25 anni - Speciale Mauro Rostagno

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f r o n t i e r a ANNO VII NUM.31 bis

Speciale Mauro Rostagno ottobre 2013


CASABLANCA N.31 Bis Speciale Mauro Rostagno 2013/ SOMMARIO

2 – Lillo Venezia Col pugno chiuso a difendere gli ultimi 4 – Paolo Brogi A Modica e a Catania abbiamo Ricordato Mauro 5 – Rino Giacalone Quel “camurria” di Rostagno 10 –…Un ricordo amaro… Sara Fagone 12 – Daniele Lo Porto Giornalismo del terzo millennio 14 – Intervento dell’Ass. Ciao Mauro a Modica e a Catania Giorgio Zacco 18 – Mauro Rostagno a 25 anni dalla sua scomparsa Graziella Proto 20 – Sonia Kazandjian “La Mafia è il contrario della Libertà”

Un grazie particolare a Mauro Biani

Direttore Graziella Proto – protograziella@gmail.com - Redazione tecnica: Vincenza Scuderi - Nadia Furnari Edizione Le Siciliane di Graziella Rapisarda – versione on-line: http://www.lesiciliane.org Registraz. Tribunale Catania n.23/06 del 12.07.2006 – dir. Responsabile Lillo Venezia

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Col pugno chiuso a difendere gli ultimi

Col Pugno Chiuso a difendere gli ultimi Lillo Venezia Per me ricordare Mauro non è facile. Ormai tante cose sono state scritte e tante dette. Il processo agli assassini di Rostagno sembra si avvii alla conclusione. Ma a prescindere da come si concluderà, l’attenzione sulla sua figura deve rimanere alta. In questi anni, tanti sono stati i tentativi per screditare l’attività di Rostagno, attraverso penosi stravolgimenti della vicenda. I primi passi delle indagini sono stati diretti nei confronti della comunità Samàn e poi direttamente sulla famiglia, sulla moglie che addirittura fu tratta in arresto di fronte alla figlia Maddalena, allora 15enne. Chicca Roveri, compagna di una vita di Mauro Rostagno, rimase in carcere poco tempo, ma quella carcerazione la segnò profondamente. Così gli inquirenti ancora prima di indirizzare le indagini verso le piste della mafia trapanese, uniche piste logiche e facilmente intuibili, provarono la pista interna di Lotta Continua. Alla sbarra oggi ci sono i mafiosi di Matteo Messina Denaro, figlio del boss Francesco, che si ritengono il mandante e gli assassini del giornalista. Mauro Rostagno è stato selvaggiamente ucciso per il suo lavoro di giornalismo di inchiesta, per avere cercato di chiarire i traffici illegali nella provincia di Trapani, un mandamento mafioso importante e strategico per la mafia. La droga,

le armi, la commistione politicimafiosi, la massoneria dello Scontrino, ma anche i suoi interventi a RTC con le mamme dei tossicodipendenti, la stessa comunità di recupero di Samàn, insomma una persona che voleva aiutare il prossimo con le armi che aveva a disposizione: la penna, la parola ed il video. Mauro Rostagno era un compagno, con il pugno chiuso, venuto in Sicilia ad ascoltare i problemi della gente e poi a mettersi al loro servizio. Come si dice oggi, stava con gli ultimi, operai, disoccupati, studenti, casalinghe. I senzatetto. Dove era necessario cercava di dare una mano, non da solo, ma con i suoi compagni e compagne di Lotta Continua. La solidarietà, l’umanità, sono sentimenti profondi e soggettivi, che Rostagno cercava di far capire a tutti noi con l’esempio ed una parola sensata. E’ giusto ricordarlo, come mi sembra doveroso ed assolutamente utile aprire un centro di documentazione con ciò che Mauro ha prodotto, per evitare l’annebbiamento del ricordo e soprattutto altri tentativi di giornalisti cosiddetti antimafiosi o magistrati illiberali che volessero riaprire una questione di falsità e di offesa nei confronti di Mauro, della sua famiglia e dei suoi

compagni. Il processo finora è andato avanti nel silenzio più assoluto. Come ha detto a Modica, intervenendo, Carmelo Maiorca, direttore dell’Isola dei cani di Siracusa, per fare informazione seria in Sicilia è necessario, anzi doveroso, creare una rete che sappia veicolare le inchieste e le notizie sul territorio, senza privilegiare il proprio orticello, ma tenendo conto della complessità delle questioni. Con

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Col pugno chiuso a difendere gli ultimi qualche convegno si è cercato di rompere un isolamento mediatico vergognoso. I giornalisti in Sicilia hanno pagato un prezzo altissimo per la loro professione, tanti morti

uccisi dalla mafia perché facevano il loro mestiere, il loro vero mestiere in un territorio oppresso e condizionato dalle organizzazioni criminali colluse con la politica.

Mauro Rostagno è stato uno di loro.

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A Modica e a Catania nel ricordo di Mauro Rostagno

A Modica e a Catania il Ricordo di Mauro Paolo Brogi A Modica l’occasione era data dal Festival del giornalismo, iniziativa della rivista “Il clandestino, con permesso di soggiorno”. La sede era giusta per ricordare alcuni tratti generali dell’eliminazione di voci scomode, giornalisti appunto, come quella di Mauro Rostagno. Comun denominatore, per tutti gli otto i giornalisti uccisi in Sicilia dalla mafia, è stato il binomio fango e mancata giustizia. Il fango innanzitutto. E cioè il modo con cui infangare fin dall’inizio l’inchiesta giudiziaria cercando di spingerla verso lati fangosi, il sesso, vicende personali, aspetti devianti. Un modo per eliminare con la persona eliminata anche tutto ciò che ha scritto e denunciato, mostrandolo come il prodotto di una persona poco attendibile. Ho ricordato allora la prima vittima di questo binomio, Cosimo Cristina, ucciso nel 1960. Impressionante è stato anche il set dell’omicidio, una strada ferrata appena fuori di una galleria a Termini Imprese (come per Peppino Impastato a Cinisi diciotto anni dopo) e l’aureola di “fallito” appioppata alla vittima, uno presentato come appena lasciato dalla donna (non era vero) e senza più lavoro (la mafia aveva premuto per farlo licenziare dalla ditta di caffè in cui lavorava, con l’attività di collaboratore per l’Ora

con le inchieste peraltro molto

incisive sui Frati di Mazzarino non avrebbe di certo potuto campare). La mancata giustizia, nel suo caso, è stata l’archiviazione frettolosa decisa dai magistrati che avevano preso per oro colato lo scenario predisposto dagli assassini mafiosi, archiviazione solo in parte compensata dalla riapertura delle indagini poi ottenuta dal commissario Mangano una volta arrivato a Termini Imerese. L’occasione è stato poi di ricordare – in particolare a Catania – alcuni paradossi delle inchieste, come quello che registra nel processo per l’omicidio di Mauro Rostagno la concorde voce di una decina di

collaboratori di giustizia che hanno indicato come mandante del delitto don Francesco Messina Denaro, il padre dell’attuale capo Matteo, il quale nell’oleificio di Castelvetrano avrebbe dato mandato ad uccidere dicendo a Vincenzo Virga di togliergli di mezzo “chiddu a varva”. E dove sta il paradosso? Nel protocollo antimafia siglato alla presenza del ministro Cancellieri pochi mesi fa a Trapani, presente il senatore Pdl D’Alì, proprio il rappresentante di quella famiglia per la quale lavorava come “campiere” don Ciccio Messina Denaro. Non è un segreto che il capomafia sia morto in un terreno dei D’Alì. Che colpa ne ha D’Alì? Nessuna certo, tanto è vero che gli hanno perfino permesso in passato di essere con Berlusconi premier sottosegretario all’Interno. Però, è inevitabile pensarlo, questo tipo di Sicilia fa davvero impressione… Il fatto che vi si celebri un faticoso processo come quello per l’omicidio di Mauro Rostagno – giunto ora alla 55° udienza e con la prospettiva di chiudere entro la fine dell’anno – induce a chiedere una maggiore mobilitazione perché l’occasione di giustizia giunta con così grave ritardo a 25 anni ormai dalla morte di Rostagno non venga sprecata.

