Manga. Orientarsi nel fumetto giapponese

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Il fumetto giapponese sta vivendo in Italia una seconda primavera: la proposta editoriale fiorisce, nuovi titoli si riversano sugli scaffali delle fumetterie e delle librerie, scopriamo che quello che pensavamo essere un fenomeno di nicchia interessa in realtà un pubblico vastissimo, di giovani e non solo. In questo panorama, orientarsi può essere difficile. Da dove partire?

Inio Asano

Moto Hagio

Taiyō Matsumoto

Rumiko Takahashi

Osamu Tezuka

Yoshiharu Tsuge

Naoki Urasawa

Poste Italiane s.p.a.Spedizione in Abbonamento PostaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 1CN/BO
hamelin 53mangaorientarsi nel fumetto giapponese
MAnga Orientarsi nel fumetto giapponese
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HAMELIN 53

manga

Orientarsi nel fumetto giapponese

6 Guida alla lettura 8 Mettetevi in salvo, arrivano i manga • Matteo Gaspari 19 per iniziare 29 schede 30 Manga d’azione 52 Manga di sentimenti 64 Manga di robottoni 78 Manga di fantascienza 92 Manga di sport 104 Manga dell’orrore 114 Manga di storia 126 Manga alternativi, atipici, underground 143 roberto biadi 161 ritratti d’autore 162 Osamu Tezuka: il Dio dei manga • Matteo Gaspari 171 Moto Hagio e il Favoloso Gruppo 24 • Federica Tettamanti 179 Rumiko Takahashi: tra tradizione e innovazione • Lorenzo Ghetti e Rita Petruccioli 187 Yoshiharu Tsuge: fuggire fino a scomparire • Marco Libardi 196 Naoki Urasawa: mi muovo come un gatto, carico come un ariete • Raffaele Sorrentino 206 Taiyō Matsumoto: gli opposti, il doppio, il rifugio • Dario Sostegni
Inio Asano: la poetica della rinuncia • Matteo Gaspari
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editoriale

La storia dell’arrivo e dell’affermazione del manga in Italia è frastagliata: prima la nascita della televisione commerciale ha visto i palinsesti riempirsi di cartoni animati giapponesi, poi sono arrivati i primi tentativi di importazione dei fumetti da cui quei cartoni erano tratti, poi un’attività editoriale via via più strutturata ha visto già all’inizio degli anni Novanta i primi grandi successi. A quel punto la strada era ormai aperta, ma è solo in tempi recenti, anzi molto recenti, che il manga ha esondato gli argini di nicchie più o meno ampie di appassionate e appassionati, per catalizzare l’attenzione del mondo editoriale e culturale nella sua interezza. Così eccoci qui, nella prima metà degli anni 2020, a dovere e volere fare i conti con un segmento ampissimo e finora tutto sommato trascurato del mercato editoriale: capire come orientarsi, cosa leggere e cosa no, soprattutto se stiamo muovendo i nostri primissimi passi in questo mondo, così vasto e variegato, può non essere semplice. Ma sono dei passi necessari, soprattutto ora che di manga si parla così tanto, soprattutto ora che non possiamo più ignorare la diffusione di questa peculiare tipologia di fumetto, soprattutto (ma non solo) tra le lettrici e i lettori più giovani.

Questo numero della rivista è quindi dedicato al fumetto giapponese e si propone tanto come una guida quanto come un invito a esplorarlo. Il manga inteso come lo intendiamo oggi esiste da quasi un centinaio di anni e ci ha dato innumerevoli autrici e autori, e ancora più titoli, attraverso i quali muoversi. Ve ne proponiamo una selezione, con l’augurio che possa farsi punto di riferimento per proseguire autonomamente nell’esplorazione.

