Mestieri d'Arte n°5

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Dossier

stico rispetto al tipo di impresa e ci si rese conto che l’autoproduzione assomigliava in modo sorprendente a tutto ciò che veniva fatto da decenni nell’Europa del nord attraverso il craft: il Craft europeo, che da sempre coltiva un’area disciplinare (quella delle arti applicate) che non è, di fatto, né arte né design industriale (vi ricordate la bella mostra organizzata da Enzo Biffi Gentili a Palazzo Bricherasio di Torino nel 2002?). Ma questa area disciplinare europea, rispetto alle nostre recenti tendenze di autoproduzione, si muove in un vero e proprio territorio coltivato con istituzioni, musei, scuole, gallerie, collezionisti, autori e loro quotazioni. Sono scesi da qualche anno, incominciando dagli olandesi, nella nostra bella «patria del design» gli artisti del craft e hanno avuto subito successo, in una situazione storica dove il design italiano fa sempre più fatica a capire il proprio ambito disciplinare e il proprio ruolo e dove la moltitudine di laureati, che escono dalle tante scuole di design con sempre maggiori difficoltà a trovare lavoro nelle nostre medie imprese (sempre più in crisi!), hanno iniziato a imitare questi nuovi modelli progettuali e operativi. Imitati spesso con un grande equivoco alla base del loro comportamento: è vero che si sono dati da fare a pensare (progettare) e realizzare con le proprie mani gli oggetti, ma sempre nella prospettiva di trovare l’incontro fortunato con l’imprenditore capace di trasformare il loro proget-

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to in oggetto di consumo con una produzione di serie. Così si è verificato ciò che vediamo al Salone Satellite e in molte mostre fuori dal Salone del Mobile di Milano: tanti prototipi di giovani studenti e designer che portano, con tante speranze, i loro prototipi in una dimensione che va definita correttamente come «Autopromozione», pratica molto lontana da quella dell’Autoproduzione. Tutto ciò mi ricorda molto gli anni Settanta quando molti critici /storici organizzavano rassegne di cinema mettendo insieme i filmaker (che facevano cinema sperimentale, non potendo ancora accedere al cinema commerciale, come pratica giovanile in attesa di entrare nel sistema ufficiale del cinema) e gli operatori (come il sottoscritto) che facevano cinema d’artista (autofinanziandosi e credendo nell’autonomia artistico-disciplinare di questa pratica). Chi oggi avesse ben inteso qual è la vera pratica dell’autoproduzione, di fatto si trova fatalmente ad affrontare (in Italia) un’operazione molto difficile mancando totalmente «il sistema». Dove poter collocare le proprie opere, a chi venderle, dove trovare delle gallerie, al di là di quelle quattro che si occupano di oggetti (firmati dalle star del design internazionale) con un forte impatto emotivo e dai prezzi proibitivi, rivolti a una committenza di pochi collezionisti? Dove fare ricerca se le nostre università pensano solo alla produzione e mancano di veri laboratori, laboratori che

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