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Quel “camurria” di Rostagno

Quel “camurria” di Rostagno Rino Giacalone Mauro Rostagno non l' ho conosciuto, non ho mai lavorato con lui, non ho condiviso con lui esperienze politiche, di lotta sociale e nient’altro di tutto quello che lui ha saputo fare, non sono destinatario o possessore di qualsivoglia eredità su retroscena del suo omicidio, non faccio nemmeno parte di quella "fiera delle vanità" che ogni tanto si allestisce attorno al suo ricordo. Occupandomi della cronaca nera e giudiziaria della provincia di Trapani, la mia bellissima terra sporcata dalla mafia, sono tante le persone che ho dovuto imparare a conoscere leggendo gli atti giudiziari riguardanti le loro morti violente. Purtroppo in questo “maledetto” elenco c’è anche Mauro Rostagno, ucciso a Lezi di Calderine, provincia di Trapani, il 26 settembre del 1988. Venticinque anni addietro. Una cosa che mi piace dire con assoluta fermezza, perché di questo sento di avere precisa certezza al di là della conoscenza e della frequentazione personale che non ci sono state, è quella che il 26 settembre del 1988 Mauro Rostagno è stato ucciso dalla mafia trapanese. Così sgombriamo subito il campo dalle miserabili storie di corna, di spacci di droga, di tradimenti

politici all'ombra del delitto del commissario Calabresi, affermando a chiare lettere che la mafia esiste e non da ora, e questo tanto per ricordare che qualcuno andava sostenendo, anche tra i magistrati di quegli anni ‘80, che il delitto Rostagno non poteva essere di mafia perché a Trapani la mafia non c’era. E invece c’era nel 1988 e anche prima, è vissuta in questi 25 anni e oggi anche se la indicano come sommersa solo chi non la vuol vedere non la vede, è una mafia che si è trasformata e si è infiltrata dentro le nostre quotidiane vite, dopo essersi tolta di torno personaggi a lei scomodi come Rostagno. Dico subito un’altra cosa. Non sono tra quelli che vedono come scenario del delitto trame oscure, intrighi, gialli internazionali, spie, traffici di armi, speculazioni internazionali. Non ho titubanza a dire che in un determinato periodo sono stato giornalisticamente dietro a queste piste, ma il processo sul delitto Rostagno cominciato in Corte di Assise a

Trapani il 2 febbraio del 2011 e tutt’ora in corso, ha sgombrato il campo da queste ipotesi. O meglio tutto quello che sembrava certo anzi certissimo di colpo si è palesato profondamente incerto. Non si vedono in modo limpido questi scenari dietro l’omicidio Rostagno ma non dico che questi traffici e queste commistioni nel trapanese non sono esistite. Anzi probabilmente esistono ancora. Quello che nel processo si è sentito raccontare a chiare lettere è il fatto che Mauro Rostagno e' stato ucciso perché non era a 100 passi dalla mafia, come fu per Peppino Impastato a Citisi, ma era a cinque passi dalla mafia. Per dirne una non campata in aria, il suo editore, il proprietario della tv dove lavorava, Rtc, l’imprenditore edile Puccio Bulgarella, era uno che mentre Rostagno leggeva i suoi editoriali nei Tg, sedeva a tavola in quegli anni con Angelo Siino il ministro dei lavori pubblici di Toto' Riina. E Puccio Bulgarella, pace all’anima sua, deceduto di recente, indagato anche lui nel delitto per false dichiarazioni al pm, più di una

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Quel “camurria” di Rostagno volta, assente Rostagno dalla redazione, andava a consigliare prudenza agli altri giornalisti, solo che questi certi ricordi non si sono accesi al momento opportuno, ma qualcuno degli ex collaboratori di Rostagno, se ne è ricordato in Tribunale quando oramai Bulgarella è scomparso e niente può più venire a dire. A Trapani in quegli anni 80, quando Rostagno faceva i suoi interventi dagli schermi di Rtc, o mandava i suoi giovani giornalisti in giro con telecamera e microfono tra la gente, quando lui andava intervistando Paolo Borsellino, Sciascia, Cimino, le madri che avevano visto i loro figli morire per droga o perché colpiti dalla

criminalità mafiosa, quando andava in Tribunale a fare le pulci al processo contro l’apparente quieto capo mafia di Mazara Mariano Agate che all’epoca aveva dato ordine ai suoi scagnozzi liberi di dare completa ospitalità al super latitante Totò Riina, la mafia trapanese a quell’epoca era ben salda, c'erano liberi i suoi più pericolosi killer che costituivano i gruppi di fuoco di Cosa nostra, i mafiosi entravano nei salotti, frequentavano le segreterie politiche, riscuotevano la quota associativa consegnata a Cosa nostra dagli imprenditori senza bisogno di tante

intimidazioni. Come ha spiegato l’ex dirigente della mobile di Trapani Giuseppe Linares, Rostagno era circondato dai lupi e i lupi lo hanno azzannato. In quel 1988 a Trapani la mafia si trasformava, i mafiosi diventavano loro stessi imprenditori, mafiosi riservati venivano eletti nei consigli comunali, entravano nei consigli d'amministrazione di società, riuscivano e riescono ancora oggi a garantire per le proprie imprese canali di pubblico finanziamento. La presenza di Rostagno a Trapani, il suo lavoro di giornalista, ovviamente suscitava preoccupazioni. Ai mafiosi non andava giù che qualcuno potesse certificare la loro esistenza. E Rostagno questo faceva. In Corte di Assise abbiamo ascoltato come lo appellava don Ciccio Messina Denaro, il patriarca della mafia del Belice, il boss di Castelvetrano che ha ceduto a suo figlio Matteo il bastone del comando. Rostagno era una camurria, sta mafia sta mafia sempre sta mafia. Mauro invece, come ha testimoniato sua figlia Maddalena al processo voleva fare solo il terapeuta di una città che preferiva non vedere non sentire e non parlare. Una città che doveva sapere custodire misteri e segreti, come quelli sulla massoneria deviata dell’Iside alla quale Rostagno aveva mostrato un certo interesse. A conoscere, a sapere molto di più. Iside 2 è una loggia concepita secondo gli schemi della P2 di Gelli. Ci sono cose che accomunano tanti dei delitti di mafia: depistaggi,

indagini sporcate (mascariate), il fatto che si trattava di persone oneste la cui coscienza civile è stata dopo la morte offesa, vilipesa; un coro sociale costituito in maniera folta da quelli che pensano che tra mafia e antimafia possa esistere una posizione terza, super partes cosa che è risultata utile a fare nascondere meglio la mano degli assassini mafiosi e quindi a far stare una parte della società dalla parte dei mafiosi. Tutto questo è successo tante volte a Trapani: per il magistrato Ciaccio Montalto, per il giudice Alberto Giacomelli, per i morti del 2 aprile di Pizzolungo quando dinanzi ai morti straziati dal tritolo di cosa nostra, il sindaco di Trapani andava dicendo che la mafia non esisteva. Nel caso del delitto di Mauro Rostagno quel coro sociale è andato anche oltre, impedendo per anni di fare luce sull’omicidio, non solo, Mauro Rostagno non ha nemmeno conquistato l’aureola di eroe, perché non doveva essere un eroe, non doveva essere ricordato a Trapani come un eroe, doveva essere dimenticato, e più in fretta degli altri morti ammazzati, doveva risultare che era stato ucciso magari per qualche schifezza, la droga, le corna, i tradimenti, le gelosie, per il suo passato che non era nemmeno oscuro ma lo si fece diventare buio. Ecco perché sono trascorsi 22 anni per arrivare al processo, perché la sua morte celebrata con quei funerali affollati doveva sparire presto dalla memoria della gente, e nella memoria della gente doveva entrare altro sul conto di Rostagno, andava anche lui “mascariato”. Perché tutto questo? Perché Trapani ucciso Rostagno doveva riprendersi la sua normalità, perché Trapani doveva riprendere ad essere tranquillo

