelle intercettazioni della Polizia di Ragusa che portarono all’arresto l’anno scorso per mafia della famiglia dei Consalvo, si giustificava con questi ultimi per l’ingresso nel Mercato, oggi è uno dei monopolisti del settore, con un’atmosfera di “pace ritrovata” proprio con i Consalvo (attualmente in libertà). Infine Pino Gueli, con l’attività imprenditoriale “PackArt” intestata al figlio. La Sud Express di Matteo Di Martino è una società coinvolta pochi mesi fa in un’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia che ha portato all’arresti di Matteo Di Martino (detto Salvatore) e di Pietro Di Pietro. « All’interno del mercato e fra tutti gli operatori – si leggeva nel decreto del Gip – vi era l’unanime consapevolezza del dover pagare». 50 o 100 euro a operazione. Un pizzo dal nome dolce "babà", "marmellata", "cioccolata". Amara la violenza e la minaccia con cui gli autotrasportatori venivano costretti a pagare la somma per potere caricare/scaricare la Casablanca 24

merce. Non c’era bisogno di minacce esplicite bastava fare riferimento alla criminalità organizzata che stava dietro proprio alla “Sud Express”. Col rifiuto di pagare, le operazioni di carico sarebbero state di molto ritardate (e di conseguenza il viaggio che erano obbligati ad effettuare entro un certo tempo) e sarebbe stata loro consegnata anche merce scadente. Esattamente gli stessi sistemi ritorsivi utilizzati da altre società di trasporti che, da Napoli, gestiscono i trasferimenti su gomma della merce Nemmeno la politica a Vittoria è immune dal condizionamento mafioso dei clan. Nel corso delle ultime elezioni amministrative (giugno 2016) denunciammo, con alcune inchieste, il coinvolgimento dei clan. Come quando, l’allora reggente Giambattista Ventura, con un post pubblico su facebook, intimò di candidare al consiglio comunale un candidato piuttosto che un altro. In questo scenario, alla vigilia del ballottaggio del 19 giugno 2016, vennero effettuate diverse perquisizioni nei comitati elettorali dei candidati a Sindaco, contestualmente vennero notificati ben nove avvisi di garanzia per scambio elettorale politico mafioso (art. 416-ter c.p. ) a Giuseppe Nicosia (sindaco uscente), Fabio Nicosia (fratello dell’ex primo cittadino poi eletto consigliere comunale), Lisa Pisani (ex assessore e candidata alla carica di sindaco), Maurizio Distefano, Raffaele Di Pietro, Raffaele Giunta, Francesco Aiello (ex sindaco e sfidante al ballottaggio), Cesare Campailla e Giovanni Moscato (attuale primo cittadino). Il relativo procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari e a breve dovrebbero esserci le richieste da parte della Dda di Catania, nei confronti degli indagati..


Migranti: oggetti da commerciare

Migranti: oggetti da commerciare Fulvio Vassallo Paleologo Lo sport preferito dell’estate? Attaccare le ONG. In tutti i modi. Con qualsiasi mezzo. In mare sparatorie e operazioni di sbarramento della rotta. Una guerra. Qualcuno voleva che migliaia di vite fossero abbandonate ai carcerieri libici, o alle onde del mare, come sta accadendo ancora in questi giorni. Stragi nascoste, di cui nessuno parla, in mare, a Pantelleria e di fronte a Zarzis, ed ancora più estese violenze nei centri di detenzione libici nei quali vengono ricondotti i migranti bloccati in mare dalla Guardia costiera libica, istruita, finanziata e coordinata dall’Italia con il supporto di alcuni stati dell’Unione Europea. Ancora non si è capito che parlare delle ONG è una cosa seria e delicata e non si può assolutamente sparare nel mucchio. A pagarne le conseguenze sarebbero – come sempre – migranti in fuga da sevizie ed orrori. Marchiati a vita sui corpi e negli animi. Quelli appena passati sono stati mesi di denunce infamanti contro le ONG. Calunnie, rapporti, relazioni segrete… Maldicenze ripetute centinaia di volte che hanno spostato l’asse dell’opinione pubblica. Giornali che hanno ricevuto, prima che i magistrati, rapporti dei servizi segreti; relazioni riservate di agenti di polizia infiltrati a bordo delle navi umanitarie, passate prima a Salvini e poi alla Procura di Trapani. Azioni sinergiche dei servizi di informazione e degli estremisti di destra di Generazione Identitaria con la missione

“Defend Europe”, con l’unico scopo di spazzare via dal Mediterraneo centrale quelle ONG che insistevano nel garantire soccorsi. Laddove si voleva che fosse soltanto la Guardia Costiera libica ad intervenire per riportare a terra, nell’inferno delle decine e decine di centri lager, in Libia, migranti in fuga da sevizie ed orrori che li marchiavano sui corpi e negli animi. Quella condotta contro le ONG in mare, è stata una vera guerra. Una guerra che ha avuto come suo comandante in capo il ministro Casablanca 25

dell’interno italiano. All’interno di questo quadro l’Italia ha riconsegnato almeno quattro motovedette ai libici e provvede alla loro manutenzione con una unità navale militare ormeggiata nel porto di Tripoli. Questa maggiore dotazione di mezzi ha permesso alla Guardia costiera libica (che poi “libica” non è proprio, perché controlla solo qualche decina di chilometri di coste), di estendere a dismisura la cosiddetta Zona SAR (ricerca e soccorso) libica. Contro il diritto internazionale.


Migranti: oggetti da commerciare Bisognava far fuori le ONG, e l’obiettivo è stato raggiunto. Non certo per la chiara azione diversiva inscenata dal codice di condotta imposto dal ministro dell’interno Minniti, quanto soprattutto per le sparatorie e le operazioni di sbarramento della rotta subite dalle navi delle ONG a mare, e poi per le pastoie burocratiche frapposte all’ingresso nei porti, anche nei confronti di chi aveva sottoscritto il Codice di condotta Minniti. Anche inoltre per le divisioni al loro interno. La scossa finale è stata infine la serie di provvedimenti giudiziari annunciati, come a Trapani, e che si annunciano ancora, come a Catania, contro comandanti, operatori umanitari e cittadini solidali “rei” di avere risposto alle richieste di aiuto e di avere trasmesso al Comando del corpo delle Capitanerie di porto (IMRCC) chiamate di soccorso che hanno permesso di salvare migliaia di vite. E aggiungiamo, il reato di solidarietà non può essere introdotto per via giudiziaria. Con l’accusa di favorire l'immigrazione clandestina – ricordiamo tutti – alcune sconcezze sono state fatte. Per esempio, è stata sequestrata la nave Juventa attirata in una vera e propria trappola. La nave che si trovava in acque internazionali è stata chiamata a fare un trasbordo proprio dalla Guardia costiera italiana per portare tre profughi siriani a Lampedusa. Poi il fermo, inizialmente per controlli di routine, quindi, dopo qualche ora, il provvedimento di

sequestro notificato dalla Procura di Trapani presente sul posto. Dovrebbe essere noto a tutti, al riguardo, che il porto di destinazione delle navi delle ONG impegnate in attività si soccorso non è deciso dal Comando centrale della Guardia Costiera (IMRCC) ma dal Ministero dell’interno, Direzione polizia delle frontiere. L’effetto del blocco della maggior parte delle navi delle ONG, e del loro allontanamento dalla costa, è stato l’aumento e di molto delle vittime a terra, in Libia. Lo confermano diversi rapporti delle Nazioni Unite. Migliaia di vite che qualcuno voleva fossero abbandonate ai carcerieri libici, o alle onde del mare, come sta accadendo ancora in questi giorni. Stragi nascoste, di cui nessuno parla, in mare, a Pantelleria e di fronte Zarzis, ed ancora più estese violenze nei centri di detenzione libici nei quali vengono