Guida alla lettura

Si parla molto, ultimamente, di fumetto giapponese e sempre più spazio si dedica a queste produzioni nelle librerie e nelle biblioteche. Di pari passo, la normalizzazione del manga all’interno del discorso culturale ha fatto “uscire allo scoperto” tante lettrici e tanti lettori, manifestando un’inedita necessità di confronto su tutta una produzione letteraria finora poco conosciuta ai più. “Le utenti e gli utenti della biblioteca dove lavoro mi chiedono dei manga, quali devo comprare?”, oppure “Le mie studentesse e i miei studenti mi parlano di manga e vorrei inserirli nel percorso didattico che stiamo affrontando, come posso orientarmi?”, o ancora “Le mie figlie e i miei figli leggono solo fumetti giapponesi, da dove parto per scoprire questo mondo?” sono domande che ci vengono poste spesso e che, pensiamo, si faranno sempre più frequenti. Di fronte alla necessità per un pubblico nuovo di interfacciarsi per la prima volta (o quasi) con una produzione tanto vasta, e l’impellenza di farlo in fretta per non “rimanere indietro” rispetto a uno dei fenomeni che maggiormente caratterizzano l’editoria e la fruizione culturale contemporanee, abbiamo pensato che la consueta struttura di una rivista di approfondimento fosse poco adeguata e abbiamo invece preferito costruire qualcosa di più vicino a uno strumento che aiutasse le nostre lettrici e i nostri lettori a muovere quelli che ipotizziamo siano i loro primi passi in questo mondo.

Dopo un articolo introduttivo sul “fenomeno manga”, troverete un glossario che riassume alcuni termini specifici e alcuni concetti più ampi ai quali si farà spesso riferimento. Poi la parte centrale: una corposa selezione di schede che offre una panoramica vasta e variegata del manga in Italia. Abbiamo diviso questa parte in sezioni “di genere” che ci paiono particolarmente rilevanti e che

possono guidare chi legge a seconda dei propri gusti e delle proprie necessità. L’obiettivo di queste sezioni non è di esaustività, ma di costruire un affresco minimo che permetta di orientarsi tra i generi più diffusi tramite classici e titoli più contemporanei, costruendo un alfabeto di letture “di base”.

Infine, a completare questo numero di “Hamelin”, una selezione di ritratti d’autore che approfondisce, al di là del singolo titolo, l’opera e la poetica di alcuni grandi del manga contemporaneo e non; e una selezione di illustrazioni di Roberto Biadi che, pur laterali rispetto al manga “classicamente inteso”, si rifanno all’estetica delle stampe tradizionali ukiyo-e e pertanto offrono un ulteriore spaccato della penetrazione dell’arte giapponese nel sentire contemporaneo.

Un’ultima nota. Questo numero della nostra rivista è particolarmente avaro di immagini. Non per negligenza, né perché riteniamo la componente visiva di questi fumetti poco importante, ma perché, purtroppo, il Giappone non dispone di una legge sul Fair Use, cioè sull’utilizzo di materiale sotto copyright per scopi informativi, divulgativi o di critica, il che rende particolarmente complessa la gestione dei diritti. L’invito è quindi di leggere queste schede ma di cercare poi le relative immagini su internet o, meglio ancora, sfogliando i volumi cartacei.

Matteo Gaspari

Mettetevi in salvo, arrivano i manga

Il 14 luglio 2021, “Il Corriere della Sera” titolava: “Manga, il fumetto senza scopo che ha conquistato il mondo”. Furbetta scelta di parole, quel “senza scopo”, che si rifà all’etimologia del termine manga (che significa in effetti “immagini leggere, senza scopo”) ma che strizza l’occhio a un certo snobismo culturale, come a suggerire un qualche sgomento di fronte a queste “leggerezze che conquistano il mondo”. Il 2 novembre dello stesso anno, il peraltro ex ministro della cultura Walter Veltroni scriveva, sempre sul “Corriere”, un pezzo d’opinione intitolato “Perché i manga hanno conquistato i nostri ragazzi”. Un pezzo a dire il vero pieno di inesattezze, di superficialità, di ansia per il nuovo e per l’ignoto, ma anche un pezzo che, al di là della retorica deprimente (che parte proprio dal titolo, con quel “nostri” ragazzi e il supposto bisogno di capire quale sia questa nuova diavoleria che li sta ghermendo), sarebbe miope non identificare come sintomo di un sentire nuovo.

In effetti, era già da qualche tempo (non più di qualche mese, in realtà) che di manga si cominciava a parlare con via via maggior insistenza, anche in quei contesti letterari e culturali che mai prima avrebbero dedicato al fumetto giapponese una simile attenzione. A prescindere dai toni entusiasti, curiosi o apocalittici, il sottotesto era grossomodo sempre lo stesso, a partire dalle parole utilizzate: “esplosione”, “boom”, “invasione”, “crescita”, “conquista”, “soft power culturale”. Insomma: il manga aveva fatto irruzione nel discorso pubblico rivelando la sua potenza commerciale, posizionandosi settimana dopo settimana in testa alle classifiche di vendita, trasformandosi da produzione per una nicchia di appas-

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sionate e appassionati in “nuovo fenomeno dell’editoria”. E venendo raccontato di conseguenza. Chi invece frequenta il mondo dell’editoria a fumetti da prima del 2021 sa che questa “invasione” era fenomeno ben poco nuovo e che il manga, a partire dalla sua comparsa in Italia negli anni Ottanta, ha sempre venduto tanto e sempre un po’ di più (al netto delle regolari oscillazioni dei mercati).