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Quel “camurria” di Rostagno crocevia di tante cose, come era stata, intrecci tra mafia, massoneria deviata, servizi segreti italiani e di mezzo mondo, traffici di droga, armi. D’altra parte stiamo parlando della terra che oggi risulta molto accogliente per Matteo Messina Denaro, il super protetto che impersona la barbara violenza assassina e stragista, ma anche la capacità di fare impresa e di tenere i legami con la politica che conta. A Trapani ha detto qualche anno addietro il pentito Giuffrè c’erano i cani attaccati nel senso non si facevano tante indagini e sul delitto Rostagno fu così: il capo della Mobile Germanà che subito guardò alla mafia vide prevalere sulla sua tesi quella dei carabinieri cioè nulla. A leggere gli atti del processo è lungo l’elenco degli errori investigativi fatti dai carabinieri, in aula il generale Montanti all’epoca comandante del nucleo operativo è venuto a ripetere che le cartucce sovracaricate era un’abitudine dei cacciatori, anche quella di Vito Mazzara il super killer della mafia trapanese imputato nel processo per il delitto Rostagno assieme al capo del mandamento Vincenzo Virga. A processo cominciato si sono scoperte carte che nessuno conosceva, come le deposizioni di Rostagno a proposito dei suoi contatti con soggetti della massoneria trapanese. Carte che erano negli armadi dell’arma e che lì chiusi erano rimaste. Trapani doveva restare ed è rimasta

qualcosa di marginale nel panorama criminale, Trapani doveva riprendere la sua normalità in quel 1988 e oggi sappiamo il perché: oggi contro i mafiosi, anche contro i boss che restano latitanti, nei confronti di loro complici e prestanome, Procure e forze dell’ordine stanno infliggendo duri colpi, sequestri e confische di beni, si sono scoperte casseforti piene di denaro sporco di sangue, casseforti in mano ai super fidati del boss Messina Denaro. In questi 25 anni la mafia si è tolta di mezzo gli avversari,

ieri li ammazzava oggi magari riesce a farli trasferire soprattutto se si tratta di investigatori bravi, e si è arricchita. Se proprio bisogna ricordare un

passaggio del processo è quello quando a deporre è stato chiamato un ex esponente politico del Pci, l’avvocato Salvatore Maria Cusenza. Cusenza ha raccontato della Trapani di quegli anni, che non si discosta molto dalla Trapani di questi anni, dove iniziavano a mischiarsi nelle dinamiche la mafia e la politica, tanto che oggi non si coglie nemmeno più una qualsiasi linea di confine. Rostagno voleva “scuotere la città dal suo perbenismo”, “scardinare il sistema di potere antidemocratico che la governava”. “Si lavorava – ha ricordato Cusenza - ad un progetto politico preciso, l’Altra Trapani, pensavamo alle elezioni, non c’erano nomi pronti da candidare ma idee…Mauro Rostagno poteva essere il candidato sindaco…poteva diventare il sindaco di Trapani”. Allora come oggi il nodo a Trapani resta l’informazione. A Salvatore Cusenza è stata fatta anche la domanda su come l’informazione locale affrontava il tema della mafia: “La più coraggiosa era Rtc ma in quella stagione così tragica tutti si occupavano di mafia, il punto di differenza – ha detto - era determinato dal ragionamento su quanto accadeva che veniva fatto da Rtc e da Rostagno”. Quando fu ucciso Mauro Rostagno stava preparando una nuova trasmissione “Avana “ doveva essere il titolo, aveva registrato già la sigla, aveva già un menabò pronto. Nel processo in corso a Trapani è

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Quel “camurria” di Rostagno entrata per volontà della parte civile, attraverso l’avv Carmelo Miceli che rappresenta Chicca Roveri e Maddalena Rostagno, una mole di carte, appunti, fotocopie di articoli, gli argomenti evidenziati erano relativi alle mafie ed ai mafiosi, ai traffici di armi, agli intrighi della massoneria, in quelle carte Rostagno aveva scritto la mappa allora impronunciabile di Cosa nostra trapanese, c’erano nomi che già dicevano qualcosa o altri allora sconosciuti e che si scoprirà poi essere parte del gotha mafioso. Tra le carte reportage sul conto di Licio Gelli, gli articoli sullo scandalo della ricostruzione nel Belice dopo il terremoto, articoli su un faccendiere diventato famoso da quegli anni in poi, Aldo Anghessa, un soggetto trovato socio in traffici di armi con mafiosi trapanesi e su un imprenditore palermitano blasonato, il conte Cassina il cui cognome conduce al potente Vito Ciancimino, e poi sulle banche e sui “soldi della mafia”, a Trapani regnava la Banca Sicula dei D’Alì il sottosegretario all’interno nel 2001 e che aveva già in quel 1988 i Messina Denaro come propri campieri. C’era segnato il nome di un ministro, Vittorino Colombo con un trattino e poi scritto Castelvetrano. Ancora il nome di un altro ministro Aristide Gunnella, di massoni trapanesi e palermitani come Pino Mandalari il commercialista di Riina. Nomi, fatti circostanziati, rileggendo editoriali e appunti di Rostagno sembra leggere la cronaca di oggi sulla mafia di Matteo Messina Denaro. Non è un caso che l’ordine di morte partì proprio da Castelvetrano, da un giardino di aranci in un terreno di Francesco Messina Denaro dove si svolse il summit per decidere la morte di Rostagno. Ecco il processo una cosa l’ha già

assodata, questo patrimonio di conoscenza per 22 anni è stato ignorato e calpestato, si è perduto tempo a cercare chiavi di casseforti, fax, ci si è chiesti perché Rostagno avrebbe dovuto avere dei dollari dentro la sua borsa al momento del delitto, i dollari non c’erano, c’era un’agenda che invece non si è più trovata. Ma di questo non si parla, hanno cercato per anni una vhs. Il processo in corso non è un processo che individua gli imputati per via del movente. Il movente non c’è a dibattimento, c’è su questo un’indagine stralcio in corso. Ci sono imputazioni che derivano da circostanze precise. Contro Vincenzo Virga le accuse di collaboratori di giustizia che dicono che l’ordine di uccidere Rostagno arrivò a Virga da Francesco Messina Denaro. Contro Vito Mazzara la comparazione del modus operandi dei killer che a cominciare dall’uso di cartucce sovracaricate e prodotte in modo artigianale, si sovrappone alle scene di altri delitti di mafia per i quali Vito Mazzara sconta condanne definitive all’ergastolo. Ma il movente si può scorgere lo stesso. Mauro Rostagno è morto perché dava fastidio a Cosa nostra hanno raccontato i pentiti. Perché in un modo o in un altro i suoi interventi dagli schermi della tv locale Rtc erano carichi di sfida contro la mafia, di ironia, ma non solo, anche disprezzo, irrideva un sistema politico che si faceva facilmente corrompere e che lasciava le città in abbandono. Veniva attaccata quella politica che parlava con la mafia e con la massoneria che funzionava da stanza di compensazione. E invece il delitto Rostagno per 22 anni è rimasto qualcosa di vago, la pista della mafia è finita «sbeffeggiata», gli interventi in tv di Rostagno

