n. 26 La Bella Politica

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’Ndranghetisti? Brava gente! …Perdono per tutti? del vescovo di Reggio, Vittorio Modello, rinviato a giudizio nel marzo 2012 per falsa testimonianza aggravata dall’aver favorito la ’ndrangheta. Nello specifico, il boss di Croce Valanidi Santo Crucitti. Ma in Calabria ci sono pure altari dai quali la ’ndrangheta è stata cacciata in malo modo e con parole definitive. “L’onore è un bene indicibile che consiste nella rettitudine e nella virtù dell’animo, ma l’insipienza degli uomini arriva spesso a fare apparire come onore le cose più inutili e talora gli stessi delitti”, ragionava negli anni Settanta il piemontese Giovanni Ferro, arcivescovo di Reggio Calabria che la storia dei valori capovolti della ’ndrangheta l’aveva capita e nel 1975, da presidente della Conferenza episcopale calabra, aveva deciso che toccava attaccarla frontalmente e ufficialmente. Scrivendo L’episcopato calabro contro la mafia, disonorante piaga della società, il documento firmato quell’anno dai vescovi della regione, aveva scelto, non a caso, il termine “disonorante”, per sottolineare che l’onore, quello vero, era tutta un’altra cosa. Il 2

agosto 1984, da dietro un altare improvvisato nella piazza di Lazzaro, frazione costiera di Motta San Giovanni, il suo vicario, don Italo Calabrò, sull’onore dei mafiosi ci tornerà con pugno fermo. Di fronte al sequestro dell’undicenne Vincenzino Diano il sacerdote ha deciso di bandire prudenza e comprensione. “I mafiosi si ritengono uomini e, addirittura, ‘uomini d’onore’: se c’è qualcuno che invece non è uomo è il mafioso, e se c’è qualcuno che non ha onore è il mafioso, i mafiosi non sono uomini e i mafiosi non hanno onore; questo dobbiamo dirlo tranquillamente con tutta la comprensione e la pietà”. Don Italo è reggino, ha una passione per gli ultimi e nella sua parrocchia di San Giovanni di Sambatello, regno del boss Mico Tripodo, ha imparato giorno per giorno cos’è la ’ndrangheta e, soprattutto, che la cristiana pietà per i peccatori non deve mai generare silenzio. “Nel coraggio del suo pastore la gente ritrova il suo coraggio”, ama ripetere. E allora don Italo parla chiaro. Ai mafiosi ammazzati celebra i funerali, ma trasformando ogni omelia in un pesantissimo atto

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d’accusa. Qualche volta se la vedrà brutta. Nel rispetto del suo esempio, non sarà il solo, in Calabria. A don Giacomo Panizza, che a Lamezia Terme ha riempito la casa confiscata alla cosca Torcasio di disabili ed emarginati, gliel’hanno promessa da un po’. E con regolarità glielo ricordano con incendi, bombe, o danneggiamenti. Quello che aveva il compito di ammazzarlo fu ammazzato prima di eseguirlo. Don Giacomo vive sotto scorta. Fiamme dolose, minacce e intimidazioni anche per la cooperativa “Valle del Marro”, fondata da don Pino Demasi per gestire i terreni confiscati alle cosche nella Piana di Gioia Tauro. Mentre a don Ennio Stamile, che a Cetraro durante la messa si era scagliato contro i responsabili di una lunga serie di atti delinquenziali, hanno recapitato una testa di maiale con un pezzo di stoffa in bocca, a mo’ di bavaglio. Esempi, tra i molti possibili, di una Chiesa calabrese che sa anche respingere, con gesti e parole inequivocabili, l’abbraccio mortale con cui la ’ndrangheta vorrebbe infangarla.


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