Casablanca n.22

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Spread culturale

cinquecento euro per l’acquisto di ciotoline d’argento; ventiquattromila euro per l’acquisto di accappatoi. E, per toglierci l’ultimo sfizio, anche diecimiladuecento euro per grandissimi, stupendi posacenere. La spesa bibliotecaria per abitante da noi è un terzo di quella europea. Solo il 5% dei comuni siciliani ha una biblioteca. Intanto tremilacinquecentocinquanta comuni italiani non hanno nemmeno un cinema, per una popolazione di circa nove milioni. Le librerie chiudono, a Catania come ai Parioli. Un comune grande come Gela per tutto il ‘900 non ne ha avuta neanche una: solo sportelli bancari e discoteche, gioiellerie e ipermercati. Se l’unica, riconosciuta materia prima del tuo Paese è la bellezza, e tu sei così masochista da distruggerla; se nella società globale della conoscenza è determinante il capitale umano, e tu sei così incosciente da non formarlo; se disponi di un bilancio risicato e lo sprechi… con che faccia puoi parlare di competitività? Impoverire il tessuto culturale di una comunità è un atto irresponsabile: se lo si fa coscientemente, è un atto criminale. Si possono trattare le teste dei nostri figli con la mannaia del contabile? si può ac-

cettare di sentir parlare delle spese per l’istruzione come di un peso, un lusso che non ci possiamo permettere? Ora sembra sia alle viste un’inversione di tendenza: speriamo. *** La rivoluzione della serietà dell’istruzione dovrebbe essere al centro del programma di un governo democratico minimamente lungimirante, ma i tempi della politica finora sono stati appiattiti su un eterno presente, per costruire un effimero consenso. Anche gli enti locali preferiscono investire sulla sagra del carciofo o sui baby canterini, piuttosto che in strutture culturali permanenti. Riforme annunciate con magniloquenza come epocali, ma affastellate in fretta senza attendere né valutare i risultati delle precedenti, in un confronto muscolare con i predecessori. Scuola come cavia del bipolarismo. Titanismo degli slogan. Cantiere in perpetua ristrutturazione. Ma che cosa propone il mondo adulto, ai ragazzi degli anni 2000, dalle Alpi al Lilibeo? In che modo ci facciamo carico dei modi e delle sedi in cui si genera il senso? Non solo non si dà risposta a queste domande, ma nemmeno le si pone. Io non so se la dittatura dell’ignoran-

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za sia un incidente di percorso o un progetto. So che l’humus è il populismo: la rincorsa a conquistare un presunto uomo della strada, magari a forza di pernacchie e di diti medi per aria. Slogan al posto dei ragionamenti. Insulti anziché dialettica. Disprezzo esibito per le professioni del pensiero. Ecco un florilegio di citazioni sul valore sociale degli intellettuali dai discorsi degli ex ministri Tremonti e Brunetta, che per inciso sono professori universitari: “Perché dovremmo pagare uno scienziato, quando facciamo le scarpe più belle del mondo?”; “il tornitore alla Ferrari ha la dignità di dire al figlio che cosa fa; i professori no”; “noi siamo gente semplice, poche volte ci capita di leggere un libro…”; “generazioni che sono entrate nei mestieri dell’educazione, della magistratura e dell’editoria perché è sempre meglio che lavorare…”; “gli intellettuali a me fanno schifo”, o “intellettuali di m…, perditempo difesi dai sindacati”. Sono espressioni tratte non da incontri all’osteria della val Brembana ma da manifestazioni pubbliche, da apparizioni televisive, in bocca a ministri che non hanno remore a rispolverare l’infausto epiteto che fu di Scelba: “culturame”. A questi scenari degradati, a questa classe dirigente impresentabile i nostri


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