contro mafia, massoneria, politici corrotti sono rimasti non considerati, i carabinieri che indagavano hanno detto che mai erano andati a sentirsi le registrazioni. Come fu deciso di ucciderlo, lo ha raccontato Angelo Siino il cosiddetto ministro dei lavori pubblici di Totò Riina. Stiamo parlando di verbali del 1997. Don Ciccio Messina Denaro era parecchio arrabbiato: Puccio Bulgarella, imprenditore ed editore di Rtc, non solo era in «debito» nel pagamento del «pizzo» per alcuni lavori ottenuti in appalto, «la classica messa a posto» spiegò Siino, ma era pure il proprietario dell’emittente televisiva che ospitava gli interventi di Rostagno. Siino ha detto di avere parlato a Bulgarella questi si era difeso dicendo che Rostagno era un cane sciolto, difficilmente controllabile. Quando il delitto viene commesso accadde che durante una riunione di mafia a Mazara qualcuno chieda a Mariano Agate perché Rostagno era stato ucciso la risposta fu, questione di corna e da allora il movente per tutti doveva essere questo. Ed è stato questo. E ancora oggi in Corte di Assise la difesa degli imputati prova a fare rientrare nel dibattimento questo tam tam. Altro che corna. In quel 1988 la mafia aveva fatto balzi in avanti enormi, nel processo questo è venuto a dirlo il capo della mobile Giuseppe Linares che nel 2008 riaprì le indagini fermando la richiesta di archiviazione che i pm a Palermo erano pronti a firmare. Nel 1988, ha ricordato Linares, era libero il gotha non solo trapanese ma anche siciliano di Cosa nostra, ed i gruppi di fuoco erano bene operativi. Mentre crescevano gli affari e le alleanze, la mafia diventava un tutt’uno con

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Quel “camurria” di Rostagno l’imprenditoria e la politica, il territorio veniva assalito dalle speculazioni che nessuno ostacolava, la gestione dei rifiuti, il mercato dell’acqua sono diventati e restano affari per fare grande lucro. A Trapani si parlava poco di mafia. Rostagno aveva rotto l’andazzo, “era un giornalista fuori dal coro” ha detto l’ex capo della Mobile. “Rostagno era circondato dai lupi e i lupi lo hanno azzannato”. Linares ha ricordato come già “nel rapporto della Mobile del 1988 venivano citati gli editoriali di Rostagno sui cavalieri del lavoro di Catania, interessati a lavori pubblici eseguiti a Trapani, lui ne parlava senza che ancora la magistratura avesse fatto nulla, i riscontri giudiziari arriveranno anni dopo il suo assassinio”. Tra gli editoriali finiti nel processo ce ne è uno emblematico, “qualche mio caro amico mi ha consigliato di abbassare i toni perché questo lavoro rischia di fare male alla Sicilia e alla comunità, io continuo a pensare e a dire che la migliore pubblicità che si può fare alla Sicilia è quella di affermare che la mafia va abbattuta”. Quando fu ucciso Rostagno ci furono sindaci che non ne volevano sapere di occuparsi dei funerali, la sera del 26 settembre 1988 il Consiglio comunale di Trapani era riunito e il delitto non fermò i lavori. Ultimo atto del processo prima della pausa estiva è stato quello di far tornare a testimoniare Chicca Roveri la compagna di Mauro Rostagno. Poco prima il conferimento di un’ulteriore perizia dopo che la super perizia balistica non ha sciolto i dubbi a proposito delle responsabilità del killer Vito Mazzara. Questo processo non è diverso dagli altri perché

la nostra normativa penale relativa alla celebrazione dei processi è una norma che con l’andar del tempo è stata condita da grandi “aggiustamenti” che hanno introdotto un garantismo per gli imputati che se corretto nelle sue basi originarie via via è diventato sempre di più esasperato ed esagerato, e oggi succede che le vittime del reato, i familiari che si costituiscono parte civile, finiscono quasi col diventare gli “imputati” per i quali è stata scritta una sentenza di condanna. Per le vittime oggi le norme processuali non riservano aspetti di garantismo. L’imputato senza risorse è difeso a spese dello Stato. La vittima parte civile senza risorse non ha alcuna forma di aiuto. Chicca Roveri si è ritrovata dinanzi i difensori degli imputati che le hanno fatto domande sui rapporti personali tra lei e il suo compagno. A Chicca Roveri è stata chiesta ragione degli assegni che firmava e consegnava agli addetti alla Saman, lei ha spiegato che erano assegni che servivano alla gestione della comunità, che venivano presi, portati in banca e monetizzati, e tra i beneficiari di quegli assegni sono usciti i nomi di coloro i quali nel tempo sono stati accusati di potere avere ucciso Rostagno, o che sono stati indicati come “amanti” della stessa Chicca, tanto amanti da meditare e

compiere il delitto: “Con due milioni non si paga un sicario” ha risposto ad un certo punto, risentita Chicca Roveri, all’ennesima domanda delle difese…”. “Oggi ho detto che Trapani è una città bruttissima, oggi ho detto che mi facevano domande stupide, oggi ho detto che Marrocco e Cammisa non sono morti e che le domande le potevano fare a loro, volevo dire che è sempre facile per i maschi infierire sulle donne. Oggi mi sono state rifatte le stesse domande sul mio rapporto d’amore con Mauro da persone così lontane da noi, dalla nostra visione del mondo, che pensano che avere 2 stanze vuol dire non amarsi. Oggi è stata una bruttissima pagina della nostra disgraziata Italia, fatta di persone che ci vengono a fare la morale e difendono mafiosi”. Questo lo sfogo finale che Chicca Roveri a fine udienza ha fatto fuori dall’aula. Il 26 settembre del 1988 Mauro Rostagno è stato ucciso dalla mafia trapanese. 14 giorni dopo l’omicidio a Trapani del giudice in pensione, Alberto Giacomelli che anni prima aveva confiscato una proprietà di Riina, 24 ore dopo il delitto di un altro giudice a Caltanissetta, Antonio Saetta, che doveva presiedere il maxi processo di appello. Insomma Rostagno è stato ucciso mentre dinanzi a quelle e ad altre morti si diceva che la mafia non c’era. Il protagonista di questa storia non è morto, è vivo, vive con noi, con chi vuole vedere la mafia battuta e l’emarginazione sociale sconfitta, le povertà annientate, l’informazione libera e la democrazia e la libertà restare inviolate.

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…Un ricordo amaro…

…Un

ricordo amaro…

Sara Fagone Ricordare Mauro Rostagno e altri giornalisti vittime del sistema mafioso e non, lascia sempre un retrogusto amaro. Amaro che non passa a distanza di molti anni per tante ragioni. La prima è molto semplice: non dovrebbe mai accadere, perché chi fa il proprio dovere, e non tutti lo facciamo, alla prima minaccia, deve essere difeso realmente, dalle istituzioni e dalla cosiddetta società civile. Non soltanto partecipando poi in massa al loro funerale. Ma l’amaro più grande è il fatto che tutti coloro che sono diventate vittime dell’onestà con cui hanno portato avanti il proprio mestiere, molto raramente avranno giustizia, e se l’avranno dopo decenni. Ancora oggi ci sono casi non risolti risalenti a moltissimi anni fa. Nei cosiddetti omicidi di mafia, quasi sempre, le indagini vengono depistate, (“questioni di femmine”, terrorismo, incidenti casuali) e spesso le vittime in un primo momento vengono dipinte come criminali o quasi. L’amaro resta anche perché le connivenze sono talmente intrecciate che è difficile ridurle al solo potere politico. Associazioni criminali, pezzi del mondo economico, politico, istituzionale, servizi segreti paralleli; sono quel maledetto “sistema” che esiste a prescindere dal colore del governo e che ancora oggi decide le sorti del nostro Paese e di noi tutti, un sistema talmente radicato che il

potere politico, quando non è colluso, fa finta di non vedere. Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Beppe Alfano, Cosimo Cristina, Pippo Fava, Mauro De Mauro o magistrati come Falcone, Borsellino, Livatino, Scopelliti e tanti altri, imprenditori come Libero Grassi, parroci come Don Puglisi o Diana; sono diventati eroi solo perché sono morti. In realtà sono persone che hanno avuto un forte senso del dovere, che creduto fortemente in quello che portavano avanti, alla loro dignità di persone e di professionisti, di servitori dello stato. Ricercare e scrivere la verità, come pure fare indagini considerando gli imputati tutti uguali di fronte la legge, o non pagare il pizzo semplicemente perché è illegale nonché una sopraffazione, non è un atto eroico è la normalità di comportamento che ciascuno di noi dovrebbe tenere nel quotidiano. Io sono sicura che loro per primi non avrebbero voluto essere considerati eroi o rivoluzionari. Una vera rivoluzione, che non sia soltanto la sostituzione di un sistema o di un potere non si fa con atti di forza ma solo dentro di noi. L’essere coerente con il proprio pensiero traducendolo in azioni, fare bene il proprio lavoro, e persistere costantemente senza lasciarsi ingannare dall’ormai diffuso “tanto non cambia nulla”, “fanno tutti così”, “ma chi me lo fa fare”. Questo è il vero atto eroico, nel nostro tempo e che ci rende liberi.