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ricondotti i migranti bloccati in mare dalla Guardia costiera libica, istruita, finanziata e coordinata dall’Italia con il supporto di alcuni stati dell’Unione Europea. Ci si indigna e si inorridisce innanzi all’orrore dei campi di detenzione libici, ma ciò non dissuade dal destinare finanziamenti italiani ed europei, direttamente nelle tasche di trafficanti che hanno “indossato” le divise di guardia di frontiera e di guardia costiera libica. Anzi si cerca di caratterizzare con sembianze umanitarie l’intervento in Libia, che presto sarà un vero e proprio intervento militare con il dispiegamento di forze ONU, oltre alla già presente missione EUBAM Libia. La connotazione umanitaria sarebbe garantita dal coinvolgimento dell’OIM (nei rimpatri “volontari assistiti”), dell’UNHCR per la selezione dei “migranti economici” da respingere indietro, con le buone o le cattive, ed infine con il coinvolgimento di alcune ONG nella gestione dei campi di detenzione in Libia. «Sarebbe bello che le ong italiane adottassero ognuna una ong libica per creare una rete di giovani libici che si dedichino al rispetto dei diritti umani. I profughi che rimangono in Libia e le loro condizioni sono il mio assillo e del governo» (“La Stampa”, 8 settembre, 2017), ha dichiarato il ministro Minniti. A tal proposito lo stesso quotidiano racconta che il ministro


Migranti: oggetti da commerciare incontrerà le ONG italiane «per ragionare su come coordinare le attività delle ONG nei salvataggi in mare e per costituire delle ong direttamente in Libia che avranno il compito di affrontare il problema delle condizioni umane dei profughi». Un piano, quello di Minniti, più ambizioso di quello annunciato dal Ministero degli esteri: implementare buone pratiche nell’accoglienza dei migranti in Libia con l’ausilio di ONG locali. Peccato che in Libia tutti i migranti siano considerati “illegali” e per molti costituiscano soltanto oggetti da commerciare. La proposta del Ministero degli esteri italiano, di fare entrare rappresentanti delle ONG nei centri di detenzione libici, appare strettamente connessa con la linea Minniti, ma, a differenza del Ministero degli esteri, Minniti vorrebbe solo quelle “italiane”. Forse perché quelle straniere hanno dimostrato troppa indipendenza rispetto alle linee imposte dal Ministero dell’interno nelle relazioni internazionali con la Libia? O almeno con i poteri forti che la controllano? Oppure o forse soprattutto per le reiterate violazioni del diritto internazionale del mare che sono state perpetrate con attività coordinate delle autorità italiane e libiche? Si vuole fare prevalere una narrazione “umanitaria”, come se l’intervento di qualche operatore delle Nazioni Unite o di ONG necessariamente embedded oltre che con il governo italiano, con i governi locali, potesse migliorare la situazione che tutti hanno

rilevato, ma sulla quale si continua ad intervenire, aggravandola, esclusivamente con misure di stampo repressivo. Inoltre, non si vede come le ONG “italiane” possano invertire questa situazione, senza risultare invece un utile espediente per contrabbandare all’opinione pubblica la falsa percezione che nei lager libici vengono garantiti i diritti umani, a partire dal diritto di chiedere asilo. Non si può assolutamente far finta di nulla sulle condizioni disumane nelle quali versano i migranti riportati dalla guardia costiera

libica nei centri di detenzione. Una condizione che hanno denunciato l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l’ONU. Sono anni che si parla di implementare buone prassi tra le forze di polizia libiche, si sono spesi milioni di euro per corsi di formazione, ma la situazione peggiora sempre. Casablanca 27

Persino l’UNHCR dichiara che riesce ad avere accesso soltanto in 19 dei 34 centri di detenzione governativi, ed in nessuno di quelli gestiti dalle milizie. Adesso, con il ricorso alle ONG in convenzione con il Ministero dell’interno, si vorrebbero rendere più “umani” i centri di detenzione in Libia. Questo l’obiettivo di Minniti, dopo il coro di biasimo che si è diffuso a livello globale a seguito delle notizie circolate in merito al finanziamento ed al supporto tecnico-operativo italiano di milizie che, seppure in passato avessero garantito il funzionamento dei pozzi petroliferi ENI, non avevano neppure disdegnato il fiorente business dei migranti. In Libia siamo arrivati alla schiavitù dei migranti e non esiste una “società civile” composta da ONG indipendenti capace di opporsi alle violenze perpetrate dalle milizie. I trafficanti più forti, soprattutto nelle tradizionali aree di partenza e transito in Libia, vestono adesso la divisa delle guardie di frontiera. E sono a stipendio con fondi dell’Unione Europea. Anche su questo pasticcio ci sarà la copertura dell’ONU e delle sue agenzie? Da New York arrivano segnali contrastanti, i rapporti confermano le sevizie inflitte ai migranti, ma i rappresentanti delle Nazioni Unite sul territorio sembrano incapaci di garantire un reale miglioramento della condizione dei migranti intrappolati in Libia.


Povera Catania

Qualcosa è cambiato? Graziella Proto Un libro, Il Patto per Catania di Salvatore Resca, una dichiarazione, quella dell’onorevole Claudio Fava. Un motivo per fare alcune riflessioni su Catania. Una città che meriterebbe molto di più di quello che ha e subisce. Perché questa città è così invivibile. Come, cosa e perché è successo. Il ricordo degli anni dell’impegno civile e gli anni del buio. Lo sforzo e la passione collettiva di chi sognava una città diversa per scardinare la vecchia politica scippatrice e saccheggiatrice. Un sistema politico-affaristico-mafioso che imperversava invadendo ogni luogo. La nostalgia per quell’era dei sogni e della ribellione. L’amarezza tuttavia del non essere riusciti a creare una classe politica lungimirante. Un politico che facesse proposte affascinanti e coinvolgenti. Un progetto valido su come procedere. “Io amo questa città con un rapporto sentimentale preciso: quello che può avere un uomo che si è innamorato perdutamente di una puttana, e non può farci niente, sa che è puttana, è volgare, sporca, traditrice, si concede per denaro a chicchessia, è oscena, menzognera, volgare, prepotente, e però è anche ridente, allegra, violenta, conosce tutti i trucchi e i vizi dell’amore e glieli fa assaporare, poi scappa subito via con un altro; egli dovrebbe prenderla mille volte a calci in faccia, sputarle addosso, ‘Al diavolo, zoccola!’, ma il solo pensiero di abbandonarla gli riempie l’animo di oscurità.” (Giuseppe Fava) Benvenuti a Catania. La città ai piedi del vulcano Etna che dolcemente scende fino al mare. E dal mare, nuotando si può ammirare il vulcano in eruzione.

