Brand Care magazine 005

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e scegliamo sugli scaffali non perché prodotte con cibi di stagione, maturi e freschi ma perché attirati dal packaging, dalla grafica e dai colori della confezione. Per nostra fortuna però esiste un’altra tendenza per cui l’atto del mangiare non si associa esclusivamente al frettoloso consumo di cui sopra ma ridiventa occasione edonistica di ricerca e condivisione del piacere attraverso i sapori, i profumi e le forme del cibo. Noi oggi ci inseriamo in questo spazio e ci confrontiamo continuamente con modi, tempi e strumenti nuovi per la fruizione del food e con altrettanto nuovi metodi per produrre, conservare, concepire e presentare il cibo. Ecco che la cultura del progetto, motore indispensabile all’ideazione e allo sviluppo di tutti gli strumenti necessari per soddisfare i bisogni contemporanei, arriva in tavola.

Davide Oldani, per esempio, chef milanese che ha fatto tantissima esperienza all’estero e che adesso è tornato in Italia, viene chiamato il “designer chef”, proprio perché, in modo olistico, crea un intero universo intorno al suo ristorante, a partire dagli accessori.

BCm: Tornando al discorso sulle forme di produzione e consumo sostenibili, quanto vanno d’accordo il food design e lo slow food, che prima hai nominato? IL: Slow food significa buono, giusto e pulito e uno dei principi del food design è che con il cibo non si gioca: il cibo è, come detto, una risorsa scarsa per la maggior parte delle popolazioni mondiali. Per questo motivo “dare forma ad un’esigenza alimentare” significa pensare a qualcosa che sia BCm: Gli chef guardano con sospetto le vostre pro- necessariamente in linea con la sostenibilità. poste, si sentono minacciati dalla vostra presenza, o In altre parole non bisogna assolutamente associare il food avete avuto modo di trovare dei punti di convergenza design al cibo veloce, tanto che ci sono molti designer iscritti a Slow Food. Per quanto riguarda noi stiamo sviluppando ananche con loro, oltre che con i gestori? IL: Quando sono davvero bravi gli chef sono i nostri miglio- che un progetto per alcuni parchi, nell’ambito dell’Expo 2015, ri alleati. L’esperienza del Food Design Studio, per esempio, che si chiama PicNic 2.0 e che prevede l’allestimento di isonasce dall’unione di uno chef e un industrial designer: gli chef le verdi, nei parchi ciascuna città, in cui ci si possa fermare più all’avanguardia vedono il nostro servizio come un’occa- e rigenerare delle piastre a pannelli solari tramite l’USB del sione poiché il progettista con il suo intervento può dare vita proprio telefonino. L’obiettivo è quello di potersi nutrire allo a un piatto in grado di esaltare il significato simbolico della stesso tempo sia di comunicazione che di “food to walk”. ricetta di cucina. ©Picnic 2.0


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