Ciascuno di noi nel proprio piccolo nella vita quotidiana, nel proprio lavoro può cambiare quelle pratiche diffuse che sono le piccole connivenze o ambiguità che chiamano la “nostra cultura”, che molti considerano parti nel nostro DNA. La nostra correttezza e intransigenza verso queste forme di piccole connivenze nel tempo risulterà “la rivoluzione”, e questo esempio abituerà le giovani generazioni a tenere naturalmente, un comportamento esemplare, restituirà la dignità a questo popolo siciliano. Ciò nonostante è doveroso e utile ricordare i morti per mano della mafia, non solo per non dimenticare ma soprattutto per cementificare sempre più in noi, l’importanza del senso civico che deve essere normalità e non atto eroico. Bisognerebbe far conoscere i fatti, gli antefatti e le conclusioni dei processi, quando ci sono, nelle scuole, nei corsi di catechismo. Far maturare nelle nuove generazioni, reazioni di indignazione e di rabbia verso le ingiustizie, le sopraffazioni, le vessazioni, reazioni queste ormai rare, invece, nella mia generazione, che ha assunto un’insana rassegnazione verso ogni forma di illegalità. Infine la rabbia per come molto spesso le indagini vengono depistate ci deve portare tutti alla ricerca della verità senza mai mollare, perché quello che è accaduto continua ad accadere e possiamo tutti restarne vittima.

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Giornalismo del terzo millennio

Giornalismo del terzo millennio Daniele Lo Porto E’ un onore e provoca una grande emozione essere presente in un convegno per ricordare Mauro Rostagno. Ringrazio il collega Lillo Venezia, la testata Casablanca, la Cgil per avere voluto coinvolgere l’Associazione siciliana della stampa, che rappresento al posto del segretario regionale Alberto Cicero, che è fuori dalla Sicilia per impegni personali e vi chiede di scusarlo per la sua assenza. Più e meglio di me altri ricorderanno la figura di Mauro Rostagno, che come altri giornalisti vittime della mafia fu isolato da vivo e delegittimato da morto. Stessa sorte hanno avuto Mario Francese, a Palermo, Beppe Alfano a Barcellona Pozzo di Gotto, Pippo Fava a Catania, solo per ricordare alcuni cronisti uccisi, in contesti storici diversi ma accomunati da situazioni analoghe. Per Rostagno, come per Fava, ad esempio, le indagini sono state condotte in modo “strano”, indirizzate su piste e moventi personali poco credibili, intralciate da depistaggi e errori di

valutazioni, non sapremo mai con certezza se per imperizia o per dolo. Mauro Rostagno fu ucciso 25 anni fa, nella provincia di Trapani, marginale, in termini geografici, rispetto a Palermo e alle grandi vicende di mafia, ma in realtà allora, come adesso, al centro di grandi intrighi, dove cresceva quello che adesso è ritenuto il boss incontrastato di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, il più pericoloso dei latitanti. Trapani, allora, era una sorta di zona franca, di area grigia, dove si mescolavano interessi e strategie criminali, di lobby nascoste all’ombra della loggia massonica Scontrino, delle cellule ormai decadenti della struttura Gladio e di strutture dei servizi, della criminalità organizzata. In Sicilia orientale cadevano vittime eccellenti, come i magistrati Alberto Giacomelli e Gaetano Saetta, mentre a Catania e nel Messinese cadevano a decine i picciotti di una guerra di mafia feroce che per diversi anni fece registrare, nella sola provincia etnea, oltre cento

omicidi. E’ un contesto, quindi, nel quale era difficile fare il giornalista, difficilissimo fare giornalismo investigativo e di denuncia, come Mauro Rostagno. Ma se ieri era difficile, oggi è praticamente impossibile scrivere inchieste, approfondimenti, “scoperchiare le pentole” degli affari sporchi. Il giornalismo è cambiato, la tecnologia invece di migliorarlo lo ha distrutto. L’unica qualità che sembra essere richiesta a un operatore dell’informazione o a una testata è la tempestività. Internet, i cellulari di ultima generazione, i tablet, lo streaming permette di dare le notizie in diretta, in tempo reale, senza alcuna mediazione e analisi. L’evento va in diretta e questo sembra bastare. I giornalisti d’inchiesta sono fuori moda: costano e richiedono tempo per poter lavorare bene. Ormai anche le grandi testate si limitano a pochi servizi d’inchiesta e quando lo fanno danno la sensazione di essere interessati solo a colpire l’avversario politico od

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Giornalismo del terzo millennio economico. Non scrivono per i lettori, ma per tutelare i propri interessi. Su Mauro Rostagno, proprio grazie alla caparbietà di un cronista di “provincia”, si sta riaccendendo la luce, la luce della verità storica e processuale, in un’aula di tribunale che si vorrebbe tenere in penombra. L’Associazione siciliana della stampa è parte civile nel processo contro gli esecutori e mandanti dell’omicidio di Rostagno. Alla sua memoria si vorrebbe dedicare una Fondazione e credo che i giornalisti siciliani, per primi,

con Ordine e Sindacato in testa vorranno dare il loro contributo in termini di attenzione professionale, di tensione morale, di partecipazione civile. Stasera sono onorato di trovarmi in questo contesto, di ricordare un eroe della nostra professione, ma domani tornerò a confrontarmi con le difficoltà di colleghi che scrivono per 3 euro a pezzo e sperano di avere qualcosa alla fine del mese che ripaghi le loro fatiche, senza garanzie sindacali, contrattuali, professionali. Storie di umiliazioni quotidiane e di miserie croniche: a questo è ridotto il giornalismo del terzo millennio.

“Io ho un concetto etico di giornalismo. Un giornalismo fatto di verità, impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo si fa carico di vite umane. Un giornalista incapace, per vigliaccheria o per calcolo, della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori che avrebbe potuto evitare, le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze, che non è stato capace di combattere.” Giuseppe Fava

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Intervento dell’Associazione Ciao Mauro…

Intervento dell’Associazione Ciao Mauro a Modica e a Catania Giorgio Zacco Che Mauro Rostagno fosse una vittima di mafia era evidente a tutti i cittadini trapanesi e siciliani, sin dal primo minuto dopo il Suo omicidio. Il dubbio che così non fosse, non ha mai sfiorato le menti di tutti quelli che vivono in terra di mafia, ed, in particolare, chi, giorno dopo giorno, seguiva l’attività di Mauro giornalista alla televisione. Tradizionalmente l’Associazione

aperti,racconta la triste vicenda umana del figlio tossicodipendente. Per mostrare quando, con garbo ed ironia, ribatteva alle affermazioni di un potente socialista, oppure quando ridicolizzava alcuni boss democristiani. Per Mauro il consiglio comunale di Trapani era “palazzo D’Alì e i 40 ladroni”. E i boss mafiosi come Mariano

che abbondava nelle strade non erano fatti minori, ma si trattava di cose che avevano lo stesso rilievo di un fatto di cronaca, di una notizia di giudiziaria, oppure di cronaca politica. Questa cosa l’aveva ben spiegata nell’ultima intervista rilasciata a Claudio Fava, quando dice che questo modo di fare “sociologicamente si chiama primato dell’esistenziale sul