Ma può qualcosa, un fenomeno, un evento, una notizia, essere sia vera che falsa allo stesso tempo?

Da un lato possiamo affermare senza tema di smentita che quest’invasione, questo boom o questa conquista non ci sono state o, se ci sono state, si sono consumate più di tre decenni fa. Per dire: al suo arrivo in Italia, a inizio anni Novanta, Dragon Ball vendeva centomila copie ogni quindici giorni. In altri termini: è parecchio tempo che i manga vengono tradotti e pubblicati in massa, e altrettanto in massa vengono letti. Intere generazioni si sono formate come lettrici con questo tipo di fumetti, e con questo tipo di fumetti (e non solo, beninteso) hanno plasmato il loro immaginario.

Dall’altro lato qualcosa dev’essere cambiato perché, e anche questo possiamo affermarlo senza tema di smentita, prima di manga non si parlava. Poi, a un certo punto, sì. E molto. E siccome se la realtà è rappresentazione allora vale anche viceversa, e cioè che la rappresentazione determina in qualche misura la realtà, non è poi così importante che l’invasione sia solamente percepita. Se è percepita come tale va presa sul serio. Ma cos’è a essere cambiato? La versione breve è: a cambiare sono state le regole con cui vengono sti-

late le classifiche di vendita, che hanno deciso di contare il fumetto giapponese assieme alla narrativa straniera, rivelando una disparità di fatturato già esistente e facendo suonare milioni di sirene d’allarme nelle sale algide dell’editoria tradizionale.

Ma, appunto, la rappresentazione è realtà e parlare di una cosa la rende tale. Potremmo quindi dire che la notizia dell’invasione ha generato l’invasione stessa catalizzando l’attenzione di pubblico e professionisti verso un settore finora poco considerato, generando interesse che a sua volta ha generato domanda alla quale si è risposto con un’offerta accresciuta. Alla quale è stata data altra attenzione e via dicendo. Il risultato è che, in effetti, si trovano oggi in giro infiniti più manga di quanti se ne trovassero fino a qualche anno fa. Se ne producono di più e di più tipologie (dai grandi classici ai più sperimentali, passando per tutto il ventaglio di possibilità intermedie), e li si può trovare in luoghi inediti: le librerie, per esempio, che hanno progressivamente modificato lo spazio dedicato al fumetto in favore di una presenza nipponica via via predominante; ma anche le biblioteche, le biblioteche scolastiche, gli inserti culturali dei quotidiani…

Cos’è a rendere speciale i manga? Forse la provenienza geografica? Il fatto che vengano dal Giappone?

Insomma, uno degli effetti di questa recente invasione, reale o percepita che sia, è che se già l’immaginario del manga

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era centrale nella formazione di tante lettrici e di tanti lettori, ora lo diventerà sempre di più. Da cui la necessità sempre più diffusa di capire questo fenomeno, di trovare degli strumenti per orientarcisi in vista di un confronto fattosi inevitabile. “Meglio tardi che mai”, direbbero le malelingue. “Tutto è bene quel che finisce bene”, risponderei io, nel vedere il mondo della cultura “alta” prendere finalmente sul serio una produzione artistica e letteraria tanto vasta, tanto rilevante per un’infinità di persone e così a lungo trascurata (quando non derisa).

E la prima cosa da capire è cosa siano questi manga che lettrici e lettori, soprattutto più giovani, sembrano leggere tanto avidamente. Perché nuovi o no i dati parlano abbastanza chiaro: si leggono molti più manga rispetto agli altri fumetti, suggerendo una qualche differenza, una qualche caratteristica definitoria che separa i primi dai secondi. Togliamoci il dente: in termini linguistici i manga sono fumetti. Allo stesso modo in cui i graphic novel sono fumetti. Quello è il linguaggio e quella è la grammatica, fatta di parole, immagini e vignette separate da spazi bianchi, che utilizzano per raccontare le loro storie. Ma se non è una questione linguistica, allora cos’è a rendere speciale i manga? Forse la provenienza geografica? Il fatto che vengano dal Giappone?

