Mestieri d'Arte & Design n°7

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LA BOTTEGA DELLE MERAVIGLIE CI SALVERÀ Trarre ispirazione dai grandi del passato per definire il nostro futuro. Solo così possiamo contrastare il nichilismo dell’anima Il Mestiere d’Arte è materia viva. Anzi, è vita. Uomomente-materia come sillaba da sempre Franz Botré, direttore ed editore di Swan Group, l’uomo che ha voluto insieme con Franco Cologni e la prestigiosa omonima Fondazione questo inno alla bellezza. L’uomo che pensa, immagina. Elabora nella mente, sviluppa, plasma, taglia, cuce, conduce, interpreta, adatta. In altre parole crea. La materia che prende forma e si afferma come piccolo-grande capolavoro dell’ingegno. È una liturgia antica eppure contemporanea, che ha trovato nel design la formula alchemica capace di dare nuova linfa alla vita della bottega. Scrivo bottega perché è la più elegante definizione di quel concetto commercio-laboratorio che ha fatto grandi le nostre città, le nostre civiltà. Guardiamoci intorno, in Italia come nel mondo. Rendiamoci conto di cosa voglia dire «andare a bottega». Nel XV secolo Leonardo da Vinci andava a bottega dal Verrocchio, Michelangelo imparava dal Ghirlandaio. La bottega era il luogo dell’insegnamento, dell’apprendimento, della prova, dell’esperimento, della collaborazione, della creazione di sé. Erano pittori, artisti. Ma continuavano a sperimentare ogni giorno nuove tecniche, eseguivano per nuove committenze. Accanto a loro vivevano e lavoravano altri artigiani. I mastri falegnami, gli scalpellini, i muratori. Prendete una città qualunque, nel suo cuore storico. Per me è semplice, parlando della mia Firenze. La Cupola del Brunelleschi, l’armonia del Battistero (in origine tempio dedicato al dio Marte), la Torre d’Arnolfo che svetta dal Medioevo sopra Palazzo Vecchio. Gli affreschi. I ferri. Il marmo scolpito. Le vetrate artistiche. Pensate. Pensateci bene. Non esistevano le università con le specializzazioni odierne. Non esistevano le facoltà di ingegneria o architettura. Eppure issavano nel vuoto quintali di marmo. Blocchi che andavano incastonati in un disegno armonioso. Non c’era l’industria. Eppure guardate cosa è rimasto. Entrate

nella Sacrestia di San Lorenzo, osservate i legni, gli intarsi, gli ori nelle finiture di quelle pale d’altare che sono capolavori dell’arte, al netto del nome di chi li ha realizzati. Dove imparavano quegli artigiani? Dove apprendevano i segreti di quelle lavorazioni? A bottega. Ed è da questo concetto che dobbiamo ripartire per rafforzare il vero patrimonio dell’umanità che è appunto il Mestiere d’Arte. Guardiamo al Giappone e alla maniera con la quale vengono tutelati i «tesori nazionali viventi», ovvero gli artisti-artigiani. Osserviamo con attenzione quanto le Fondazioni si ostinano a difendere davanti all’avanzata del nichilismo (ad nihil, la mancanza di un orientamento verso la finalità della vita). Osservare una ceramica di Meissen è leggervi una storia, respirare l’atmosfera del decimo secolo, durante la dinastia Tang, rivivere lo spirito d’avventura che tre secoli più tardi avrebbe guidato lungo la via della Seta la leggenda di Marco Polo, come la riscoperta di Johann Friedrich Böttger che fece della porcellana la propria pietra filosofale. Significa riscoprire la manualità di un laboratorio, il tramandarsi di antiche tradizioni, l’abilità della manifattura, il gusto. L’uomo moderno non può alienare questo patrimonio del proprio essere. Sia esso un vetro soffiato a Murano, una complicazione nata su un’isola di Ginevra, un liuto che nasce, un mobile che brilla in una dimora che fa della contemporaneità una missione. È con questo spirito dedicato alla bellezza, alla gioia, alla manualità del moderno che affrontiamo questo viaggio teso alla valorizzazione delle nostre produzioni. Scrivo nostre pensando non a un territorio, ma a un contesto sociale nel quale conoscenza, curiosità, senso del bello uniscono popoli distanti. In Italia come nel mondo grazie alla preziosa missione che porta Vacheron Constantin a sostenere l’internazionalizzazione di questo nuovo numero delle meraviglie.

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