n. 26 La Bella Politica

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…nuove forme di detenzione nel 2009 era intervenuta persino la magistratura, per bloccarne l’ampliamento in vista della creazione di un grande centro di detenzione, alla vigilia di gravi abusi edilizi. Nel corso del 2011 il centro dell’ex base Loran è stato così utilizzato per il trattenimento prolungato di decine di minori non accompagnati, in una situazione di fatiscenza delle strutture e di evidente degrado derivante dalla promiscuità e dall’abbandono. Una situazione che anche il procuratore antimafia Teresi, in una sua visita a Lampedusa ai primi di settembre del 2011, ha potuto rilevare direttamente, dichiarando che “in un paese civile la base Loran dovrebbe essere chiusa”, una situazione che prima ancora che dalla Procura antimafia, avrebbe dovuto sollecitare un intervento dei NAS della Guardia di Finanza. IL GABBIO E LA DISPERAZIONE Per chiudere quel centro già nel corso dell’emergenza Nord-Africa del 2011 sarebbe bastato rilevare la cronica carenza d’acqua e il sistema fognario non a norma, come non risultavano conformi alla legge le procedure adottate nei confronti dei minori non accompagnati, la cui presenza non veniva segnalata per tempo né agli assistenti sociali né al Tribunale dei minori, come prescritto dalla legge. Fatti inoppugnabili, sui quali in tanti hanno preferito tacere, anche se non sarebbe stato difficile ricostruire una documentazione completa, che nessuno, sia a Lampedusa, che ad Agrigento ed a Roma ha voluto raccogliere. Fatti sui quali, nonostante un articolato esposto depositato in diverse procure italiane dall’onorevole

Zampa e da altri parlamentari, la magistratura non ha saputo fare luce, rincorrendo invece improbabili scafisti, anche minorenni, scelti sulla base delle testimonianze di qualche migrante rimesso subito dopo in libertà o rimpatriato. Nel corso degli anni le prassi amministrative in materia di trattenimento e di respingimento, sono andate ben oltre le previsioni di legge. Nell’impossibilità di adottare i decreti del questore di respingimento e di trattenimento, secondo quanto previsto dagli articoli 10 e 14 del T.U. n. 286 del 1998, si è preferito “isolare” le persone straniere, giunte o rintracciate in condizioni di irregolarità, in strutture chiuse informali, non classificate come CIE, dove venivano detenute a tempo indeterminato. Così si sono aperti temporaneamente e poi chiusi i centri di prima accoglienza di Porto Empedocle

dalle normative comunitarie (Regolamento Frontiere Schengen n. 562 del 2006). Gli immigrati ai quali non si è riconosciuto neppure il diritto alla comprensione linguistica ed alla notifica tempestiva dei provvedimenti di respingimento e di trattenimento, sono stati abbandonati alla disperazione, o sedati con l’uso massiccio di psicofarmaci, con decine di casi di autolesionismo e diversi tentativi di suicidio, come si era verificato già nel 2011. Tutto questo si è verificato non solo nel centro di prima accoglienza e soccorso di Lampedusa e nell’ex caserma Barone di Pantelleria, ma in molte delle strutture di accoglienza allestite per l’emergenza nord africa e rimaste per mesi senza uno statuto giuridico preciso (si pensi ai CIET, centri di identificazione ed espulsione temporanei, a Kinisia,Trapani, a Santa Maria Capua Vetere ed a Palazzo San Gervasio, Potenza). TUTTO IN REGOLA!

(Agrigento), di Licata (Agrigento), di Pozzallo (Ragusa) e di Porto Palo (Siracusa). Si sono concentrate centinaia di persone in zone di confinamento temporaneo, limitandone, di fatto, la libertà personale oltre i limiti (48+48 ore) previsti dalla legge e dalla Costituzione (art. 13), solo per effetto di misure di polizia, che non hanno assunto neppure la forma del provvedimento scritto e motivato, come sarebbe richiesto Casablanca pagina 28

In nessun caso mai, un ente gestore o un prefetto sono stati ritenuti responsabili di quanto successo alle persone trattenute nei centri. Come in casi precedenti che pure avevano avuto tragiche conseguenze, la responsabilità degli incidenti e delle disfunzioni ricadeva inizialmente solo sugli immigrati e poi le indagini si arenavano o venivano archiviate. Anche dopo la rilevante diminuzione degli sbarchi nelle regioni meridionali italiane, con un calo del novanta per cento nel 2012 rispetto all’anno precedente, le prassi applicate sono rimaste


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