Una cartolina rara e varia. Ora costa altissima, ora sabbia dorata. Da Acitrezza (limitrofa alla città etnea) i cui Faraglioni (legati alla leggenda del Ciclope Polifemo) donano al panorama un’atmosfera mitica di eccezionale bellezza, le rocce piano piano si sbriciolano, scompaiono per arrivare al litorale sabbioso.18 km, di sabbia dorata, impalpabile, calda, meravigliosa: la playa, meta preferita dei catanesi. A Catania da qualsiasi parte della città raggiungi il mare con una semplice passeggiata. Benvenuti a Catania, la Milano del Sud. Che non esiste più. La crisi, qui, ha colpito duro. Ma forse sarebbe meglio dire che per tanti, a differenza degli altri, la crisi c’era e c’è sempre stata. Fasce intere di popolazione che non avendo santi in paradiso, il paradiso non lo hanno visto mai. Casablanca 28

Esclusi. La città di Verga e Bellini oggi è una città di frontiera. Benvenuti a Catania: “… una città nella quale, in pochi anni, un piccolo politico di paese può diventare governatore di un territorio, e un oscuro appaltatore di provincia può trasformarsi in cavaliere del lavoro che fa diventare oro tutto quello che tocca, e un amabile imprenditore, amico dei buoni salotti borghesi, che fino a qualche mese fa stringeva la mano a prefetti e deputati, essere accusato di aver ucciso Dalla Chiesa”. (Giuseppe Fava) Per Claudio Fava, figlio di Giuseppe Fava, il giornalista ucciso dalla mafia, e attuale vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia Catania «è una città diversa da quella in cui morì mio padre, e al tempo stesso le rassomiglia». «Forse è l’unica


Povera Catania città al mondo – sottolinea – in cui se dobbiamo declinare nomi e cognomi di famiglie mafiose che comandano, forse dovremmo fare gli stessi nomi di 40 anni fa. Come se qui le dinamiche del potere mafioso e non soltanto mafioso si siano un po’ anchilosate. E questo – conclude Claudio Fava – è un debito con cui dobbiamo fare i conti tutti». Una città diversa e uguale. Diversa in meglio o in peggio? Peggio nei fatti? Nelle storture politiche? E qual è la percezione? Ne parliamo con Salvatore Resca, insegnante di storia e filosofia che, in qualità di prete prima salesiano dopo diocesano, ha vissuto per anni in alcuni quartieri poveri (San Cristoforo o via delle Salette), difficili, a rischio. Quartieri nei quali si è trovato a stretto contatto con i problemi della città. Assieme a un gruppo di persone come lui impegnate per la città, padre Salvatore Resca ha fondato e animato “CittàInsieme”, un movimento di società civile. L’ERA DEI CAVALIERI «Trent’anni fa, dopo l’omicidio di Giuseppe Fava, a Catania avevamo una percezione terribilmente chiara dell’ambiente affaristico mafioso. Avevamo i cavalieri del lavoro, avevamo la rivista I SICILIANI fondata da Giuseppe Fava che denunziava con dati di fatto. Avevamo la democrazia cristiana, i socialisti, il famoso quadripartito, che noi credevamo assolutamente organico al sistema di potere che poi tanto occulto non era. Anzi era talmente aperto da considerarsi impunito e impunibile». Una convinzione, quella dell’impunità e impunibilità, così radicata che quando si iniziò la demolizione sia della cupola mafiosa sia dei politici che erano organici al sistema, loro stessi non credevano ai loro occhi e alle loro

orecchie. Per capirne di più bisogna fermarsi un attimo e cercare di ricordare la fotografia di quel periodo: il boom economico era già arrivato, i politici del momento subentrati a quelli del decennio precedente, rampanti, rapaci, scippatori, senza scrupoli, erano le nuove leve, le facce pulite della politica, si diceva allora, fra le quali spiccavano Rino Nicolosi e Salvo Andò. Di loro i giornali hanno raccontato quanto le loro facce fossero pulite. Ma non lo ha raccontato LA SICILIA di Mario Ciancio, l’uomo a cui è legato il destino della città e della Sicilia a causa dei suoi silenzi e delle sue grancasse. Dalla pagine del quotidiano catanese la storia di Catania e della Sicilia è fatta solo di brandelli di storia. Il cavaliere Ciancio è riuscito a fare dell’informazione uno strumento per gli affari. Affari di tutti i tipi. L’editore più potente del Sud c’era allora, c’è ancora adesso. Allora totalmente impunibile e inattaccabile, oggi con suoi fondi, in parte tenuti all’estero attraverso fiduciarie di copertura, scoperti dalla magistratura e motivo di inchieste giudiziarie. Come dice il titolo di un famoso film, “Qualcosa è cambiato”. Il territorio era controllato dai comitati d’affari, il Piano Regolatore Generale piegato agli interessi di pochi. Un sistema granitico. Catania era una palude. Una brillante, eccitante e dinamica palude dove i quattro cavalieri del lavoro Finocchiaro, Graci, Costanzo e Rendo dominavano. Sulla città ma non solo. I quattro imprenditori con i loro posti di lavoro ricattavano, assoggettavano, creavano i bisogni e le urgenze per la città… scippavano tutti gli appalti delle opere pubbliche da loro stessi decise. Tutti vedevano che i cavalieri avevano un ruolo di Casablanca 29

snodo fra imprenditoria, politica, mafia, ma la magistratura non vedeva. Come disse Nichi Vendola – allora vicepresidente della Commissione nazionale antimafia – la magistratura vide quando anche i ciechi erano tenuti a vedere. Giuseppe Fava li aveva visti, studiati e li aveva raccontati e denunciati dalle pagine della sua rivista I SICILIANI. La dimostrazione documentata di questa complicità fra legale e illegale, fra interessi pubblici e interessi privati, venne fuori durante una inchiesta per l’omicidio di Rosario Romeo, componente della criminalità organizzata. Furono trovate parecchie fotografie che dimostravano quanto fosse forte la connivenza fra imprenditori, politici, mafiosi, semplici delinquenti e come la spudoratezza e l’immoralità di alcuni rappresentanti delle istituzioni non avesse limite. FOTOGRAFIE VECCHIE SEMPRE NUOVE Nitto Santapaola capo del clan catanese, boss allora in grande ascesa, fotografato (durante la cerimonia per l’inaugurazione del centro vendita SCIMAR di Romeo) assieme all’inseparabile Calogero (Carletto) Campanella, Francesco Grillo (altro membro del clan Santapaola ), l’on. Salvatore Lo Turco, del PSDI, componente dell’Assemblea Regionale Siciliana, Giacomo Sciuto, della DC, allora presidente dell’Amministrazione Provinciale di Catania, Salvatore Coco, della DC, allora sindaco di Catania, Salvatore Di Stefano, della DC, Consigliere Comunale a Catania, Giuseppe e Vincenzo Costanzo, nipoti del cav. del lavoro Carmelo Costanzo, Placido Filippo Aiello, genero del cavaliere del lavoro Gaetano Graci, Antonello Longo, segretario provinciale di Catania


Povera Catania del PSDI, il dott. Franco Guarnera, dirigente del Servizio Sanitario della Casa Circondariale di Catania, ed altri. Festeggiavano. Fra loro si scambiavano inviti, favori, cortesie, lavori, protezioni reciproche. Tuttavia, ancora oggi c’è chi sostiene che allora a Catania si stava meglio di adesso. L’ansia, l’affanno per il cambiamento era vivace, stimolante. La voglia di ribellione cresceva. I soldi c’erano. Il consiglio comunale gestiva i denari per la città ed eleggeva il sindaco. «Nell’89 Bianco fu eletto dal consiglio comunale quale burattino di Nicolosi e Andò perché come si evinceva chiaramente da tutto, loro si dovevano mettere d’accordo sulle spartizioni […]. Quindi un sistema percepibilissimo, visibile, diramato, impunito e che si credeva impunibile e quindi abbiamo avuto buon gioco a poter fare un lavoro di scardinamento del sistema». Secondo il racconto di Salvatore Resca la percezione di quello che c’era a Catania allora, la situazione politico affaristico-mafiosomassonica, era chiarissima e avvertita, e quindi «se c’era, così come è successo, chi voleva combattere, sapeva contro chi sparare perché c’era un avversario preciso che noi identificavamo con Andreotti. A Catania come politici di potere avevamo l’onorevole Rino Nicolosi e l’onorevole Salvo Andò, e poi c’erano i cavalieri del lavoro Graci, Finocchiaro, Costanzo e Rendo». Resca e il suo vivace movimento, “CittàInsieme”, assieme ad altri compagni di lotta dentro e fuori i partiti politici iniziano la loro rivolta. Una ribellione che non escludeva nessun luogo. Nessun politico. Nessun cavaliere del