Ciao Mauro apre le sue iniziative pubbliche con la proiezione di un video in cui sono stati montati alcuni pezzi significativi dei telegiornali condotti da Mauro, per mostrare una sintesi della sua attività. Per mostrare come Mauro usciva fuori dal suo ruolo professionale abbracciando Saveria, la mamma dell’agente Antiochia ucciso dalla mafia. Per mostrare la sua partecipazione emotiva al dramma di Giuseppina, la quale, a microfoni

Agate, filmati nel corso del processo a loro carico, venivano mostrati con le espressioni di uomini comuni, demistificando il loro potere. Insomma Mauro, pur parlando di cose di cui si occupavano anche altri giornalisti, lo faceva in un modo diverso, un modo irriverente, musicale e non autoreferenziale. Mauro metteva le persone al centro della notizia. Trattava tutte le questioni con lo stesso rilievo. L’acqua che mancava nelle case o la munnizza

teorico”. In realtà questo modo di fare dava consapevolezza e fiducia ad una comunità disgregata. I cittadini trapanesi, affascinati dal modo di comunicare di Mauro, si riconoscevano nelle sue denuncie e acquistavano fiducia nella possibilità di un cambiamento, nella possibilità di uscire da un problema in modo collettivo. Tutto ciò era intollerabile per il potere politico-mafioso locale, e per questo Mauro andava eliminato.

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Intervento dell’Associazione Ciao Mauro… Tutti i cittadini trapanesi alla morte di Mauro erano sconvolti, ma non certamente sorpresi. I ragazzi di allora sono cresciuti sentendo dire ai loro genitori: “a chissu oggi o domani l’ammazzano”. I ragazzi di allora hanno raccontato questa vicenda ai loro figli, i quali, a loro volta la stanno raccontando ai nipoti. Mauro è stato vissuto dai trapanesi come un eroe laico positivo, un amico, un familiare, una persona da ricordare con tenerezza ed ammirazione, per il suo rigore etico e per la sua pulizia morale. La partecipazione popolare ai suoi funerali è stata enorme. In città non si ricorda un’altra occasione in cui fossero presenti tante persone.

Questo ricordo di Mauro non è stato mai scalfito negli anni successivi, quando, nella totale assenza di indagini da parte degli inquirenti, si succedevano le ipotesi più diverse e fantasiose. Quella della pista interna alla comunità Saman che coinvolgeva Chicca, quella degli amici di Lotta Continua, o quella più subdola del traffico di armi svolto da servizi, non si sa se deviati o meno. Tutte piste che assolvevano da questo delitto la mafia, a cui si sarebbe dovuto chiedere scusa, come ebbe a dire il Procuratore Garofalo.

Ecco la ragione del successo della la divisa che portano. raccolta di firme che abbiamo Il processo ha messo in luce come organizzato nel 2007, e che è stata la Procura di Trapani di allora, indispensabile supporto agli dopo poche ore dall’omicidio, inquirenti che volevano concludere esautorò dalle indagini il Capo questa indagine infinita, lunga della Squadra Mobile Germanà, il oltre 20 anni. quale aveva avuto il torto di Ed ecco la ragione del successo indicare la pista mafiosa e di della “passeggiata” con cui mettere in campo un minimo di abbiamo accompagnato attività investigativa in quella Maddalena alla prima udienza in direzione. Tribunale. Stiamo parlando della Procura di Il processo in corso da oltre due Trapani, allora diretta dal anni e mezzo, ha disvelato diverse Procuratore Coci, il quale ebbe cose, prima fra tutte che le l’ardire di affermare indagini svolte nell’immediatezza pubblicamente che a Trapani la dei fatti, furono lacunose e mafia non c’era, e che la riprova di approssimative. questo fatto era che il suo ufficio La fase iniziale del processo ha non aveva in corso alcuna indagine confermato quanto dicevamo da di mafia. Come non associare tempo, e cioè che errori, questo ragionamento alla vecchia cialtronerie e depistaggi storia del “non vedo”, “non sento”, avevano caratterizzato le non parlo”? indagini svolte nelle prime Nel corso del processo i pentiti che settimane e nei primi mesi hanno testimoniato, hanno dopo l’omicidio. descritto il modo in cui si è giunti In tribunale abbiamo alla decisione di eliminare Mauro, sentito il Generale del modo in cui si sarebbe svolto Montanti, allora Capo del l’omicidio e di chi avrebbe potuto Nucleo Operativo dei commetterlo. Carabinieri, il quale aveva Tutto questo con la certezza la responsabilità delle dell’impunità, perché, come hanno indagini, affermare cose detto, “a Trapani avevamo i cani contraddittorie e, spesso, attaccati”. senza senso alcuno. Lo Dall’analisi degli appunti di abbiamo sentito scaricare le sue Mauro che fanno parte dei enormi responsabilità sulla fascicoli processuali e di alcune Procura, definendo se stesso un testimonianze, è stato disvelato il “passacarte di lusso”. modo in cui veniva gestito il Abbiamo sentito il luogotenente potere in città e in tutta la dei carabinieri Cannas, il quale provincia. Attraverso un gioco veniva indicato dai suoi superiori sapiente di atti violenti, come la punta di diamante degli corruzione, minacce e investigatori trapanesi, trasferimenti di funzionari comportarsi come se lui fosse di pubblici, spesso mascherati da passaggio in quel nucleo promozioni o da delegittimazioni operativo, scaricando tutte le sue pilotate, il potere politico-mafioso responsabilità di indagini non fatte utilizzava come camera di o fatte male, sui suoi superiori. compensazione la loggia Abbiamo assistito ad uno squallido massonica deviata “Iside 2”, su cui gioco di scaricabarile, che non può Mauro aveva tanto lavorato. far altro che apparire quanto meno Negli ultimi mesi gli avvocati disonorevole per loro e per 1- Paolo Brogi

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Intervento dell’Associazione Ciao Mauro… della difesa hanno tentato di riaccreditare tutte le ipotesi diverse da quelle dell’omicidio mafioso. Il Tribunale, con tanta, forse troppa, tolleranza, lo ha consentito. Noi di Ciao Mauro, che non siamo operatori del diritto, non siamo in grado di valutare se sia una cosa corretta, ma pensiamo che, tutto sommato, l’atteggiamento tollerante del Tribunale abbia consentito a tutti di verificare l’inconsistenza di queste piste, diciamo così, non mafiose. Sono state delle udienze decisamente inutili e ripetitive, peraltro ancora non del tutto terminate, ma è importante sottolineare che grazie all’atteggiamento del Presidente

Pellino e del giudice a latere Corso, se ce ne fosse stato bisogno, l’onore è già stato restituito ai familiari di Mauro, a Chicca in particolare, agli amici di Lotta Continua e a tutti quelli che hanno fatto un pezzo di cammino insieme a Mauro nel corso delle sue diverse vite. La sentenza metterà fine al balletto dei depistaggi giornalistici, e certificherà, con il sigillo dei Tribunali della Repubblica, che Mauro è una “vittima di mafia”, come il comune sentire della nostra comunità ha costretto le istituzioni a scrivere sulla orrida stele posta sul luogo dell’omicidio.