Potrebbe anche essere, e lo scarso successo degli euromanga (cioè dei manga prodotti in Europa da autrici e autori “nostrani”) in qualche modo punta in questa direzione, ma non me la bevo. Non vedo alcun motivo ragionevole per un esotismo tale da determinare il successo non di un singolo libro ma di un’intera produzione solo a seguito del suo Paese

d’origine. Detta in altri termini, e nonostante una certa nippofilia diffusa soprattutto negli ambienti nerd (ma non solo), davvero leggiamo i manga perché hanno un’etichetta che li connota come “made in Japan”?

Dev’esserci dell’altro. Un’estetica comune, un modo di raccontare riconoscibile, delle tematiche e delle strutture narrative peculiari che rendono il manga… un manga. E allora potrebbe essere che la minor diffusione degli euromanga sia dovuta a una “nostra” minor capacità di assorbire e riprodurre quell’estetica, quel modo di raccontare, quelle tematiche e quelle strutture narrative. E questo al di là di riflessioni e conversazioni, che pure sarebbe opportuno avere, sul concetto di appropriazione culturale. Ma allora di nuovo, possibile che in Europa, o negli Stati Uniti, non ci sia un’autrice o un autore “abbastanza capace” da “ingannare” l’occhio di noi lettrici e lettori di manga, e di proporci un fumetto “proprio come quelli che vengono dal Giappone”?

A scanso di equivoci, in questa rivista verrà sempre utilizzato il termine manga intendendolo come “fumetto proveniente dal Giappone”, così come di consueto nel discorso pubblico. Ma è opportuno tenere a mente che il neonato e montante interesse per queste produzioni e soprattutto la causa del loro successo ha poco a che fare con la loro origine geografica. E molto, forse tutto, ha a che fare con qualche peculiarità nel modo in cui questi fumetti sono raccontati e nel modo in cui sono disegnati, magari perfino nel modo in cui vengono pensati e prodotti, nonostante la moltitudine di stili di racconto e di disegno che propongono.

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Il manga prende più spazio per permettere alla narrazione di procedere con meno ellissi, quasi “in tempo reale”

Sorge allora una seconda domanda. Cos’è che unisce storie tanto diverse? I Super Sayan di Dragon Ball al mondo post-apocalittico di Ken il guerriero, i super-robot di Gō Nagai alle interminabili partite di calcio di Capitan Tsubasa (più conosciuto qui come Holly e Benji), l’eleganza dei vestiti di Nana alla brutalità dei titani antropofagi di L’attacco dei giganti, i pirati di One Piece ai ninja sgargianti di Naruto, la pacatezza di Jirō Taniguchi al macabro estremo e disturbante di Suehiro Maruo? E cosa separa storie tante diverse ma in qualche ineffabile modo affini da altre storie? Da Superman e Tintin, per esempio, ma anche da Corto Maltese, dall’autobiografismo di Gipi, dall’ironia di Zerocalcare?

Difficile a dirsi, impossibile a sintetizzarsi. Non è una questione meramente estetica, come emerge chiaro dalla varietà del tratto e del disegno. Non è una questione tematica, o di genere, come vediamo dal coesistere sotto l’etichetta “manga” di storie d’amore tra i banchi di scuola, storie di sport, storie di fantascienza, storie di combattimenti, storie che non appartengono a nessun’altra precedente categoria e rifiutano l’incasellamento. C’è però, forse, almeno in parte, una questione di ritmo della lettura, di scorrere sulle pagine del tempo narrativo. Per prendere a prestito le parole di Vincenzo Filosa, uno dei protagonisti nascosti di questa “nuova

fioritura” del manga in Italia: “Il fumetto [occidentale] vuole spiegarti delle cose, il manga vuole essere tuo amico”. E un amico ti accompagna, ti fa provare le cose più di quanto non te le dica: un’attitudine che riconosciamo, estremizzando e trascurando i mille controesempi, nel fumetto giapponese quando viene messo a confronto con il nostro, soprattutto in termini di ritmo. È come se il manga si prendesse più spazio per permettere alla narrazione di procedere con meno ellissi, quasi “in tempo reale”, con un salto temporale (e quindi causale) minore tra una vignetta e l’altra. Vignette che anzi si possono soffermare sulle piccole cose, sulle variazioni di un’espressione o sul sentimento che emerge solo dal dettaglio, o viceversa sull’incedere di combattimenti (o, per quel che vale, di partite di calcio) rappresentati in ogni scambio, in ogni mossa, in ogni parata. Per pagine, e pagine e ancora pagine. È una castroneria affermare che il manga sia vicino all’animazione dispiegata sulla pagina, sono due linguaggi molto diversi che condividono al più (e non sempre) l’essere disegnati, ma il ritmo meno sincopato e meno denso di avvenimenti del fumetto giapponese rispetto a quello occidentale è qualcosa che, per quanto difficile da quantificare, è nettamente percepibile.