lavoro. «Una volta dopo la messa in sacrestia mi son visto spuntare tutta la famiglia Rendo che praticamente mi mise alle strette dicendomi che non capivano perché io ce l’avessi con loro e che gli stavo facendo perdere tutto». Un’altra volta gli si presentò la moglie di Nitto Santapoala che gli spiegava che suo marito era un bravo ragazzo che aveva avuto cattive compagnie… Insomma la percezione non era solo percezione. Esistevano. «A mio parere quella struttura che era monolitica, che era ferrea, che era forte, a me pare che oggi non esiste più. Che a Catania si paghi il

pizzo non ci sono dubbi. Che ci siano i mafiosi nemmeno. Da questo punto di vista non è cambiato nulla, ma il sistema di potere granitico, visibile, individuabile, forte, oggi è alla stessa maniera? Sarebbe molto grave se fosse ancora granitico, forte e non fosse individuabile. Io questo lo vorrei sapere. Lo voglio sapere», dichiara Salvatore Resca alla fine del suo discorso appassionato. L’ERA DELLA DELUSIONE «Mi piacerebbe – aggiunge – ci fosse una persona informata, documentata che mi venisse a dire: allora avevate chiarissima questa percezione, oggi le cose stanno così, così, così. Vero, oggi argomento di dibattito e scontro è Casablanca 30

la famosa intercettazione di Ciancio, fatto gravissimo. Il fatto che Ciancio con il PUA abbia fatto i propri interessi… Ma vogliamo mettere tutti questi indizi con la percezione dei guai che allora erano chiarissimi? Ci sono ancora questi guai? Se ci sono perché non emergono? Si sono fatti più furbi coloro che li mettono in pratica oppure è cambiato qualcosa? […] Noi non abbiamo una risposta, la vorremmo. Non sappiamo a chi chiederla. Non la si può chiedere a Ciancio», dice con ironia. «La situazione dei poteri occulti, dei poteri forti, oggi è come allora? Certo le intercettazioni di Virlinzi, Bianco, Ciancio, ma vogliamo paragonare noi la percezione del danno che facevano allora a Catania i cavalieri del lavoro, la democrazia cristiana e i socialisti di Andò con quello che sta succedendo ora? Io non riesco oggi a dire da questo punto di vista cos’è cambiato». «Tanti anni fa – continua padre Resca – qui alla sede di CittàInsieme veniva un sacco di gente, ci si riuniva e si parlava. C’era Cazzola col suo libro sulla corruzione… ora non parla più nessuno. Non abbiamo più informazioni». Il movimento CITTAINSIEME recentemente ha festeggiato i suoi trent’anni. Certo in trent’anni tanta acqua è passata sotto i ponti. Tante battaglie sono state fatte per la città. Da soli o insieme ad alcuni partiti politici e altri movimenti. Alcune andate a buon fine, come la realizzazione del parco Falcone, altre no. Ma occorreva farle, per seminare, per dimostrare che bisogna lottare e non bisogna arrendersi. Rassegnarsi. Alle elezioni del ’93 il movimento di società civile CittàInsieme e PdS, i Verdi, i Repubblicani di


Povera Catania Bianco e parte della sinistra, dopo un lungo lavoro, insieme propongono alla città un PATTO PER CATANIA. Il progetto era arduo – anche per i partiti coinvolti – ma bisognava scardinare la vecchia politica ladra e puttana. Lo strumento fu il Libretto Giallo: «l’Analisi precisa delle condizioni della città – spiega salvatore Resca –. Una proposta di soluzioni assolutamente valide ancora oggi e soprattutto una proposta dei mezzi attraverso cui realizzare le soluzioni proposte. Nessun politico ha mai avuto la chiarezza di idee di presentare un programma che minimamente si rifacesse a quel discorso». A quello sguardo panoramico e allo stesso tempo concreto. Allora si vedeva con chiarezza che c’erano partiti politici da un lato (il PdS, i Verdi, i Repubblicani di Bianco e una parte della sinistra) e partiti politici dall’altro. C’era la voce autorevole del giudice dei minori Giambattista Scidà che si batteva per i diritti dei minori e accusava la politica di aver scippato ai ragazzini catanesi la loro fanciullezza. Il movimento fin da subito decise con chiarezza e fermezza di escludere la democrazia cristiana di Rino Nicolosi e Nino Drago e i socialisti di Salvo Andò. Loro non potevano essere interlocutori per il cambiamento. UNA PRIMAVERA AUTUNNALE Ma le cose non vanno come sperato, sognato, auspicato. Non si riuscì a presentarsi tutti insieme

alla città, la Rete con Fava decise di staccarsi e presentarsi da sola finendo all’opposizione anziché nella giunta. Bianco, eletto sindaco, non ha la maggioranza in consiglio comunale. Sebbene in campagna elettorale si fosse sbilanciato nelle solite “visioni” primaverili: «Il sindaco Bianco dal ’95 ha dovuto o voluto scendere a compromessi di ogni genere oggi sotto gli occhi di tutti. Abbiamo di fronte il consociativismo più scellerato. Tutto ciò ha degradato la città fino a consegnarla alla destra di Scapagnini che è stato il vero baratro della città». Conseguenze? Inarrestabile e continuo degrado

dei quartieri periferici. Deterioramento della coscienza civile. Deterioramento della convivenza civile. Il degrado dei quartieri a ridosso del centro ha lentamente invaso tutta la città. Il deterioramento della convivenza non viene percepito dalle agenzie – famiglia, scuola e chiesa – che dovrebbero agire sul territorio. «Oggi c’è una melassa politica. E 5Stelle che è una forza di spinta». C’è ancora Bianco. Fa venire in mente una canzone di Battisti: ancora tu? Le sue primavere sanno tanto di autunni. Tristi e malinconici. «Oggi la maggioranza del consiglio comunale è salita sul carro del vincitore Bianco. Tutti fanno a Casablanca 31

gara a spartirsi le briciole… perché son rimaste solo briciole. Ecco in questo, Catania è cambiata in peggio», sottolinea ancora Resca. Insomma, «Bianco – afferma padre Resca durante una intervista di qualche tempo fa – legato a mille altre realtà non politiche ma di convenienza non ha più la forza per fare le cose e questo è uno dei motivi base su cui si fonda la nostra delusione, che è una delusione nei fatti perché la città segna il passo, ed è una delusione politica perché speravamo in una classe politica un pochino più lungimirante e non così ripiegata su se stessa». Una delusione ancora più cocente perché tanti cittadini di Catania di Enzo Bianco si fidavano e gli avevano dato fiducia. Eppure non ci voleva molto per superare Stancanelli, Scapagnini, Lombardo. Della “primavera catanese” il sindaco non ne parla più da un pezzo e la città, quella reale, i catanesi che hanno dimostrato di avere tanta pazienza aspettano ancora, il riordino dei mercati storici, San Berillo risanato, la messa in sicurezza degli edifici pubblici e privati, la Badante di Condominio; gli Orti della Solidarietà, le scuole per gli immigrati, i servizi on line per gli anziani… il centro storico restituito ai suoi abitanti… ancora oggi pascolo anarchico di quei pochi che a spese della cultura seminano disordine, droga, malcostume, vandalismo. Povera Catania.


