Mestieri d'Arte n°4

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DALL’ATELIER, ALLA BOTTEGA, ALL’IMPRESA È necessario recuperare il tratto del piccolo artigiano, quello che aveva le mani «segnate» dal lavoro, per tornare a parlare di cultura d’impresa. Riscopriamo il ruolo degli atelier che hanno dato valore aggiunto all’oggetto d’arte utilizzando tempo e passione

È dalla riforma Gentile che in Italia l’insegnamento della cultura umanistica ha sempre prevalso sulla cultura materiale. In più, nell’ambito delle discipline come architettura e design, nella seconda metà del secolo scorso ci fu un vero e proprio progressivo allontanamento, per non dire rifiuto, nei confronti di tutto ciò che era la cultura del fare legata all’artigianato e quindi di tutto ciò che non poteva essere prodotto in serie. Una lettura più profonda di ciò che è successo, all’interno della nostra attività, ci porta a scoprire che la realtà è un’altra: quella del piccolo artigiano e della sua capacità di trasformarsi ed evolversi. Basterebbe ricordare i tanti artigiani del settore della lavorazione del mobile visitati da Gio Ponti e da tanti altri architetti tra gli anni Trenta e Quaranta, nell’attivo territorio della Brianza che in breve tempo, attraverso il progetto rinnovato e ampliato, seppero trasformarsi in veri e propri imprenditori del settore. Era facilmente riconoscibile la loro origine di piccoli artigiani, quasi tutti avevano le mani «segnate», si fa per dire, dalla sega e dal lavoro manuale spesso condizionato da certi attrezzi.

Il tempo è forse il segreto che sta dietro all’evoluzione di quelle realtà produttive che dall’atelier passano attraverso la bottega per approdare ad una vera e propria impresa che però continua a mantenere al suo interno, come il nocciolo invisibile di un frutto, le caratteristiche insegnate dalla tradizione: la capacità manuale, la passione e l’amore per la materia e per il lavoro. Il tempo è la caratteristica che differenzia questo genere d’impresa dalle altre: poiché, come per l’artigiano, il tempo non è il fattore determinante del successo di un lavoro – perché quel che conta è il risultato – il tempo impiegato diventa secondario anche per il cliente o il destinatario finale del lavoro. L’importante, per l’impresa che continua a guardare il proprio lavoro con lo stesso sguardo dell’artigiano, è la qualità; qualità che la distingue all’interno di un mercato sempre più difficile da conquistare, qualità che la spinge a sforzi sempre più elevati; non si tratta quindi di numeri ma di valori aggiunti fatti di progettualità e di saper fare, i due caratteri che hanno sempre distinto l’atelier del nostro miglior artigianato.

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Una realtà quindi la cui storia è stata spesso negata o è rimasta sommersa, in una società che non ha saputo leggere e incentivare le capacità di molti artigiani, non solo legate alla cultura del fare ma anche alla cultura d’impresa. Ancora oggi si dà troppa poca importanza a quegli atelier che conservano gelosamente certe tradizioni di lavorazio-

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ne – dagli orafi agli scalpellini – tradizioni che spesso sono alla base di quelle capacità manuali che fanno il valore aggiunto dell’oggetto d’arte. Il valore aggiunto che consente al piccolo artigiano, con un grado di consapevolezza in più, di comprendere il salto di qualità che può operare nell’ambito di una società che sa apprezzare opere realizzate con amore e passione e tanta capacità acquisita nel tempo.

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