Certo questo può avere a che fare con un diverso modo di intendere la narrazione, magari anche con una serie di differenze culturali che influiscono sull’economia del racconto, su quali cose meritano attenzione a discapito di altre. Ma ha anche a che fare con questioni produttive che, in altri modi, hanno determinato il successo del manga anche qui da noi.

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In Giappone si pubblica tuttora, perlomeno per quanto riguarda le produzioni mainstream, su rivista. Un capitolo alla settimana, o al mese, che di volta in volta va a costruire una narrazione più ampia che va avanti finché dura. Questi capitoli nascono su riviste che offrono loro lunghezza e periodicità fisse, ma vale la pena ricordare che sono pensati anche (e forse soprattutto) per esser letti tutti assieme (per quanto a blocchi) una volta che verranno raccolti in volumi monografici. Questo approccio contribuisce a generare la sensazione che vadano a costruire storie che possono prendersi lo spazio che serve, procedendo per episodi dalla struttura e dal ritmo contenuto ma che si inanellano l’uno nell’altro diventando qualcosa di più ampio. C’è una tensione all’orizzontalità e le storie non si resettano a ogni “continua nel prossimo episodio” ma anzi accompagnano lettrici e lettori assieme ai loro personaggi, che crescono ed evolvono.

Le riviste poi offrono altri vantaggi, al costo di un ritmo di produzione per noi impensabile: il monitoraggio costante di cosa funziona e cosa no, la capacità degli editor di raddrizzare il tiro di serie in declino di popolarità ascoltando il feedback di lettrici e lettori e rispondendo, magari in maniera indiretta, ai loro desideri. Tutti elementi che, uniti al notevole livello qualitativo medio di queste produzioni, contribuiscono a creare opere che funzionano così bene: sono costruite sui gusti e le preferenze di un pubblico noto, continuamente interrogato su ciò che gli piace, ciò che invece lo allontana da questa o quella storia, al quale viene data un’opera a episodi capace di grande fidelizzazione, da seguire per mesi o anni (o

talvolta decenni) nel suo svolgimento orizzontale. Sono poi pubblicazioni (anche in Italia) dal costo relativamente basso, soprattutto se paragonate al resto dell’editoria a fumetti, e questo certo non guasta in termini di diffusione tra un pubblico più giovane.

Appurato che il fumetto giapponese ha, quali che siano (non abbiamo che scalfito la superficie), caratteristiche proprie che hanno contribuito al suo successo, non ci resta che porci una domanda. O meglio, non ci resta che tornare alla domanda di partenza: quest’invasione c’è

I manga sono qui e, se ancora ci fossero dei dubbi, sono qui in forze e per restare

stata oppure no? Torno a ribadire che, oltre per la vendibilità dei quotidiani, non è poi così importante. Ciò che è importante è che i manga sono qui e, se ancora ci fossero dei dubbi, sono qui in forze e per restare. E allora cosa fare di fronte a tutta questa produzione? Una produzione esplosa negli ultimi anni grazie all’alacrità di tante case editrici che hanno portato i classici del manga, il gekiga, il meglio del fumetto alternativo e di ricerca, una mole di storie popolari e di genere mai vista prima… Come orientarsi? La risposta, ahimè (ma anche no: perché ahimè? È questo il bello!), è leggere. Quanto più possibile e quanto di più vario possibile. C’è un mondo da scoprire, se è vero che non possiamo più ignorarne l’esistenza, e, se non per spurio interesse culturale, dobbiamo allora trovare e costruire un terreno di confronto con lettrici e lettori giovani che, di manga, ne con-

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sumano a secchiate. Se l’esplosione del fumetto giapponese c’è stata, questo significa che, nel mare di pubblicazioni, ce n’è almeno una che fa per noi, che ci aprirà le porte a un sentire e a un modo di raccontare tanto diffusi.

