Casablanca n.22

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Spread culturale

capiscono la maggior parte delle parole che dico? E come faccio a non danneggiare quanti potrebbero attingere a un livello superiore, se mi accontento del linguaggio basic? E’ una sindrome universale? No, pur entro uno svuotamento universale del ruolo delle istituzioni. I giovani italiani sono quelli che in Europa danno minor importanza alla scuola: il 50% non lo ritiene un investimento valido, contro l’oltre il 90% della Germania. In Spagna, e perfino in Turchia, l’80%. Il dato, tratto dall’Eurobarometro 2011, fa parte dello studio Censis che parla di una nuova malattia italiana, diffusa soprattutto tra i giovani, la generazione esclusa: il “presentismo”. Il senso di precarietà non li spinge ad impegnarsi di più, ma a rinunciare a priori all’impegno. Anche le famiglie non chiedono sapere, ma pezzi di carta. Che le menti dei loro figli si aprano interessa poco, che guadagnino denaro interessa molto. Non conta capire, ma ottenere risultati pratici, anche il minimo risultato, sotto il cielo del pragmatismo d’ordinanza. La mia preoccupazione è da cittadina ben prima che da docente. Il rischio è che si dia a tutti poco e male: una presa in giro della democra-

zia, svuotata. Che ancora sia il capitale sociale della famiglia e non l’intervento della scuola, a fare la differenza: come ai tempi di don Milani. I Gianni sono rimasti Gianni e i Pierini Pierini. Il più grave problema che la scuola deve affrontare è la sua assenza dai mondi vitali dei singoli e dall’orizzonte complessivo della società. Transito obbligato, non è amata né temuta, semmai tollerata. Il destino più triste che le possa capitare è sprofondare nell’invisibile. Le radici delle mutazioni in atto nel mondo dell’educazione sono ben più ramificate di quanto non comporti uno sbrigativo rimando a una complessiva rozzezza o pigrizia del mondo giovanile. Noi apparteniamo alle prime generazioni di docenti che hanno perso il monopolio delle conoscenze e dei mezzi per trasmetterle; possediamo conoscenze aliene rispetto alle esperienze e alle esigenze dei nostri discenti, che non sono più le persone per le quali fu progettato il sistema educativo. La nostra stessa memoria a loro non serve. Il modello di scuola imperniato intorno alla figura di un depositario del sapere e all’ipotesi di una progressione ordinata delle conoscenze è tramontato nei fatti e nelle coscienze, ma non siamo an-

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cora riusciti a sostituirlo. Buona parte dei modelli che proponiamo gira a vuoto. I nostri parametri appaiono stantii, non soddisfano più neanche noi stessi. L’accelerazione ci turba e ci sgomenta. Nella crisi del sistema educativo si può leggere un disorientamento più generale. Bisognerebbe riscoprire - come accadde in altri periodi storici - un’energia corale che ci liberi dall’indifferenza e dal silenzio. Cercare un’idea di Italia che sia declinata al futuro. Gridare tutto questo finché ascolti tutto il Paese, come abbiamo gridato per l’acqua: anche l’istruzione è un bene comune. Scuole e biblioteche e sale concerti, paesaggi e musei e gallerie d’arte, cinema e teatri, libri e viaggi, giornali e riviste, ossia le teste dei nostri figli: una grande questione nazionale. E’ questo spread invisibile che va ridotto.


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