Donne e Uomini di Calabria

Donne e uomini di Calabria Riace. Un festival per parlare di solidarietà Franca Fortunato Ad agosto si è svolta la settima edizione del Riace Festival dal 3 al 6 agosto. Fra gli invitati alcune esponenti della Città Felice di Catania e della rete delle Città Vicine. Storie di integrazione. Storie di grande umanità. Tante emozioni. Tanto colore. Tanto calore. Tanti riconoscimenti. Nel 2008 il regista tedesco Win Wenders ha girato il corto Il Volo. Oggi il regista Massimo Ferrari ha realizzato un film documentario Dove vanno le nuvole. Mimmo Lucano il sindaco, all’estero è considerato un leader mondiale. Giovedì 3 agosto, in uno dei giorni più caldi di questa torrida estate, assieme a Anna Di Salvo, Carmina Daniele e Giusy Milazzo, di Città Felice di Catania e della rete delle Città Vicine, e Serena Procopio, da Catanzaro arriviamo a Riace, il “Paese dell’accoglienza”, come troviamo scritto anche sui cartelloni che ci accolgono e ci accompagnano dalla marina fino al centro del borgo antico. Dal 3 al 6 agosto si svolge il Riaceinfestival (oggi alla settima edizione) e siamo state invitate a presentare il libro L’Europa delle Città Vicine” (a cura di Anna Di Salvo, Loredana Aldeghieri e Mirella Clausi). Un invito partito da Chiara Sasso, che da sempre è una delle più attive organizzatrici, nonché coordinatrice della Rete dei Comuni Solidali (Recosol), da sempre vicina all’esperienza di Riace, iniziata nel 1996 con l’arrivo di un centinaio di curdi e consolidatesi a partire dal 2001.

Chiara Sasso la troviamo nella piazzetta ad accoglierci e ci sentiamo subito a casa. Nei giorni del festival abbiamo goduto del privilegio di vedere come solidarietà e accoglienza nel piccolo borgo medievale siano divenute pratiche quotidiane di civile convivenza tra la popolazione del luogo e le

straniere e gli stranieri arrivate/i da lontano, dopo tante peripezie e sofferenze. Sono loro Casablanca 32

che, grazie al sindaco Domenico Lucano e alle donne e agli uomini dell’associazione Città Futura, hanno ridato vita a un borgo che – come tanti in Calabria - sembrava destinato all’abbandono e allo spopolamento. Un’esperienza quella di Riace che ha visto il recupero non solo di case abbandonate, per lo più di emigrati, ma anche di antichi mestieri e l’apertura di vecchi laboratori per la lavorazione del vetro, della ceramica, della tessitura, del ricamo, delle confetture di marmellata, della produzione di olio nell’ultimo frantoio rimasto. L’arrivo delle bambine e bambini straniere/i ha salvato la scuola elementare e l’asilo. Un’esperienza che negli anni ha fatto da modello a tanti altri Comuni calabresi e italiani, del nord e del sud, come hanno documentato Chiara Sasso e Giovanni Maiolo nel libro Miserie e nobiltà, presentato al festival, e come ha


Donne e Uomini di Calabria raccontato il regista Massimo Ferrari nel suo film documentario Dove vanno le nuvole. Nel borgo, con grande gioia, si assiste al rinascere di antiche pratiche di buon vicinato: le donne calabresi, sedute sulla soglia di casa insieme alle amiche a chiacchierare o per cercare un po’ di frescura; oppure svegliarsi al mattino col vocio delle donne che si salutano e si parlano dalle finestre. Per non parlare del salutare ed essere salutate con un sorriso, da tutti e tutte, mentre si cammina per strada. QUESTA È LA NOSTRA TERRA È bello, fa bene al cuore, vedere ragazze e ragazzi passeggiare insieme, giocare al biliardino nella piazzetta, sorridere e chiacchierare tra loro con naturalezza e spontaneità, al di là del colore della pelle e della loro provenienza. È emozionante guardare giovani madri con le loro creature vestite all’occidentale ma con acconciature africane o ascoltare il ragazzo che racconta, cantando, di come è arrivato dalla Guinea, dopo aver perso sua madre, morta prima di partire, e suo padre, morto durante la traversata del Mediterraneo. Incanta una bimba nera bellissima che, con tante treccine e un cappellino in testa, nel piazzale del Comune sta con il fratellino accanto a sua madre, che tiene un passeggino con dentro un’altra creatura piccola, mentre si svolge una manifestazione contro il manipolo di fascisti che il 2 luglio scorso davanti al Comune aveva inscenato una protesta contro le immigrate e gli immigrati. «Riace, questa è la nostra terra » ci sta scritto su uno degli striscioni esposti durante la manifestazione,

che è stata l’occasione anche per inaugurare un poliambulatorio gratuito, grazie alla generosità e disponibilità di alcuni medici della Locride. L’Anfiteatro e la Medioteca per tutti i quattro giorni del festival si sono animati fino a tarda notte con dibattiti, concerti, spettacoli teatrali, film, cortometraggi, presentazione di libri, testimonianze di lotta contro la mafia in Calabria e in Sicilia e di resistenza nella Terra dei Fuochi e a Taranto. Il Festival ha reso ben visibile la preoccupazione di alcune politiche e di alcuni atteggiamenti affrontati anche nel nostro libro L’Europa delle Città Vicine che raccoglie gli atti dell’omonimo convegno tenuto a Roma il 21 febbraio 2016 alla Casa Internazionale delle donne. L ’Europa dal volto umano in

opposizione all’Europa dal volto feroce, all’Europa senz’anima delle istituzioni e degli Stati europei, compreso quello italiano, che chiudono le frontiere, alzano muri e filo spinato, firmano accordi vergognosi per bloccare le/i migranti nei campi lager libici e respingerle/i al di là del deserto del Sahara – come hanno sottoscritto al vertice di Parigi di fine agosto Italia, Germania, Francia, Spagna con Ciad, Niger e Libia –. Il tutto in un clima avvelenato di odio e di razzismo, di criminalizzazione di chi cerca di aiutare e salvare vite umane in mare o in terra, nel Mediterraneo o Casablanca 33

alle frontiere. Un clima, dentro cui è maturata anche la violenza inaudita della Polizia e il terrorismo di Stato nei confronti anche di bambine e bambini nei giorni dello sgombro a Roma delle/dei migranti dal palazzo di Piazza Indipendenza. Un evento che rende comprensibile la preoccupazione espressa al festival dal sindaco Domenico Lucano, che ha parlato di «un’esperienza a rischio » la sua perché il Ministero degli Interni e la Prefettura di Reggio Calabria hanno messo in discussione il sostegno finanziario dei bonus e delle borse lavoro, due pilastri dell’esperienza riacese. I bonus consistono nell’invenzione di una moneta virtuale che consente alle migranti e ai migranti di poter acquistare presso gli esercenti locali (che l’hanno accettata) sulla fiducia, per supplire, così, gli storici ritardi dei contributi pubblici. Le borse lavoro, invece, hanno consentito il riavvio del tessuto economico del borgo, dando la possibilità di lavorare a quelle famiglie di richiedenti asilo che intendevano fermarsi a Riace, costruire un futuro e un radicamento. UN PAESE E UN UOMO DI CALABRIA Nei giorni successivi al festival, la Rete dei Comuni Solidali ha lanciato una petizione « Io sto con Riace », con una raccolta firme, per salvare quella che oramai è divenuta un’esperienza conosciuta in tutto il mondo, visti i numerosi premi e riconoscimenti ricevuti. Per la « capacità di tenere insieme l’antico e il moderno » il sindaco Lucano nel 2010 è stato inserito dal World Mayor Prize fra i 23 finalisti del premio come migliore