Per iniziare

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SI LEGGONO AL CONTRARIO

Lo sanno anche i sassi ma è bene ribadirlo: i manga si leggono al contrario. Al contrario nel senso: da destra verso sinistra (ma comunque dall’alto al basso), “dall’ultima pagina alla prima”. Apriamo questo glossario con questa voce per tre motivi. Il primo è di carattere pratico. Nonostante sia, appunto, conoscenza condivisa che i manga “si leggono al contrario”, vorremmo evitare che il percorso di un potenziale nuovo appassionato o appassionata venga minato alla base da una lettura incomprensibile che “sembra cominciare dalla fine e procedere a rovescio”: in quel caso è probabile che, per abitudine, si sia partiti dall’ultima pagina pensando che fosse la prima.

Il secondo è di carattere storico. Al loro arrivo in Italia negli anni Ottanta, i manga venivano spesso specchiati perché non si era sicuri che il pubblico avrebbe accettato il verso di lettura originale. Questa pratica sarebbe stata definitivamente abbandonata solo molto tempo dopo, e tuttora si possono trovare dei titoli rovesciati (quindi attenzione! I manga si leggono al contrario, ma non tutti!) nei quali tutti i personaggi sono mancini. Il terzo, contraltare del secondo, è una rassicurazione per chi non abbia mai approcciato il fumetto giapponese. Per quanto possa apparire controintuitivo, il senso di lettura giapponese si assimila in fretta, complice anche “la guida” della componente visiva del fumetto che – se ben strutturata – ci permette di seguire il flusso di testo e immagini anche quando diverso “dal nostro”. Magari il primo albo risulterà ostico, il secondo già meno, dal terzo seguire le vignette e i balloon da destra a sinistra ci apparirà naturale. Provare per credere!

IL MANGA OLTRE IL MANGA: ANIME

Spesso dai manga di maggior successo vengono tratti dei cartoni animati, che in Giappone si chiamano “anime”. Più raramente accade il contrario: che un anime di successo venga adattato a fumetti. Di per sé questo processo di traduzione cross-mediale non è particolarmente sorprendente e non è certo caratteristica peculiare del fumetto giapponese. Che brand e prodotti noti e famosi tracimino oltre i confini dei loro linguaggi nativi capita infatti di continuo: libri che diventano film o serie tv, film che diventano videogiochi (e più di recente viceversa), fumetti che generano veri e propri imperi cross-mediali (basti pensare all’esplosione di cinecomics, soprattutto supereroistici, degli ultimi anni).

La peculiarità del processo di adattamento da manga ad anime è un’altra, e ha molto a che fare con il modo in cui il fumetto giapponese si è diffuso e continua a diffondersi, almeno in Occidente, radicandosi nell’immaginario collettivo. Per esempio, in Italia si sono diffusi prima gli anime, che hanno riempito i palinsesti della televisione commerciale negli anni Ottanta, aprendo la strada all’immaginario nipponico. Il fumetto sarebbe arrivato solo in un secondo momento.

E se anche oggi la diffusione del fumetto giapponese non dipenda più dall’esistenza di un suo adattamento animato, è bene tenere a mente che spesso la diffusione di un manga e del suo anime sono collegate, determinando l’una il successo dell’altra ma anche facilitando la diffusione di un’opera tra pubblici diversi: tuttora non è inusuale che a creare nuove lettrici e nuovi lettori sia il boom di un anime che genera di ritorno un interesse verso il fumetto da cui è tratto.

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IL MANGA OLTRE IL MANGA: CULTURA POP

La diffusione del manga non è solo legata al concetto di lettura ma è, più in generale, un fenomeno pop a sé stante. Non a caso i manga di maggior successo si portano dietro tutta una serie di prodotti collaterali: i già citati adattamenti animati ma anche merchandising di varia natura, capi d’abbigliamento, statuine e action figures, oggettistica… E non a caso raramente le lettrici e i lettori di manga si definiscono lettrici e lettori “di fumetto”, o “lettrici e lettori” in generale, ma proprio lettrici e lettori “di manga”. Come se fosse un universo a sé. E in un certo senso lo è, un universo a sé, che sì parte dal fumetto ma del quale il fumetto non è che una delle componenti.

