Brand Care magazine 005

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interpretato da Robert Downey Junior, in cui si vedono item visuali proiettati in forma ologrammatica nella stanza dello scienziato protagonista, che li visualizza e interagisce con essi senza l’aiuto di nessuno schermo di proiezione. In entrambi i casi siamo quindi in presenza di oggetti che ci sono e, al contempo, non ci sono, strumenti da cui si viene avvolti e che possono essere richiamati all’occorrenza attraverso un gesto, o bypassati quando con il gesto si vuole andare oltre la loro flebile presenza. Sarà questa la strada che conduce verso l’allontanamento, anche intellettuale, dalle tecnologie analogiche? AVANZAMENTO E ARRETRAMENTO In conclusione, come si fa a ri-tradurre in oggetto un qualcosa che ha perso la sua referenza fisica? Quali metafore, quali rappresentazioni scegliere per trascinare nel visibile ciò che è fisicamente inconsistente? Le strade sarebbero teoricamente infinite, proprio perché la non-spazialità dei codici di programmazione permetterebbe di dar vita a infinite combinazioni di immagini e di segni in grado di agevolare l’interazione tra noi, i nostri sensi, e le macchine. Eppure finora abbiamo fatto delle scelte precise: abbiamo optato per la reiterazione (simulata) di una gestualità desueta. La scrivania, le cartelle, lo chassi delle vecchie radio con tanto di manopole per la modulazione del volume, i pennelli, i righelli, le tastiere e le lancette. Oggetti che – considerata la perdita delle loro funzionalità, ormai dissolte con la dirompenza del digitale – non servono più, ma continuano a significare, a testimoniare che non ci siamo dimenticati dell’analogico. La tendenza è chiara: una delle marche più riconoscibili della cultura digitale è, per qualcuno inopinatamente, la malinconia: ci troviamo costantemente di fronte a delle interfacce nostalgiche, a dei piani di rappresentazione che in altri ambiti dell’esistenza giudicheremmo irritanti (o rassicuranti?), con la loro

©Flickr-by nDevilTV tendenza ostentatamente citazionista, che ci rimanda a un universo simbolico morto e mai sepolto. Nella continua drammatizzazione culturale che l’innovazione tecnologica porta con sé, anche e soprattutto nell’epoca digitale, prosegue lo scontro tra il vettore distruttivo, oscuro e regressivo incarnato da alcune caratteristiche dei media e quello collaborativo, progressivo e meravigliosamente utopico delle invenzioni che colonizzano il nostro vissuto (cfr. BCm numero 003, pag 60). Come se a fronte di ogni avanzamento dovessimo scontare una piccola condanna: quella dell’arretramento, almeno parziale, almeno simbolico.

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