Donne e Uomini di Calabria sindaco del mondo, classificandosi al terzo posto. Nel 2014 Riace è stato presentato sul sito di Al Jazeera, nel 2015 il sindaco è stato premiato dalla Fondazione per la Libertà e i diritti umani e nel 2016 «per il suo impegno in favore degli immigrati e del loro inserimento sociale», nel magazine americano Fortune, è stato inserito al quarantesimo posto della classifica dei 50 leader mondiali più influenti. Nello stesso anno due giovani registe italo francesi Shu Aiello e Catherina Catella, insieme a Serena Gramizzi, hanno prodotto il documentario Un paese di Calabria, visto e discusso in Francia e mai arrivato in Italia in quanto rifiutato da tutti i distributori. Infine, nel 2017 è stata girata una fiction con Beppe Fiorello, nei panni di Lucano, che andrà in onda su Rai1 a gennaio 2018. La regista Raffaella Cosentino ha raccontato la Calabria delle donne con il suo lungometraggio Terre impure (premiato dalla Fondazione Gianluca Congiunti), in cui ha ripercorso la parabola amministrativa di Elisabetta Tripodi e Carolina Girasole, la cui esperienza, insieme a quella di Maria Carmela Lanzetta e Annamaria Cardamone, resta una

delle pagine più belle della storia delle donne calabresi. Un’esperienza che nonostante tutto non è stata fallimentare: le donne protagoniste non hanno fallito perché tutto quello che hanno fatto, a partire da sé e dal proprio desiderio di esserci per rendere “normale” il proprio paese, nessuno/a lo può cancellare e prima o poi altre donne, se ne avranno voglia, potranno prenderne il testimone.

tratto dal libro Malanova. Anna Maria che era presente, a fine spettacolo, nel prendere la parola, con emozione ha confessato di essere finalmente una donna libera perché si è riappropriata della propria vita, nonostante viva in località protetta. I giorni del festival hanno regalato forti emozioni, con momenti di convivialità serale alla taverna di Donna Rosa, dove volontarie e volontari, venute/i da ogni parte

La Calabria delle donne è stata presente anche con la storia di Annamaria Scarfò – la ragazza di Taurianova che, dopo essere stata violentata per anni, ha trovato il coraggio di denunciare, mandare in galera e fare condannare i suoi aguzzini – rappresentata dall’attore Ture Magro con un monologo

d’Italia, hanno preparato gustosi piatti. Un’esperienza indimenticabile, il festival, una realtà, quella di Riace, da sostenere e difendere per salvare la nostra civiltà e umanità in questo difficile passaggio d’epoca che stiamo attraversando.

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Un altro Mondo è possibile

Un altro modo è possibile Immigrati: presunto problema o opportunità? Augusto Montaruli Cavaretto: un piccolo borgo di Torino. Il resoconto di un’accoglienza di migranti. Il tentativo di un processo di integrazione. Tante curiosità da parte dei residenti del quartiere. Queste persone da dove arrivavano? Quali erano le loro aspirazioni? Domande alle quali i migranti rispondono. Il racconto avviene in una sala parrocchiale gremita e a scalfisce molti pregiudizi. Una signora di Cavoretto si offre di fare da “maestra” nell’insegnare l’uso dei detersivi e qualche nozione di cucina, Pino il panettiere gli insegna come fare pane e grissini. Parte così l’autogestione del centro. Una bella storia, che ancora prosegue, a dimostrazione che un presunto problema può trasformarsi in un’opportunità. Cavoretto è un borgo di 1700 abitanti. Vicinissimo al centro di Torino si trova a poche curve dal fiume Po e dal parco del Valentino. Il quartiere è immerso nel verde della collina torinese con uno splendido parco – il Parco Europa – dal quale si ammira tutta la città e l’arco alpino. Potrebbe essere un paesino delle Langhe se ci fossero vigne di barolo e barbaresco. Invece è solo un grosso quartiere di Torino. Cavoretto è un luogo tranquillo: una piazza, la chiesa, il vecchio municipio, il centro d’incontro, la bocciofila e l’associazione alpini, le ville della

Torino che sta bene. A Cavoretto, fino a poco tempo fa, la “questione” dei migranti non era ancora arrivata, era sulle pagine dei giornali o sui tg della sera. Poi a luglio dello scorso anno, in questo luogo tranquillo arrivarono 38 richiedenti asilo provenienti

dall’Africa centrale, Pakistan, Eritrea. Furono ospitati in un ex albergo, proprio sulla piazza del Casablanca 35

paese. Un vecchio albergo, di cui si mormora ospitasse coppie in cerca di privacy… coppie clandestine. L’arrivo degli immigrati colse tutti di sorpresa e scatenò immediatamente una reazione: sulla piazza si fecero presidi di Forza Nuova, della Lega Nord, Casa Pound e di Forza Italia. Sulla pagina facebook dedicata al borgo si commentava l’inopportunità del centro di accoglienza a pochi metri dalla scuola elementare e del rischio legato alla “virilità repressa” dei giovani africani. «Cavoretto non è il posto ideale… sono giovani e pieni di testosterone… le nostre figlie sono a rischio… di fronte c’è una


Un altro Mondo è possibile scuola frequentata da bambini…». divertono. Si decide di incontrarsi cantato Bella Ciao. Insomma tutta la solita sequela di ogni venerdì (“i venerdì di A gestire il centro di accoglienza luoghi comuni sull’uomo nero, Cavoretto”) nell’ex albergo per vinene chiamato Adramet Barry, magari anche “cannibale”. dividere una torta, bevendo un tè, guineano e laureato in economia Tuttavia, quegli striscioni e quei fare una chiacchierata, giocare a con tanto di master. Adramet Barry commenti dopo un attimo di dama o cantare accompagnati da della Guinea, vive da sei anni in smarrimento provocarono una chitarra. Italia. Ha imparato l’italiano un’immediata risposta. La Da quei venerdì è nata la facendo teatro e frequentando le cooperativa “Carapace” che collaborazione e il mettersi a biblioteche civiche torinesi. Ha gestisce il centro aprì le porte disposizione: corsi di italiano, accettato di coordinare il centro invitando la cittadinanza a entrare, laboratori di ceramica e di disegno proponendo una gestione per conoscere responsabili e e tante idee sul borgo. completamente autonoma: Gli coordinatori della struttura. Un Da quei venerdì è nata l’idea di un ospiti si devono autogestire: dalla invito a cui all’inizio rispose solo momento pubblico aperto a tutti. preparazione del cibo, alle pulizie un gruppo di residenti cavorettesi La maggior parte degli abitanti di delle stanze e degli spazi comuni. che, in modo naturale e spontaneo, Cavoretto ha deciso, insieme agli Una signora di Cavoretto subito varcarono la soglia del centro, ospiti del centro, che occorreva dopo si offre di fare da “maestra” mettendosi a disposizione per raccontare al resto dei residenti, nell’insegnare l’uso dei detersivi e favorire l’accoglienza. quelli che non avevano avuto il qualche nozione di cucina. Ora Il gruppo di volontari che si coraggio di bussare ed entrare, chi sono indipendenti. « È parte del occupa della manutenzione del erano i richiedenti asilo, da dove percorso di formazione, oltre ad parco coinvolse alcuni richiedenti arrivavano e quali fossero le loro imparare la lingua italiana che asilo nella pulizia della scalinata aspirazioni. rimane l’obiettivo principale », che, dal quartiere Cavoretto, porta spiega Barry. FRA PANE, GRISSINI E al centro di Torino. Un gesto Adramet Barry non è solo un PANETTONI simbolico che, oltre a rendere la mediatore culturale e coordinatore Il racconto avviene in una sala scalinata bella, pulita e di nuovo del centro. È un guineano parrocchiale gremita e scalfisce agibile, stabilì un primo contatto innamorato del suo paese, tanto molti pregiudizi, trasformandosi in che, qualche anno fa, si adoperò con gli abitanti del borgo. una allegra e festosa serata. Una Inoltre, di fronte a quelle porte affinché la Guinea fosse accolta festa che si è conclusa con gli aperte piano piano tanta gente si come paese ospite, insieme al Cile, ospiti del centro che in coro, sentì invitata ad entrare nel centro al Salone del Libro. E proprio lì accompagnati dal pubblico, hanno di accoglienza e così fu. Il resto nacque l’idea di candidare avvenne tutto con Conakry, la Oggi Pino e Andrea sono tornati a Cavoretto perché c’erano i grissini capitale della molta semplicità. da fare e da raccontare. C’era il pane fritto e quello dolce. C’era il pane Guinea, a Hanno iniziato con che fanno gli amici pakistani da fare insieme, col pomodoro però che capitale una serata c’è più gusto. C’era un giornalista che ha scritto un articolo e c’era un mondiale conviviale. Un fotografo che ha realizzato un video. C’era la pasta da mangiare in- “Unesco” del venerdì, famiglie o sieme. gruppi di amici si libro. Inoltre, E c’era la forza della farina da spiegare, perché per ogni cosa da fare tra i membri recano al centro serve la farina giusta. Dice Pino che la forza della farina è misurata in della comunità con cibarie, chitarre, libri, “weight” e serve a dare consistenza all’impasto. Per dolci, grissini e che collabora e scacchiere e biscotti va usata una farina debole, con più forza per pane, focaccia e frequenta il trasformano una centro, c’è pasta fritta. La farina comunque sempre 0 (zero), mi raccomando. serata in una festa. E Pino ha preparato le schede: una per i grissini, una per pizza e fo- l’insegnante di Tutti insieme. E caccia, una per i panzerotti e un’altra ancora per il pane. «... mai mi- un liceo che ha come se fosse la proposto uno schiare sale e lievito. Il sale il lievito lo uccide». cosa più naturale scambio del mondo, gli Essere lì con loro è un piacere, perché quelle mani che lavorano pane culturale tra gli incontri si ripetono, e grissini fanno il gesto più bello e più antico del mondo. E farlo in- studenti della italiani e immigrati sua scuola e gli sieme è meglio. Molto meglio. stanno bene studenti insieme, si guineani. Casablanca 36


