Mestieri d'Arte n°4

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lla base dell’eccellenza c’è la virtù. In questo periodo di feste inflazionate da una mielosa atmosfera, riscopriamo il significato reale di autenticità ed etica dell’estetica

IL REGALO DI NATALE: VERITÀ E BELLEZZA

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Scriveva Primo Levi che «se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono». Felicità, verità, amore: termini quanto mai inflazionati nella mielosa atmosfera natalizia. Ma anche quanto mai rari in un mondo del lavoro che sembra tendere sempre più verso un’atomizzazione impersonale dei rapporti. Verso una produttività che ha perso l’anima. Verso la creazione di prodotti laddove non c’è più né necessità, né curiosità, né desiderio, né bisogno di nulla. Eppure, proprio (e in molti casi, solo) l’amore per ciò che si fa e per come lo si fa è in grado di restituire quello slancio che permette all’artefice di creare il proprio capolavoro, e che guida l’artefice stesso verso traguardi che sospingono ogni volta un po’ più in là il confine di ciò che è possibile compiere od ottenere. Le nostre scuole insegnano «come» fare qualcosa: ma in molti casi hanno perso di vista che la motivazione non nasce dal «come», ma dal «perché». Un maestro che non si chieda perché, così come un artigianato privo di progettualità, rappresentano l’emblema di quella ripetizione di gesti che certamente porta a un risultato, ma che non trasmette passione né verità, come una liturgia senza alcun senso del sacro. E al tempo stesso, una progettualità che trascuri la rilevanza e anzi la fondamentale importanza del lavoro manuale non è che un esercizio di stile, che getta nell’arena del mercato non manufatti, ma cloni. Natale è la più cattolica delle feste, e l’Italia è il più cattolico dei Paesi. Eppure, nel nostro amare i begli oggetti che rendono migliore la vita siamo una nazione fortemente animista:

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creiamo, cerchiamo, veneriamo oggetti che abbiano un’anima. Che nascano da un’idea forte e bella ma che vengano anche sviluppati con passione, con attenzione, con quel meticoloso orgoglio per la perfezione che è tipico del maestro d’arte e che rappresenta un metodo, una conquista, una prospettiva prima ancora che un modo di agire. Nell’interessante Manifesto pubblicato lo scorso anno nel volume Verità e bellezza, scritto da Francesco Morace e Giovanni Lanzone e sostenuto dall’amico Maurizio di Robilant, il primo punto per far uscire l’Italia dalla minaccia di una triste serie B è proprio «riunificare esperienza etica e valore economico attraverso l’estetica. Sperimentare la cura e il gusto nella ridefinizione dell’esperienza, che nasce dall’incontro tra la cultura e la capacità di creazione, tra la sensibilità e la bellezza». Al crocevia tra cultura, esperienza, bellezza e amore non può che esserci la passione per una «verità» che si trasmette anche attraverso il lavoro, attraverso un metodo, attraverso una visione che sappia superare le barriere ingombre dei detriti delle vecchie definizioni, per restituire dignità e piacere non solo a un sapere, ma anche a un fare. A Natale veniamo invasi da improbabili inviti alla bontà. Ma come i greci ci insegnavano, l’autentica bontà è alla base della vera bellezza: così come la virtù sta alla base dell’eccellenza. Regaliamoci dunque un po’ di speranza in questa etica dell’estetica che si nutre di cultura, di lavoro e di autenticità: credo sia il cadeau più prezioso che si possa scambiare, in tempi di preoccupante assenza di riferimento. Tempi in cui, tuttavia, si aprono nuovi musei e si progettano città diverse; in cui i veri creativi sanno di doversi riscoprire anche un (bel) po’ artigiani; in cui non si è ancora del tutto dimenticato che il successo del modello rinascimentale è da ricercare nella messa in circolo della cultura, nella passione per l’apprendimento, nella poesia del territorio. Una poesia come quelle del Pascoli, che ci insegnavano a scuola: «ci sono in cielo tutte le stelle / ci sono i lumi nelle capanne». Io anche quest’anno farò sia il presepe sia l’albero: cercherò e creerò in casa mia quelle tracce del Natale che mi parlino anche della verità nascosta tra le pieghe del consumo. Le stelle in cielo sono di cartone, ma brillano lo stesso. I lumi nelle capanne sono dipinti. Ma la notte, lunga quanto volete, comincia a non essere più così oscura.

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