Mestieri d'Arte & Design n°7

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32 Trasferisco nelle mie opere la fragilità e la precarietà con cui giochiamo costantemente nella vita

DOBBIAMO RITROVARCI NEGLI OGGETTI A fianco, divano «Buttoned-up» realizzato in Italia da F.lli Boffi (Lentate sul Seveso) in edizione limitata a 12 esemplari. Sotto, Nigel Coates, ritratto da Guillaume De Laubier.

erano il risultato di anni di uso quotidiano. Volevo riprodurre questa qualità nell’oggetto nuovo, e grazie a un buon livello di sperimentazione ci sono riuscito. Ho trovato una narrativa sia dell’apparenza dell’oggetto sia del metodo di realizzazione. D: Come mai, malgrado la sua formazione anglosassone, ritroviamo spesso nel suo lavoro riferimenti più o meno espliciti a Carlo Mollino e Gio Ponti? R: Magari sono un ibrido tra la mia crescita in Inghilterra e la mia esperienza formativa in Italia quando studiavo architettura. Da piccolo, mi sono sempre piaciuti posti lontani ed esotici. Adesso l’Italia non è per niente esotica, però è colma di cultura sia a un livello alto sia nella vita semplice. Penso che Mollino e Ponti abbiano lavorato in una maniera simile. Penso che avessero una visione futuristica, ma sapessero come applicarla sfruttando i mezzi che avevano a disposizione. Come me, vedevano movimento e ritmi, geometrie e sensualità. Credevano che la loro anima potesse condizionare il modo di esprimersi. D: Le sue opere sono spesso caratterizzate da una certa disarmonia e precarietà, come si concilia questa posizione con la sua forte attenzione nei confronti del corpo umano? R: Malgrado il fatto che il nostro corpo sia perfetto nella sua armonia, esso è sempre in movimento e in tensione. Il corpo è uno strumento che esprime la sua bellezza quando trasgredisce il comportamento ordinario. Lo si può vedere negli atleti, ma

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succede lo stesso anche a noi, ogni giorno. Giochiamo costantemente con la nostra fragilità e precarietà, e io voglio trasferire questa caratteristica anche negli oggetti. Il mio obiettivo è fare in modo che una parte di noi si riconosca subito nell’oggetto; questo succede in parte con tutti i mobili, ma cerco sempre di spingere di più questi aspetti. D: La sua ultima impresa la troviamo rappresentata nell’ambiente realizzato alla Triennale di Milano per la mostra «Kama. Sesso e design». In altre precedenti occasioni (con altre opere) ha dimostrato il suo interesse verso «l’oggetto sessuale». Ci vuole descrivere qual è stato, in questo lavoro, lo sviluppo delle sue già espresse teorie e attitudini? R: Un aspetto importante della mostra «Kama» è il fatto di non cadere mai nel volgare. Presenta infatti il sesso come un aspetto naturale della nostra esistenza e realtà. Io vorrei infondere nei miei pezzi la stessa energia, e il sesso è un tipo di energia. È vero che questo è stato un tema nel mio lavoro da sempre, ma ogni volta lo esploro sempre in un modo fresco e diverso. In questa installazione ho cercato di mettere insieme degli oggetti che rappresentino un’identità che bilancia il proprio corpo pieno di desiderio con l’occhio artistico. Mi sono ispirato al lavoro di Caravaggio e Francis Bacon, osservando le figure con passione e profondità in modo da unire i sentimenti assieme alla corporalità. Bacon chiamava questa caratteristica puissance. E io vorrei esprime la stessa cosa.

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