Un altro Mondo è possibile Quello scambio si farà. Gli studenti italiani andranno a conoscere e frequentare ragazze e ragazzi guineani durante le giornate dedicate alla cultura italiana. I richiedenti asilo hanno un iter obbligatorio da rispettare in attesa che venga esaminata la richiesta di accoglienza e dello status di rifugiato. L’iter prevede l’apprendimento della lingua italiana e un percorso scolastico. Ottenere lo status di rifugiato però, e peggio ancora il diniego, non garantisce un lavoro né l’indipendenza economica. L’attivazione di tirocini e di borse lavoro richiede passaggi complessi, che non sempre si possono attuare in tempi utili. A Cavoretto si è scelta anche un’altra strada: il territorio. Sono andati da Pino che fa il pane e i grissini e gli hanno chiesto se aveva tempo e voglia di insegnare il suo mestiere. Pino è salito a Cavoretto con la farina, il lievito, l’impastatrice e ha insegnato a fare

il pane e i grissini. Uno degli ospiti andrà a lavorare da Pino, altri sono stati assunti in un’industria artigianale e faranno panettoni. Sono andati da Francesco che restaura lampadari d’epoca.

questa storia di accoglienza e di comunità. Di questi tempi, tristi, indecisi, sofferti e anche un po’ malinconici, una realtà bella, un fatto positivo aiuta. Aiuta perché si potrebbe ancora ripetere, perché

Francesco cercava qualcuno che lo aiutasse in bottega e non lo trovava, poi ha incontrato Moussa, che ora lavora da lui. Francesco è contento perché Moussa è bravo e ha voglia di imparare. Siamo solo a un anno dall’inizio di

c’è da raccontare senza indignarsi questa storia. Una storia che ha fatto esclamare a un docente di un’importante università americana che porta i suoi studenti in stage formativo a Torino:

«La visita al centro di accoglienza di Cavoretto è l’esperienza più bella e significativa che ho fatto a Torino negli ultimi anni». Nell’epoca di Trump il docente americano qualche speranza ce la lascia. Grazie. Grazie a Cavoretto e a chi fa in modo che tutto ciò succeda.

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Sotto il cielo di Pechino… Il mio viaggio in Cina

Sotto il cielo di

Pechino Augusto Cavadi Il cielo di Pechino, una coltre grigia che non fa intravvedere un brandello di azzurro o un raggio di sole, la lunghissima circonvallazione, le migliaia di automobili, il caos stradale, i grattacieli abbaglianti, lo sfarzo sfacciato… la miseria più nera. Le immense quantità di merci prodotte. Uomini di varia età che come somari trasportano in spalla turisti e merce varia. Visioni di altri tempi! Visioni contrastanti. Certo in Cina ci sono anche micro tentativi di autogestione, ma cosa è rimasto del comunismo di Mao? Come se la Cina stesse attraversando il socialismo per arrivare al capitalismo maturo… alla faccia di Mao e Marx. Grazie all’associazione interculturale di Palermo “Casa Officina” ho potuto realizzare – in compagnia di Adriana – un viaggio in Cina abbastanza diverso dalle mere visite turistiche. Abbiamo, infatti, toccato non solo le mete celebri, per così dire obbligatorie (dalla Città proibita a piazza Tien'anmen, dalla Grande Muraglia all’esercito dei guerrieri in terracotta di Xi’an), ma anche zone del Paese che vedevano per la prima volta degli Occidentali – infatti venivamo fotografati molto più di quanto non fotografassimo! – e anche piccole esperienze comunitarie sia di carattere pedagogico-didattico sia di carattere socio-economico.

mondo dove tutto è sproporzionato rispetto alle mie misure abituali o, per lo meno, oggettivamente colossale. Sbarchiamo a Pechino e il bus che ci preleva impiega ore per raggiungere l’albergo: già le distanze sono ciclopiche (la circonvallazione più esterna della città è di circa 900 kilometri!), cui si aggiunge il caos del traffico automobilistico (gli abitanti ufficialmente registrati sono circa

20 milioni, senza considerare i secondogeniti che per decenni non potevano essere dichiarati all’anagrafe). Ma distanze e popolazione non colpiscono quanto il numero e la mole dei grattacieli: edifici di una bellezza spesso abbagliante, che si slanciano arditamente ad altezze vertiginose che non ho mai visto in presenza (forse perché non sono mai stato a New York). Comunque popolazione e architetture di Pechino sono solo un antipasto rispetto ai 30 milioni di cittadini di Shangai e ai suoi mirabolanti edifici, tra i più alti ed eleganti del mondo. Una prima razionalizzazione del mio senso di disorientamento potrei definirla di ordine ecologico. Per decenni avevo sentito affermare, e avevo qualche volta ripetuto, che i cinesi avessero il diritto di godere delle nostre comodità e dei nostri consumi di Occidentali, ma che – quando ciò si fosse avverato – il pianeta

Se dovessi riassumere in una parola l’impressione globale – pur non avendo modo di giustificarla esaurientemente – ricorrerei a: “smarrimento”. Come mai? Il dato immediato, macroscopico, è che mi si è parato dinnanzi un Casablanca 38


Sotto il cielo di Pechino… Il mio viaggio in Cina sarebbe entrato in una fase terminale. Ebbene, dopo poche ore hai la certezza che quel momento di occidentalizzazione dell’Oriente è già arrivato: che le automobili di lusso, le moto, i condizionatori, le luci notturne per ornamento o per pubblicità sono già una diffusa, imperante, tracimante realtà. Te lo conferma il cielo di Pechino o, per essere più esatti, quella coltre di nuvole e di smog che si frappone senza fessure fra te e il cielo. Una sorta di illuminazione ti fa intuire perché molti, soprattutto fra i giovani, camminano con il viso bendato e gli occhialoni: un estremo, forse vano, tentativo di difendersi da un’atmosfera innaturale. E allora è come se vedessi, in anticipo rispetto al prossimo futuro, il panorama – surreale e inquietante – delle città che sei solito abitare. Quando il tuo sguardo si volge verso la quotidianità noti dappertutto i simboli della più sfacciata ricchezza capitalistica: ristoranti di lusso, banche di ogni genere, negozi del made in Italy, cellulari diffusi capillarmente. Non solo nei buffet degli alberghi la mattina, ma anche in tutti i locali – di media categoria – in cui siamo andati a mangiare, vengono servite al centro della tavola portate gustosissime e abbondantissime: con stupore, prima, con amarezza dopo, constato che tutto il cibo che rimane viene raccolto indistintamente in sacchi di rifiuti. In alcuni ristoranti mi dicono che servono sino a seimila pasti a ogni

pranzo: quanti chili di roba vengono gettati (spero, almeno, per nutrire animali)? Né la situazione è differente quando i turisti sono, o mi sembrano, indiani: il mio immaginario è fermo a quando in Italia raccoglievamo soldi per contrastare la carestia in quella zona meridionale dell’Asia, adesso vedo ospiti provenienti da quelle aree che, alla colazione mattutina negli alberghi, riempiono i vassoi del doppio o del triplo di quello che poi effettivamente consumano.

