Mestieri d'arte e design 12

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naturale, come la spontanea espressione della sua essenza, come l’unico modo possibile di rivelare tutto un processo progettuale. Per me il progetto deve obbligatoriamente passare da qui per poi, forse, arrivare alla produzione, quando e se un’azienda ne riconoscerà il valore. D. Si riconosce nel tipo di ricerca, propria dell’ambito disciplinare del design praticato dalle precedenti generazioni, che raramente indaga le relazioni dell’oggetto progettato con l’ambiente in cui è inserito, con le persone cui è destinato e con gli altri oggetti? R. Dipende a quali progetti ci si riferisce. Di sicuro mi sento molto vicino a quel tipo di ricerca che indaga il rapporto tra le cose, l’uomo e i suoi comportamenti: dove il legame tra uno e l’altro rimane indissolubile in qualsiasi luogo o ambiente, questi oggetti vengano sistemati e con qualsiasi persona entrino in contatto. Mi riconosco molto anche nelle ricerche di alcuni designer delle ultime generazioni come Lorenzo Damiani e Francesco Faccin, proprio perché anch’io, come loro, mi sono confrontato spesso su questo tema che in alcuni casi mi ha portato a individuare delle piccole invenzioni tipologiche; come è successo per esempio con il biscotto da dito per la Nutella o il tappetino da bagno Mat-walk con le pantofole integrate, pensato per Droog Design. Non mi riconosco invece in tutti quei progetti

che non hanno nulla da raccontare, anche se molto spesso a livello commerciale sono stati dei campioni di incasso. D. Il recupero di semilavorati è molto spesso una costante nei suoi progetti. È un percorso progettuale che le fa conoscere alcuni processi (il lavoro degli operai, i procedimenti dell’industria...) ma che forse la rende distante dall’origine della materia. Come supplisce a questa carenza? R. L’esperienza della manualità in rapporto con i materiali e le lavorazioni è una passione e una qualità che ho fin da ragazzo; non è assolutamente una carenza per me, ed è sicuramente anche per questo che preferisco decisamente lavorare a stretto contatto con gli artigiani piuttosto che con l’industria. Nel rapporto con l’industria in genere tutto è più freddo, distaccato, parcellizzato, a ognuno il proprio ruolo. Mentre nel rapporto con l’artigiano i ruoli si mescolano a tal punto da trasformare il lavoro di entrambi in una sorta di simbiosi dove io posso mettermi al lavoro sul suo tornio e lui può darmi suggerimenti di natura formale o strutturale per migliorare il mio disegno. È da qualche anno ormai che la maggior parte del mio tempo mi piace trascorrerlo nei laboratori degli artigiani, a pensare, a provare e riprovare, a costruire o distruggere, a sorridere o a disperarmi. Ormai il mio vero studio si è trasferito lì. D. è sempre convinto, dopo anni di lavoro, che si debba in-

In alto, Paolo Ulian lavora al disegno del pannello in marmo «Pixel» realizzato per Bufalini Marmi, 2015. Sotto, «Finger Biscuit» (Ferrero, 2004/06): un progetto che asseconda il gesto, automatico per tutti davanti alla famosa crema al cacao, del... leccarsi le dita. Nella pagina a fianco, tavolini «Autarchico» disegnati per Le Fablier, 2011.

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