Mestieri d'Arte & Design 11

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La scienza in cucina

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bio o non bio questo non è il problema Lo chef è colui che mette in contatto l’io e il mondo. La materia prima è il dato ontologico dell’attività culinaria. Quando lui la seleziona secondo la stagione e la manipola, può così innalzarla a elemento deontologico

Scimmiottando il celebre interrogativo amletico preferiamo, biblicamente, la viva croccantezza della mela la quale, come una porta spazio-tempo, ci conduce nel Pleistocene di tutti gli interrogativi culinari. Qual è, infatti, la prima delle verità culinarie rivelate? E poiché la culinaria, come la geometria, è scienza esatta se condotta con rigore metodologico, ci lasciamo sfuggire anche una certa arroganza legiferante quando affermiamo che l’unica, incontrovertibile verità consiste, ancora una volta, nell’autenticità della materia prima. Dagli utensili fino alla performance culinaria, dagli elementi da manipolare fino alla freschezza mentale dello chef, cibo e manipolazione del cibo non possono prescindere dall’isolare ontologicamente il concetto di materia prima che, come anche quello di numero primo in matematica, è entità unica e indivisibile.

È in questo senso che si dovrebbe parlare di deontologia alimentare, prima ancora di cadere in guerci integralismi, perché sebbene cibarsi sia per tutti noi un’attività intrinsecamente edonistica, va detto che il più delle volte di questa attività si disconosce proprio il suo essere un tramite tra il proprio e il non proprio, l’individuo e il mondo che fagocitiamo quasi sempre in maniera acritica senza riflettere sulle implicazioni delle nostre scelte dimenticando anzi quel tempio che, appunto, per Ippocrate era il corpo umano.

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Quella culinaria, infatti, è la scienza e l’arte della vanitas, ovvero la padronanza di un’abilità tecnica volta ad amministrare la natura tra le soglie ontologiche del fresco e del putrido come in una sorta di partita di tennis giocata in punta di racchetta, proprio sotto la rete. Come esempio, basterà ricordare la frollatura, ovvero una putrefazione disciplinata così come la marinatura, mentre la stessa lievitazione condivide col dominio del marcio i batteri della fermentazione. La materia prima, quindi, è il dato ontologico dell’attività culinaria ma non solo, perché diventa elemento deontologico del soggetto

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cucinante, colui la cui selezione degli elementi del mondo sarà in grado di nobilitare solo quelli meritevoli d’esser cucinati al fine di essere introdotti nel nostro corpo: incorporati.

Molte volte, infatti, dietro al semplice edonismo che si cela nella scelta di alimenti di stagione, notoriamente più intensi in aromaticità e sapore, si nasconde anche una scelta di tipo politico nonché una manifestazione di conoscenza, di eruditismo, perché il cuoco edotto conosce la natura degli alimenti e la loro pertinenza spazio-temporale. Ecco quindi che, come lo sciamano per i nativi americani, la figura dello chef potrebbe essere indagata antropologicamente e, alla luce delle proprie competenze, come colui che, attraverso la narrazione e la manipolazione della materia, riesce a mettere in contatto due agenti della cucina, l’io e il mondo, costituendosi quindi, in tutto e per tutto, come agente e teorico di una reale fenomenologia della percezione.

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