Chi si avvicina a questa storia con la necessaria onestà intellettuale e ha voglia di comprendere le vere ragioni per cui Mauro non è più tra noi, dovrà innanzitutto dedicare la necessaria attenzione al processo in corso, e dovrà impiegare alcune ore del proprio tempo per guardare alcune trasmissioni di approfondimento fatte da Mauro. Come probabilmente è noto, la televisione di Mauro -RTC- senza Mauro continuò a vivere per un po’ di tempo, ma poi fallì miseramente, sepolta dai debiti e dalle malefatte del suo proprietario. Un nuovo proprietario rilevò il capannone e quanto in esso era contenuto all’asta fallimentare, comprese le registrazioni dei programmi di Mauro. Tempo dopo la sorella Carla riuscì ad entrare in possesso di gran parte di questo materiale, il quale in questi anni è stato restaurato e digitalizzato, e alcuni mesi fa è stato consegnato alla Corte e, pertanto, adesso fa parte degli atti processuali. Tra questo materiale ci sono interviste fatte in esterno molto interessanti, fra queste quelle a Paolo Borsellino e a Leonardo Sciascia, ma anche alcuni speciali, spesso molto lunghi, insieme a Marcello Cimino, a Claudio Fava e ad alcuni componenti della commissione “problemi dello stato” del PCI di allora, quando ancora funzionava (tra questi Salvatore Cusenza e Ino Vizzini), nel corso dei quali venivano analizzati i più recenti omicidi di mafia come quello del sindaco Lipari, le risultanze delle indagini e dei processi in corso in quel

momento, insieme ad alcune recenti sentenze. Si tratta di un lavoro giornalistico straordinario, perché Mauro, insieme ai suoi ospiti, delineava compiutamente alcune ipotesi sui nuovi scenari degli assetti mafiosi intervenuti dopo la guerra di mafia scatenata dai corleonesi, descriveva i nuovi rapporti tra la mafia catanese e quella trapanese, i rapporti con il mondo dell’economia e degli appalti, nonché le sinergie con il sistema della politica che dominava gli enti locali, la regione e i rapporti con il governo nazionale. Molte di queste anticipazioni sono risultate corrette alla luce di quello che è stato appurato, anche giudizialmente, negli anni successivi. Non bisogna essere dei brillanti investigatori per comprendere le ragioni della necessità di eliminare Mauro, se si coniuga quanto è stato appurato sin qui dal processo, con un’attenta visione del suo lavoro giornalistico. Mauro andava eliminato perché faceva “inchiesta”, perché aveva compreso, o quantomeno intuito, delle cose che non dovevano essere svelate, ma andava eliminato soprattutto perché lui le divulgava in un modo che sollecitava la reazione dei cittadini. In una parola sola la sua attività in televisione, come anche in comunità, era la continuazione ideale di tutto ciò che aveva fatto nelle sue vite precedenti e, di conseguenza, “poteva fare danno”. Ovviamente queste considerazioni non possono bastare per giungere ad una condanna penale; il Tribunale ha, infatti, il compito di analizzare prove e fatti, deve valutare responsabilità personali. Peraltro siamo fermamente consapevoli del fatto che il processo, come molto spesso

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Intervento dell’Associazione Ciao Mauro… accade, purtroppo non ci darà una verità vera. Abbiamo però la certezza, anche mettendo in fila quanto è accaduto sin qui nel processo, che la sentenza ci consegnerà una verità storica e politica importante. Mentre la responsabilità del capo mandamento mafioso di Trapani, come mandante dell’omicidio su incarico della cupola provinciale, appare piuttosto scontata, anche per sua stessa affermazione, almeno in relazione al suo ruolo, per quanto riguarda la responsabilità di uno degli esecutori materiali, essa è affidata alle perizie e super-perizie balistiche che si stanno svolgendo. Non vogliamo sminuire l’importanza dell’esito di questo processo e di quelli dei gradi superiori che probabilmente lo seguiranno. Ma quello che a noi appare chiaro è che, al di là dell’esito

processuale, con questa sentenza ci verrà consegnata la verità storica e politica su questo omicidio e sul contesto all’interno del quale esso è maturato. Su questa verità storica e politica

la nostra comunità potrà costruire la sua memoria; e il riconoscerci su una verità storica e politica condivisa, ci aiuterà a fare le scelte necessarie per compiere il nostro cammino di liberazione dalle mafie e dalle criminalità economiche. Compito del’associazionismo e della società civile e responsabile trapanese sarà quello di fare vivere questa memoria tra i cittadini, rendendola fruibile. Dovremo parlarne, scriverla e documentarla. Dovremo offrirla alle arti come fonte di ispirazione e di impegno sociale e civile, affinchè diventi teatro, cinema, ballata popolare, “cuntu” e, perché no, poesia, pittura ed altro. Dovremo, infine, costringere la politica politicata a fare ciò che si deve fare per il bene comune, ma questa è un’altra storia, seppure sappiamo tutti che così non è.

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Mauro Rostagno a 25 anni dalla sua scomparsa

Mauro, un uomo, un compagno Graziella Proto Era la sera del 26 settembre del 1988. Sulla strada che dalla redazione della piccola emittente privata RTC porta alla sede di Saman un lampo nel buio, tre fucilate calibro 12. e Mauro Rostagno muore. E’ stato ucciso così dalla mafia trapanese. Una mafia intrecciata con Gladio, Iside 2 e P2, esercito, servizi segreti deviati. Una specie di filo rosso che arriva ai giorni nostri e che interseca fatti gravissimi dall’attentato a Carlo Palermo finito con la morte dei due fratellini Asta e la loro mamma, a Ilaria Alpi, il traffico internazionale di armi. Tutte cose che Mauro dal suo notiziario televisivo denunciava in maniera irreverente e particolareggiata. Al processo in atto a Trapani (dopo 20 anni), è venuto fuori che ogni tanto il proprietario dell’emittente Puccio Bulgarella di nascosto a Mauro “consigliava” ai ragazzi di lasciar perdere. Lo stesso era in ottimi rapporti con esponenti mafiosi del calibro di Siino. Ma fino a quando è morto nessuno ne parlava, ricordava…Non solo, l’imprenditore datore di lavoro di Rostagno chiamato a testimoniare pare che abbia fatto false

dichiarazioni. Quel giorno alla sede dell’emittente Mauro aveva passato tutto il pomeriggio per preparare il notiziario del giorno successivo e dopo, assieme ad un’ospite della comunità si stava recando a casa, alla Saman in località Lenzi. La borgata quella sera era al buio. Stranamente, non tutta la borgata, ma solo la zona in cui è avvenuto l’omicidio. Un cortocircuito dissero, e l’Enel si premurò a mandare il loro tecnico. Si trattava di Vincenzo Mastrantonio, autista del boss Vincenzo Virga. Il tecnico-autista Mastrantonio fu ucciso pochi mesi dopo l’omicidio Rostagno. Parlava troppo.

Raccontava cose che non doveva raccontare. Tutti ascoltavano, nessuno si insospettiva, incuriosiva, faceva partire indagini. Ma perché Mauro è venuto in Sicilia? Cosa cercava? Una ricerca di tranquillità? Serenità? Nuova tensione ideale dopo le delusioni politiche e i dispiaceri personali? Secondo la figlia Maddalena avrebbe voluto fare solo il terapeuta ma grazie alla piccola televisione privata Mauro ritrovò la curiosità. Sociale e politica. Lui e i suoi collaboratori girano, osservano, guardano e vedono cose che altri non riescono a vedere. Uno sguardo indiscreto. Un racconto irriverente. Interviste impertinenti. Immagini buttate sullo schermo. E Mauro espone, spiega, commenta. Denunce approfondite e documentate, segnalazioni di fatti e di persone, accuse e chiamata in causa di amministratori o faccendieri che eludevano o abusavano. A Trapani era arrivato un forestiero che informava la gente su tutto ciò che succedeva nella loro terra, sotto i loro occhi. In

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Mauro Rostagno a 25 anni dalla sua scomparsa quel periodo, a Trapani e dintorni si fa del buon giornalismo grazie ad un giornalista che in tasca non ha il tesserino ma sa come si fa questo mestiere. Mafia, mafia, ma che camurria … brontolava il capo assoluto di cosa nostra Francesco Messina Denaro hanno raccontato recentemente i pentiti al processo in atto a Trapani. Mafia, mafia, sempre sta mafia ovunque, dappertutto, ma… a Trapani la mafia non esiste… infatti, fino a quel momento quasi nessuno del luogo ne aveva parlato, qualcuno con poca chiarezza… opacità, forse Il giornalismo di Rostagno quindi per tutti coloro che fino a quel momento avevano agito indisturbati senza essere mai additati, mafiosi ma anche

imprenditori, politici, rappresentanti delle istituzioni era sconvolgente. Il Palazzo era scioccato. E lui Mauro, il giornalista, era il responsabile assoluto. *** Allora rendere omaggio a Mauro Rostagno, vuol dire anche e soprattutto riproporre con forza l’attualità di una annosa questione, la questione dell’informazione. Vale a dire la libertà dell’informazione, l’etica dell’informazione, il ruolo dell’informazione. Gli otto giornalisti uccisi dalla mafia, ognuno diverso dall’altro, spesso lontani nel tempo e nel pensiero, erano accomunati da un fatto: facevano inchieste sui poteri forti, mafiosi, economici politici.