Questo testimonia la capacità del manga di generare immaginari che a loro volta generano un senso d’appartenenza costruito attorno a pratiche di lettura e a una conoscenza condivisa. Senza voler sminuire questo fenomeno né derubricarne le esternazioni (per esempio il “cosplaying”, cioè il travestirsi dalle protagoniste e dai protagonisti dei fumetti, ma non solo) a “fenomeno nerd”, è bene tenere a mente quando parliamo di manga, soprattutto con un pubblico giovane, che molto di rado parliamo “solo di fumetto” e quasi mai “solo di questo o quel fumetto”: chi legge manga spesso legge molti manga, spesso considera la lettura del manga come un’attività slegata dalla lettura e dalla fruizione di altri media, spesso di quei manga ha una conoscenza profonda che travalica la semplice “passione”.

SERIALITÀ

Il manga, soprattutto quello commerciale e mainstream, è quasi sempre seriale. Questo ha molto a che fare con il modo in cui questi fumetti vengono prodotti e pubblicati: un capitolo alla volta, settimana dopo settimana, su riviste antologiche e periodiche come la famosissima “Weekly Shōnen Jump”. Le serie di maggior successo vengono poi in un secondo momento raccolte in volumi. Sono storie che si compongono puntata dopo puntata (non sempre, ma spesso) ma che comunque, a differenza di quanto accade per esempio con le nostre serie Bonelli, vanno a costruire una narrazione orizzontale, al più divisa in saghe o macro-capitoli. Al di là delle questioni narratologiche e di produzione (questo modo di fare fumetto impatta sulle strutture narrative, ma anche sul lavoro di autrici e autori, che mantengono un tasso di produzione spesso di decine di pagine alla settimana, impensabile per il nostro mercato), è interessante sottolineare la natura seriale del fumetto giapponese, perché determina l’esperienza di lettura.

Anche in Italia, dove le riviste antologiche sono quasi scomparse e i manga arrivano direttamente in volumi, la serialità di questi prodotti è parte della loro efficacia, soprattutto nei confronti di un pubblico giovane. La periodicità, magari mensile, crea attesa tra un numero e il successivo, ma soprattutto queste storie lunghe ed espanse accompagnano lettrici e lettori per un lungo periodo di tempo: non storie che iniziano e finiscono nell’arco di una sessione di lettura, ma narrazioni che durano anni, durante i quali ai personaggi ci si affeziona, li si vede crescere e ci accompagnano per un pezzo di vita.

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LINGUAGGIO VISIVO AUTORIALITÀ

Uno degli elementi che caratterizza il graphic novel occidentale, e in qualche modo lo “separa” dal fumetto popolare, è il passaggio da personaggio ad autore: nel fumetto popolare a “contare” è il personaggio (Topolino, Tex, Dylan Dog, Julia, Spiderman…) e le autrici e gli autori spesso non sono nemmeno segnalati in copertina; nel graphic novel a “contare” sono l’autrice o l’autore (Gipi, Zerocalcare, Fumettibrutti, Allison Bechdel…). È una separazione arbitraria e discutibile (leggiamo Corto Maltese o Hugo Pratt?), di cui abbiamo discusso nel volume Fare Spazio. Riflessioni e conversazioni sul graphic novel in Italia, ma ci è utile qui per contrasto. Nel manga il concetto di autorialità è molto diverso da quello del fumetto occidentale. Da un lato, anche i prodotti più commerciali e mainstream sono legati a doppio filo al nome e all’autorialità delle loro creatrici e dei loro creatori: Dragon Ball, per fare un esempio, è tanto la storia di Goku quanto il fumetto “di” Akira Toriyama. Molto più di quanto Dylan Dog sia il fumetto “di” Tiziano Sclavi. E questo sia in termini di immaginario collettivo che di produzione: raramente, eccetto casi gravi come la morte di un autore, una serie prosegue con altri alla sceneggiatura o al disegno, e raramente più autrici o più autori sono accreditati come creatori della serie. Dall’altro lato, nonostante questa connessione così forte tra autrice/autore e serie/personaggio, la creazione di un manga è spesso un processo condiviso, quasi corale. Al di là dell’autore segnato in copertina (più raramente “degli autori”, come nel caso di Tsugumi Ōba e Takeshi Obata), al dato manga lavorano un editor, che segue l’autore, e una schiera di assistenti che sbrigano le parti più “meccaniche” del disegno. Insomma, il concetto di autorialità (sia per quanto riguarda la creazione che la fruizione) è diverso se guardiamo al manga invece che al fumetto occidentale.