Di contro a tanto spreco ti aspetteresti, almeno, che ciò accompagnasse la scomparsa dei casi eclatanti di miseria. Ma non è così. Né in città grandi (dove ho visto con i miei occhi rovistare tra i cestini della spazzatura per racimolare qualcosa da rosicchiare o da succhiare) né in zone naturalistiche montuose (per i sentieri impervi della Montagna Gialla, presso Huangshan, ho visto salire e scendere uomini di varia età che trasportavano in spalla turisti e merce varia: in un caso un poveruomo – icona plastica del Nazareno sulla via del Calvario – portava sulla spalla delle travi di ferro incrociate). Un raro, rarissimo, ritratto di Mao Casablanca 39

opera come un flash e intuisci che una seconda ragione di scoramento è di ordine, per così dire, politico. Nel tuo immaginario, implosa l’Unione Sovietica e morto Fidel Castro, la Cina popolare era rimasta l’ultimo modello alternativo al capitalismo: un modello certo criticabile, imperfetto, per molti versi crudele, comunque alternativo alla dittatura del profitto ad ogni costo. Invece non c’è neppure uno Stato sociale efficiente: mi spiegano che denti e occhi vengono curati bene solo se si ha un’assicurazione sanitaria, quasi peggio che in Italia. Un ragazzo di Berna, incontrato per caso in un bar con i suoi genitori, che studia musica in Cina, frequenta i coetanei e parla bene il cinese, lo conferma senza esitazioni: «Qui non c’è un mezzo capitalismo moderato da un mezzo socialismo, c’è il capitalismo puro. Di comunista c’è solo censura e repressione, ma i giovani le sopportano sempre peggio: la Cina è una pentola in ebollizione e, se il governo non darà maggiori concessioni anche sul versante delle libertà civili, si troverà a dover fronteggiare delle rivolte destabilizzanti». Il padre, un docente di musica classica in quiescenza, aggiunge una nota interessante: «In Italia avete ancora memoria della solidarietà sociale: per questo vi fa ancora più impressione il divario fra ricchi sempre più ricchi e poveri che restano tali». Che la tanto sputtanata socialdemocrazia europea non sia riuscita a raggiungere risultati più modesti, ma effettivi e duraturi, rispetto ai progetti radicalmente rivoluzionari


Sotto il cielo di Pechino… Il mio viaggio in Cina servirebbe scivolare in discussioni con uno sconosciuto sull’attualità, o rischiare di accennare al fatto che anche qui, nella comoda e soddisfatta Hangzhou, vengono arrestati gli avvocati che difendono i diritti civili e quelli religiosi? Perché mai criticare apertamente l’amministrazione locale dicendo che sì, gli slogan per la strada dicono che Hangzhou è una città verde, ma l’inquinamento è tale che non si vede il cielo, e basta un’app del cellulare a confermarlo?». Anch’io avevo colto, qua e là, tra le pieghe di un tessuto sociale apparentemente gratificato, dei dettagli eloquenti: per esempio, sul punto di fare dono a una guida della traduzione in cinese di un di Lenin prima, di Mao dopo? Sul clima di censura trovo conferma in una corrispondenza (sul mensile “Una città”, luglioagosto 2017, p. 41) di Ilaria Maria Sala da Hangzhou, una delle città visitate anche da noi: «Ho impiegato tanto tempo a capire che questi scambi privi di qualsiasi interesse, se non quello di confermare di sapere tutti le stesse cose («Hangzhou è la patria del tè longjin! È uno dei migliori tè cinesi! Del resto, noi cinesi beviamo molto tè») sono anche del tutto sicuri. Non si corre alcun rischio a snocciolarsi addosso le specialità culinarie di ogni città, o nel raccontarsi fieri che le ragazze di Hangzhou e Suzhou sarebbero le più belle della Cina (che sia una frase piuttosto irritante ancora non è entrato a far parte della percezione comune). Ci si parla senza dire nulla, senza scoprirsi, senza esporsi, e senza doversi pentire dopo. Si resta all’interno di parametri di gentilezza e affabilità da tutti raccomandabili. È l’equivalente del parlare del tempo incontrando qualcuno in autobus o in ascensore. Ma a pensarci bene qui è un’altra cosa. A cosa Casablanca 40


Sotto il cielo di Pechino… Il mio viaggio in Cina

mio libretto sui siciliani, un mio amico cinese ha ritenuto opportuno pre-avvertirlo per tranquillizzarlo: «Puoi accettare, non c’è nulla contro il Partito né contro il Governo». Insomma, se il progetto di Marx era attraversare il capitalismo maturo per arrivare al socialismo (nell’accezione di dittatura statalista del Partito) prima, e al comunismo (inteso come abolizione dello Stato e piena autodeterminazione popolare) dopo, tutto si sta svolgendo come se la Cina stesse attraversando il socialismo per arrivare al capitalismo maturo. Con buona pace, definitiva, della meta finale comunista. Ovviamente in quindici giorni, per quanto intensi, ci si può fare un’immagine monca se non addirittura errata. Dei segnali in

controtendenza ci sono: per esempio a Shangqiu abbiamo potuto incontrare i promotori di un villaggio autogestito che, con l’incoraggiamento anche finanziario del Governo, stanno provando a costruire uno spazio di condivisione produttiva, di uguaglianza remunerativa, di pulizia ecologica e di recupero dell’antica cultura cinese. Ci è stato presentato, tra gli altri, un giovane laureato che aveva preferito vivere questa scommessa civica con 10 euro al giorno piuttosto che restare immerso nello smog e nella frenesia della città a 40 euro. Non so se si deve a questo strano mix di socialismo reale (in cui lo Stato ti assicura un lavoro, ma pretende che lo svolga con diligenza) e di capitalismo galoppante (cui conviene che tutti i cittadini abbiano un reddito Casablanca 41

mensile che gli consenta di trasformarsi da parassiti disoccupati in clienti-consumatori delle immense quantità di merci prodotte), ma un dato è evidente: gli spazi pubblici – dagli angoli delle strade ai gabinetti, dai musei ai parchi – sono gestiti a meraviglia. Ogni centimetro è affidato a un soggetto che lo deve mantenere costantemente pulito ed efficiente: per chi vive in una Sicilia dove tutto è inquinato, incendiato, ma nessuno responsabile, davvero un altro mondo! Ma forse non è il caso di scomodare le ideologie moderne: prima che comunisti o capitalisti, qui si è confuciani e si sa che il senso della vita individuale è adempiere con precisione i propri doveri e dedicarsi all’armonia del Tutto.


Letture‌ di Frontiera

Casablanca n. 50


Letture‌ di Frontiera

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http://www.lesiciliane.org/casablanca/pdf/CB33Inserto.pdf

Le Siciliane.org – Casablanca n. 50


“A che serve vivere se non c’è il coraggio di lottare?” Pippo Fava

Le Siciliane.org – Casablanca n. 50


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