Con coraggio. Parecchi con molta umanità e tensione ideale. Ma affrontare questa questione non sempre vuol dire parlare di giornalismo. A volte il giornalismo non centra nulla. Almeno il giornalismo che fa informazione e non marchette. Il giornalismo - in particolare di Fava, Impastato e Rostagno - che tendeva al coinvolgimento della società attraverso la presa di coscienza della realtà circostante. Un giornalismo responsabile che può orientare, proporre, controllare, evitare. Mauro faceva tutto ciò, con semplicità. Con la sua sensibilità. Con la sua grande umanità. Di uomo e di compagno.

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Ricordando Mauro Rostagno a 25 anni dalla sua scomparsa

“La Mafia è il contrario della Libertà” Sonia Kazandjian C'è un filo rosso che collega il profondo sud all'estremo nord, un'unica linea che racconta una parte importante della nostra storia rappresentata da un torinese, figlio di operai, che decise un giorno di diventare siciliano perché scelse di esserlo vivendo in quella parte della Sicilia tristemente nota come “Lo zoccolo duro di Cosa Nostra”.

impossibile, bisogna intraprendere un viaggio lungo ed emozionante ma soprattutto coraggioso per capire fino in fondo le sue tante anime. Ciò che più colpisce della vita di Mauro Rostagno è la sua forza di volontà, la sua voglia di combattere contro le ingiustizie: contro lo stato delle cose all'università ed in fabbrica

Ecco Mauro Rostagno, uno più siciliano di noi che in questa terra ci siamo nati. Un nome il suo che racconta tanto della storia italiana e molto di più della storia siciliana. Nato a Torino il 6 marzo del 1942 fu operaio, studente, sociologo, contestatore, politico ma soprattutto giornalista. Descrivere in poche parole la vita poliedrica di questo grande personaggio sembra veramente

durante il 68, contro ogni tipo di standard politico ed inibizione morale durante i periodi di Lotta Continua e Macondo, contro l'annullamento del sé come conseguenza delle lotte

studentesche ed operaie nel periodo arancione ed ancora una volta contro la violazione dei diritti degli uomini come lui, partendo dai più bisognosi che confluirono nella sua Saman ed arrivando a tutta la popolazione trapanese attraverso il suo quotidiano impegno su Radio Tele Cine. Il lavoro che il sociologo fece per l'emittente televisiva locale trapanese non era di sicuro conforme al resto delle trasmissioni d'informazione. Il suo obiettivo, che inizialmente era quello di descrivere le attività svolte presso la Saman (la comunità terapeutica fondata con Francesco Cardella), divenne via via quello di denunciare fatti e personaggi che con il loro fare colpivano direttamente il tessuto sociale trapanese ed i suoi diritti. Negli anni '80, quello di Trapani era un territorio anomalo: ci si

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Ricordando Mauro Rostagno a 25 anni dalla sua scomparsa trovava dinnanzi ad uno scenario in cui i legami tra politica, mafia, massoneria e servizi segreti deviati erano molto forti. L'arretratezza culturale caratterizzava un tessuto sociale inerme che subiva i ritardi amministrativi e la cattiva gestione cittadina senza chiamare a sé i propri diritti. Anche a Trapani, come nel resto della Sicilia, agli occhi di tutti la mafia non esisteva. Rostagno stravolse queste convinzioni, cercò in ogni modo di far emancipare i trapanesi e lo fece tramite la sua collaborazione con RTC diretta da Giuseppe Bulgarella. Il costante impegno nel denunciare fatti e persone che agivano indisturbate e nella totale illegalità sono la più esemplare prova del suo essere giornalista antimafia, un giornalista che non si limitava a dare delle informazioni ma che senza indugio faceva nomi e cognomi di politici e personaggi corrotti. Il suo continuo e martellante lavoro rimarcava che il risanamento civile, economico e sociale di Trapani doveva passare attraverso la redenzione morale della classe politica. Senza alcun timore reverenziale, Rostagno sottolineava non solo l’inettitudine della casta di Palazzo D’Alì ma anche la sua mediocrità e la cattiva coscienza di un mondo marcio ed inarrivabile che da anni deteneva un potere derivante da compromessi stipulati con malavitosi ed appartenenti ad organizzazioni occulte. Ciò che il giornalista tentò di raggiungere era la presa di coscienza dei cittadini, unico mezzo tramite il quale si poteva rompere l'ordine costituito e costruirne uno nuovo.

Il suo notiziario andava in onda due volte al giorno. La grande umanità e semplicità con le quali raccontava le notizie attirarono molti trapanesi che durante la trasmissione di Rostagno rimanevano incollati alla televisione. Nella Trapani di allora quella del giornalista era la voce fuori dal coro, la più schietta e per molti la più pericolosa. La sua uccisione avvenne il 26 settembre 1988 mentre tornava dalla redazione alla Saman in compagnia di un ospite della comunità. Negli anni successivi le indagini ed il processo che venne celebrato furono caratterizzati da depistaggi

e dalla scomparsa di prove che potevano essere risolutive come alcuni appunti di Rostagno sul maxiprocesso, sulla corruzione politica e sul traffico di armi. Le discrepanze tra i rapporti stilati dai carabinieri e quelli della polizia rallentarono le indagini e probabilmente furono la causa di alcune importanti dimenticanze

degli inquirenti. Le piste seguite furono molteplici: quella dell’omicidio Calabresi e del coinvolgimento di Lotta Continua; quella del piccolo spaccio che era stato scoperto all’interno della Saman; quella che vedeva coinvolti i fondatori della comunità terapeutica; ed infine quella del traffico di armi su cui il giornalista indagava e della matrice politico-mafiosa del delitto. Quest'ultima fu battuta solo nel 1997 in seguito alle testimonianze di pentiti del calibro di Mannoia, Brusca e Sinacori che confermarono il legame tra il giornalismo di denuncia di Rostagno e la sua morte per mano mafiosa. Quello su Rostagno rimane un caso aperto e molto difficile da risolvere. La speranza che si riescano a trovare gli elementi decisivi per la sua risoluzione si è riaccesa grazie alla riapertura del processo il 18 novembre 2010 celebrato presso il Tribunale di Trapani nell’Aula Falcone-Borsellino. Oggi come ieri non si è ancora arrivati ad una verità giudiziaria che possa far luce su un personaggio tanto importante per i siciliani. Di Rostagno vogliamo ricordare la sua grande umanità e la voglia di lottare al fianco dei cittadini. Il prossimo 26 settembre ricorre il 25° anniversario della morte del giornalista che ci ha lasciato in eredità un grande insegnamento: “Non si può delegare, bisogna diventare protagonisti. La lotta alla mafia è più semplicemente una lotta per il diritto alla vita. La mafia è sopravvivere, l’antimafia è vivere”.

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Casablanca n. 31 bis - Speciale Mauro Rostagno


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