Parlare di “uno stile del fumetto giapponese”, come se esistesse un solo stile, è sicuramente fuorviante: autrici e autori diversi disegnano e raccontano in modo diverso, ognuno con la propria estetica e sensibilità. Tuttavia ci sono degli elementi, almeno dei macro-elementi e se rimaniamo nei confini del fumetto “normale” o “canonico”, che separano abbastanza nettamente il manga dal fumetto occidentale (pur con tutti i controesempi del caso).

C’è intanto una questione di ritmo. Anche grazie alla pubblicazione episodica su rivista, il manga ha spesso più spazio a disposizione delle rigide 96 pagine dell’albo Bonelli o 46 dell’album francese, vale a dire più pagine su cui srotolare la narrazione che, quindi, prosegue con meno ellissi. Ogni vignetta condensa meno contenuto di tempo o azione e soprattutto di testo, e la storia procede a passi visivamente più piccoli. Questo modifica radicalmente l’esperienza di lettura, che pare scorrere “in tempo reale” quasi stessimo assistendo a un film d’animazione su carta, nel quale ritmo ed enfasi passano attraverso la regia della tavola e la dimensione delle vignette.

Ma c’è anche una questione di linguaggio visivo in sé. Nel fumetto occidentale spesso il codice visivo è uniforme: il dato fumetto istituisce un “piano della realtà narrativa” e lo stile visivo si mantiene coerente pagina dopo pagine. Nel manga, altrettanto spesso, il disegno si appoggia a seconda delle esigenze su più registri: un disegno più realistico, uno più enfatico e uno più caricaturale possono coesistere all’interno della stessa storia.

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MANGA

Comunemente, fumetto giapponese; meno di frequente, fumetto nongiapponese ma dalle caratteristiche estetiche o narrative nippofile. Il termine è la contrazione di due caratteri che ne indicano l’origine come un’arte leggera, popolare e di evasione: man (漫), che significa “ozioso, leggero, senza scopo”, e ga (画) che significa “immagine, disegno”.

GEKIGA

Corrente artistica nata negli anni Settanta che si contrappone esteticamente al manga, proponendosi di raccontare la realtà con uno sguardo adulto e senza compromessi. Gekiga, la cui prima “g” si legge dura come in gatto e non dolce come in getto; si ottiene dai due caratteri geki (劇), che significa “drammatico”, e ga (画). Nel linguaggio comune, ci si riferisce al gekiga come a una tipologia o a un genere di manga.

MANGAKA

L’autore o l’autrice di manga. Il carattere ka (家) è un suffisso che indica la professionalità nel campo precedente (quindi in questo caso nel manga).

TANKŌBON

Si riferisce al formato dei volumi monografici in cui vengono pubblicate le serie manga, dopo la loro serializzazione su rivista. Per estensione, si usa anche per riferirsi ai volumi stessi. Anche se può variare di dimensione, foliazione e rilegatura, con “formato tankōbon” ci si riferisce di solito (anche in Italia) a volumi di circa 200 pagine da 13x18 centimetri, brossurati con copertina morbida e, non di rado, con sovracopertina.

SHŌNEN

Identifica una pubblicazione il cui target di pubblico sono ragazzi adolescenti e pre-adolescenti. In Italia il termine è invece comunemente utilizzato per identificare uno specifico genere narrativo (manga d’azione, spesso di combattimento) a prescindere dal genere del pubblico di riferimento.

SHŌJO

Identifica una pubblicazione il cui target di pubblico sono ragazze adolescenti e pre-adolescenti. In Italia il termine è invece comunemente utilizzato per identificare uno specifico genere narrativo (manga sentimentale) a prescindere dal genere del pubblico di riferimento.

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SEINEN

Identifica una pubblicazione il cui target di pubblico sono ragazzi postadolescenti o della prima età adulta. In Italia il termine è invece comunemente utilizzato come categoria ombrello per identificare tutti quei manga per un pubblico adulto, a prescindere dal genere.

JOSEI

Identifica una pubblicazione il cui target di pubblico sono ragazze postadolescenti o della prima età adulta. In Italia il termine è poco utilizzato.

HENTAI

Termine i cui caratteri (変態) significano originariamente “pervertito” o “anormale” ma che, in età contemporanea, denota anche le pubblicazioni manga e anime di carattere erotico o più spesso pornografico.

YAOI/YURI

Termine che identifica manga focalizzati su relazioni omosessuali, maschili (yaoi) e femminili (yuri), a prescindere dal genere del pubblico di riferimento. È una categoria di manga molto diffusa, anche in Italia, non necessariamente a contenuto erotico o pornografico.

Schede

Hamelin 28
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