n. 26 La Bella Politica

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Lancia sassi perché sogna la Libertà palestinese si è trattato di oltre 500 cadaveri seppelliti in fosse comuni. Ancora oggi a distanza di tanti anni Jenin Camp è un simbolo di coraggio e resistenza. “In quale altro modo possiamo spiegare la resistenza di questo piccolo campo profughi, lungo e largo meno di un chilometro quadrato, andata avanti per giorni nonostante l’assalto di centinaia di carri armati, elicotteri Apache, e migliaia di assassini addestrati che chiamano soldati?”. Si legge su arabcomint.com. Fondato nel 1953 come tendopoli per ospitare migliaia di profughi scacciati dalle varie aree della Palestina invasa da Israele, il Camp testimonia tenacia e abnegazione. Il ricordo di questo intervento militare senza precedenti è ancora vivo, ma, nessuna commissione d’inchiesta nazionale o internazionale è stata mai autorizzata per quella tragedia.

Un film che appassiona, stringe il cuore. Fa sentire impotenti. Non è frutto di fantasia, è accaduto realmente.

Dov’era il resto del mondo? Dove eravamo tutti? ORGOGLIO PALESTINESE “Qui - spiega Kefah - tutti sono orgogliosi di far parte del Campo, è la sola terra che ci sia rimasta spiega - ma io sono stanco di vivere senza libertà. Sono così stanco che vorrei togliermi la vita. Non vedo futuro e odio questa condizione (costrizione, ndr)”. La dignità di Kefah è immensa. Parla del suo possibile suicidio senza scomporsi: la morte è talmente normale qui a Jenin Camp che influenza la vita. E la compromette. Tanto che a 22 anni uno vuole uccidersi. Parlo con lui, gli ricordo il motto palestinese “Resist to exist”, “Resistere per esistere”, gli dico che quella di lottare per non morire è una dura

richiesta di riconoscimento, reiterata quest’anno nel palazzo delle Nazioni Unite dal Presidente Abu Mazen, subisce invariabilmente - il veto di USA e Israele. “Dopo quello che ho vissuto, che senso posso dare alla mia vita?” si è chiesto qualcuno. Ecco, il senso della sua vita Kefah non riesce a trovarlo. Non si capacita di non avere una vita normale. Non pretende niente di più di quello che hanno i suoi coetanei nel vicino Israele. Scuola, fognature, cibo, lavoro, libertà di movimento. Sul suo profilo di Facebook si sfoga con tanto di firma. Kefah è un nickname, presentarsi per nome e cognome è troppo rischioso, tuttavia sulla sua pagina fb ha scritto: “Terrorist?! I’m a terrorist?! How a terrorist and I live in my country?! Terrorist?! You are a terrorist! Eat me and I live in my country!!!! Kefah” (Terrorista? Io sono terrorista?

Paolo Pellegrin – classe 1964 – è un fotografo della Magnum. I suoi scatti in giro per il mondo rappresentano una realtà mai cristallizzata. I suoi sono sguardi immobili e insieme dinamici. Fermi ed espressivi, imponenti, silenziosi e assolutamente umani. Portfolio Palestine, è una raccolta fotografica che da Gaza a Betlemme, dalle rive del Mar Morto fino a Gerusalemme, ritrae con espressività e rispetto la condizione palestinese. Sono per lo più foto in bianco e nero: dell’aeroporto Yesser Arafat di Gaza raso al suolo, del muro che corre lungo i confini israelo-palestinesi in West Bank, di un settler israeliano armato, di bambini che giocano tra le rovine. Poi c’è questa immagine a colori: Two Palestinian girls bathing in Ein Gedi, along the shores of the Dead Sea, 2009, courtesy © Paolo Pellegrin/Magnum Photo/ Galerie Italienne Paris, dove ritrae la solitudine di un popolo in conflitto pur raccontando un istante di contentezza. Il bagno delle due ragazze è liberatorio, struggente nel tramonto: un attimo assoluto e intimo. Emoziona. Del resto, dall’Iran al Libano, dalla Cambogia al Kosovo fino al Giappone o all’Indonesia devastati dallo Tsunami, Pellegrin testimonia le guerre, le calamità e la vita con un’intensità straordinaria. Lavora per il Newsweek magazine, vive tra Roma e New York, ha vinto numerosi premi, come il World Press Photo, e pubblicato una decina di libri.

Una sciagura raccontata e ricostruita nel film Jenin Jenin di Mohammed Bakri. (http://www.youtube.com/watch? v=ZE2-KfY25Xw).

eredità del suo popolo ma è anche la forza della sua gente e di questa nazione senza Stato. Ancora oggi la Palestina non è riconosciuta dall’ONU e la Casablanca pagina 41

Come posso essere terrorista se vivo nella mia Terra? Terrorista! Tu sei terrorista! Mi mangi e io vivo nella mia terra).


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