Brand Care magazine 005

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BCm: Siamo curiosi di sapere qual è stato il percorso professionale che ti ha portato a compiere la scelta del marketing per il food, attività da un lato “di nicchia”, perché molto specialistica, dall’altro “di massa”, perché – come dire? – è ovvio che nessuno può fare a meno di mangiare. IL: Giusto! Dopo aver frequentato un Master in Relazioni Pubbliche ed Eventi presso lo IED di Milano, e dopo diverse esperienze lavorative, tra cui una presso la divisione Software gestionali di Zucchetti, sentivo il bisogno di intraprendere una sfida professionale stimolante. Durante i primi tre anni trascorsi a Milano avevo raccolto una serie di contatti, compreso quello di un imprenditore che operava nel campo della ristorazione. In una cena, tra una portata e l’altra, lui mi disse: «per te è facile fare marketing e comunicazione per aziende dal brand famoso, ma cosa combineresti se ti affidassi i miei quattro ristoranti?». Accettai la sfida, specificando il fatto che non ero una PR. L’obiettivo era congegnare un piano di comunicazione e marketing continuativo: il primo giorno fu devastante e non sapevo da dove iniziare, anche perché occuparmi di food non era mai stato il sogno della mia vita, almeno fino ad allora. Pian piano ho comunque capito che questo settore presenta un vantaggio in più rispetto agli altri: il prodotto lo vivi, riesci in contemporanea ad avere la visione dell’addetto ai lavori e quella del consumatore. BCm: In che differisce il marketing per il food rispetto a quello concepito per altri settori merceologici? IL: Direi che l’operatività del marketing per il food non è molto differente da quella concepita per gli altri settori merceologici, perché occorre anche qui lavorare sul valore del prodotto e sul suo posizionamento attraverso le leve della notorietà e del consenso presso il pubblico di riferimento. Il consulente, sulla base di un’accurata analisi del locale, del target e del territorio, deve capire quale può essere il giusto target da raggiungere e, attraverso una scelta di azioni e mezzi appropriati, deve raggiungerlo e fidelizzarlo, ottenendo il massimo risultato possibile con il minor dispendio economico… Bisogna capire di quante persone in più il locale ha bisogno per raggiungere il “break even point” (punto di pareggio, termine che indica il valore minimo che l’attività deve raggiungere

©Cioccolatitaliani

BCm: Cosa intendi per progettazione di portata? IL: Per evitare di creare squilibri di comunicazione, il campo che contiene l’alimento deve mantenere basso il livello di contrasto formale con il contenuto. Per possedere un corretto impatto espressivo la portata deve creare armonia, mantenendo un’equilibrata interazione tra il piatto e l’alimento: occorre ricordare che in una portata è il piatto a essere messo al servizio dell’alimento, e non viceversa. Il rapporto tra il contenitore e il contenuto, insomma, è per il food designer il punto principale di sviluppo, e la progettazione di portata è una delle chiavi di tale sviluppo.


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